ANNO LXXIV - N. 4 OTTOBRE - DICEMBRE 2022 RASSEGNA AV V O C AT U R A DELLO STATO PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO COMITATO SCIENTIfICO: Presidente: Michele Dipace. Componenti: Franco Coppi -Natalino Irti -Eugenio Picozza - Franco Gaetano Scoca. DIRETTORE RESPONSABILE: Giuseppe Fiengo -CONDIRETTORI: Maurizio Borgo, Danilo Del Gaizo e Stefano Varone. COMITATO DI REDAZIONE: Giacomo Aiello -Lorenzo D’Ascia -Gianni De Bellis -Wally Ferrante -Sergio Fiorentino -Paolo Gentili -Maria Vittoria Lumetti -Francesco Meloncelli -Marina Russo. CORRISPONDENTI DELLE AVVOCATURE DISTRETTUALI: Andrea Michele Caridi -Stefano Maria Cerillo Pierfrancesco La Spina -Marco Meloni -Maria Assunta Mercati -Alfonso Mezzotero -Riccardo Montagnoli -Domenico Mutino -Nicola Parri -Adele Quattrone -Piero Vitullo. HANNO COLLABORATO INOLTRE AL PRESENTE fASCICOLO: Rosa Amatucci, Fabiola Andronaci, Adele Berti Suman, Federico Casu, Marco Cerase, Elio Cucchiara, Enrico De Giovanni, Guido Di Biase, Emanuele Feola, Gabriele Finelli, Beatrice Gatta, Michele Gerardo, Maurizio Greco, Maria Letizia Guida, Melvio Maugeri, Gaetana Natale, Gabriella Palmieri Sandulli, Fabio Ratto Trabucco, Valeria Romano, Marco Stigliano Messuti. E-mail Giuseppe fiengo rassegna@avvocaturastato.it maurizio.borgo@avvocaturastato.it danilodelgaizo@avvocaturastato.it stefanovarone@avvocaturastato.it ABBONAMENTO ANNUO ..............................................................................€ 40,00 UN NUMERO .............................................................................................. € 12,00 Per abbonamenti ed acquisti inviare copia della quietanza di versamento di bonifico bancario o postale a favore della Tesoreria dello Stato specificando codice IBAN: IT 42Q 01000 03245 348 0 10 2368 05, causale di versamento, indirizzo ove effettuare la spedizione, codice fiscale del versante. I destinatari della rivista sono pregati di comunicare eventuali variazioni di indirizzo AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO RASSEGNA -Via dei Portoghesi, 12, 00186 Roma E-mail: rassegna@avvocaturastato.it - Sito www.avvocaturastato.it Stampato in Italia - Printed in Italy Autorizzazione Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 i n d i c e -s o m m a r i o In ricordo Avv. Giuseppe Orazio Russo, Avvocato Generale dello Stato Onorario . Avv. Massimo Mari, già Vice Avvocato Generale dello Stato. . . . . . . . . . TEMI ISTITUZIONALI Modifiche al processo civile introdotte dal D.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 efficaci dal 1° marzo 2023. Le novità di rilievo per l’attività dell’Avvocatura dello Stato, Circolare A.G. prot. 165239 del 3 marzo 2023 n. 14 pag. 1 Definizione delle liti tributarie pendenti, prevista dall’art. 1 (commi da 186 a 204) della L. 29 dicembre 2022, n. 197 (legge di bilancio 2023) pubblicata nella G.U. del 29 dicembre 2022, n. 303, in parte modificata dall’art. 20 del D.L. 30 marzo 2023 n. 34 (in corso di conversione). Gestione del contenzioso, Circolare A.G. prot. 303458 del 3 maggio 2023 n. 25 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 53 Parere reso all’Agenzia delle Entrate-Riscossione in ordine alla opportunità della riassunzione della causa a seguito di pronuncia della Corte di cassazione di annullamento con rinvio ex art. 383 c.p.c., Circolare A.G. prot. 547049 dell’1 settembre 2023 n. 46 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 60 Protocollo d’intesa tra la stazione geologica Anton Dohrn di Napoli e l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, Circolare A.G. prot. 547357 dell’1 settembre 2023 n. 48 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 83 Conferimento incarico di Vice Avvocato Generale all’Avvocato Maria Gabriella Mangia, Circolare A.G. prot. 550590 del 4 settembre 2023 n. 49 . ›› 87 Wally ferrante, Giornata delle donne in magistratura: “La questione femminile in Medioriente. Il diritto (negato) allo studio”, Convegno Corte dei Conti, Aula Turina, 5 aprile 2023 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 88 CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE Marco Cerase, Moore v. Harper. Un’importante sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti sul controllo di costituzionalità. . . . . . . . . . . . . . ›› 95 Beatrice Gatta, La CGUE sull’obbligo vaccinale per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario (C. giust. Ue, Sez. II, sent. 13 luglio 2023, C-765/21) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 100 CONTENZIOSO NAZIONALE federico Casu, Giudizio abbreviato e legalità della pena: brevi considerazioni su Cassazione penale, SS.UU., n. 47182 del 31 marzo 2022 (dep. 13 dicembre 2022) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 119 Gabriele finelli, Prestazione professionale forense. L’inderogabilità dei minimi tariffari per la liquidazione dei compensi (art. 82 d.P.R. n. 115/2002, art. 13 l. n. 247/2021, artt. 4 e 12 D.M. n. 55/2014) (Cass. civ., Sez. II, sent. 27 luglio 2023 n. 22761) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 145 Guido Di Biase, Le iniziative esperibili da Avvocati del libero Foro per il pagamento dell’attività prestata in regime di patrocinio a spese dello Stato. La Corte di Appello di Venezia esclude l’ammissibilità del ricorso per decreto ingiuntivo e la maturazione di interessi, a fronte dell’inesigibilità della prestazione (C. app. Venezia, IV Sez. civ., sent. 15 febbraio 2023 n. 210, R.G. 538/2022) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 156 I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO Emanuele feola, Convenzioni-quadro stipulate dalla Concessionaria servizi informatici pubblici (Consip) S.p.a. e possibile deroga all’obbligo di adesione previsto per le Amministrazioni dello Stato . . . . . . . . . . . . . . . ›› 171 Maurizio Greco, Corrispondenza intercorrente tra Amministrazioni dello Stato e Avvocatura dello Stato inerente ad atti defensionali. Istanza di accesso ed ostensibilità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 180 Enrico De Giovanni, Soggetti danneggiati da trasfusioni con sangue infetto. Procedure transattive di cui alla l. 29 novembre 2007 n. 222 e all’articolo 2, comma 362, della l. 31 dicembre 2007 n. 244 alla luce della nota sentenza 5 novembre 2021, n. 16 dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 182 Valeria Romano, Quesito sulla trasferibilità da parte dell’Esacri in liquidazione coatta amministrativa in favore dell’Associazione nazionale CRI, di beni immobili ai sensi dell’art. 4-bis, d.lgs. 28 settembre 2012, n. 178 inserito dall’art. 1, co. 486, L. 30 dicembre 2020, n. 178 . . . . . . . . . . . . ›› 192 Melvio Maugeri, Rimborsabilità delle spese legali ai sensi dell’art. 18 d.l. 67/97 sostenute dal dipendente pubblico in procedimento preliminare avviato ex art. 67 del Codice di Giustizia Contabile e definito con decreto di archiviazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 206 Elio Cucchiara, Rimborsabilità delle spese legali ai sensi dell’art. 18 d.l. 67/97 sostenute dal dipendente pubblico in procedimento di accertamento tecnico preventivo a fini conciliativi ex art. 696 bis c.p.c. . . . . . . . . . . . ›› 213 Maria Letizia Guida, Ente già ammesso al patrocinio autorizzato dell’Avvocatura dello Stato ai sensi dell’art. 43 del R.D. n. 1611/1933. Istituzione di una “Avvocatura interna” dell’Ente in questione . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 216 Marco Stigliano Messuti, Adele Berti Suman, Interpretazione del nuovo Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 36/2023) in tema di cause di esclusione dalle procedure di gara a fronte della novella introdotta dalla c.d. riforma Cartabia (d.lgs n. 150/2022) sull’istituto dell’applicazione della pena su richiesta delle parti di cui all’art. 444 c.p.p. . . . . . . . . . . . . . . . ›› 220 LEGISLAZIONE ED ATTUALITà Gaetana Natale, Responsabilità medica e sanità digitale. . . . . . . . . . . . . ›› 229 fabio Ratto Trabucco, L’ornitorinco del diritto costituzionale ovvero l’esercizio di stile nella tassonomia delle forme di governo . . . . . . . . . . ›› 246 CONTRIBUTI DI DOTTRINA Gerardo Michele, Autorità amministrative indipendenti. Caratteri, tipologie, procedimenti in attribuzione e tutele giurisdizionali . . . . . . . . . . . pag. 253 Rosa Amatucci, Il principio del contraddittorio nei procedimenti amministrativi di cui all’art. 13 della l. n. 241/1990 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 299 Comunicato dell’Avvocato Generale, Avv. Antonio Valicenti . . . . . . . . . Comunicato dell’Avvocato Generale, Avv. Gabriella Onano . . . . . . . . . Saluto del Vice Avvocato Generale, Avvocato Vincenzo Nunziata. . . . . . Da: Segreteria_generale Inviato: venerdì 14 luglio 2023 17:15 A: Avvocati_tutti; Amministrativi_tutti Oggetto: decesso Con profondo dispiacere, comunico che nella giornata odierna è venuto a mancare l’Avv. Giuseppe Orazio Russo, Avvocato Generale dello Stato Onorario. (...) Il Segretario Generale Avv. Maurizio Greco Da: Segreteria_generale Inviato: giovedì 28 settembre 2023 13:38 A: Avvocati_tutti; Amministrativi_tutti Oggetto: decesso Con profondo dispiacere comunico che ieri sera è venuto a mancare l’Avv. Massimo Mari, già Vice Avvocato Generale dello Stato. (...) Il Segretario Generale Avv. Maurizio Greco TemiisTiTuziOnali Avvocatura Generaledello Stato CirColare n. 14/2023 Oggetto: Modifiche al processo civile introdotte dal D.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 efficaci dal 1° marzo 2023. le novità di rilievo per l’attività dell’avvocatura dello Stato. IndIce 1. Premessa 2. dIsPosIzIonI generalI 2.1 le modifiche in materia di giurisdizione e competenza (artt. 7, 37, 40, 47, 48, 49 e 50-bis c.p.c.) 2.2 responsabilità processuale e obbligo di collaborazione delle parti e di terzi (artt. 96, 210 e 213 c.p.c.) 2.3 I principi generali (artt. 101 e 121 c.p.c.) 3. Il Processo ordInarIo dI cognIzIone 3.1 gli atti introduttivi e la costituzione in giudizio delle parti (artt. 163, 163-bis, 166 e 171 c.p.c.) 3.2 le verifiche preliminari e la trattazione scritta anticipata (artt. 171-bis e 171-ter c.p.c.) 3.3 l’udienza di prima comparizione e la costituzione del terzo (artt. 183, 183-bis, 184, 185bis, 267, 268 e 269 c.p.c.) 3.4 la possibile definizione con ordinanza della controversia (artt. 183-ter e 183-quater c.p.c.) 3.5 la fase decisoria (artt. 189, 275, 275-bis, 281-quinquies e 281-sexies c.p.c.) 4. Il ProcedImento semPlIfIcato dI cognIzIone (artt. da 281-decIes a 281-terdecIes c.P.c.) 5. ProcedImento davantI al gIudIce dI Pace 5.1 disciplina transitoria 5.2 le novità (artt. 316, 318, 319, 320 e 321 c.p.c.) 6. Il gIudIzIo dI aPPello (artt. 334, 342, 343, 348, 348-ter, 349-bIs, 350 e 350-bIs c.P.c.) 6.1 l’istanza di inibitoria (artt. 283, 351 e 352 c.p.c.) 6.2 la fase decisoria (art. 352 c.p.c.) 6.3 rimessione della causa in primo grado (artt. 353 e 354 c.p.c.) 7. Il gIudIzIo dI cassazIone e dI revocazIone (rInvIo alla cIrcolare 74/2022) raSSeGna avvocatUra Dello Stato -n. 4/2022 8. rIto del lavoro e nuova dIscIPlIna relatIva alla ImPugnazIone deI lIcenzIamentI 8.1 le modifiche alle norme in tema di rito del lavoro (artt. 430, 434, 436-bis, 437 e 438 c.p.c.) 8.2 la negoziazione assistita facoltativa per le cause di lavoro 8.3 Il nuovo rito delle controversie relative ai licenziamenti individuali (artt. 441-bis, 441ter e 441-quater c.p.c.) 9. rIto unIco In materIa dI Persone, mInorennI e famIglIa. brevI cennI (artt. 473-bIs e ss. c.P.c.) 10. Il Processo esecutIvo (artt. 475, 476, 478 e 614-bIs c.P.c.) 11. I ProcedImentI sPecIalI 11.1 Il procedimento di ingiunzione (art. 654 c.p.c.) 11.2 Il procedimento di convalida di sfratto (artt. 657 e 663 c.p.c.) 11.3 Il procedimento cautelare uniforme (artt. 669-quinquies, 669-octies, 669-novies, 669decies e 818 c.p.c.) 12. la volontarIa gIurIsdIzIone 12.1 attribuzione ai notai di competenze relative agli affari di volontaria giurisdizione (artt. da 21 a 23 d.lgs. n. 149/2022) 13. ProcedImentI In materIa dI effIcacIa dI decIsIonI stranIere PrevIstI dal dIrItto del- l’unIone euroPea e dalle convenzIonI InternazIonalI (artt. 24 d.lgs. n. 149/2022, 30 e 30bIs d.lgs. n. 150/2011) 14. modIfIca In materIa dI rImedI PreventIvI Per l’eccessIva durata del Processo (art. 1ter legge n. 89/2001) 15. l’arbItrato (artt. 810, 813, 816-bIs 1, 818, 818-bIs, 819-quater e 828 c.P.c.) 16. modIfIche In materIa dI medIazIone (artt. 4 e ss. d.lgs. n. 28/2010) 16.1 disciplina transitoria 16.2 le novità 17. modIfIche In materIa dI negozIazIone assIstIta (artt. da 2 a 11 del d.l. n. 132/2014, art. 371-ter c.P.) 17.1 disciplina transitoria 17.2 le novità 18. dIsPosIzIonI In materIa dI gIustIzIa dIgItale e dI Processo cIvIle telematIco 18.1. disposizioni relative alla giustizia digitale 18.1.1 obbligo di deposito telematico degli atti processuali (art. 196-quater disp. att. c.p.c.) 18.1.2. attestazioni di conformità (artt. da 196-octies a 196-undecies disp. att. c.p.c.) 18.2 modifiche in materia di processo civile telematico: le notificazioni degli atti processuali 18.2.1 obbligo di notificazione a mezzo di posta elettronica certificata (art. 3-ter della legge n. 53/1994). 18.2.2 tempo delle notificazioni telematiche (art. 147 c.p.c.) 18.2.3 altre modifiche al codice di procedura civile in materia di notificazioni (artt. 139 e 149-bis c.p.c.) *** 1. Premessa Sulla G.U. n. 243 del 17 ottobre 2022 è stato pubblicato il testo del D.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 di “attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e temI IStItUzIonalI misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata”. le disposizioni contenute nel decreto recano modifiche estremamente rilevanti al processo civile e trovano applicazione ai procedimenti instaurati successivamente al 28 febbraio 2023 (art. 35, comma 1, D.lgs. n. 149/2022, nel testo modificato dall’art. 1, comma 380, della legge 29 dicembre 2022, n. 197), salvo quelle di cui si è già dato conto nella precedente circolare n. 74/2022, essenzialmente concernenti il processo civile telematico e il giudizio di cassazione, applicabili già dal 1° gennaio 2023. tenuto conto del particolare impatto di tali previsioni anche sull’attività dell’avvocatura dello Stato, si fornisce di seguito un quadro sintetico delle principali novità. *** 2. Disposizioni generali 2.1 le modifiche in materia di giurisdizione e competenza In tema di giurisdizione, viene novellato l’art. 37 c.p.c., restringendosi ai casi di difetto assoluto di giurisdizione la rilevabilità, anche d’ufficio, in qualunque stato e grado del processo, della relativa eccezione. Per altro verso, alle questioni di riparto di giurisdizione tra il giudice ordinario e i giudici amministrativi o speciali è dedicato il nuovo secondo comma, che recepisce l’orientamento della giurisprudenza di legittimità in punto di giudicato implicito sulla giurisdizione e di deduzione della questione nelle fasi di impugnazione, prevedendosi che: “Il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti del giudice amministrativo o dei giudici speciali è rilevato anche d’ufficio nel giudizio di primo grado. nei giudizi di impugnazione può essere rilevato solo se oggetto di specifico motivo, ma l’attore non può impugnare la sentenza per denunciare il difetto di giurisdizione del giudice da lui adito”. In tema di competenza per valore, degno di nota è l’ampliamento della competenza del giudice di pace, in quanto il novellato art. 7 c.p.c. innalza da cinquemila a diecimila euro la soglia di valore per le cause di competenza del Giudice di pace relative a beni mobili e da ventimila a venticinquemila euro quella per le cause di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e di natanti. In conseguenza della introduzione del nuovo rito semplificato di cognizione (su cui v. infra), viene inoltre aggiunto all’art. 40, comma 3, c.p.c. in tema di connessione tra cause sottoposte a riti differenti, la seguente previsione di prevalenza del rito semplificato di cognizione: “In caso di connessione ai sensi degli articoli 31, 32, 34, 35 e 36 tra causa sottoposta al rito semplificato di cognizione e causa sottoposta a rito speciale diverso da quello previsto dal primo periodo, le cause debbono essere trattate e decise con il rito semplificato di cognizione”. In tema di regolamento di competenza si segnalano le seguenti modifiche: -al fine di semplificare la procedura di rimessione dei fascicoli alla can raSSeGna avvocatUra Dello Stato -n. 4/2022 celleria della corte di cassazione, non è più previsto l’onere della parte, nei cinque giorni successivi all’ultima notificazione del ricorso, di chiedere ai cancellieri degli uffici avanti ai quali pendono i processi interessati dal procedimento di regolamento di competenza la rimessione dei fascicoli alla cancelleria della corte. analogamente, in caso di regolamento di competenza d’ufficio, viene eliminato l’onere del giudice di disporre tale trasmissione. la parte è soltanto tenuta, con la nuova formulazione del comma 3 dell’art. 47 c.p.c., a depositare il ricorso e i relativi documenti, nel termine perentorio di venti giorni dall’ultima notificazione alle altre parti; -conseguentemente viene modificato l’art. 48 c.p.c., nel senso di prevedere che il giudizio di merito è sospeso dal giorno in cui è depositata presso il giudice a quo copia del ricorso notificato o dell’ordinanza con cui è sollevato il regolamento di competenza d’ufficio; -all’art. 49 c.p.c. è abrogato il primo comma, che continuava a prevedere che la corte di cassazione dovesse pronunciare sulle relative istanze, entro venti giorni dalla scadenza del termine per il deposito di memorie e scritti difensivi assegnato alle parti. con riferimento al riparto di “competenze” tra tribunale in composizione monocratica e collegiale, si segnala che l’art. 50-bis c.p.c., che elenca le cause nelle quali il tribunale giudica in composizione collegiale, viene modificato con l’abrogazione dei numeri 5) e 6), così devolvendosi al giudice monocratico le cause di impugnazione delle deliberazioni dell’assemblea e del consiglio di amministrazione, nonché quelle di responsabilità da chiunque promosse contro gli organi amministrativi e di controllo, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari e i liquidatori delle società, delle mutue assicuratrici e società cooperative, delle associazioni in partecipazione e dei consorzi nonché le cause di impugnazione dei testamenti e di riduzione per lesione di legittima. Inoltre, per effetto della modifica dell’art. 225 c.p.c., anche la decisione sulla querela di falso non è più assunta dal collegio, ma dal tribunale in composizione monocratica (1). (1) Si segnalano, inoltre, le modifiche al regime di rimessione della causa al collegio o, viceversa, al Giudice monocratico. In particolare, il novellato art. 281-septies, che regola la rimessione della causa al giudice monocratico, prevede che: “Il collegio, quando rileva che una causa, rimessa davanti a lui per la decisione, deve essere decisa dal tribunale in composizione monocratica, pronuncia ordinanza non impugnabile con cui rimette la causa davanti al giudice istruttore perché decida la causa quale giudice monocratico. la sentenza è depositata entro i successivi trenta giorni”; l’art. 281-octies c.p.c., che regola l’ipotesi inversa di rimessione della causa al tribunale in composizione collegiale, prevede invece che “Il giudice, quando rileva che una causa, riservata per la decisione davanti a sé in funzione di giudice monocratico, deve essere decisa dal tribunale in composizione collegiale, rimette la causa al collegio per la decisione, con ordinanza comunicata alle parti. entro dieci giorni dalla comunicazione, ciascuna parte può chiedere la fissazione dell’udienza di discussione davanti al collegio, e in questo caso il giudice istruttore procede ai sensi dell’articolo 275-bis”. temI IStItUzIonalI 2.2 Responsabilità processuale e obbligo di collaborazione delle parti e di terzi all’art. 96 c.p.c. viene aggiunto un quarto comma secondo cui, nei casi di responsabilità aggravata, come disciplinati dal primo, secondo e terzo comma di tale disposizione, “il giudice condanna altresì la parte al pagamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma di denaro non inferiore ad euro 500 e non superiore ad euro 5.000”. Si rammenta, come già evidenziato nella precedente circolare n. 74/2022, che ai sensi del nuovo art. 380-bis c.p.c., che introduce lo speciale procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi per cassazione inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, se la corte definisce il giudizio in conformità alla proposta del Presidente (o del suo delegato) applica il terzo e il quarto comma dell’art. 96 c.p.c. In attuazione del principio di leale collaborazione fra parti e giudice, al comma secondo dell’art. 118 c.p.c. nei casi in cui una parte si rifiuti di eseguire un ordine di ispezione a persone o cose comminato dal giudice nel corso del- l’istruttoria, viene prevista una sanzione pecuniaria, determinata in una somma di denaro non inferiore ad euro 500 e non superiore ad euro 3.000, da versarsi a favore della cassa delle ammende. all’art. 210 c.p.c. vengono inseriti due ultimi commi per rafforzare l’efficacia dell’ordine di esibizione del giudice, con disposizioni volte a sanzionare la mancanza di collaborazione all’attività giudiziale della parte e del terzo, in quanto: “se la parte non adempie senza giustificato motivo all’ordine di esibizione, il giudice la condanna a una pena pecuniaria da euro 500 a euro 3.000 e può da questo comportamento desumere argomenti di prova a norma del- l’articolo 116, secondo comma. se non adempie il terzo, il giudice lo condanna a una pena pecuniaria da euro 250 a euro 1.500”. Deve essere inoltre segnalata la modifica apportata all’art. 213 c.p.c. per il caso di richiesta d’ufficio di informazioni alla pubblica amministrazione, in quanto ora “l’amministrazione entro sessanta giorni dalla comunicazione del provvedimento di cui al primo comma trasmette le informazioni richieste o comunica le ragioni del diniego”. 2.3 i principi generali l’art. 101 c.p.c. viene modificato, per rafforzare le garanzie processuali delle parti nel nuovo “modulo” del rito ordinario (a trattazione scritta anticipata rispetto alla prima udienza di comparizione, su cui v. infra), ovvero laddove vi sia necessità di ripristinare “la parità delle armi” nel nuovo rito semplificato. È stato quindi inserito un nuovo periodo nel secondo comma in forza del quale: «Il giudice assicura il rispetto del contraddittorio e, quando accerta che dalla sua violazione è derivata una lesione del diritto di difesa, adotta i provvedimenti opportuni». raSSeGna avvocatUra Dello Stato -n. 4/2022 viene inoltre codificato il principio di sinteticità degli atti, già consolidato nella giurisprudenza di legittimità, in quanto l’art. 121 c.p.c., al primo comma, dispone espressamente che: «tutti gli atti del processo sono redatti in modo chiaro e sintetico». 3. il processo ordinario di cognizione 3.1. Gli atti introduttivi e la costituzione in giudizio delle parti Di particolare rilevanza sono le modifiche che interessano il processo ordinario di cognizione. anzitutto, l’art. 163 c.p.c., recante i requisiti dell’atto di citazione, viene così modificato: -dopo il numero 3) è inserito il seguente «3-bis) l’indicazione, nei casi in cui la domanda è soggetta a condizione di procedibilità, dell’assolvimento degli oneri previsti per il suo superamento»; -al n. 4) si prevede che i fatti e gli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni siano esposti in modo chiaro e specifico; -il n. 7) viene modificato per aggiungere un nuovo avvertimento al convenuto (“che la difesa tecnica mediante avvocato è obbligatoria in tutti i giudizi davanti al tribunale, fatta eccezione per i casi previsti dall’articolo 86 o da leggi speciali, e che la parte, sussistendone i presupposti di legge, può presentare istanza per l’ammissione al patrocinio a spese dello stato”), nonché, in forza della necessità di operare il dovuto coordinamento fra le nuove disposizioni di cui si dirà infra, prevedendosi l’invito al convenuto a costituirsi nel termine di settanta giorni prima dell’udienza. viene invece eliminata la possibilità di abbreviare i termini per la costituzione del convenuto, non risultando tale istituto compatibile con la tempistica, piuttosto serrata, degli adempimenti previsti per il nuovo rito ordinario da espletarsi prima dell’udienza di cui all’art. 183 c.p.c. (su cui v. infra). Simmetricamente viene eliminata la possibilità di abbreviare i termini per la costituzione dell’attore. l’art. 163-bis c.p.c. estende il termine a comparire da novanta a centoventi giorni: tale intervento ha l’obiettivo di consentire lo svolgimento della trattazione scritta antecedentemente all’udienza di prima comparizione, assicurando tempi congrui per l’elaborazione delle memorie integrative di cui al nuovo art. 171-ter c.p.c., e così consentire la piena definizione del thema decidendum e probandum prima dell’udienza di cui all’art. 183 c.p.c. con riferimento alla costituzione del convenuto, il novellato art. 166 c.p.c. prevede che il convenuto debba costituirsi a mezzo del procuratore, o personalmente nei casi consentiti dalla legge, almeno settanta giorni (e non più venti) prima dell’udienza di comparizione fissata nell’atto di citazione, e ciò tenuto conto del nuovo termine a comparire e della nuova struttura della fase introduttiva, che prevede che dopo la costituzione del convenuto, ma sempre temI IStItUzIonalI anteriormente all’udienza, debba avvenire anche lo scambio delle memorie integrative tra le parti. all’art. 171 c.p.c., che disciplina la ritardata costituzione delle parti, al secondo comma viene eliminato l’inciso che consente, nel caso in cui una parte si sia costituita nei termini per essa stabiliti dalla legge, alla controparte di costituirsi successivamente “fino alla prima udienza”. Invero, per consentire le verifiche preliminari del giudice anteriormente all’udienza e alla fissazione dei termini per le memorie di cui all’art. 171-ter c.p.c., il termine per la costituzione del convenuto deve essere necessariamente fissato in quello tempestivo di cui all’art. 166 c.p.c.; il tutto tenendo peraltro conto anche della previsione di cui all’art. 291 c.p.c., che disciplina la dichiarazione di contumacia del convenuto e che contiene una modifica necessaria per l’adeguamento alla disciplina della nuova fase introduttiva, disponendo ora nel secondo comma che se il convenuto non si costituisce neppure anteriormente alla pronuncia dell’eventuale decreto di differimento dell’udienza di cui all’art. 171-bis, comma 2, c.p.c. il giudice provvede alla sua dichiarazione di contumacia (a norma dell’art. 171, ultimo comma, c.p.c.). nulla vieta, in ogni caso, al convenuto di costituirsi anche successivamente, ma nella consapevolezza di dover accettare il processo in statu et terminis, ferme restando le decadenze ormai maturate, e salve naturalmente le ipotesi di possibile rimessione in termini. Per analoghe ragioni il terzo comma dell’art. 171 c.p.c. precisa che in caso di costituzione dopo il termine di cui all’art. 166 la parte è dichiarata contumace con ordinanza del giudice istruttore (la verifica è tra quelle preliminari di cui all’art. 171-bis c.p.c.). Dalla riferita disciplina si desume dunque che, laddove il contraddittorio sia stato correttamente instaurato, il convenuto è tenuto sempre a costituirsi settanta giorni prima dell’udienza di citazione, dovendo altrimenti il giudice procedere alla sua dichiarazione di contumacia. 3.2. le verifiche preliminari e la trattazione scritta anticipata Il nuovo art. 171-bis c.p.c. costituisce la norma fondamentale nel quadro della nuova fase introduttiva e disciplina le verifiche preliminari che il giudice è chiamato a svolgere prima dell’udienza. Se ne riporta di seguito il testo: «scaduto il termine di cui all’articolo 166, il giudice istruttore, entro i successivi quindici giorni, verificata d’ufficio la regolarità del contraddittorio, pronuncia, quando occorre, i provvedimenti previsti dagli articoli 102, secondo comma, 107, 164, secondo, terzo, quinto e sesto comma, 167, secondo e terzo comma, 171, terzo comma, 182, 269, secondo comma, 291 e 292, e indica alle parti le questioni rilevabili d’ufficio di cui ritiene opportuna la trattazione, anche con riguardo alle condizioni di procedibilità della domanda e alla sussistenza dei presupposti per procedere con rito semplificato. tali questioni sono trattate dalle parti nelle memorie integrative di cui all’articolo 171-ter. raSSeGna avvocatUra Dello Stato -n. 4/2022 quando pronuncia i provvedimenti di cui al primo comma, il giudice, se necessario, fissa la nuova udienza per la comparizione delle parti, rispetto alla quale decorrono i termini indicati dall’articolo 171-ter. se non provvede ai sensi del secondo comma, conferma o differisce, fino ad un massimo di quarantacinque giorni la data della prima udienza rispetto alla quale decorrono i termini indicati dall’articolo 171-ter. Il decreto è comunicato alle parti costituite a cura della cancelleria”. In sostanza, scaduto il termine di cui all’art. 166 per la costituzione del convenuto, il giudice istruttore deve comunque procedere entro un termine ravvicinato (i successivi quindici giorni) a tutte le verifiche d’ufficio che, nel loro insieme, sono funzionali ad assicurare la regolarità del contraddittorio (ossia: disporre l’ordine di integrazione del contraddittorio nel caso di litisconsorte necessario pretermesso, chiamare in causa un terzo o autorizzare la chiamata in causa del terzo su istanza del convenuto contenuta in comparsa, dichiarare la nullità dell’atto di citazione e disporre le relative sanatorie, dichiarare la nullità della comparsa di risposta, dichiarare la contumacia nonché il difetto di rappresentanza, assistenza, autorizzazione). È poi stabilito che quando pronuncia i provvedimenti sopra indicati il giudice, se necessario, fissa la nuova udienza per la comparizione delle parti, rispetto alla quale decorrono i termini indicati all’art. 171-ter c.p.c. per le memorie integrative. È in ogni caso previsto che il giudice, anche se non provvede come sopra, possa confermare o anche differire, fino ad un massimo di quarantacinque giorni, la data della prima udienza. In tal caso, fermo restando che la costituzione del convenuto dovrà comunque essere stata effettuata nel rispetto del termine di settanta giorni prima dell’udienza indicata in citazione, i termini per le memorie di cui all’art. 171-ter c.p.c. decorreranno invece dalla data della nuova udienza. l’art. 171-ter c.p.c. disciplina le memorie integrative che le parti possono depositare una volta avvenute le verifiche preventive del giudice e sempre prima dell’udienza, così disponendo: “le parti, a pena di decadenza, con memorie integrative possono: 1) almeno quaranta giorni prima dell’udienza di cui all’articolo 183, proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto o dal terzo, nonché precisare o modificare le domande, eccezioni e conclusioni già proposte. con la stessa memoria l’attore può chiedere di essere autorizzato a chiamare in causa un terzo, se l’esigenza è sorta a seguito delle difese svolte dal convenuto nella comparsa di risposta; 2) almeno venti giorni prima dell’udienza, replicare alle domande e alle eccezioni nuove o modificate dalle altre parti, proporre le eccezioni che sono conseguenza delle domande nuove da queste formulate nella memoria di cui al numero 1), nonché indicare i mezzi di prova ed effettuare le produzioni documentali; temI IStItUzIonalI 3) almeno dieci giorni prima dell’udienza, replicare alle eccezioni nuove e indicare la prova contraria». In sostanza, si tratta delle stesse tre memorie oggi contemplate dall’art. 183, sesto comma, c.p.c., ma dopo la prima udienza, che vengono invece anticipate per consentire che all’udienza il tema di causa sia perfettamente delineato e possano essere assunte le determinazioni più opportune circa la direzione da imprimere al giudizio. 3.3. l’udienza di prima comparizione e la costituzione del terzo l’art. 183 c.p.c., disciplinante la prima udienza di comparizione delle parti e trattazione della causa, è sostituito dal seguente: “all’udienza fissata per la prima comparizione e la trattazione le parti devono comparire personalmente. la mancata comparizione delle parti senza giustificato motivo costituisce comportamento valutabile ai sensi dell’articolo 116, secondo comma. salva l’applicazione dell’articolo 187, il giudice, se autorizza l’attore a chiamare in causa un terzo, fissa una nuova udienza a norma dell’articolo 269, terzo comma. Il giudice interroga liberamente le parti, richiedendo, sulla base dei fatti allegati, i chiarimenti necessari e tenta la conciliazione a norma dell’articolo 185. se non provvede ai sensi del secondo comma il giudice provvede sulle richieste istruttorie e, tenuto conto della natura, dell’urgenza e della complessità della causa, predispone, con ordinanza, il calendario delle udienze successive sino a quella di rimessione della causa in decisione, indicando gli incombenti che verranno espletati in ciascuna di esse. l’udienza per l’assunzione dei mezzi di prova ammessi è fissata entro novanta giorni. se l’ordinanza di cui al primo periodo è emanata fuori udienza, deve essere pronunciata entro trenta giorni. se con l’ordinanza di cui al quarto comma vengono disposti d’ufficio mezzi di prova, ciascuna parte può dedurre, entro un termine perentorio assegnato dal giudice con la medesima ordinanza, i mezzi di prova che si rendono necessari in relazione ai primi, nonché depositare memoria di replica nell’ulteriore termine perentorio parimenti assegnato dal giudice, che si riserva di provvedere a norma del quarto comma ultimo periodo”. viene novellato altresì l’art. 183-bis c.p.c. (“Passaggio dal rito ordinario al rito semplificato di cognizione”) per effetto della nuova configurazione del rito semplificato di cognizione (su cui v. infra): «all’udienza di trattazione il giudice, valutata la complessità della lite e dell’istruzione probatoria e sentite le parti, se rileva che in relazione a tutte le domande proposte ricorrono i presupposti di cui al primo comma dell’articolo 281-decies, dispone con ordinanza non impugnabile la prosecuzione del processo nelle forme del rito semplificato e si applica il comma quinto dell’articolo 281-duodecies», raSSeGna avvocatUra Dello Stato -n. 4/2022 l’art. 184 c.p.c. viene invece abrogato in quanto non più compatibile con le nuove previsioni dell’art. 183 c.p.c. che dispone che il giudice provveda in udienza sulle richieste istruttorie con facoltà di riservare ad un momento successivo fuori udienza la decisione sui mezzi di prova, ma l’ordinanza deve essere pronunciata entro i successivi trenta giorni. l’art. 185-bis c.p.c. prevede ora che la proposta transattiva o conciliativa possa essere formulata dal giudice fino al momento in cui fissa l’udienza di rimessione della causa in decisione. Sono inoltre modificate le modalità di costituzione del terzo interveniente previste dall’art. 267 c.p.c. al primo comma è infatti soppressa la possibilità per il terzo di costituirsi in udienza; la costituzione del terzo interveniente potrà, quindi, soltanto avvenire con il deposito di una comparsa, a norma del- l’art. 167 c.p.c., prevedendosi altresì (nuovo art. 268 c.p.c.) che l’intervento possa avere luogo sino al momento in cui il giudice fissa l’udienza di rimessione della causa in decisione (consistendo ormai la precisazione delle conclusioni, come si dirà, in un mero scambio di memorie tra le parti). In ordine alla chiamata in causa del terzo, si segnala che l’art. 269 c.p.c. viene modificato per conformarlo alle nuove disposizioni dell’art. 171-bis c.p.c. ove è previsto -come ricordato -che fuori udienza, entro quindici giorni dalla scadenza del termine per la costituzione del convenuto, il giudice debba verificare d’ufficio la regolare instaurazione del contraddittorio e pronunciare, quando occorre, i provvedimenti opportuni e tipizzati, fra i quali rientra anche la fissazione di nuova udienza al fine di consentire al convenuto di effettuare la citazione del terzo nel rispetto dei termini dell’art. 163-bis c.p.c. l’attore potrà invece chiedere l’autorizzazione a chiamare in causa un terzo ove, a seguito delle difese svolte dal convenuto nella comparsa di risposta, sia sorto il relativo interesse: tale adempimento deve essere effettuato nella memoria di cui all’art. 171-ter, comma primo, n. 1, c.p.c. 3.4. la possibile definizione con ordinanza della controversia Di particolare rilievo è l’introduzione di un nuovo strumento definitorio della lite nell’ambito delle controversie aventi ad oggetto diritti disponibili, ovverosia un provvedimento provvisorio ma con efficacia esecutiva. Il nuovo art. 183-ter c.p.c. disciplina, infatti, l’“ordinanza di accoglimento della domanda” e prevede che: «nelle controversie di competenza del tribunale aventi ad oggetto diritti disponibili il giudice, su istanza di parte, nel corso del giudizio di primo grado può pronunciare ordinanza di accoglimento della domanda quando i fatti costitutivi sono provati e le difese della controparte appaiono manifestamente infondate. In caso di pluralità di domande l’ordinanza può essere pronunciata solo se tali presupposti ricorrono per tutte. l’ordinanza di accoglimento è provvisoriamente esecutiva, è reclamabile temI IStItUzIonalI ai sensi dell’articolo 669-terdecies e non acquista efficacia di giudicato ai sensi dell’articolo 2909 del codice civile, né la sua autorità può essere invocata in altri processi. con la stessa ordinanza il giudice liquida le spese di lite. l’ordinanza di cui al secondo comma, se non è reclamata o se il reclamo è respinto, definisce il giudizio e non è ulteriormente impugnabile. In caso di accoglimento del reclamo, il giudizio prosegue innanzi a un magistrato diverso da quello che ha emesso l’ordinanza reclamata”. Specularmente, per contrastare ab origine domande manifestamente infondate o inammissibili ed evitare il prosieguo del giudizio, l’art. 183-quater c.p.c. disciplina l’ “ordinanza di rigetto della domanda”, disponendo che: “nelle controversie di competenza del tribunale che hanno ad oggetto diritti disponibili, il giudice, su istanza di parte, nel corso del giudizio di primo grado, all’esito dell’udienza di cui all’articolo 183, può pronunciare ordinanza di rigetto della domanda quando questa è manifestamente infondata, ovvero se è omesso o risulta assolutamente incerto il requisito di cui all’articolo 163, terzo comma, n. 3), e la nullità non è stata sanata o se, emesso l’ordine di rinnovazione della citazione o di integrazione della domanda, persiste la mancanza dell’esposizione dei fatti di cui al numero 4), terzo comma del predetto articolo 163. In caso di pluralità di domande l’ordinanza può essere pronunciata solo se tali presupposti ricorrano per tutte. l’ordinanza che accoglie l’istanza di cui al primo comma è reclamabile ai sensi dell’articolo 669-terdecies e non acquista efficacia di giudicato ai sensi dell’articolo 2909 del codice civile, né la sua autorità può essere invocata in altri processi. con la stessa ordinanza il giudice liquida le spese di lite. l’ordinanza di cui al secondo comma, se non è reclamata o se il reclamo è respinto, definisce il giudizio e non è ulteriormente impugnabile. In caso di accoglimento del reclamo, il giudizio prosegue davanti a un magistrato diverso da quello che ha emesso l’ordinanza reclamata”. 3.5 la fase decisoria la fase decisoria per le cause in cui il tribunale giudica in composizione collegiale, può svolgersi secondo una delle seguenti modalità: a) Trattazione scritta Il novellato art. 189 c.p.c. prevede che sia fissata un’udienza, detta di rimessione della causa al collegio per la decisione, rispetto alla quale decorrono, a ritroso tre termini (sessanta, trenta e quindici giorni), rispettivamente per la precisazione delle conclusioni, per il deposito delle conclusionali e delle memorie di replica. tali termini possono essere oggetto di rinuncia ad opera delle parti. In tal caso il giudice può immediatamente trattenere la causa in decisione. Si precisa sin da subito che tale modello di fase decisoria è stato attuato anche per l’appello (su cui v. infra). l’inserimento, nell’articolo 189 dei termini di deposito degli scritti difensivi finali ha comportato poi l’abrogazione dell’art. 190 c.p.c. raSSeGna avvocatUra Dello Stato -n. 4/2022 Si riporta di seguito il testo del nuovo art. 189 c.p.c.: “Il giudice istruttore, quando procede a norma dei primi tre commi del- l’articolo 187 o dell’articolo 188, fissa davanti a sé l’udienza per la rimessione della causa al collegio per la decisione e assegna alle parti, salvo che queste vi rinuncino, i seguenti termini perentori: 1) un termine non superiore a sessanta giorni prima dell’udienza per il deposito di note scritte contenenti la sola precisazione delle conclusioni che le parti intendono sottoporre al collegio, nei limiti di quelle formulate negli atti introduttivi o a norma dell’articolo 171-ter. le conclusioni di merito debbono essere interamente formulate anche nei casi previsti dell’articolo 187, secondo e terzo comma. 2) un termine non superiore a trenta giorni prima dell’udienza per il deposito delle comparse conclusionali; 3) un termine non superiore a quindici giorni prima dell’udienza per il deposito delle memorie di replica. la rimessione investe il collegio di tutta la causa, anche quando avviene a norma dell’articolo 187, secondo e terzo comma. all’udienza fissata ai sensi del primo comma la causa è rimessa al collegio per la decisione”. a questo punto, si prevede che la causa sia trattenuta in decisione e il collegio depositi la sentenza nei sessanta giorni successivi all’udienza di cui all’art. 189 c.p.c. (art. 275 c.p.c.). b) Trattazione mista È disciplinata dai novellati secondo e terzo comma dell’art. 275 c.p.c. In particolare, il comma secondo prevede che le parti possano chiedere, con la nota di precisazione delle conclusioni, al presidente del tribunale, che la causa sia discussa oralmente davanti al collegio. In tal caso il presidente revoca l’udienza fissata dal giudice istruttore per la rimessione della causa in decisione e fissa un’udienza davanti al collegio nella quale le parti discutono oralmente, senza deposito delle note di replica. la sentenza è depositata nei successivi sessanta giorni. c) Trattazione orale l’art. 275-bis c.p.c. disciplina la decisione a seguito di discussione orale davanti al collegio, prevedendo che il giudice istruttore, quando ritiene che la causa possa essere decisa a seguito di discussione orale, fissa udienza davanti al collegio e assegna alle parti termine, anteriore all’udienza, non superiore a trenta giorni per il deposito di note limitate alla precisazione delle conclusioni e un ulteriore termine non superiore a quindici giorni per note conclusionali. Il secondo comma prevede poi che all’udienza il giudice istruttore fa la relazione orale della causa e il presidente ammette le parti alla discussione e che all’esito della discussione il collegio pronuncia sentenza dando lettura del dispositivo e della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione. temI IStItUzIonalI Il terzo comma prevede poi che in tal caso, la sentenza si intende pubblicata con la sottoscrizione da parte del presidente del verbale che la contiene ed è immediatamente depositata in cancelleria. Infine, la norma prevede che se non provvede ai sensi del secondo comma, il collegio deposita la sentenza nei successivi sessanta giorni. *** nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica, la fase decisoria può svolgersi secondo una delle seguenti modalità: a) l’art. 281-quinquies c.p.c. al primo comma prevede la trattazione scritta, ossia che il giudice istruttore fissa l’udienza in cui la causa è trattenuta in decisione, rispetto alla quale decorrono i termini a ritroso, per il deposito degli scritti difensivi finali previsti dall’articolo 189 (rispettivamente di sessanta, trenta e quindici giorni); b) l’art. 281-quinquies c.p.c. al secondo comma disciplina la trattazione mista della fase decisoria, con facoltà della parte di farne istanza e con assegnazione dei soli termini per le conclusionali e discussione orale davanti al giudice, senza deposito di memorie di replica. Il termine per il deposito della sentenza è di trenta giorni. c) nel caso di trattazione interamente orale (in cui la discussione orale sostituisce integralmente il deposito degli scritti conclusionali) viene inserito un terzo comma all’art. 281-sexies c.p.c. al fine di prevedere che il giudice, in alternativa alla lettura contestuale della sentenza e del dispositivo ai sensi dei primi due commi, possa riservare il deposito della sentenza nei successivi trenta giorni. *** 4. il procedimento semplificato di cognizione viene inserito un apposito capo del libro II del codice di procedura civile, artt. da 281-decies a 281-terdecies, contenente la disciplina del nuovo procedimento semplificato di cognizione destinato a sostituire il vigente rito sommario di cognizione di cui agli artt. 702 bis e seguenti, che viene quindi abrogato. nel delineare la struttura del rito semplificato vengono comunque mantenute le principali caratteristiche di concentrazione e snellezza proprie del rito sommario, in quanto compatibili con la sua natura di giudizio a cognizione piena. all’art. 281-decies c.p.c. viene definito l’ambito di applicazione del rito semplificato. Il primo comma indica quali caratteristiche devono avere le cause per essere obbligatoriamente trattate con il rito semplificato. In sostanza, nella quadruplice possibile formulazione prevista dalla norma (“quando i fatti di causa non sono controversi, oppure quando la domanda è fondata su prova documentale, o è di pronta soluzione o richiede un’istruzione non complessa”) si prevede che si tratti di cause, anche riservate alla decisione raSSeGna avvocatUra Dello Stato -n. 4/2022 del tribunale collegiale, per le quali è prevedibile un’istruttoria non articolata e complessa. Il secondo comma prevede che il rito semplificato possa però essere adottato, a scelta della parte, in tutte le cause nelle quali il tribunale giudica in composizione monocratica (“nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica la domanda può sempre essere proposta nelle forme del procedimento semplificato”). l’art. 281-undecies c.p.c. è dedicato alla forma della domanda e costituzione delle parti, prevedendo che: “la domanda si propone con ricorso, sottoscritto a norma dell’articolo 125, che deve contenere le indicazioni di cui ai numeri 1), 2), 3), 3-bis), 4), 5), 6) e l’avvertimento di cui al numero 7) del terzo comma dell’articolo 163. Il giudice, entro cinque giorni dalla designazione, fissa con decreto l’udienza di comparizione delle parti assegnando il termine per la costituzione del convenuto, che deve avvenire non oltre dieci giorni prima dell’udienza. Il ricorso, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, deve essere notificato al convenuto a cura dell’attore. tra il giorno della notificazione del ricorso e quello dell’udienza di comparizione debbono intercorrere termini liberi non minori di quaranta giorni se il luogo della notificazione si trova in Italia e di sessanta giorni se si trova all’estero. Il convenuto si costituisce mediante deposito della comparsa di risposta, nella quale deve proporre le sue difese e prendere posizione in modo chiaro e specifico sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda, indicare i mezzi di prova di cui intende avvalersi e i documenti che offre in comunicazione, nonché formulare le conclusioni. a pena di decadenza deve proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non sono rilevabili d’ufficio. se il convenuto intende chiamare un terzo deve, a pena di decadenza, farne dichiarazione nella comparsa di costituzione e chiedere lo spostamento dell’udienza. Il giudice, con decreto comunicato dal cancelliere alle parti costituite, fissa la data della nuova udienza assegnando un termine perentorio per la citazione del terzo. la costituzione del terzo in giudizio avviene a norma del terzo comma”. l’art. 281-duodecies c.p.c. disciplina il procedimento dopo la costituzione del contraddittorio e la fissazione dell’udienza (2). (2) l’art. 281-duodecies così dispone: “alla prima udienza il giudice se rileva che per la domanda principale o per la domanda riconvenzionale non ricorrono i presupposti di cui al primo comma del- l’articolo 281-decies, dispone con ordinanza non impugnabile la prosecuzione del processo nelle forme del rito ordinario fissando l’udienza di cui all’articolo 183, rispetto alla quale decorrono i termini previsti dall’articolo 171-ter. nello stesso modo procede quando, valutata la complessità della lite e del- l’istruzione probatoria, ritiene che la causa debba essere trattata con il rito ordinario. entro la stessa udienza l’attore può chiedere di essere autorizzato a chiamare in causa un terzo, se l’esigenza è sorta dalle difese del convenuto. Il giudice, se lo autorizza, fissa la data della nuova udienza temI IStItUzIonalI l’art. 281-terdecies c.p.c. disciplina, infine, la fase decisoria del procedimento semplificato di cognizione che deve concludersi con sentenza. Si prevede l’applicazione dell’art. 281-sexies c.p.c. per le cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica e dell’art. 275-bis c.p.c. per le cause in cui il tribunale giudica in composizione collegiale (ossia lo svolgimento della fase decisoria nelle forme della trattazione orale). Si segnala che non vi è una norma specifica sull’appello, come sino ad oggi previsto dall’art. 702-quater c.p.c. per l’abrogato rito sommario di cognizione, in quanto si dispone che “la sentenza è impugnabile nei modi ordinari”. *** 5. Procedimento davanti al Giudice di pace 5.1 Disciplina transitoria le disposizioni riguardanti il procedimento dinanzi al Giudice di pace, in forza della generale previsione di cui all’art. 35 comma 1 del D.lgs. 149/2022, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 continuano ad applicarsi, invece, le disposizioni anteriormente vigenti. a tale previsione, fa eccezione il comma 3, ove è stabilito che le disposizioni sull’udienza cartolare e da remoto e sul giuramento telematico del c.t.U. trovino applicazione dal 1° gennaio 2023 anche per i procedimenti pendenti. Infine, si applicheranno dal 30 giugno 2023, anche ai procedimenti pendenti a tale data, le disposizioni relative all’obbligo di deposito telematico degli atti dei difensori (3). assegnando un termine perentorio per la citazione del terzo. se procede ai sensi del primo comma il giudice provvede altresì sulla autorizzazione alla chiamata del terzo. la costituzione del terzo in giudizio avviene a norma del terzo comma dell’articolo 281-undecies. alla stessa udienza, a pena di decadenza, le parti possono proporre le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale e delle eccezioni proposte dalle altre parti. se richiesto e sussiste giustificato motivo, il giudice può concedere alle parti un termine perentorio non superiore a venti giorni per precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni, per indicare i mezzi di prova e produrre documenti, e un ulteriore termine non superiore a dieci giorni per replicare e dedurre prova contraria. se non provvede ai sensi del secondo e del quarto comma e non ritiene la causa matura per la decisione il giudice ammette i mezzi di prova rilevanti per la decisione e procede alla loro assunzione”. (3) così dispone l’art. 35, comma 3, D.lgs. n. 149/2022 (come modificato dall’art. 1, comma 380, legge n. 197/2022) “davanti al giudice di pace, al tribunale per i minorenni, al commissario per la liquidazione degli usi civici e al tribunale superiore delle acque pubbliche, le disposizioni degli articoli 127, terzo comma, 127-bis, 127-ter e 193, secondo comma, del codice di procedura civile e quelle del- l’articolo 196-duodecies delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, introdotti dal presente decreto, hanno effetto a decorrere dal 1° gennaio 2023 anche per i procedimenti civili pendenti a tale data. davanti ai medesimi uffici, le disposizioni previste dal capo I del titolo v-ter delle citate disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, introdotto dal presente decreto, si applicano a decorrere dal 30 giugno 2023 anche ai procedimenti pendenti a tale data. con uno o più decreti non raSSeGna avvocatUra Dello Stato -n. 4/2022 5.2 le novità È stata elevata la soglia per le cause relative a beni mobili fino a € 10.000 e per le cause di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e di natanti fino a € 25.000. la novità più significativa è che, per tale giudizio, verranno applicate le forme del procedimento semplificato di cognizione (artt. 281-decies e ss. c.p.c.). la domanda deve essere proposta con ricorso, e non più con atto di citazione: art. 316 c.p.c. (forma della domanda) “davanti al giudice di pace la domanda si propone nelle forme del procedimento semplificato di cognizione, in quanto compatibili. la domanda si può anche proporre verbalmente. di essa il giudice di pace fa redigere processo verbale che, a cura dell’attore, è notificato unitamente al decreto di cui all’articolo 318 ”. nelle stesse forme del ricorso (e non della citazione), in deroga a quanto previsto dall’art. 645 comma 1 c.p.c. e similmente a quanto avviene per il rito del lavoro, deve ritenersi debba essere proposta la opposizione a decreto ingiuntivo (artt. 318 (4) e 319 (5) c.p.c.). Si segnala che il richiamo alle norme di cui ai commi terzo e quarto dell’art. 281-undecies per la costituzione del convenuto impone oggi di considerare che il convenuto, che non si costituisca nel termine assegnato dal Giudice di pace nel decreto che fissa l’udienza, incorre nelle stesse preclusioni previste per il convenuto nel rito semplificato di cognizione dinanzi al tribunale (6). aventi natura regolamentare il ministro della giustizia, accertata la funzionalità dei relativi servizi di comunicazione, può individuare gli uffici nei quali viene anticipato, anche limitatamente a specifiche categorie di procedimenti, il termine di cui al secondo periodo”. (4) art. 318 c.p.c. (contenuto della domanda) “la domanda si propone con ricorso, sottoscritto a norma dell’articolo 125, che deve contenere, oltre all’indicazione del giudice e delle parti, l’esposizione dei fatti e l’indicazione del suo oggetto. Il giudice di pace, entro cinque giorni dalla designazione, fissa con decreto l’udienza di comparizione delle parti a norma del comma secondo dell’articolo 281-undecies”. (5) art. 319, comma 1, c.p.c. (costituzione delle parti) “l’attore si costituisce depositando il ricorso notificato o il processo verbale di cui all’articolo 316 unitamente al decreto di cui all’articolo 318 e con la relazione della notificazione e, quando occorre, la procura. Il convenuto si costituisce a norma dei commi terzo e quarto dell’articolo 281-undecies mediante deposito della comparsa di risposta e, quando occorre, la procura”. (6) art. 281-undecies c.p.c. “3. Il convenuto si costituisce mediante deposito della comparsa di risposta, nella quale deve proporre le sue difese e prendere posizione in modo chiaro e specifico sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda, indicare i mezzi di prova di cui intende avvalersi e i documenti che offre in comunicazione, nonché formulare le conclusioni. a pena di decadenza deve proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non sono rilevabili d’ufficio. 4. se il convenuto intende chiamare un terzo deve, a pena di decadenza, farne dichiarazione nella comparsa di costituzione e chiedere lo spostamento dell’udienza. Il giudice, con decreto comunicato dal cancelliere alle parti costituite, fissa la data della nuova udienza assegnando un termine perentorio per la citazione del terzo. la costituzione del terzo in giudizio avviene a norma del terzo comma”. temI IStItUzIonalI conseguentemente non sarà più possibile la costituzione in udienza, senza incorrere nelle preclusioni suddette. alla prima udienza, fermo restando l’obbligo di procedere al tentativo di conciliazione, il giudice di pace deve osservare il disposto dell’art. 281-duodecies c.p.c., che prevede che si proceda all’istruttoria necessaria o si mandi la causa in decisione. È stato conseguentemente soppresso il comma 4 dell’art. 320 che, disciplinando il procedimento, consentiva, quando ciò fosse stato reso necessario dalle attività svolte dalle parti in prima udienza, di fissare per una sola volta una nuova udienza per ulteriori produzioni e richieste di prova. ciò -spiega la relazione illustrativa (art. 33) -si giustifica in considerazione dell’obbligo delle parti di dedurre le prove negli scritti difensivi ed eventualmente di formulare alla prima udienza la richiesta di un breve termine per l’integrazione delle istanze istruttorie e delle difese. art. 320 c.p.c. (trattazione della causa) “nella prima udienza il giudice di pace interroga liberamente le parti e tenta la conciliazione. se la conciliazione riesce se ne redige processo verbale a norma dell’art. 185, ultimo comma. se la conciliazione non riesce, il giudice di pace procede ai sensi dell’articolo 281-duodecies (7), commi secondo, terzo e quarto, e se non ritiene la causa matura per la decisione, procede agli atti di istruzione rilevanti per la decisione. [4....] I documenti prodotti dalle parti possono essere inseriti nel fascicolo di ufficio ed ivi conservati fino alla definizione del giudizio”. Il modello decisorio è identico a quello previsto per la decisione a seguito di discussione orale dinanzi al tribunale in composizione monocratica di cui all’art. 281-sexies c.p.c. (8). (7) art. 281-duodecies c.p.c. (Procedimento) commi 2, 3 e 4: “entro la stessa udienza l’attore può chiedere di essere autorizzato a chiamare in causa un terzo, se l’esigenza è sorta dalle difese del convenuto. Il giudice, se lo autorizza, fissa la data della nuova udienza assegnando un termine perentorio per la citazione del terzo. se procede ai sensi del primo comma il giudice provvede altresì sulla autorizzazione alla chiamata del terzo. la costituzione del terzo in giudizio avviene a norma del terzo comma dell’articolo 281-undecies. alla stessa udienza, a pena di decadenza, le parti possono proporre le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale e delle eccezioni proposte dalle altre parti. se richiesto e sussiste giustificato motivo, il giudice può concedere alle parti un termine perentorio non superiore a venti giorni per precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni, per indicare i mezzi di prova e produrre documenti, e un ulteriore termine non superiore a dieci giorni per replicare e dedurre prova contraria”. (8) art. 281-sexies c.p.c. (decisione a seguito di trattazione orale): “se non dispone a norma del- l’articolo 281-quinquies, il giudice, fatte precisare le conclusioni, può ordinare la discussione orale della causa nella stessa udienza o, su istanza di parte, in un’udienza successiva e pronunciare sentenza al termine della discussione, dando lettura del dispositivo e della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione. raSSeGna avvocatUra Dello Stato -n. 4/2022 art. 321 c.p.c. (decisione) “Il giudice di pace, quando ritiene matura la causa per la decisione, procede ai sensi dell’articolo 281-sexies. la sentenza è depositata in cancelleria entro quindici giorni dalla discussione”. *** 6. il giudizio di appello Il nuovo art. 342 c.p.c., sulla forma dell’atto di appello, prevede che: “l’appello si propone con citazione contenente le indicazioni prescritte nell’articolo 163. l’appello deve essere motivato, e per ciascuno dei motivi deve indicare a pena di inammissibilità, in modo chiaro, sintetico e specifico: 1) il capo della decisione di primo grado che viene impugnato; 2) le censure proposte alla ricostruzione dei fatti compiuta dal giudice di primo grado; 3) le violazioni di legge denunciate e la loro rilevanza ai fini della decisione impugnata. tra il giorno della citazione e quello della prima udienza di trattazione devono intercorrere termini liberi non minori di novanta giorni se il luogo della notificazione si trova in Italia e di centocinquanta giorni se si trova all’estero”. la relazione illustrativa chiarisce che “si è cercato di proporre un’attuazione della legge delega volta ad evitare interpretazioni eccessivamente rigide della norma, le quali, andando al di là dell’obiettivo di richiedere che l’appello sia costruito come una critica che indichi le specifiche ragioni del dissenso rispetto alle statuizioni della sentenza che vengono impugnate, finiscano per appesantire inutilmente l’esposizione o portino a redigere dei veri e propri progetti alternativi di sentenza, nel timore di pregiudizievoli pronunce di inammissibilità. analoga ragione ha indotto a riformulare, nell’ottica della sinteticità, la previsione relativa alla indicazione, in relazione a ciascun motivo di appello, del capo della decisione che viene impugnato (in luogo della indicazione, richiesta dalla norma vigente, «delle parti del provvedimento che si intende appellare»), per evitare inutili trascrizioni nell’atto delle pagine delle pronunce appellate”. È inoltre prevista la specifica indicazione del termine a comparire, in luogo del vigente richiamo all’art. 163-bis c.p.c., in quanto solo nel giudizio di primo grado tale termine è aumentato a centoventi giorni (per lasciare spazio alle memorie integrative da depositare anteriormente alla prima udienza); analogamente l’art. 343 c.p.c. reca l’indicazione esplicita del termine per il depo- In tal caso, la sentenza si intende pubblicata con la sottoscrizione da parte del giudice del verbale che la contiene ed è immediatamente depositata in cancelleria. al termine della discussione orale il giudice, se non provvede ai sensi del primo comma, deposita la sentenza nei successivi trenta giorni”. temI IStItUzIonalI sito della comparsa di costituzione in luogo dell’attuale rinvio all’art. 166 c.p.c., prevedendosi che la comparsa dell’appellato è “depositata almeno venti giorni prima dell’udienza di comparizione fissata nell’atto di citazione o del- l’udienza fissata a norma dell’articolo 349-bis, secondo comma”. con riferimento all’impugnazione incidentale tardiva, il novellato art. 334, comma 2, c.p.c. prevede che la stessa perda ogni efficacia non solo quando l’impugnazione principale sia dichiarata inammissibile ma anche se dichiarata improcedibile (così recependosi l’orientamento della giurisprudenza sul punto). nel modificare l’art. 348 c.p.c., si è conservata la forma della sentenza per il provvedimento che dichiara l’improcedibilità dell’appello, ma per il giudizio davanti alla corte d’appello (non, dunque, per gli appelli dinnanzi al tribunale) è previsto, al fine di semplificare le forme e rendere immediata la pronuncia, che quando l’udienza è fissata davanti all’istruttore l’improcedibilità venga da questo dichiarata con ordinanza, avverso la quale sarà possibile proporre reclamo al collegio il quale deciderà con sentenza, se respinge il reclamo, ovvero con ordinanza non impugnabile se lo accoglie e dà le disposizioni per l’ulteriore corso del giudizio di appello, secondo il medesimo schema già previsto per l’ipotesi dell’estinzione del processo nel giudizio di primo grado davanti al tribunale, nelle cause in cui questo giudica in composizione monocratica (art. 348 comma 3: “l’improcedibilità dell’appello è dichiarata con sentenza. davanti alla corte di appello l’istruttore, se nominato, provvede con ordinanza reclamabile nelle forme e nei termini previsti dal terzo, quarto e quinto comma dell’articolo 178, e il collegio procede ai sensi dell’articolo 308, secondo comma”). Si segnala inoltre l’abrogazione dell’attuale “filtro” di inammissibilità per le impugnazioni che non hanno una ragionevole probabilità di essere accolte e l’introduzione di un diverso “filtro” ossia di un modulo decisorio semplificato per le ipotesi di inammissibilità e manifesta infondatezza dell’appello ai sensi del nuovo art. 348-bis c.p.c., secondo cui: “quando ravvisa che l’impugnazione è inammissibile o manifestamente infondata, il giudice dispone la discussione orale della causa secondo quanto previsto dall’articolo 350-bis. se è proposta impugnazione incidentale, si provvede ai sensi del primo comma solo quando i presupposti ivi indicati ricorrono sia per l’impugnazione principale che per quella incidentale. In mancanza, il giudice procede alla trattazione di tutte le impugnazioni comunque proposte contro la sentenza”. È stato invece abrogato l’art. 348-ter, c.p.c. ed il meccanismo decisorio ivi previsto degli appelli inammissibili, ma le disposizioni previste dagli ultimi due commi della norma in esame, volte ad escludere la possibilità di proporre ricorso per cassazione per omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5), nei casi di c.d. “doppia conforme”, sono conservate e, per ragioni di coerenza sistematica, spostate in calce all’art. 360 c.p.c. (di raSSeGna avvocatUra Dello Stato -n. 4/2022 tale modifica si è peraltro già dato conto nella precedente circolare n. 74/2022). viene inoltre delineato un nuovo modello di fase istruttoria nei giudizi di appello, in parte ripreso dal sistema vigente nei processi davanti al tribunale quando questo giudica in composizione collegiale, ove la fase decisoria rimane riservata al collegio ma tutta la gestione della fase istruttoria permane in capo all’istruttore. In particolare, il nuovo art. 349-bis c.p.c. prevede la nomina dell’istruttore da parte del presidente. tale previsione è però temperata, anche alla luce del nuovo modulo decisorio semplificato introdotto per le impugnazioni inammissibili o manifestamente infondate, dalla possibilità che il presidente possa, all’esito di un vaglio preliminare, fissare direttamente udienza davanti al collegio per la discussione orale della causa, in questo caso nominando un relatore (9). viene poi modificato l’art. 350 c.p.c., con l’indicazione delle funzioni svolte in udienza dall’istruttore, quando nominato: verifiche preliminari sul- l’integrità del contraddittorio, dichiarazione della contumacia, riunione degli appelli proposti contro la stessa sentenza, tentativo di conciliazione, eventuale ammissione e conseguente assunzione delle prove, nei limiti in cui ciò sia consentito nel giudizio di appello. È poi previsto che l’istruttore possa disporre la discussione orale della causa davanti al collegio per la decisione in forma semplificata non solo nei casi di cui all’art. 348-bis, ma anche, a prescindere dal “filtro” ivi previsto, quando l’appello appaia manifestamente fondato o quando lo ritenga comunque opportuno in ragione della ridotta complessità della causa o dell’urgenza della sua definizione (10). (9) l’art. 349-bis c.p.c. prevede che: “quando l’appello è proposto davanti alla corte di appello, il presidente, se non ritiene di nominare il relalore e disporre la comparizione delle parti davanti al collegio per la discussione orale, designa un componente di questo per la trattazione e l’istruzione della causa. Il presidente o il giudice istruttore può differire, con decreto da emettere entro cinque giorni dalla presentazione del fascicolo, la data della prima udienza fino a un massimo di quarantacinque giorni. In tal caso il cancelliere comunica alle parti costituite la nuova data della prima udienza”. (10) l’art. 350 c.p.c. prevede che: “davanti alla corte di appello la trattazione dell’appello è affidata all’istruttore, se nominato, e la decisione è collegiale; davanti al tribunale l’appello è trattato e deciso dal giudice monocratico. nella prima udienza di trattazione il giudice verifica la regolare costituzione del giudizio e, quando occorre, ordina l’integrazione di esso o la notificazione prevista dall’articolo 332, dichiara la contumacia dell’appellato oppure dispone che si rinnovi la notificazione dell’atto di appello, e provvede alla riunione degli appelli proposti contro la stessa sentenza. quando rileva che ricorre l’ipotesi di cui all’articolo 348-bis il giudice, sentite le parti, dispone la discussione orale della causa ai sensi dell’articolo 350-bis. allo stesso modo può provvedere quando l’impugnazione appare manifestamente fondata, o comunque quando lo ritenga opportuno in ragione della ridotta complessità o dell’urgenza della causa. quando non provvede ai sensi del terzo comma, nella stessa udienza il giudice procede al tentativo di conciliazione ordinando, quando occorre, la comparizione personale delle parti; provvede inoltre sulle eventuali richieste istruttorie, dando le disposizioni per l’assunzione davanti a sé delle prove ammesse”. temI IStItUzIonalI l’art. 350-bis c.p.c., di nuova introduzione, reca invece la disciplina del procedimento per la decisione semplificata a seguito di discussione orale nelle ipotesi di inammissibilità e manifesta fondatezza o infondatezza, per la quale è richiamato il modulo decisorio previsto dall’articolo 281-sexies c.p.c.: “nei casi di cui agli articoli 348-bis e 350, terzo comma, il giudice procede ai sensi dell’articolo 281-sexies. dinanzi alla corte di appello l’istruttore, fatte precisare le conclusioni, fissa udienza davanti al collegio e assegna alle parti termine per note conclusionali antecedente alla data dell’udienza. all’udienza l’istruttore svolge la relazione orale della causa. la sentenza è motivata in forma sintetica, anche mediante esclusivo riferimento al punto di fatto o alla questione di diritto ritenuti risolutivi o mediante rinvio a precedenti conformi”. 6.1 l’istanza di inibitoria Per quanto concerne l’istanza di inibitoria queste sono le novità. all’art. 283 c.p.c. sono apportate le seguenti modificazioni: a) il primo comma è sostituito dal seguente: “Il giudice d’appello, su istanza di parte proposta con l’impugnazione principale o con quella incidentale, sospende in tutto o in parte l’efficacia esecutiva o l’esecuzione della sentenza impugnata, con o senza cauzione, se l’impugnazione appare manifestamente fondata o se dall’esecuzione della sentenza può derivare un pregiudizio grave e irreparabile, pur quando la condanna ha ad oggetto il pagamento di una somma di denaro, anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti”. Pertanto, la manifesta fondatezza dell’impugnazione dovrebbe costituire ragione sufficiente per la sospensione della sentenza impugnata; al contempo, il pregiudizio grave e irreparabile, tale da fondare l’accoglimento dell’inibitoria, può derivare “anche” dall'esecuzione di pronunce di condanna al pagamento di somme di denaro, in particolare in relazione alla possibilità di insolvenza; b) dopo il primo comma è inserito il seguente: “l’istanza di cui al primo comma può essere proposta o riproposta nel corso del giudizio di appello se si verificano mutamenti nelle circostanze, che devono essere specificamente indicati nel ricorso (11), a pena di inammissibilità”. Degne di nota sono anche le modifiche all’art. 351 c.p.c. in relazione al procedimento per la decisione sull’inibitoria. In particolare, al primo comma, relativo all’ipotesi in cui la pronuncia sull’istanza di sospensione della provvisoria esecutività della sentenza avvenga alla prima udienza, tenuto conto che l’istanza può essere riproposta in un se (11) evidentemente il legislatore intendeva riferirsi alla istanza di sospensione e non al ricorso. raSSeGna avvocatUra Dello Stato -n. 4/2022 condo momento è previsto che, nei casi in cui il presidente non si sia avvalso della facoltà di fissare udienza davanti al collegio (il quale, secondo quanto previsto al primo periodo, provvederebbe in udienza) e l’udienza si svolga davanti all’istruttore questo debba riferire al collegio per l’adozione del provvedimento. Per l’ipotesi, invece, in cui la parte abbia chiesto la fissazione di apposita udienza per la decisione sulla sospensione (disciplinata dal secondo e terzo comma dell’art. 351), si prevede in ogni caso la comparizione delle parti davanti all’istruttore (e non dinnanzi al collegio). resta fermo che nel decidere sull’istanza di sospensione il giudice possa disporre la discussione orale dell’impugnazione; in particolare, per il caso in cui davanti alla corte d’appello l’udienza di comparizione delle parti si sia tenuta davanti all’istruttore, è previsto che il collegio, con l’ordinanza con cui adotta i provvedimenti sull’esecuzione provvisoria, se ritiene che la causa sia matura per la decisione nelle forme della discussione orale fissa a tal fine udienza davanti a sé, assegnando alle parti un termine per il deposito di note conclusionali per consentire loro di esplicare a pieno il diritto di difesa. 6.2 la fase decisoria la fase decisoria, disciplinata dall’art. 352 c.p.c., viene modificata in quanto è ora previsto che quando la causa è matura per la decisione, e non sussistono i presupposti per disporre la discussione orale e la decisione in forma semplificata, l’istruttore debba fissare altra udienza davanti a sé per la rimessione della causa in decisione, assegnando alle parti un triplice termine perentorio calcolato a ritroso rispetto alla data dell’udienza di rinvio (rispettivamente di sessanta, trenta e quindici giorni) per il deposito (i) di una nota di precisazione delle conclusioni, (ii) della comparsa conclusionale e (iii) delle note di replica. all’udienza, l’istruttore rimetterà la causa al collegio per la decisione (ovvero, negli appelli davanti al tribunale, che decide in composizione monocratica, tratterrà la causa in decisione), fermo restando il termine di sessanta giorni per il deposito della sentenza. Si riporta di seguito il testo del nuovo art. 352 c.p.c.: “esaurita l’attività prevista negli articoli 350 e 351, l’istruttore, quando non ritiene di procedere ai sensi dell’articolo 350-bis, fissa davanti a sé l’udienza di rimessione della causa in decisione e assegna alle parti, salvo che queste non vi rinuncino, i seguenti termini perentori: 1) un termine non superiore a sessanta giorni prima dell’udienza per il deposito di note scritte contenenti la sola precisazione delle conclusioni; 2) un termine non superiore a trenta giorni prima dell’udienza per il deposito delle comparse conclusionali; 3) un termine non superiore a quindici giorni prima per il deposito delle note di replica. all’udienza la causa è trattenuta in decisione. davanti alla corte di ap temI IStItUzIonalI pello, l’istruttore riserva la decisione al collegio. la sentenza è depositata entro sessanta giorni”. 6.3 Rimessione della causa in primo grado Sono state ridotte le ipotesi di rimessione della causa in primo grado, ormai circoscritte ai soli casi di violazione del contraddittorio. In particolare, viene abrogato l’art. 353 c.p.c. e con esso l’ipotesi di rimessione al primo giudice per motivi di giurisdizione, mentre vengono confermate le ipotesi di rimessione oggi previste dal primo comma dell’art. 354 c.p.c. (12) (nullità della notificazione della citazione introduttiva, mancata integrazione del contraddittorio, erronea estromissione di una parte, nullità della sentenza di primo grado a norma dell’art. 161 secondo comma); viene invece abrogato l’attuale secondo comma dell’art. 354 c.p.c. per l’ipotesi di riforma della sentenza di primo grado che ha dichiarato l’estinzione del processo. ne consegue, a seguito della soppressione dell’art. 353 c.p.c., che il giudice di appello che riconosca la giurisdizione negata dal primo giudice non potrà più rimettere a questo gli atti ma dovrà decidere la causa nel merito, se del caso svolgendo le attività che non si siano svolte in primo grado. viene conseguentemente modificato l’ultimo periodo dell’art. 354 c.p.c., con la previsione che tanto in questo caso, quanto nel caso in cui dichiari la nullità di altri atti (e cioè atti diversi da quelli contemplati nei commi precedenti, la cui nullità determina la rimessione al primo giudice), il giudice di appello ammetta le parti al compimento di attività che sarebbero loro precluse, quando questa esigenza discenda dalla necessità di ripristinare il contraddittorio e proceda alla rinnovazione degli atti nulli. Dalle disposizioni di cui all’art. 356 c.p.c., non modificato in questa parte, si ricava poi che il giudice di appello procederà all’assunzione delle prove che non siano state assunte nel giudizio di primo grado (13). *** 7. il giudizio di cassazione e di revocazione (12) Il nuovo art. 354 c.p.c. dispone: “Il giudice d’appello, se dichiara la nullità della notificazione dell’atto introduttivo, riconosce che nel giudizio di primo grado doveva essere integrato il contraddittorio o non doveva essere estromessa una parte, oppure dichiara la nullità della sentenza di primo grado a norma dell’articolo 161 secondo comma, pronuncia sentenza con cui rimette la causa al primo giudice. nei casi di rimessione al primo giudice, le parti devono riassumere il processo nel termine perentorio di tre mesi dalla notificazione della sentenza. se contro la sentenza d’appello è proposto ricorso per cassazione, il termine è interrotto. se il giudice d’appello riconosce sussistente la giurisdizione negata dal primo giudice o dichiara la nullità di altri atti compiuti in primo grado, ammette le parti a compiere le attività che sarebbero precluse e ordina, in quanto possibile, la rinnovazione degli atti a norma dell’articolo 356”. (13) Per il resto, all’art. 356 c.p.c. viene specificato che: “davanti alla corte di appello il collegio delega l’assunzione delle prove all’istruttore, se nominato, o al relatore o, quando ne ravvisa la necessità, può anche d’ufficio disporre la rinnovazione davanti a sé di uno o più mezzi di prova assunti dal- l’istruttore ai sensi dell’articolo 350, quarto comma”. raSSeGna avvocatUra Dello Stato -n. 4/2022 Per quel che riguarda le modifiche ai giudizi di cassazione e di revocazione, si rinvia a quanto esposto nella precedente circolare n. 74/2022. *** 8. Rito del lavoro e nuova disciplina relativa alla impugnazione dei licenziamenti 8.1 le modifiche alle norme in tema di rito del lavoro l’art. 3 del D.lgs. n. 149/2022 ai commi 30 e 31 ha apportato talune modifiche alle norme del codice relative alle controversie individuali di lavoro. In relazione al termine di deposito della sentenza, il novellato art. 430 c.p.c. prevede che “quando la sentenza è depositata fuori udienza, il cancelliere ne dà immediata comunicazione alle parti”. con la nuova formulazione della norma si è inteso superare la contraddizione -prima esistente -in ordine alla disciplina dei termini differiti di deposito della sentenza tra quanto previsto dall’art. 429, comma 1, c.p.c. (che ne consentiva il deposito, oltre che unitamente al dispositivo, nei casi di particolare complessità, nel termine “non superiore a sessanta giorni”) e la previgente formulazione dell’art. 430 c.p.c. (che ne ammetteva il deposito “entro quindici giorni dalla pronuncia”). Per quanto concerne la disciplina delle impugnazioni, è stato, anzitutto, riformulato il disposto dell’art. 434 c.p.c. relativo al contenuto del ricorso in appello, prevedendosi che: “Il ricorso deve contenere le indicazioni prescritte dall’articolo 414. l’appello deve essere motivato, eper ciascuno dei motivi deve indicare a pena di inammissibilità, in modo chiaro, sintetico e specifico: 1) il capo della decisione di primo grado che viene impugnato; 2) le censure proposte alla ricostruzione dei fatti compiuta dal giudice di primo grado; 3) le violazioni di legge denunciate e la loro rilevanza ai fini della decisione impugnata”. le modifiche hanno di fatto assimilato il contenuto dell’atto a quello della citazione d’appello nel giudizio ordinario di cognizione. analogamente al contenuto del nuovo art. 342 c.p.c., anche il ricorso in appello dovrà, infatti, contenere ora con motivi separati, ciascuno dei quali recante l’indicazione, a pena di inammissibilità, in modo chiaro, sintetico e specifico, del capo della pronuncia di primo grado impugnato, delle censure proposte alla ricostruzione dei fatti, nonché delle violazioni di legge denunciate e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata. Il nuovo art. 436-bis c.p.c. (Inammissibilità, improcedibilità, manifesta fondatezza o infondatezza dell’appello) nel richiamare la disciplina dei “filtri” alle impugnazioni (a sua volta ridisegnata dagli artt. 348-bis e 350, comma 3, c.p.c.), vi affianca anche l’ipotesi dell'improcedibilità dell’appello di cui all’art. 348 c.p.c. la norma in questione prevede, infatti, che: temI IStItUzIonalI “nei casi previsti dagli articoli 348, 348-bis e 350, terzo comma, all’udienza di discussione il collegio, sentiti i difensori delle parti, pronuncia sentenza dando lettura del dispositivo e della motivazione redatta in forma sintetica, anche mediante esclusivo riferimento al punto di fatto o alla questione di diritto ritenuti risolutivi o mediante rinvio a precedenti conformi”. Gli artt. 437 e 438 c.p.c. recepiscono, a loro volta, le modifiche appena indicate, inserendo le opportune interpolazioni normative di raccordo: -all’art. 437, comma primo, secondo periodo, c.p.c. è aggiunto il riferimento alla previa delibazione di inammissibilità, improcedibilità, manifesta fondatezza o infondatezza dell’appello (“quando non provvede ai sensi del- l’articolo 436-bis, il collegio”); -all’art. 438 c.p.c. si prevede che “fuori dei casi di cui all’articolo 436bis, la sentenza deve essere depositata entro sessanta giorni dalla pronuncia. Il cancelliere ne dà immediata comunicazione alle parti”. 8.2 la negoziazione assistita facoltativa per le cause di lavoro Particolarmente significativa nell’ottica potenzialmente deflattiva del contenzioso lavoristico è, altresì, l’estensione della negoziazione assistita alle cause indicate dall’art. 409 c.p.c., fermo restando il ricorso alle altre modalità di conciliazione e arbitrato previste dalla contrattazione collettiva cui rimanda l’art. 412-ter c.p.c. va precisato, tuttavia, che la negoziazione assistita regolata dal D.l. n. 132/2014 resta per le controversie di lavoro meramente facoltativa, non costituendo, quindi, una condizione di procedibilità. In tal senso, l’art. 2-ter inserito nell’ambito del D.l. n. 132/2014 prevede che: “Per le controversie di cui all’articolo 409 del codice di procedura civile, fermo restando quanto disposto dall’articolo 412-ter del medesimo codice, le parti possono ricorrere alla negoziazione assistita senza che ciò costituisca condizione di procedibilità della domanda giudiziale. ciascuna parte è assistita da almeno un avvocato e può essere anche assistita da un consulente del lavoro. all’accordo raggiunto all’esito della procedura di negoziazione assistita si applica l’articolo 2113, quarto comma, del codice civile. l’accordo è trasmesso a cura di una delle due parti, entro dieci giorni, ad uno degli organismi di cui all’articolo 76 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276”. 8.3 la novità in tema di impugnazione dei licenziamenti nella duplice prospettiva della semplificazione, dell’unificazione e del coordinamento della disciplina dei procedimenti di impugnazione dei licenziamenti sancito dalla legge delega, il legislatore delegato ha abrogato le disposizioni contenute nell’art. 1, commi 47 -68, della l. n. 92/2012 (c.d. “rito Fornero”) in materia di impugnativa giudiziaria dei provvedimenti di licenziamento. come già avveniva precedentemente alla riforma del 2012, il lavoratore raSSeGna avvocatUra Dello Stato -n. 4/2022 che intenda impugnare il licenziamento dovrà quindi -di norma -ricorrere all’ordinario rito del lavoro da introdursi ai sensi degli artt. 414 e ss. c.p.c. nel contempo, tuttavia, l’art. 3, comma 32, del D.lgs. n. 149/2022 ha introdotto, subito dopo il capo I, del libro II, titolo Iv c.p.c., il capo 1-bis rubricato “delle controversie relative al licenziamento”. In particolare, con il nuovo art. 441-bis c.p.c. (controversie in materia di licenziamento) è stato introdotto un regime specifico laddove sia proposta impugnativa di un licenziamento con domanda di reintegrazione nel posto di lavoro. trattasi di rito caratterizzato da inediti criteri di priorità -di trattazione e decisione -rispetto alle altre controversie pendenti sul ruolo del giudice e improntato alla massima celerità e concentrazione. Il comma 1 di tale disposizione prevede, invero, che: “la trattazione e la decisione delle controversie aventi ad oggetto l’impugnazione dei licenziamenti nelle quali è proposta domanda di reintegrazione nel posto di lavoro hanno carattere prioritario rispetto alle altre pendenti sul ruolo del giudice, anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto”. Fermo restando che tali controversie sono assoggettate alle norme del capo primo (14), i commi 3-5 dell’art. 441-bis c.p.c. dispongono, in termini innovativi, che: “3. tenuto conto delle circostanze esposte nel ricorso il giudice può ridurre i termini del procedimento fino alla metà, fermo restando che tra la data di notificazione al convenuto o al terzo chiamato e quella della udienza di discussione deve intercorrere un termine non minore di venti giorni e che, in tal caso, il termine per la costituzione del convenuto o del terzo chiamato è ridotto della metà. 4. all’udienza di discussione il giudice dispone, in relazione alle esigenze di celerità anche prospettate dalle parti, la trattazione congiunta di eventuali domande connesse e riconvenzionali ovvero la loro separazione, assicurando in ogni caso la concentrazione della fase istruttoria e di quella decisoria in relazione alle domande di reintegrazione nel posto di lavoro. a tal fine il giudice riserva particolari giorni, anche ravvicinati, nel calendario delle udienze. 5. I giudizi di appello e di cassazione sono decisi tenendo conto delle medesime esigenze di celerità e di concentrazione. In via di estrema sintesi: 1) viene meno la fase sommaria che caratterizzava l’abrogato rito Fornero (riducendosi in tal modo le fasi del primo giudizio); 2) tenuto conto delle circostanze dedotte, il giudice può decidere di ri( 14) così come previsto dal comma secondo dell’art. 441-bis c.p.c., secondo cui: “salvo quanto stabilito nel presente articolo, le controversie di cui al primo comma sono assoggettate alle norme del capo primo”. temI IStItUzIonalI durre i termini del procedimento sino alla metà nel rispetto, comunque, del diritto di difesa delle parti; 3) si prevede, inoltre, che il giudice sia tenuto a dare priorità alla trattazione dei ricorsi, a riservare particolari giorni per la trattazione degli stessi, fissando udienze ravvicinate così da assicurare la concentrazione della fase istruttoria e di quella decisoria. Sono state introdotte, inoltre, le seguenti disposizioni: -l’art. 441-ter c.p.c. (licenziamento del socio della cooperativa) (15), che, in relazione alla disciplina delle controversie aventi ad oggetto l’impugnazione dei licenziamenti dei soci delle cooperative, prevede una “competenza funzionale” del Giudice del lavoro adito a decidere anche sulle questioni relative al rapporto associativo eventualmente proposte; -l’art. 441-quater c.p.c. (licenziamento discriminatorio), con cui si prevede che “le azioni di nullità dei licenziamenti discriminatori, ove non siano proposte con ricorso ai sensi dell’articolo 414, possono essere introdotte, ricorrendone i presupposti, con i riti speciali. la proposizione della domanda relativa alla nullità del licenziamento discriminatorio e alle sue conseguenze, nell’una o nell’altra forma, preclude la possibilità di agire successivamente in giudizio con rito diverso per quella stessa domanda”. con la disposizione da ultimo citata si è introdotta la possibilità per il lavoratore di proporre la domanda di nullità del licenziamento discriminatorio, ove non già proposta con il tipico ricorso introduttivo del rito del lavoro, con i riti speciali previsti dall’art. 38 del D. lgs. 1° aprile 2006 n. 198 (16) e dall’art. 28 del D.lgs. 1° settembre 2011 n. 150 (17). nell’ottica di deflazione del contenzioso giudiziario, si è prevista la preclusione, per chi abbia inizialmente agito ai sensi di uno dei predetti riti speciali, ad agire successivamente in giudizio con rito diverso per la stessa domanda. (15) art. 441-ter “le controversie aventi ad oggetto l’impugnazione dei licenziamenti dei soci delle cooperative sono assoggettate alle norme di cui agli articoli 409 e seguenti e, in tali casi, il giudice decide anche sulle questioni relative al rapporto associativo eventualmente proposte. Il giudice del lavoro decide sul rapporto di lavoro e sul rapporto associativo, altresì, nei casi in cui la cessazione del rapporto di lavoro deriva dalla cessazione del rapporto associativo”. (16) l’art. 38 D.lgs. n. 198/2006 ha introdotto, in materia di discriminazione di genere, una procedura d’urgenza azionabile su ricorso del singolo lavoratore o, per sua delega, delle organizzazioni sindacali, delle associazioni e delle organizzazioni rappresentative del diritto o dell’interesse leso, o della consigliera o del consigliere di parità provinciale o regionale territorialmente competente, avanti al giudice del lavoro del luogo ove è avvenuto il comportamento denunciato. (17) Detta disposizione si riferisce, invece, alle controversie di cui all’art. 44 D.lgs. n. 286/1998 (discriminazione per motivi razziali, etnici, linguistici, nazionali, di provenienza geografica o religiosi), a quelle di cui all’art. 4 D.lgs. n. 215/2003 (discriminazione diretta o indiretta a causa della razza o del- l’origine etnica in attuazione della direttiva 2000/43/ce), a quelle di cui all’art. 4 D.lgs. n. 216/2003 (discriminazione diretta o indiretta a causa della religione, delle convinzioni personali, degli handicap, dell’età o dell’orientamento sessuale), a quelle di cui all’art. 3 legge n. 67/2006 (discriminazione in danno di persone con disabilita) e a quelle di cui all’art. 55-quinquies D.lgs. n. 198/2006 (discriminazioni per ragioni di sesso). raSSeGna avvocatUra Dello Stato -n. 4/2022 la finalità di riduzione dei tempi della giustizia rinviene uno specifico strumento attuativo poi nell’art. 144-quinquies disp. att. c.p.c., secondo cui “il presidente di sezione e il dirigente dell’ufficio favoriscono e verificano la trattazione prioritaria dei procedimenti di cui al capo I-bis del titolo Iv del libro secondo del codice”. a tal fine, si prevede, peraltro, che in ciascun ufficio giudiziario siano effettuate estrazioni statistiche trimestrali, che consentono di valutare la durata media dei processi di cui all’art. 441-bis c.p.c. rispetto alla durata degli altri processi in materia di lavoro. *** 9. Rito unico in materia di persone, minorenni e famiglia (brevi cenni) va dato atto, per completezza, che il D.lgs. n. 149/2022 ha introdotto, nel (nuovo) titolo Iv-bis del libro II, agli artt. 473-bis e ss. c.p.c., un rito unico in materia di persone, minorenni e famiglie, applicabile a tutti i procedimenti relativi allo stato delle persone, ai minorenni e alle famiglie. Il nuovo procedimento ha, quindi, vocazione generale, applicandosi a tutti i procedimenti contenziosi relativi allo stato delle persone, ai minorenni e alle famiglie attribuiti alla competenza del tribunale ordinario, del giudice tutelare e del tribunale per i minorenni, salvo che la legge disponga diversamente. Sono tuttavia eccettuati i casi esclusi dall’art. 473-bis, comma 1, c.p.c. (procedimenti volti alla dichiarazione di adottabilità, procedimenti di adozione di minori di età, procedimenti attribuiti alla competenza delle sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea). *** 10. il processo esecutivo tra le numerose modifiche del processo esecutivo, si segnalano le seguenti novità in ordine alla formazione del titolo esecutivo. l’art. 475 c.p.c. è infatti sostituito dal seguente: “le sentenze, i provvedimenti e gli altri atti dell’autorità giudiziaria, nonché gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale, per valere come titolo per l’esecuzione forzata, ai sensi dell’articolo 474, per la parte a favore della quale fu pronunciato il provvedimento o stipulata l’obbligazione, o per i suoi successori devono essere rilasciati in copia attestata conforme all’originale, salvo che la legge disponga altrimenti”. Pertanto, ai fini della formazione del titolo esecutivo non è più necessario il rilascio della formula esecutiva, essendo sufficiente che la copia dell’atto sia attestata conforme all’originale. conseguentemente, l’art. 476 c.p.c. è abrogato, mentre all’art. 478, le parole “spedito informa esecutiva” sono sostituite dalle seguenti: “rilasciato ai sensi dell’articolo 475 ”; all’art. 479, al primo comma, le parole “in forma temI IStItUzIonalI esecutiva” sono sostituite dalle seguenti: “in copia attestata conforme al- l’originale”. Si segnalano inoltre, per la potenziale rilevanza nei giudizi in cui è parte la pubblica amministrazione, taluni interventi sull’art. 614-bis c.p.c. (18), che, come è noto, disciplina, le misure di coercizione indiretta (c.d. astreinte). la prima modifica concerne l’ammontare della somma che diviene dovuta -a seguito del provvedimento che la prevede -quando si verifichi l’inadempimento all’obbligo previsto nel titolo esecutivo. a tal riguardo la previsione di cui al secondo comma del testo attualmente vigente viene integrata con il richiamo al vantaggio che l’obbligato trae dall’inadempimento. Un ulteriore intervento concerne la durata massima della misura coercitiva; in particolare viene integrato il primo comma della norma con un ultimo periodo, che consente al giudice di fissare un termine di durata della misura. Inoltre, al fine di porre rimedio ad una lacuna della normativa vigente che attribuisce al solo giudice che pronuncia la condanna il potere di concedere la misura coercitiva, si prevede che, dopo la notificazione del precetto, l’avente diritto possa presentare ricorso al giudice dell’esecuzione competente, il quale -sentite le parti -provvede a determinare la misura esecutiva (la norma richiama le disposizioni in tema di esecuzione per obblighi di fare). avverso tale provvedimento resta ovviamente proponibile l’opposizione agli atti esecutivi, mentre l’opposizione all’esecuzione può essere utilizzata nelle ipotesi di cui all’art. 615 c.p.c., anche nelle forme dell’opposizione a precetto. *** 11. i procedimenti speciali 11.1 il procedimento di ingiunzione nell’ambito del procedimento di ingiunzione, l’art. 3, comma 45, del (18) l’art. 614-bis dispone: “con il provvedimento di condanna all’adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro il giudice, salvo che ciò sia manifestamente iniquo, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento, determinandone la decorrenza. Il giudice può fissare un termine di durata della misura, tenendo conto della finalità della stessa e di ogni circostanza utile. se non è stata richiesta nel processo di cognizione, ovvero il titolo esecutivo è diverso da un provvedimento di condanna, la somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza o ritardo nell’esecuzione del provvedimento è determinata dal giudice dell’esecuzione, su ricorso dell’avente diritto, dopo la notificazione del precetto. si applicano in quanto compatibili le disposizioni di cui all’articolo 612. Il giudice determina l’ammontare della somma tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione dovuta, del vantaggio per l’obbligato derivante dall’inadempimento, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile. Il provvedimento costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione, inosservanza o ritardo. le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alle controversie di lavoro subordinato pubblico o privato e ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all’articolo 409”. raSSeGna avvocatUra Dello Stato -n. 4/2022 D.lgs. n. 149/2022 modifica l’art. 654 c.p.c. (dichiarazione di esecutorietà ed esecuzione): “1. l’esecutorietà non disposta con la sentenza o con l’ordinanza di cui all’articolo precedente è conferita con decreto del giudice che ha pronunciato l’ingiunzione scritto in calce all’originale del decreto d’ingiunzione. 2. ai fini dell’esecuzione non occorre una nuova notificazione del decreto esecutivo, ma nel precetto deve farsi menzione del provvedimento che ha disposto l’esecutorietà”. la modifica è volta a coordinare l’art. 654 c.p.c. con l’abrogazione delle disposizioni del codice di rito che si riferiscono alla formula esecutiva e alla spedizione in forma esecutiva. 11.2 il procedimento di convalida di sfratto l’art. 3, comma 46, del D.lgs. n. 149/2022 modifica l’art. 657 c.p.c. (Intimazione di licenza e di sfratto per finita locazione), estendendo l’applicabilità del procedimento di convalida, di licenza per scadenza del contratto e di sfratto per morosità, anche ai contratti di comodato di beni immobili e di affitto di azienda: “1. Il locatore o il concedente può intimare al conduttore, al comodatario di beni immobili, all’affittuario di azienda, all’affittuario coltivatore diretto, al mezzadro o al colono licenza per finita locazione, prima della scadenza del contratto, con la contestuale citazione per la convalida, rispettando i termini prescritti dal contratto, dalla legge o dagli usi locali. Può altresì intimare lo sfratto, con la contestuale citazione per la convalida, dopo la scadenza del contratto, se, in virtù del contratto stesso o per effetto di atti o intimazioni precedenti, è esclusa la tacita riconduzione”. contestualmente all’abrogazione della formula esecutiva nell’art. 475 c.p.c., viene modificato l’art. 663 c.p.c. (mancata comparizione o mancata opposizione dell’intimato): “1. se l’intimato non compare o comparendo non si oppone, il giudice convalida con ordinanza esecutiva la licenza o lo sfratto. Il giudice ordina che sia rinnovata la citazione, se risulta o appare probabile che l’intimato non abbia avuto conoscenza della citazione stessa o non sia potuto comparire per caso fortuito o forza maggiore. 2. se lo sfratto è stato intimato per mancato pagamento del canone, la convalida è subordinata all’attestazione in giudizio del locatore o del suo procuratore che la morosità persiste. Iin tale caso il giudice può ordinare ai locatore di prestare una cauzione”. 11.3 il procedimento cautelare uniforme Disciplina transitoria ai sensi dell’art. 35, comma 1, del D.lgs. n. 149/2022, “le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati temI IStItUzIonalI successivamente a tale data. ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti”. le novità l’attribuzione di poteri cautelari in capo agli arbitri su concorde volontà delle parti preventivamente manifestata -che costituisce per il capo III, titolo I, libro Iv del codice che disciplina il procedimento uniforme, la novità di maggiore rilievo della riforma -ha reso necessario un intervento di coordinamento anche in relazione alle norme che sino ad oggi erano integralmente deputate alla disciplina dei provvedimenti cautelari nell’ipotesi di devoluzione della causa in arbitrato. Si è dunque imposta una modifica sia dell’art. 669-quinquies c.p.c., concernente la competenza cautelare in caso di clausola compromissoria, compromesso o pendenza del giudizio arbitrale, sia dell’art. 669-decies c.p.c. in tema di revoca e modifica delle misure cautelari. Sino alla riforma, l’art. 669-quinques prevedeva che, nell’ipotesi di controversie oggetto di clausola compromissoria, compromesso in arbitri, anche non rituali, ovvero di pendenza del giudizio arbitrale, la domanda cautelare si proponesse al giudice che sarebbe stato competente a conoscere del merito. rispetto a tale generale previsione si è quindi reso necessario l’inserimento, in coda alla disposizione, di una frase conclusiva “salvo quanto disposto dal- l’articolo 818 primo comma” che richiama il neoistituito potere degli arbitri di concedere misure cautelari: art. 669-quinquies c.p.c. (competenza in caso di clausola compromissoria, di compromesso o dipendenza del giudizio arbitrale) “se la controversia è oggetto di clausola compromissoria o è compromessa in arbitri anche non rituali o se è pendente il giudizio arbitrale, la domanda si propone al giudice che sarebbe stato competente a conoscere del merito, salvo quanto disposto dall’articolo 818, primo comma” (19). analoga soluzione si è scelta nel novellare l’art. 669-decies, nel quale, al terzo comma, sono state aggiunte, infine, le seguenti parole: “salvo quanto disposto dall’articolo 818, primo comma”: art. 669-decies, comma 3, c.p.c. (revoca e modifica)“se la causa di merito è devoluta alla giurisdizione di un giudice straniero o ad arbitrato, ovvero se l’azione civile è stata esercitata o trasferita nel processo penale i provvedimenti previsti dal presente articolo devono essere richiesti al giudice che ha emanato il provvedimento cautelare, salvo quanto disposto dall’articolo 818, primo comma” (20). (19) l’art. 818 c.p.c. dispone: “le parti, anche mediante rinvio a regolamenti arbitrali, possono attribuire agli arbitri il potere di concedere misure cautelari con la convenzione di arbitrato o con atto scritto anteriore all’instaurazione del giudizio arbitrale. la competenza cautelare attribuita agli arbitri è esclusiva. Prima dell’accettazzione dell’arbitro unico o della costituzione del collegio arbitrale, la domanda cautelare si propone al giudice competente ai sensi dell’articolo 669-quinquies”. raSSeGna avvocatUra Dello Stato -n. 4/2022 all’art. 669-octies c.p.c., l’efficacia ultrattiva della misura cautelare adottata nei procedimenti a carattere tipicamente anticipatorio (come quelli di cui all’art. 700 c.p.c.) è stata estesa anche ai provvedimenti concernenti la “sospensione dell’efficacia delle delibere assembleari adottati ai sensi dell’articolo 1137 (21), quarto comma, del codice civile” (comma 6) e “la sospensione dell’efficacia delle deliberazioni assunte da qualsiasi organo di associazioni, fondazioni o società, anche quando la relativa domanda è stata proposta in corso di causa” (comma 8) (22). (20) Si è inoltre inteso riconoscere agli arbitri che hanno emanato un provvedimento cautelare il corrispondente potere di disporre anche l’eventuale revoca o modifica, in presenza di mutamenti nelle circostanze o di allegazione di fatti anteriori di cui si è acquisita conoscenza successivamente, secondo quanto disposto dall’art. 669-decies comma 1: “salvo che sia stato proposto reclamo ai sensi dell’articolo 669-terdecies, nel corso dell’istruzione il giudice istruttore della causa di merito può, su istanza di parte, modificare o revocare con ordinanza il provvedimento cautelare, anche se emesso anteriormente alla causa, se si verificano mutamenti nelle circostanze o se si allegano fatti anteriori di cui si è acquisita conoscenza successivamente al provvedimento cautelare. In tale caso, l’istante deve fornire la prova del momento in cui ne è venuto a conoscenza”. (21) l’art. 1137 c.c. dispone: “le deliberazioni prese dall’assemblea a norma degli articoli precedenti sono obbligatorie per tutti i condomini. contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio ogni condomino assente, dissenziente o astenuto può adire l’autorità giudiziaria chiedendone l’annullamento nel termine perentorio di trenta giorni, che decorre dalla data della deliberazione per i dissenzienti o astenuti e dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti. l’azione di annullamento non sospende l’esecuzione della deliberazione, salvo che la sospensione sia ordinata dall’autorità giudiziaria. l’istanza per ottenere la sospensione proposta prima dell’inizio della causa di merito non sospende nè interrompe il termine per la proposizione dell’impugnazione della deliberazione. Per quanto non espressamente previsto, la sospensione è disciplinata dalle norme di cui al libro Iv, titolo I, capo III, sezione I del codice di procedura civile”. (22) Dalla relazione illustrativa si ricava che «In attuazione del principio di delega (comma 17, lettera q) sono state apportate modifiche all’articolo 669-octies c.p.c. al fine di prevedere, al comma settimo, che il regime di non applicazione del procedimento di conferma previso dall’articolo 669-octies e dal primo comma dell’articolo 669-novies si applichi anche ai provvedimenti di sospensione dell’efficacia delle delibere assembleari, adottati ai sensi dell’articolo 1137, quarto comma del codice civile, fermo restando anche per questi casi, la facoltà di ciascuna parte di instaurare il giudizio di merito. attualmente, infatti, ai provvedimenti cautelari con i quali il giudice sospende l’esecuzione delle deliberazioni assunte dagli organi di società (articolo 2378, quarto comma, c.c.) o di associazioni (articolo 23, ultimo comma, c.c.) non è riconosciuta natura anticipatoria della sentenza di merito con la conseguenza che essi perdono efficacia ove il giudizio di merito -nell’ambito del quale essi sono necessariamente proposti -si estingua. l’intervento ha, dunque, uno scopo deflattivo del contenzioso. Infatti, molto spesso l’attore, dopo avere ottenuto, nell’ambito del giudizio di merito, il provvedimento cautelare con il quale è stata disposta la sospensione dell’esecuzione della deliberazione non ha un reale interesse alla decisione di merito diverso da quello costituito dalla necessità di “stabilizzare” gli effetti della decisione cautelare. Pertanto, si rende opportuno coordinare il regime della efficacia di questi provvedimenti cautelari equiparandolo a quello previsto dall’art. 669-octies c.p.c. In questo modo, infatti, le parti saranno spinte ad abbandonare il giudizio di merito senza che ciò incida sul provvedimento cautelare di sospensione dell’esecuzione della deliberazione. conseguentemente sono state apportate modifiche all’[pen]ultimo comma dello stesso articolo, al fine di prevedere che l’estinzione del giudizio di merito non determina neppure “l’inefficacia dei provvedimenti cautelari di sospensione dell’efficacia delle deliberazioni assembleari assunte da qualsiasi organo di associazioni, fondazioni o società”» (pag. 93). temI IStItUzIonalI art. 669-octies, commi 6 e 8, c.p.c. (Provvedimento di accoglimento): “6. le disposizioni di cui al presente articolo e al primo comma dell’articolo 669-novies non si applicano ai provvedimenti di urgenza emessi ai sensi dell’articolo 700 e agli altri provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito, previsti dal codice civile o da leggi speciali, nonché ai provvedimenti emessi a seguito di denunzia di nuova opera o di danno temuto ai sensi dell’articolo 688 e ai provvedimenti di sospensione dell’efficacia delle delibere assembleari adottati ai sensi dell’articolo 1137, quarto comma, del codice civile, ma ciascuna parte può iniziare il giudizio di merito. [...] 8. l’estinzione del giudizio di merito non determina l’inefficacia dei provvedimenti di cui al sesto comma, né dei provvedimenti cautelari di sospensione dell’efficacia delle deliberazioni assunte da qualsiasi organo di associazioni, fondazioni o società, anche quando la relativa domanda è stata proposta in corso di causa”. Un’ulteriore modifica ha riguardato l’art. 669-novies, secondo comma, c.p.c., nel quale è stato soppresso il periodo che stabiliva che, in caso di contestazione sulla intervenuta inefficacia di un provvedimento cautelare (diverso da quelli anticipatori del novellato art. 669-octies commi 6 e 8) per omesso tempestivo avvio del giudizio di merito o successiva estinzione di quest’ultimo, la relativa questione fosse definita con sentenza anziché con ordinanza: art. 669-novies, commi 1 e 2, c.p.c. (Inefficacia del provvedimento cautelare) “se il procedimento di merito non è iniziato nel termine perentorio di cui all’articolo 669-octies, ovvero se successivamente al suo inizio si estingue il provvedimento cautelare perde la sua efficacia. In entrambi i casi, il giudice che ha emesso il provvedimento, su ricorso della parte interessata, convocate le parti con decreto in calce al ricorso, dichiara con ordinanza avente efficacia esecutiva, che il provvedimento è divenuto inefficace e dà le disposizioni necessarie per ripristinare la situazione precedente” (23). 12. la volontaria giurisdizione la novella prevede l’introduzione di un nuovo rito per l’adozione delle misure di protezione degli incapaci (interdizione, inabilitazione e amministrazione di sostegno (Sezione vI del nuovo titolo Iv-bis), l’attribuzione di talune competenze in materia di volontaria giurisdizione al notaio, all’ufficiale di (23) Dalla relazione illustrativa (pag. 93): “la differenziazione operata dal vigente secondo comma dell’articolo 669-novies c.p.c. non appare sistematicamente corretta, in quanto tutti i provvedimenti che disciplinano situazioni giuridiche in via cautelare hanno forma di ordinanza, ed è fonte di notevole aggravio per l’attività giurisdizionale, obbligando il giudice alla concessione dei termini per la definizione del thema decidendum e del thema probandum e, infine, dei termini per il deposito di comparse conclusionali e di memorie di repliche. In attuazione della delega, dunque, si prevede che in entrambi i casi indicati dal primo comma il giudice, dopo avere convocato le parti e garantito il contraddittorio sull’istanza, provvede con ordinanza avente efficacia esecutiva”. raSSeGna avvocatUra Dello Stato -n. 4/2022 stato civile, nonché la modifica di alcune disposizioni di cui al D.lgs. n. 150/2011 (disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione). *** 12.1 attribuzione ai notai di competenze relative agli affari di volontaria giurisdizione Gli articoli da 21 a 23 del D.lgs. n. 149/2022 attribuiscono ai notai la possibilità di esercitare alcune delle funzioni amministrative nella volontaria giurisdizione, attualmente di competenza esclusiva dell’autorità giudiziaria. l’art. 21, infatti, consente ai notai che procedono alla stipula di atti pubblici (o scritture private autenticate) di autorizzare la stessa quando debba intervenire un minore (un interdetto, un inabilitato o un soggetto sottoposto alla misura dell’amministrazione di sostegno) o quando l’atto sia relativo a beni ereditari. non si tratta di un trasferimento di competenze al notaio, bensì della previsione di una competenza concorrente con quella dell’autorità giudiziaria (l’interessato potrà alternativamente rivolgersi al notaio o al giudice). restano, peraltro, riservate all’autorità giudiziaria le autorizzazioni afferenti ai giudizi (per promuovere, rinunciare, transigere o compromettere in arbitri), nonché per la continuazione dell’impresa commerciale. *** 13. Procedimenti in materia di efficacia di decisioni straniere previsti dal diritto dell’unione europea e dalle convenzioni internazionali l’articolo 24 del D.lgs. n. 149/2022 interviene sul D.lgs. n. 150/2011, con la finalità di coordinamento e di attuazione alla delega per la disciplina del rito applicabile ai procedimenti in materia di efficacia di decisioni straniere previsti dal diritto dell’Unione europea e dalle convenzioni internazionali. In primo luogo, il comma 1, lett. b), dell’art. 24 interviene sul rito da applicare alle controversie in materia di attuazione di sentenze e provvedimenti stranieri di giurisdizione volontaria, di cui all’art. 30 del D.lgs. n. 150/2011, sostituendo al rito sommario di cognizione il rito semplificato di cognizione: art. 30 D.lgs. n. 150/2011 “1. le controversie aventi ad oggetto l’attuazione di sentenze e provvedimenti stranieri di giurisdizione volontaria di cui all’articolo 67 della legge 31 maggio 1995, n. 218, sono regolate dal rito semplificato di cognizione. 2. È competente la corte di appello del luogo di attuazione del provvedimento”. Il comma 1, lettera c), dell’art. 24 prevede, inoltre, l’introduzione di un nuovo art. 30-bis (24), rubricato “dei procedimenti in materia di efficacia di (24) l’art. 30-bis del D.lgs. n. 150/2011 dispone: “1. si svolgono in camera di consiglio, in assenza di contraddittorio, i procedimenti volti ad ottenere la dichiarazione di esecutività e in via principale temI IStItUzIonalI decisioni straniere previsti dal diritto dell’unione europea e dalle convenzioni internazionali”. l’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento di decisioni emesse dalle autorità giurisdizionali degli stati membri dell’unione europea in conformità al diritto eurounitario. In particolare, sono introdotti con tale rito i procedimenti previsti dagli atti indicati di seguito: 1) regolamento (ce) n. 2201/2003 del consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il regolamento (ce) n. 1347/2000; 2) regolamento (ce) n. 4/2009 del consiglio, del 18 dicembre 2008, relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari; 3) regolamento (ue) 1103/2016 del consiglio, del 24 giugno 2016, che attua la cooperazione rafforzata nel settore della competenza, della legge applicabile, del riconoscimento e dell’esecuzione delle decisioni in materia di regimi patrimoniali tra coniugi; 4) regolamento (ue) 1104/2016 del consiglio, del 24 giugno 2016, che attua la cooperazione rafforzata nel settore della competenza, della legge applicabile, del riconoscimento e dell’esecuzione delle decisioni in materia di effetti patrimoniali delle unioni registrate; 5) regolamento (ue) n. 650/2012 del Parlamento europeo e del consiglio, del 4 luglio 2012, relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e all’accettazione e all’esecuzione degli atti pubblici in materia di successioni e alla creazione di un certificato successorio europeo. 2. nei casi di cui al comma 1 si applicano gli articoli 737 e 738 del codice di procedura civile. contro il decreto pronunciato in camera di consiglio può essere promosso ricorso nelle forme del rito semplificato entro 60 giorni dalla comunicazione o dalla notificazione del decreto. 3. le domande di diniego del riconoscimento delle decisioni che rientrano nel campo di applicazione degli atti indicati nel comma 1, sono introdotte con il rito semplificato di cognizione di cui agli articoli 281-decies e seguenti del codice di procedura civile. 4. si svolgono con il rito semplificato di cognizione di cui agli articoli 281-decies e seguenti del codice di procedura civile i procedimenti di diniego del riconoscimento o dell’esecuzione e di accertamento dell’assenza di motivi di diniego del riconoscimento di decisioni immediatamente esecutive emesse dalle autorità giurisdizionali degli stati membri in conformità al diritto dell’unione. In particolare, sono introdotti con tale rito i procedimenti previsti dagli atti di seguito indicati: a) regolamento (ue) n. 1215/2012 del Parlamento europeo e del consiglio, del 12 dicembre 2012, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale; b) regolamento (ue) n. 606/2013 del Parlamento europeo e del consiglio, del 12 giugno 2013, relativo alla protezione in materia civile; c) regolamento (ue) n. 848/2015 del Parlamento europeo e del consiglio, del 20 maggio 2015, relativo alle procedure di insolvenza (rifusione); d) regolamento (ue) n. 1111/2019 del consiglio, del 25 giugno 2019, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, e alla sottrazione internazionale di minori. 5. si svolgono con il rito semplificato di cognizione di cui agli articoli 281-decies e seguenti del codice di procedura civile i procedimenti volti ad ottenere la dichiarazione di esecutività di decisioni straniere o in via principale l’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento, o il diniego di tale riconoscimento, allorché l’efficacia delle medesime decisioni si fondi su una convenzione internazionale, fatte salve diverse disposizioni previste dalla convenzione applicabile. 6. I procedimenti previsti dagli atti di cui ai commi 1, 3 e 5 sono promossi innanzi alla corte d’appello territorialmente competente ai sensi delle disposizioni e nei termini previsti dai medesimi atti o, in mancanza, ai sensi dell’articolo 30. le decisioni della corte d’appello sono impugnabili innanzi alla corte di cassazione per i motivi previsti dall’articolo 360 del codice di procedura civile. 7. ai procedimenti disciplinati dal presente articolo ed aventi ad oggetto gli atti pubblici, le transazioni raSSeGna avvocatUra Dello Stato -n. 4/2022 l’introduzione della nuova disposizione intende distinguere i procedimenti in materia di efficacia delle decisioni straniere in base alla fonte regolamentatrice: l’art. 30-bis è, infatti, destinato a regolare i procedimenti previsti dal diritto dell’Unione europea e dalle convenzioni internazionali, mentre, l’art. 30 del D.lgs. n. 150/2011 resterà il rito applicabile per “le controversie aventi ad oggetto l’attuazione di sentenze e provvedimenti stranieri di giurisdizione volontaria”. In sintesi, la novella prevede che, per le ipotesi elencate al comma 1, il procedimento: - si svolga in camera di consiglio in assenza di contraddittorio; -si svolga in base agli artt. 737 e 738 c.p.c. (sui procedimenti in camera di consiglio), pur concludendosi con un decreto contro il quale, entro 60 giorni, può essere promosso ricorso nelle forme del rito semplificato di cognizione. -Si è dunque imposta una modifica sia dell’art. 669-quinquies c.p.c., concernente la competenza cautelare in caso di clausola compromissoria, compromesso o pendenza del giudizio arbitrale, sia dell’art. 669-decies c.p.c. in tema di revoca e modifica delle misure cautelari. Si applica, invece, il rito semplificato di cognizione, di cui agli artt. 281decies e ss. c.p.c. e, dunque, è previsto il contraddittorio: -ai procedimenti sulle domande di diniego del riconoscimento, che siano promosse sulla base degli atti europei elencati dal comma 1 dell’art. 30-bis cit.; -ai procedimenti di diniego del riconoscimento o dell’esecuzione e di accertamento dell’assenza di motivi di diniego del riconoscimento di decisioni già immediatamente esecutive (che non richiedono exequatur) emesse dalle autorità giurisdizionali degli Stati membri in conformità al diritto dell’Unione (comma 4); -ai procedimenti volti ad ottenere la dichiarazione di esecutività di decisioni straniere o in via principale l’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento, o il diniego di tale riconoscimento, allorché l’efficacia delle medesime decisioni si fondi su una convenzione internazionale (comma 5). Per tutti i procedimenti indicati dall’art. 30-bis è competente la corte d’appello, le cui decisioni sono ricorribili in cassazione per i motivi previsti dall’art. 360 c.p.c. *** 14. modifica in materia di rimedi preventivi per l’eccessiva durata del processo l’art. 15, comma 1, del D.lgs. n. 149/2022 interviene sulla legge n. giudiziarie e gli accordi stragiudiziali stranieri si applicano le disposizioni del presente articolo nei limiti e alle condizioni previste dal diritto dell’unione e dalle convenzioni internazionali”. temI IStItUzIonalI 89/2001 (c.d. legge Pinto), con riferimento ai rimedi preventivi per la violazione del termine ragionevole di durata del processo, sostituendo il comma 1 dell’art. 1-ter con il seguente: “1. ai fini della presente legge, nei processi civili costituisce rimedio preventivo a norma dell’articolo 1-bis, comma 1, l’introduzione del giudizio nelle forme del procedimento semplificato di cognizione di cui agli articoli 281-decies e seguenti del codice di procedura civile. costituisce altresì rimedio preventivo formulare richiesta di passaggio dal rito ordinario al rito semplificato a norma dell’articolo 183-bis del codice di procedura civile, entro l’udienza di trattazione e comunque almeno sei mesi prima che siano trascorsi i termini di cui all’articolo 2, comma 2-bis. nelle cause in cui non si applica il rito semplificato di cognizione, ivi comprese quelle in grado di appello, costituisce rimedio preventivo proporre istanza di decisione a seguito di trattazione orale a norma degli articoli 275, commi secondo, terzo e quarto, 281-sexies e 350bis del codice di procedura civile, almeno sei mesi prima che siano trascorsi i termini di cui all’articolo 2, comma 2-bis. nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione collegiale, il giudice istruttore quando ritiene che la causa può essere decisa a seguito di trattazione orale, rimette la causa al collegio a norma dell’articolo 275-bis del codice di procedura civile”. In particolare, la nuova norma opera una modifica di coordinamento, sostituendo il riferimento al rito sommario con quello al rito semplificato di cognizione (disciplinato dal nuovo capo III-quater del libro II, titolo I, del c.p.c., artt. 281-decies e ss.). Inoltre, si prevede che, nelle cause alle quali non si applica il rito semplificato, anche in appello, costituisca rimedio preventivo l’istanza di trattazione orale, non solo proposta a norma dell’art. 281-sexies c.p.c. (decisione a seguito di trattazione orale dinanzi al giudice monocratico, come da normativa vigente), ma anche: -dell’art. 275 c.p.c., comma secondo, (istanza di trattazione orale dinanzi al collegio); -dell’art. 350-bis c.p.c. (decisione a seguito di discussione orale in appello). *** 15. l’arbitrato numerose le modifiche introdotte anche in materia di arbitrato. oltre alle nuove disposizioni tese a rafforzare le garanzie di indipendenza e imparzialità degli arbitri (25), degna di nota è la nuova disciplina della translatio iudicii tra giudizio arbitrale e giudizio ordinario e viceversa. (25) Si segnala, ad esempio, che: a) all’art. 810, al terzo comma, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: “la nomina avviene nel rispetto di criteri che assicurano trasparenza, rotazione ed efficienza e, a tal fine, della nomina viene data notizia sul sito dell’ufficio giudiziario”; b) all’art. 813, il primo comma è sostituito dal seguente: “l’accettazione degli arbitri è data per iscritto, anche mediante sottoscrizione del compromesso o del verbale della prima riunione, ed è accompagnata, a pena di nullità, raSSeGna avvocatUra Dello Stato -n. 4/2022 anzitutto con una disposizione di carattere generale, inserita nel nuovo art. 816-bis.1 c.p.c., si prevede che “la domanda di arbitrato produce gli effetti sostanziali della domanda giudiziale e li mantiene nei casi previsti dall’articolo 819-quater”, sicché gli effetti prodotti dalla domanda arbitrale vengono mantenuti anche nel caso di trasmigrazione del processo avanti al giudice ordinario, nelle ipotesi previste dal nuovo art. 819-quater c.p.c. l’art. 819-quater c.p.c. disciplina nel dettaglio la riassunzione della causa tra giudizio ordinario e arbitrato, in entrambi i sensi, disponendo che: “Il processo instaurato davanti al giudice continua davanti agli arbitri se una delle parti procede a norma dell’articolo 810 entro tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza con cui è negata la competenza in ragione di una convenzione di arbitrato o dell’ordinanza di regolamento. Il processo instaurato davanti agli arbitri continua davanti al giudice competente se la riassunzione della causa ai sensi dell’articolo 125 delle disposizioni di attuazione del presente codice avviene entro tre mesi dal passaggio in giudicato del lodo che declina la competenza arbitrale sulla lite o dalla pubblicazione della sentenza o dell’ordinanza che definisce la sua impugnazione. le prove raccolte nel processo davanti al giudice o all’arbitro dichiarati non competenti possono essere valutate come argomenti di prova nel processo riassunto ai sensi del presente articolo. l’inosservanza dei termini fissati per la riassunzione ai sensi del presente articolo comporta l’estinzione del processo. si applicano gli articoli 307, quarto comma, e 310”. viene quindi prevista la possibilità, in tutte le ipotesi di declinatoria di competenza (dall’arbitro al giudice e dal giudice all’arbitro) di mantenere salvi gli effetti della domanda attraverso la riassunzione, ovvero (nel caso di dichiarata competenza arbitrale) predisposizione ad opera delle parti di tutte le attività necessarie all’instaurazione del processo. Un ulteriore rilevante intervento in tema di arbitrato è la disciplina dei poteri cautelari da parte degli arbitri rituali. In concreto, il riconoscimento dei poteri cautelari all’arbitro non viene attuato in modo generalizzato, ma circoscritto alle sole ipotesi di libera e consapevole scelta ad opera delle parti compromittenti. In questo senso l’art. 818 c.p.c. viene dunque modificato prevedendo che: “le parti anche mediante rinvio a regolamenti arbitrali, possono attribuire agli arbitri il potere di emanare da una dichiarazione nella quale è indicata ogni circostanza rilevante ai sensi dell’articolo 815, primo comma, ovvero la relativa insussistenza. l’arbitro deve rinnovare la dichiarazione in presenza di circostanze sopravvenute. In caso di omessa dichiarazione o di omessa indicazione di circostanze che legittimano la ricusazione, la parte può richiedere, entro dieci giorni dalla accettazione o dalla scoperta delle circostanze, la decadenza dell’arbitro nei modi e con le forme di cui all’articolo 813-bis”; c) all’art. 815, primo comma, è aggiunto, in fine, il seguente numero: “6-bis) se sussistono altre gravi ragioni di convenienza, tali da incidere sull’indipendenza o sull’imparzialità dell’arbitro”. temI IStItUzIonalI misure cautelari con la convenzione di arbitrato o con atto scritto anteriore all’instaurazione del giudizio arbitrale”. Il riconoscimento del potere cautelare in capo agli arbitri è peraltro contemperato e coordinato con l’attribuzione del potere cautelare in capo all’autorità giudiziaria onde evitare una potestas concorrente tra arbitri e giudici ordinari. a tal fine, all’art. 818 c.p.c. sono introdotte le ulteriori disposizioni per le quali: “la competenza cautelare attribuita agli arbitri è esclusiva. Prima dell’accettazione dell’arbitro unico o della costituzione del collegio arbitrale, la domanda cautelare si propone al giudice competente ai sensi dell’articolo 669-quinquies”. Inoltre, ai sensi del nuovo art. 818-bis c.p.c.: “contro il provvedimento degli arbitri che concede o nega una misura cautelare è ammesso reclamo a norma dell’articolo 669‑terdecies davanti alla corte di appello, nel cui distretto è la sede dell’arbitrato, per i motivi di cui all’articolo 829, primo comma, in quanto compatibili, e per contrarietà all’ordine pubblico” (26). Degna di nota, infine, è la modifica dell’art. 828 c.p.c. ove si prevede che l’impugnazione del lodo “non è più proponibile decorsi sei mesi dalla data dell’ultima sottoscrizione”, anziché dalla data di un anno, come sino ad oggi avveniva. In questo senso, la modifica risponde all’esigenza di uniformare il c.d. termine lungo per l’impugnazione del provvedimento decisorio di primo grado, sino ad oggi incongruamente diversificato tra sentenza e lodo. *** 16. modifiche in materia di mediazione 16.1 Disciplina transitoria ai sensi dell’art. 41, comma 1 (27), del D.lgs. 149/2022 (disposizioni transitorie delle modifiche al decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28), “le disposizioni di cui all’articolo 2, comma 2, e di cui all’articolo 7, comma 1, lettere c), numero 3), d), e), f, g), h), t), u), v), z), aa) e bb), si applicano a decorrere dal 30 giugno 2023” (28). ne deriva che per le altre disposizioni, diverse da quelle espressamente indicate, il termine di entrata in vigore resta individuato dalla disposizione generale di cui all’art. 35, comma 1, nel 28 febbraio 2023. (26) È disciplinata altresì l’attuazione dei provvedimenti cautelari concessi dagli arbitri. con l’introduzione dell’art. 818-ter c.p.c. si prevede che “Il giudice ordinario mantiene altresì la competenza per l’eventuale fase di attuazione della misura”. viene così stabilito che “l’attuazione delle misure cautelari concesse dagli arbitri è disciplinata dall’articolo 669-duodecies e si svolge sotto il controllo del tribunale nel cui circondario è la sede dell’arbitrato o, se la sede dell’arbitrato non è in Italia, il tribunale del luogo in cui la misura cautelare deve essere attuata. resta salvo il disposto degli articoli 677 e seguenti in ordine all’esecuzione dei sequestri concessi dagli arbitri. competente è il tribunale previsto dal primo comma”. (27) comma così modificato dall’art. 1, comma 380, lett. c), n. 1), l. 29 dicembre 2022, n. 197, a decorrere dal 1° gennaio 2023. (28) la disposizione è stata così modificata dall’art. 37 del D.l. 24 febbraio 2023, n. 13, che ha aggiunto le parole “all’articolo 2, comma 2, e di cui”. raSSeGna avvocatUra Dello Stato -n. 4/2022 16.2 le novità molteplici sono gli interventi della riforma sul testo del D.lgs. n. 28/2010 (29). le modifiche sono, per un verso, finalizzate ad incentivare il ricorso alla mediazione e agli altri strumenti di risoluzione stragiudiziale delle controversie, prevedendosi maggiori incentivi fiscali che in passato (30), la possibilità di accedere al patrocinio a spese dello Stato (31) e un ampliamento delle materie soggette alla mediazione obbligatoria. Per altro verso, il D.lgs. n. 149/2022 ha irrigidito il regime di improcedibilità della domanda giudiziale. Di seguito le norme di maggiore impatto per l’avvocatura dello Stato. all’art. 4 (accesso alla mediazione), comma 1, si prevede adesso che “... la competenza [territoriale] dell’organismo è derogabile su accordo delle parti”. l’art. 5 (condizione di procedibilità e rapporti con il processo), profondamente rivisitato, prevede adesso che il ricorso alla mediazione in via preventiva è obbligatorio anche per le controversie in materia di contratti di associazione in partecipazione, di consorzio, di franchising, di opera, di rete, di somministrazione, di società di persone e di subfornitura (comma 1) (32). Il comma 2 ribadisce che la mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziaria e che l’improcedibilità può essere eccepita dal convenuto o rilevata dal giudice d’ufficio. con l’aggiunta di un ultimo periodo viene chiarito che, qualora il giudice abbia fissato un’ulteriore udienza perché nella prima ha rilevato che la mediazione non è stata esperita o non si è conclusa (33), in tale udienza deve accertare se la mediazione sia stata effettuata ovvero dichiarare l’improcedibilità della domanda. Il comma 3 fa salve le procedure alternative previste da leggi speciali nelle materie soggette a mediazione obbligatoria: l’istituto della risoluzione delle controversie in materia bancaria e creditizia ex art. 128-bis D.lgs. n. 385/1993, in materia finanziaria (art. 32-ter, D.lgs. n. 58/1998), in materia di assicurazioni private (art. 187.1 D.lgs. n. 209/2005) e le procedure di conciliazione o di arbitrato presso le autorità Indipendenti nei casi di controversie (29) le problematiche applicative della riforma della mediazione sull’attività dell’avvocatura dello Stato potranno essere oggetto di separate istruzioni. (30) le agevolazioni fiscali sono contenute nell’art. 20 del D.lgs. n. 28/2010. (31) v. artt. da 15-bis a 15-undecies del nuovo capo II-bis del D.lgs. n. 28/2010. (32) art. 5 comma 1: “chi intende esercitate in giudizio un’azione relativa a una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, associazione in partecipazione, consorzio, franchising, opera, rete, somministrazione, società di persone e subfornitura, è tenuto preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente capo”. (33) Il termine di conclusione è quello indicato nel successivo art. 6: tre mesi prorogabile di ulteriori tre con l’accordo delle parti. temI IStItUzIonalI insorte tra utenti e soggetti esercenti il servizio (art. 2, comma 24, lettera b, l. n. 481/1995). Il comma 4 stabilisce che la condizione di procedibilità si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo di conciliazione. Il comma 5 dispone che lo svolgimento della mediazione non preclude la concessione dei provvedimenti urgenti e cautelari né la trascrizione della domanda giudiziale. Il comma 6 elenca, infine, i casi in cui non si applica il regime di improcedibilità stabilito dal comma 1 né la mediazione può essere demandata dal giudice ai sensi dell’art. 5-quater. Si tratta dei medesimi casi già previsti dal precedente testo con l’aggiunta di quello indicato alla lettera h), ovvero l’azione inibitoria regolamentata dall’art. 37 D.lgs. n. 206/2005 (codice del consumo) (34). l’art. 7, lett. e), del D.lgs. n. 149/2022 ha introdotto l’art. 5-bis (Procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo), ponendo in tal caso l’onere di presentare la domanda di mediazione sulla parte che ha proposto ricorso per decreto ingiuntivo. Il giudice alla prima udienza provvede sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione se formulate e, accertato il mancato esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di durata massima del procedimento di mediazione di cui all’articolo 6. a tale udienza, se la mediazione non è stata esperita, dichiara l’improcedibilità della domanda giudiziale proposta con il ricorso per decreto ingiuntivo, revoca il decreto opposto e provvede sulle spese (la norma fa proprio il principio stabilito da cass. SS.UU. n. 19596/2020). Di particolare rilievo è poi l’art. 5-quater (mediazione demandata dal giudice), in base al quale “1. Il giudice, anche in sede di giudizio di appello, fino al momento della precisazione delle conclusioni, valutata la natura della (34) art. 6: “Il comma 1 e l’articolo 5-quater non si applicano: a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione, secondo quanto previsto dall’articolo 5-bis; b) nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all’articolo 667 del codice di procedura civile; c) nei procedimenti di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, di cui all’articolo 696-bis del codice di procedura civile; d) nei procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all’articolo 703, terzo comma, del codice di procedura civile; e) nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata; f) nei procedimenti in camera di consiglio; g) nell’azione civile esercitata nel processo penale; h) nell’azione inibitoria di cui all’articolo 37 del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206”. raSSeGna avvocatUra Dello Stato -n. 4/2022 causa, lo stato dell’istruzione, il comportamento delle parti e ogni altra circostanza, può disporre, con ordinanza motivata, l’esperimento di un procedimento di mediazione. con la stessa ordinanza fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6. 2. la mediazione demandata dal giudice è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. si applica l’articolo 5, commi 4, 5 e 6. 3. all’udienza di cui al comma 1, quando la mediazione non risulta esperita, il giudice dichiara l’improcedibilità della domanda giudiziale”. nel silenzio della disposizione, non è chiaro quale sia la conseguenza del mancato esperimento del tentativo di mediazione demandato in appello. onde evitare sfavorevoli e irrimediabili effetti della impugnazione proposta nell’interesse delle amministrazioni patrocinate, in sede di prima applicazione della norma, si suggerisce di attivarsi per esperire il procedimento di mediazione, onde evitare il rischio di una pronuncia di improcedibilità che possa far passare in giudicato la sentenza appellata. Parimenti rilevante è l’art. 5-sexies (mediazione su clausola contrattuale o statutaria). nella nuova disposizione è collocato l’istituto della mediazione convenzionalmente pattuita, precedentemente contenuta nel novellato comma 5 dell’art. 5. Il legislatore della riforma ha avvertito l’esigenza di chiarire che l’esperimento della mediazione prevista in una clausola contrattuale o statutaria costituisce, al pari della previsione di legge, “condizione di procedibilità della domanda giudiziale”. l’art. 6 (durata), come riformulato, prevede che “1. Il procedimento di mediazione ha una durata non superiore a tre mesi, prorogabile di ulteriori tre mesi dopo la sua instaurazione e prima della sua scadenza con accordo scritto delle parti. 2. Il termine di cui al comma 1 decorre dalla data di deposito della domanda di mediazione o dalla scadenza del termine fissato dal giudice per il deposito della stessa e, anche nei casi in cui il giudice dispone il rinvio della causa ai sensi dell’articolo 5, comma 2, ovvero ai sensi dell’articolo 5-quater, comma 1, non è soggetto a sospensione feriale. 3. se pende il giudizio, le parti comunicano al giudice la proroga del termine di cui al comma 1”. l’art. 7 (effetti sulla ragionevole durata del processo) chiarisce che “1. Il periodo di cui all’articolo 6 e il periodo del rinvio disposto dal giudice ai sensi dell’articolo 5, comma 2 e dell’articolo 5-quater, comma 1, non si computano ai fini di cui all’articolo 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89”. l’art. 8 (Procedimento) disciplina, con maggiore dettaglio che in passato, l’iter di svolgimento (commi 1, 3 e 6). È opportuno sottolineare che il comma 2, con norma di carattere sostanziale, precisa che “dal momento in cui la comunicazione di cui al comma 1 perviene a conoscenza delle parti, la domanda di mediazione produce sulla temI IStItUzIonalI prescrizione gli effetti della domanda giudiziale e impedisce la decadenza per una sola volta. la parte può a tal fine comunicare all’altra parte la domanda di mediazione già presentata all’organismo di mediazione, fermo l’obbligo dell’organismo di procedere ai sensi del comma 1”. I commi 4 e 5, entrambi di nuova formulazione, sono invece rilevanti per avere chiarito che la presenza dei difensori delle parti è di norma necessaria, giacché “4. le parti partecipano personalmente alla procedura di mediazione. In presenza di giustificati motivi, possono delegare un rappresentante a conoscenza dei fatti e munito dei poteri necessari per la composizione della controversia. I soggetti diversi dalle persone fisiche partecipano alla procedura di mediazione avvalendosi di rappresentanti o delegati a conoscenza dei fatti e muniti dei poteri necessari per la composizione della controversia. [ ... ]” e “5. nei casi previsti dall’articolo 5, comma 1, e quando la mediazione è demandata dal giudice, le parti sono assistite dai rispettivi avvocati”. Il comma 7 sancisce la facoltà del mediatore di avvalersi di esperti iscritti negli albi dei consulenti presso i tribunali con onere a carico delle parti. al momento della nomina dell’esperto, le parti possono convenire la producibilità in giudizio della sua relazione, anche in deroga all’articolo 9. In tal caso, la relazione è valutata ai sensi dell’art. 116, comma primo, c.p.c. l’art. 8-bis (mediazione in modalità telematica) detta le regole di svolgimento della mediazione con modalità telematiche per quanto concerne gli atti delle parti e del mediatore e prevede anche la possibilità di sedute con collegamento audiovisivo da remoto, ma con possibilità di ciascuna parte di chiedere al responsabile dell’organismo di mediazione di partecipare in presenza. Il verbale delle sedute e l’eventuale accordo, redatti come documento elettronico, nei casi di cui all’art. 5, comma 1, e quando la mediazione è demandata dal giudice, è inviato dal mediatore non solo alle parti ma anche agli avvocati che lo sottoscrivono con le stesse modalità. Una volta che il documento è stato sottoscritto dagli avvocati, lo stesso viene restituito al mediatore, che lo firma a sua volta in modalità digitale, per poi trasmetterlo agli avvocati, se nominati, e alla segreteria dell’organismo in cui si è svolta la mediazione. l’art. 11 (conclusione del procedimento) disciplina le diverse ipotesi di mancato accordo o di raggiungimento dello stesso. nel primo caso il mediatore deve darne atto nel verbale e può formulare alle parti una proposta di conciliazione. vi è invece tenuto se le parti gliene fanno concorde richiesta. Prima della formulazione della proposta, il mediatore informa le parti delle possibili conseguenze di cui all’art. 13 in tema di spese del futuro giudizio. Il comma 3 prevede che “l’accordo di conciliazione contiene l’indicazione del relativo valore”; mentre il comma 6, all’ultimo periodo, che “È fatto raSSeGna avvocatUra Dello Stato -n. 4/2022 obbligo all’organismo di conservare copia degli atti dei procedimenti trattati per almeno un triennio dalla data della loro conclusione”. Degno di attenzione particolare, per i suoi riflessi rispetto all’attività dell’avvocatura nel favorire la conciliazione della lite in potenza o in atto nei casi in cui essa appaia particolarmente opportuna, è l’art. 11-bis (accordo di conciliazione sottoscritto dalle amministrazioni pubbliche). con norma evidentemente finalizzata a stimolare la definizione positiva della mediazione, si prevede che “ai rappresentanti delle amministrazioni pubbliche, di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, che sottoscrivono un accordo di conciliazione si applica l’articolo 1, comma 01.bis della legge 14 gennaio 1994, n. 20” (35). I funzionari che sottoscrivono l’accordo non sono dunque soggetti a responsabilità contabile se non nel caso di dolo o colpa grave consistenti nella negligenza inescusabile derivante dalla grave violazione di legge o da travisamento dei fatti. l’art. 12 (efficacia esecutiva ed esecuzione) distingue l’ipotesi nella quale all’accordo abbiano preso parte gli avvocati (costituisce titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, l’esecuzione per consegna e rilascio, l’esecuzione degli obblighi di fare e non fare, nonché per l’iscrizione di ipoteca giudiziale) dall’ipotesi opposta nella quale, per attribuire analoga efficacia di titolo esecutivo, occorre sottoporre l’accordo al procedimento giudiziale di omologazione con decreto del Presidente del tribunale, previo accertamento della regolarità formale e del rispetto delle norme imperative e del- l’ordine pubblico. l’art. 12-bis (conseguenze processuali della mancata partecipazione al procedimento di mediazione), di nuova introduzione, detta una norma tesa a favorire la partecipazione alla procedura di mediazione, prevendendo, al comma 1, conseguenze sfavorevoli per la parte che vi si sottragga immotivatamente in termini di “argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile” che il giudice potrà desumere dalla scelta della parte di disertare l’invito. (35) Il richiamo contenuto nel nuovo art. 11-bis del D.lgs. n. 28/2010 deve intendersi riferito al n. 1.1. e non al 01.bis dell’art. 1 della legge n. 20/1994. che si tratti di un refuso della nuova norma lo si evince dal contenuto della legge delega richiamato nella relazione illustrativa dove si legge (p. 125) “la lettera g) del comma 4 dell’unico articolo della legge delega contiene un criterio di delega volto ad incentivare la conclusione di accordi da parte delle amministrazioni pubbliche, disponendo che per i rappresentanti delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, la conciliazione nel procedimento di mediazione ovvero in sede giudiziale non dà luogo a responsabilità contabile, salvo il caso in cui sussista dolo o colpa grave, consistente nella negligenza inescusabile derivante dalla grave violazione della legge o dal travisamento dei fatti. oltre alle modifiche all’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, è stato inserito l’articolo 11-bis nel d.lgs. n. 28 del 2010, al fine di effettuare un espresso richiamo alla nuova disposizione della legge n. 20 del 1994 applicabile nei casi di accordo conciliativo sottoscritto, in sede di mediazione, dalle amministrazioni pubbliche”. temI IStItUzIonalI I commi 2 e 3 sanzionano più gravemente i casi nei quali la mediazione costituisca condizione di procedibilità: “2. quando la mediazione costituisce condizione di procedibilità, il giudice condanna la parte costituita che non ha partecipato al primo incontro senza giustificato motivo al versamento all’entrata del bilancio dello stato di una somma di importo corrispondente al doppio del contributo unificato dovuto per il giudizio. 3. nei casi di cui al comma 2, con il provvedimento che definisce il giudizio, il giudice, se richiesto, può altresì condannare la parte soccombente che non ha partecipato alla mediazione al pagamento in favore della controparte di una somma equitativamente determinata in misura non superiore nel massimo alle spese del giudizio maturate dopo la conclusione del procedimento di mediazione”. Infine, il comma 4, con norma di particolare rigore per le Pubbliche amministrazioni, prevede che “4. quando provvede ai sensi del comma 2, il giudice trasmette copia del provvedimento adottato nei confronti di una delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, al pubblico ministero presso la sezione giurisdizionale della corte dei conti [...]”. Sostanzialmente confermata la diversa previsione di cui all’art. 13 (spese processuali in caso di rifiuto della proposta di conciliazione). *** 17. negoziazione assistita art. 9 D.lgs. n. 149/2022. modifiche al D.l. 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162. 17.1 Disciplina transitoria ai sensi dell’art. 41, comma 4 (36), del D.lgs. n. 149/2022 (disposizioni transitorie delle modifiche al decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28), “4. le disposizioni di cui all’articolo 9, comma 1, lettere e) e l), si applicano a decorrere dal 30 giugno 2023”. ne deriva che per le altre disposizioni dell’art. 9, diverse da quelle espressamente indicate, il termine di entrata in vigore resta individuato dalla disposizione generale di cui all’art. 35, comma 1, nel 28 febbraio 2023. 17.2 le novità come noto, l’istituto è stato introdotto dagli artt. da 2 a 11 del D.l. n. 132/2014 e consiste in un accordo tra le parti finalizzato a risolvere in via amichevole la controversia. la convenzione, redatta in forma scritta a pena di nullità, deve indicare l’oggetto della controversia e il termine concordato dalle parti per la conclusione della procedura, in ogni caso non inferiore a un mese non superiore a tre mesi, fatto salvo un possibile rinnovo di 30 giorni. come nel caso della mediazione, il legislatore si è mosso nel duplice (36) comma così modificato dall’art. 1, comma 380, lett. c), n. 3), l. 29 dicembre 2022, n. 197, a decorrere dal 1° gennaio 2023. raSSeGna avvocatUra Dello Stato -n. 4/2022 senso di prevedere sia incentivi fiscali che la possibilità del patrocinio a spese dello Stato (37). l’esperimento del procedimento di negoziazione assistita, ai sensi dell’art. 3(improcedibilità) del D.l. 132/2014, è condizione di procedibilità dell’azione in specifiche materie: 1. domande giudiziali relative a controversie in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti; 2. domande di pagamento, a qualsiasi titolo, di somme non superiori a € 50.000. ai sensi del comma 3, “la disposizione di cui al comma 1 non si applica: a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione; b) nei procedimenti di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, di cui all’articolo 696-bis del codice di procedura civile; c) nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata; d) nei procedimenti in camera di consiglio; e) nell’azione civile esercitata nel processo penale”. mentre, ai sensi del comma 4, analogamente che per la mediazione, “l’esperimento del procedimento di negoziazione assistita nei casi di cui al comma 1 non preclude la concessione di provvedimenti urgenti e cautelari, né la trascrizione della domanda giudiziale”. Sostanzialmente immutate, a seguito della riforma, sono le conseguenze che l’art. 4 (non accettazione dell’invito e mancato accordo) prevede per il caso di esito negativo della negoziazione, in termini di potenziali spese di giudizio e responsabilità aggravata. l’art. 9, comma 1, lett. c) n. 2), del d.lgs. n. 149/2022 ha soppresso all’art. 2, comma 2, lett. b), le parole “o vertere in materia di lavoro”, sicché non è più precluso lo strumento della negoziazione assistita per le relative controversie che viene, infatti, disciplinata dall’art. 2-ter con la previsione espressa che in tal caso “le parti possono ricorrere alla negoziazione assistita senza che ciò costituisca condizione di procedibilità della domanda giudiziale”. l’art. 9, comma 1, lett. c) n. 3), del D.lgs. n. 149/2022 ha aggiunto all’art. 2 del D.l. 132/2014 il comma 2-bis prevedendo la possibilità di acquisire dichiarazioni di terzi su fatti rilevanti e dichiarazioni della controparte su fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli all’altra parte, nonché la possibilità di svolgere la negoziazione con modalità telematiche e gli incontri con collegamenti audiovisivi a distanza. la disciplina di dettaglio del procedimento di acquisizione di dichiarazioni da parte dei terzi -che deve essere stata preventivamente prevista nella convenzione di negoziazione -nonché l’efficacia delle stesse nel successivo giudizio di cognizione (art. 116, comma 1, c.p.c.) e l’ipotesi di mancata presentazione o rifiuto di rendere dichiarazioni da parte del terzo sono collocate nell’art. 4-bis (acquisizione di dichiarazioni), inserito dall’art. 9, comma 1, lett. g), D.lgs. n. 149/2022. (37) v. artt. da 11-bis a 11-undecies D.l. 132/2014. temI IStItUzIonalI la riforma ha pure previsto una nuova fattispecie di reato in caso di rilascio di dichiarazioni false (38). Il nuovo art. 2-bis prevede la possibilità di svolgere la negoziazione assistita con modalità telematiche. tale modalità (nonché i collegamenti audiovisivi da remoto) è esclusa, ai sensi del comma 3, per l’acquisizione delle dichiarazioni del terzo di cui all’articolo 4-bis. l’art. 4-ter (dichiarazioni confessorie), disciplina invece le dichiarazioni rese dalla controparte, se la convenzione di negoziazione ne prevede la possibilità di acquisizione, “su fatti specificamente individuati e rilevanti in relazione all’oggetto della controversia, ad essa sfavorevoli e favorevoli alla parte nel cui interesse sono richieste”. In tal caso “la dichiarazione è resa e sottoscritta dalla parte e dall’avvocato che la assiste anche ai fini della certificazione dell’autografia”. Di notevole importanza sono i commi 2 e 3 dell’art. 4-ter che sanciscono l’efficacia della dichiarazione della parte (confessione stragiudiziale) e il suo ingiustificato rifiuto di renderla: “2. Il documento contenente la dichiarazione di cui al comma 1 fa piena prova di quanto l’avvocato attesta essere avvenuto in sua presenza e può essere prodotto nel giudizio iniziato dalle parti della convenzione di negoziazione assistita. tale documento ha l’efficacia ed è soggetto ai limiti previsti dall’articolo 2735 del codice civile. 3. Il rifiuto ingiustificato di rendere dichiarazioni sui fatti di cui al comma 1 è valutato dal giudice ai fini delle spese del giudizio, anche ai sensi dell’articolo 96, commi primo, secondo e terzo, del codice di procedura civile”. Sostanzialmente immutato, fatta eccezione per la prescrizione di indicare il valore dell’accordo che compone la controversia (comma 1-bis), è rimasto l’art. 5 (esecutività dell’accordo raggiunto a seguito della convenzione e trascrizione). Si rammenta, infine, -ancorché la disposizione non sia stata oggetto di modifica da parte del D.lgs. n. 149/2022 -che, ai sensi dell’art. 8 (Interruzione della prescrizione e della decadenza), “dal momento della comunicazione dell’invito a concludere una convenzione di negoziazione assistita ovvero della (38) la falsità delle dichiarazioni rese è sanzionata ai sensi dell’art. 371-ter, c.p. (false dichiarazioni al difensore), come modificato dall’art. 5 del D.lgs. n. 149/2022 che ha aggiunto alla fattispecie di reato i commi 3 e 4: “nelle ipotesi previste dall’articolo 4-bis del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, della legge 10 novembre 2014, n. 162, chiunque, non essendosi avvalso della facoltà di cui al comma 2, lettere b) e c), del medesimo articolo, rende dichiarazioni false è punito con la pena prevista dal primo comma. Il procedimento penale resta sospeso fino alla conclusione della procedura di negoziazione assistita nel corso della quale sono state acquisite le dichiarazioni ovvero fino a quando sia stata pronunciata sentenza di primo grado nel giudizio successivamente instaurato, nel quale una delle parti si sia avvalsa della facoltà di cui all’articolo 4-bis, comma 6, del decreto-legge n. 132 del 2014, convertito con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, della legge n. 162 del 2014, ovvero fino a quando tale giudizio sia dichiarato estinto”. raSSeGna avvocatUra Dello Stato -n. 4/2022 sottoscrizione della convenzione si producono sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale. dalla stessa data è impedita, per una sola volta, la decadenza, ma se l’invito è rifiutato o non è accettato nel termine di cui all’articolo 4, comma 1, la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza decorrente dal rifiuto, dalla mancata accettazione nel termine ovvero dalla dichiarazione di mancato accordo certificata dagli avvocati”. *** 18. Disposizioni in materia di giustizia digitale e di processo civile telematico nell’ambito delle disposizioni relative, in senso ampio, al processo civile telematico, si segnalano, in particolare: 18.1 le “disposizioni relative alla giustizia digitale”, contenute nel neo introdotto titolo v-ter disp. att. c.p.c. (che, quanto al capo I sono efficaci dal 1° gennaio 2023 e applicate ai giudizi civili pendenti avanti al tribunale, alla corte d’appello e alla corte di cassazione); 18.2 le “modjflche in materia di processo civile telematico”, contenute nella sezione II del D.lgs. n. 149/2022 e relative, per la parte che qui ora interessa, alla notificazione degli atti processuali. *** 18.1 Disposizioni relative alla giustizia digitale 18.1.1 Obbligo di deposito telematico degli atti processuali In via preliminare, si ricorda che, come rappresentato nella circolare n. 74/2022, ai sensi dell’art. 196-quater disp. att. c.p.c. è ormai divenuto obbligatorio il deposito telematico degli atti processuali (39) in tutti i procedimenti civili pendenti davanti al tribunale, alla corte di appello e alla corte di cassazione (40) (41). (39) Per i “dipendenti di cui si avvalgono le pubbliche amministrazioni per stare in giudizio personalmente”, le disposizioni di cui agli articoli 196-quater e 196-sexies disp. att. c.p.c., relative alla obbligatorietà dei depositi telematici, si applicano dal 28 febbraio 2023, secondo quanto previsto dall’articolo 35, comma 2, ultimo periodo, del D.lgs. 149/2022, nel testo risultante all’esito delle modifiche introdotte dall’articolo 1, comma 380, lett. a), della legge n. 197/2022. Per completezza va rilevato che il combinato disposto di questa disposizione con il contestuale venire meno della disciplina emergenziale -introdotta dall’articolo 83, comma 11, del D.l 17 marzo 2020, n. 18 (convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27), poi confermata dall’articolo 221 del D.l. 19 maggio 2000, n 34, nonché, da ultimo, dall’articolo 16 del D.l. 30 dicembre 2021, n. 228 (convertito, con modificazioni, dalla legge 22 febbraio 2022, n. 15) -ha fatto sì che, per i citati funzionari, l’obbligatorietà del deposito telematico (avanti al tribunale e alla corte d’appello) è venuta meno a decorrere dal 1° gennaio 2023, per essere ripristinata dal 28 febbraio 2023. (40) l’articolo 35, comma 3, lettere a) e b), del decreto-legge 24 febbraio 2023, n. 13, ha modificato l’articolo 196-quater disp. att. c.p.c., rispettivamente estendendo l’obbligo di deposito telematico (nei procedimenti avanti al Giudice di pace, al tribunale e alla corte d’appello) anche al Pubblico ministero e prevedendo che “Il deposito dei provvedimenti del giudice e dei verbali di udienza” abbia “luogo con modalità telematiche”. Il successivo comma 4 dello stesso articolo 35 D.l. 13/2023 stabilisce, temI IStItUzIonalI 18.1.2 attestazioni di conformità Quanto alle attestazioni di conformità degli atti da depositare telematicamente, si segnala che l’art. 11 del D.lgs. 149/2022 ha abrogato le disposizioni di cui agli articoli 16-bis, 16-septies, 16-decies e 16-undecies del D.l. n. 179/2012 il cui contenuto, senza modificazioni sostanziali (42), risulta ora inserito negli articoli da 196-octies a 196-undecies disp. att. c.p.c. (titolo v-ter disposizioni relative alla giustizia digitale). tali ultime disposizioni, tuttavia, ai sensi dell’art. 35 del D.lgs. n. 149/2022, si applicheranno unicamente ai procedimenti introdotti successivamente al 28 febbraio 2023. ne deriva che, dal 1° marzo 2023, ci sarà una sorta di doppio binario anche nelle formule da adottare nelle attestazioni di conformità, menzionando le “vecchie” norme in relazione ai procedimenti che siano già pendenti alla data del 28 febbraio 2023, mentre si dovrà far riferimento alle nuove disposizioni di attuazione in relazione alle attestazioni relative ai procedimenti di nuova iscrizione. In una prospettiva pratica, in linea con le indicazioni proposte in precedenza, si suggerisce di adottare delle formule onnicomprensive, quale la dicitura “ai sensi di legge” (43). 18.2. modifiche in materia di processo civile telematico: le notificazioni degli atti processuali (44) 18.2.1 Obbligo di notificazione a mezzo PeC l’art. 3-ter della legge n. 53/1994 inserito dall’art. 12, comma 1, lett. b), D.lgs. n. 149/2022, applicabile ai giudizi instaurati a decorrere dal 1° marzo altresì, che tali disposizioni “hanno effetto a decorrere dal 1° marzo 2023 e si applicano anche ai procedimenti già pendenti a quella data”. (41) Si ricorda altresì che riguardo al deposito telematico davanti al Giudice di pace, al tribunale per minorenni, al commissario per la liquidazione degli usi civici e al tribunale superiore delle acque pubbliche, l’art. 35, comma 3, del D.lgs. n. 149/2022, nel testo risultante all’esito delle modifiche introdotte dal citato articolo 1, comma 380, lett. a), della l. n. 197/2022, ne posticipa l’applicazione “a decorrere dal 30 giugno 2023, anche ai procedimenti pendenti a tale data” (salve anticipazioni disposte con uno o più decreti del ministro della giustizia). Hanno invece trovato applicazione immediata per tutti gli uffici giudiziari (ai sensi dei commi 2 e 3 della stessa diposizione citata nel periodo precedente), sin dal 1° gennaio 2023 ed anche ai giudizi pendenti a tale data, le disposizioni di cui agli articoli 127, terzo comma, 127-bis, 127-ter e 193, secondo comma, c.p.c., nonché l’articolo 196-duodecies disp. att. c.p.c. (disposizioni di cui si è dato conto nella circolare n. 74/2022) sostanzialmente relative allo svolgimento delle udienze da remoto e ai connessi adempimenti o facoltà processuali. (42) va segnalato, rispetto al precedente quadro normativo, l’inserimento dell’art. 196-decies disp. att. c.p.c., che regola il “potere di certificazione di conformità delle copie trasmesse con modalità telematiche all’ufficiale giudiziario”. tale novità va letta in raccordo con la corrispondente modifica dell’art. 149-bis c.p.c. della quale si tratterà più avanti. (43) I relativi modelli, riferiti sia ai casi di notifica che ai casi di deposito, verranno rispettivamente inseriti sulla intranet (nel percorso https://www.avvocaturastato.it/intranet/?q=node/1096) e su nSI, nell’ambito della funzione che permette di apporre l’attestazione sugli atti, anche modificando il testo proposto (nel percorso http://nsi-rm.ads.it/nsiWeb2/auth/utility/calcolosha.seam?exmode=uPd). (44) In questa parte è in realtà contenuta anche -all’art. 11 -la disposizione abrogativa degli artt. 16bis, 16-septies, 16-decies e 16-undecies del D.l. n. 179/2012 di cui si è dato conto in precedenza, nel testo. raSSeGna avvocatUra Dello Stato -n. 4/2022 2023, ha introdotto l’obbligo della notificazione degli atti giudiziali in materia civile e degli atti stragiudiziali a mezzo di posta elettronica certificata (o servizio elettronico di recapito certificato qualificato (45) in tutti i casi in cui sia possibile ricavare il domicilio digitale del destinatario da uno degli elenchi pubblici previsti dall’art. 16-ter del D.l. 179/2012 (46). Il citato art. 3-ter comma 1, dispone dunque che “l’avvocato esegue la notificazione degli atti giudiziali in materia civile e degli atti stragiudiziali a mezzo di posta elettronica certificata o servizio elettronico di recapito certificato qualificato quando il destinatario: a) è un soggetto per il quale la legge prevede l’obbligo di munirsi di un domicilio digitale risultante dai pubblici elenchi; b) ha eletto domicilio digitale ai sensi dell’articolo 3-bis, comma 1-bis, del codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, iscritto nel pubblico elenco dei domicili digitali delle persone fisiche e degli altri enti di diritto privato non tenuti all’iscrizione in albi professionali o nel registro delle imprese ai sensi dell’articolo 6-quater del medesimo decreto”. Il successivo comma 2 stabilisce poi come si deve procedere quando la notificazione a mezzo di posta con modalità telematica “non è possibile o non ha avuto esito positivo” per “causa imputabile al destinatario” e dunque: “a) se il destinatario è un’impresa o un professionista iscritto nell’indice InI-Pec di cui all’articolo 6-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, l’avvocato esegue la notificazione mediante inserimento a spese del richiedente nell’area web riservata prevista dall’articolo 359 del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, dichiarando la sussistenza di uno dei presupposti per l’inserimento; la notificazione si ha per eseguita nel decimo giorno successivo a quello in cui è compiuto l’inserimento; b) se il destinatario è una persona fisica o un ente di diritto privato non tenuto all’iscrizione in albi professionali o nel registro delle imprese e ha eletto (45) con l’espresso riferimento alla notificazione tramite “servizio elettronico di recapito certificato qualificato” il legislatore ha probabilmente inteso rendere il testo normativo sin d’ora compatibile con quanto previsto dal regolamento n. 910/2014 (il cosiddetto regolamento “eIDaS”), che per l’appunto fa riferimento a tale modalità di recapito. (46) come è noto, la legge n. 53/1994, trova applicazione, in base all’art. 1 della legge stessa, per “la notificazione di atti in materia civile, amministrativa e stragiudiziale”; la modifica riportata nel testo, di contro, circoscrive i propri effetti alla sola materia civile e degli atti stragiudiziali; non viene menzionata la materia amministrativa. va però ricordato che l’art. 39, comma 2, del cPa, a sua volta, stabilisce che “le notificazioni degli atti del processo amministrativo sono comunque disciplinate dal codice di procedura civile e dalle leggi speciali concernenti la notificazione degli atti giudiziari in materia civile”. nella descritta situazione di oggettiva incertezza, appare preferibile regolarsi, in via prudenziale e per quanto possibile, come se l’obbligo di notifica telematica, nei casi riportati nel testo, fosse applicabile anche alle notifiche del processo amministrativo. temI IStItUzIonalI il domicilio digitale di cui all’articolo 6-quater del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, l’avvocato esegue la notificazione con le modalità ordinarie”. va precisato che la “area web riservata” menzionata nella sopra riportata lettera a), non è stata ancora attivata. nella situazione regolata dalla disposizione (dunque di impossibilità di procedere alla notificazione telematica nei confronti di un destinatario che abbia l’obbligo di munirsi di un domicilio digitale), l’unica via percorribile, esperita senza successo quella telematica, non potrà che consistere nella notificazione con le modalità ordinarie. Il comma 3 dell’articolo in questione stabilisce poi che se la notificazione con modalità telematica “non è possibile o non ha avuto esito positivo” per “causa non imputabile al destinatario”, la “notificazione si esegue con le modalità ordinarie”. È in relazione alle modifiche dianzi riportate che va dunque letta la contestuale aggiunta, all’art. 137 c.p.c., di un settimo comma, in base al quale: “l’ufficiale giudiziario esegue la notificazione su richiesta dell’avvocato se quest’ultimo non deve eseguirla a mezzo di posta elettronica certificata o servizio elettronico di recapito certificato qualificato, o con altra modalità prevista dalla legge, salvo che l’avvocato dichiari che la notificazione con le predette modalità non è possibile o non ha avuto esito positivo per cause non imputabili al destinatario. della dichiarazione è dato atto nella relazione di notifìcazione”. ciò comporta che ogni qual volta si ritenga di doversi avvalere della notificazione a mezzo dell’ufficiale giudiziario, si dovrà dichiarare o la non ricorrenza dell’obbligo di notificazione telematica, o che essa non è possibile o non ha avuto esito positivo per cause non imputabili al destinatario. 18.2.2. Tempo delle notificazioni telematiche vengono aggiunti due commi all’art. 147 c.p.c., al fine di disciplinare il tempo della notificazione eseguita a mezzo Pec, per dare attuazione alla sentenza della corte costituzionale n. 75/2019. viene quindi previsto che “le notificazioni eseguite ai sensi del secondo comma si intendono perfezionate, per il notificante, nel momento in cui è generata la ricevuta di accettazione e, per il destinatario, nel momento in cui è generata la ricevuta di avvenuta consegna. se quest’ultima è generata tra le ore 21 e le ore 7 del mattino del giorno successivo, la notificazione si intende perfezionata per il destinatario alle ore 7”. 18.2.3 altre modifiche al c.p.c. in materia di notificazioni. si segnalano poi le seguenti, ulteriori novità: a) all’art. 139 c.p.c., il quarto comma è sostituito dal seguente: “se la copia è consegnata al portiere o al vicino, l’ufficiale giudiziario ne dà atto nella relazione di notificazione, specificando le modalità con le quali ne ha accertato l’identità, e dà notizia al destinatario dell’avvenuta notificazione dell’atto, a mezzo di lettera raccomandata”. tale modifica, sopprimendo la firma del portiere o del vicino del destinatario, semplifica l’attività notificatoria raSSeGna avvocatUra Dello Stato -n. 4/2022 dell’ufficiale giudiziario, consentendogli di redigere una relata di notifica in formato esclusivamente digitale. b) viene infine modificato l’art. 149-bis c.p.c. prevedendosi la notificazione a mezzo Pec per gli atti tipicamente propri dell’ufficiale giudiziario (come il pignoramento presso terzi), anche previa estrazione di copia informatica del documento cartaceo, “quando il destinatario è un soggetto per il quale la legge prevede l’obbligo di munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata o servizio elettronico di recapito certificato qualificato risultante dai pubblici elenchi oppure quando il destinatario ha eletto domicilio digitale ai sensi dell’articolo 3-bis, comma 1-bis, del codice dell’amministrazione digitale di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005 n. 82” (47). *** Si allega la relazione illustrativa al D.lgs. n. 149/2022. l’avvocato Generale Gabriella PalmIerI SanDUllI Documento firmato da: PalmIerI GaBrIella 03.03.2023 08:05:50 Utc (omissis) (47) come accennato in precedenza, è per questa ipotesi che è stato inserito l’art. 16-decies disp. att. c.p.c. che ha regolato il potere di attestazione di conformità in caso di invio degli atti all’ufficiale giudiziario. temI IStItUzIonalI Avvocatura Generaledello Stato CirColare n. 25/2023 Oggetto: Definizione delle liti tributarie pendenti, prevista dall’art. 1 (commi da 186 a 204) della l. 29 dicembre 2022, n. 197 (legge di bilancio 2023) pubblicata nella G.U. del 29 dicembre 2022, n. 303, in parte modificata dall’art. 20 del D.l. 30 marzo 2023 n. 34 (in corso di conversione). Gestione del contenzioso. l’art. 1, comma 186, della legge 29 dicembre 2022, n. 197, bilancio di previsione dello stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025 (legge di bilancio 2023) ha previsto che possano essere definite le controversie, attribuite alla giurisdizione tributaria, in cui è parte l’agenzia delle entrate ovvero l’agenzia delle Dogane e dei monopoli, pendenti -alla data di entrata in vigore della legge di bilancio 2023, ossia al 1° gennaio 2023 -in ogni stato e grado del giudizio compreso quello in cassazione e quello instaurato a seguito di rinvio, con il pagamento di un importo peraltro rateizzabile fino a circa 5 anni -pari al valore della controversia calcolato ai sensi dell’art. 12, comma 2, del D.lgs. n. 546/1992. tale importo si riduce al 40%, al 15% ovvero al 5%, nei casi in cui l’agenzia è stata soccombente rispettivamente nel primo grado, nel secondo grado di giudizio ovvero in tutti i precedenti gradi di giudizio. Per le sanzioni “non collegate al tributo” l’importo della definizione è fissato nel 15% del valore della causa se l’agenzia delle entrate è stata soccombente nell’ultima decisione, ovvero nel 40% negli altri casi. le sanzioni “collegate al tributo” non sono dovute anche quando sono oggetto di separata contestazione, sempreché il tributo sia stato definito ai sensi del medesimo comma 191 dell’art. 1, ovvero “anche con modalità diverse”. Il comma 195 prevede che “Per controversia autonoma si intende quella relativa a ciascun atto impugnato”. ne consegue che la definizione può riguardare anche solo uno o più atti impositivi oggetto della medesima controversia. ai sensi del comma 204, il contribuente può avvalersi, alternativamente, anche della definizione agevolata dei giudizi pendenti dinnanzi alla corte di cassazione prevista dall’art. 5 della legge 31 agosto 2022, n. 130 (in relazione alla quale è stata emanata la circolare n. 12/2023). requisiti soggettivi (comma 186) Sono definibili le sole controversie in cui è parte l’agenzia delle entrate ovvero l’agenzia delle Dogane e dei monopoli. la domanda di definizione può essere presentata dal “soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del giudizio o di chi vi è subentrato o ne ha la legittimazione”. requisiti oggettivi (comma 186) raSSeGna avvocatUra Dello Stato -n. 4/2022 Sono astrattamente definibili tutte le controversie, senza limiti di valore, “attribuite alla giurisdizione tributaria in cui è parte l’agenzia delle entrate ovvero l’agenzia delle dogane e dei monopoli”, (comma 186), nelle quali “il ricorso in primo grado è stato notificato alla controparte entro la data di entrata in vigore della presente legge” (comma 192), vale a dire il 1° gennaio 2023. non sono definibili le controversie “per le quali alla data di presentazione della domanda” (che deve essere presentata entro il 30 settembre 2023) risulti emessa una “pronuncia definitiva”, cioè, passata in giudicato (comma 192). a differenza del precedente condono ex art. 6 del D.l. n. 119/2018, che aveva circoscritto la definizione in esame alle sole controversie “aventi ad oggetto atti impositivi”, la formulazione della norma ora in esame non prevede tale limitazione per cui devono ritenersi definibili anche le controversie avverso “atti di mera riscossione” (comprese quelle aventi ad oggetto cartelle per la riscossione di imposte dichiarate e non versate, ovvero avvisi di liquidazione) (1). Sotto tale profilo la disposizione in parola presenta affinità con la definizione prevista dall’art. 11 del D.l. n. 50/2017 che faceva riferimento (come l’attuale comma 195) “all’atto impugnato”. Controversie escluse (comma 193) Sono espressamente escluse dalla definizione le controversie concernenti “anche solo in parte”: a) le risorse proprie tradizionali previste dall’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), delle decisioni 2007/436/ce, euratom del consiglio, del 7 giugno 2007, e 2014/335/ ue, euratom del consiglio, del 26 maggio 2014, e l’imposta sul valore aggiunto riscossa all’importazione; b) le somme dovute a titolo di recupero di aiuti di stato ai sensi dell’articolo 16 del regolamento (ue) 2015/1589 del consiglio, del 13 luglio 2015. Sono, pertanto, da ritenersi definibili le controversie in materia di Iva (non all’importazione). Sono, invece, da ritenersi logicamente escluse dalla definizione le controversie aventi ad oggetto: a) istanze di rimborso (anche a seguito di diniego espresso), in quanto non relative ad una pretesa del fisco (sulla cui base viene determinato l’importo da pagare); b) atti che non contengono una pretesa fiscale quantificata (es. i ricorsi contro provvedimenti di attribuzione di rendita catastale, di cancellazione dal registro delle onlUS, di diniego di benefici o agevolazioni fiscali se non contengano la rideterminazione del tributo in conseguenza del diniego dell’agevolazione, ecc.). (1) e ciò, nonostante la relazione al DDl faccia riferimento ai soli “atti impositivi”; tuttavia il tenore letterale della legge non lascia dubbi sulla definitività anche degli atti meramente riscossivi. temI IStItUzIonalI Controversie in cui sono in causa sia l’agenzia delle entrate (ovvero l’agenzia delle Dogane e dei Monopoli) che aDer come si è detto, sono definibili le sole controversie in cui è parte (anche solo evocata in giudizio o intervenuta) l’agenzia delle entrate ovvero l’agenzia delle Dogane e dei monopoli. conseguentemente non sono definibili le cause in cui è parte esclusivamente aDer. nei casi in cui siano presenti sia una delle due agenzie citate che aDer occorre verificare caso per caso la definibilità della causa. In generale, se l’atto di aDer impugnato (cartella, intimazione di pagamento) riguarda esclusivamente crediti di una delle due agenzie suddette, l’atto (impositivo o di riscossione) sarà suscettibile di definizione. viceversa, qualora l’atto di aDer si riferisca a più crediti di cui non tutti definibili (es. una cartella che oltre a IrPeF contenga anche pretese diverse, quali l’ImU, contributi previdenziali o sanzioni del codice della Strada), l’atto non sarà definibile non essendo possibile scindere il suo contenuto (comma 195). Perfezionamento della definizione (commi 194-199) Il comma 194 prevede che la definizione si perfeziona con la presentazione della domanda e con il pagamento della prima (o dell’unica) rata, da effettuarsi entro il 30 settembre 2023, scomputando le somme eventualmente versate “a qualsiasi titolo in pendenza di giudizio” (comma 196; l’eventuale eccedenza, tuttavia, non può comunque essere rimborsata). ne consegue che il mancato versamento delle rate successive alla prima, non farà venir meno la definizione e la conseguente estinzione del giudizio (e l’amministrazione dovrà, ovviamente, procedere alla riscossione coattiva delle somme ancora dovute). Il medesimo comma 194 prevede che “qualora non ci siano importi da versare, la definizione si perfeziona con la sola presentazione della domanda”. ciò può accadere, ad esempio, allorché in sede di riscossione graduale in corso di causa sia già stata corrisposta una somma pari o superiore a quella prevista per la definizione, ovvero per i giudizi aventi ad oggetto una sanzione collegata ad un tributo richiesto con un avviso oggetto di separata definizione. Sospensione dei giudizi in corso ed estinzione (commi 197 e 198). Il comma 197 prevede che le controversie suscettibili di definizione “non sono sospese, salvo che il contribuente faccia apposita richiesta al giudice, dichiarando di volersi avvalere della definizione agevolata. In tal caso il processo è sospeso fino al 10 ottobre 2023 ed entro la stessa data il contribuente ha l’onere di depositare presso l’organo giurisdizionale innanzi al quale pende la controversia, copia della domanda di definizione e del versamento degli importi dovuti o della prima rata”. Se entro tale data il contribuente deposita presso l’organo giurisdizionale innanzi al quale pende la controversia copia della domanda di definizione e del versamento degli importi dovuti o della prima rata, il comma 198 dispone raSSeGna avvocatUra Dello Stato -n. 4/2022 che “il processo è dichiarato estinto con decreto del presidente della sezione o con ordinanza in camera di consiglio se è stata fissata la data della decisione”, ciò diversamente da quanto previsto dal D.l. 119/2018 che fece precedere l’estinzione da un periodo di sospensione ex lege del processo. Sospensione dei termini (comma 199) Il comma 199 prevede che per le controversie suscettibili di definizione “sono sospesi per undici mesi i termini di impugnazione, anche incidentale, delle pronunce giurisdizionali e di riassunzione, nonché per la proposizione del controricorso in cassazione che scadono tra la data di entrata in vigore del presente decreto e il 31 ottobre 2023”. ne consegue che -ancorchè le cause siano condonabili -non devono ritenersi sospesi: a) i termini per il deposito delle controdeduzioni nei gradi di merito; b) il termine per il deposito dei ricorsi eventualmente notificati. Per quanto concerne il controricorso, invece, tenuto conto della modifica dell’art. 370 c.p.c. (che ha soppresso l’onere di previa notificazione del controricorso, in quanto tale atto deve essere ora esclusivamente depositato, con modalità telematiche, “entro quaranta giorni dalla notificazione del ricorso”), deve ritenersi sospeso il termine per il relativo deposito (che ora esaurisce gli adempimenti necessari per la proposizione del controricorso) ai sensi del menzionato comma 199; c) il termine lungo di impugnazione (di norma semestrale) delle sentenze depositate dal 1° aprile 2023 in poi, nonché il termine breve derivante da notifiche della sentenza eseguite dal 2 settembre 2023 in poi, in quanto entrambi i termini verrebbero a scadere in data successiva al 31 ottobre 2023. ovviamente, resta valida la regola per cui il primo termine che scade deve essere rispettato (cass., SS.UU., n. 21197/2009; cass. n. 27286/2011). Si precisa che trattandosi di un termine di sospensione (e non di proroga), nel termine di undici mesi deve ritenersi assorbito il termine di sospensione feriale (cfr. da ultimo, cass. n. 9438/2017) (2). Diniego di definizione (comma 200) Il comma 200 prevede che “l’eventuale diniego della definizione va notificato entro il 30 settembre 2024 con le modalità previste per la notificazione degli atti processuali” (in mancanza, la definizione deve ritenersi valida) e che avverso tale atto è possibile proporre ricorso “entro sessanta giorni dalla notificazione del medesimo dinanzi all’organo giurisdizionale presso il quale pende la controversia. nel caso in cui la definizione della controversia è richiesta in pendenza del termine per impugnare, la pronuncia giurisdizionale può essere impugnata dal contribuente unitamente al diniego della definizione (2) Per effetto di tale meccanismo tutti i termini verranno tutti a scadere esattamente a distanza di 11 mesi dal termine originario. temI IStItUzIonalI entro sessanta giorni dalla notifica di quest’ultimo ovvero dalla controparte nel medesimo termine”. la norma prevede, quindi, che l’eventuale diniego va impugnato davanti allo stesso giudice presso il quale pende la controversia (e, pertanto, anche davanti alla corte di cassazione) per consentire evidentemente una trattazione congiunta con la causa principale (al riguardo si precisa che da diversi anni la corte di cassazione inserisce il ricorso avverso il diniego all’interno della causa pendente, senza attribuire un nuovo numero di r.g., diversamente da come accadeva in precedenza). l’ultimo periodo prevede, invece, la possibilità per entrambe le parti, in caso di diniego emesso su istanza di definizione presentata tra un grado e l’altro di giudizio, di impugnare l’ultima decisione anche oltre i termini ordinari, purché entro 60 giorni dalla notifica del diniego di definizione. estinzione automatica dei giudizi (comma 198) come già accennato, il comma 198 prevede che “in caso di deposito ai sensi del comma 197 secondo periodo il processo è dichiarato estinto con decreto del presidente della sezione o con ordinanza in camera di consiglio se è stata fissata la data della decisione. le spese del processo restano a carico della parte che le ha anticipate”. la disposizione appare finalizzata a provocare l’estinzione automatica e immediata delle cause definite, senza necessità di apposita istanza e senza l’attesa di termini dilatori. Diversamente dal condono di cui al D.l. n. 119/2018 (per il quale i giudizi venivano dichiarati estinti solo all’esito del pronunciamento dell’agenzia sulla condonabilità della controversia al qual fine era stata prevista la sospensione ex lege del processo fino al 31 dicembre 2020), nel caso in esame la sospensione del processo non è prevista e, dunque, è ben possibile che l’estinzione del giudizio possa essere dichiarata prima che l’agenzia esegua le verifiche dell’ammissibilità della definizione (verifiche possibili fino al 30 settembre 2024). È per questo, dunque, che il comma 201 prevede che “il diniego della definizione è motivo di revocazione del provvedimento di estinzione pronunciato ai sensi del comma 198 e la revocazione è chiesta congiuntamente all’impugnazione del diniego”. effetti verso i condebitori solidali (comma 202) Il comma 202 prevede che “la definizione agevolata perfezionata dal coobbligato giova in favore degli altri, inclusi quelli per i quali la controversia non sia più pendente, fatte salve le disposizioni del secondo periodo del comma 196” (che prevede il divieto di restituzione delle somme già versate, ancorchè eccedenti). Gestione del contenzioso alla luce di quanto sopra esposto, gli avvocati e Procuratori assegnatari di affari tributari avranno cura di verificare le controversie per le quali non raSSeGna avvocatUra Dello Stato -n. 4/2022 opera la sospensione dei termini, e di rimodulare (per le altre) le nuove scadenze (rispetto a quelle risultanti da nSSI) (3). come si è detto, dovranno ritenersi non sospesi: - i termini di impugnazione nelle cause non definibili; -i termini per le controdeduzioni (nei giudizi tributari di merito) nonché per l’iscrizione a ruolo e il deposito di documenti e memorie (anche in cassazione); -il termine lungo di impugnazione delle sentenze depositate dal 1° aprile 2023 in poi, nonché il termine breve derivante da notifiche della sentenza eseguite dal 2 settembre 2023 in poi. Qualora nella stessa causa siano impugnati più atti, uno solo dei quali suscettibile di definizione, la sospensione dei termini prevista per quest’ultimo dovrebbe comportare la sospensione dei termini per l’intera causa (cass. n. 5038/2017). tuttavia, un simile effetto sembra non realizzarsi nel caso di controversie concernenti gli atti espressamente esclusi dalla definizione (comma 193), la cui presenza appare ostativa in toto alla definitività della controversia (i cui termini, pertanto, devono cautelativamente ritenersi non sospesi). la valutazione in ordine alla opportunità o meno di proporre comunque ricorso per cassazione nelle cause il cui termine è sospeso, è rimessa a ciascun titolare dell’affare. occorrerà tuttavia tenere conto che, una volta venuta meno la sospensione dei termini, le originarie scadenze si sommeranno a quelle “ordinarie” medio tempore sopravvenute. a tale riguardo, mentre può ritenersi prevedibile che in relazione a sentenze di secondo grado in cui l’agenzia è soccombente il contribuente si avvalga del condono (in quanto gli è sufficiente pagare, al più, il solo 15% del tributo) (4), non altrettanto può ritenersi laddove sia vittoriosa l’amministrazione e controparte abbia proposto ricorso nonostante la sospensione dei termini per impugnare (in questi casi la scelta di proporre immediato ricorso, oltre all’entità della somma da pagare pari al 100% del tributo, rende improbabile l’adesione al condono). In tali casi è, quindi, preferibile redigere il controricorso (ancorchè il relativo termine sia sospeso), al fine di evitare che alla scadenza del periodo di sospensione tale adempimento si sommi alle ordinarie scadenze. È opportuno, inoltre, che in qualsiasi atto che venga redatto usufruendo (3) Si ricorda che dalla Scrivania dell’avvocato, nella sezione ScaDenze, è possibile inserire manualmente -tramite la funzione crea ScaDenza lIBera In nSI -un nuovo scadenziere con la data di effettiva scadenza. ( 4) al riguardo si è concordato con l’agenzia delle entrate che le istanze di definizione di cause per le quali è già stata avanzata proposta di ricorso per cassazione, verranno trattate con priorità rispetto a tutte le altre e il relativo esito (accoglimento o diniego) verrà comunicato tempestivamente all’avvocatura in relazione a ciascuna causa. temI IStItUzIonalI del periodo di sospensione previsto dalla legge, sia chiaramente indicata nel frontespizio la disposizione (art. 1 comma 199) in base alla quale l’atto deve ritenersi tempestivo (onde evitare il rischio di pronunce di inammissibilità a distanza di tempo dalla disposta sospensione). Da ultimo si precisa che ulteriori informazioni sono disponibili in condivisione su SHarePoInt -coorDInamento Delle SezIonI trIBUtarIe conDonI all’indirizzo https://avvocaturastato.sharepoint.com/sites/sezioneIbis Per comodità di consultazione sono riportate in calce alla presente circolare le disposizioni rilevanti, i commi da 186 a 204 della legge 29 dicembre 2022, n. 197, bilancio di previsione dello stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025 (legge di bilancio 2023). l’avvocato Generale Gabriella PalmIerI SanDUllI (omissis) raSSeGna avvocatUra Dello Stato -n. 4/2022 Avvocatura Generaledello Stato CirColare n. 46/2023 oggetto: Parere reso all’agenzia delle entrate-riscossione in ordine alla opportunità della riassunzione della causa a seguito di pronuncia della Corte di cassazione di annullamento con rinvio ex art. 383 c.p.c. Si trasmette, per opportuna conoscenza, il parere reso con nota in data 12 maggio 2023 n. 326526 (ct 56045/19) all’agenzia delle entrate-riscossione in tema di riassunzione dei giudizi a seguito di pronuncia della corte di cassazione di annullamento con rinvio. l’avvocato Generale Gabriella PalmIerI SanDUllI **** ** ** **** Avvocatura Generale dello Stato aDer – aGenzIa Delle entrate – via dei Portoghesi, 12 rIScoSSIone 00186 roma DIrezIone centrale normatIva e contenzIoSo Della rIScoSSIone roma tipo affare ct. 56045/19 (contenzioso@pec.agenziariscossione.gov.it) Sez. I bis avv. Pintus aGenzIa Delle entrate DIvISIone contrIBUentI roma (agenziaentratepec@pce.agenziaentrate.it) oggetto: ct. 56045/19. Parere in ordine alla opportunità della riassunzione della causa a seguito di pronuncia della Suprema corte che abbia cassato con rinvio la sentenza impugnata. Premessa. continuano a pervenire alla Scrivente diverse richieste, provenienti da varie Direzioni regionali di codesto ente, finalizzate ad ottenere l’invio di copia autentica delle pronunce rese dalla Suprema corte, al fine di riassumere i diversi procedimenti di rispettiva competenza innanzi al Giudice designato per lo svolgimento del giudizio di rinvio. nel contenzioso indicato in epigrafe, in particolare, la Direzione regionale dell’emilia romagna ha anche motivato la richiesta (come da e-mail del 17 novembre 2021), esplicitando che «la “reviviscenza” dell’atto impugnato non è l’unica conseguenza del temI IStItUzIonalI l’estinzione del processo poiché detta estinzione elimina anche l’effetto permanente dell’interruzione della prescrizione prodotto dalla domanda giudiziale ai sensi dell’art. 2945, comma 2, c.c. resta salvo soltanto l’effetto interruttivo istantaneo della domanda (cassazione civile, sez. III, sentenza n. 8720 del 13 aprile 2010). In sostanza occorre considerare l’eventuale decorso dei termini prescrizionali dalla data di notifica del ricorso di primo grado (5 settembre 2016) alla data di estinzione del processo (18 aprile 2022) per le pretese tributarie in contestazione». Partendo dalla suddetta premessa, la medesima Direzione regionale è pervenuta, nella singola ipotesi esaminata, alle seguenti conclusioni: “Il contenzioso in cassazione riguardava 7 cartelle di pagamento (6 relative a tasse automobilistiche e 1 erariale). In caso di mancata riassunzione tutte le 6 cartelle della regione emilia romagna potrebbero risultare prescritte così come le sanzioni/interessi erariali, sull’assunto che si applichi il termine quinquennale anziché quello decennale […]. In conclusione, l’onere della riassunzione potrebbe gravare sull’ente della riscossione, al solo fine di non incorrere in responsabilità erariale nei confronti dell’ente impositore”. tale motivazione, posta a base delle frequenti richieste di cui si è detto, ha indotto la Scrivente ad approfondire la sottesa tematica giuridica, nell’intento di fornire indicazioni di massima in ordine alla effettiva necessità di riassumere i procedimenti per i quali sia intervenuta una statuizione della Suprema corte, recante cassazione con rinvio della sentenza impugnata. * * * indice. § 1. il processo tributario. § 1.1. Distinzione tra atti autonomamente impugnabili e atti facoltativamente impugnabili. § 1.2. l’impugnazione innanzi al Giudice tributario delle iscrizioni ipotecarie. § 1.3. l’impugnazione innanzi al Giudice tributario dei dinieghi espressi o taciti - di rimborso. § 2. il processo civile. § 2.1. il processo esecutivo e le opposizioni ex artt. 615 e 617 c.p.c. § 2.2. i giudizi latamente impugnatori che si svolgono innanzi al Giudice ordinario. le c.d. opposizioni recuperatorie. § 2.3. l’impugnazione innanzi al Giudice civile delle iscrizioni ipotecarie. § 2.4. l’azione proposta innanzi al Giudice civile per il rimborso di somme indebitamente versate all’agente della riscossione. raSSeGna avvocatUra Dello Stato -n. 4/2022 § 2.5. l’azione revocatoria proposta innanzi al Giudice civile nell’interesse dell’agente della riscossione. § 2.6. la proposizione di una querela di falso, in via principale o in via incidentale, avverso atti dell’agente della riscossione. § 2.7. i giudizi impugnatori in materia di ammissione al passivo fallimentare nell’interesse dell’agente della riscossione. Conclusioni. * * * § 1. il processo tributario. al riguardo, corre l’obbligo di segnalare, innanzitutto, che i principi giurisprudenziali cui ha fatto cenno la Direzione regionale dell’emilia romagna negli stralci sopra trascritti, pur pacifici in relazione al processo civile, non sono stati ritenuti applicabili nell’ambito del processo tributario, alla stregua di quanto chiaramente esposto, ex plurimis, dalla stessa Suprema corte, nella pronuncia della Sez. trib., 23 gennaio 2019, n. 1807, di seguito trascritta nella parte di interesse: “I principi giurisprudenziali fin qui tratteggiati non hanno però preso in esame la specificità del processo tributario, in ordine al quale si è invece più recentemente formato un orientamento di legittimità opposto a quello maturatosi con riguardo al processo ordinario […] si allude all’orientamento secondo il quale, nel processo tributario, si realizza una deviazione dalla regola generale di cui all’articolo 2945 c.c., comma 3 (così come interpretato dalla s.c.), in ragione dei seguenti elementi di specialità: -la natura impugnatoria del medesimo e, in particolare, la natura amministrativa, e non processuale, rivestita dall’atto impositivo, il quale costituisce non atto di impulso del processo, ma il suo oggetto; -la conseguente definitività che deriva all’atto impositivo dall’estinzione del giudizio di impugnazione contro di esso proposto dal contribuente (cfr., ex multis, cass., sez. 6-5, 19/10/2015, n. 21143, rv. 637007 -01; cass., sez. 5, 03/07/2013, n. 16689, rv. 627058 -01; cass., sez. 6-5, 28/03/2012, n. 5044, rv. 622235 -01); -l’irrazionalità di una soluzione che, ritenendo applicabile anche al processo tributario il disposto generale di cui all’articolo 2945 c.c., comma 3, verrebbe a far decorrere la prescrizione, a carico dell’amministrazione finanziaria, da una data (l’introduzione del giudizio) antecedente alla definitività dell’atto impositivo che realizza (“incorpora”) la pretesa tributaria medesima, con la conseguenza paradossale che il titolo dell’imposizione potrebbe risultare ineseguibile (perchè estinto per prescrizione) ancor prima di essere divenuto definitivo; -l’insussistenza, nel processo tributario, della ratio ispiratrice l’articolo 2945 c.c., comma 3, dal momento che, proprio per la sua natura impugnatoria e per la definitività che l’atto impositivo assume per effetto dell’estinzione del giudizio in caso di mancata riassunzione, è il solo contribuente ad avere interesse alla riassunzione sicchè, diversamente argomentando sulla base della temI IStItUzIonalI regola generale, l’eliminazione dell’effetto sospensivo della prescrizione in pendenza di un giudizio tributario che poi si estingua per mancata riassunzione opererebbe a favore proprio della parte processuale (il contribuente) che, mostrando disinteresse per la coltivazione del giudizio, ha consentito che l’atto impugnato divenisse definitivo; -il regime della riscossione frazionata in pendenza di giudizio, d.lgs. n. 546 del 1992, ex art. 68, non è dirimente in senso contrario alla soluzione qui accolta, posto che: se è ammessa, e nei limiti in cui lo è (sentenze intermedie favorevoli all’amministrazione finanziaria), la riscossione frazionata non realizza in via definitiva la pretesa tributaria (sussistendo, in caso di diverso esito finale del giudizio, l’obbligo di restituzione al contribuente delle somme da questi medio tempore pagate), ma opera sul piano meramente anticipatorio ed interinale degli effetti di un accertamento giudiziale ancora in itinere; se, al contrario, la riscossione frazionata non è ex lege ammessa (sentenze intermedie favorevoli al contribuente), sussiste un impedimento di diritto alla realizzazione della pretesa, con conseguente mancato decorso, per regola generale, del termine prescrizionale. dunque, secondo tale orientamento, al quale il collegio intende dare continuità, nelle ipotesi di estinzione del processo tributario per omessa riassunzione della causa avanti al giudice di rinvio, il dies a quo del termine di prescrizione (come di quello di decadenza) va ancorato, a prescindere dalla previsione di cui all’art. 2945 c.c., comma 3, alla data di scadenza del termine utile per la (non attuata) riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio, posto che solo da tale data, per effetto dell’acquisita definitività dell’atto impositivo, l’amministrazione può, ai sensi del d.lgs. n. 546 del 1992, art. 68 e d.P.r. n. 602 del 1973, artt. 14 e 15, far valere in modo definitivo e compiuto il proprio credito, attivando la relativa procedura di riscossione; ciò tanto più in presenza (come nel caso di specie) di una sentenza di secondo grado ad essa sfavorevole, dato l’obbligo di restituzione del tributo eventualmente corrisposto in eccedenza rispetto a quanto statuito dal giudice tributario, sancito dal d.lgs. cit., art. 68, comma 2, (cfr. cass., sez. 5, 15/01/2016, n. 556, rv. 638661 -01; cass. sez. 5, 18/11/2016, n. 23502, rv. 641872 -01; cass., sez. 65, 12/04/2017, n. 9521, rv. 644710 - 01)”. tale pronuncia ha affrontato compiutamente la tematica esaminata e consente di affermare che, nell’ambito del processo tributario, il dubbio palesato da codesto ente in ordine al possibile venir meno dell’effetto sospensivo della prescrizione, in caso di estinzione del giudizio per mancata riassunzione, possa dirsi superato alla stregua delle considerazioni che precedono (1). (1) In dottrina, in senso conforme, vedasi anche F. ranDazzo, effetti sostanziali dell’estinzione del processo tributario per inattività delle parti, in dir. e Prat. trib., 2020, 4, 1542 e segg.; cfr. in particolare il § 7, in fine. raSSeGna avvocatUra Dello Stato -n. 4/2022 l’indirizzo ermeneutico cui si è appena fatto cenno, peraltro, appare consolidato, essendo stato condiviso a più riprese dalla Suprema corte, come è testimoniato, ex multis, dall’ordinanza della Sez. trib., 5 novembre 2021, n. 32152, ove si è pure affermato che: “l’omessa riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio determina l’estinzione dell’intero processo, ai sensi del d.lgs. n. 546 del 1992, art. 63, comma 2, e la definitività dell’avviso di accertamento impugnato, giacché quest’ultimo non è un atto processuale, ma l’oggetto dell’impugnazione, con la conseguenza che il termine di prescrizione (come quello di decadenza) della pretesa tributaria, incorporata nell’atto impositivo, decorre dalla data di scadenza del termine utile per la non attuata riassunzione, momento dal quale l’amministrazione finanziaria può attivare la procedura di riscossione (ex plurimis, cfr. sez. 6-5, ordinanza n. 5044 del 28/03/2012, rv. 622235-01; sez. 5, sentenza n. 556 del 15/01/2016, rv. 638661-01; sez. 6-5, ordinanza n. 23922 del 23/11/2016, rv. 641755-01; sez. 6-5, ordinanza n. 9521 del 12/04/2017, rv. 644710-01). come, poi, chiarito in altre pronunce (tra cui si veda sez. v, ord. n. 27306 del 2017), le ragioni che giustificano l’applicazione di questo indirizzo consistono nei seguenti elementi di specialità del processo tributario: 1) la natura impugnatoria del medesimo e, in particolare, la natura amministrativa, e non processuale, rivestita dall’atto impositivo, il quale costituisce non atto di impulso del processo, ma il suo oggetto (sez. v, n. 21143 del 2015; sez. v, n. 16689 del 2013; sez. v, n. 5044 del 2012); 2) la conseguente definitività che deriva all’atto impositivo dall’estinzione del giudizio di impugnazione contro di esso proposto dal contribuente; 3) l’irrazionalità di una soluzione che, ritenendo applicabile anche al processo tributario il disposto generale di cui all’art. 2945 c.c., comma 3, verrebbe a far decorrere la prescrizione, a carico dell’amministrazione finanziaria, da una data (l’introduzione del giudizio) antecedente alla definitività dell’atto impositivo che realizza (“incorpora”) la pretesa tributaria medesima; con la conseguenza paradossale che il titolo dell’imposizione potrebbe risultare ineseguibile (perché estinto per prescrizione) ancor prima di essere divenuto definitivo; 4) l’insussistenza, nel processo tributario, della ratio ispiratrice l’art. 2945 c.c., comma 3, dal momento che, proprio per la sua natura impugnatoria e per la definitività che l’atto impositivo assume per effetto dell’estinzione del giudizio in caso di mancata riassunzione, è il solo contribuente ad avere interesse alla riassunzione sicché, diversamente argomentando sulla base della regola generale, l’eliminazione dell’effetto sospensivo della prescrizione in pendenza di un giudizio tributario che poi si estingua per mancata riassunzione opererebbe a favore proprio della parte processuale (il contribuente) che, mostrando disinteresse per la coltivazione del giudizio, ha consentito che l’atto impugnato divenisse definitivo; temI IStItUzIonalI 5) l’esclusione del rilievo dirimente del regime della riscossione frazionata in pendenza di giudizio, ai sensi del d.lgs. n. 546 del 1992, ex art. 68, perché detta riscossione, frazionata e provvisoria, non realizza in via definitiva la pretesa tributaria”. In termini analoghi, vedasi anche cass. civ., Sez. trib., 16 settembre 2021, n. 25014 e cass. civ., Sez. trib., 18 novembre 2021, n. 35134. a quanto affermato dalla giurisprudenza citata, si può aggiungere il riferimento operato dal legislatore nell’art. 68, comma 1, lettera c-bis), del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (introdotta dal 2016), laddove si precisa che “anche in deroga a quanto previsto nelle singole leggi d’imposta, nei casi in cui è prevista la riscossione frazionata del tributo oggetto di giudizio davanti alle commissioni, il tributo, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere pagato: […] c-bis) per l’ammontare dovuto nella pendenza del giudizio di primo grado dopo la sentenza della corte di cassazione di annullamento con rinvio e per l’intero importo indicato nell’atto in caso di mancata riassunzione”. * * * § 1.1. Distinzione tra atti autonomamente impugnabili e atti facoltativamente impugnabili. ciò chiarito, occorre precisare che le conclusioni alle quali è giunta la Suprema corte, oltre ad essere applicabili al solo processo tributario e non anche al processo civile (nel quale deve quindi farsi riferimento alla regola generale, sancita dall’art. 2945, comma 3, c.c.), appaiono coerenti con le ipotesi in cui, a fronte della mancata impugnazione di un dato provvedimento (equiparabile, quanto agli effetti, all’estinzione del giudizio avviato nei confronti dello stesso), possa discorrersi di definitività dell’atto ormai consolidatosi. la Suprema corte, come si è visto, ha infatti enucleato il diverso regime dell’exordium praescriptionis proprio sul presupposto della attitudine degli atti impositivi alla definitività, il cui corollario è rappresentato dalla possibilità di impugnare gli atti successivi a quello divenuto definitivo esclusivamente per vizi propri, ai sensi dell’art. 19, comma 3, del D.lgs. 546/1992. È quindi ragionevole supporre che le conseguenze indicate dalla Suprema corte possano prodursi in tutte le ipotesi in cui si sia verificata l’estinzione di un processo tributario instaurato per l’impugnazione di un atto di cui all’art. 19, comma 1, del predetto D.lgs. 546/1992, atteso che solo in questo caso può ipotizzarsi la definitività dello stesso e la conseguente cristallizzazione della pretesa impositiva recata dall’atto medesimo («Il d.lgs. n. 546 del 1992, art. 19 […] contiene il “catalogo” (anch’esso arricchitosi nel tempo) degli “atti impugnabili”, cioè degli atti che, se ritualmente notificati, comportano, in ragione della loro ritenuta natura immediatamente impositiva, l’onere della impugnazione, a pena della cristallizzazione della pretesa in essi contenuta»: cass. civ., Sez. trib., 27 novembre 2019, n. 30911, che ha ripreso l’insegna raSSeGna avvocatUra Dello Stato -n. 4/2022 mento già espresso in precedenza da cass. civ., Sez. Un., 18 febbraio 2014, n. 3773). alla luce di quanto sopra, sembra ragionevole ipotizzare che l’orientamento giurisprudenziale appena esposto, per vero formatosi in relazione al consolidamento di avvisi di accertamento o di liquidazione emessi dall’amministrazione finanziaria, possa applicarsi anche a quegli atti della riscossione che, in quanto autonomamente impugnabili, sono stati definiti in giurisprudenza come atti a contenuto intrinsecamente impositivo, nel senso che il loro consolidamento è suscettibile di cristallizzare la debenza della pretesa erariale. Si potrebbe invece dubitare che un analogo effetto possa verificarsi in relazione a quegli atti ritenuti dalla giurisprudenza solo facoltativamente impugnabili (“questa corte ha affermato che la mancata impugnazione da parte del contribuente di un atto non espressamente indicato nel d.lgs. n. 546 del 1992, art. 19, non determina, in ogni caso, la non impugnabilità (e cioè la cristallizzazione) di quella pretesa, che va successivamente reiterata in uno degli atti tipici previsti dall’art. 19 (cass., sez. 65-, 2 novembre 2017, n. 26129; cass., sez. 6-5, 18 luglio 2016, n. 14675; cass., sez. 5, 11 febbraio 2015, n. 2616; cass., sez. 5, 25 febbraio 2009, n. 4513)”: cass. civ., Sez. trib., ordinanza interlocutoria 11 febbraio 2022, n. 4526). Si pensi, ad esempio, alle molteplici impugnazioni pendenti avverso gli estratti di ruolo, a prescindere dalla ormai acclarata valenza retroattiva dell’art. 12, comma 4-bis, del D.P.r. n. 602/1973 (introdotto dall’art. 3-bis del D.l. 21 ottobre 2021, n. 146, convertito dalla legge 17 dicembre 2021, n. 215), questione recentemente risolta, come è noto, dalla Suprema corte, Sezioni Unite civili, con sentenza del 6 settembre 2022, n. 26283. In tali casi, i principi appena enucleati potrebbero far dubitare che l’estinzione del giudizio instaurato avverso un estratto di ruolo (non conseguente alla notifica di un atto da parte di aDer), possa determinare un consolidamento della pretesa creditoria affidata all’agente della riscossione, con conseguente possibilità che venga meno l’effetto sospensivo del termine prescrizionale, in caso di estinzione del giudizio derivante dall’omessa riassunzione a seguito di cassazione con rinvio. la Suprema corte, infatti, ha più volte ribadito (ad esempio, cass. 2 novembre 2017, n. 26129) che “In tema di contenzioso tributario, l’impugnazione da parte del contribuente di un atto non espressamente indicato dal d.lgs. n. 546 del 1992, art. 19, il quale, tuttavia, abbia natura di atto impositivo, è una facoltà e non un onere, il cui mancato esercizio non preclude la possibilità d’impugnazione con l’atto successivo (sez. 6-5, ordinanza n. 14675 del 18/07/2016, rv. 640514-01; conforme sez. 6-5, ordinanza n. 14045 del 04/05/2017, non massimata)”. temI IStItUzIonalI In relazione agli atti autonomamente impugnabili, di cui al citato art. 19, comma 1, del D.lgs. 546/1992, viceversa, pare applicabile il diverso principio di diritto secondo cui “la scadenza del termine perentorio sancito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo, o comunque di riscossione coattiva, produce l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito (in termini, cass. n. 11800 del 2018)” (cass. 28 gennaio 2020, n. 1901); * * * con l’ulteriore precisazione che “Il contribuente, una volta notificatagli l’intimazione di pagamento, deve tempestivamente impugnarla, pena la cristallizzazione della pretesa tributaria in essa manifestata. ove invece il contribuente opti per l’impugnazione della sola cartella di pagamento, benchè l’intimazione d.P.r. n. 602 del 1973, ex art. 50 gli sia stata regolarmente notificata, detta azione non può che considerarsi in ogni caso inammissibile, per difetto d’interesse ex art. 100 c.p.c., giacchè l’annullamento della cartella giammai potrebbe essere disposto, stante la definitività dell’atto conseguenziale, non impugnato” (cass. 27 novembre 2019, n. 30911). * * * Può quindi affermarsi che, nell’ambito del processo tributario, non appare sussistente, in linea di principio, un apprezzabile interesse dell’agente della riscossione a riassumere il giudizio instaurato avverso un atto autonomamente impugnabile, ex art. 19 del D.lgs. 546/1992 (ivi compresa l’intimazione di pagamento ex art. 50 del D.P.r. 29 settembre 1973, n. 602: vedasi, ancorché solo in obiter dictum, cass. 21 dicembre 2020, n. 29200, nonché la già citata cass. ord. interlocutoria 11 febbraio 2022, n. 4526, che richiama in proposito il precedente costituito da cass. 29 novembre 2019, n. 31240), stante che l’eventuale estinzione dell’intero processo determinerebbe la definitività del- l’atto e l’avvio di un nuovo termine prescrizionale, decorrente dalla scadenza del termine ultimo per la riassunzione del giudizio. Deve prudenzialmente addivenirsi alla conclusione opposta, invece, ove l’originaria impugnazione del contribuente sia stata rivolta contro un atto solo facoltativamente impugnabile, come ad esempio gli avvisi bonari, il preavviso di fermo amministrativo, il preavviso di iscrizione ipotecaria e i già menzionati estratti di ruolo: in queste ultime ipotesi, stante l’incertezza che l’estinzione del processo possa determinare un definitivo consolidamento della pretesa impositiva, può cautelativamente ritenersi sussistere un interesse dell’ente di esazione alla prosecuzione del giudizio, al fine di impedire il venir meno ex tunc dell’effetto sospensivo del corso della prescrizione correlato alla pendenza del giudizio. * * * raSSeGna avvocatUra Dello Stato -n. 4/2022 § 1.2. l’impugnazione innanzi al Giudice tributario delle iscrizioni ipotecarie. le conclusioni appena esposte sembrano riferibili anche alle ipotesi in cui sia stata impugnata innanzi al Giudice tributario un’iscrizione ipotecaria, derivante da pretese tributarie iscritte a ruolo. Posto che l’iscrizione di ipoteca rientra ormai nel novero degli atti autonomamente impugnabili (cfr. l’art. 19, comma 1, lett. e-bis, del D.lgs. 546/1992), è ragionevole supporre che l’estinzione del processo instaurato avverso una iscrizione ipotecaria, ex art. 77 del D.P.r. 602/1973, comporti i medesimi effetti già visti in termini di consolidamento del credito erariale, con conseguente tendenziale insussistenza dell’interesse dell’agente della riscossione alla riassunzione del giudizio, in ipotesi di cassazione con rinvio. * * * § 1.3. l’impugnazione innanzi al Giudice tributario dei dinieghi espressi o taciti - di rimborso. le conclusioni esposte nel suddetto § 1, inoltre, appaiono riferibili anche all’ipotesi in cui il contribuente abbia impugnato, innanzi al Giudice tributario, provvedimenti di diniego espresso di rimborso di tributi. l’inclusione di tali provvedimenti nel novero degli atti autonomamente impugnabili (cfr. l’art. 19, comma 1, lett. g, del D.lgs. 546/1992), infatti, induce a ritenere che l’eventuale estinzione del processo, derivante dall’omessa riassunzione a seguito di cassazione con rinvio, determini un consolidamento del provvedimento di diniego impugnato. nei casi indicati, peraltro, non appaiono in ogni caso sussistenti problemi di prescrizione per l’amministrazione, essendo piuttosto onere del contribuente interrompere il termine entro cui è possibile esercitare il suo diritto al rimborso. Se ciò vale per i provvedimenti di diniego espresso, non altrettanto può dirsi in relazione ai provvedimenti di diniego tacito (perfezionatisi quindi per silentium) (2), in quanto, in base all’art. 21, comma 2, del D.lgs. 546/1992, “Il ricorso avverso il rifiuto tacito della restituzione di cui all’articolo 19, comma 1, lettera g), può essere proposto dopo il novantesimo giorno dalla domanda di restituzione presentata entro i termini previsti da ciascuna legge d’imposta e fino a quando il diritto alla restituzione non è prescritto”. Dalla mancata previsione della necessità di impugnazione in un termine perentorio, deriva la possibilità per il contribuente -in seguito all’estinzione del processo -di proporre un nuovo giudizio, in relazione alla medesima istanza di rimborso; in quest’ultima ipotesi, tuttavia, potrà realisticamente farsi valere l’eventuale principio di diritto sancito dalla Suprema corte nell’ambito del processo estinto, a norma dell’art. 393 c.p.c. (3). (2) vedasi F. ranDazzo, effetti sostanziali dell’estinzione del processo tributario per inattività delle parti, cit.; cfr., in particolare, il § 8, in fine. temI IStItUzIonalI In questo caso, ovviamente, il contribuente potrà subire la prescrizione del proprio credito, qualora il giudizio estinto abbia avuto una durata superiore al termine di prescrizione e non siano nel frattempo intervenuti atti interruttivi. In definitiva, anche nel caso in cui l’agente della riscossione fosse evocato in giudizio innanzi al Giudice tributario, a fronte dell’impugnazione di un provvedimento di diniego -espresso o tacito -di rimborso di tributi, non si ritiene sussista, in linea di massima, un interesse dell’ente di esazione alla riassunzione del processo nell’ambito del quale la Suprema corte avesse reso una statuizione di cassazione con rinvio. * * * § 2. il processo civile. ciò chiarito in relazione al processo tributario, occorre invece precisare che, nell’ambito del processo civile, la regola sancita per effetto del combinato disposto degli artt. 2945, comma 3, c.c. e 393 c.p.c. deve ritenersi pienamente operante. con particolare riferimento agli ambiti operativi che tipicamente vedono coinvolto l’agente della riscossione, possono tuttavia enuclearsi le seguenti specificazioni rispetto alla regola generale. * * * § 2.1. il processo esecutivo e le opposizioni ex artt. 615 e 617 c.p.c. la giurisprudenza di legittimità, nell’ambito del processo esecutivo, ha fornito peculiari interpretazioni del predetto art. 2945, comma 3, c.c., enucleando, ex multis, i seguenti principi: 1) «con l’atto di precetto non ha inizio il processo esecutivo e quindi lo stesso non risponde alla fattispecie delineata dall’art. 2943 c.c., comma 1, (“atto con il quale si inizia un giudizio (...) esecutivo”). dunque, l’atto di precetto produce un effetto interruttivo della prescrizione del relativo diritto di credito a carattere solamente istantaneo, sicchè, verificatosi tale effetto, inizia a decorrere, dalla data della sua notificazione, un nuovo periodo di prescrizione (art. 2943 c.c., comma 3 e art. 2945 c.c., comma 1). anzi, questa corte ha già chiarito che il carattere (solo) istantaneo dell’efficacia interruttiva non viene meno neppure nella parte in cui l’intimato abbia proposto opposizione al precetto. unicamente quando il creditore opposto, nel costituirsi, chieda il rigetto dell’opposizione o, comunque, formuli una domanda tendente all’affermazione del proprio diritto di procedere all’esecuzione, si realizza un’attività processuale rilevante ai sensi dell’art. 2943 c.c., comma 2, con la (3) l’art. 393 c.p.c. dispone infatti che: “se la riassunzione non avviene entro il termine di cui all’articolo precedente, o si avvera successivamente a essa una causa di estinzione del giudizio di rinvio, l’intero processo si estingue; ma la sentenza della corte di cassazione conserva il suo effetto vincolante anche nel nuovo processo che sia instaurato con la riproposizione della domanda”. raSSeGna avvocatUra Dello Stato -n. 4/2022 conseguenza che, ai sensi dell’art. 2945 c.c., comma 2, la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio (sez. 3, sentenza n. 19738 del 19/09/2014, rv. 632702 01; sez. 3, sentenza n. 7737 del 29/03/2007, rv. 596751 -01; si veda anche sez. l, sentenza n. 3741 del 13/02/2017, rv. 643091 -01, che rimarca la differenza fra il carattere istantaneo degli effetti interruttivi prodotti dalla notificazione dell’atto di precetto e quello sospensivo che invece è proprio dell’atto di pignoramento regolarmente notificato al debitore)» (cass. Sez. III, 5 giugno 2020, n. 10808); * * * 2) “la notifica di un pignoramento immobiliare contro il terzo proprietario, ai sensi degli artt. 602 c.p.c. e ss., produce l’effetto di interrompere la prescrizione del credito azionato (art. 2943 c.c., comma 1), e di sospenderne il decorso (art. 2945 c.c., comma 2), anche nei confronti del debitore diretto, purchè lo stesso venga sentito nei casi previsti dall’art. 604 c.p.c., comma 2, o il creditore gli abbia comunque dato notizia dell’esistenza del processo esecutivo e fermo restando che l’effetto sul decorso della prescrizione sarà solamente interruttivo ma non sospensivo nel caso di estinzione del procedimento ex art. 2945 c.c., comma 3” (cass. Sez. III, 5 giugno 2020, n. 10808); * * * 3) «tra gli atti interruttivi della prescrizione viene in rilievo anche quello con cui si introduce il processo esecutivo (art. 2943 c.c., comma 1), e che a questo atto l’art. 2945 c.c., comma 2, ricollega l’effetto interruttivo permanente sino al momento in cui il procedimento coattivo stesso giunga a un risultato che possa considerarsi equipollente a ciò che la medesima norma individua, per la giurisdizione cognitiva, nel passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio (v. cass. 07/05/2020, n. 8644; cass. 09/05/2019, n. 12239; cass. 13/02/2017, n. 3741; cass. 06/06/2002, n. 8219; cass. 25/03/2002, n. 4203; cass. 07/12/1985, n. 6165). ciò si verifica quando il processo di esecuzione abbia fatto conseguire al creditore procedente l’attuazione coattiva, in tutto o in parte, del suo diritto, ovvero, alternativamente, “quando la realizzazione della pretesa esecutiva non sia conseguita per motivi diversi dall’estinzione del processo, quali, ad esempio, la mancanza o l’insufficienza del ricavato della vendita, la perdita successiva del bene assoggettato ad espropriazione e simili” (cass. n. 12239 del 2019, cit.; cass. n. 4203 del 2002, cit., pag. 17). come è stato condivisibilmente evidenziato la ratio, nella logica della disciplina della prescrizione, risiede nella considerazione che, quando penda il processo, anche esecutivo, la condotta del creditore non può dirsi inerziale e quindi significativa ai fini dei riflessi sulla persistenza del diritto; mentre, a norma dell’art. 2945 c.p.c., comma 3, quando quel processo si chiuda per mancanza d’iniziativa del creditore, che non lo coltivi come la legge impone, temI IStItUzIonalI allora quella permanenza dell’effetto viene meno, fermo l’originario atto interruttivo che, pertanto, riprende un effetto istantaneo. In questo senso gli arresti appena richiamati distinguono l’estinzione tipica, che si correli a condotte inattive, inerziali o, come logico, rinunciatarie, da quella c.d. atipica, che si sostanzi, come anticipato, in un’inidoneità a proseguire il processo esecutivo per impossibilità oggettiva di raggiungere il suo scopo, come nelle ipotesi di perdita del bene o mancanza di attivo. da qui il principio, affermato da cass. n. 12239 del 2019, cit., secondo cui “in tema di prescrizione, l’effetto interruttivo permanente determinato dal- l’introduzione del processo esecutivo si conserva, agli effetti dell’art. 2945 c.p.c., comma 2, quando la chiusura della procedura coattiva consista nel raggiungimento dello scopo della stessa ovvero, alternativamente, il suddetto scopo non sia raggiunto ma la chiusura del procedimento sia determinata da una condotta non ascrivibile al creditore procedente, mentre, in ipotesi opposta a quest’ultima, a norma dell’art. 2945 c.p.c., comma 3, l’effetto stesso resterà istantaneo”» (cass. 24 marzo 2021, n. 8217). * * * Se quanto appena esposto vale per le ipotesi in cui il processo esecutivo segua il suo iter fisiologico (per tale intendendosi lo sviluppo dello stesso dalla notifica del pignoramento fino alla soddisfazione del creditore procedente), considerazioni a parte possono essere sviluppate per le ipotesi patologiche, ossia le fattispecie in cui, nell’ambito del predetto processo esecutivo, vengano aperte quelle parentesi cognitive note come opposizioni all’esecuzione e agli atti esecutivi. la disciplina delle stesse è dettata dall’art. 615 c.p.c., per le opposizioni all’esecuzione, e dall’art. 617 c.p.c., per le opposizioni agli atti esecutivi, per come integrati, in relazione alla c.d. esecuzione esattoriale, dall’art. 57 del D.P.r. 29 settembre 1973, n. 602. la distinzione primaria tra le due specie di opposizione, per quanto qui rileva, è data dal fatto che l’opposizione all’esecuzione, ex art. 615 c.p.c., non è assoggettata a termini perentori per la sua introduzione (con il solo limite che essa deve comunque precedere il provvedimento che disponga l’assegnazione o la vendita), mentre l’opposizione agli atti esecutivi può essere proposta unicamente nel termine perentorio di venti giorni (dalla notificazione del titolo esecutivo o del precetto, ovvero dal primo atto di esecuzione, ovvero ancora “dal giorno in cui i singoli atti furono compiuti”: art. 617 c.p.c.). ciò chiarito, supponendo che l’agente della riscossione rivesta in linea di massima la qualifica di creditore procedente nell’ambito del processo esecutivo, occorre effettuare una distinzione tra i casi in cui sia stata disposta la sospensione della procedura esecutiva nelle more dell’opposizione e i casi in cui ciò non sia avvenuto. nel primo caso -sospensione della procedura esecutiva ex art. 624 c.p.c. raSSeGna avvocatUra Dello Stato -n. 4/2022 (in caso di opposizione all’esecuzione), ovvero ex art. 618 c.p.c. (in caso di opposizione agli atti esecutivi) -sussisterebbe l’interesse dell’agente della riscossione, in quanto creditore procedente, a non fare estinguere il processo esecutivo, atteso che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 627, 630 e 632 c.p.c., si verificherebbe in tal caso anche il già richiamato effetto pregiudizievole sancito dall’art. 2945, comma 3, c.c. e, di conseguenza, verrebbe meno l’effetto sospensivo del corso della prescrizione. nel secondo caso -proposizione di un’opposizione (all’esecuzione o agli atti esecutivi) non seguita dalla sospensione della procedura esecutiva -è lecito supporre, al contrario, che l’agente della riscossione abbia interesse a coltivare soltanto il giudizio di esecuzione forzata e non anche quello di opposizione, con la conseguenza che, ove il giudizio di opposizione fosse interessato da una statuizione della Suprema corte di cassazione con rinvio, l’ente di esazione creditore procedente non avrebbe interesse a riassumere, non subendo conseguenze pregiudizievoli dall’eventuale estinzione della sola opposizione. In simile fattispecie -opposizione all’esecuzione coltivata parallelamente ad una procedura esecutiva non sospesa -la Suprema corte ha infatti sancito che l’effetto favorevole per il debitore opponente (e il correlato pregiudizio per il creditore procedente, che si assume possa essere l’agente della riscossione) può prodursi soltanto nel caso in cui l’opposizione stessa si concluda con sentenza passata in giudicato. vedasi, al riguardo, cass. Sez. III, 15 febbraio 2019, n. 4528, secondo cui: “Il principio di autonomia del processo esecutivo rispetto ai giudizi ordinari di cognizione di opposizione alla esecuzione (preventiva e successiva: art. 615 c.p.c., commi 1 e 2), che in assenza del rimedio sospensivo, rende indifferente la prosecuzione del primo alle vicende processuali dei secondi, trova, infatti, limite nella affermazione, comune in dottrina e giurisprudenza, per cui l’eventuale accoglimento -con sentenza passata in giudicato -della opposizione alla esecuzione, venendo a negare il diritto del creditore procedente ad iniziare o proseguire il processo esecutivo, determina la “invalidazione” degli atti esecutivi precedentemente compiuti (e comunque determina la improcedibilità della esecuzione forzata), in ogni caso fatti salvi gli effetti giuridici prodotti a vantaggio dell’acquirente o dell’assegnatario di buona fede, qualora la pronuncia favorevole all’opponente intervenga “successivamente” alla emissione della ordinanza di aggiudicazione o di assegnazione (art. 2929 c.c.; art. 187 bis disp. att. c.p.c.; art. 632, comma 2, c.p.c.). l’indicato discrimine cronologico previsto in ordine agli “effetti invalidanti” della procedura esecutiva determinati dalla pronuncia di accoglimento, costituito dalla “anteriorità” della ordinanza di aggiudicazione o di assegnazione -che la rende immune -rispetto alla -successiva -pubblicazione ed al passaggio in giudicato della sentenza favorevole all’opponente, non determina, tuttavia, nei giudizi di opposizione esecutiva, nè la -sopravvenuta -im temI IStItUzIonalI proponibilità della opposizione (cfr. corte cass. sez. 1, sentenza n. 7993 del 01/10/1994), nè la cessazione della materia del contendere, per difetto di interesse alla pronuncia sul merito, ove la contestazione attenga all’esistenza del titolo esecutivo o del credito (relativamente all’ “an” od al “quantum”), permanendo anche in tal caso l’interesse dell’opponente alla decisione per così dire “postuma” (cfr. corte cass. sez. 3, sentenza n. 23084 del 16/11/2005; id. sez. 3, sentenza n. 4498 del 24/02/2011; id. sez. 3, sentenza n. 6546 del 22/03/2011; id. sez. 3, sentenza n. 1353 del 31/01/2012; id. sez. 3, sentenza n. 15761 del 10/07/2014; id. sez. 3, sentenza n. 18350 del 27/08/2014, secondo cui “persiste la materia del contendere e l’interesse alla decisione sul merito in capo all’esecutato opponente in un’opposizione ad espropriazione presso terzi per ragioni di quantificazione del credito di controparte quando, successivamente all’opposizione e nonostante il suo dispiegamento, sia stata pronunziata ordinanza di assegnazione ai sensi dell’art. 553 c.p.c., anche ove quest’ultima non sia stata autonomamente impugnata”; id. sez. 6 -3, ordinanza n. 20924 del 07/09/2017). al riguardo è stato, infatti, puntualmente rilevato come “uno sviluppo eventualmente favorevole all’opponente non potrebbe che proiettare l’effetto della nullità originaria del precetto su tutti gli atti esecutivi, nella parte in cui essi riconoscessero in modo illegittimo un’entità del credito diversa, perchè maggiore, rispetto a quella realmente dovuta: ma allora la naturale propagabilità del vizio -espressione del principio generale di cui all’art. 159 cod. proc. civ. -elide qualsiasi onere, per l’opponente e per lo stesso vizio originario di eccessività del preteso, di impugnare altresì tutti gli -e ciascuno degli -atti del processo esecutivo successivi al dispiegamento dell’opposizione all’esecuzione in pendenza del processo stesso. allo stesso modo, del resto, la pronunzia sul merito che intervenisse nell’opposizione ad esecuzione già dispiegata, ove rivedesse “in minus” il credito anche come accertato dal giudice dell’esecuzione nello sviluppo del processo esecutivo nelle more concluso, travolgerebbe gli atti di questo nella parte in cui dovessero rilevarsi illegittimi relativamente alla parte di credito erroneamente riconosciuta, senza alcuna necessità di una previa separata o autonoma impugnazione di ciascuno di quelli” (cfr. corte cass. sez. 3, sentenza n. 18350 del 27/08/2014, in motivazione)”. * * * Si aggiunge, per mera completezza, che nell’ipotesi tratteggiata da ultimo (opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi proposta nell’ambito di una procedura esecutiva non sospesa), l’eventuale estinzione della sola opposizione per mancata riassunzione, a seguito di cassazione con rinvio, non avrebbe un effetto di consolidamento del credito, posto che l’art. 615 c.p.c., come anticipato, non osta alla possibilità che l’opposizione all’esecuzione venga eventualmente riproposta ex novo dal debitore esecutato, sempreché nelle more non sia stata disposta l’assegnazione o la vendita. raSSeGna avvocatUra Dello Stato -n. 4/2022 l’estinzione del solo procedimento di opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c., viceversa, avrebbe l’effetto di precludere la riproposizione della medesima questione controversa, stante l’inesorabile consumazione del termine perentorio di venti giorni entro cui è possibile opporsi al singolo atto esecutivo (4). * * * § 2.2. i giudizi latamente impugnatori che si svolgono innanzi al Giudice ordinario. le c.d. opposizioni recuperatorie. Una trattazione a parte deve essere dedicata alle restanti ipotesi in cui il legislatore ha disciplinato dei giudizi di natura latamente impugnatoria, affidandone la trattazione al Giudice civile: due esempi di frequente verificazione possono essere individuati nell’opposizione alle iscrizioni a ruolo in materia previdenziale, ex art. 24, comma 5, del D.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, e nelle opposizioni a sanzioni amministrative, ex artt. 6 e 7 del D.lgs. 1° settembre 2011, n. 150 (disciplinanti questi ultimi, rispettivamente, l’opposizione ad ordinanza ingiunzione e l’opposizione ai verbali di accertamento delle violazioni al codice della strada). In entrambe le ipotesi, nonostante l’agente della riscossione difetti tendenzialmente della legittimazione passiva (vedasi, ad esempio, il principio di diritto recentemente affermato dalla Suprema corte, Sezioni Unite civili, 8 marzo 2022, n. 7514, in materia previdenziale), accade frequentemente che l’azione sia proposta nei confronti dell’ente di esazione (esclusivamente o unitamente all’ente impositore), specie quando l’opposizione sia instaurata avverso una cartella di pagamento o un altro atto della riscossione, in funzione c.d. “recuperatoria”, allegando la mancata o invalida notificazione dei precedenti atti impugnabili: sul punto, si confronti cass. civ., Sez. Un., 22 settembre 2017, n. 22080. al riguardo, per quanto i predetti giudizi possano dirsi latamente impugnatori, appare prudente, ove sopravvenga una statuizione di cassazione con rinvio, la riassunzione del giudizio, onde evitare conseguenze pregiudizievoli sul piano della prescrizione. È ben vero, infatti, che dovrebbe applicarsi anche a queste ipotesi l’orientamento della giurisprudenza di legittimità riferito al processo tributario, già esposto al § 1 del presente parere. Il ragionamento della cassazione, infatti, dovrebbe prescindere dal plesso giurisdizionale innanzi al quale si svolge il processo (Giudice ordinario o Giudice tributario), applicandosi piuttosto a tutte le ipotesi in cui il processo abbia carattere impugnatorio. È anche vero, tuttavia, che nella materia delle opposizioni c.d. recuperatorie l’orientamento della medesima giurisprudenza di legittimità è apparso (4) anche in questo caso, infatti, si è in presenza di un giudizio impugnatorio da proporsi entro un termine perentorio. temI IStItUzIonalI meno nitido di quanto si è detto in relazione al processo tributario. le stesse Sezioni Unite civili poc’anzi citate (22 settembre 2017, n. 22080), ad esempio, hanno da un lato affermato che, “una volta divenuto definitivo l’accertamento contenuto nel verbale non opposto è preclusa la verifica della sussistenza dei fatti costitutivi/impeditivi della pretesa sanzionatoria in esso consacrata, tra cui anche la notifica/omessa notifica del verbale” (§ 7.1), seppur con la successiva precisazione che “8.1. restano ovviamente esperibili anche dal destinatario della cartella di pagamento basata su verbali di accertamento di violazione del codice della strada o soggetto passivo della riscossione coattiva i rimedi oppositivi ordinari degli artt. 615 e 617 cod. proc. civ. così, col primo, come detto, potranno essere dedotti tutti i fatti estintivi sopravvenuti alla definitività del verbale di accertamento, tra cui evidentemente la prescrizione ai sensi dell’art. 209 c.d.s. e della l. n. 689 del 1981, art. 28 richiamato (quando la cartella di pagamento sia stata notificata oltre i cinque anni dalla violazione). In tale eventualità, la deduzione dell’omessa od invalida notificazione del verbale di accertamento non è fatta come motivo di opposizione a sè stante (riferito cioè al fatto estintivo contemplato dall’art. 201, comma 5, che va fatto valere nel termine di trenta giorni secondo quanto sopra), ma riguarda l’idoneità dell’atto notificato ad interrompere la prescrizione. evidente è allora la deducibilità della mancanza di questo (e di altri) atti interruttivi, senza limiti di tempo, in applicazione appunto dell’art. 615 cod. proc. civ. Parimenti, saranno contestabili con quest’ultimo rimedio tutte le pretese di pagamento dell’amministrazione e dell’agente della riscossione che trovino ragione in fatti precedenti l’iscrizione a ruolo ma successivi all’emissione del verbale di accertamento, in quanto la relativa deduzione non ne sarebbe stata possibile anche se la notificazione di questo fosse stata regolarmente eseguita”. Più di recente, cass. Sez. II, 21 luglio 2021, n. 20919, ha inoltre affermato, seppur solo in obiter dictum, che gli approdi ermeneutici raggiunti in relazione al processo tributario non sono estensibili alle ipotesi “in cui si verta in materia di pretesa non tributarie, per le quali il legislatore abbia configurato un modello processuale di tipo non impugnatorio, ma volto ad individuare specifici strumenti di tutela processuale”. Un peculiare sviluppo della menzionata ratio decidendi è stato recentemente fornito dalla Suprema corte, in un procedimento avente ad oggetto pretese non tributarie, azionate mediante la c.d. ingiunzione fiscale, disciplinata dal r.D. 14 aprile 1910, n. 639; vedasi al riguardo l’ordinanza delle Sezioni Unite civili, 23 agosto 2022, n. 25156: “3. secondo consolidato orientamento di questa corte, il termine di cui raSSeGna avvocatUra Dello Stato -n. 4/2022 al r.d. n. 639 del 1910, art. 3 non ha carattere perentorio, in difetto di espressa previsione normativa in tal senso, e, pertanto, il suo decorso non preclude l’opposizione di merito che il debitore proponga per contestare l’esistenza o la legittimità della pretesa creditoria, ma impedisce solo di ottenere la sospensione dell’esecutività del titolo (cass. n. 1571/1996; cass. n. 13751/2003; cass. n. 5923/2007; cass. n. 20375/2008; cass. n. 30/2020). 4. a tale richiamato orientamento, che valorizza la particolare natura della procedura di riscossione coattiva qui in discussione, queste sezioni unite intendono dare continuità, rilevando (si veda cass. 18 settembre 2003, n. 13751) che il carattere meramente ordinatorio del termine per l’opposizione è coerente con la natura del giudizio che viene instaurato con l’opposizione, il quale è diretto all’accertamento dell’inesistenza del credito dell’amministrazione, in assenza di espressa previsione di decadenza o inammissibilità (contrariamente a quanto, invece, prescritto dalla l. n. 689 del 1981, art. 23, comma 1, per l’inosservanza del termine fissato per l’opposizione all’ordinanza ingiunzione in tema di sanzioni amministrative). 5. conseguentemente non può ritenersi preclusa la proposizione di una nuova azione a seguito dell’estinzione del processo, atteso che, a meno che si siano verificate ipotesi di decadenza, nella specie escluse, l’estinzione ai sensi dell’art. 310 c.p.c. non estingue il diritto o l’azione, né quest’ultima si esaurisce solo perché è stata esercitata in un processo ove non abbia condotto ad un provvedimento sul merito”. Quanto appena esposto induce prudenzialmente a ritenere che, nell’ambito delle impugnazioni c.d. recuperatorie, proposte innanzi al Giudice ordinario avverso atti della riscossione, la riassunzione a seguito della cassazione con rinvio possa essere prudenzialmente opportuna, al fine di evitare pregiudizi sotto il profilo della prescrizione delle pretese. * * * § 2.3. l’impugnazione innanzi al Giudice civile delle iscrizioni ipotecarie. alla luce di quanto si è appena esposto nel paragrafo precedente, può affrontarsi il tema delle opposizioni alle iscrizioni ipotecarie introdotte innanzi al Giudice civile in relazione a crediti non tributari. al riguardo può farsi riferimento, in via di prima approssimazione, a due tipologie di opposizioni avverso iscrizioni ipotecarie compiute dall’agente della riscossione: -in primo luogo, può ipotizzarsi, anche in questo caso, che l’opposizione all’iscrizione ipotecaria abbia funzione c.d. recuperatoria, a fronte della mancata o invalida notificazione di atti prodromici; -in secondo luogo, può ipotizzarsi che l’opposizione all’iscrizione ipotecaria rientri nel paradigma di cui agli artt. 615-617 c.p.c., contestando il diritto di procedere ad esecuzione forzata (ad esempio, per fatti sopravve temI IStItUzIonalI nuti), ovvero dubitando della regolarità formale dell’atto compiuto dal- l’agente della riscossione. ove si rientri nella prima ipotesi (opposizione c.d. recuperatoria), potranno estendersi al caso di specie le conclusioni già esplicitate nel precedente paragrafo, risultando prudente anche in casi del genere la riassunzione del giudizio a fronte della cassazione con rinvio; per un’ipotesi di opposizione c.d. recuperatoria, proposta avverso iscrizione ipotecaria relativa a crediti per sanzioni amministrative, derivanti da violazioni al c.d. codice della strada, vedasi cass. 3 agosto 2018, n. 20489, ove si è precisato che “questa corte da tempo ha qualificato le misure coercitive previste dal d.P.r. n. 602 del 1973, artt. 77 ed 86 come misure alternative all’esercizio della azione esecutiva, venendo a configurarsi la opposizione a tali misure così come agli atti di preavviso dell’applicazione di tali misure, come azione di accertamento negativo del diritto a procedere alla applicazione della misura coercitiva estesa anche alla pretesa creditoria, che segue le regole generali del rito ordinario di cognizione in tema di riparto della competenza per materia e per valore (corte cass. sez. u, sentenza n. 19667 del 18/09/2014; id. sez. u, ordinanza n. 15354 del 22/07/2015. vedi: id. sez. 6 -2, ordinanza n. 23564 del 18/11/2016)”. ove si rientri nella seconda ipotesi (opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi avverso iscrizione ipotecaria), parimenti, sarà prudente riassumere l’eventuale giudizio per il quale sia sopravvenuta una statuizione di cassazione con rinvio, alla luce del principio di diritto, più volte sancito dalla Suprema corte in argomento (ad esempio, cass. 3 settembre 2020, n. 18305), secondo cui “ai sensi del combinato disposto dell’art. 2945 c.c., comma 2, e art. 2943 c.c., comma 1, l’effetto tanto interruttivo quanto sospensivo della prescrizione è da ricollegare alla notificazione dell’atto con il quale “si inizia un giudizio, sia questo di cognizione ovvero conservativo o esecutivo”; si è ritenuto che un tale effetto (id est: un effetto tanto interruttivo, quanto sospensivo della prescrizione) sia da ricollegare all’atto di pignoramento, poichè ad esso consegue l’introduzione di un giudizio di esecuzione tutte le volte in cui l’atto medesimo risulti notificato regolarmente al debitore (cass. n. 8219 del 2002; cass. n. 3741 del 2017 in motivazione) non invece all’atto di precetto, idoneo a produrre (solo) un effetto interruttivo della prescrizione del relativo diritto di credito a carattere istantaneo (cass. n. 19738 del 2014; cass. n. 7737 del 2007); l’iscrizione ipotecaria prevista dal d.P.r. 29 settembre 1973, n. 602, art. 77 non è atto con cui ha inizio (“si inizia”) il giudizio esecutivo; cass., sez. un., n. 19667 del 2014 ha avuto modo di osservare come “a dispetto della “collocazione topografica” nel decreto di riferimento e dello stretto legame strumentale che lega iscrizione ipotecaria d.P.r. n. 602 del raSSeGna avvocatUra Dello Stato -n. 4/2022 1973, ex art. 77 ed espropriazione” detta iscrizione non possa definirsi un “atto dell’esecuzione”; il fatto che, secondo la disciplina positiva, non necessariamente l’espropriazione debba seguire all’iscrizione ipotecaria, autorizza a ritenere che quest’ultima sia piuttosto “un atto riferito ad una procedura alternativa all’esecuzione forzata vera e propria”; come avvertito da questa corte, fin dalle pronunce più lontane nel tempo (ex multis, cass. n. 6517 del 1986; più di recente, invece, cass. n. 24306 del 2011), l’art. 2943 c.c. nel prevedere l’efficacia interruttiva della prescrizione in relazione al compimento di atti giudiziali si riferisce soltanto ad atti processuali tipici e specificamente enumerati, quali l’atto introduttivo del giudizio ovvero la domanda proposta nel corso di un giudizio; in coerenza con tali premesse, deve escludersi l’efficacia interruttiva permanente all’iscrizione ipotecaria del d.P.r. n. 602 del 1973, ex art. 77; alla medesima iscrizione può riconoscersi, piuttosto, l’idoneità a produrre effetti interruttivi istantanei qualora presenti i connotati dell’atto di costituzione in mora, a norma dell’art. 2943 c.c., comma 4, e cioè se integri una manifestazione scritta di esercizio e di tutela del diritto da parte del creditore, comunicata personalmente al debitore, secondo una valutazione che è oggetto di accertamento rimesso al giudice del merito”. * * * § 2.4. l’azione proposta innanzi al Giudice civile per il rimborso di somme indebitamente versate all’agente della riscossione. non può escludersi, d’altro canto, che l’agente della riscossione sia evocato in giudizio nell’ambito di un ordinario processo civile, al fine di ottenerne la condanna alla restituzione di somme che si assumano indebitamente trattenute sine titulo: per un caso del genere, in cui è stata ritenuta sussistente la giurisdizione del Giudice ordinario, vedasi ad esempio cass. Sez. Un., 12 gennaio 2022, n. 761, alla cui stregua “le controversie in materia di rimborso di tributi sono devolute allo stesso giudice cui è conferita giurisdizione sul rapporto tributario controverso (specificamente, cass., sez. un., 28 settembre 2016 n. 19069). Perché sia ravvisabile un indebito di diritto comune tale da radicare la giurisdizione ordinaria occorre, quindi, un esplicito riconoscimento del diritto del contribuente al rimborso e la quantificazione della somma dovuta (espressamente in termini, cass. n. 10725 del 22.07.2002; cass. n. 21893/09, cit.)”. a tali tipologie di giudizi, orbene, dovrebbero applicarsi pienamente le considerazioni già espresse in termini generali per il processo civile ed esplicitate al § 2 del presente parere. analogamente a quanto si è detto in relazione alle impugnazioni dei dinieghi taciti di rimborso innanzi al Giudice tributario, quindi, è ragionevole ipotizzare che, in casi del genere, non sussista l’interesse dell’agente della riscossione alla riassunzione del giudizio, a seguito della cassazione con rinvio, temI IStItUzIonalI tutte le volte in cui la somma costituente l’oggetto della domanda di restituzione non sia stata versata al contribuente nelle more del giudizio; in casi del genere, infatti, l’estinzione dell’intero processo non sarebbe pregiudizievole ex se per l’ente di esazione. ove la somma costituente l’oggetto della domanda di restituzione sia stata invece corrisposta al contribuente nelle more del giudizio (si suppone, provvisoriamente e con riserva di ripetizione), potrebbe viceversa sussistere un interesse dell’agente della riscossione alla riassunzione del giudizio, quantomeno al fine di ottenere una esplicita statuizione restitutoria, avendo la Suprema corte affermato che «In caso di riforma di sentenza contenente condanna al pagamento di somme di denaro, la sentenza di riforma non costituisce di per sé titolo esecutivo per la restituzione di quanto versato in esecuzione della sentenza riformata, occorrendo a tal fine un’apposita domanda, che può essere proposta nel giudizio di appello o in altro giudizio autonomo, e che non si inquadra nell’istituto della condictio indebiti, dal quale differisce per natura e funzione, dal momento che il diritto alla restituzione sorge direttamente dalla riforma della sentenza che fa venire meno, con efficacia “ex tunc”, l’obbligazione di pagamento e impone la restituzione della situazione patrimoniale anteriore» (cass. 19 febbraio 2007, n. 3758; 29 aprile 2020, n. 2309). * * * § 2.5. l’azione revocatoria proposta innanzi al Giudice civile nell’interesse dell’agente della riscossione. Ulteriore ipotesi problematica può manifestarsi a fronte della proposizione di un’azione revocatoria nell’interesse dell’agente della riscossione. In questo caso si controverte chiaramente di un’azione eminentemente civilistica, preordinata all’ottenimento della dichiarazione di inefficacia, nei confronti del creditore, degli “atti di disposizione del patrimonio coi quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni” (art. 2901 c.c.). ne segue che, supponendo ovviamente che l’azione revocatoria veda l’agente della riscossione nella qualità di attore, sussisterebbe sempre un interesse dell’ente di esazione alla riassunzione del giudizio a seguito della cassazione con rinvio, onde perseguire il risultato utile dell’iniziativa giudiziale (destinato a realizzarsi col passaggio in giudicato della sentenza: cass. 24 agosto 2016, n. 17311) e al fine di impedire la prescrizione dell’azione stessa, la quale matura, a norma dell’art. 2903 c.c., decorsi “cinque anni dalla data dell’atto”. * * * § 2.6. la proposizione di una querela di falso, in via principale o in via incidentale, avverso atti dell’agente della riscossione. Una disamina a sé appare invece necessaria in relazione alle fattispecie nelle quali il destinatario di un atto, soggettivamente riconducibile all’agente raSSeGna avvocatUra Dello Stato -n. 4/2022 della riscossione, proponga una querela di falso innanzi al Giudice civile (tipicamente, al fine di contrastare l’efficacia fidefacente delle risultanze della relata di notifica). In casi del genere, è ben noto che la querela di falso può essere proposta in via principale o in via incidentale (art. 221 c.p.c.). nell’uno e nell’altro caso, posto che l’agente della riscossione riveste costantemente la qualità di convenuto nell’ambito delle suddette azioni, non sembra ipotizzabile un interesse alla riassunzione di un ipotetico giudizio nell’ambito del quale sopravvenisse una statuizione di cassazione con rinvio. l’estinzione dell’intero processo, infatti, avrebbe soltanto l’effetto di impedire la formazione di un accertamento, avente attitudine al giudicato, sulla falsità (materiale o ideologica) di un determinato atto con valore fidefacente. occorre tuttavia precisare che, contrariamente a quanto accade nell’ipotesi della querela di falso proposta in via principale (nella quale l’eventuale estinzione dell’intero processo definisce la vicenda contenziosa), nell’ipotesi della querela di falso proposta in via incidentale potrebbe emergere un interesse dell’agente della riscossione, conseguente all’estinzione del giudizio civilistico sulla querela di falso, alla riassunzione del procedimento presupposto, rispetto al quale la querela stessa ha costituito una parentesi. Si pensi, ad esempio, all’ipotesi in cui la querela di falso sia stata proposta dal contribuente, in via incidentale, nella pendenza di un processo instaurato innanzi al Giudice tributario, avente ad oggetto un atto della riscossione solo facoltativamente impugnabile: in un caso del genere, fermo restando che l’ipotetica estinzione del processo civilistico avente ad oggetto la querela di falso non sarebbe verosimilmente pregiudizievole per l’agente della riscossione (ma semmai per il contribuente che l’aveva proposta), potrebbe comunque residuare un suo interesse alla riassunzione del processo tributario che era stato sospeso (in attesa della pronuncia sulla querela di falso), entro i termini previsti dall’art. 43 del D.lgs. 546/1992. In particolare, sussisterebbe sempre un interesse alla riassunzione del processo tributario (ma anche di quello civile), in tutti i casi in cui la causa era stata sospesa nella fase di appello instaurato dall’aDer. In tali ipotesi, infatti, all’estinzione del giudizio seguirebbe il passaggio in giudicato della (sfavorevole) sentenza impugnata. * * * § 2.7. i giudizi impugnatori in materia di ammissione al passivo fallimentare nell’interesse dell’agente della riscossione. Un’ultima ipotesi da affrontare è quella in cui l’agente della riscossione abbia impugnato la (parziale o totale) reiezione di una sua domanda di insinuazione allo stato passivo fallimentare, ai sensi degli artt. 98 e segg. della c.d. legge fallimentare (r.D. 16 marzo 1942, n. 267). In casi del genere, l’agente della riscossione avrebbe sempre, almeno in temI IStItUzIonalI linea di principio, un interesse alla riassunzione del giudizio, a seguito della cassazione con rinvio della pronuncia intervenuta sull’opposizione allo stato passivo fallimentare, posto che un’ipotetica estinzione dell’intero processo importerebbe il consolidamento del decreto che aveva reso esecutivo lo stato passivo, con conseguente definitività della (totale o parziale) reiezione della originaria domanda di insinuazione proposta dall’ente di esazione. Conclusioni. alla stregua di quanto si è detto, la Scrivente ritiene che possano trarsi le seguenti conclusioni, differenziate in base al plesso giurisdizionale innanzi al quale pende il singolo contenzioso. 1) nel processo tributario, è cautelativamente configurabile un interesse dell’agente della riscossione alla riassunzione del processo in cui sia intervenuta una statuizione di cassazione con rinvio, in linea di massima, nei soli casi di impugnazione di un atto facoltativamente impugnabile, potendosi invece ritenere non sussistere un interesse in relazione alle ipotesi affrontate nei paragrafi del presente parere: 1.1. (atti autonomamente impugnabili), 1.2. (impugnazioni innanzi al Giudice tributario delle iscrizioni ipotecarie) e 1.3. (impugnazioni innanzi al Giudice tributario dei dinieghi, espressi o taciti, di rimborso). * * * 2) nel processo civile, invece, è configurabile un interesse dell’agente della riscossione alla riassunzione del processo in cui sia intervenuta una statuizione di cassazione con rinvio, in linea di massima, nelle ipotesi affrontate nei paragrafi 2.1. (opposizioni all’esecuzione e agli atti esecutivi, ove sia stata disposta nelle more la sospensione dell’esecuzione), 2.2. (giudizi latamente impugnatori che si svolgono innanzi al Giudice ordinario e opposizioni recuperatorie), 2.3. (impugnazioni innanzi al Giudice civile delle iscrizioni ipotecarie), 2.4. (azioni proposte innanzi al Giudice civile per il rimborso di somme indebitamente versate all’agente della riscossione, purché vi sia stata la restituzione della somma controversa al contribuente nel corso del giudizio), 2.5. (azioni revocatorie promosse nell’interesse dell’agente della riscossione) e 2.7. (impugnazioni dello stato passivo fallimentare proposte nell’interesse dell’agente della riscossione). al contrario, non sembra emergere, almeno in astratto, uno specifico interesse dell’agente della riscossione convenuto alla riassunzione del processo, avente ad oggetto una querela di falso, in cui sia intervenuta una statuizione di cassazione con rinvio (par. 2.6. del presente parere). raSSeGna avvocatUra Dello Stato -n. 4/2022 Si ritiene opportuno estendere il presente parere anche all’agenzia delle entrate. l’avvocato dello Stato incaricato il Vice avvocato Generale Davide Giovanni Pintus Gianni De Bellis temI IStItUzIonalI Avvocatura Generaledello Stato CirColare n. 48/2023 Oggetto: Protocollo d’intesa tra la Stazione zoologica anton Dohrn di napoli e l’avvocatura Distrettuale dello Stato di napoli. Si comunica che con protocollo d’intesa sottoscritto in data 4 agosto 2023 tra l’avvocatura Distrettuale di napoli e la Stazione zoologica anton Dohrn, che si acclude alla presente, sono state definite le modalità di esplicazione del patrocinio dell’avvocatura dello Stato in favore della Stazione stessa. l’avvocato Generale Gabriella PalmIerI SanDUllI Protocollo D’InteSa tra l’avvocatUra DIStrettUale Dello Stato DI naPolI, con sede in napoli alla via Diaz n. 11, in persona dell’avvocato Distrettuale e la StazIone zooloGIcaanton DoHrn, con sede in napoli presso la villa comunale, in persona del Presidente p.t. ********* Premesso che: -la Stazione zoologica anton Dohrn (di seguito denominata Stazione zoologica) Istituto nazionale di Biologia, ecologia e Biotecnologie marine, costituita in persona giuridica di diritto pubblico ex l. n. 886 del 20 novembre 1982, rientra tra gli enti pubblici di ricerca a carattere non strumentale soggetti alla vigilanza del ministero dell’Università e della ricerca, che “hanno autonomia statutaria e regolamentare” ai sensi dell’art. 33 della costituzione (art. 3 D.lgs. 25 novembre 2016, n. 218; DPr 5 agosto 1991; già art. 8, comma 2, legge 9 maggio 1989, n. 168); -lo Statuto della Stazione zoologica, adottato con delibera n. 31 del 15 marzo 2022, ai sensi dell’art. 4 del d.lgs n. 218 del 2016, ed approvato con decreto del ministero dell’Università e della ricerca del 16 maggio 2022, prot. n. 461, nel disciplinare l’organizzazione ed il funzionamento dell’Istituto, così regola, all’art. 23, la rappresentanza e difesa in giudizio dell’ente: 1. “Per le controversie su materie per le quali il Presidente agisce nella qualità di organo decentrato dell’amministrazione statale, la rappresentanza e la difesa sono assunte dall’avvocatura dello stato, eccettuati i casi di conflitto di interessi con lo stato o con gli enti il cui patrocinio risulti demandato alla stessa avvocatura. 2. salve le ipotesi di conflitto, qualora, la stazione zoologica nelle controversie su materie di cui al precedente comma intenda in casi speciali non avvalersi dell’avvocatura dello stato, il Presidente dovrà adottare apposita motivata delibera. raSSeGna avvocatUra Dello Stato -n. 4/2022 3. Per le controversie su materie non comprese tra quelle di cui al comma 1, la rappresentanza e la difesa della stazione zoologica sono affidate discrezionalmente, all’avvocatura dello stato oppure a legali di libero foro”. considerato che: -la consulenza e il patrocinio legale dell’avvocatura dello Stato (di seguito denominata anche solo “avvocatura”), nelle materie in cui il Presidente della Stazione zoologica agisce nella qualità di organo decentrato dell’amministrazione statale, è prestato, in via obbligatoria ed esclusiva, ai sensi dell’art. 1 rD 1611/1933, e nelle altre materie, ai sensi dell’art. 43 r.D. n. 1611/1933 (c.d. patrocinio autorizzato), nei termini previsti dal citato art. 23 dello Statuto, approvato con decreto del mUr vigilante (art. 2 l. 12 gennaio 1991, n. 13); -è riconosciuta l’ammissibilità (già espressa in precedenti occasioni dal comitato consultivo dell’avvocatura Generale dello Stato) di una deroga, di carattere generale, al patrocinio c.d. autorizzato, da assumersi per una serie predeterminata di controversie che, in ragione della loro natura e modesta importanza economica, meglio potrebbero essere affidate e seguite da avvocati del libero foro; -è opportuno disciplinare, sulla base della distinzione dei ruoli e delle competenze e del riconoscimento delle rispettive responsabilità, le modalità di cooperazione tra l’ente e l’avvocatura, al fine di assicurare nel modo migliore la piena tutela degli interessi pubblici coinvolti, prevedendo anche forme snelle e semplificate di relazione, tali da rafforzare l’efficienza e l’efficacia dell’azione amministrativa e l’ottimale funzionalità delle strutture; -appare rispondente ad esigenze di continuità difensiva che le controversie, già affidate ad avvocati del libero foro, siano seguite dai rispettivi difensori, fino alla loro definitiva definizione. ciò premesso e considerato, tra l’avvocatura Distrettuale dello Stato di napoli e la Stazione zoologica anton Dohrn si conviene quanto segue: • attività Consultiva l’avvocatura fornisce pareri in ordine ai quesiti e alle richieste di parere poste dalla Stazione zoologica in merito a questioni particolari o interpretative di carattere generale. • assistenza e rappresentanza in Giudizio 1. l’avvocatura fornisce ogni assistenza richiesta al fine di assicurare nel modo migliore la piena tutela degli interessi pubblici. 2. al fine di consentire all’avvocatura il regolare svolgimento delle proprie funzioni, la Stazione zoologica, dopo la notifica di un atto introduttivo presso i propri uffici, provvede ad investire l’avvocatura delle richieste di patrocinio con il più ampio margine possibile rispetto alle scadenze, fornendo una completa e documentata relazione in fatto e in diritto, quale necessario supporto per l’efficace difesa delle ragioni dello stesso ente. 3. al fine di rendere praticabile operativamente un percorso di immediata e diretta comunicazione, anche informale, in sede di richiesta verrà precisato il nominativo del funzionario responsabile del procedimento, con le modalità per la sua immediata reperibilità (telefono, fax, e-mail); analogamente l’avvocatura provvederà a segnalare alla struttura richiedente il nominativo dell’avvocato incaricato dell’affare e le suindicate modalità di immediata reperibilità. 4. Qualora gli atti introduttivi del giudizio, o di un grado di giudizio, vengano notificati presso l’avvocatura, sono da quest’ultima prontamente inviati all’ente, con ogni relativa richiesta istruttoria. temI IStItUzIonalI 5. l’avvocatura provvede a tenere informata la Stazione zoologica dei significativi sviluppi delle controversie in corso dalla stessa curate, dando comunque pronta comunicazione del- l’esito del giudizio con la trasmissione di copia della decisione. ove si tratti di pronuncia sfavorevole per l’ente, l’avvocatura rende tempestivamente il proprio parere in ordine alla impugnabilità della decisione stessa. 6. Per le cause che si svolgono davanti ad organi giudiziari fuori dal circondario di napoli, l’avvocatura potrà avvalersi dell’opera di avvocati delegati appartenenti al libero foro, il cui compenso -per l’attività procuratoria -sarà a carico della Stazione zoologica. In alternativa, la delega delle funzioni procuratorie potrà essere conferita dall’avvocatura, previa intesa, a legali interni della Stazione zoologica. 7. l’avvocatura assume il patrocinio della Stazione zoologica nelle controversie davanti al t.a.r e al consiglio di Stato. 8. nei giudizi in materia di appalti, le comunicazioni tra la Stazione zoologica e l’avvocatura si svolgono con modalità e tempi adeguati alla rilevanza del contenzioso e alla brevità dei termini processuali previsti dalla particolare disciplina. 9. a richiesta della Stazione zoologica, l’avvocatura può assumere, ai sensi dell’art. 44 del r.D. n. 1611 del 1933, la rappresentanza e la difesa di dipendenti del medesimo Istituto, nei giudizi civili e penali che li interessano per fatti e cause di servizio. 10. I rapporti economici fra le parti resteranno regolati dall’art. 21 r.D. n. 1611/1933. Sostanzialmente l’avvocatura provvederà al diretto recupero nei confronti delle controparti e al successivo incameramento delle competenze ed onorari di giudizio, posti a carico dei soccombenti per effetto di sentenza, ordinanza, rinuncia o transazione. resta inteso che la Stazione zoologica è tenuta a sostenere in via preventiva le spese vive necessarie (contributo unificato, imposta di registro, ecc.) all’instaurazione e gestione della lite. 11. l’incarico della trattazione degli affari legali riguardanti la Stazione zoologica sarà affidato dall’avvocato Distrettuale ad un ristretto numero di avvocati dello Stato in servizio, compatibilmente con le esigenze d’Istituto dell’avvocatura e le esigenze di servizio del personale togato; i suddetti avvocati assicureranno l’espletamento di tutti gli incombenti necessari ed opportuni in sede contenziosa e consultiva e potranno essere contattati anche per le vie brevi presso i recapiti che gli stessi forniranno. 12. restano escluse dal patrocinio ex lege dell’avvocatura tutte le controversie nelle quali sia ravvisabile da parte dell’avvocatura un conflitto di interesse tra la Stazione zoologica e lo Stato, ivi comprese quelle di natura tributaria instaurate, o da instaurare, dinanzi alle corti di Giustizia tributaria di primo e secondo grado, nelle quali siano ravvisabili conflitti -anche virtuali -di interessi fra le posizioni della Stazione zoologica e gli Uffici Finanziari tutelati e rappresentati ex officio dall’avvocatura dello Stato; restano altresì escluse le controversie di natura meramente esecutiva e quelle concernenti sanzioni amministrative ex l. 689/81; per tali controversie, la Stazione zoologica, eccettuati i casi in cui la rappresentanza e difesa in giudizio possono essere assunte direttamente dall’amm.ne, si riseva di individuare avvocati del libero foro, cui affidare la rappresentanza processuale e l’assistenza necessaria alla difesa dei propri interessi. 13. l’avvocatura e la Stazione zoologica si impegnano a segnalare reciprocamente tutte le difficoltà operative eventualmente insorte nella gestione dei rapporti oggetto del presente .protocollo, allo scopo di provvedere -nello spirito della migliore collaborazione -al superamento delle stesse. 14. la presente convenzione ha durata illimitata e potrà essere in ogni momento modificata raSSeGna avvocatUra Dello Stato -n. 4/2022 e integrata d’intesa fra le parti; potrà essere risolta da entrambe le parti, con le conseguenze di legge, con preavviso formale di tre mesi o per intervenuta diversa disciplina normativa. l’avvocatura Distrettuale dello stato di napoli l’avvocato distrettuale giovanni cassano la stazione zoologica anton Dohrn il Presidente Prof. christopher bowler temI IStItUzIonalI Avvocatura Generaledello Stato CirColare n. 49/2023 con decreto del Presidente della repubblica in data 9 agosto 2023, registrato dalla corte dei conti in data 23 agosto 2023, è stato conferito l’incarico di vice avvocato Generale all’avvocato maria Gabriella mangia. all’avvocato mangia è attribuita la direzione della Sezione vI. l’avvocato Generale Gabriella PalmIerI SanDUllI raSSeGna avvocatUra Dello Stato -n. 4/2022 GiORnaTa Delle DOnne in maGisTRaTuRa (*) “la questione femminile in medioriente. il diritto (negato) allo studio” intervento della Presidente dell’associazione Unitaria degli avvocati e Procuratori dello Stato avv. Wally Ferrante 1. ringrazio innanzitutto la Presidente dell’associazione dei magistrati della corte dei conti Paola Briguori, con la quale condivido l’impegno nel comitato Intermagistrature, per questo gradito invito ad un convegno tutto al femminile, in cui ciascuna di noi testimonia una tappa raggiunta, per la prima volta, da una donna ad una carica in precedenza ricoperta solo da uomini. 2. mi preme poi ringraziare l’organizzatrice di questo incontro il consigliere maria cristina razzano che ha deciso di istituire questa giornata dedicata alle donne in magistratura, che si occuperà ogni anno di un tema diverso il 5 aprile, che segna appunto la data di ingresso delle donne in magistratura, il 5 aprile 1965, a seguito della legge del 9 febbraio 1963 n. 66, recante “ammissione della donna ai pubblici uffici ed alle professioni” il cui articolo 1, comma 1 disponeva “la donna può accedere a tutte le cariche, professioni ed impieghi pubblici, compresa la magistratura, nei vari ruoli, carriere e categorie, senza limitazione di mansioni e di svolgimento della carriera, salvi i requisiti stabiliti dalla legge”. l’art. 2 sanciva poi l’abrogazione della legge 17 luglio 1919, n. 1176, che poneva il divieto di accesso delle donne agli impieghi pubblici “che implicano … l’esercizio di diritti e di potestà politiche …secondo la specificazione che sarà fatta con apposito regolamento”, del successivo regolamento approvato con regio decreto 4 gennaio 1920, n. 39 ed ogni altra disposizione incompatibile (articolo poi abrogato dall’art. 57, D.lgs. 11 aprile 2006, n. 198). Dopo l’avvento della costituzione repubblicana del 1948, e l’affermazione del principio di uguaglianza, senza distinzione di sesso, si è dovuto attendere quindici anni perché il divieto dell’accesso della donna alla carriera magistratuale fosse rimosso. e ciò anche a seguito dell’intervento della corte costituzionale che, con la sentenza n. 33 del 1960, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 7 della citata legge n. 1176 del 1919 che escludeva le donne da tutti gli uffici pubblici che implicano l’esercizio di diritti e di potestà politiche, in riferimento all’art. 51, primo comma della costituzione. (*) convegno organizzato dall’associazione magistrati della corte dei conti; tra i vertici delle istituzioni giuridiche presenti: margherita cassano, Primo Presidente della corte suprema di cassazione; gabriella Palmieri sandulli, avvocato generale dello stato; guido carlino, Presidente della corte dei conti (roma, 5 aprile 2023, aula turina della corte dei conti). temI IStItUzIonalI 3. tra coloro che hanno superato il primo concorso in magistratura aperto alle donne abbiamo l’onore di avere qui presente la Presidente Gabriella luccioli, che è stata anche la prima donna a ricoprire l’incarico direttivo di Presidente di Sezione della corte di cassazione, se non erro nel 2008. ricordo che partecipavo anni fa alle riunioni dell’aDmI (associazione delle Donne magistrato Italiane) e che festeggiammo una sera questa importante nomina che ha segnato un traguardo importante a distanza di 40 anni da quell’ingresso in magistratura e da quel principio normativo “senza limitazione di mansioni e di svolgimento di carriera”. 4. oggi, con la Presidente margherita cassano, una donna ha raggiunto anche il vertice della magistratura ordinaria, ricoprendo il ruolo apicale di Primo Presidente della corte di cassazione, deputato a presiedere le Sezioni Unite che, nella massima espressione della nomofilachia, decidono le questioni giuridiche di massima importanza nonché risolvono le questioni di giurisdizione con le altre magistrature. 5. venendo all’avvocatura dello Stato, va ricordato che gli avvocati e Procuratori dello Stato sono espressamente equiparati ai magistrati dell’ordine giudiziario a norma dell’art. 23 del r.D. 1611/1933, tanto che nelle loro funzioni di assistenza e difesa delle amministrazioni, hanno un ruolo non di semplice difensore di una parte, ma di primi garanti del rispetto della legalità nell’agire pubblico. Hanno quindi vissuto le medesime restrizioni per l’accesso alla carriera da parte delle donne. anche l’avvocato Generale dello Stato Gabriella Palmieri Sandulli è stata la prima donna a ricoprire l’incarico di vertice dell’Istituto, prima di appannaggio esclusivamente maschile, dopo aver ricoperto, sempre come prima donna, quello di vice avvocato Generale e quello di Segretario Generale. attualmente si può dire che il gap di genere si è colmato atteso che, a fronte di 350 avvocati dello Stato, 153 sono donne; su 25 avvocature Distrettuali, 11, e quindi quasi la metà, sono dirette da un avvocato Distrettuale donna; a roma su 8 sezioni una sola è diretta da un vice avvocato Generale donna, ma per ragioni anagrafiche, ma 4 sezioni su 8, e quindi la metà, sono coordinate da una donna. 6. Devo dire che nel nostro lavoro non è riscontrabile alcuna discriminazione nei confronti delle donne. Ho fatto parte del comitato pari opportunità dell’avvocatura dello Stato e, nell’arco del mio mandato, non ci è stato segnalato alcun episodio di disparità di trattamento nei confronti di avvocati e Procuratori dello Stato di sesso femminile. certamente, non viene fatto alcuno “sconto” per chi ha figli piccoli o genitori anziani da accudire, compito che continua a gravare prevalentemente sulle donne. Qualche anno fa è stato rimosso in via giurisdizionale dal t.a.r. del lazio, con pronuncia poi confermata dal consiglio di Stato con la sentenza n. raSSeGna avvocatUra Dello Stato -n. 4/2022 6157/2017, il pregiudizio economico che riportavano le donne nel periodo di astensione obbligatoria dal lavoro durante la maternità per effetto dell’art. 12 del d.P.c.m. 29 febbraio 1972, che escludeva, in tale periodo, nonostante la cospicua assegnazione di nuovi affari, il percepimento degli onorari di causa, che costituiscono una componente essenziale del trattamento economico degli avvocati e Procuratori dello Stato. ciò proprio per non disincentivare la maternità anche nel quadro dei principi dell’Unione europea. Il consiglio di Stato ha fatto leva sulla normativa speciale a sostegno e tutela della maternità e paternità di cui al D.lgs. n. 151 del 2001, e nello specifico la previsione che il trattamento economico che compete alla donna in congedo obbligatorio per maternità è derogabile solo per effetto di norme di maggior favore e che di conseguenza tutti gli assegni di natura retributiva debbono essere garantiti alla gestante anche in ossequio al principio fondamentale di parità tra generi, ai sensi dell’art. 37 cost. nonché delle disposizioni ultra- nazionali di cui all’art. 157 t.F.U.e, all’art. 23 della carta dei Diritti Fondamentali U.e. e alla direttiva 2006/54/ce, anche secondo l’interpretazione della l. n. 53 del 2000, recante disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità propugnata dalla Presidenza del consiglio dei ministri nella circolare n. 14 del 16 novembre 2000, la quale precisa il diritto delle lavoratrici madri durante il periodo di astensione obbligatoria all’intera retribuzione fissa mensile, nonché al relativo trattamento accessorio. Il consiglio di Stato ha inoltre richiamato le norme che tutelano il lavoro femminile e la maternità, in particolare l’art. 37 comma 1, del t.U. n. 3/1957 in base al quale “la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”. Inoltre, l’art. 41 del t.U. n. 3 del 1957, autentica pietra angolare del sistema ora descritto, prevede: “all’impiegata che si trovi in stato di gravidanza o puerperio si applicano le norme per la tutela delle lavoratrici madri; essa ha diritto al pagamento di tutti gli assegni, escluse le indennità per servizi e funzioni di carattere speciale o per prestazioni di lavoro straordinario”. ne consegue che l’art. 12 del d.P.c.m. citato, che limita la deroga al- l’esclusione del riparto previsto per i procuratori e avvocati dello Stato al solo caso di congedo «straordinario» generico di cui all’art. 37 comma 2, t.U. senza prevedere tra questi anche il congedo per maternità, è stato ritenuto in contrasto irrimediabile con la normativa nazionale e sovraordinata. 7. Per quanto concerne il diritto allo studio, negato alle donne nei Paesi del medioriente, come abbiamo visto con le testimonianze della Principessa d’afghanistan e dell’attivista iraniana, non va dimenticato che si tratta di uno strumento indispensabile e fondamentale per l’emancipazione femminile. Studiare apre la mente e sviluppa lo spirito critico e l’autodeterminazione; garan temI IStItUzIonalI tisce la libertà di pensiero e di espressione, principi fondanti di ogni democrazia, tutti negati alle bambine e alle ragazze che non hanno accesso al percorso scolastico. nel mondo quasi 132 milioni di ragazze non vanno a scuola (34 milioni dovrebbero frequentare le elementari e 97 milioni le medie). nei paesi in conflitto, le bambine hanno una probabilità doppia di interrompere il percorso scolastico rispetto alle coetanee negli Stati politicamente stabili. In Italia, il diritto allo studio è garantito dagli articoli 33 e 34 della costituzione. In particolare, in ossequio all’art. 34, la scuola è aperta a tutti. l’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. lo studio costituisce quindi un diritto ma anche un dovere di ogni bambino quanto meno fino alla terza media. Per i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, è prevista l’erogazione di borse di studio e assegni alle famiglie per assicurare il raggiungimento dei gradi più alti degli studi. la disponibilità di risorse finanziare è, infatti, un fattore determinante nell’accesso all’istruzione superiore e universitaria: in Italia, soltanto il 20% della popolazione tra i 25 e i 64 anni è in possesso di una laurea e soltanto il 62,7% è in possesso di un diploma (in europa, la media è, rispettivamente del 33,4% e del 79,3% -dati Istat 2021). Il report sui livelli di istruzione dell’Istat segnala anche un forte divario territoriale nei livelli di istruzione tra nord e sud. Un contenzioso di cui si è occupata l’avvocatura dello Stato in relazione al diritto allo studio ha riguardato recentemente la tematica della richiesta di istruzione domiciliare per gli alunni disabili nel periodo covID. l’art. 1, comma 7 quater del D.l n. 22 dell’8 aprile 2020 prevede che “fino al termine dell’anno scolastico 2020/2021, per garantire il diritto al- l’istruzione alle bambine e ai bambini, alle alunne e agli alunni, alle studentesse e agli studenti per i quali sia accertata l’impossibilità della frequenza scolastica per un periodo non inferiore a trenta giorni di lezione, anche non continuativi, a causa di gravi patologie certificate, anche attraverso progetti che possono avvalersi dell’uso delle nuove tecnologie (art. 16, decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 66), l’attività di istruzione domiciliare in presenza può essere programmata in riferimento a quanto previsto dal piano educativo individualizzato, presso il domicilio dell’alunno, qualora le famiglie ne facciano richiesta e ricorrano condizioni di contesto idonee a contemperare il diritto all’istruzione dell’alunno in istruzione domiciliare con l’impiego del personale già in servizio presso l’istituzione scolastica, anche nel rispetto delle misure idonee a garantire la sicurezza sui luoghi di lavoro, assicurando tutte le prescrizioni previste dalle disposizioni in materia di contrasto alla diffusione dell’epidemia da covid-19”. In base alle linee guida allegate al D.m. 6 giugno 2019, n. 461 che disciplinano “la scuola in ospedale e l’istruzione domiciliare”, il servizio di raSSeGna avvocatUra Dello Stato -n. 4/2022 istruzione domiciliare può essere erogato nei confronti di alunni, iscritti a scuole di ogni ordine e grado, anche paritarie, a seguito di formale richiesta della famiglia e di idonea e dettagliata certificazione sanitaria, in cui è indicata l’impossibilità a frequentare la scuola per un periodo non inferiore ai 30 giorni (anche non continuativi) rilasciata dal medico ospedaliero o comunque dai servizi sanitari nazionali. Durante il periodo della pandemia, le richieste sono state moltissime ma il ministero dell’istruzione non poteva assicurare lo stesso monte ore di sostegno in presenza (nella specie 22 ore settimanali) previsto nel Piano educativo Personalizzato (PeI) come istruzione domiciliare non avendo la disponibilità di un numero sufficiente di insegnanti destinati ad andare nelle case dei singoli alunni; nelle ordinanze del tribunale di roma si è affermato che, nell’attuale quadro di riferimento, l’attività educativa prosegue -negli istituti che in tal senso si sono organizzati -attraverso un sistema di didattica a distanza, “modalità di fruizione del servizio scuola che presenta una certa complessità e rispetto alla quale la presenza di un insegnante di sostegno che supporti gli alunni con maggiori difficoltà aiutandoli a seguire quanto accade, se possibile si prospetta ancor più significativa e rilevante per consentire loro di accedere nella massima misura possibile all’istruzione cui hanno diritto”: in questo contesto, il diritto all’istruzione dei disabili deve essere modulato “secondo le attuali caratteristiche dell’offerta scolastica” (tribunale di roma, ordinanze rese nei giudizi r.g. nn. 77275/2019 e 3829/2020). negli ospedali, invece, è prevista l’istruzione scolastica per i bambini ricoverati con insegnanti presenti sul posto che consente, soprattutto a quelli la cui degenza è prolungata, di non perdere preziosi periodi di insegnamento e il contatto diretto con gli insegnanti. 8. Da ultimo vorrei citare la recente sentenza della corte di Giustizia dell’Unione europea, causa c-344/20 del 13 ottobre 2022 in tema di divieto di indossare il velo nei luoghi di lavoro in una causa pregiudiziale Belga. la corte di Giustizia ha affermato che l’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/78/ce, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, deve essere interpretato nel senso che una disposizione di un regolamento di lavoro di un’impresa che vieta ai dipendenti di manifestare con l’abbigliamento o in qualsiasi altro modo, le loro convinzioni religiose o filosofiche, di qualsiasi tipo, non costituisce, nei confronti dei dipendenti che intendono esercitare la loro libertà di religione e di coscienza indossando visibilmente un segno o un indumento con connotazione religiosa, una discriminazione diretta «basata sulla religione o sulle convinzioni personali», ai sensi di tale direttiva, a condizione che tale disposizione sia applicata in maniera generale e indiscriminata. Il rinvio pregiudiziale è stato disposto dal tribunale del lavoro di Bru temI IStItUzIonalI xelles nell’ambito di una controversia tra la ricorrente, di fede musulmana e un’impresa in merito alla mancata presa in considerazione della candidatura spontanea della ricorrente a un tirocinio in seguito al rifiuto di quest’ultima di rispettare il divieto imposto dall’azienda ai suoi dipendenti di manifestare, segnatamente mediante l’abbigliamento, le loro convinzioni religiose, filosofiche o politiche, nella specie mediante il porto del velo. Della questione del divieto del velo si è occupata anche la corte europea dei Diritti dell’Uomo sotto il profilo delle potenziali violazioni del diritto alla libertà di pensiero, coscienza e religione che ne deriverebbero. Il primo caso in cui la corte di Strasburgo si è pronunciata sull’uso del velo islamico è del 2001 (dalhab c. svizzera): la ricorrente era un’insegnante di una scuola primaria convertita all’Islam. Il ricorso alla cedu era conseguente al divieto di indossare il velo in classe. In quel caso la cedu considerò il divieto del velo giustificato e proporzionato non solo al fine di tutelare i diritti e le libertà dei giovani studenti facilmente influenzabili e di evitare lo sviluppo del proselitismo, ma anche in quanto simbolo imposto alle donne da un precetto coranico discriminatorio tra i due sessi, non in linea con i principi che ogni insegnante dovrebbe trasmettere ai propri allievi. anche nel 2014 (sas c. francia) la corte europea negò il contrasto con la convenzione della legge francese dell’11 ottobre 2010 che proibisce l’occultamento del volto negli spazi pubblici. Divieto giustificato anche nel caso belcacemi e oussar c. belgio. anche allora il divieto di velo nei luoghi pubblici non fu considerato una violazione degli articoli della convenzione, ed in particolare dell’art. 8 sul diritto al rispetto per la vita familiare e privata, del- l’articolo 9 sulla libertà di pensiero, di coscienza e religione e dell’articolo 14 sul divieto di discriminazione. va infatti evidenziato che “hijab”, il velo islamico, significa rendere invisibile, celare allo sguardo, nascondere, coprire mentre le donne non devono in alcun modo nascondersi o rendersi invisibili e l’incontro di oggi ne è un’importante testimonianza. Wally ferrante avvocato dello stato ContenzioSoCoMUnitarioedinternazionale Moore v. Harper Un’importante sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti sul controllo di costituzionalità Marco Cerase* Con la sentenza Moore v. Harper (emanata il 27 giugno 2023)(1), la Corte Suprema degli Stati Uniti ha colto l’occasione per tornare ai fondamentali della giustizia costituzionale. Il caso era processualmente intricato ma si può sintetizzare come segue (risparmiando al lettore alcune torsioni procedurali che non intaccano il senso della sentenza). La Costituzione americana del 1787, all’art. I, quarto comma, assegna ai parlamenti (rectius: ai poteri legislativi) statali il compito di definire tempi, luoghi e modalità di elezione dei rappresentanti di ciascuno Stato alla Camera dei rappresentanti federale in Washington. La legge statale può, per esempio, stabilire il metodo elettorale (proporzionale, maggioritario uninominale a turno secco all’inglese o con eventuale ballottaggio alla francese, eccetera). In base a questa competenza costituzionale, gli Stati possono anche disegnare (e molto spesso disegnano) i collegi elettorali. Nella storia elettorale e politica degli USA, si parla al riguardo di gerrymandering, poiché la definizione territoriale dei collegi molto di frequente è fatta in modo da comprendere appositamente sacche di popolazione incline a votare per l’un partito piuttosto che per l’altro, dando luogo a piantine che somigliano a salamandre. Sicché le maggioranze interne ai legislativi statali hanno una notevole influenza sulla composizione del Congresso federale. Ne viene che la materia del gerrymandering è politicamente molto sen (*) Consigliere della Camera dei deputati. (1) Consultabile: https://www.supremecourt.gov/opinions/22pdf/21-1271_3f14.pdf rASSegNA AVVOCATUrA deLLO STATO -N. 4/2022 sibile e, in relazione a essa, spessissimo nascono controversie giudiziarie; ne consegue ancora che, non di rado, le cartine elettorali contenute in leggi statali vengano dichiarate illegittime per irragionevolezza dai tribunali e annullate o corrette, soprattutto se finiscono per rivelare risvolti razziali (vale a dire se inducono esiti di sotto-rappresentazione delle comunità afroamericane o di altre minoranze etniche). In pratica, le forze di minoranza nei legislativi statali fanno affidamento sul contenzioso giudiziario per ottenere rimedi contro quello che ritengono un gerrymandering fatto in loro danno. Nel caso deciso con la sentenza Moore, era accaduto che la maggioranza repubblicana nel congresso statale della Carolina del Nord aveva approvato una legge nel 2021, con annessa una piantina, molto squilibrata in favore della propria parte politica, soprattutto raggruppando in quattro soli collegi su 12 il grosso del voto statisticamente democratico. di qui il ricorso dei democratici al tribunale statale, il quale tuttavia lo aveva respinto ritenendo che la materia dei collegi elettorali fosse una c.d. Political question (espressione che in Italia potrebbe essere tradotta in discrezionalità legislativa o, anche, per la giurisdizione amministrativa, a metà strada tra atto politico e di alta amministrazione)(2) e, quindi, assai difficilmente sindacabile in sede di legittimità. I democratici allora avevano fatto ricorso alla Corte suprema statale della Carolina del Nord, sulla base delle Costituzioni sia statale (la quale contiene il principio della libertà del voto) sia federale (il cui XIV emendamento prevede il principio di eguaglianza), deducendo pertanto la violazione della libertà ed eguaglianza nel voto (non dissimilmente dall’art. 48 della Costituzione italiana). La Corte suprema della Carolina del Nord aveva riformato la sentenza di primo grado e ritenuto che -sì -i legislativi statali godono di discrezionalità nel definire i collegi; e che la materia della statuizione dei confini territoriali dei collegi elettorali è Political question nelle corti federali (specie ai sensi del precedente della Corte Suprema federale rucho v. Common Cause del 2019). Ma tutto ciò non impedisce alle corti statali di ravvisare che la discrezionalità politica adoperata dai legislativi abbia sconfinato nell’illogico e nel- l’irragionevole. In conclusione, la Corte suprema statale aveva accolto il ricorso e annullato la piantina dei collegi approvata, con l’ordine accessorio al legislativo statale di approvarne un’altra. I repubblicani a quel punto avevano fatto ricorso alla Corte Suprema federale. Qui però occorreva far valere un tono costituzionale della lite, giacché raramente la Corte a Washington decide di esaminare questioni nel merito. (2) In argomento v. T. LUNdMArk, Power and Rights in US constitutional law, Oceana Publications, New York 2001, pag. 90. CONTeNZIOSO COMUNITArIO ed INTerNAZIONALe e i ricorrenti repubblicani avevano fatto valere una tesi sinora isolata in dottrina, vale a dire che l’art. I della Costituzione -nell’assegnare ai legislativi statali il potere di determinare tempi e modalità delle elezioni dei membri dei congressi statale e federale -conferisce loro una riserva assoluta, tale da essere sottratta persino alla giurisdizione. In base a una simile teoria, che va ben oltre la Political question, in materia di sistema di voto, gli Stati sarebbero sottratti a qualsiasi controllo perché la Costituzione federale assegna quel potere ai legislativi statali e non anche al potere giudiziario. diverse voci (e con esse il rappresentante del governo degli USA) si erano levate contro questa lettura, sottolineando che essa, in definitiva, metteva in discussione il sindacato di legittimità sulle leggi e, dunque, minava alla base il principio secolare stabilito nella celeberrima sentenza Marbury v. Madison del 1803 (3). Come noto, in quella sentenza furono fissati allo stesso tempo la rigidità delle costituzioni rispetto alla legislazione ordinaria, la separazione dei poteri e il principio della giustiziabilità dei diritti. Accogliere il ricorso proposto per conto della maggioranza del legislativo statale della Carolina del Nord avrebbe significato mandare in cenere in un colpo solo 220 anni di costituzionalismo contemporaneo. ebbene, con una maggioranza di 6 giudici a 3 e con relatore il Chief Justice John roberts, la Corte Suprema degli Stati Uniti si è incaricata di ristabilire chiarezza e ribadire la validità della sentenza Marbury. Proprio partendo da questa pronunzia, il giudice roberts ricorda che appartiene alla storia giuridica degli Stati Uniti (e di tutte le democrazie, verrebbe da dire) che vi debba essere un giudice che possa verificare la legittimità delle leggi in base alla Costituzione (v. pag. 12 della sentenza). Peraltro, tracce di questa competenza di controllo di costituzionalità sono rinvenibili -scrive roberts -anche prima della stessa formazione degli Stati Uniti -nei singoli stati che poi si federarono. Nessuna sorpresa, allora, che il judicial review sia stato praticato molte volte proprio in materia elettorale e che la teoria della riserva assoluta ai legislativi statali sia stata ritenuta infondata. Nel caso Ohio v. Hildebrandt del 1916 era successo che il legislativo statale aveva disegnato collegi elettorali che erano stati sottoposti a referendum popolare e, in tal modo, abrogati. Il legislativo statale dell’Ohio aveva fatto ricorso alla Corte Suprema federale per far valere il suo potere esclusivo, ma la Corte era andata di avviso opposto (v. pag. 15 della sentenza). (3) In argomento, si fa rinvio a T. LUNdMArk, Power and Rights, cit., pag. 76 e, per il lettore italiano, a g. ZAgrebeLSkY, La giustizia costituzionale, Mulino, bologna 1977, pag. 167 e V. CrISAfULLI, Lezioni di diritto costituzionale, vol. II, Cedam, Padova 1984, pag. 260. rASSegNA AVVOCATUrA deLLO STATO -N. 4/2022 Nel 1932 -poi -nel caso Smiley v. Holm, era successo che una legge che recava un marcato gerrymandering in Minnesota era stato oggetto del veto del governatore. Anche in questo caso, il legislativo statale aveva tentato di far valere il suo potere esclusivo in materia elettorale nei confronti dell’esecutivo ma la Corte Suprema federale aveva deciso in senso contrario (v. pag. 16 della sentenza). Più di recente, nel caso Arizona v. Independent redistricting Commission del 2015, si era posto il caso di un’iniziativa legislativa popolare la quale aveva condotto nientemeno che a una modifica della Costituzione statale, ai sensi della quale al legislativo statale era stato sottratto il potere di procedere al gerrymandering (!) e affidato il compito di disegnare i collegi a un’autorità indipendente. Il legislativo statale dell’Arizona si era quindi rivolto alla Corte Suprema federale per far valere il contrasto di tale modifica costituzionale in sede statale con l’art. I, quarto comma, della Costituzione federale. Questa però aveva stabilito che tale ultima disposizione non preclude agli stati di esercitare i poteri elettorali in modo da delegarli a un’autorità terza e indipendente. La sentenza redatta dal Chief Justice roberts -dunque -respinge la tesi della riserva assoluta ai legislativi statali in materia elettorale e afferma che il potere giurisdizionale statale vi ha voce in capitolo. Ma anche qui, entro limiti ragionevoli (“State courts do not have free rein” è l’espressione usata in sentenza). A loro volta, le decisioni delle corti statali dovranno fare i conti con la Costituzione federale e pertanto con l’interpretazione che di essa fa la Corte Suprema federale. In tal senso, roberts cita il caso bush v. gore del 2000, che di fatto assegnò la vittoria alle elezioni presidenziali a george W. bush, nonostante questi avesse -sul piano nazionale -ottenuto circa mezzo milione di voti meno di gore (4). In quella circostanza, la Corte Suprema federale aveva cassato una decisione della Corte suprema dello Stato della florida, la quale aveva a sua volta ordinato un nuovo conteggio delle schede elettorali. In larga sostanza, la Corte Suprema a Washington aveva sostituito il proprio giudizio sulla ragionevolezza delle procedure elettorali a quello della Corte statale (così, peraltro, suscitando il marcato dissenso di 4 giudici su 9). Nella sentenza Moore la Corte ribadisce il concetto inerente al proprio potere di sindacato sulle decisioni dei tribunali statali. Con ciò la Corte Suprema ristabilisce la gerarchia delle fonti e l’ordine dei poteri. Vale la pena -in chiusura -rammentare che nel nostro ordinamento il tema generale del sindacato di legittimità costituzionale, previsto espressamente dall’art. 134, primo capoverso, della Costituzione, ha dato luogo in tema elettorale a un dibattito non lontano dai concetti della Political question. La Corte costituzionale ha infatti affermato che “il sistema elettorale, tuttavia, (4) Sulla pronunzia sia consentito rinviare a M. CerASe, Le elezioni presidenziali del 2000 innanzi alla Corte Suprema degli Stati Uniti, in Giurisprudenza costituzionale 2000, pag. 4449. CONTeNZIOSO COMUNITArIO ed INTerNAZIONALe pur costituendo espressione dell’ampia discrezionalità legislativa, non è esente da controllo, essendo sempre censurabile in sede di giudizio di costituzionalità quando risulti manifestamente irragionevole (sentenze n. 242 del 2012 e n. 107 del 1996; ordinanza n. 260 del 2002)” (sentenza n. 1 del 2014, punto 3.1 del Considerato in diritto) (5). Proprio per questo, l’Avvocatura dello Stato -nei giudizi nei quali si contesta la legittimità di leggi elettorali non si può limitare a eccepire l’inammissibilità delle questioni per essere esse riservate alla discrezionalità politica del Parlamento ma è chiamata a confrontarsi più in profondità con gli specifici meccanismi di traduzione dei voti in seggi (v., per esempio, la sentenza n. 35 del 2017). (5) Per acute osservazioni su questa pronunzia v. di recente M. LUCIANI, Ogni cosa al suo posto, giuffré fL, Milano 2023, pagg. 195 ss. rASSegNA AVVOCATUrA deLLO STATO -N. 4/2022 la CGUe sull’obbligo vaccinale per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario NOta a CORte di GiUStizia deLL’UNiONe eUROPea, SeziONe SeCONda, SeNteNza 13 LUGLiO 2023, CaUSa C-765/21 Beatrice Gatta* Con la sentenza in epigrafe la Corte di giustizia si è pronunciata sulla compatibilità, con il diritto dell’Unione europea, dell’articolo 4 del decreto legge 44 del 1 aprile 2021, convertito con modificazioni dalla legge 76 del 28 maggio 2021, riguardante gli obblighi vaccinali per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario. L’aspetto controverso della norma riguardava la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione prevista in capo a tali soggetti, se non vaccinati. I principi richiamati dal giudice del rinvio erano quelli dell’articolo 4 del regolamento (Ce) n. 507/2006 della Commissione, del 29 marzo 2006, relativo all’autorizzazione all’immissione in commercio condizionata dei medicinali per uso umano che rientrano nel campo di applicazione del regolamento (Ce) n. 726/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del regolamento (Ue) 2021/953 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2021, su un quadro per il rilascio, la verifica e l’accettazione di certificati interoperabili di vaccinazione, di test e di guarigione in relazione alla COVId-19 (certificato COVId digitale dell’Ue) per agevolare la libera circolazione delle persone durante la pandemia di COVId-19, nonché degli articoli 3, 35 e 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (di seguito anche solo “Carta”). Nello specifico, erano formulate le seguenti questioni pregiudiziali: “1) dica la Corte di Giustizia se le autorizzazioni condizionate della Commissione, emesse su parere favorevole dell’eMa, relative ai vaccini oggi in commercio, possano essere considerate ancora valide, ai sensi dell’art. 4 del Reg. n. 507/2006, alla luce del fatto che, in più Stati membri (ad esempio in italia, approvazione aiFa del protocollo di cura con anticorpi monoclonali e/o antivirali), sono state approvate cure alternative al COVid SaRS 2 efficaci e in thesi meno pericolose per la salute della persona, e ciò anche alla luce degli artt. 3 e 35 della Carta di Nizza. 2) dica la Corte di Giustizia se, nel caso di sanitari per i quali la legge dello Stato membro abbia imposto il vaccino obbligatorio, i vaccini approvati dalla Commissione in forma condizionata ai sensi e agli effetti del Regolamento n. 507/2006, possano essere utilizzati al fine della vaccinazione obbli(*) dottoressa in giurisprudenza, praticante presso l’Avvocatura generale dello Stato (avv. Stato fabrizio Urbani Neri). CONTeNZIOSO COMUNITArIO ed INTerNAZIONALe gatoria anche qualora i sanitari in parola siano già stati contagiati e quindi abbiano già raggiunto una immunizzazione naturale e possano quindi chiedere una deroga dall’obbligo. 3) dica la Corte di Giustizia se, nel caso di sanitari per i quali la legge dello Stato membro abbia imposto il vaccino obbligatorio, i vaccini approvati dalla Commissione in forma condizionata ai sensi e agli effetti del Regolamento n. 507/2006, possano essere utilizzati al fine della vaccinazione obbligatoria senza procedimentalizzazione alcuna con finalità cautelativa o se, in considerazione della condizionalità dell’autorizzazione, i sanitari medesimi possano opporsi all’inoculazione, quanto meno fintantoché l’autorità sanitaria deputata abbia escluso in concreto, e con ragionevole sicurezza, da un lato, che non vi siano controindicazioni in tal senso, dall’altro, che i benefici che ne derivano siano superiori a quelli derivanti da altri farmaci oggi a disposizione. Chiarisca la Corte se in tal caso, le autorità sanitarie deputate debbano procedere nel rispetto dell’art. 41 della Carta di Nizza. 4) dica la Corte di giustizia se, nel caso del vaccino autorizzato dalla Commissione in forma condizionata, l’eventuale non assoggettamento al medesimo da parte del personale medico sanitario nei cui confronti la legge dello Stato impone obbligatoriamente il vaccino, possa comportare automaticamente la sospensione dal posto di lavoro senza retribuzione o se si debba prevedere una gradualità delle misure sanzionatorie in ossequio al principio fondamentale di proporzionalità. 5) dica la Corte di Giustizia se laddove il diritto nazionale consenta forme di dépeçage, la verifica della possibilità di utilizzazione in forma alternativa del lavoratore, debba avvenire nel rispetto del contraddittorio ai sensi e agli effetti dell’art. 41 della Carta di Nizza, con conseguente diritto al risarcimento del danno nel caso in cui ciò non sia avvenuto. 6) dica la Corte di Giustizia se, alla luce del Regolamento n. 953/21 che vieta qualunque discriminazione fra chi ha assunto il vaccino e chi non ha voluto o potuto per ragioni mediche assumerlo, sia legittima una disciplina nazionale, quale quella risultante dall’art. 4, comma 11, del decreto legge n. 44/2021, che consente al personale sanitario che è stato dichiarato esente dall’obbligo di vaccinazione di esercitare la propria attività a contatto con il paziente, ancorché rispettando i presidi di sicurezza imposti dalla legislazione vigente, mentre il sanitario che come la ricorrente -in quanto naturalmente immune a seguito di contagio -non voglia sottoporsi al vaccino senza approfondite indagini mediche, viene automaticamente sospeso da qualunque atto professionale e senza remunerazione. 7) dica la Corte se sia compatibile con il Regolamento n. 953 del 2021 e i principi di proporzionalità e di non discriminazione ivi contenuti, la disciplina di uno Stato membro che imponga obbligatoriamente il vaccino anti-Covid autorizzato in via condizionata dalla Commissione -a tutto il personale sanita rASSegNA AVVOCATUrA deLLO STATO -N. 4/2022 rio anche se proveniente da altro Stato membro e sia presente in italia ai fini dell’esercizio della libera prestazione dei servizi e della libertà di stabilimento”. Questione in fatto e normativa nazionale. In fatto la controversia traeva origine dal ricorso al Tribunale ordinario di Padova, in funzione di giudice del lavoro, presentato da un’infermiera professionale presso l’Azienda Ospedale-Università di Padova a seguito della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per violazione dell’obbligo vaccinale. La ricorrente chiedeva di essere riammessa in servizio, affermando la contrarietà dell’articolo 4 del d. l. 44/2021 al diritto dell’Unione e alla Costituzione della repubblica Italiana. In base alla normativa controversa, gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario -salvo i casi di accertato pericolo per la salute in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate -erano obbligati a sottoporsi alla vaccinazione gratuita, comprensiva della dose di richiamo successiva al ciclo vaccinale primario, costituendo requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati. Tale norma era elaborata con il fine di tutelare la salute pubblica, tenendo conto delle valutazioni scientifiche per cui il vaccino rappresenta lo strumento più efficace per ridurre il contagio e gli sviluppi più gravi della malattia, nonché delle particolari cautele a cui sono tenuti i soggetti preposti alla cura di soggetti fragili. Come emerge nella relazione illustrativa del d.l. 44/2021: “L’introduzione di un siffatto obbligo per le categorie professionali considerate nasce dalla constatazione che la vaccinazione degli operatori sanitari, unitamente alle altre misure di protezione collettiva e individuale per la prevenzione della trasmissione degli agenti infettivi nelle strutture sanitarie e negli studi professionali, ha valenza multipla: consente di salvaguardare l’operatore rispetto al rischio infettivo professionale, contribuisce a proteggere i pazienti dal contagio in ambiente assistenziale e serve a difendere l’operatività dei servizi sanitari, garantendo la qualità delle prestazioni erogate, e contribuisce a perseguire gli obiettivi di sanità pubblica”. Questioni pregiudiziali. Il giudice remittente, dopo aver affermato che le autorizzazioni alla messa in commercio dei vaccini anti-Covid sono atti di diritto dell’Unione e, come tali, valutabili sotto il profilo di legittimità solo dalla Corte di giustizia, con ordinanza di rinvio del 17 dicembre 2021, formulava la domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte di giustizia, ai sensi dell’articolo 267 TfUe. Con la prima questione, il giudice del rinvio si interrogava sulla validità delle c.d. autorizzazioni all’immissione in commercio condizionate, concesse CONTeNZIOSO COMUNITArIO ed INTerNAZIONALe dalla Commissione europea, previo parere dell’Agenzia europea per i medicinali (eMA), alla luce delle “nuove emersioni mediche” e delle “nuove acquisizioni in termini di medicinali a disposizione”, considerato quanto previsto dall’articolo 4 del regolamento n. 507/2006 e dagli articoli 3 e 35 della Carta, volti a disciplinare, rispettivamente, l’integrità fisica e la protezione della salute. dalla seconda alla quinta questione, detto giudice, esprimeva dubbi circa la vaccinazione obbligatoria, dando rilievo al fatto che i vaccini fossero stati approvati in forma condizionata ai sensi del regolamento n. 507/2006. di qui giungeva a chiedere se: -potessero essere utilizzati ai fini della vaccinazione obbligatoria per coloro che fossero già stati contagiati o avessero raggiunto l’immunizzazione naturale; -i sanitari potessero opporsi all’inoculazione “fintantoché l’autorità sanitaria deputata” avesse escluso “controindicazioni” e avesse accertato “benefici (...) superiori a quelli derivanti da altri farmaci”; -la sospensione dal posto di lavoro potesse essere disposta automaticamente. Tale giudice richiamava, altresì, il contenuto dell’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che sancisce il diritto ad una buona amministrazione. Con la sesta e la settima questione, il giudice a quo chiedeva se la normativa nazionale fosse conforme ai principi di non discriminazione e di proporzionalità, come previsti dal regolamento n. 2021/953. Cenni sulla giurisprudenza rilevante. Le perplessità del giudice remittente si inseriscono nell’ambito dell’ampio dibattito che si è sviluppato attorno ai vaccini a seguito della loro approvazione. A tal proposito, giova rammentare che, secondo la normativa dell’Unione europea, la commercializzazione del vaccino passa attraverso una raccomandazione da parte della competente Agenzia europea per i medicinali (eMA) che ne valuta la sicurezza, l’efficacia e la qualità -sulla cui base la Commissione europea può procedere all’autorizzazione alla commercializzazione, dopo aver sentito gli Stati che devono esprimersi favorevolmente a maggioranza qualificata. Nei casi dell’articolo 2 del regolamento n. 507/2006 (1), può essere approvata la procedura di “immissione in commercio condizionata” (CMA, Conditional Marketing Authorisation), prevista dal regolamento n. 726/2004, che stabilisce la possibilità di ricorrere ad una procedura più rapida. (1) regolamento (Ce) n. 507/2006, art. 2 “il presente regolamento si applica ai medicinali per uso umano di cui all’articolo 3, paragrafi 1 e 2, del regolamento (Ce) n. 726/2004 e appartenenti ad una delle seguenti categorie: 1) medicinali destinati al trattamento, alla prevenzione o alla diagnosi di malattie gravemente invalidanti o potenzialmente letali; 2) medicinali da utilizzare in situazioni di emergenza in risposta a minacce per la salute pubblica, debitamente riconosciute dall’Organizzazione mondiale della sanità ovvero dalla Comunità nel contesto della decisione n. 2119/98/Ce; 3) medicinali designati come medicinali orfani a norma dell’articolo 3 del regolamento (Ce) n. 141/2000”. rASSegNA AVVOCATUrA deLLO STATO -N. 4/2022 La strategia vaccinale è stata formalmente approvata da tutti gli Stati membri, essi hanno poi disciplinato in diverso modo la vaccinazione, non essendo la materia sanitaria armonizzata. diversi paesi -tra cui l’Italia, la francia e la germania -hanno previsto l’obbligo vaccinale in capo a determinate categorie di soggetti, ciò ha condotto a molteplici pronunce sulla validità di detto obbligo. Vale il richiamo alla decisione della Corte edU, n. 41950, del 24 agosto 2021, che ha dichiarato l’inammissibilità della domanda presentata dai ricorrenti francesi (vigili del fuoco, operatori del soccorso e personale ospedaliero) e ha affermato la compatibilità della Convenzione edU con l’obbligo vaccinale e le conseguenti limitazioni imposte dagli ordinamenti nazionali ai pubblici dipendenti. Con riferimento all’obbligo vaccinale in capo agli operatori sanitari, si è espressa anche la Corte Costituzionale italiana (2), non censurando la normativa nazionale. Le domande del giudice del rinvio, nella sentenza in commento, si incentravano sulla validità dell’autorizzazione all’immissione in commercio condizionata. A tal proposito, è da menzionare quanto espresso dal Consiglio di Stato, sez. III, nella sentenza n. 7045 del 20 ottobre, per cui “l’autorizzazione all’immissione in commercio condizionata non è una scorciatoia incerta e pericolosa escogitata ad hoc per fronteggiare irrazionalmente una emergenza sanitaria come quella attuale, ma una procedura di carattere generale, idonea ad essere applicata -e concretamente applicata negli anni passati, anche recenti, soprattutto in campo oncologico -anche al di fuori della situazione pandemica, a fronte di necessità contingenti (non a caso la lotta contro i tumori ne è il terreno elettivo), e costituisce una sottocategoria del procedimento inteso ad autorizzare l’immissione in commercio ordinaria perché viene rilasciata sulla base di dati che sono, sì, meno completi rispetto a quelli ordinari -cfr. 4° Considerando del Reg. Ce 507/2006 -ma è appunto presidiata da particolari garanzie e condizionata a specifici obblighi in capo al richiedente”. L’autorizzazione in questione, applicata in base all’articolo 2 del regolamento n. 507/2006, è in grado di certificare la sicurezza, l’efficacia e la qualità dei medicinali approvati, essendo subordinata alle quattro condizioni dell’articolo 4 dello stesso regolamento, per cui: a) il rapporto rischio/beneficio del medicinale risulta positivo; b) è probabile che il richiedente possa in seguito fornire dati clinici completi; c) il medicinale risponde ad esigenze mediche insoddisfatte; d) i benefici per la salute pubblica derivanti dalla disponibilità immediata sul mercato del medicinale in questione superano il rischio inerente al fatto che occorrono ancora dati supplementari. (2) Cfr. Corte Cost., sent. n. 14/2023, IT:COST:2023:14; Corte Cost., sent. n. 15/2023, IT:COST:2023:15; Corte Cost., sent. n. 16/2023, IT:COST:2023:16. CONTeNZIOSO COMUNITArIO ed INTerNAZIONALe Sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea. La Corte di giustizia, con la sentenza del 13 luglio 2023, afferma che la domanda proposta dal giudice del rinvio è irricevibile, in quanto non risultano soddisfatti i requisiti previsti dall’articolo 94, lettera c) del regolamento di procedura, per cui occorre illustrare in modo specifico i motivi che hanno condotto il giudice del rinvio ad interrogarsi sull’interpretazione o sulla validità di determinate disposizioni del diritto dell’Unione. Ciò, in applicazione della consolidata giurisprudenza (3) per cui si deve pervenire ad un’interpretazione che sia utile per il giudice nazionale. La Corte sostiene l’irricevibilità sulla base delle argomentazioni che seguono. Per quanto concerne la prima questione, la Corte, dichiara che “in assenza di qualsiasi spiegazione da parte del giudice del rinvio circa i motivi per cui esso mette in discussione la validità delle autorizzazioni all’immissione in commercio condizionate nonché circa quelli relativi all’eventuale nesso tra, da un lato, la validità di tali autorizzazioni e, dall’altro, l’obbligo vaccinale contro la COVid-19 previsto all’articolo 4 del decreto legge n. 44/2021, si deve giudicare che la presente domanda di pronuncia pregiudiziale non soddisfa i requisiti ricordati”. Le questioni dalla seconda alla quinta sono trattate congiuntamente, con riferimento ad esse, la Corte, dopo aver premesso che l’articolo 168, paragrafo 7, TfUe (4) non pregiudica la competenza degli Stati membri ad adottare disposizioni destinate a definire la loro politica sanitaria e non enuncia obblighi circa la vaccinazione di determinate categorie di persone e dopo aver chiarito che il rilascio delle autorizzazioni non ha l’effetto di imporre ai potenziali destinatari un obbligo alla somministrazione, evidenzia che “il giudice del rinvio non espone, nella sua ordinanza di rinvio, il collegamento che esso stabilisce fra, da un lato, il contenuto o l’oggetto di tali autorizzazioni, concesse conformemente all’articolo 4 del regolamento n. 507/2006, e, dall’altro, la configurazione, nel suo diritto interno, delle condizioni e delle modalità dell’obbligo vaccinale menzionate nelle questioni dalla seconda alla quinta”. (3) Cfr. CgUe, sentenza del 31 gennaio 2008, Centro europa 7, C-380/05, eU:C:2008:59, punto 58; CgUe, sentenza del 18 luglio 2013, Sky italia, C-234/12, eU:C:2013:496, punto 30; CgUe, sentenza del 26 luglio 2017, Persidera, C-112/16, eU:C:2017:597, punti 27-29; CgUe, sentenza del 19 aprile 2018, C-152/17, Consorzio italian Management, eU:C:2018:264, punto 22; CgUe, sentenza 6 ottobre 2021, Consorzio italian Management, C-561/19, eU:C:2021:799, punti 68-69. (4) Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, art. 168, par. 7 “L’azione dell’Unione rispetta le responsabilità degli Stati membri per la definizione della loro politica sanitaria e per l’organizzazione e la fornitura di servizi sanitari e di assistenza medica. Le responsabilità degli Stati membri includono la gestione dei servizi sanitari e dell’assistenza medica e l’assegnazione delle risorse loro destinate. Le misure di cui al paragrafo 4, lettera a) non pregiudicano le disposizioni nazionali sulla donazione e l’impiego medico di organi e sangue”. rASSegNA AVVOCATUrA deLLO STATO -N. 4/2022 La Corte di giustizia sottolinea, altresì, che l’articolo 41 della Carta sancisce il diritto alla buona amministrazione e che “il giudice del rinvio non ha spiegato in cosa consista il collegamento tra il principio generale del diritto dell’Unione relativo al diritto a una buona amministrazione e l’attuazione dell’obbligo vaccinale previsto all’articolo 4 del decreto legge n. 44/2021”. Con riferimento alla sesta e alla settima questione, la Corte afferma che “il giudice del rinvio non individua, nel testo delle sue questioni né, più in generale, nella stessa ordinanza di rinvio, le disposizioni del regolamento 2021/953 di cui chiede l’interpretazione”. Circa l’irricevibilità degli ultimi due quesiti, si aggiunge che -come si evince dalla giurisprudenza della Corte (5) -affinché venga riconosciuta l’ammissibilità della domanda di rinvio, deve sussistere un’esigenza oggettiva al- l’interpretazione da ravvisarsi nel collegamento tra la controversia principale e le disposizioni dell’Unione di cui si chiede l’interpretazione. Nella specie, tale esigenza non è riscontrabile, la Corte evidenzia che: -il giudice del rinvio non ha precisato che la controversia riguarda una situazione trasfrontaliera perché la lavoratrice del procedimento principale non è una cittadina di uno Stato membro venuta in Italia per lavorare; -il giudice non ha spiegato la rilevanza di una simile eventualità ai fini del regolamento; -nonostante il richiamo da parte del giudice del rinvio alla sentenza del 14 novembre 2018, Memoria e dall’antonia, C-342/17 (6), sul diritto di sta( 5) Sul tema, la CgUe, nella sentenza del 26 marzo 2020, Miasto Łowicz e Prokurator Generalny, C-558/18 e C-563/18, afferma: “(48) Nell’ambito di siffatto procedimento, deve quindi esistere tra la suddetta controversia e le disposizioni del diritto dell’Unione di cui è chiesta l’interpretazione un collegamento tale per cui detta interpretazione risponde ad una necessità oggettiva ai fini della decisione che dev’essere adottata dal giudice del rinvio (v., in tal senso, ordinanza del 25 maggio 1998, Nour, C-361/97, eU:C:1998:250, punto 15 e giurisprudenza ivi citata)”. (6) Il rinvio pregiudiziale era sollevato dal Tar del Veneto, con ordinanza dell’11 maggio 2017, con riferimento ad una normativa nazionale che vietava ogni attività lucrativa in relazione alla conservazione delle urne cinerarie. Così la pronuncia della CgUe: “(47) anzitutto, occorre ricordare che l’articolo 49 tFUe osta a qualsiasi misura nazionale che costituisca una restrizione della libertà di stabilimento, salvo che tale restrizione sia giustificata da ragioni imperative di interesse generale (v., in questo senso, segnatamente, sentenza del 5 dicembre 2013, Venturini e a., da C159/12 a C161/12, eU:C:2013:791, punti 30 e 37). (48) in primo luogo, secondo una giurisprudenza costante, costituisce una restrizione ai sensi dell’articolo 49 tFUe ogni provvedimento nazionale che, pur se applicabile senza discriminazioni in base alla cittadinanza, vieti, ostacoli o renda meno allettante l’esercizio, da parte dei cittadini dell’Unione, della libertà di stabilimento garantita dal trattato (v., in questo senso, sentenza del 28 gennaio 2016, Laezza, C375/14, eU:C:2016:60, punto 21). (…) (51) in secondo luogo, conformemente a una giurisprudenza costante, una restrizione alla libertà di stabilimento può essere giustificata, a condizione che si applichi senza discriminazioni basate sulla nazionalità, per ragioni imperative di interesse generale, purché sia idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non ecceda quanto necessario per conseguirlo (v., in questo senso, in particolare, sentenza del 9 marzo 2017, Piringer, C342/15, eU:C:2017:196, punto 53 e giurisprudenza citata)”. CONTeNZIOSO COMUNITArIO ed INTerNAZIONALe 107 bilimento e la libera prestazione dei servizi previsti agli articoli 49 e 56 TfUe, la sesta e la settima questione vertono sul regolamento n. 2021/956 e non sull’interpretazione di tali libertà fondamentali. dunque, la sentenza recepisce le difese espresse nell’intervento orale dal governo italiano. Corte di giustizia dell’Unione europea, Seconda Sezione, sentenza 13 luglio 2023, causa C-765/21 -Pres. di sez., Rel. A. Prechal -domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale ordinario di Padova (Italia), con ordinanza del 7 dicembre 2021, pervenuta in cancelleria il 13 dicembre 2021, nel procedimento d.M. c. Azienda Ospedale-Università di Padova, con l’intervento di C.S. «rinvio pregiudiziale -Sanità pubblica -Normativa nazionale che impone un obbligo vaccinale per il personale sanitario -Sospensione dalle funzioni senza retribuzione per il personale che rifiuta il vaccino -regolamento (Ce) n. 726/2004 -Medicinali per uso umano -Vaccini anti COVId-19 -regolamento (Ce) n. 507/2006 -Validità delle autorizzazioni all’immissione in commercio condizionate -regolamento (Ue) 2021/953 -divieto di discriminazione tra persone vaccinate e non vaccinate - Irricevibilità» 1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 4 del regolamento (Ce) n. 507/2006 della Commissione, del 29 marzo 2006, relativo all’autorizzazione all’immissione in commercio condizionata dei medicinali per uso umano che rientrano nel campo di applicazione del regolamento (Ce) n. 726/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio (gU 2006, L 92, pag. 6), del regolamento (Ue) 2021/953 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2021, su un quadro per il rilascio, la verifica e l’accettazione di certificati interoperabili di vaccinazione, di test e di guarigione in relazione alla COVId-19 (certificato COVId digitale dell’Ue) per agevolare la libera circolazione delle persone durante la pandemia di COVId-19 (gU 2021, L 211, pag. 1, e rettifica in gU 2021, L 236, pag. 86), nonché degli articoli 3, 35 e 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»). 2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra d.M. e l’Azienda Ospedale-Università di Padova (Italia), (in prosieguo: l’«ospedale universitario») relativamente alla sospensione di d.M. dalle sue funzioni di infermiera professionale presso l’ospedale universitario, senza diritto a retribuzione durante la sua sospensione, a causa dell’inosservanza, da parte di quest’ultima, della normativa nazionale che impone un obbligo vaccinale per il personale sanitario. Contesto normativo Diritto dell’Unione Regolamento n. 507/2006 3 L’articolo 1 del regolamento n. 507/2006 prevede quanto segue. «Il presente regolamento stabilisce le norme per il rilascio di un’autorizzazione all’immissione in commercio subordinata ad obblighi specifici a norma dell’articolo 14, paragrafo 7, del regolamento (Ce) n. 726/2004 [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, che istituisce procedure comunitarie per l’autorizzazione e la sorveglianza dei medicinali per uso umano e veterinario, e che istituisce l’agenzia europea per i medi rASSegNA AVVOCATUrA deLLO STATO -N. 4/2022 cinali (gU 2004, L 136, pag. 1)] (di seguito “autorizzazione all’immissione in commercio condizionata”)». 4 L’articolo 4 del regolamento n. 507/2006 è così formulato: «1. Un’autorizzazione all’immissione in commercio condizionata può essere rilasciata quando il comitato [per i medicinali per uso umano] ritiene che, malgrado non siano stati forniti dati clinici completi in merito alla sicurezza e all’efficacia del medicinale, siano rispettate tutte le seguenti condizioni: a) il rapporto rischio/beneficio del medicinale, quale definito all’articolo 1, punto 28 bis, della direttiva 2001/83/Ce [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 novembre 2001, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano (gU 2001, L 311, pag. 67)], risulta positivo; b) è probabile che il richiedente possa in seguito fornire dati clinici completi; c) il medicinale risponde ad esigenze mediche insoddisfatte; d) i benefici per la salute pubblica derivanti dalla disponibilità immediata sul mercato del medicinale in questione superano il rischio inerente al fatto che occorrono ancora dati supplementari. Nelle situazioni di emergenza di cui all’articolo 2, paragrafo 2, può essere rilasciata un’autorizzazione all’immissione in commercio condizionata anche in assenza di dati farmaceutici o preclinici completi purché siano rispettate le condizioni di cui alle lettere da a) a d) del presente paragrafo. 2. Ai fini del paragrafo 1, lettera c), per esigenze mediche insoddisfatte si intende una patologia per la quale non esiste un metodo soddisfacente di diagnosi, prevenzione o trattamento autorizzato nella Comunità o, anche qualora tale metodo esista, in relazione alla quale il medicinale in questione apporterà un sostanziale vantaggio terapeutico a quanti ne sono affetti». Regolamento 2021/953 5 I considerando 6, da 12 a 14 e 36 del regolamento 2021/953 così recitano: «(6) In conformità del diritto dell’Unione, gli Stati membri possono limitare il diritto fondamentale alla libera circolazione per motivi di sanità pubblica. Tutte le restrizioni alla libera circolazione delle persone all’interno dell’Unione [europea] attuate per limitare la diffusione del SArS-CoV-2 dovrebbero basarsi su motivi specifici e limitati di interesse pubblico, vale a dire la tutela della salute pubblica, come sottolineato nella raccomandazione (Ue) 2020/1475 [del Consiglio, del 13 ottobre 2020, per un approccio coordinato alla limitazione della libertà di circolazione in risposta alla pandemia di COVId-19 (gU 2020, L 337, pag. 3)]. È necessario che tali limitazioni siano applicate conformemente ai principi generali del diritto dell’Unione, segnatamente la proporzionalità e la non discriminazione. Tutte le misure adottate dovrebbero pertanto essere strettamente limitate nella portata e nel tempo, in linea con gli sforzi volti a ripristinare la libera circolazione all’interno dell’Unione, e non dovrebbero andare al di là di quanto strettamente necessario per tutelare la salute pubblica. (...) (...) (12) Per facilitare l’esercizio del diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, è opportuno stabilire un quadro comune per il rilascio, la verifica e l’accettazione di certificati interoperabili relativi alla vaccinazione, ai test e alla guarigione dalla COVId-19 (certificato COVId digitale dell’[Unione]”). (...) (13) Sebbene lasci impregiudicata la competenza degli Stati membri nell’imporre restri CONTeNZIOSO COMUNITArIO ed INTerNAZIONALe 109 zioni alla libera circolazione, in conformità del diritto dell’Unione, per limitare la diffusione del SArS-CoV-2, il presente regolamento dovrebbe contribuire ad agevolare la graduale revoca di tali restrizioni in modo coordinato, ove possibile, in conformità della raccomandazione (Ue) 2020/1475. Tali restrizioni potrebbero essere revocate in particolare per le persone vaccinate, in linea con il principio di precauzione, nella misura in cui le evidenze scientifiche sugli effetti della vaccinazione anti COVId-19 diventino disponibili in maggior misura e mostrino in maniera coerente che la vaccinazione contribuisce a interrompere la catena di trasmissione. (14) Il presente regolamento è inteso a facilitare l’applicazione dei principi di proporzionalità e di non discriminazione per quanto riguarda le restrizioni alla libera circolazione durante la pandemia di COVId-19, perseguendo nel contempo un livello elevato di protezione della salute pubblica. esso non dovrebbe essere inteso come un’agevolazione o un incentivo all’adozione di restrizioni alla libera circolazione o di restrizioni ad altri diritti fondamentali, in risposta alla pandemia di COVId-19, visti i loro effetti negativi sui cittadini e le imprese dell’Unione. (...) (...) (36) È necessario evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate, per esempio per motivi medici, perché non rientrano nel gruppo di destinatari per cui il vaccino anti COVId-19 è attualmente somministrato o consentito, come i bambini, o perché non hanno ancora avuto l’opportunità di essere vaccinate o hanno scelto di non essere vaccinate. Pertanto il possesso di un certificato di vaccinazione, o di un certificato di vaccinazione che attesti l’uso di uno specifico vaccino anti COVId-19, non dovrebbe costituire una condizione preliminare per l’esercizio del diritto di libera circolazione o per l’utilizzo di servizi di trasporto passeggeri transfrontalieri quali linee aeree, treni, pullman, traghetti o qualsiasi altro mezzo di trasporto. Inoltre, il presente regolamento non può essere interpretato nel senso che istituisce un diritto o un obbligo a essere vaccinati». 6 Ai sensi dell’articolo 1 del regolamento 2021/953: «Il presente regolamento stabilisce un quadro per il rilascio, la verifica e l’accettazione di certificati COVId-19 interoperabili relativi alla vaccinazione, ai test e alla guarigione (certificato digitale COVId dell’[Unione]) con lo scopo di agevolare l’esercizio del diritto di libera circolazione durante la pandemia di COVId-19 da parte dei loro titolari. Il presente regolamento contribuisce inoltre ad agevolare la revoca graduale delle restrizioni alla libera circolazione poste in essere dagli Stati membri, in conformità del diritto del- l’Unione, per limitare la diffusione del SArS-CoV-2 in modo coordinato. (...)». 7 L’articolo 3, paragrafo 1, di detto regolamento così dispone: «Il quadro del certificato COVId digitale dell’[Unione] consente il rilascio, la verifica e l’accettazione transfrontaliere di uno qualunque dei seguenti certificati: a) un certificato comprovante che al titolare è stato somministrato un vaccino anti COVId-19 nello Stato membro di rilascio del certificato (certificato di vaccinazione); (...) c) un certificato comprovante che, successivamente a un risultato positivo di un test [molecolare di amplificazione dell’acido nucleico] effettuato da operatori sanitari o da personale addestrato, il titolare risulta guarito da un’infezione da SArS-CoV-2 (certificato di guarigione). rASSegNA AVVOCATUrA deLLO STATO -N. 4/2022 (...)». 8 L’articolo 5 di detto regolamento dispone quanto segue: «1. Ciascuno Stato membro rilascia alle persone cui è stato somministrato un vaccino anti COVId-19, automaticamente o su richiesta delle persone interessate, il certificato di vaccinazione di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettera a). Tali persone sono informate del loro diritto a un certificato di vaccinazione. (...)». 9 L’articolo 7 del medesimo regolamento è così formulato: «1. Ciascuno Stato membro rilascia, su richiesta, i certificati di guarigione di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettera c). (...)». Diritto italiano 10 L’articolo 4 del decreto-legge del 1o aprile 2021, n. 44 -Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVId-19, in materia di vaccinazioni anti SArS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici (gUrI n. 79, del 1o aprile 2021), convertito con modificazioni dalla legge del 28 maggio 2021, n. 76 (gUrI n. 128, del 31 maggio 2021, in prosieguo: il «decreto-legge n. 44/2021»), al comma 1 prevede che: «In considerazione della situazione di emergenza epidemiologica da SArS-CoV-2, fino alla completa attuazione del piano di cui all’articolo 1, comma 457, della legge 30 dicembre 2020, n. 178, e comunque non oltre il 31 dicembre 2021, al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza, gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, parafarmacie e negli studi professionali sono obbligati a sottoporsi a vaccinazione gratuita per la prevenzione dell’infezione da SArS-CoV-2. La vaccinazione costituisce requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati. (…)». 11 Il comma 2 del medesimo articolo 4 enuncia che «solo in caso di accertato pericolo in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale, la vaccinazione di cui al comma 1 non è obbligatoria e può essere omessa o differita ». 12 Ai sensi del comma 6 del suddetto articolo 4: «decorsi i termini per l’attestazione dell’adempimento dell’obbligo vaccinale, l’azienda sanitaria locale competente accerta l’inosservanza dell’obbligo vaccinale e, previa acquisizione delle ulteriori eventuali informazioni presso le autorità competenti, ne dà immediata comunicazione scritta all’interessato, al datore di lavoro e all’Ordine professionale di appartenenza. L’adozione dell’atto di accertamento da parte dell’azienda sanitaria locale determina la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SArS-CoV-2». 13 Il comma 7 dell’articolo in parola prevede che «la sospensione di cui al comma 6 è comunicata immediatamente all’interessato dall’Ordine professionale di appartenenza». 14 Ai sensi dell’articolo 4, comma 8, del decreto-legge n. 44/2021: «ricevuta la comunicazione di cui al comma 6, il datore di lavoro adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni, anche inferiori, diverse da quelle indicate al comma 6, con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate, e che, comunque, non implicano ri CONTeNZIOSO COMUNITArIO ed INTerNAZIONALe schi di diffusione del contagio. Quando l’assegnazione a mansioni diverse non è possibile, [durante la sospensione] non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato». 15 Il comma 10 di tale articolo 4 prevede che, «(…) per il periodo in cui la vaccinazione di cui al comma 1 è omessa o differita e comunque non oltre il 31 dicembre 2021, il datore di lavoro adibisce i soggetti di cui al comma 2 a mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione, in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da SArS-CoV-2». 16 Il comma 11 dell’articolo 4 summenzionato dispone quanto segue: «Per il medesimo periodo di cui al comma 10, al fine di contenere il rischio di contagio, nell’esercizio dell’attività libero-professionale, i soggetti di cui al comma 2 adottano le misure di prevenzione igienico-sanitarie indicate dallo specifico protocollo di sicurezza adottato con decreto del Ministro della [S]alute, di concerto con i Ministri della [g]iustizia e del [L]avoro e delle [P]olitiche sociali, entro venti giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto». Procedimento principale e questioni pregiudiziali 17 dal 1° gennaio 2017 d.M. lavora alle dipendenze dell’ospedale universitario, come infermiera professionale in servizio presso il reparto di neurochirurgia. 18 Il 16 settembre 2021, l’ospedale universitario le ha comunicato la sospensione dal lavoro con effetto immediato e senza diritto alla retribuzione, poiché ella aveva violato l’obbligo vaccinale previsto dall’articolo 4 del decreto legge n. 44/2021 ed era impossibile adibirla a mansioni diverse da quelle che non implicassero il rischio di diffusione del contagio. La sospensione doveva cessare alla data in cui fosse stato adempiuto l’obbligo vaccinale o, in mancanza, fino al completamento del piano vaccinale, ma non poteva in alcun caso essere mantenuta oltre il 31 dicembre 2021, data rinviata tuttavia a più riprese. 19 Con ricorso d’urgenza proposto il 14 ottobre 2021, d.M. ha chiesto al giudice del rinvio di essere riammessa in servizio presso l’ospedale universitario sostenendo, in particolare, da un lato, che l’articolo 4 del decreto-legge n. 44/2021 sarebbe stato contrario, sotto vari profili, alla Costituzione italiana nonché alla normativa dell’Unione e, dall’altro, che ella sarebbe divenuta naturalmente immune a seguito della guarigione dall’infezione da SArS-CoV-2. 20 Il giudice del rinvio rileva che le autorizzazioni all’immissione in commercio dei vaccini contro la COVId-19 sono condizionate ai sensi del regolamento n. 507/2006. Secondo detto giudice, alla luce delle nuove emersioni mediche e delle nuove acquisizioni in termini di medicinali a disposizione, non pare irragionevole interrogarsi sulla validità, alla luce dell’articolo 4 del regolamento in parola, di tali autorizzazioni concesse dalla Commissione europea previo parere dell’Agenzia europea per i medicinali (eMA), specie in considerazione dei diritti fondamentali in gioco, ossia l’integrità fisica e la salute, tutelati in particolare dagli articoli 3 e 35 della Carta. 21 Inoltre, sebbene le parti del procedimento principale non abbiano invocato il regolamento 2021/953, il giudice del rinvio ritiene che quest’ultimo sia nondimeno rilevante ai fini della controversia. detto giudice sottolinea che il regolamento summenzionato precisa segnatamente che «è necessario che [le limitazioni alla libera circolazione delle persone] siano applicate conformemente ai principi generali del diritto dell’Unione, segnatamente la proporzionalità e la non discriminazione». Particolarmente problematico a tale proposito sarebbe il fatto che l’articolo 4, comma 11, del decreto-legge n. 44/2021 consente solo agli operatori sanitari esenti dall’obbligo vaccinale di continuare a praticare la loro professione senza essersi vaccinati, sia pure nel rispetto delle regole di sicurezza, mentre rASSegNA AVVOCATUrA deLLO STATO -N. 4/2022 il personale sanitario che non rientra nell’ambito di questa disposizione non può più esercitare la professione, né come dipendente né come libero professionista, nonostante sia disposto a seguire rigorosamente le stesse regole di sicurezza. 22 Infine, alla luce della giurisprudenza della Corte derivante dalla sentenza del 14 novembre 2018, Memoria e dall’Antonia (C‑342/17, eU:C:2018:906), il giudice del rinvio chiede se la misura del vaccino obbligatorio, nel caso lo Stato membro ospitante intendesse imporlo anche a un professionista sanitario di un altro Stato membro dell’Unione presente nel primo Stato membro per motivi professionali, sia compatibile con il principio di proporzionalità espressamente richiamato dal regolamento 2021/953. 23 Ciò considerato, il Tribunale ordinario di Padova (Italia) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: «1) dica la Corte di giustizia se le autorizzazioni condizionate della Commissione, emesse su parere favorevole dell’eMA, relative ai vaccini oggi in commercio, possano essere considerate ancora valide, ai sensi dell’articolo 4 del regolamento n. 507/2006, alla luce del fatto che, in più Stati membri (ad esempio in Italia, approvazione AIfA [Agenzia italiana del farmaco] del protocollo di cura con anticorpi monoclonali e/o antivirali), sono state approvate cure alternative al COVId SArS 2 efficaci e in thesi meno pericolose per la salute della persona, e ciò anche alla luce degli articoli 3 e 35 della [Carta]. 2) dica la Corte di giustizia se, nel caso di sanitari per i quali la legge dello Stato membro abbia imposto il vaccino obbligatorio, i vaccini approvati dalla Commissione in forma condizionata ai sensi e agli effetti del regolamento n. 507/2006, possano essere utilizzati al fine della vaccinazione obbligatoria anche qualora i sanitari in parola siano già stati contagiati e quindi abbiano già raggiunto una immunizzazione naturale e possano quindi chiedere una deroga dall’obbligo. 3) dica la Corte di giustizia se, nel caso di sanitari per i quali la legge dello Stato membro abbia imposto il vaccino obbligatorio, i vaccini approvati dalla Commissione in forma condizionata ai sensi e agli effetti del regolamento n. 507/2006, possano essere utilizzati al fine della vaccinazione obbligatoria senza procedimentalizzazione alcuna con finalità cautelativa o se, in considerazione della condizionalità dell’autorizzazione, i sanitari medesimi possano opporsi all’inoculazione, quanto meno fintantoché l’autorità sanitaria deputata abbia escluso in concreto, e con ragionevole sicurezza, da un lato, che non vi siano controindicazioni in tal senso, dall’altro, che i benefici che ne derivano siano superiori a quelli derivanti da altri farmaci oggi a disposizione. Chiarisca la Corte se in tal caso, le autorità sanitarie deputate debbano procedere nel rispetto dell’articolo 41 della [Carta]. 4) dica la Corte di giustizia se, nel caso del vaccino autorizzato dalla Commissione in forma condizionata, l’eventuale non assoggettamento al medesimo da parte del personale medico sanitario nei cui confronti la legge dello Stato impone obbligatoriamente il vaccino, possa comportare automaticamente la sospensione dal posto di lavoro senza retribuzione o se si debba prevedere una gradualità delle misure sanzionatorie in ossequio al principio fondamentale di proporzionalità. 5) dica la Corte di giustizia se laddove il diritto nazionale consenta forme di dépeçage, la verifica della possibilità di utilizzazione in forma alternativa del lavoratore, debba avvenire nel rispetto del contraddittorio ai sensi e agli effetti dell’articolo 41 della [Carta], con conseguente diritto al risarcimento del danno nel caso in cui ciò non sia avvenuto. 6) dica la Corte di giustizia se, alla luce del regolamento [2021/953] che vieta qualunque discriminazione fra chi ha assunto il vaccino e chi non ha voluto o potuto per ragioni CONTeNZIOSO COMUNITArIO ed INTerNAZIONALe 113 mediche assumerlo, sia legittima una disciplina nazionale, quale quella risultante dal- l’articolo 4, comma 11, del decreto legge n. 44/2021, che consente al personale sanitario che è stato dichiarato esente dall’obbligo di vaccinazione di esercitare la propria attività a contatto con il paziente, ancorché rispettando i presidi di sicurezza imposti dalla legislazione vigente, mentre il sanitario che come la ricorrente -in quanto naturalmente immune a seguito di contagio -non voglia sottoporsi al vaccino senza approfondite indagini mediche, viene automaticamente sospeso da qualunque atto professionale e senza remunerazione. 7) dica la Corte se sia compatibile con il regolamento [2021/953] e i principi di proporzionalità e di non discriminazione ivi contenuti, la disciplina di uno Stato membro che imponga obbligatoriamente il vaccino anti-Covid[-19] -autorizzato in via condizionata dalla Commissione -a tutto il personale sanitario anche se proveniente da altro Stato membro e sia presente in Italia ai fini dell’esercizio della libera prestazione dei servizi e della libertà di stabilimento». Procedimento dinanzi alla Corte 24 Il 13 dicembre 2021 il giudice del rinvio ha chiesto che il presente rinvio pregiudiziale fosse sottoposto a procedimento accelerato ai sensi dell’articolo 105 del regolamento di procedura della Corte. A sostegno di tale domanda detto giudice ha affermato che, in attesa dell’esito del procedimento pregiudiziale, d.M. rimaneva sospesa dal lavoro e dalla retribuzione, essendo quindi priva di ogni sostentamento. 25 L’articolo 105, paragrafo 1, del regolamento di procedura prevede che, su domanda del giudice del rinvio o, in via eccezionale, d’ufficio, quando la natura della causa richiede un suo rapido trattamento, il presidente della Corte, sentiti il giudice relatore e l’avvocato generale, può decidere di sottoporre un rinvio pregiudiziale a procedimento accelerato. 26 Occorre ricordare che un siffatto procedimento accelerato costituisce uno strumento procedurale destinato a rispondere a una situazione di urgenza straordinaria (sentenza del 16 giugno 2022, Port de bruxelles e région de bruxelles-Capitale, C‑229/21, eU:C:2022:471, punto 40 nonché giurisprudenza ivi citata). 27 Nel caso di specie, il 1° febbraio 2022 il presidente della Corte ha deciso, sentiti il giudice relatore e l’avvocato generale, di non accogliere la domanda di cui al punto 24 della presente sentenza. 28 Il giudice del rinvio non ha infatti fornito tutti gli elementi che consentano di valutare la portata del rischio rappresentato dalla sospensione di d.M. per la sua sussistenza finanziaria, né ha esposto le ragioni per le quali l’applicazione del procedimento accelerato alla presente causa consentiva di evitare un rischio del genere, tenuto conto in particolare della durata, in linea di principio limitata, di detta sospensione. di conseguenza, tali elementi non consentono di identificare una situazione di urgenza straordinaria che giustifichi il fatto che la causa in parola sia sottoposta al procedimento accelerato. Sulla ricevibilità delle questioni pregiudiziali Sulla prima questione 29 Con la sua prima questione il giudice del rinvio si interroga, sostanzialmente, sulla validità, in relazione all’articolo 4 del regolamento n. 507/2006, letto alla luce degli articoli 3 e 35 della Carta, delle autorizzazioni all’immissione in commercio condizionate concesse per i vaccini destinati a prevenire l’infezione da e la diffusione della COVId-19, nonché la gravità delle manifestazioni di tale patologia, disponibili alla data della domanda di pronuncia pregiudiziale, per il motivo che cure alternative efficaci contro la rASSegNA AVVOCATUrA deLLO STATO -N. 4/2022 COVId-19 e meno pericolose per la salute erano già state approvate, a tale data, in diversi Stati membri. 30 A tal proposito occorre rammentare che, secondo una costante giurisprudenza della Corte, nell’ambito della cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali, la necessità di pervenire a un’interpretazione o a una valutazione della validità del diritto dell’Unione che sia utile per il giudice nazionale impone che quest’ultimo rispetti scrupolosamente i requisiti relativi al contenuto di una domanda di pronuncia pregiudiziale, indicati in maniera esplicita all’articolo 94 del regolamento di procedura, i quali si presumono noti al giudice del rinvio. Tali requisiti sono inoltre richiamati nelle raccomandazioni della Corte all’attenzione dei giudici nazionali, relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale (gU 2019, C 380, pag. 1) (v., in tal senso, sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, eU:C:2021:799, punto 68 e giurisprudenza ivi citata). 31 Pertanto, è indispensabile, come enunciato all’articolo 94, lettera c), del regolamento di procedura, che la decisione di rinvio contenga l’illustrazione dei motivi che hanno indotto il giudice del rinvio a interrogarsi sull’interpretazione o sulla validità di determinate disposizioni del diritto dell’Unione, nonché il collegamento che esso stabilisce tra dette disposizioni e la normativa nazionale applicabile alla controversia di cui al procedimento principale (sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multi- servizi, C‑561/19, eU:C:2021:799, punto 69 nonché giurisprudenza ivi citata). 32 Nel caso di specie, ad avviso del giudice del rinvio, esso è chiamato, nel procedimento principale, a pronunciarsi sulla fondatezza della decisione dell’ospedale universitario di sospendere d.M. dal lavoro senza diritto a retribuzione, decisione adottata per il motivo che quest’ultima aveva rifiutato di assoggettarsi all’obbligo vaccinale contro la COVId19, previsto all’articolo 4 del decreto legge n. 44/2021. 33 Orbene, in primo luogo, quand’anche le «emersioni mediche» e le «nuove acquisizioni in termini di medicinali a disposizione», menzionate dal giudice del rinvio, fossero tali da mettere in discussione la validità delle autorizzazioni all’immissione in commercio condizionate dei vaccini volti a prevenire l’infezione e la diffusione della COVId-19 nonché la gravità dei sintomi di detta patologia, occorre tuttavia rilevare che il giudice di cui trattasi non ha identificato concretamente dette autorizzazioni né ha preso in esame il loro contenuto alla luce dei requisiti di validità derivanti dall’articolo 4 del regolamento n. 507/2006, letto, eventualmente, alla luce degli articoli 3 e 35 della Carta. 34 Il giudice del rinvio si è infatti limitato a dare atto della sua valutazione generale secondo la quale, alla luce degli sviluppi menzionati al punto precedente, non pare «irragionevole» nutrire dubbi quanto alla validità di dette autorizzazioni, senza tuttavia approfondire in alcun modo la natura concreta di tali dubbi. L’ordinanza di rinvio non consente quindi alla Corte di individuare le autorizzazioni in questione e gli elementi precisi di dette autorizzazioni che suscitano i dubbi summenzionati né, di conseguenza, di comprendere sotto quale profilo le autorizzazioni in parola potrebbero, a parere di tale giudice, non essere più valide alla luce dei requisiti derivanti dall’articolo 4 del regolamento n. 507/2006 o dagli articoli 3 e 35 della Carta; peraltro, nell’ordinanza di rinvio detto giudice non ha neppure illustrato l’eventuale impatto, in tale contesto, di queste ultime due disposizioni. 35 In secondo luogo, né l’ordinanza di rinvio, né il fascicolo presentato alla Corte consentono di comprendere in che modo il fatto di mettere in discussione la validità delle autorizzazioni condizionate possa incidere sull’esito della controversia di cui al procedimento prin CONTeNZIOSO COMUNITArIO ed INTerNAZIONALe cipale che, in effetti, appare dipendere non già dalla validità delle suddette autorizzazioni, bensì dalla legittimità -contestata da d.M. . dell’obbligo vaccinale previsto all’articolo 4 del decreto-legge n. 44/2021 e delle sanzioni che tale disposizione stabilisce in caso di inosservanza dello stesso. 36 In tale contesto si deve sottolineare che, benché il rilascio di tali autorizzazioni costituisca un prerequisito del diritto dei loro titolari di immettere i vaccini di cui trattasi in commercio in ogni Stato membro (v., in tal senso, sentenza del 16 marzo 2023, Commissione e a./Pharmaceutical Works Polpharma, da C‑438/21 P a C‑440/21 P, eU:C:2023:213, punto 81), il rilascio di dette autorizzazioni condizionate non comporta, in quanto tale, alcun obbligo, in capo ai destinatari potenziali di tali vaccini, di farsi somministrare questi ultimi, tanto più che il giudice del rinvio non ha esplicitamente posto l’interrogativo se le persone assoggettate all’obbligo vaccinale previsto all’articolo 4 del decreto-legge n. 44/2021 fossero obbligate ad assumere unicamente i vaccini oggetto delle suddette autorizzazioni condizionate. 37 di conseguenza, in assenza di qualsiasi spiegazione da parte del giudice del rinvio circa i motivi per cui esso mette in discussione la validità delle autorizzazioni all’immissione in commercio condizionate nonché circa quelli relativi all’eventuale nesso tra, da un lato, la validità di tali autorizzazioni e, dall’altro, l’obbligo vaccinale contro la COVId-19 previsto all’articolo 4 del decreto legge n. 44/2021, si deve giudicare che la presente domanda di pronuncia pregiudiziale non soddisfa i requisiti ricordati al punto 31 della presente sentenza per quanto riguarda la prima questione. 38 Ne consegue che quest’ultima è irricevibile. Sulle questioni dalla seconda alla quinta 39 Con le questioni dalla seconda alla quinta, che devono essere esaminate congiuntamente, il giudice del rinvio desidera accertare, in sostanza, in primo luogo, se il regolamento n. 507/2006 debba essere interpretato nel senso che esso osta a che, ai fini dell’adempimento di un obbligo vaccinale contro la COVId-19 imposto da una normativa nazionale al personale medico sanitario, possano essere utilizzati vaccini che sono stati oggetto di un’autorizzazione condizionata concessa ai sensi dell’articolo 4 di detto regolamento, e ciò anche nella situazione in cui, da un lato, i soggetti in parola abbiano sviluppato l’immunità al virus che causa tale malattia e, dall’altro, l’autorità sanitaria non abbia specificamente stabilito che non vi sono controindicazioni alla vaccinazione di cui trattasi. In secondo luogo, esso chiede se la sanzione inflitta al personale sanitario in caso di inosservanza dell’obbligo in parola possa, in considerazione, eventualmente, dell’articolo 41 della Carta, consistere nella sospensione dal lavoro senza retribuzione anziché in misure sanzionatorie graduali, adottate conformemente al principio di proporzionalità e al principio del contraddittorio. 40 Al riguardo occorre sottolineare, in via preliminare, che l’articolo 168, paragrafo 7, TfUe non enuncia, a carico degli Stati membri, alcuna prescrizione relativa alla vaccinazione obbligatoria di talune categorie di persone, considerato che il diritto dell’Unione non pregiudica, in forza di tale articolo 168, paragrafo 7, la competenza degli Stati membri ad adottare disposizioni destinate a definire la loro politica sanitaria. Tuttavia, nell’esercizio di tale competenza gli Stati membri devono rispettare il diritto dell’Unione (v., per analogia, sentenza del 28 aprile 2022, gerencia regional de Salud de Castilla y León, C‑86/21, eU:C:2022:310, punto 18 e giurisprudenza ivi citata, e ordinanza del 17 luglio 2014, Široká, C‑459/13, eU:C:2014:2120, punto 19). rASSegNA AVVOCATUrA deLLO STATO -N. 4/2022 41 Orbene, risulta che le questioni dalla seconda alla quinta si fondano sulla premessa secondo cui il regolamento n. 507/2006 o le autorizzazioni condizionate concesse ai sensi dello stesso sarebbero tali da inquadrare, da un lato, le condizioni che disciplinano l’imposizione, nel diritto interno, di un obbligo vaccinale, come quello previsto all’articolo 4 del decreto legge n. 44/2021, qualora detto diritto preveda a tal fine l’uso di vaccini oggetto di una siffatta autorizzazione condizionata, nonché, dall’altro, le conseguenze che possono derivare, secondo il suddetto diritto interno, dall’inosservanza di tale obbligo, compresa la procedura da seguire a tal fine. 42 Tuttavia, come rilevato al punto 36 della presente sentenza, il rilascio di siffatte autorizzazioni non ha l’effetto di imporre ai potenziali destinatari dei vaccini interessati un obbligo di farsi somministrare questi ultimi. Inoltre il giudice del rinvio non espone, nella sua ordinanza di rinvio, il collegamento che esso stabilisce fra, da un lato, il contenuto o l’oggetto di tali autorizzazioni, concesse conformemente all’articolo 4 del regolamento n. 507/2006, e, dall’altro, la configurazione, nel suo diritto interno, delle condizioni e delle modalità dell’obbligo vaccinale menzionate nelle questioni dalla seconda alla quinta, quali applicabili alla controversia di cui al procedimento principale. 43 Peraltro, per quanto riguarda l’articolo 41 della Carta, che sancisce il diritto ad una buona amministrazione, menzionato dal giudice del rinvio nell’ambito della terza e della quinta questione, occorre ricordare che tale articolo non si rivolge agli Stati membri, bensì unicamente alle istituzioni, agli organi e agli organismi dell’Unione e non è quindi rilevante ai fini della soluzione della controversia di cui al procedimento principale. Per contro, detto articolo riflette un principio generale del diritto dell’Unione destinato ad applicarsi agli Stati membri in sede di attuazione di tale diritto [v., in tal senso, sentenza del 10 febbraio 2022, bezirkshauptmannschaft Hartberg-fürstenfeld (Termine di prescrizione), C‑219/20, eU:C:2022:89, punti 36 e 37]. 44 Nel caso di specie, il giudice del rinvio non ha spiegato in cosa consista il collegamento tra il principio generale del diritto dell’Unione relativo al diritto a una buona amministrazione e l’attuazione dell’obbligo vaccinale previsto all’articolo 4 del decreto legge n. 44/2021, non avendo dimostrato che l’ultima disposizione costituisce un’attuazione del diritto dell’Unione. 45 Ne consegue che la presente domanda di pronuncia pregiudiziale non soddisfa, per quanto riguarda le questioni dalla seconda alla quinta, i requisiti previsti all’articolo 94, lettera c), del regolamento di procedura e ricordati al punto 31 della presente sentenza. 46 Alla luce di quanto precede, le questioni dalla seconda alla quinta sono irricevibili. Sulle questioni sesta e settima 47 Con le sue questioni sesta e settima, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il regolamento 2021/953, in combinato disposto con i principi di proporzionalità e di non discriminazione, debba essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che impone un obbligo vaccinale contro la COVId-19 agli esercenti le professioni sanitarie laddove, da un lato, consente a una categoria di professionisti che ne sono esentati per ragioni mediche di continuare ad esercitare le loro attività rispettando i presidi di sicurezza previsti da tale normativa, senza tuttavia dare ai professionisti che non intendono assumere il vaccino la stessa possibilità, e, dall’altro, essa può parimenti applicarsi ai cittadini di altri Stati membri che esercitano un’attività lavorativa in Italia. 48 Occorre anzitutto rilevare che il giudice del rinvio non individua, nel testo delle sue que CONTeNZIOSO COMUNITArIO ed INTerNAZIONALe 117 stioni né, più in generale, nella stessa ordinanza di rinvio, le disposizioni del regolamento 2021/953 di cui chiede l’interpretazione. Il giudice fa infatti riferimento unicamente ai principi di proporzionalità e di non discriminazione «contenuti [nel summenzionato regolamento] », nonché al considerando 6 di detto regolamento nella parte in cui precisa che «è necessario che tali limitazioni [alla libera circolazione delle persone] siano applicate conformemente ai principi generali del diritto dell’Unione, segnatamente la proporzionalità e la non discriminazione». 49 A questo proposito, da un lato, benché i considerando costituiscano parte integrante del regolamento in parola, esplicitando gli obiettivi da esso perseguiti, essi non hanno, di per sé, effetti vincolanti (v., in tal senso, sentenza del 24 febbraio 2022, glavna direktsia Pozharna bezopasnost i zashtita na naselenieto, C‑262/20, eU:C:2022:117, punto 34). Il riferimento al considerando 6 del regolamento 2021/953 non può quindi, in quanto tale, essere sufficiente a far emergere il collegamento tra tale regolamento e la normativa nazionale applicabile alla controversia di cui al procedimento principale. 50 d’altro lato, per quanto riguarda i principi di proporzionalità e di non discriminazione menzionati dal giudice del rinvio, occorre rilevare che risulta dai considerando da 12 a 14 e dall’articolo 1 del regolamento 2021/953 che, benché detto regolamento intenda attuare tali principi, ciò avviene allo scopo di agevolare l’esercizio del diritto alla libera circolazione da parte dei titolari dello stesso diritto istituendo un quadro per il rilascio, la verifica e l’accettazione di certificati interoperabili di vaccinazione, di test e di guarigione in relazione alla COVId-19. 51 Pertanto, tale regolamento non mira segnatamente, in applicazione di detti principi, a definire criteri che consentano di valutare la fondatezza delle misure sanitarie adottate dagli Stati membri per far fronte alla pandemia di COVId-19 qualora esse siano tali da limitare la libera circolazione, come l’obbligo vaccinale previsto all’articolo 4 del decreto legge n. 44/2021 di cui al procedimento principale, né ad agevolarne o incoraggiarne l’adozione, dato che il considerando 36 del medesimo regolamento precisa che quest’ultimo «non può essere interpretato nel senso che istituisce un diritto o un obbligo a essere vaccinati». 52 di conseguenza, né le precisazioni contenute nell’ordinanza di rinvio né, peraltro, gli altri elementi presenti nel fascicolo di cui dispone la Corte consentono di determinare con esattezza le disposizioni del regolamento 2021/953, in combinato disposto con i principi di proporzionalità e di non discriminazione, la cui interpretazione sarebbe richiesta e sarebbe necessaria alla soluzione della controversia di cui al procedimento principale. 53 Ne consegue che la presente domanda di pronuncia pregiudiziale non soddisfa, per quanto riguarda la sesta e la settima questione, i requisiti previsti dall’articolo 94, lettera c), del regolamento di procedura e ricordati al punto 31 della presente sentenza. 54 Va aggiunto che, in ogni caso, deve sussistere un collegamento tra la controversia di cui al procedimento principale e le disposizioni del diritto dell’Unione delle quali si chiede l’interpretazione, tale per cui detta interpretazione risponda ad una necessità oggettiva ai fini della decisione che dev’essere adottata dal giudice del rinvio (sentenza del 26 marzo 2020, Miasto Łowicz e Prokurator generalny, C‑558/18 e C‑563/18, eU:C:2020:234, punto 48). 55 Orbene, la controversia di cui al procedimento principale riguarda la domanda di d.M., basata sull’asserita illegittimità dell’obbligo vaccinale previsto all’articolo 4 del decreto legge n. 44/2021, di essere riammessa in servizio nel reparto di neurochirurgia-degenze dell’ospedale universitario. Tale controversia non riguarda quindi l’applicazione delle disposizioni del regolamento 2021/953, in particolare del suo articolo 5, paragrafo 1, il rASSegNA AVVOCATUrA deLLO STATO -N. 4/2022 quale conferisce alle persone vaccinate il diritto al rilascio di un certificato vaccinale, o del suo articolo 7, paragrafo 1, il quale conferisce alle persone guarite da un’infezione da SArS-CoV-2 il diritto al rilascio di un certificato di guarigione. 56 Per quanto riguarda la possibilità, osservata dal giudice del rinvio, che l’obbligo vaccinale previsto all’articolo 4 del decreto legge n. 44/2021 possa parimenti applicarsi a persone che hanno esercitato il loro diritto alla libera circolazione, si deve constatare, in primo luogo, che il giudice del rinvio non ha precisato che la controversia pendente dinanzi ad esso riguarda una situazione transfrontaliera; del resto, l’ospedale universitario ha precisato che d.M. non è una cittadina di un altro Stato membro venuta in Italia per lavorare in tale paese. 57 In secondo luogo, il giudice del rinvio non ha spiegato in che modo una simile eventualità sarebbe rilevante ai fini dell’applicazione del regolamento 2021/953 nelle circostanze che caratterizzano la controversia di cui al procedimento principale. 58 In terzo luogo, sebbene, con il suo riferimento alla sentenza del 14 novembre 2018, Memoria e dall’Antonia (C‑342/17, eU:C:2018:906), il giudice del rinvio abbia inteso far presente che il diritto nazionale gli impone, per quanto riguarda il diritto alla libertà di stabilimento e il diritto alla libera prestazione dei servizi previsti agli articoli 49 e 56 TfUe, di far beneficiare d.M. degli stessi diritti di cui dispongono, in forza del diritto dell’Unione, i cittadini di altri Stati membri che si trovano nella medesima situazione, occorre ricordare che la sesta e la settima questione vertono sull’interpretazione del regolamento 2021/953 e non già, come sottolineato anche dal governo italiano in udienza, sull’interpretazione di tali libertà fondamentali. 59 del resto, la Corte non può, in ogni caso, considerare, senza indicazioni da parte del giudice del rinvio diverse dal fatto che la normativa nazionale in discussione sia applicabile indistintamente ai cittadini dello Stato membro interessato e ai cittadini di altri Stati membri, che un’interpretazione delle disposizioni del Trattato fUe relative alle libertà fondamentali sia necessaria a tale giudice per risolvere la controversia pendente dinanzi ad esso (v., in tal senso, sentenza del 15 novembre 2016, Ullens de Schooten, C‑268/15, eU:C:2016:874, punto 54). 60 In simili circostanze, dall’ordinanza di rinvio non risulta che tra il regolamento 2021/953 e la controversia di cui al procedimento principale sussista un collegamento ai sensi del punto 54 della presente sentenza. 61 Tenuto conto delle suesposte considerazioni, la sesta e la settima questione sono irricevibili. 62 da tutto quanto precede risulta che la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal giudice del rinvio è irricevibile. Sulle spese 63 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara: la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal tribunale ordinario di Padova (italia), con ordinanza del 7 dicembre 2021, è irricevibile. Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 13 luglio 2023. CONTENZIOSONAZIONALE Giudizio abbreviato e legalità della pena: brevi considerazioni su Cassazione penale, SS.UU., n. 47182 del 31 marzo 2022 (dep. 13 dicembre 2022) Federico Casu* Sommario: 1. La questione in sintesi -2. La sanzione penale tra illegalità e illegittimità - 3. Una breve considerazione. 1. La questione in sintesi. Con la sentenza in commento le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono pronunciate in merito ad una vicenda che ha visto l’imputato di un reato contravvenzionale (1) essere condannato, nell’ambito di un giudizio abbreviato, a quaranta giorni di arresto e a duemila euro di multa senza che il giudice di merito procedesse alla diminuzione della metà della pena come previsto dall’articolo 442, comma secondo, del c.p.p. La pronuncia veniva, peraltro, confermata dalla Corte d’appello che, nel mantenere ferma la sanzione stabilita dal giudice di prime cure, si pronunciava sull’unico motivo proposto riguardante il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche. Nel corso del giudizio di Cassazione, attivato dal legale dell’imputato per contestare la violazione dell’articolo 442, comma 2, del c.p.p. per non avere la Corte d’appello applicato la prevista diminuzione della pena, la IV Sezione investiva le Sezioni Unite in ragione di un contrasto giurisprudenziale sulla possibilità o meno, da parte del giudice di legittimità, di rilevare d’ufficio l’er (*) Viceprefetto. (1) Guida in stato di ebrezza durante le ore notturne (articolo 186, comma 2, lett. b) e comma 2sexies, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285). raSSeGNa aVVoCatUra DeLLo Stato -N. 4/2022 ronea riduzione di una pena prevista per il rito abbreviato, anche quando la questione, non prospettata con l’atto di appello, sia stata proposta solo con il ricorso in Cassazione. In sostanza, evidenziano le SS.UU. «ciò che si prospetta in termini dubitativi è l’inammissibilità del ricorso per mancata deduzione con i motivi d’appello dell’erronea riduzione per il rito abbreviato, operata in misura inferiore a quella prevista per le contravvenzioni» (2). Dunque il cuore del problema è se la mancata riduzione premiale della pena, prevista dal codice per il rito abbreviato, dia origine ad una pena illegale, senz’altro rilevabile d’ufficio in sede di legittimità a prescindere dalle vicende del giudizio di primo e secondo grado. Mutato il quadro prospettico, la problematica all’esame dei giudici di Piazza Cavour è se la mancata applicazione della diminuente processuale prevista per il rito abbreviato conformi o meno la pena in termini di illegalità o di semplice illegittimità. 2. La sanzione penale tra illegalità e illegittimità. La parte più interessante della pronuncia in commento riguarda proprio la differenza tra pena illegale e pena illegittima. Le posizioni della giurisprudenza in proposito sono sostanzialmente due. Una prima tesi, più estensiva e più garantista, riconduce la categoria del- l’illegalità non già alla pena in quanto tale, ma al «complessivo regime di attuazione della statuizione della pena» (3). La seconda tesi, invece, cui aderisce la presente sentenza, sostiene che gli errori nell’applicazione della disciplina sulla commisurazione della sanzione determinano una pena illegale solo nel caso in cui quest’ultima risulti nel genere, nella specie o nel valore minimo o massimo diversa da quella che il legislatore ha individuato per il tipo astratto di fattispecie incriminatrice cui viene sussunto il fatto storico di reato. È in questi casi, infatti, che si verificherebbe un’anomalia intollerabile per l’ordinamento perché verrebbe travolto il principio di colpevolezza, attraverso la negazione del criterio della prevedibilità della sanzione e della stessa funzione rieducativa della pena. Di qui un’importante considerazione sul fatto che: «... il tema della pena è il tema della coesistenza di due domini, quello del legislatore e quello del giudice, tra loro interrelati e tuttavia non confondibili. L’uno è espressione del potere di determinare il disvalore del tipo (ed eventualmente del sottotipo) astratto; l’altro del potere di determinare il disvalore del fatto concreto. Nel commisurare la pena il giudice si confronta, quindi, con due vincoli legali: quelli del primo tipo tendono a preservare le fonda (2) Cassazione penale, SS.UU., n. 47182 del 31 marzo 2022 (dep. 13 dicembre 2022), p. 5. (3) ibidem, pp. 22-23. CoNteNzIoSo NazIoNaLe mentali opzioni legislative in ordine al disvalore del fatto reato astrattamente inteso; gli altri indirizzano e regolano la discrezionalità giudiziale nell’apprezzamento del disvalore del fatto reato storicamente concretizzatosi ai fini della individualizzazione della pena. ogni violazione del primo travolge le prerogative del legislatore ed i valori per i quali esse sono riconosciute (nello Stato di diritto di stampo liberale, tali valori fanno capo all’individuo): la pena così determinata è illegale. La violazione delle regole che disciplinano l’uso del potere commisurativo -che resti rispettoso della determinazione legale -pone invece una questione di legittimità della pena» (4). Per inciso, è per tali considerazioni che le SS.UU. non riconoscono dignità di posizione autonoma a quell’ipotesi di illegalità «discendente dal carattere ‘macroscopico’ dell’errore di calcolo» (5) e ciò in quanto una pena macroscopicamente errata sarebbe illegale solo se, comunque, incidente sul dominio riservato al legislatore e non anche su quello riservato al giudice. In altri termini, un calcolo macroscopicamente errato genererebbe una pena illegale solo se quest’ultima fosse nel genere, nella specie o nel valore minimo o massimo diversa da quella che il legislatore ha configurato nel tipo astratto di reato. Fin qui il ragionamento della Corte scorre tranquillo e senza intoppi. Qualche increspatura logico-argomentativa sembrerebbe, invece, registrarsi in merito all’ipotesi della mancata applicazione della diminuente processuale stabilita per il rito abbreviato (6), ovvero se in tale evenienza si verifichi un caso di pena illegale o pena illegittima. Per la Cassazione non ci sono dubbi sul fatto che, qualora la pena concretamente irrogata rientri nei limiti edittali, «l’erronea applicazione da parte del giudice di merito della misura diminuente, prevista per un reato contravvenzionale giudicato con rito abbreviato, integra un’ipotesi di violazione di legge che, ove non dedotta nell’appello, resta preclusa dalla inammissibilità del ricorso» (7). Di qui la conclusione che, nel caso di specie all’esame delle SS.UU., la pena risultante dal dispositivo della sentenza sub iudice non risulta illegale: «Il reato di cui all’art. 186, comma 2, lett. b) e co. 2-sexties cod. strada è punito con l’arresto sino a sei mesi e la ammenda da 1.066 a 4.800 euro. La pena irrogata, di giorni quaranta di arresto ed euro duemila di ammenda, è ricompresa nel range e pertanto non è illegale» (8). (4) ibidem, pp. 19-20. (5) ibidem, p. 23. (6) L’articolo 442, comma 2, del c.p.p. stabilisce che, tenendo conto di tutte circostanze, la pena è diminuita di un terzo se si tratta di delitti, metà se si tratta di contravvenzione e trent’anni se si tratta dell’ergastolo. (7) È il principio di diritto elaborato dai giudici nella sentenza qui in esame: cfr. Cassazione penale, SS.UU., n. 47182/2022 cit., p. 30 (8) Cassazione penale, SS.UU., n. 47182/2022, cit., p. 30. raSSeGNa aVVoCatUra DeLLo Stato -N. 4/2022 Proprio per giustificare questa conclusione, i giudici di legittimità richiamano alcune pronunce della medesima Corte che, in realtà, a ben vedere, potrebbero anche avvalorare la tesi contraria. La sentenza in commento rileva infatti che: «… la quasi unanime giurisprudenza di legittimità non afferma che la riduzione premiale prevista dall’art. 442, comma 2, cod. proc. pen. attiene alla determinazione legale della pena» (9). eppure la prima delle sentenze richiamate dalle SS.UU. a sostegno di questo assunto offre alcuni spunti di riflessione dal significato non univoco: «È ben vero…che la natura processuale della diminuente per il rito [abbreviato], in quanto non attiene alla valutazione del fatto-reato e alla personalità dell’imputato, non contribuisce a determinare in termini di disvalore la quantità e gravità criminosa, consistendo in un abbattimento fisso e predeterminato connotato da automatismo senza alcuna discrezionalità valutativa da parte del giudice. al contempo, però, le caratteristiche della diminuente si presentano collegate con effetti di sicuro rilievo dal punto di vista sostanziale, derivandone, come rilevato in più occasioni dalla Sezioni Unite di questa Corte, un trattamento sanzionatorio più favorevole... » (10). Peraltro -e con particolare riferimento alla diminuzione della metà della pena nelle contravvenzioni -il carattere tassativo «... di questa previsione nell’indicazione del quantum della riduzione scolpisce… nitidamente il contenuto dell’obbligo decisorio sul punto, al quale il giudice non può sottrarsi, spettando correlativamente all’imputato il diritto a vedersi decurtata la pena nella esatta dimensione prevista dalla legge» (11). In relazione a queste considerazioni, la sentenza in esame osserva, in modo forse non troppo convincente, come: «sarebbe errato dedurre una implicita connotazione in termini di illegalità della pena dalla circostanza che nella medesima sentenza si è rimarcata la inderogabilità della riduzione per il rito; del resto ancorata, nel caso di specie, al più generale obbligo del giudice di appello di rispondere specificamente ai motivi proposti con l’impugnazione e sulle questioni con gli stessi devolute nonché alla violazione del principio devolutivo» (12). anche la seconda pronuncia evocata dalle SS.UU. parla di diminuente di natura processuale «le cui caratteristiche si presentano collegate con aspetti di sicuro rilievo “sostanziale”, risolvendosi in un trattamento penale di favore » (13). e parla anche di un imputato che, con riferimento all’accesso al rito abbreviato, è divenuto «arbitro esclusivo dell’instaurazione del giudizio “sem (9) ibidem, p. 29. (10) Cassazione penale, SS.UU., n. 7578 del 17 dicembre 2020 (dep. 26 febbraio 2021). (11) ibidem. (12) Cassazione penale, SS.UU., n. 47182/2022, cit., p. 28. (13) Cassazione penale, SS.UU., n. 44711 del 27 ottobre 2004 (dep. 18 novembre 2004). CoNteNzIoSo NazIoNaLe plice” o “puro” (14), perché né il pubblico ministero può opporsi, né il giudice può valutare se il processo sia effettivamente definibile all’udienza preliminare allo stato degli atti e, in caso negativo, rigettare la richiesta, essendo la completezza e la sufficienza delle prove comunque assicurata dal potere integrativo, anche officioso, dello stesso giudice» (15). al riguardo, la pronuncia in commento osserva: «In tale decisione (16) viene più volte rimarcato che la legittimità del provvedimento reiettivo della richiesta di rito abbreviato (condizionato) è presupposto che condiziona “la legalità della pena inflitta con la condanna”. Ma tale affermazione è fatta nel contesto di una argomentazione che non aveva la necessità di distinguere tra pena illegale e pena illegittima. tanto è vero che in essa si scrive che l’eventuale rinnovato rigetto del rito abbreviato condizionato da parte del giudice del dibattimento può essere appellato con specifico motivo di gravame che denunci “l’eventuale profilo di ‘illegalità’ della pena inflitta”. In altri termini, non si è in presenza di una decisione che coglie (né doveva cogliere) il discrimine tra pena illegale e pena illegittima; la sentenza individua correttamente un profilo di illegittimità del procedimento (il rigetto viziato) che rifluisce sulla legittimità della pena in concreto inflitta» (17). In realtà le due pronunce sopra citate sembrerebbero configurare il trattamento sanzionatorio di favore, derivante dal giudizio abbreviato, come una conseguenza inevitabile. Se così è, tuttavia e per riprendere le considerazioni fatte dagli stessi giudici di Piazza Cavour nella sentenza qui in esame, dette pronunce parrebbero ricondurre il procedimento di determinazione della pena, caratteristico di questo rito speciale, al dominio del legislatore e non del giudice; un dominio che, se violato, dovrebbe, per essere conseguenziali, generare sempre e comunque una pena illegale e, quindi, rilevabile d’ufficio in sede di giudizio di legittimità. 3. Una breve considerazione. La questione trattata dalle SS.UU. rientra tra quelle dirimenti per il nostro sistema perché, in definitiva, legata alla tenuta del principio di legalità della pena. Vero è, come dicono gli stessi giudici, che il «principio di legalità è stato studiato ed esplicato soprattutto con riferimento alla legalità del precetto, mentre la legalità della pena è tema rimasto maggiormente in ombra» (18). (14) Si ricorda che, ai sensi dell’articolo 438 c.p.p., il giudizio abbreviato è ‘semplice’ quando si apre su richiesta di parte in sede di udienza preliminare allo stato degli atti; è ‘condizionato’ quando l’imputato subordina tale richiesta ad un’integrazione probatoria. (15) ibidem. (16) Che ha sancito il dovere del giudice del dibattimento di applicare la riduzione per il rito abbreviato qualora lo stesso abbia reputato illegittimo il rigetto dell’istanza di accedere a detto rito speciale avanzata davanti al giudice per le indagini preliminari o davanti a quello dell’udienza preliminare. (17) Cassazione penale, SS.UU., n. 47182/2022, cit., pp. 28-29. (18) ibidem, p. 13. raSSeGNa aVVoCatUra DeLLo Stato -N. 4/2022 e tuttavia non si può disconoscere il fatto che, nel diritto penale, il principio di legalità è tanto più salvaguardato quanto più esso sia in grado di espandersi fino ad includere anche i profili sanzionatori della fattispecie incriminatrice, così come astrattamente delineata dal legislatore. In tale quadro, appare di rilievo una considerazione riguardante le caratteristiche della diminuente nel rito abbreviato (19). Quest’ultima sembrerebbe avere una natura meramente processuale e ciò in forza di una serie di elementi strutturali: il fatto che, ad esempio, la stessa non entrerebbe nel gioco di comparazione tra le circostanze attenuanti e aggravanti; che la diminuente in parola verrebbe applicata solamente a valle del processo di determinazione della pena una volta soppesate le circostanze; la sua automaticità una volta avviato il rito abbreviato. oltre alla funzione deflattiva del contenzioso, dunque, è come se la diminuente in esame avesse la capacità di saldarsi con gli aspetti sanzionatori di ogni fattispecie incriminatrice andando, così, a modificare i caratteri genetici delle pene principali tipizzate, dall’ordinamento, per ciascun reato. ogni reato sarebbe, quindi, caratterizzato, a livello astratto, da un doppio regime sanzionatorio: un regime ordinario e, qualora l’imputato attivasse il rito speciale, un regime di favore con limiti di pena automaticamente soggetti a diminuzione in misura prefissata. Ma se così fosse, ciò significherebbe che la mancata applicazione della diminuente nel giudizio abbreviato genererebbe, in ogni caso, una pena illegale proprio in ragione della sua capacità di violare i limiti sanzionatori stabiliti dal legislatore. Vero è che nei due regimi, quello ordinario e quello di favore, risultano diversi i procedimenti di calcolo del trattamento sanzionatorio concreto. Mentre nel primo caso, infatti, sui limiti edittali stabiliti dalla fattispecie astratta incide l’opera del giudice di comparazione delle circostanze, nel secondo, invece, a seguito di tale momento valutativo, il trattamento sanzionatorio è a sua volta ulteriormente condizionato dalla diminuente processuale dell’articolo 442, comma secondo, del c.p.p. che, come già precisato, è automatica nell’applicazione e rigida nel quantum. Ciò, tuttavia, sembra corroborare, anziché indebolire, l’opinione secondo cui detta diminuente interagisca con i limiti edittali della fattispecie astratta di reato, rientrando, così, a pieno titolo, in quel dominio del legislatore statale che segna, al contempo, i confini del principio di legalità; i confini di quel nul (19) Per approfondimenti in dottrina cfr. L.D. CerQUa, riti alternativi e incentivi premiali: implicazioni di natura sostanziale, in CP, 1992, 1702; e. GaLLo, Sistema sanzionatorio e nuovo processo, in Giustizia Penale, 1989, III, 650; M. MerCoNe, Le diminuenti dei nuovi riti premiali e i limiti di pena applicabile, in Cass. Pen., 1990, 1825; a. PaGLIaro, riflessi del nuovo processo sul diritto penale sostanziale, in riDPP, 1990, 36; P. FerrUa, il ruolo del giudice nel controllo delle indagini e nell’udienza preliminare, in Studi sul processo penale, Milano, 1990, 53. CoNteNzIoSo NazIoNaLe lum crimen sine lege et nulla poena sine lege (20) che è argine all’arbitrio del giudice e garanzia per la libertà della persona. Detto in altri termini, la mancata o non corretta applicazione della diminuente in parola determinerebbe un trattamento sanzionatorio distonico rispetto allo schema astratto delineato dalla legge; distonia che il sistema dovrebbe essere in grado di correggere anche per il tramite di un intervento attivabile d’ufficio dal giudice di legittimità a prescindere dalle vicende che hanno caratterizzato, sotto il profilo processuale, i diversi gradi di giudizio. Una ricostruzione, questa, che appare più in linea con la tesi cui si è prima fatto cenno al paragrafo 2; tesi che, come già rilevato, riconduce la categoria dell’illegalità non già alla pena in quanto tale, ma al complessivo regime di attuazione della statuizione della sanzione penale. Una posizione che, però, i giudici delle SS.UU. hanno ritenuto di non far propria, perdendo probabilmente l’occasione di favorire un’ulteriore evoluzione in senso garantista del nostro sistema penale, anche se limitata agli aspetti sanzionatori del solo giudizio abbreviato. Cassazione penale, Sezioni Unite, sentenza del 13 dicembre 2022 n. 47182 -Pres. M. Cassano, rel. S. Dovere - ricorso proposto da a.a. (avv. D. Visidori). Svolgimento del processo 1. Con sentenza del 3 novembre 2020, la Corte di appello di Milano ha confermato la pronuncia emessa all’esito di giudizio abbreviato dal Giudice dell’udienza preliminare del tribunale di Milano nei confronti di a.a., ritenuto responsabile del reato di cui al D.Lgs. 30 (20) Sede del principio di legalità in ambito costituzionale è, come noto, il comma secondo del- l’articolo 25 Cost. Seppur considerata prevalentemente con riguardo al fatto di reato, questa disposizione copre anche gli aspetti sanzionatori dell’ordinamento penale. La stessa Corte costituzionale, sul punto, ha affermato che la predetta disposizione «non soltanto proclama il principio della irretroattività della norma penale, ma dà fondamento legale alla potestà punitiva del giudice. E poiché questa potestà si esplica mediante l’applicazione di una pena adeguata al fatto ritenuto antigiuridico, non si può contestare che pure la individualizzazione della sanzione da commisurare risulta legata al comando della legge» Cort. Cost. n. 15 del 24 gennaio 1962 (dep. il 12 marzo 1962), pres. Cappi, rel. Fragali. In questo modo, la giurisprudenza costituzionale ha, fra l’altro, riallineato l’articolo 1 del Codice penale del ’30 -che come noto già affermava il principio di legalità anche con riferimento alle pene (cfr. art. 1 c.p.) - alla Costituzione repubblicana. Sul principio di legalità in ambito internazionale, con riferimento alla tipizzazione sia dei fatti oggetto di sanzione che della sanzione medesima, si richiama l’articolo 7, primo comma, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e la giurisprudenza della relativa Corte, secondo cui il principio di legalità in materia penale non solamente pone una barriera all’applicazione retroattiva delle fattispecie incriminatrici, ma afferma il correlato principio di colpevolezza e, quindi, la necessaria conoscibilità e prevedibilità, da parte dell’agente, sia del precetto che delle conseguenze della condotta criminosa (cfr. Corte CeDU, IV Sez., sent. del 22 gennaio 2013, Camilleri c. malta). In dottrina cfr. F. BrICoLa, art. 25, ii e iii comma, in G. BraNCa (a cura di), Commentario della Costituzione, rapporti civili, artt. 24-26, zanichelli, Bologna-roma, 1981; F. BrICoLa, La discrezionalità nel diritto penale, Giuffrè, Milano, 1965. raSSeGNa aVVoCatUra DeLLo Stato -N. 4/2022 aprile 1992, n. 285, art. 186, comma 2, lett. b) e comma 2 sexies, perchè il 21 dicembre 2018 aveva circolato alla guida di un’autovettura in stato di ebbrezza alcolica, commettendo il fatto durante le ore notturne. In particolare, la Corte di appello ha rigettato l’unico motivo proposto, con il quale l’imputato si doleva del mancato riconoscimento delle attenuanti generiche. 2. Con atto sottoscritto dall’avv. Stefano ricci, sostituto processuale dell’avv. Davide Visidori, difensore di fiducia di a.a., questi ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza articolando un unico motivo, con il quale denuncia la violazione della legge processuale, e segnatamente dell’art. 442 c.p.p., comma 2, perchè la Corte di appello, nel confermare integralmente la sentenza impugnata, ha mantenuto ferma anche la riduzione di un terzo della pena applicata dal Giudice per le indagini preliminari in ragione del rito prescelto, così ponendosi in contrasto con la menzionata disposizione che, a seguito della modifica introdotta dalla L. n. 103 del 2017, stabilisce che la pena è diminuita della metà se si procede per una contravvenzione. ad avviso del ricorrente, tanto ha determinato l’illegalità della pena, in quanto conseguenza di un “palese errore materiale di calcolo”, come tale rilevabile anche dopo la formazione del giudicato con incidente di esecuzione, senza che sia necessario che la difesa abbia presentato, nei precedenti gradi di giudizio, specifico motivo di appello sul punto. ritenuta la violazione censurata, la Corte di cassazione può rideterminare la pena, senza necessità di rinvio al giudice del merito. L’esponente richiama, a conferma del proprio assunto, le pronunce Sez. 3, n. 38474 del 31/05/2019, Lasalvia, rv. 276770 e Sez. 4, n. 26117 del 16/05/2012, torna, rv. 253562. 3. La Quarta Sezione di questa Corte, cui il ricorso è stato assegnato, ha ritenuto di dover registrare un contrasto di giurisprudenza sul tema della rilevabilità da parte della Corte di cassazione della erroneità della riduzione della pena prevista per il rito abbreviato, operata dal giudice di primo grado per un reato contravvenzionale nella misura di un terzo invece che in quella della metà prevista dall’art. 442 c.p.p., comma 2, nel testo modificato dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, art. 1, comma 44, anche quando la questione, non prospettata con l’atto di appello, sia stata proposta solo con il ricorso per cassazione; pertanto, ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite. L’ordinanza rileva che, secondo una prima soluzione interpretativa, “in tema di giudizio abbreviato, l’applicazione della più favorevole riduzione per il rito nella misura della metà, anzichè di un terzo, introdotta per le contravvenzioni dalla L. n. 103 del 2017, pur essendo applicabile anche ai fatti commessi prima della sua entrata in vigore, non può essere fatta valere con il ricorso per cassazione, ove non sia stata richiesta nel giudizio d’appello celebrato nella vigenza della nuova legge, non vertendosi in un’ipotesi di pena illegale, bensì di errata applicazione di una legge processuale, per cui il vizio è denunciabile solo con gli ordinari mezzi di gravame (Sez. 2, n. 28306 del 25/06/2021, Perrella, rv. 281804, in tema di impugnazione di sentenza di applicazione di pena ex art. 599 bis c.p.p.; Sez. 3, n. 34077 del 31/03/2021, Xu Dexiang, non mass.; Sez. 4, n. 6510 del 27/01/2021, Di Maria, rv. 280946; Sez. 1, n. 22313 del 08/07/2020, Manto, rv. 279455, che ha precisato che non sono esperibili neanche i rimedi dell’incidente di esecuzione e della correzione dell’errore materiale)”. ad avviso della Sezione rimettente si tratta di una linea ermeneutica basata su una nozione restrittiva di “pena illegale”, per tale dovendosi intendere la sanzione non prevista dalla legge per specie o quantità o esito di errore nel computo aritmetico, mentre, in ipotesi come quella in considerazione, la quantificazione sarebbe stata operata in violazione del criterio di riduzione stabilito dalla legge processuale. Si tratterebbe, pertanto, di mera ipotesi di pena “ille CoNteNzIoSo NazIoNaLe gittima”, emendabile esclusivamente mediante gli ordinari mezzi di impugnazione, coi quali l’imputato avrebbe dovuto chiederne l’esatta commisurazione (Sez. 1, n. 28252 del 11/06/2014, Imparolato, rv. 261091). L’opposto orientamento -espone l'ordinanza della Quarta Sezione -reputa che, in tema di giudizio abbreviato celebrato dopo le modifiche introdotte all’art. 442 c.p.p., comma 2, dalla L. n. 103 del 2017, nel caso di omessa riduzione della metà della pena inflitta con sentenza di condanna per contravvenzione, sia ammissibile il ricorso per cassazione volto a far valere, per i fatti pregressi, l’erronea applicazione, per le contravvenzioni, della diminuente per il rito abbreviato nella misura di un terzo anzichè della metà, non dedotta in precedenza con i motivi di appello (Sez. 4, n. 37820 del 12/10/2021, Vleru, non mass.; Sez. 4, n. 38633 del 05/10/2021, Cavina, non mass.; Sez. 4, n. 24897 del 18/05/2021, Bara, rv. 281488). Il Collegio rimettente rileva che tale soluzione interpretativa è fondata sulla natura sostanziale degli effetti della riduzione in parola, per cui l’applicabilità del trattamento sanzionatorio più favorevole sarebbe rilevabile d’ufficio ai sensi dell’art. 2 c.p., comma 4, disposizione ormai divenuta strumento interno di attuazione del principio sovranazionale della retroattività della lex mitior. Sebbene l’art. 442 c.p.p., si inserisca nell’ambito della disciplina processuale e non di quella sostanziale, la diminuzione o sostituzione della pena costituirebbe un aspetto sostanziale; l’intima ed inscindibile connessione tra profili processuali ed effetti sostanziali comporterebbe l’applicazione dell’art. 25 Cost., comma 2, (Sez. 4, n. 832 del 15/12/2017, dep. 2018, Del Prete, rv. 271752). 4. Con decreto in data 11 gennaio 2022 il Presidente aggiunto ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissando per la trattazione la data odierna. motivi della decisione 1. La questione sottoposta alle Sezioni Unite è stata così formulata: “Se, in tema di reati contravvenzionali, la Corte di Cassazione possa applicare la corretta riduzione della metà prevista per un reato contravvenzionale, giudicato con rito abbreviato, non disposta dal giudice di merito, pur se la questione non sia stata prospettata con l’atto di appello, ma unicamente con il ricorso per cassazione”. Si coglie agevolmente che essa ruota intorno al potere di cognizione riconoscibile al giudice di legittimità nel caso di errata determinazione della misura della riduzione prevista per il rito abbreviato, che non sia stata dedotta o rilevata nel precedente grado di giudizio. Sono quindi sottointesi, da un canto, l’art. 606 c.p.p., comma 3, a mente del quale “Il ricorso è inammissibile se è proposto per motivi diversi da quelli consentiti dalla legge o manifestamente infondati ovvero, fuori dei casi previsti dall’art. 569, e art. 609, comma 2, per violazioni di legge non dedotte con i motivi di appello”. Dall’altro, l’art. 609 c.p.p., il cui comma 1, dispone che “il ricorso attribuisce alla corte di cassazione la cognizione del procedimento limitatamente ai motivi proposti”. Il comma 2 della medesima disposizione estende però la cognizione del giudice di legittimità alle questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del processo e a quelle che non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello. In sostanza, ciò che si prospetta in termini dubitativi è l’inammissibilità del ricorso per mancata deduzione con i motivi d’appello dell’erronea riduzione per il rito abbreviato, operata in misura inferiore a quella prevista per le contravvenzioni. occorre quindi verificare preliminarmente se il ricorso di a.a. sia o meno inammissibile. 2. Non è in discussione che con l’appello non era stata devoluta alla corte territoriale il punto concernente la errata misura della riduzione della pena operata dal primo giudice ai raSSeGNa aVVoCatUra DeLLo Stato -N. 4/2022 sensi dell’art. 442 c.p.p., comma 2; lo rappresenta il ricorrente medesimo. Come non è dubbio che si trattasse di censura deducibile, considerato che la sentenza di primo grado era intervenuta il 26 settembre 2019 e quindi ben dopo la modifica del citato art. 442 c.p.p., comma 2, ad opera della L. 23 giugno 2017, n. 103, art. 1, comma 44, con la quale, per le contravvenzioni, la riduzione premiale è stata elevata alla metà. Pertanto, il giudice per le indagini preliminari avrebbe dovuto ridurre della metà la pena inflitta a a.a.; per contro, ha fissato la pena base in mesi due di arresto ed euro duemila di ammenda, aumentato la pena pecuniaria a tremila euro e quindi diminuito di un terzo la pena così definita, pervenendo a quella di quaranta giorni di arresto e 2.000,00 euro di ammenda. Con l’atto di appello era stato formulato un unico motivo, con il quale ci si era doluti del mancato riconoscimento delle attenuanti generiche; la celebrazione del rito abbreviato era stata evocata solo per ricavarne il segno di un’avvenuta resipiscenza dell’imputato. La estraneità del punto concernente il riconoscimento delle attenuanti generiche a quello attinente alla diminuente premiale è palese (cfr. Sez. U, n. 1 del 19/01/2000, tuzzolino, rv. 216239). 3. tanto premesso in fatto, il contrasto segnalato dalla Quarta Sezione è certamente esistente e si inserisce in un più ampio dibattito, che coinvolge il tema della rilevabilità di ufficio della illegalità della pena da parte della Corte di cassazione in caso di ricorso inammissibile. Infatti, proprio il tema dell’illegalità della pena ha alimentato una giurisprudenza incline a riconoscere al giudice dell’impugnazione inammissibile spazi per l’esercizio dei poteri officiosi. Prima di esporre i termini del contrasto è opportuno svolgere una precisazione. L’ordinanza di rimessione cita, nell’ambito dell’orientamento che ammette l’intervento officioso sulla errata riduzione della pena, pronunce che si sono occupate di vicende attinenti a fatti pregressi alla novazione normativa prodottasi nel 2017 e che pertanto fondano l’interpretazione adottata sulla ritenuta rilevabilità di ufficio della mancata applicazione della disciplina (sopravvenuta) più favorevole all’imputato. Di contro, a.a. è stato riconosciuto autore di un reato commesso quando ormai era già entrato in vigore l’attuale testo dell’art. 442 c.p.p., comma 2. Pertanto, nella relativa vicenda non ha alcun ruolo la prospettiva diacronica. 4. tanto precisato, si può considerare che, riguardo al caso di erronea misura della riduzione prevista per il rito abbreviato, il contrasto si dipana tra due poli: la generale rilevabilità della illegalità della pena da parte del giudice dell’impugnazione inammissibile; la riconducibilità, o meno, della pena determinata in ragione dello specifico errore alla categoria della pena illegale. 5. Quanto al primo tema, la giurisprudenza di legittimità appare divisa in due orientamenti. 5.1. Un primo ritiene che la preclusione processuale determinata dalla inammissibilità del ricorso osti alla rilevabilità d’ufficio della illegalità della pena da parte della Corte di cassazione. Per tale orientamento può essere citata, innanzitutto, Sez. 5, n. 24926 del 03/12/2003, dep. 2004, Marullo, rv. 229812, per la quale l’illegalità della pena è rilevabile d’ufficio ed è, quindi, sindacabile indipendentemente dalla deduzione di specifiche doglianze in sede di impugnazione, ma non quando ricorra la preclusione processuale derivante dall’inammissibilità del ricorso, che impedisce il passaggio del procedimento all’ulteriore grado di giudizio ed inibisce la cognizione della questione e la rivisitazione del decisum a seguito della formazione del giudicato interno (nel caso di specie si versava in ipotesi di ritenuta illegalità della pena CoNteNzIoSo NazIoNaLe per essere stata inflitta quella detentiva in luogo della pena pecuniaria, di doverosa applicazione essendo il reato di competenza del giudice di pace). In fattispecie analoga e richiamandosi proprio alla sentenza Marullo, anche Sez. 5, n. 36293 del 09/07/2004, raimo, rv. 23063601 ha ritenuto di non poter rilevare di ufficio, stante l’inammissibilità del ricorso, la violazione del principio di legalità della pena. Si tratta di una posizione che trova precedenti anche più risalenti rispetto alla sentenza Ma- rullo e che è stata ribadita da Sez. 2, n. 44667 del 08/07/2013, aversano, rv. 257612. In quest’ultima pronuncia si legge che “La violazione del principio di legalità della pena è rilevabile d’ufficio anche nel giudizio di cassazione a condizione che il ricorso non sia inammissibile e l’esame della questione rappresentata non comporti accertamenti in fatto o valutazioni di merito incompatibili con il giudizio di legittimità”. Nella specie si trattava di una riduzione della pena prevista per il giudizio abbreviato applicata senza effettuare il previo temperamento previsto dall'art. 78 c.p. Per la tesi restrittiva milita anche Sez. 5, n. 15817 del 18/02/2020, Di rocco, rv. 27925201. tale decisione, come le sentenze Marullo e raimo, attiene ad una pena detentiva inflitta in luogo di quella pecuniaria per un reato di competenza del giudice di pace; ma essa ha potuto tener conto di quanto affermato con riguardo a tale ipotesi da Sez. U, n. 47766 del 26/06/2015, Butera, rv. 265106. La Quinta Sezione ha perciò rammentato che, secondo l’insegnamento del S.C., nel caso di ricorso inammissibile perchè tardivo la Corte di cassazione non può rilevare di ufficio la illegalità della pena derivante dalla erronea applicazione delle pene previste per i reati di competenza del giudice di pace, per la decisiva ragione che la intempestività del- l’impugnazione determina la formazione del giudicato formale. Inoltre, tenuto conto della specie di pena illegale in considerazione, non è ipotizzabile un potere di intervento del giudice dell’esecuzione, perchè la rimodulazione della pena che si renderebbe necessaria “si pone quale complessivo nuovo giudizio, del tutto eccentrico rispetto al pur accresciuto ambito entro il quale può trovare spazio l’intervento del giudice dell’esecuzione”. Su tali premesse la sentenza Di rocco si occupa del tema della relazione tra inammissibilità del ricorso e poteri di cui all’art. 609 c.p.p., comma 2, non in termini generali, ma con specifico riferimento al particolare caso di illegalità della pena sottopostole; ed anzi essa, edotta dei principi posti da Sez. U, n. 33040 del 26/02/2015, Jazouli, rv. 264205 e da Sez. U, n. 46653 del 26/06/2015, Della Fazia, rv. 265111, segnala il pericolo di “(...) una lettura che, in maniera forse un pò frettolosa e non sufficientemente approfondita, tenda ad assimilare tra loro le cause di illegalità delle pena, ai fini della loro equiparazione in funzione della rilevabilità di ufficio”, con ciò discostandosi dal percorso argomentativo tracciato in una pronuncia militante per l’opposto avviso (Sez. 5, n. 552 del 07/07/2016, dep. 2017, Jomle, rv. 268593, della quale si tratterà a breve). 5.2. Il diverso orientamento appare maggiormente diffuso nella giurisprudenza di legittimità. Sez. 5, n. 24128 del 27/04/2012, Di Cristo, rv. 253763 ritiene non sia di ostacolo all’intervento officioso sulla pena illegale la inammissibilità del ricorso, “atteso che il principio di legalità ex art. 1 c.p., e la funzione della pena, come concepita dall’art. 27 Cost., non appaiono conciliabili con la applicazione di una sanzione non prevista dall’ordinamento”. richiamandosi ad una giurisprudenza più risalente (Sez. 2, n. 11230 del 04/07/1985, Gioffrè, rv. 171202; Sez. 5, n. 6280 del 21/03/1985, De Negri, rv. 169897; Sez. 4, n. 3369 del 22/01/1985, Laranga, rv. 168651, tuttavia relative a ricorsi ammissibili) la Quinta Sezione osserva che già sotto la vigenza del codice di rito del 1930 si era ritenuto ammissibile che il raSSeGNa aVVoCatUra DeLLo Stato -N. 4/2022 giudice dell’impugnazione, anche in mancanza di uno specifico motivo di gravame, annullasse o modificasse la sentenza di condanna ad una pena illegale per specie, genere o quantità, in applicazione dell’allora vigente art. 152, contenutisticamente (e quasi letteralmente) riprodotto dall’art. 129 c.p.p. ad avviso della Quinta Sezione, a favore della tesi adottata depone anche l’indirizzo esegetico formatosi con riferimento alla illegalità del trattamento sanzionatorio posto a base di una sentenza di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p.; indirizzo favorevole alla rilevabilità officiosa della pena illegale. Invero, si osserva, “se l’esigenza di legalità della sanzione -si ripete, imposta dall’art. 1 c.p., e presupposta dall’art. 27 Cost., -deve prevalere anche sull’accordo delle parti (e dunque, in ipotesi, sullo stesso consenso dell’imputato a subire una pena più grave di quella prevista dall’ordinamento), a maggior ragione, ciò deve avvenire quando il trattamento sanzionatorio non è frutto di un accordo (sia pure “asimmetrico”) tra le parti, ma è determinato dal giudice. Pressocchè pedissequa è Sez. 1, n. 15944 del 21/03/2013, aida, rv. 255684, in tema di recidiva erroneamente ritenuta ed applicata in rapporto ad una contravvenzione. Nel medesimo solco si è posta Sez. 5, n. 46122 del 13/06/2014, oguekemma, rv. 262108. Prendendo atto dell’interpretazione appena rammentata, nella sentenza si osserva che “il principio della funzione rieducativa della pena, imposta dall’art. 27, comma 3, è fra quelli che, di recente, ed in ossequio alla evoluzione interpretativa determinata dai principi della Corte eDU, le Sezioni Unite di questa Corte hanno riconosciuto essere in opposizione all’esecuzione di una sanzione penale rivelatasi, pure successivamente al giudicato, convenzionalmente e costituzionalmente illegittima (Sez. U, n. 18821 del 24/10/2013, dep. 2014, rv. 258651). Non vi è motivo, a maggior ragione, per escludere che la illegalità della pena inflitta, dipendente da una statuizione ab origine contraria all’assetto normativo vigente al momento di consumazione del reato, possa e debba essere rilevata, prima della formazione del giudicato ed a prescindere dalla articolazione di un corrispondente motivo di impugnazione, pure in presenza di un ricorso caratterizzato da inammissibilità, nella specie, non originaria”. Nello stesso senso si è orientata Sez. 4, n. 17221 del 02/04/2019, Iacovelli, rv. 275714, come quella appena citata relativa ad una pena inflitta in misura superiore al massimo edittale. Per Sez. 5, n. 51726 del 12/10/2016, Sale, rv. 268639 la rilevabilità ex officio della illegalità della pena (si tratta ancora della pena detentiva inflitta per reati di competenza del giudice di pace), nonostante l’inammissibilità del ricorso, si impone in quanto “si tratta di verificare il rispetto del principio immanente di legalità della sanzione”. La decisione mutua un’affermazione che risale a Sez. 1, n. 8405 del 21/01/2009, Porreca, rv. 242973, secondo cui “L’intero sistema processual-penalistico, invero, non sopporta l’irrogazione di pena illegale, per i fondamentali principi costituzionali di libertà che ne sono sottesi, e per il principio del favor rei che, altrimenti, risulterebbe in concreto vanificato”. Sez. 5, n. 13787 del 30/01/2020, ottoni, rv. 27920101 ha, da un verso, fatto propria la piattaforma argomentativa utilizzata dalla sentenza oguekemma (si verteva nella medesima ipotesi di pena superiore al massimo edittale) ma, dall’altro, ha ritenuto di poter dedurre dal- l’insegnamento impartito da Sez. U, n. 47766 del 26/06/2015, Butera, rv. 265106 la possibilità di differenziare in maniera netta, da un lato, le cause di inammissibilità in generale e, dall'altro, la tardività del ricorso, che esclude in radice la possibilità di instaurare un valido rapporto di impugnazione. Sulla base di tale premessa ha argomentato che il ricorso proposto per motivi non consentiti (art. 606 c.p.p., comma 2 bis), è idoneo, a differenza del ricorso tardivo, ad instaurare un valido rapporto processuale, con la conseguenza di permettere alla Corte di cassazione di rilevare di ufficio la illegalità della pena. CoNteNzIoSo NazIoNaLe Si tratta di una linea interpretativa già percorsa da Sez. 5, n. 552 del 07/07/2016, dep. 2017, Jomle, rv. 268593. In questa pronuncia la Quinta Sezione ha preso le mosse da alcuni principi espressi dalle Sezioni Unite Butera, ovvero che l’illegalità della pena non è rilevabile di ufficio da parte della Corte di cassazione in caso di ricorso tardivo. In tal caso, essa è deducibile dinanzi al giudice dell’esecuzione, salvo che non si verta in ipotesi di erronea applicazione delle sanzioni previste per i reati attribuiti alla competenza del giudice di pace, perchè il giudice dell’esecuzione dovrebbe operare una valutazione di tutti i parametri di commisurazione eccentrica rispetto ai suoi poteri di intervento. La Quinta Sezione ha rimarcato che alla medesima udienza le Sezioni Unite avevano deliberato anche la sentenza Della Fazia, la quale ha statuito che nonostante l’inammissibilità del ricorso (non tardivo), la Corte di cassazione deve rilevare di ufficio la mancata applicazione del sopravvenuto trattamento sanzionatorio più favorevole. Ne ha dedotto l’implicazione che le Sezioni Unite hanno inteso affrontare in modo unitario il tema dei limiti al sindacato della Corte di legittimità nel caso di ricorso inammissibile; ha, in conclusione, argomentato che “solo nel caso di ricorso per intempestività è precluso al giudice di legittimità “correggere” ex officio la pena illegale”. anche per il caso di illegalità della pena accessoria si è statuito che essa è rilevabile d’ufficio nel giudizio di cassazione, pur se il ricorso è inammissibile (Sez. 3, n. 6997 del 22/11/2017, dep. 2018, C., rv. 272090, che si è limitata al richiamo del precedente costituito da Sez. 5, n. 46122/2014, citata). In altra decisione (Sez. 2, n. 7188 del 11/10/2018, dep. 2019, elgendy, rv. 276320), ancora a riguardo della pena accessoria, si sostiene che “tale principio risulta in linea con la nota evoluzione giurisprudenziale, segnata da rilevanti pronunce delle Sezioni Unite in tema di cedevolezza del giudicato in presenza di una pena illegale (Sez. U, n. 42858 del 29/05/2014, Gatto, rv. 260697; n. 6240 del 27/11/2014, dep. 2015, B., rv. 262327; n. 33040 del 26/02/2015, Jazouli, rv. 264205-6; n. 37107 del 26/02/2015, Marcon, rv. 264857-9; n. 47766 del 26/06/2015, Butera, rv. 265108)”. 6. Quanto al secondo profilo del contrasto, e cioè la qualificazione come pena illegale della erronea riduzione per il giudizio abbreviato, la tesi incline ad escludere che la pena erroneamente ridotta ai sensi dell’art. 442 c.p.p., comma 2, sia illegale -e quindi che vi sia materia per l’esercizio dei poteri officiosi da parte della Corte di cassazione -è espressa da Sez. 4, n. 6510 del 27/01/2021, Di Maria, rv. 280946, che riprende l’affermazione di Sez. 1, n. 22313 del 08/07/2020, Manto, rv. 279455 (intervenuta in vicenda concernente un provvedimento del giudice dell’esecuzione, al pari di Sez. 1, n. 28252 del 11/06/2014, Imparolato, rv. 261091). Secondo la Quarta Sezione nel caso specifico si trattava di pena inflitta per un reato commesso prima del 3 agosto 2017 e venuto all’attenzione della Corte di appello dopo tale data, pena ridotta per il rito di un terzo e non della metà -non si verte in una ipotesi di pena illegale, perchè non prevista dalla legge per specie o quantità, ma si tratta di “una determinazione operata in violazione del criterio di riduzione, stabilito dalla legge processuale”. Pertanto, ricorrendo una violazione di legge processuale non dedotta in appello, il motivo con il quale si intende far valere siffatta violazione è inammissibile. Secondo Sez. 6, n. 32243 del 15/07/2014, tanzi, rv. 260326 l’erronea riduzione per il rito, operata nella misura della metà invece che del terzo, non dà luogo ad una pena illegale se la pena data in dispositivo non è diversa, per specie, da quella che la legge stabilisce per un determinato reato, ovvero inferiore o superiore, per quantità, ai relativi limiti edittali (nella specie, la pena di otto mesi di reclusione inflitta per il reato di evasione, pur determinata attraverso raSSeGNa aVVoCatUra DeLLo Stato -N. 4/2022 una riduzione in misura erronea e la riduzione per le riconosciute attenuanti generiche, era compatibile con i limiti edittali stabiliti per tale delitto). Il diverso indirizzo è espresso da Sez. 3, n. 38474 del 31/05/2019, Lasalvia, rv. 276760. In un caso nel quale era stata omessa la riduzione della pena dovuta per il rito abbreviato, ma la violazione non era stata censurata nè con l’appello nè con il ricorso per cassazione, bensì solo con il nuovo ricorso contro la sentenza pronunciata dal giudice del rinvio, la terza Sezione ha richiamato il principio espresso da Sez. 4, n. 26117 del 16/05/2012, torna, rv. 253562 secondo cui l’erronea applicazione della diminuzione prevista per il rito abbreviato, costituisce “un palese errore materiale di calcolo nella determinazione della pena che ha comportato la sostanziale illegalità, sia pure solo in punto di quantum in conseguenza di macroscopico errore di calcolo della pena inflitta”. Secondo la citata sentenza della terza Sezione il principio vale a fortiori nel caso di omessa applicazione della riduzione per il rito, che integra “un palese errore materiale di calcolo”. Ha, quindi, ritenuto rilevabile d’ufficio anche in sede di legittimità (eccezion fatta che nel caso di ricorso tardivo) l’illegalità della pena “derivante da palese errore giuridico o materiale da parte del giudice della cognizione, privo di argomentata valutazione”. 7. Come preannunciato, la ricognizione delle decisioni che si sono misurate direttamente o indirettamente con il tema che qui occupa evidenzia che si controverte, da un canto, in merito alla superabilità o meno, in presenza di pena illegale, della preclusione derivante dal- l’inammissibilità del ricorso; dall’altro, in ordine alla riconducibilità della pena erroneamente ridotta ai sensi dell’art. 442 c.p.p., al novero delle pene illegali. 7.1. Prima di inoltrarsi nell’esame della fondatezza delle interpretazioni antagoniste è necessaria un’osservazione che attiene al metodo. Già l’excursus appena fatto evidenzia come talvolta la tesi patrocinata venga sostenuta anche mutuando principi e argomenti proposti per vicende diverse da quella in esame. Si tratta di quella assimilazione di situazioni tra loro non omogenee contro la quale la sentenza Di rocco ha svolto condivisibili critiche. Se pur fosse unitario il quadro entro il quale si collocano le varie questioni in ordine ai poteri del giudice dell’impugnazione inammissibile di fronte ad una pena illegale, occorrerebbe comunque interrogarsi sulla fondatezza di interpretazioni che: adottano principi formulati in tema di illegalità sopravvenuta della pena con riguardo alla diversa ipotesi di pena illegale ab origine; assimilano pene che eccedono i limiti edittali a pene determinate in violazione di norme processuali; traggono da specifiche ipotesi di ritenuta recessività del giudicato sostanziale un generale principio di soccombenza di esso ad istanze legaliste, senza indicarne i fondamenti. all’inverso, è necessario definire con precisione le premesse che avviano alla soluzione della questione che qui occupa. La messa a fuoco non può che prendere le mosse dal concetto di pena illegale. Infatti, solo se è da ritenere illegale la pena ridotta in misura erronea rispetto a quanto previsto dall’art. 442 c.p.p., comma 2, è necessario occuparsi, in questa sede, dell’odierna concezione del giudicato sostanziale e della sua ipotetica flessibilità. 7.2. Ciò introduce al tema che ora occorre affrontare, ovvero il principio di legalità della pena. L’impegno non è agevole poichè, come denuncia la più recente dottrina, il principio di legalità è stato studiato ed esplicato soprattutto con riferimento alla legalità del precetto, mentre la legalità della pena è tema rimasto maggiormente in ombra. ovviamente, nello Stato di diritto, non è in discussione che la pena inflitta dal giudice debba essere legale, ovvero, prevista dalla legge. Per l’ordinamento nazionale depongono in CoNteNzIoSo NazIoNaLe tal senso la previsione dell’art. 1 c.p., e, con superiore autorità, l’art. 25 Cost., comma 2, che eleva il principio di legalità della pena al rango costituzionale. È però significativo che, come già rilevato da Sez. U, Della Fazia, il riconoscimento di una “illegalità” della pena abbia richiesto un approfondimento della portata precettiva dell’art. 25 Cost., comma 2, il cui testo non espone con assoluta evidenza il principio nulla poena sine lege (per scelta deliberata del legislatore costituente, che ritenne il principio ricavabile comunque da altre norme). tale approfondimento è stato operato dalla Corte costituzionale sin dalla sentenza n. 15 del 1962, che ha superato le incertezze scaturite dalla variazione testuale che l’art. 25 Cost., propone rispetto all’art. 1 c.p., oltre che da posizioni teoriche inclini a tener distinti, rispetto al tema della legalità, il precetto penale e la sanzione. Il Giudice delle leggi ha disatteso l’assunto per il quale non sarebbe costituzionalmente garantito il principio di legalità della pena sancito nell’art. 1, c.p., affermando che l’art. 25 Cost., comma 2, “dà fondamento legale alla potestà punitiva del giudice. e poichè questa potestà si esplica mediante l’applicazione di una pena adeguata al fatto ritenuto antigiuridico, non si può contestare che pure la individualizzazione della sanzione da comminare risulta legata al comando della legge”. anche la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali si situa tra le fonti normative del principio di legalità della pena. In particolare, secondo l’interpretazione della Corte di Strasburgo, esso è sancito dall’art. 7 (Corte eDU, 25 maggio 1993, Kokkinakis c. Grecia, p. 52). In primo luogo, il principio vieta di estendere il campo di applicazione dei reati esistenti a fatti che, in precedenza, non costituivano reato ed impone di non applicare la legge penale in maniera estensiva a danno dell’imputato, ad esempio per analogia (tra le altre, Corte eDU, GC, 21 ottobre 2013, Del rio Prada c. Spagna, p. 78). Ma, in forza della previsione del comma 1, secondo periodo, secondo la quale “... non può essere inflitta una pena più grave di quella che sarebbe stata applicata al tempo in cui il reato è stato consumato”, esso obbliga il legislatore anche a definire chiaramente le pene. Non dissimili le previsioni dell’art. 49, p. 1, della Carta di Nizza e dell’art. 15 del Patto internazionale sui diritti civili e politici adottato a New York il 16 dicembre 1966 e reso esecutivo in Italia con L. 25 ottobre 1977, n. 881. D’altronde, come è stato rimarcato dalla dottrina, “il principio di legalità sarebbe vanificato e privato del suo significato di garanzia se abbracciasse il solo precetto e non investisse anche il versante delle sanzioni”. Nullum crimen sine lege e nullum poena sine lege sono così intimamente correlati. Ne discende che, anche per le pene, il principio di legalità assume i contenuti che gli sono riconosciuti quando riferito al reato. Viene, in proposito, in rilievo innanzitutto la riserva di legge che assolve ad una funzione di garanzia dell’individuo tanto rispetto al momento costitutivo che a quello di concreta attuazione della pretesa punitiva. Secondo l’insegnamento del Giudice delle leggi, nell’ordinamento costituzionale il principio di legalità della pena implica, in primo luogo, la riserva a favore della legge statuale: “esso esige che sia soltanto la legge (o un atto equiparato) dello Stato a stabilire con quale misura debba esser repressa la trasgressione dei precetti che vuole sanzionati penalmente. La dignità e la libertà personali sono, nell’ordinamento costituzionale democratico e unitario che regge il Paese, beni troppo preziosi perchè, in mancanza di un inequivoco disposto costituzionale in tali sensi, si possa ammettere che un’autorità amministrativa, e comunque un’autorità non statale, disponga di un qualche potere di scelta in ordine ad essi” (n. 62 del 1966; in tal senso anche n. 282 del 1990). raSSeGNa aVVoCatUra DeLLo Stato -N. 4/2022 Ma la legalità della pena non è solo un argine frapposto alla moltiplicazione delle fonti di criminalizzazione; è anche garanzia contro l’arbitrio del giudice che, creando la pena, si arroga prerogative che spettano solo a chi è chiamato ad assumersi le responsabilità politiche della penalizzazione. “Solo il legislatore, dunque, può, nel rispetto dei principi della Costituzione, individuare i beni da tutelare mediante la sanzione penale, e le condotte, lesive di tali beni, da assoggettare a pena, nonchè stabilire qualità e quantità delle relative pene edittali” (sentenza n. 447 del 1998). Il monopolio a favore del legislatore è, però, accompagnato da vincoli; come la norma incriminatrice deve soddisfare il principio di determinatezza, anche per le pene egli è tenuto a stabilire il tipo, il contenuto e la misura della pena e a farlo in modo non arbitrario. Determinatezza non significa, tuttavia, opzione a favore delle pene fisse: invero, “il principio di legalità della pena non può prescindere dalla individualizzazione di questa” (Corte Cost., sent. n. 131 del 1970). ed invero, la pena costituzionale non è solo rispettosa del principio di legalità, ma anche del principio di personalità della responsabilità penale e della funzione rieducativa. Corte Cost., sent. n. 149 del 2018 rammenta “il principio della non sacrificabilità della funzione rieducativa sull’altare di ogni altra, pur legittima, funzione della pena”. La Corte costituzionale ha progressivamente accentuato il giudizio di tendenziale incoerenza delle pene fisse al dettato costituzionale, proprio in ragione della necessità dell’individualizzazione della pena. Se, con la sentenza n. 67 del 1963 (relativa alla pena pecuniaria comminata in misura fissa dal r.D.L. 15 ottobre 1925, n. 2033, art. 54, abrogato dalla L. 3 febbraio 2011, n. 4), la Corte costituzionale ritenne che la previsione non compromettesse il principio che la responsabilità penale è personale, la finalità rieducativa della pena ed il principio di uguaglianza, tuttavia, già in tale decisione il Giudice delle leggi convenne in ordine al fatto che lo strumento più idoneo a garantire la adeguatezza del trattamento sanzionatorio al reo è “la mobilità della pena, cioè la predeterminazione della medesima da parte del legislatore in modo da contenerla fra un massimo ed un minimo”. Con la sentenza n. 50 del 1980 la Corte costituzionale espresse un giudizio più marcatamente critico rispetto alle pene fisse: “in linea di principio, previsioni sanzionatorie rigide non appaiono pertanto in armonia con il “volto costituzionale” del sistema penale; ed il dubbio d’illegittimità costituzionale potrà essere, caso per caso, superato a condizione che, per la natura dell’illecito sanzionato e per la misura della sanzione prevista, questa ultima appaia ragionevolmente “proporzionata” rispetto all’intera gamma di comportamenti riconducibili allo specifico tipo di reato”. Con questa pronuncia il principio di legalità delle pene viene fortemente connesso ai principi indicati dall’art. 27 Cost., commi 1 e 3. La pena determinata dal legislatore deve poter essere individualizzata dal giudice, in modo da tenere conto dell’effettiva entità e delle specifiche esigenze dei singoli casi: “lo stesso principio di “legalità delle pene”, sancito dall’art. 25 Cost., comma 2, dà forma ad un sistema che trae contenuti ed orientamenti da altri principi sostanziali -come quelli indicati dall’art. 27 Cost., commi 1 e 3, -ed in cui “l'attuazione di una riparatrice giustizia distributiva esige la differenziazione più che l’uniformità” (sentenza n. 104 del 1968). Di qui il ruolo centrale, che nei sistemi penali moderni è proprio della discrezionalità giudiziale, nell’ambito e secondo i criteri segnati dalla legge (artt. 132 e 133 c.p.; e si veda al riguardo la sentenza n. 118 del 1973)”. Più di recente la Corte ha precisato che la tendenziale contrarietà delle pene fisse “al volto costituzionale” dell’illecito penale deve intendersi riferita alle pene fisse nel loro complesso CoNteNzIoSo NazIoNaLe e non ai trattamenti sanzionatori che coniughino articolazioni rigide ed articolazioni elastiche, in maniera tale da lasciare comunque adeguati spazi alla discrezionalità del giudice, ai fini dell’adeguamento della risposta punitiva alle singole fattispecie concrete (ordinanza n. 91 del 2008). Con la sent. n. 222 del 2018, pronunciando la illegittimità costituzionale del r.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 216, u.c., nella parte in cui dispone che “la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa”, la Corte costituzionale ha ribadito che “l’esigenza di “mobilità” (sentenza n. 67 del 1963), o “individualizzazione” (sentenza n. 104 del 1968), della pena -e la conseguente attribuzione al giudice, nella sua determinazione in concreto, di una certa discrezionalità nella commisurazione tra il minimo e il massimo previsti dalla legge -costituisce (...) “naturale attuazione e sviluppo di principi costituzionali, tanto di ordine generale (principio d’uguaglianza) quanto attinenti direttamente alla materia penale” (sentenza n. 50 del 1980), rispetto ai quali “l’attuazione di una riparatrice giustizia distributiva esige la differenziazione più che l’uniformità” (così, ancora, la sentenza n. 104 del 1968). Con la rilevante conseguenza, espressamente tratta dalla citata sentenza n. 50 del 1980, che “(i)n linea di principio, previsioni sanzionatorie rigide non appaiono in linea con il volto costituzionale del sistema penale; ed il dubbio d’illegittimità costituzionale potrà essere, caso per caso, superato a condizione che, per la natura dell’illecito sanzionato e per la misura della sanzione prevista, quest’ultima appaia ragionevolmente proporzionata rispetto all’intera gamma di comportamenti riconducibili allo specifico tipo di reato”. Se la Costituzione esprime un’indicazione preferenziale per la mobilità della pena, la stessa predeterminazione di un minimo e di un massimo della sanzione non è libera da vincoli: “il principio di legalità richiede anche che l’ampiezza del divario tra il minimo ed il massimo della pena non ecceda il margine di elasticità necessario a consentire l’individualizzazione della pena secondo i criteri di cui all’art. 133, e che manifestamente risulti non correlato alla variabilità delle fattispecie concrete e delle tipologie soggettive rapportabili alla fattispecie astratta. altrimenti la predeterminazione legislativa della misura della pena diverrebbe soltanto apparente ed il potere conferito al giudice si trasformerebbe da potere discrezionale in potere arbitrario” (Corte Cost., n. 299 del 1992). Inoltre, il legislatore deve assicurare la necessaria proporzionalità delle pene, sia in relazione a quelle previste per altre figure di reato che rispetto alla intrinseca gravità delle condotte abbracciate da una singola figura di reato (cfr. Corte Cost., sent. n. 63 del 2022, cui si rimanda anche per la menzione delle decisioni che hanno delineato i termini del sindacato di costituzionalità sulla determinazione legale della pena). 8. La pena costituzionale è quindi la pena determinata dal legislatore secondo le direttrici evidenziate dal Giudice delle leggi ed individualizzata dal giudice. I due poteri concorrono verso il traguardo di una sanzione che rappresenti la sintesi dei valori costituzionali cui deve ispirarsi il diritto penale. Come rilevato dalla Corte costituzionale (sent. n. 299 del 1992), la predeterminazione della pena da parte del legislatore tra un minimo ed un massimo e il conferimento al giudice del potere discrezionale di determinare in concreto, entro tali limiti, la sanzione da irrogare costituisce lo strumento più idoneo al conseguimento delle finalità della pena e più congruo rispetto al principio di uguaglianza. La determinazione delle cornici edittali è “requisito essenziale affinchè la discrezionalità giudiziale nella determinazione concreta della pena trovi nella legge il suo limite e la sua regola e non si traduca, invece, in arbitrio”. Nelle commina raSSeGNa aVVoCatUra DeLLo Stato -N. 4/2022 torie edittale si esprime la scala di graduazione del disvalore definita dal legislatore; “il compito che viene assegnato al giudice è quello di “proporzionare” la sanzione concreta...” a quella e non al proprio giudizio di disvalore sul fatto reato. tuttavia, quello tra determinazione legale e commisurazione giudiziale è un rapporto alla perenne ricerca di un soddisfacente equilibrio. Uno sguardo retrospettivo rivela che il monopolio legislativo ha avuto nel tempo differenti declinazioni, in stretta correlazione all’avvicendarsi delle concezioni in ordine ai rapporti tra istanze legaliste e di individualizzazione della pena. Infatti, sin dal suo sorgere nell’età dell’illuminismo giuridico, la questione della legalità delle pene è stata essenzialmente una questione di perimetrazione dell’insopprimibile intervento giudiziale. Fermo il monopolio legislativo -fondato sulla convinzione che la perdita del bene supremo dell’individuo è legittima solo se affonda le proprie radici nella volontà popolare, per come espressa dalle assemblee rappresentative si è trattato di individuarne le modalità di esercizio, consapevoli che i margini di valutazione che la legge lascia al giudice spostano gli equilibri tra certezza e flessibilità della pena e, pertanto, sanciscono la primazia o la subalternità della determinazione legale rispetto alla commisurazione giudiziale della pena. Questa tenzone si è manifestata soprattutto sul terreno del regime delle circostanze del reato. animato da un sentimento di sfiducia nei confronti del potere giudiziario, l’illuminismo giuridico propugnò che: le circostanze del reato valutabili dal giudice fossero solo quelle contenute in elenchi predeterminati dal legislatore e tassativi; esse operassero unicamente quali fattori di modulazione della pena entro le cornici edittali (quindi come le moderne circostanze cc.dd. improprie, di cui all’art. 133 c.p.), come previsto dal progetto di codice lombardo del 1791, che vide tra i suoi elaboratori anche Cesare Beccaria. Con il codice napoleonico del 1810 cominciò a profilarsi la categoria delle circostanze del reato cc.dd. proprie. In quel testo, circostanze attenuanti, espressive di una eccezionale tenuità del disvalore del fatto, permettevano di travolgere il minimo (ma non il massimo) edittale. tuttavia, secondo autorevole dottrina, questa codificazione era ancora ispirata ad un modello rigidamente legalista, nel quale il giudice era inteso quale meccanico applicatore del dettato legislativo e la pena aveva prevalentemente funzioni di prevenzione generale e di deterrenza. Sullo sfondo, si stagliava l’idea che “a reati uguali commessi da persone dotate di pari libertà deve corrispondere una medesima pena”. anche il codice zanardelli riconobbe le circostanze proprie, strutturandole come comuni, indefinite ed attenuanti, originariamente determinanti una variazione proporzionale di pena fissa (peraltro, in un sistema caratterizzato dal calcolo aritmetico delle circostanze). Il fatto che la diminuzione della pena edittale non potesse superare una entità fissata dal legislatore evidenzia la persistenza di una pena a prevalente determinazione legale, pur nel riconoscimento di un più esteso potere commisurativo del giudice. Si coglie in tale previsione, la rivendicazione da parte del legislatore di un potere di definizione in termini presuntivi ed astratti del “peso” dell’elemento circostanziale. rivendicazione che il codice rocco fece con maggior forza. Nel disegno generale di una tipizzazione e sistematizzazione delle circostanze, comuni e speciali, attenuanti e aggravanti, la previsione di un elevatissimo numero di circostanze speciali a variazione di pena autonoma o indipendente esprime la volontà legislativa di determinare in via generale ed astratta il disvalore insito nel sottotipo circostanziato; e la sottrazione delle stesse (e di quelle inerenti alla persona del colpevole) al giudizio di bilanciamento di cui all’art. 69 c.p., era la pietra d’angolo CoNteNzIoSo NazIoNaLe della fortificazione eretta a protezione della determinazione legale. ad una simile opzione politica faceva da perfetto pendant la mancata previsione delle circostanze attenuanti indefinite; in tal modo il legislatore del 1930 si assicurava che le cornici edittali non venissero travolte. Secondo l’unanime giudizio della dottrina siffatto sistema ha visto incrinata l’interna razionalità già con l’introduzione delle circostanze attenuanti generiche (D.Lgs. 19 settembre 1944, n. 288); incrinatura approfondita dal D.L. 11 aprile 1974, n. 99, conv. dalla L. 7 giugno 1974, n. 220, che ha esteso il giudizio di bilanciamento a tutte le circostanze, senza distinzioni di sorta. ad avviso degli studiosi, le novelle sopraggiunte con la L. 5 dicembre 2005, n. 251, (che, tra l’altro, ha escluso la possibilità di prevalenza delle attenuanti sulla recidiva reiterata di cui all’art. 99 c.p., e sulle aggravanti previste dagli artt. 111 e 112 c.p.), con il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, conv. dalla L. 24 luglio 2008, n. 125, ed il D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, conv., con modifiche dalla L. 15 luglio 2009, n. 94 (che hanno ampliato il novero delle circostanze privilegiate) hanno rappresentato una reazione tendente alla riduzione della discrezionalità giudiziale. La lezionè che si ricava dalle vicende rapidamente ripercorse è che il tema della pena è il tema della coesistenza di due domini, quello del legislatore e quello del giudice, tra loro interrelati e tuttavia non confondibili. L’uno è espressione del potere di determinare il disvalore del tipo (ed eventualmente del sottotipo) astratto; l’altro del potere di determinare il disvalore del fatto concreto. Nel commisurare la pena il giudice si confronta, quindi, con due vincoli legali: quelli del primo tipo tendono a preservare le fondamentali opzioni legislative in ordine al disvalore del fatto reato astrattamente inteso; gli altri indirizzano e regolano la discrezionalità giudiziale nell’apprezzamento del disvalore del fatto reato storicamente concretizzatosi ai fini della individualizzazione della pena. ogni violazione del primo travolge le prerogative del legislatore ed i valori per i quali esse sono riconosciute (nello Stato di diritto di stampo liberale, tali valori fanno capo all’individuo): la pena così determinata è illegale. La violazione delle regole che disciplinano l’uso del potere commisurativo -che resti rispettoso della determinazione legale -pone invece una questione di legittimità della pena. 9. Pertanto, è rintracciabile un criterio per distinguere la pena illegale dalla pena illegittima. Premesso che, come rammentato da Sez. U, n. 7578 del 17/12/2020, dep. 2021, acquista- pace, quella di pena illegale è categoria che la giurisprudenza utilizza con esclusivo riferimento ai casi in cui la sanzione applicata dal giudice sia di specie più grave di quella prevista dalla norma incriminatrice o superiore ai limiti edittali indicati dalla stessa - trovando soluzione il caso opposto nel divieto di reformatio in peius -l’illegalità della pena ricorre solo quando essa eccede i valori (espressi sia qualitativamente: genere e specie, che quantitativamente: minimo e massimo) assegnati dal legislatore al tipo astratto nel quale viene sussunto il fatto storico reato. Per quanto in concreto possa non essere agevole la individuazione delle cornici edittali pertinenti al caso, è solo la violazione di esse -che sono la manifestazione ed il frutto del potere legale di determinazione della pena -ad integrare la pena illegale. ogni altra violazione delle regole che occorre applicare per la definizione della pena da infliggere integra un errato esercizio del potere commisurativo e dà luogo ad una pena che è illegittima. La puntuale identificazione degli estremi edittali è operazione essenziale, perchè si possa giudicare della eventuale illegalità della pena inflitta e far così emergere il superamento di quel confine che il giudice non può valicare. Solo la pena che non sia prevista, nel genere, nella specie o nella quantità, dall’ordinamento, sovverte le valutazioni valoriali riservate al legislatore, e con ciò le ragioni di tale monopolio. Con essa il giudice viola “il limite assoluto, invalicabile, oltre il quale la pronunzia giurisdi raSSeGNa aVVoCatUra DeLLo Stato -N. 4/2022 zionale sconfina nell’arbitrio e nell’usurpazione del potere legislativo” (Sez. 1, n. 3048 del 15/10/1973, dep. 1974, zulini, rv. 126759). anche Sez. U, n. 6240 del 27/11/2014, dep. 2015, B., come si è già detto, ha sottolineato che l’illegalità della pena rivela la mutazione subita dalla discrezionalità giudiziale, che da espressione e strumento della migliore attuazione della legge diviene il suo opposto. Solo una pena illegale travolge anche il caposaldo della prevedibilità della sanzione, presupposto essenziale di una responsabilità penale che voglia farsi rispettosa del principio di colpevolezza. Non è superfluo rammentare che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha interpretato l’art. 7 della Convenzione come disposizione che non si limita a proibire l’applicazione retroattiva del diritto penale a detrimento dell’imputato, ma richiede altresì la prevedibilità non solo del precetto ma anche delle specifiche conseguenze del reato. Ha precisato, la Corte eDU, che la prevedibilità attiene alla probabilità concreta per il destinatario di calcolare le conseguenze del proprio agire, in rapporto alle circostanze del caso (Corte eDU, 22 gennaio 2013, Camilleri c. Malta; Corte eDU, Del rio Prada c. Spagna, citata; Corte eDU, GC, 12 febbraio 2008, Kafkaris c. Cipro). Come già rilevato tanto dalla giurisprudenza che dalla dottrina, la pena illegale contraddice le funzioni assegnate alla sanzione dalla Carta costituzionale. Si è già rappresentato che per la Corte costituzionale la funzione rieducativa della pena ha ricadute immediate in tema di legalità della pena. Sussiste la necessità costituzionale che la pena debba tendere alla rieducazione del condannato. Non può soddisfare tale esigenza una pena extra o contra legem, che cioè non trovi riscontro nelle statuizioni del legislatore. essa è di per sè inidonea a conseguire la finalità rieducativa, che il potere legislativo ha ritenuto perseguibile attraverso l’esercizio del potere discrezionale giudiziale contenuto entro i limiti definiti. Solo una pena illegale, infine, confligge con la previsione dell’art. 13 Cost., che, nel vietare ogni forma di detenzione e di altra restrizione della libertà personale che non trovi titolo in un atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge, ribadisce la necessità della base legale della statuizione giudiziale che incide sulla libertà personale. resta quindi confermata la fondatezza del principio tradizionalmente enunciato dal giudice di legittimità, secondo il quale gli errori nell’applicazione delle diverse discipline che entrano in gioco nella commisurazione della pena danno luogo ad una pena illegale solo se la risultante (ovvero la pena indicata in dispositivo) è per genere, specie o per valore minimo o massimo diversa da quella che il legislatore ha previsto per il tipo (o sottotipo) astratto al quale viene ricondotto il fatto storico reato. Fuori da tale caso, la pena è illegittima, ove commisurata sulla base della errata applicazione della legge o non giustificata secondo il modello argomentativo normativamente previsto. Sulla scorta delle precisazioni operate, le Sezioni Unite condividono l’affermazione di Sez. 2, n. 22136 del 19/02/2013, Nisi, rv. 255729, che esclude la riconducibilità alla categoria della pena illegale della sanzione che, pur osservando i limiti edittali, sia il frutto di errori; ed anche l’avviso di Sez. 5, n. 8639 del 20/01/2016, De Paola, rv. 266080, secondo la quale esula dalla nozione di pena illegale la sanzione che sia complessivamente legittima, ma determinata secondo un percorso argomentativo viziato. Merita adesione anche Sez. 2, n. 14307 del 14/03/2017, Musumeci, rv. 269748, che ha ritenuto non illegale la pena che sia risultante dell’applicazione di un distinto aumento per ciascuna delle ritenute circostanze ad effetto speciale e non tenga conto del criterio fissato dall’art. 63 c.p.p., comma 4, perchè l’errore riguarda le “modalità di calcolo della pena”, e non incide sui limiti edittali, comunque rispettati. Condivisibili sono anche Sez. 5, n. 23911 del 20/02/2019, Calogiuri, non mass., che ha ritenuto CoNteNzIoSo NazIoNaLe non dar luogo a pena illegale l’aver erroneamente calcolato prima l’aumento di pena per la continuazione tra i reati e poi quello per la recidiva, pur senza superare i relativi termini edittali, e Sez. 2, n. 46765 del 09/12/2021, Bruno, rv. 282322, relativa ad un caso di erronea applicazione della disciplina relativa a circostanza ad effetto speciale, che non aveva determinato il superamento dei termini edittali del reato di cui si trattava. 10. Di contro, risulta non condivisibile la diversa e maggiormente estesa accezione di pena illegale emersa nella giurisprudenza di legittimità più recente; un’accezione che in definitiva conduce a predicare l’illegalità non già della pena, bensì del trattamento sanzionatorio, ovvero del complessivo regime di attuazione della statuizione sulla pena. espressione di tale orientamento è Sez. 4, n. 5064 del 06/11/2018, dep. 2019, Bonomi, rv. 275118. Dovendo valutare se il ricorso del pubblico ministero avverso la sentenza di patteggiamento riguardasse uno dei motivi indicati dall’art. 448 c.p.p., comma 2 bis, la Quarta Sezione ha sostenuto che sono riconducibili al concetto di legalità della pena anche gli istituti che incidono sulla concreta ed effettiva applicazione delle sanzioni. Pertanto, ha ritenuto che l’omessa subordinazione della sospensione condizionale della pena, ai sensi dell’art. 165 c.p., comma 2, a uno degli obblighi previsti dal comma 1 della stessa norma può essere dedotta con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 448 c.p.p., comma 2 bis. anche Sez. 6, n. 17119 del 14/03/2019, P., rv. 275898 ha ritenuto che il concetto di pena illegale coinvolga tutto ciò che comunque incide sul trattamento punitivo. Nell’occasione la Sesta Sezione ha affermato che “l’illegalità della pena ricorre non solo quando la pena non è conforme a quella stabilita in astratto dalla norma penale (ad es. superiore al massimo o inferiore al minimo edittale; pena relativa ad un reato abrogato, per abolitio criminis o per effetto della dichiarazione di incostituzionalità della norma penale, anche se relativa al solo trattamento sanzionatorio), rientrando nel concetto di pena illegale anche tutto ciò che incide sul trattamento punitivo, e quindi anche le norme che ne sospendono l’esecuzione, quando si tratti di istituti la cui applicazione viene decisa contestualmente alla pronuncia della sentenza all’esito del giudizio, conformemente al principio che la pena è essenzialmente la sanzione che viene inflitta dal giudice con la sentenza di condanna, oltre alle pene accessorie che conseguono di diritto come effetto legale della condanna e che interessano la sentenza di patteggiamento nei soli casi del c.d. patteggiamento allargato quando la pena principale sia superiore a due anni di reclusione”. Una simile ricostruzione del concetto di pena illegale è fondatamente criticata da Sez. 3, n. 35485 del 23/04/2021, P., rv. 281945, per la quale un simile ampliamento “trasmoda rispetto ai termini di esso, andando a ricomprendere non solo la illegalità della sanzione in senso tecnico ma anche la illegittimità di taluno degli aspetti ad essa pena accessori, quali gli eventuali vizi dei termini della sua applicazione ovvero, (...) della sospensione della sua applicazione; una siffatta interpretazione, se appare conforme alla esegesi della espressione “trattamento sanzionatorio”, dovendo in esso ricomprendersi tutti gli aspetti legati alle modalità con le quali viene applicata la punizione derivante dalla trasgressione di una disposizione penale, non appare, invece, corrispondere al generalmente inteso concetto di pena illegale”. 11. Le considerazioni sin qui svolte permettono anche di dissipare i dubbi che possono insorgere da una lettura non sufficientemente prudente di talune affermazioni della giurisprudenza di legittimità, che potrebbero far intendere l’esistenza di un’autonoma ipotesi di illegalità della pena discendente dal carattere “macroscopico” dell’errore di calcolo. È la tesi adombrata anche dal ricorrente. Il tema prende origine da Sez. 4, n. 26117 del 16/05/2012, torna, rv. 253562, la quale di raSSeGNa aVVoCatUra DeLLo Stato -N. 4/2022 stingue una pena illegale nella specie e/o nella quantità “senza alcuna giustificazione rinvenibile nella sentenza (frutto, cioè, di mero ed esclusivo errore macroscopico)” e una pena non illegale perchè determinata all’esito di “un (per quanto discutibile o addirittura erroneo) apparato argomentativo”. L’evocazione di un palese, macroscopico errore per significare il carattere illegale della pena inflitta è riproposta anche in altre pronunzie. Qui basti citare le già menzionate Sez. 1, n. 20466 del 27/01/2015, Nardi, rv. 263506 e Sez. 1, n. 38712 del 23/01/2013, Villirillo, rv. 256879. anche Sez. 3, n. 38474 del 31/05/2019, Lasalvia, rv. 276760 si richiama a Sez. 4, n. 26117 del 16/05/2012, toma, laddove sostiene che l’applicazione della diminuente per il rito abbreviato in misura inferiore a quella prevista di un terzo determina la “sostanziale illegalità” della pena, in quanto conseguenza di “un palese errore materiale di calcolo”, come tale rilevabile anche dopo la formazione del giudicato con incidente di esecuzione. Su tale premessa afferma che “a maggior ragione deve ritenersi applicabile quando l’applicazione della diminuente per il rito sia stata del tutto omessa: anche in questo caso si verifica un palese errore materiale di calcolo, con effetti ancor più gravi per l’imputato”. Le stesse Sezioni Unite Butera, richiamando l’orientamento giurisprudenziale per il quale il giudice dell’esecuzione può rilevare la pena illegittima “solo quando la sanzione inflitta non sia prevista dall’ordinamento giuridico ovvero quando, per specie e quantità, risulti eccedente il limite legale, ma non quando risulti errato il calcolo attraverso il quale essa è stata determinata -salvo che sia frutto di errore macroscopico -trattandosi in questo caso di errore censurabile solo attraverso gli ordinari mezzi di impugnazione della sentenza”, menzionano quale distinta ipotesi di pena rettificabile in sede esecutiva quella “frutto di un errore macroscopico non giustificabile e non di una argomentata, pur discutibile, valutazione”. orbene, l’approfondimento dell’analisi conduce le Sezioni Unite ad escludere che l’illegalità della pena possa essere determinata dal carattere macroscopico dell’errore, sì da dover aggiungere una ulteriore ipotesi a quelle della diversità per specie o quantità rispetto ai termini edittali. In primo luogo occorre considerare che la sentenza torna, come la sentenza Villirillo e quella Nardi, sono intervenute in vicende che attenevano ai poteri del giudice dell’esecuzione cui, come è noto, è precluso di modificare le statuizioni del giudicato, anche se erronee, quando argomentate dal giudice della cognizione. In tale prospettiva si comprende la necessità di distinguere la pena illegale che sia stata indicata senza alcuna giustificazione da quella esito di un erroneo apparato argomentativo. tale è il senso anche della riproposizione delle formule giurisprudenziali da parte di Sezioni Unite Butera. Quel che si è definito, quindi, non è un diverso concetto di pena illegale, ma la condizione di esercizio del potere di intervento del giudice dell’esecuzione di fronte ad una pena illegale. In conclusione, la macroscopicità dell’errore non è fattore costitutivo della illegalità della pena. 12. Definito il concetto di pena illegale ab origine, tracciata la linea di demarcazione rispetto a quello di pena illegittima, dimostrata la irrilevanza di criteri euristici incentrati sulla evidenza dell’errore rinvenibile nella decisione, è giunto il tempo di rispondere al quesito se la diminuente prevista per il rito abbreviato reagisca o meno sulla legalità della pena. Sembra ormai acquisito che, per le scelte operate dal legislatore del 1988, aspetti sostanziali e aspetti procedurali possono intersecarsi con la commisurazione della pena. In questa sede è sufficiente considerare che l’aver assegnato il legislatore alla celebrazione del rito abbreviato la idoneità a concorrere alla quantificazione della pena da infliggere ha condotto la giurispru CoNteNzIoSo NazIoNaLe denza, innanzitutto quella costituzionale, a porre in evidenza gli effetti anche sostanziali del rito. Sin dalla sentenza n. 23 del 1992 la Corte costituzionale ha osservato che sottrarre al giudice del dibattimento l’allora previsto controllo sulla definibilità del processo allo stato degli atti significa limitare “in modo irragionevole il diritto di difesa dell’imputato, nell’ulteriore svolgimento del processo, su di un aspetto che ha conseguenze sul piano sostanziale”. Concordando con l’avviso espresso dalla Grande Camera della Corte eDU nella sentenza del 17 settembre 2009, Scoppola contro Italia, per la quale l’art. 442 c.p.p., comma 2, ancorchè contenuto in una legge processuale, costituisce “una disposizione di diritto penale materiale riguardante la severità della pena da infliggere in caso di condanna secondo il rito abbreviato”, la Corte costituzionale, nella pronuncia n. 210 del 2013, ha rilevato che la natura sostanziale della disposizione era stata già chiaramente affermata da Sez. U, n. 2977 del 06/03/1992, Piccillo, rv. 189398, e che ciò è preminente rispetto al tema della natura della diminuzione o della sostituzione della pena, perchè quel che rileva è che essa si risolve indiscutibilmente in un trattamento penale di favore. Si tratta di una ricostruzione mai posta in discussione ed anzi ribadita ancora con la sentenza n. 260 del 18 novembre 2020, nella quale la Corte costituzionale, nel dichiarare inammissibili, per difetto di rilevanza, le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal giudice del- l’udienza preliminare del tribunale della Spezia in riferimento all’art. 3 Cost., e art. 111 Cost., comma 2, dell’art. 438 c.p.p., comma 1 bis, che preclude l’applicabilità del giudizio abbreviato per i delitti puniti con l’ergastolo, ha precisato che “la disciplina censurata, pur incidendo su disposizioni concernenti il rito, ha un’immediata ricaduta sulla tipologia e sulla durata delle pene applicabili in caso di condanna, e non può pertanto che soggiacere ai principi di garanzia che vigono in materia di diritto penale sostanziale, tra cui segnatamente il divieto di applicare una pena più grave di quella prevista al momento del fatto, come affermato anche dalla giurisprudenza eDU”. anche la giurisprudenza di legittimità ha nel tempo consolidato l’avviso espresso dalla sentenza Piccillo (“... nella specie gli aspetti processuali sono strettamente collegati con aspetti sostanziali, perchè tali certamente sono quelli relativi alla diminuzione o sostituzione della pena...”). Basti rammentare quanto affermato da Sez. U, n. 18821 del 24/10/2013, dep. 2014, ercolano, rv. 258649, a riguardo dell’applicabilità della disciplina in materia di successione nel tempo di leggi penali sostanziali alla sopraggiunta modifica delle condizioni di accesso al rito abbreviato e alcune delle numerose consonanti pronunce delle Sezioni semplici: Sez. 2, n. 14068 del 27/02/2019, Selvaggio, rv. 275772; Sez. 4, n. 5034 del 15/01/2019, Lazzara, rv. 275218; Sez. 4, n. 832 del 15/12/2017, dep. 2018, Del Prete, rv. 271752. La ricognizione delle decisioni pertinenti evidenzia che, sinora, il rilievo del profilo sostanziale del rito abbreviato è stato esaltato essenzialmente nella prospettiva della applicazione della legge più favorevole al reo; e ciò non è senza significato, perchè pone in luce che occorre cautela nel ricavarne automatismi o implicazioni su un piano più generale. In altri termini, non sarebbe corretto affermare che, in quanto incidente sulla pena, la diminuzione per l’abbreviato afferisce al piano della determinazione legale. La previsione processuale non è ispirata alla necessità di ridefinire il valore del tipo. Per quanto dalla sua introduzione la disciplina del rito abbreviato abbia conosciuto ripetute modifiche, non sempre ispirate dall’intento di conservare il disegno originario, non sembra mutata la funzione assegnata alla caratteristica riduzione di pena. La relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale le assegna la “finalità pratica di creare un incentivo raSSeGNa aVVoCatUra DeLLo Stato -N. 4/2022 alla richiesta di giudizi abbreviati” che, al pari degli altri procedimenti speciali, sono stati previsti per ridurre la durata del processo. Una rinnovata conferma della funzione deflattiva della diminuzione di pena viene dalla L. 27 settembre 2021, n. 134, con la quale è stata conferita “Delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonchè in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari”. L’art. 1, comma 10, lett. b) n. 2), con riguardo al rito abbreviato, prescrive di “prevedere che la pena inflitta sia ulteriormente ridotta di un sesto nel caso di mancata proposizione di impugnazione da parte dell’imputato, stabilendo che la riduzione sia applicata dal giudice dell'esecuzione”. La ratio della previsione, quale esplicitata dalla relazione della Commissione ministeriale dai cui lavori essa ha tratto origine, è quella di “ridimensionare l’incidenza di appelli finalizzati a censurare unicamente l’entità della pena”; la riduzione si basa “su uno scambio ben noto nel nostro ordinamento tra rinuncia consapevole e volontaria a una garanzia (l’appello quale espressione del diritto di difesa) e uno sconto ragionevole di pena (quale premio per il risparmio di attività processuale)...”. Dal canto suo, la giurisprudenza individua la ragione giustificativa della diminuzione prevista per il rito abbreviato nell’intento di accordare un incentivo, o premio, per la scelta del procedimento speciale a prova contratta, o allo stato degli atti (Sez. 1, n. 43024 del 25/09/2003, Carvelli, rv. 226595; Sez. 6, n. 58089 del 16/11/2017, Wu, rv. 271954). ricostruzione che è stata ribadita da Sez. U, n. 35852 del 22/02/2018, Cesarano, rv. 273547, che ha rammentato come la Corte costituzionale abbia in più occasioni rimarcato la natura di diminuente processuale (n. 284 del 1990), funzionale ad assicurare la rapida definizione dei procedimenti (n. 277 del 1990). ancor più pregnante rispetto alla prospettiva che qui interessa è quanto affermato da Sez. U, n. 7707 del 21/05/1991, Volpe, rv. 187851, la quale ha escluso che la diminuente in parola possa essere assimilata alle circostanze del reato, facendone discendere la non incidenza sulla determinazione della pena rilevante per l’individuazione del tempo necessario alla prescrizione del reato. anche Sez. 2, n. 18558 del 20/02/2020, Larosa, rv. 279147, in tema di calcolo del termine di durata massima della custodia cautelare nel giudizio abbreviato, ha ritenuto che per tale calcolo non si può tener conto della riduzione di un terzo prevista dall’art. 442 c.p.p., non incidendo questa sulla misura edittale della pena. Parole nette sulla questione si leggono in Sez. U, n. 7578 del 17/12/2020, dep. 2021, acquistapace: “... la natura processuale della diminuente per il rito, in quanto non attiene alla valutazione del fatto-reato e alla personalità dell’imputato, non contribuisce a determinare in termini di disvalore la quantità e gravità criminosa, consistendo in un abbattimento fisso e predeterminato connotato da automatismo senza alcuna discrezionalità valutativa da parte del giudice”. rilievo che non ha precluso alle Sezioni Unite di ribadire che “le caratteristiche della diminuente si presentano collegate con effetti di sicuro rilievo dal punto di vista sostanziale”. Sicchè, sarebbe errato dedurre una implicita connotazione in termini di illegalità della pena dalla circostanza che nella medesima sentenza si è rimarcata la inderogabilità della riduzione per il rito; del resto ancorata, nel caso di specie, al più generale obbligo del giudice di appello di rispondere specificamente ai motivi proposti con l’impugnazione e sulle questioni con gli stessi devolute nonchè alla violazione del principio devolutivo (cfr. p. 8). La non incidenza della diminuente processuale sulla legalità della pena inflitta è presente anche nelle argomentazioni di Sez. U, n. 44711 del 27/10/2004, Wajib, rv. 229173, che hanno sancito il dovere di applicare la riduzione per il rito abbreviato da parte del giudice del dibattimento che, all’esito del giudizio, reputi illegittimo il rigetto dell’istanza di rito abbreviato condizionato avanzata dinanzi al giudice per le indagini preliminari o al giudice dell’udienza CoNteNzIoSo NazIoNaLe preliminare e tempestivamente rinnovata in dibattimento. In tale decisione viene più volte rimarcato che la legittimità del provvedimento reiettivo della richiesta di rito abbreviato (condizionato) è presupposto che condiziona “la legalità della pena inflitta con la condanna". Ma tale affermazione è fatta nel contesto di una argomentazione che non aveva la necessità di distinguere tra pena illegale e pena illegittima. tanto è vero che in essa si scrive che l’eventuale rinnovato rigetto del rito abbreviato condizionato da parte del giudice del dibattimento può essere appellato con specifico motivo di gravame che denunci “l'eventuale profilo di ‘illegalità’della pena inflitta”. In altri termini, non si è in presenza di una decisione che coglie (nè doveva cogliere) il discrimine tra pena illegale e pena illegittima; la sentenza individua correttamente un profilo di illegittimità del procedimento (il rigetto viziato) che rifluisce sulla legittimità della pena in concreto inflitta. Nè si traggono argomenti critici da Sez. U, n. 20214 del 27/03/2014, Frija, rv. 259078, che ha stabilito il diritto dell’imputato al recupero della riduzione premiale nel caso in cui il rigetto o la dichiarazione d’inammissibilità della richiesta di giudizio abbreviato non subordinata a integrazioni istruttorie siano illegittimi. Nell’occasione le Sezioni Unite si sono limitate a ritenere estensibile alla fattispecie esaminata il principio scandito dalla sentenza Wajib. Nel complesso, la quasi unanime giurisprudenza di legittimità non afferma che la riduzione premiale prevista dall’art. 442 c.p.p., comma 2, attiene alla determinazione legale della pena. Una diversa presa di posizione sul punto sembra potersi cogliere in Sez. 2, n. 54958 del 11/10/2017, D’onofrio, rv. 271526, laddove si sostiene che “le norme del codice di procedura penale che regolano i riti premiali nella parte in cui disciplinano le riduzioni di pena devono essere intese come norme regolatrici di “sanzioni”, traendo la conseguenza che “l'accesso ad un rito nei casi non consentiti con conseguente applicazione del premio sanzionatorio connesso configura una situazione in cui viene applicata una pena illegale” (nella specie, si trattava di patteggiamento “allargato”). Ma si tratta di affermazione che viene sostenuta con il richiamo ai principi espressi da Sez. U, ercolano (e dalla correlata giurisprudenza convenzionale), dai quali non può ricavarsi che la rilevanza del profilo sostanziale della riduzione processuale vada oltre l’ambito della successione di leggi penali nel tempo. Dunque, in ragione della estraneità della diminuente processuale all’ambito della determinazione legale della pena, la violazione dell’art. 442 c.p.p., comma 2, non importa la illegalità della pena. 13. Le argomentazioni esposte dalle pronunce che si sono espresse sulla specifica questione vanno esaminate alla luce delle premesse sin qui definite. Le sentenze che fanno leva sulla macroscopicità dell’errore (Sez. 3, n. 38474 del 31/05/2019, Lasalvia e Sez. 4, n. 26117 del 16/05/2012, torna) utilizzano un criterio che, per quanto già osservato, è eccentrico rispetto ai termini del problema e, pertanto, non idoneo ad identificare la pena illegale e a distinguerla dalla pena illegittima. Neppure è condivisibile Sez. 6, n. 32243 del 15/07/2014, tanzi, la quale non ricava dalla natura processuale della diminuente motivo per distinguere l’ipotesi della erronea applicazione dell’art. 442 c.p.p., comma 2, dai casi di illegalità della pena. Distinguo che si coglie, al contrario, in Sez. 4, n. 6510 del 27/01/2021, Di Maria e in Sez. 1, n. 22313 del 08/07/2020, Manto, rv. 279455 le quali, pur senza esplicitare le premesse interpretative adottate, formulano un enunciato che coglie esattamente il punto: in linea generale, la determinazione della pena operata non applicando o erroneamente applicando il criterio di riduzione previsto dall’art. 442 c.p.p., comma 2, integra una violazione della legge processuale, sicchè la pena risulta illegittima, ma non illegale. raSSeGNa aVVoCatUra DeLLo Stato -N. 4/2022 Merita condivisione, quindi, anche Sez. 1, n. 28252 del 11/06/2014, Imparolato, rv. 261091, che con riguardo ad un’ipotesi di omessa applicazione della riduzione prevista per il rito abbreviato, ha affermato che “... non di pena illegale può correttamente discettarsi, di pena cioè non prevista dall’ordinamento, ma di pena illegittima e cioè determinata in contrasto con i principi di legge per la sua quantificazione”. 14. Pervenuti alla conclusione che la pena determinata dal giudice in violazione dell’art. 442 c.p.p., comma 2, è illegittima e non illegale, risulta superfluo l’esame di quello che si è definito, in principio di trattazione, come il primo polo del contrasto segnalato dalla Quarta Sezione, ovvero la rilevabilità della illegalità della pena ad opera del giudice dell’impugnazione inammissibile. 15. Può quindi essere formulato il seguente principio: “Qualora la pena concretamente irrogata rientri nei limiti edittali, l’erronea applicazione da parte del giudice di merito della misura della diminuente, prevista per un reato contravvenzionale giudicato con rito abbreviato, integra un’ipotesi di violazione di legge che, ove non dedotta nell’appello, resta preclusa dalla inammissibilità del ricorso”. 16. Calando simili considerazioni nel caso che occupa, la pena risultante dal dispositivo non risulta illegale. Il reato di cui all’art. 186 C.d.S., comma 2, lett. b) e comma 2 sexies, è punito con l’arresto sino a sei mesi e la ammenda da 1.066 a 4.800 euro. La pena irrogata, di giorni quaranta di arresto ed euro duemila di ammenda, è ricompresa nel range e pertanto non è illegale. Pertanto, sussiste una violazione dell’art. 442 c.p.p., comma 2, che dà luogo ad una pena illegittima, come tale non rilevabile d’ufficio da questa Corte, stante la inammissibilità del ricorso per le ragioni esposte al paragrafo 2. 17. Il rinvenuto contrasto interpretativo e la complessità e la particolare rilevanza del tema posto con il ricorso danno evidenza all’assenza di “colpa” del ricorrente, al quale non può rimproverarsi di aver presentato un’impugnazione temeraria, ovvero connotata da avventatezza, superficialità, o finalità meramente dilatorie. Pertanto, alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali non deve seguire anche la condanna al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende (cfr. Sez. U, n. 43055 del 30/09/2010, Dalla Serra, rv. 24838001). P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in roma, il 31 marzo 2022. CoNteNzIoSo NazIoNaLe Prestazione professionale forense. L’inderogabilità dei minimi tariffari per la liquidazione dei compensi (art. 82 d.P.R. n. 115/2002, art. 13 l. n. 247/2012, artt. 4 e 12 D.M. n. 55/2014) annotazionE a CaSSazionE CiviLE, SEzionE ii, SEntEnza 27 LUGLio 2023 n. 22761 Con la sentenza Cass. civ., Sez. II, 27 luglio 2023, n. 22761 la Suprema Corte pare porre un punto fermo in merito ai c.d. minimi tariffari nell’ambito del filone contenzioso relativo alla liquidazione dei compensi ai patrocinatori a spese dello Stato. Viene espresso, infatti, il seguente principio di diritto: “ai fini della liquidazione in sede giudiziale del compenso spettante all’avvocato nel rapporto col proprio cliente, in caso di mancata determinazione consensuale, come ai fini della liquidazione delle spese processuali a carico della parte soccombente, ovvero in caso di liquidazione del compenso del difensore della parte ammessa al beneficio (del) patrocinio a spese dello Stato nella vigenza del- l’art. 4, comma 1, e 12, comma 1, del d.m. n. 55 del 2014, come modificati dal d.m. n. 37 del 2018, il giudice non può in nessun caso diminuire oltre il 50 per cento i valori medi di cui alle tabelle allegate”. La Corte giunge a tale conclusione pur a fronte della necessaria interpolazione nella materia de qua dell’art. 82 d.P.r. 112/2002. tale norma, secondo un orientamento sovente applicato da alcuni interpreti, dovrebbe, invero, avere propria autonoma disciplina, in quanto disposizione di plesso normativo indipendente nonché di rango superiore al d.m. n. 55/2014. L’art. 82 cit., infatti, si limita a richiamare le sole tabelle (letteralmente le “tariffe professionali” ormai abrogate) e non già anche le previsioni regolamentari contenute nel provvedimento al quale tali tabelle sono allegate. Va rilevato, invero, che nell’estesa motivazione della sentenza non risulta essere stata effettivamente presa espressa posizione rispetto alla detta speciale disciplina e al rapporto tra questa e il d.m. cit. La Corte muove dall’assunto dell’applicabilità e della rilevanza ai fini della decisione in commento delle sole norme di detto d.m., in tal guisa riunendo sotto lo stesso “tariffario” prestazioni professionali in regime di libero foro, prestazioni professionali del difensore d’ufficio e prestazioni del patrocinatore a spese dello Stato. a tale conclusione giunge sulla base del disposto dell’art. 13 della l. 247/2012 che, effettivamente, è norma di legge che così dispone al suo sesto comma: “i parametri indicati nel decreto emanato dal ministro della giustizia, su proposta del CnF, ogni due anni, ai sensi dell’articolo 1, comma 3, si applicano quando all’atto dell’incarico o successivamente il compenso non sia stato determinato in forma scritta, in ogni caso di mancata determinazione consensuale, in caso di liquidazione giudiziale dei raSSeGNa aVVoCatUra DeLLo Stato -N. 4/2022 compensi e nei casi in cui la prestazione professionale è resa nell’interesse di terzi o per prestazioni officiose previste dalla legge”. Il richiamo, quindi, in tale norma alle “prestazioni officiose” pare doversi intrepretare secondo la Corte di Cassazione nel senso della sua estensione a tutte le prestazioni dei difensori e, per l’effetto, in ambito sia privatistico, che pubblicistico. residua, tuttavia, ancora il dubbio in relazione alla disciplina applicabile ai patrocinatori a spese dello Stato, le cui prestazioni, a parere a chi scrive, non appaiono rientrare nell’alveo delle prestazioni officiose. Si rileva, infine, che in tempi nemmeno troppo risalenti la sezione VI-2 della stessa Corte (ord., 14 febbraio 2022, n. 4759) ha così statuito: “in tema di patrocinio a spese dello Stato, il difensore di ufficio dell’imputato irreperibile ha diritto ad un compenso che non deve essere superiore ai valori medi delle tariffe professionali vigenti, potendo quindi applicarsi il valore della tariffa in vigore e riducendolo del 50% corrispondente, cui aggiungere l’ulteriore decurtazione di cui all’art. 106-bis del d.P.r. n. 115 del 2002: siffatta modalità di liquidazione non costituisce violazione del minimo tariffario, da un lato in quanto si tratta di disposizione speciale, applicabile soltanto alle liquidazioni del compenso previsto per il difensore di ufficio dell’imputato irreperibile, e dall’altro lato in quanto, per detta specifica ipotesi, si ravvisano le medesime esigenze di contemperamento tra la tutela dell’interesse generale alla difesa del non abbiente ed il diritto dell’avvocato ad un compenso equo”. ad ogni buon conto, la pronunzia pone certamente un utile punto fermo, residuando, tuttavia, un dubbio interpretativo in ordine alla disciplina applicabile alle liquidazioni dei compensi inerenti alle prestazioni dei difensori rese nel regime di cui all’art. 82 d.P.r. n. 115/2002. Gabriele Finelli* Cassazione civile, Seconda Sezione, sentenza 27 luglio 2023 n. 22761 -Pres. P. D’ascola, rel. M. Criscuolo. raGIoNI IN Fatto eD IN DIrItto DeLLa DeCISIoNe Il tribunale di trento, decidendo sull’opposizione proposta dall’avv. e. D.r., ex art. 170 del DPr n. 115 del 2002, avverso il decreto di liquidazione dei compensi emesso in data 27 febbario 2019 in favore dell’opponente, ed in relazione ai compensi maturati per la difesa prestata in un procedimento penale svoltosi dinanzi allo stesso tribunale, in favore di o.M., rigettava l’opposizione, che verteva solo sulla congruità della liquidazione. Il tribunale reputava che il compenso era stato liquidato in conformità dei parametri di cui al (*) Procuratore dello Stato. CoNteNzIoSo NazIoNaLe DM n. 55/2014, che pone solo un limite massimo al riconoscimento dell’onorario, essendo la tabella utilizzata dal giudice nel provvedimento opposto conforme ai criteri citati ed alla previsione di cui all’art. 106 bis del DPr n. 115/2002. In particolare, doveva evidenziarsi che il procedimento si era concentrato in una sola udienza nella quale il difensore aveva chiesto il proscioglimento del proprio assistito e che la vicenda non si presentava come complessa. Per la cassazione di tale ordinanza propone ricorso D.r. e. sulla base di due motivi. Gli intimati non hanno svolto difese in questa fase. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 82 del DPr n. 115/2002, nonché dell’art. 12 co. 1 del DM n. 55/2014, come modificato dal DM n. 37/2018 e dall’art. 2 co. 2 della legge n. 248/2006. Si deduce che nella richiesta la ricorrente aveva già calcolato i compensi sulla base dei valori minimi previsti dal DM n. 55/2014 per l’attività giudiziale in sede penale, ed in relazione alla difesa svoltasi dinanzi al GUP, essendosi poi provveduto alla riduzione di un terzo ai sensi dell’art. 106 bis del DPr n. 115/2002, in relazione ai compensi spettanti al difensore della parte ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello Stato. L’ammontare così determinato era pari quindi ad € 1.290,00 (essendosi decurtato di un terzo il valore minimo pari ad € 1.935,00). Il tribunale ha invece ritenuto che anche tale importo minimo, all’esito della decurtazione, fosse ancora suscettibile di riduzione, essendosi fatto riferimento alla possibilità di un’ulteriore riduzione del 20%. La soluzione però non terrebbe conto del fatto che alla vicenda trova applicazione l’art. 12 co. 1 del DM n. 55/2014, come modificato dal DM n. 37/2018 che non consente la riduzione dei valori medi dei parametri in misura eccedente il 50%. La soluzione impugnata, che ha liquidato i compensi in misura pari ad € 912,00, ha quindi violato il principio dell’inderogabilità dei minimi tariffari. Il secondo motivo denuncia la violazione delle medesime norme di cui al primo motivo nonché dell’art. 106 bis del DPr n. 115/2002, assumendo che la decurtazione di un terzo posta da tale ultima previsione non può che operare sui compensi già ridotti in misura non eccedente il 50%, come previsto dall’art. 12 co. 1 del DM n. 55/2014 nella versione applicabile alla fattispecie. I motivi, che per la loro connessione possono essere congiuntamente esaminati, sono fondati. rileva ai fini della decisione che effettivamente alla fattispecie, attesa la liquidazione avvenuta in epoca successiva all’entrata in vigore del DM n. 37/2018, trova applicazione il disposto di cui all’art. 12 co. 1 del DM n. 55/2014, quale risultante dalle modifiche apportate dal DM del 2018 che così recita: 1. ai fini della liquidazione del compenso spettante per l’attività penale si tiene conto delle caratteristiche, dell’urgenza e del pregio dell’attività prestata, dell’importanza, della natura, della complessità del procedimento, della gravità e del numero delle imputazioni, del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate, dei contrasti giurisprudenziali, dell’autorità giudiziaria dinanzi cui si svolge la prestazione, della rilevanza patrimoniale, del numero dei documenti e degli atti da esaminare, della continuità dell’impegno anche in relazione alla frequenza di trasferimenti fuori dal luogo ove svolge la professione in modo prevalente, nonché dell’esito ottenuto avuto anche riguardo alle conseguenze civili e alle condizioni finanziarie del cliente. Si tiene altresì conto del numero di udienze, pubbliche o camerali, diverse da quelle di mero rinvio, e del tempo necessario all’espletamento delle attività medesime. Il giudice tiene conto dei valori medi di cui alle tabelle raSSeGNa aVVoCatUra DeLLo Stato -N. 4/2022 allegate, che, in applicazione dei parametri generali, possono essere aumentati di regola fino all’80 per cento, ovvero possono essere diminuiti in ogni caso non oltre il 50 per cento. Il motivo pone quindi all’attenzione della Corte la questione circa la possibilità per il giudice, nel caso di assenza di accordo tra le parti circa la determinazione del compenso, ovvero in caso di liquidazione delle spese di lite a carico del soccombente, ovvero in caso di liquidazione del difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, di poter derogare, sia pure in maniera motivata, ai minimi dettati dai parametri dettati in base alla previsione di cui all’art. 13 della legge n. 247/2012, per effetto della novella del DM n. 55 del 2014, operata dal DM n. 37 del 2018, e confermata dalle previsioni di cui al DM n. 147 del 2022. occorre a tal fine ricordare che il codice del 1942 affida la determinazione del compenso dei professionisti intellettuali ai criteri individuati dall’art. 2233 c.c., ordinati secondo una specifica gerarchia entro la quale figurano anche le tariffe. La peculiarità di queste ultime, nell’ambito della professione forense, in passato, emergeva dall’art. 24, l. 13 giugno 1942, n. 794, il quale, a pena di nullità, imponeva l’inderogabilità degli onorari minimi, divieto che, fra l’altro, veniva interpretato in maniera rigorosa dalla giurisprudenza, che riteneva che in tal modo fosse assicurato il rispetto del criterio di adeguatezza al decoro della professione posto dall’art. 2233, comma 2, c.c., per garantire una libera concorrenza sul mercato e per proteggere i clienti dall’imposizione di compensi eccessivamente elevati. La c.d. riforma Bersani (d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito in l. n. 248/2006), ha comportato l’abrogazione di tutte le disposizioni legislative e regolamentari che prevedevano, con riferimento alle prestazioni professionali, «l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime», sul presupposto che tale scelta fosse imposta dalla normativa di rango comunitario, che non tollerava più un’imposizione vincolante delle tariffe professionali, essendo incompatibile con i principi comunitari di libera concorrenza e libera circolazione delle persone e dei servizi (e ciò sebbene, come si dirà oltre, tale incompatibilità della precedente disciplina con gli obblighi derivanti non avesse avuto seguito nella giurisprudenza della Corte di Giustizia). L’art. 9, d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito in l. 24 marzo 2012, n. 27, ha provveduto al- l’abrogazione delle tariffe (comma 1), sostituendole con i parametri (comma 2), ed a tale intervento normativo fece seguito l’emanazione della l. 31 dicembre 2012, n. 247, recante la nuova disciplina dell’ordinamento forense e dunque concernente, a differenza del d.l. n. 1/2012, soltanto gli avvocati e non anche le altre figure di professionisti, ma l’art. 13, commi 6 e 7, di tale legge riprende i parametri già introdotti per tutte le professioni intellettuali dal d.l. n. 1/2012. Nelle more dell’emanazione della legge n. 247/2012, stante l’avvenuta abrogazione delle tariffe, era stato però emanato il DM n. 140/2012, volto a fissare i nuovi criteri di determinazione dei compensi dei professionisti forensi. Per quanto rileva ai fini della questione in esame il decreto n. 140 contiene l’esplicita affermazione del carattere sussidiario della liquidazione giudiziale del compenso rispetto all’accordo delle parti e della possibilità di ricorrere all’analogia per risolvere i casi non espressamente menzionati nel regolamento (entrambi esplicitati nell’art. 1, comma 1), nonché l’affermazione della non vincolatività delle soglie indicate per la determinazione del compenso, nelle tabelle allegate al regolamento, anche a mezzo di percentuale sia nei minimi che nei massimi. L’art. 13 della legge n. 247/2012, per ciò che attiene alla determinazione dei compensi, al comma 6, dispone che: “I parametri indicati nel decreto emanato dal Ministro della giustizia, su proposta del CNF, ogni due anni, ai sensi dell’articolo 1, comma 3, si applicano quando all’atto dell’in CoNteNzIoSo NazIoNaLe carico o successivamente il compenso non sia stato determinato in forma scritta, in ogni caso di mancata determinazione consensuale, in caso di liquidazione giudiziale dei compensi e nei casi in cui la prestazione professionale è resa nell’interesse di terzi o per prestazioni officiose previste dalla legge”, ed al successivo comma 7 precisa che: “I parametri sono formulati in modo da favorire la trasparenza nella determinazione dei compensi dovuti per le prestazioni professionali e l’unitarietà e la semplicità nella determinazione dei compensi”. In attuazione di tale norma è stato poi emesso il DM 10 marzo 2014, n. 55, che sostituito integralmente, per gli esercenti la professione forense, sia la parte generale che quella che era loro specificamente dedicata (artt. 2 - 14) del DM 20 luglio 2012 n. 140. La novella, pur avendo lasciato immutato il criterio di liquidazione, per le quattro fasi processuali distinte già individuate, secondo una ripartizione valida per tutti gli organi giurisdizionali davanti ai quali venga svolta l’attività, e onnicomprensive, ha però nella sostanza confermato la possibilità di deroga ai valori minimi e massimi, quali scaturenti dalle percentuali di aumento e diminuzione massimi che il giudice può apportare ai valori medi, essendo stato valorizzato l’utilizzo dell’inciso “di regola” per indicare l’entità dell’aumento o della diminuzione, in quanto volto a sottendere come tali indicazioni non sono vincolanti per il giudice che può quindi anche discostarsi da esse nella misura che ritenga adeguata al caso specifico, purché ne dia conto in motivazione. a conforto di tale conclusione si pone anche la relazione illustrativa al DM n. 55/2014 che chiarisce tale aspetto laddove, nella parte dedicata ad illustrare la proposta del CNF, (par. b), affermando che il predetto inciso, così come l’avverbio “orientativamente”, erano stati introdotti al fine di sottolineare la non vincolatività dei parametri, in linea di continuità con quanto disposto dall’art. 1, comma 7, del DM n. 140/2012. La successiva giurisprudenza di legittimità ha avallato tale lettura della norma, essendo pervenuta reiteratamente ad affermare che, nella vigenza delle previsioni di cui al DM n. 55/2014, l’esercizio del potere discrezionale del giudice, contenuto tra il minimo e il massimo dei parametri previsti, non è soggetto al controllo di legittimità, attenendo pur sempre a parametri indicati tabellarmente, mentre la motivazione è doverosa allorquando il giudice decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere, essendo in tal caso necessario che siano controllabili le ragioni che giustificano lo scostamento e la misura di esso (Cass. n. 14198 del 05/05/2022; Cass. n. 19989 del 13/07/2021; Cass. n. 89 del 07/01/2021; Cass. n. 2386 del 31/01/2017; Cass. n. 11601 del 14/05/2018). resta però in ogni caso precluso al giudice di poter liquidare, al netto degli esborsi, somme praticamente simboliche, non consone al decoro della professione» (cfr. ex plurimis Cass. civ., 31 gennaio 2017, n. 2386; Cass. civ., 31 luglio 2018, n. 20183; contra, Cass. civ., 17 gennaio 2018, n. 1018 e Cass. civ., 5 novembre 2018, n. 28267). Il quadro normativo ha poi subito un’ulteriore variazione a seguito dell’emanazione del DM n. 37/2018, entrato in vigore il 27 aprile 2018, che ha modificato solo alcune delle previsioni del DM n. 55/2014. ai fini che rilevano la modifica ha integrato i parametri per la determinazione dei compensi, sia per l’attività giudiziale che per quella stragiudiziale (rispettivamente artt. 4 e 19) precisando che la riduzione, rispetto al valore medio di liquidazione non può essere superiore alla misura del 50 % (per la sola fase istruttoria fino al 70 %) mentre l’aumento può essere anche superiore alla percentuale fissata di regola nell’80 %, eliminando per il potere di riduzione l’espressione “di regola” che aveva appunto giustificato l’interpretazione volta a consentire, sia pure con motivazione, la liquidazione anche al di sotto dei minimi tariffari. raSSeGNa aVVoCatUra DeLLo Stato -N. 4/2022 La significatività della modifica del testo delle norme richiamate si ricava anche dalle argomentazioni spese dal Consiglio di Stato nel parere reso sullo schema del decreto del 2018 (parere numero 02703/2017 del 27/12/2017), nel quale si sottolinea come tra gli obiettivi del Ministero vi fosse anche quello di “superare l’incertezza applicativa ingenerata dalla possibilità, nell’attuale sistema parametrale, che il giudice provveda alla liquidazione del compenso dell’avvocato senza avere come riferimento alcuna soglia numerica minima, rendendo inadeguata la remunerazione della prestazione professionale”, limitando quindi “…. il perimetro di discrezionalità riconosciuto al giudice, individuando delle soglie minime percentuali di riduzione del compenso rispetto al valore parametrico di base al di sotto delle quali non è possibile andare”. Nel parere, inoltre, si rimarcava come la modifica proposta non si palesasse in contrasto neanche con la normativa europea in materia anche alla luce delle argomentazioni contenute nella sentenza n. 427 del 23 novembre 2017 della Corte di Giustizia dell’Unione europea. Nella specie, si segnalava che, rispetto alla vicenda vagliata dal giudice eurounitario, il provvedimento che fissa i parametri, oltre che essere adottato non da un’organizzazione di rappresentanza della categoria forense ma dal Ministro della giustizia, rispondeva anche all’esigenza di perseguire precisi criteri d’interesse pubblico stabiliti dalla legge quali la trasparenza e l’unitarietà nella determinazione dei compensi professionali. La necessità di interpretare le novellate previsioni per effetto del DM n. 37 del 2018 come intese a ribadire l’inderogabilità da parte del giudice, chiamato a liquidare i compensi a carico del soccombente ovvero in assenza di preventivo accordo tra le parti, dei minimi fissati dal DM n. 55/2014, rinviene poi un argomento di carattere sistematico nella pressoché coeva introduzione della disciplina in tema di equo compenso per le attività professionali svolte in favore di imprese bancarie e assicurative, nonché di imprese non rientranti nelle categorie delle microimprese o delle piccole o medie imprese, previsto dall’art. 13-bis, comma 1, della legge forense, come inserito dall’art. 19-quaterdecies, comma 1, d.l. 16 ottobre 2017, n. 148, recante “Disposizioni urgenti in materia finanziaria e per esigenze indifferibili”, convertito con modificazioni dalla legge 4 dicembre 2017, n. 172. In particolare, il secondo comma dispone che “si considera equo il compenso determinato nelle convenzioni di cui al comma 1 quando risulta proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione legale, e conforme ai parametri previsti dal regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia adottato ai sensi dell’articolo 13, comma 6”, aggiungendo al comma 4 che “si considerano vessatorie le clausole contenute nelle convenzioni di cui al comma 1 che determinano, anche in ragione della non equità del compenso pattuito, un significativo squilibrio contrattuale a carico dell’avvocato”. Infine, il comma 10 dispone che “Il giudice, accertate la non equità del compenso e la vessatorietà di una clausola a norma dei commi 4, 5 e 6 del presente articolo, dichiara la nullità della clausola e determina il compenso dell’avvocato tenendo conto dei parametri previsti dal regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia adottato ai sensi dell’articolo 13, comma 6”. emerge quindi la evidente volontà del legislatore di assimilare i parametri minimi fissati dal- l’apposito decreto alla misura dell’equo compenso, trattandosi di esigenza che trova un suo fondamento costituzionale nell’art. 35, e che si giustifica al fine di impedire la conclusione di accordi volti a mortificare la professionalità dell’esercente la professione forense, con la fissazione di compensi meramente simbolici e non consoni al decoro della professione. La misura risulta poi approntata in vista non solo della tutela delle esigenze del professionista, CoNteNzIoSo NazIoNaLe ma anche, di riflesso, delle esigenze dell’utente delle prestazioni stesse, in quanto solo la previsione di un compenso non irrisorio o mortificante risulta in grado di assicurare il mantenimento di standard di professionalità e diligenza essenziali in vista della tutela anche del diritto di difesa, ove, come nella maggioranza dei casi, il ricorso alle prestazioni del professionista sia funzionale alla difesa in giudizio. Non viene quindi in rilievo solo l’interesse (privato) del professionista a percepire un compenso equo, ma anche un interesse generale (pubblico) di tutela dell’indipendenza e dell’autonomia del professionista, atto a garantire la qualità e il livello della prestazione offerta nonché la buona e corretta amministrazione della giustizia, a loro volta indispensabili per assicurare il pieno esplicarsi del diritto di difesa, tanto più meritevole di tutela in quanto sancito a livello costituzionale (art. 24 Cost.). L’assimilazione tra i minimi tariffari e l’equo compenso, perlomeno nei casi rientranti nella previsione di cui al citato art. 13 bis, trova poi supporto nel rilievo per cui la versione originaria dell’art. 13-bis, comma 2, imponesse, fra gli altri criteri, affinché il compenso risultasse equo, di «tenere conto» dei parametri previsti dal decreto ministeriale, così che è stato sottolineato come l’attuale formulazione, risultante dalla modifica apportata dalla l. n. 205/2017, secondo cui il compenso deve essere «conforme» ai parametri, corrisponde ad un ampliamento della tutela degli avvocati, in quanto determina una più stringente corrispondenza fra le convenzioni contrattuali ed i parametri legali. La conclusione per l’inderogabilità dei minimi tariffari in sede di liquidazione giudiziale, ed in assenza di diversa convenzione non appare in alcun modo attinta dalle modifiche apportate al DM n. 55 del 2014 del recente DM n. 147/2022, che, come si evince anche dal parere reso dal Consiglio di Stato sul relativo schema (affare n. 00183/2022, reso all’esito dell’adunanza del 17 febbraio 2022), ha previsto la soppressione, in tutti i commi in cui ricorrono, delle parole “di regola”, e ciò nel dichiarato intento (cfr. relazione illustrativa del Ministero della Giustizia) di ridurre il margine di discrezionalità dell’autorità giudiziaria nella liquidazione dei compensi, rendere più omogena l’applicazione dei parametri e garantire maggiore coesione interna alla categoria degli esercenti la professione forense. Deve poi recisamente negarsi ogni dubbio circa la compatibilità della soluzione in punto di inderogabilità dei minimi tariffari con la normativa comunitaria. Giova in tal senso ricordare come l’analogo dubbio postosi in relazione alla disciplina previgente la riforma del 2006 è stato ritenuto insussistente dalla giurisprudenza della CGUe, che con la sentenza del 19 febbraio 2002 C-35/99 (c.d. caso arduino), adito dal pretore di Pinerolo in merito alla paventata violazione dell’art. 85 trattato Ce da parte della normativa italiana in materia di tariffe forensi, in quanto adottate da un ente qualificabile come associazione di imprese (il Consiglio nazionale forense), ha escluso la ricorrenza di intese restrittive della libertà di concorrenza. La risposta dei giudici di Lussemburgo è però stata nel senso della piena compatibilità dei sistemi tariffari con il diritto comunitario della concorrenza, e ciò in quanto gli artt. 5 e 85 del trattato Ce (divenuti artt. 10 Ce e 81 Ce) non ostano all’adozione da parte di uno Stato membro di una misura legislativa o regolamentare che approvi, sulla base di un progetto stabilito da un ordine professionale forense, una tariffa che fissa dei minimi e dei massimi per gli onorari dei membri dell’ordine, qualora tale misura statale sia adottata. Pur essendosi posto in rilevo che l’adozione di tariffe a livello nazionale può incidere sulla concorrenza e che, sebbene l’allora art. 85 del trattato Ce (ora art. 101 tFUe) riguardasse solo la condotta delle imprese e non le disposizioni legislative o regolamentari, ciò non to raSSeGNa aVVoCatUra DeLLo Stato -N. 4/2022 glieva che tale disposizione, in combinato disposto con l’art. 5 del trattato (ora art. 5 tUe), obbligasse gli Stati membri a non adottare o mantenere in vigore provvedimenti, anche di natura legislativa o regolamentare, idonei ad eliminare l’effetto utile delle regole di concorrenza applicabili alle imprese, tuttavia la Corte ha specificato che l’elaborazione di un progetto di tariffa per le prestazioni professionali non priva automaticamente la tariffa del suo carattere di normativa statale se, come nel caso italiano, lo Stato membro non rinunci ad esercitare il suo potere di decisione in ultima istanza o a controllare l’applicazione della tariffa stessa (punto 40), posto che al CNF era riservato soltanto il ruolo di proporre un progetto di tariffe, le quali venivano poi emanate dal ministero della Giustizia, sentito il parere del CIP e previa consultazione obbligatoria del Consiglio di Stato (secondo quindi un procedimento di formazione del tutto analogo a quello attuale). Sebbene nella sentenza si qualifichi il CNF come associazione di imprese, la Corte ha poi evidenziato che, in forza della lettura combinata dell’art. 101 tFUe con il principio di leale cooperazione di cui all’art. 4, par. 3, tFUe, gli Stati membri devono astenersi dall’imporre o dall’agevolare la conclusione di accordi in contrasto con l’art. 101, astenersi dal rafforzare gli effetti di siffatti accordi, ed astenersi dal privare la normativa nazionale rilevante del suo carattere pubblico, delegando ad operatori privati la responsabilità di adottare decisioni d’intervento in materia economica. Nella vicenda è stato però ritenuto che lo Stato italiano non avesse rinunciato ad esercitare un controllo decisionale sull’approvazione ed applicazione della tariffa, il che escludeva che vi fosse una violazione del diritto Ue rilevante. L’arresto del giudice di Lussemburgo è stato poi favorevolmente recepito dalla giurisprudenza nazionale, in quanto a far data da Cass. n. 7094 del 28 marzo 2006 è stato ribadito che, in tema di tariffe professionali degli avvocati, è valida la disposizione statale che fissa il principio della normale inderogabilità dei minimi degli onorari (conf. Cass. n. 15666/2007; Cass. n. 27090 del 15/12/2011; Cass. n. 15666 del 13/07/2007, che ha esteso la soluzione anche alla inderogabilità dei minimi delle tariffe professionali dei dottori commercialisti; Cass. n. 15963/2011, quanto alle tariffe notarili). La soluzione del 2002 ha poi ricevuto continuità con la sentenza della Corte di Giustizia del 5 dicembre 2006 (cd. caso Cipolla e altri) nelle cause riunite C-94/04 e C-202/04, che ha escluso anche la sussistenza di un profilo di incompatibilità dell’ordinamento della professione, avvalendosi delle medesime argomentazioni formulate nel suo precedente. Il tema della compatibilità delle tariffe professionali legali connotate da inderogabilità con i principi della legislazione comunitaria è stato successivamente oggetto della sentenza della Corte di Giustizia del 29 marzo 2011 nella causa C-565/08, avente ad oggetto il ricorso per inadempimento, che ha però escluso che vi fosse la prova che la previsione di tariffe massime per gli avvocati, anche dopo la legge Bersani, violasse gli artt. 43 e 49 del trattato. Un altro intervento del giudice di Lussemburgo è stato quello dell’8 dicembre 2016 nelle cause riunite C-532/15 e C-538/15, nel quale, pronunciando su rinvio pregiudiziale della Corte distrettuale di Saragoza, ha stabilito la conformità al diritto Ue della determinazione di tariffe fissate per legge per i servizi prestati da procuratori legali senza possibilità di negoziazione tra le parti, stabilendo infine che le tariffe fisse non vanno ad inficiare la libera concorrenza. In particolare, il giudice remittente aveva posto i seguenti quesiti: «1) Se l’esistenza di una normativa dettata dallo Stato, che prevede il controllo di quest’ultimo nella fissazione dei diritti dei procuratori legali, precisandone per via regolamentare l’importo esatto e obbligatorio e attribuendo agli organi giurisdizionali, specialmente in caso di condanna CoNteNzIoSo NazIoNaLe alle spese, la competenza a controllare in ogni singolo caso la fissazione di tali diritti, benché siffatto controllo sia limitato a verificare la rigorosa applicazione della tariffa, senza che sia possibile, in casi eccezionali e con decisione motivata, derogare ai limiti stabiliti dalla normativa tariffaria, sia conforme agli articoli 4, paragrafo 3, tUe e 101 tFUe. 2) Se la delimitazione delle nozioni di “motivi imperativi d’interesse generale”, “proporzionalità” e “necessità” di cui agli articoli 4 e 15 della direttiva 2006/123, operata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, consenta ai giudici nazionali -nei casi in cui la fissazione della tariffa dei servizi sia prevista da una normativa dello Stato e in cui sussista una dichiarazione tacita (per assenza di disposizioni nella normativa di trasposizione) sull’esistenza di motivi imperativi di interesse generale, benché un confronto con la giurisprudenza comunitaria non consenta di affermarlo -di ritenere che in un caso particolare sussista una limitazione non giustificata dall’interesse generale e, pertanto, di disapplicare o adeguare la normativa che disciplina i compensi dei procuratori legali. 3) Se l’applicazione di una normativa avente tali caratteristiche possa contrastare con il diritto a un equo processo come interpretato dalla Corte di giustizia». anche in tale caso la risposta data al primo quesito (essendosi la Corte ritenuta incompetente sugli altri due) è stata però nel senso della compatibilità della normativa nazionale con il diritto dell’Unione, e ciò proprio facendo leva sull’intervento dello Stato nell’adozione della tariffa, come appunto ribadito nei propri precedenti. Un altro rilevante tassello del mosaico giurisprudenziale si rinviene nella sentenza della Corte giustizia Ue sez. I, 23 novembre 2017, n. 427, che ha affermato che l’articolo 101, paragrafo 1, tFUe, in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 3, tUe, dev’essere interpretato nel senso che una normativa nazionale che, da un lato, non consenta all’avvocato e al proprio cliente di pattuire un onorario d’importo inferiore al minimo stabilito da un regolamento adottato da un’organizzazione di categoria dell’ordine forense, a pena di procedimento disciplinare a carico dell’avvocato medesimo, e, dall’altro, non autorizzi il giudice a disporre la rifusione degli onorari d’importo inferiore a quello minimo, è idonea a restringere il gioco della concorrenza nel mercato interno ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, tFUe, ma che spetta comunque al giudice del rinvio verificare se tale normativa, alla luce delle sue concrete modalità applicative, risponda effettivamente ad obiettivi legittimi e se le restrizioni così stabilite siano limitate a quanto necessario per garantire l’attuazione di tali legittimi obiettivi. Inoltre, è stato altresì affermato che è contrario alle regole Ue in materia di libera concorrenza un sistema nazionale che attribuisce a un’organizzazione di categoria di professionisti, senza alcun intervento dell’autorità pubblica, il potere di stabilire le tariffe minime inderogabili, ma che spetta ai giudici nazionali verificare se un simile sistema possa essere giustificato dal perseguimento di un obiettivo legittimo. La rimessione alla Corte di Giustizia era stata occasionata dalla normativa bulgara, nella quale le tariffe, senza un intervento ovvero un controllo dell’autorità statale (se non quello di conformità dei regolamenti adottati dal Consiglio degli avvocati con la Costituzione e la legge bulgare), erano direttamente fissate da parte del Consiglio superiore dell’ordine forense, con la previsione degli importi minimi delle parcelle degli avvocati. La sentenza dopo aver precisato che il Consiglio superiore dell’ordine forense doveva essere qualificato come associazione di imprese, e dopo aver ribadito la necessità di dover attivare il controllo sul rispetto del divieto di cui all’art. 101, par. 1, tFUe, pur reputando che la determinazione degli importi minimi degli onorari d’avvocato, resi obbligatori da una normativa nazionale, come quella oggetto di esame, equivaleva alla determinazione orizzontale di tariffe minime imposte, ri raSSeGNa aVVoCatUra DeLLo Stato -N. 4/2022 sultando pertanto, idonea a produrre una compressione della concorrenza nel mercato interno, ha però rimesso al giudice nazionale la verifica della effettiva compatibilità della disciplina interna con il diritto dell’Ue. a tal fine è stato evidenziato come l’idoneità potenziale non è sufficiente per supporre una violazione conclamata del diritto della concorrenza, occorrendo tenere conto anche del principio di ragionevolezza, tenuto conto del contesto globale nel quale la decisione della associazione di imprese è stata adottata o è chiamata a produrre i suoi effetti, oltre che gli obiettivi che essa persegue. Inoltre, è stato sottolineato come, tra le verifiche demandate al giudice del rinvio, vi fosse anche quella, in ossequio al principio di proporzionalità, circa il fatto che gli effetti prodotti sul gioco della concorrenza non eccedano quanto necessario per il perseguimento degli obiettivi meritori di tutela. traendo spunto dalle considerazioni da ultimo richiamate, deve perciò escludersi che la normativa italiana, quale derivante dalle modifiche apportate dal DM n. 37/2018 al Dm n. 55/2014, sia suscettibile di porsi in contrasto con la normativa unionale. In primo luogo, in quanto le tariffe, seppure approntate da parte del CNF, sono poi sottoposte al vaglio ed al controllo dell’autorità statale, essendo la loro approvazione oggetto di una trasposizione in decreti ministeriali, e con la formulazione di un preventivo parere da parte del Consiglio di Stato. In secondo luogo, in quanto resta impregiudicata la possibilità per le parti di poter porre in essere degli accordi anche in deroga alle previsioni tariffarie, essendo l’inderogabilità dettata per il caso di assenza di pattuizioni ovvero di liquidazione giudiziale in danno della parte soccombente. In terzo luogo, perché, come sopra evidenziato, avuto riguardo alla assimilazione sul piano quantitativo dei minimi dettati per i parametri forensi con la disciplina dettata per l’equo compenso, la previsione in punto di inderogabilità trascende il mero interesse privato della categoria professionale, ma assolve alla tutela di interesse di carattere pubblico. Infatti, la previsione di una soglia minima per i compensi al di sotto della quale non è dato scendere assicura una garanzia di tipo economico che si traduce nella tutela dell’indipendenza e dell’autonomia del professionista, e che, oltre ad assicurare la qualità ed il livello della prestazione offerta, si riflette anche nella adeguata assicurazione del diritto di difesa, impedendo che possano essere superati gli standard minimi di diligenza e cura degli interessi del cliente, che viceversa tariffe eccessivamente mortificanti potrebbero compromettere (in tale direzione si veda anche CGUe 4 luglio 2019 causa C-377/17, relativa alla normativa della Germania che prevede tariffe minime obbligatorie per gli architetti e gli ingegneri, ritenute in astratto compatibili con l’art. 15 della direttiva 2006/123, in quanto necessarie e proporzionate alla realizzazione di un motivo imperativo di interesse generale, quale può essere quello di assicurare la qualità delle prestazioni di progettazione, a tutela dei consumatori, della sicurezza delle costruzioni, della salvaguardia della cultura architettonica e della costruzione ecologica, ma che nella specie sono state in concreto reputate incompatibili con il diritto unionale in quanto le prestazioni interessate dalle tariffe e precisamente quelle di progettazione, non erano riservate a determinate professioni soggette alla vigilanza obbligatoria in forza della legislazione professionale o da parte degli ordini professionali, circostanza questa che non ricorre per le prestazioni forensi rese in Italia, in quanto riservate in esclusiva agli iscritti agli ordini professionali). Deve pertanto essere affermato il seguente principio di diritto: ai fini della liquidazione in sede giudiziale del compenso spettante all’avvocato nel rapporto col proprio cliente, in caso di mancata determinazione consensuale, come ai fini della liquidazione delle spese proces CoNteNzIoSo NazIoNaLe suali a carico della parte soccombente, ovvero in caso di liquidazione del compenso del difensore della parte ammessa al beneficio patrocinio a spese dello Stato nella vigenza dell’art. 4, comma 1, e 12, comma 1, del d.m. n. 55 del 2014, come modificati dal d.m. n. 37 del 2018, il giudice non può in nessun caso diminuire oltre il 50 per cento i valori medi di cui alle tabelle allegate. Nella specie, il tribunale, pur avendo decurtato del 50% i valori medi, e quindi avendo fatto ricorso ai valori minimi, procedendo poi all’ulteriore riduzione di un terzo ex art. 106 bis del DPr n. 115/2002, non avrebbe potuto liquidare una somma inferiore ad € 1.290,00, avendo invece ritenuto che i valori minimi fossero ancora riducibili di un ulteriore 20%. Infatti, avuto riguardo ai parametri di cui al DM n. 55/2014 e successive modifiche, e tenuto conto altresì dei valori minimi derivanti da tali parametri, il compenso minimo previsto per la difesa della parte ammessa al beneficio a spese dello stato, nel procedimento penale nel quale è stato assistito dalla ricorrente non poteva essere inferiore ad € 1.290,00, al netto della decurtazione di cui all’art. 106 bis del DPr n. 115/2002, risultando, quindi, erronea l’individuazione dell’importo di € 912,00, come invece effettuata dal giudice di merito. I motivi devono quindi essere accolti. Il provvedimento impugnato deve quindi essere cassato in relazione ai motivi accolti, con rinvio al tribunale di trento, in persona di diverso magistrato, che provederà anche sulle spese del presente giudizio. PQM accoglie il ricorso, cassa il provvedimento impugnato, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio, al tribunale di trento, in persona di diverso magistrato. Così deciso nella camera di consiglio del 28 febbraio 2023. raSSeGNa aVVoCatUra DeLLo Stato -N. 4/2022 Le iniziative esperibili da Avvocati del libero Foro per il pagamento dell’attività prestata in regime di patrocinio a spese dello Stato. La Corte di Appello di Venezia esclude l’ammissibilità del ricorso per decreto ingiuntivo e la maturazione di interessi, a fronte dell’inesigibilità della prestazione annotazionE a CortE D’aPPELLo Di vEnEzia, SEzionE iv CiviLE, SEntEnza 15 FEbbraio 2023 n. 210 Si segnala la sentenza della Corte di appello di Venezia che, riformando la sentenza di primo grado ed accogliendo la tesi proposta nell’interesse del Ministero della Giustizia, ha enunciato il principio per cui i crediti vantati dagli avvocati del libero Foro muniti di decreti di liquidazione ex art. 82 d.P.r. 115/2002 (per aver prestato attività difensiva in regime di patrocinio a spese dello Stato ovvero in qualità di difensori d’ufficio di soggetti insolventi) sono inesigibili fino al momento del pagamento, ed in quanto tali non possono essere azionati mediante ricorso per decreto ingiuntivo, né produrre interessi. La sentenza, pur corredata da motivazione sintetica, sembra degna di nota laddove, “in riforma della sentenza indicata in epigrafe, dichiara che nulla è dovuto dal ministero della Giustizia [...] a titolo di interessi e spese a fronte della inesigibilità dei crediti azionati”, statuendo che “non v’è ragione di ammettere anche l’ingiunzione sulla base dei titoli per il pagamento (che sarebbero la prova scritta del credito) già resi e diventati definitivi nei confronti del ministero […] il sistema normativo […] stabilisce che i pagamenti devono avvenire in ordine cronologico; inoltre, se l’accreditamento all’avente diritto in ordine cronologico non può essere eseguito proprio per mancanza o insufficienza dei fondi, il pagamento deve avvenire nei giorni immediatamente successivi, non appena vi sia la disponibilità dei fondi (vd. art. 181 DPr 115/2002), senza far scattare alcuna sanzione, né la decorrenza di interessi per il ritardato pagamento”. Si riporta di seguito un estratto della comparsa conclusionale presentata nell’interesse del Ministero della Giustizia: «Vale la pena ripercorrere i tratti essenziali del titolo II (art. 173 ss.) del d.P.r. 115/2002, significativamente rubricato “pagamento delle spese per conto dell’erario”. Va innanzitutto segnalato che il decreto di pagamento ex art. 82 d.P.r. 115/2002 è pacificamente un atto impugnabile ai sensi dell’art. 170 d.P.r. 115/2002 (cfr. ex plurimis Cass., Sez. II, 21 gennaio 2020, n. 1206), mediante opposizione esperibile dal “beneficiario e le parti processuali, compreso il pubblico ministero” nel termine di trenta giorni dalla comunicazione del provvedimento (cfr. ex plurimis Cass. civ., sez. II, 20 dicembre 2018, n. 33070): CoNteNzIoSo NazIoNaLe dal che si evince come l’iter di pagamento sia suscettibile di iniziare soltanto una volta decorso tale termine decadenziale. a seguito di tale termine, il procedimento amministrativo di liquidazione esige un atto di impulso di parte, i.e. la presentazione della fattura da parte del- l’interessato, come si evince dall’art. 178 d.P.r. 115/2002, laddove dispone che “Prima di compilare il modello di pagamento, l’ufficio acquisisce la fattura rilasciata dal creditore, se questi è soggetto all’imposta sul valore aggiunto”. Dal momento della presentazione della fattura, l’ufficio che dispone il pagamento ha a disposizione il termine di un mese per trasmettere l’apposito modello di pagamento ex art. 177 d.P.r. 115/2002, come si evince dal terzo comma della stessa disposizione, laddove prevede che “Entro un mese dal- l’emissione dell’ordine o decreto di pagamento, il modello è trasmesso al competente concessionario in duplice copia, ovvero al competente ufficio postale in unico esemplare, nonché al beneficiario, per il quale, solo in caso di pagamento in contanti, assume valore di avviso di pagamento. Entro lo stesso termine l’ufficio trasmette copia della documentazione relativa ai singoli modelli di pagamento al funzionario delegato”. ancorché testualmente riferita ad “un mese dall’emissione dell’ordine o decreto di pagamento”, la disposizione va evidentemente intesa nel senso di calcolare il termine mensile dal giorno di presentazione della fattura, la quale ai sensi del citato art. 178 integra un presupposto ineludibile per la compilazione del modello, ed è evidentemente un onere a carico dell’interessato. Da quanto sopra si evince in primo luogo come i crediti generati da un decreto di pagamento ex art. 82 d.P.r. 115/2002 non siano certamente esigibili prima del decorso di un mese dalla presentazione della fattura: il che avrebbe imposto de plano la revoca del decreto ingiuntivo quantomeno in relazione all’importo di € 1.978,78 indicato nelle fatture n. 52 e 53 del 2019 (emesse prima del decorso di un mese da tale adempimento), avverso le quali per lo stesso Giudice di prime cure “impropriamente l’opposto [ha] azionato la tutela monitoria”. andando ad esaminare il prosieguo del procedimento di pagamento, emerge che in base all’art. 179 d.P.r. 115/2002 l’ufficio che esegue il pagamento (dopo aver ricevuto il modello di pagamento dall’ufficio che dispone il pagamento) “ordina cronologicamente per giornata i modelli di pagamento pervenuti ed esegue l’accreditamento sul conto corrente bancario o postale, rispettando l’ordine cronologico e l’ordine crescente d’importo”. Inoltre, il successivo art. 181 dispone che “Se l’accreditamento non può essere eseguito per mancanza o insufficienza di fondi, il concessionario dispone l’accreditamento, per l’intero o per il residuo, nei giorni immediatamente successivi e fino alla concorrenza della somma spettante al beneficiario”. Come si vede, tenendo conto che “il pagamento delle spese per conto dell’erario è eseguito […] utilizza(ndo) le entrate del bilancio dell’erario” (art. 173 d.P.r. 115/2002), l’ordinamento non solo non prevede un termine raSSeGNa aVVoCatUra DeLLo Stato -N. 4/2022 perentorio per eseguire il pagamento, ma si limita a sancire inderogabilmente che i pagamenti intervengano in ordine cronologico, contemplando peraltro espressamente l’eventualità che l’accreditamento all’avente diritto in ordine cronologico non possa essere eseguito per mancanza o insufficienza dei fondi, disponendo in tal caso che il medesimo avvenga nei giorni immediatamente successivi, ovverosia non appena pervenga la disponibilità di fondi: ciò senza che la disciplina preveda alcuna sanzione, né la decorrenza di interessi. Una normativa così congegnata (peraltro resa ancor più complessa dalle disposizioni attuative e dalle circolari intervenute: cfr. il doc. n. 3 allegato all’atto di opposizione) lascia emergere univocamente che il credito nascente dai decreti di pagamento sia inesigibile fino a quando non siano stati soddisfatti tutti i difensori che abbiano presentato fattura antecedentemente, e comunque fino a quando non siano stati disposti i fondi a bilancio. Una normativa siffatta è evidentemente derogatoria rispetto alla disciplina generale delle obbligazioni: deroga che trova la propria giustificazione in primarie ragioni di ordine costituzionale, quali il principio solidaristico, il principio di uguaglianza e le esigenze di equilibrio del bilancio dello Stato. tali ragioni non sono state adeguatamente ponderate dal Giudice di prime cure. L’accoglimento della tesi avversaria da parte del tribunale si presta a determinare l’integrale stravolgimento dell’assetto normativo ordito dal legislatore, foriero di plurime conseguenze contrarie all’interesse generale. In primo luogo, aderendo alla tesi in questione si giungerebbe a privilegiare irrazionalmente gli avvocati che richiedano decreto ingiuntivo rispetto a coloro che non esperiscano una simile iniziativa processuale, ancorché siano titolari di un credito anteriore e vantino dunque un titolo poziore per espressa previsione normativa. In secondo luogo, l’eventuale adesione di codesta Corte alla tesi sostenuta da parte avversa darebbe luogo alla proliferazione di un contenzioso seriale, tale da comportare la definitiva e irreversibile alterazione del (ragionevole) criterio cronologico designato dal legislatore, suscettibile di produrre l’ulteriore effetto anticongiunturale di determinare l’incremento esponenziale dei costi sostenuti dalla collettività per assicurare il patrocinio legale ai meno abbienti: ciò sia in termini di costi dell’attività giurisdizionale, sia in termini di spese giudiziali liquidate a favore dei creditori richiedenti decreto ingiuntivo, oltre che in termini di interessi decorrenti sulle somme dovute. Paradossalmente, per gli avvocati interessati sarebbe più conveniente non essere pagati tempestivamente, in modo da poter lucrare interessi e spese conseguenti alla presentazione di ricorsi per decreto ingiuntivo (che peraltro diverrebbero seriali). oltretutto, l’accoglimento della tesi avversaria si presta a dar luogo ad CoNteNzIoSo NazIoNaLe abusi, come dimostrato con evidenza dal caso di specie, ove parte avversa ha preteso finanche il pagamento di fatture presentate neanche un mese prima del deposito del ricorso per decreto ingiuntivo. Le considerazioni articolate da questa difesa sono state inopinatamente respinte dalla sentenza appellata, ove si legge (a p. 10) che “la tesi di parte opponente secondo cui il credito del professionista ex art. 82 d.p.r. 115/2002 non sarebbe di origine contrattuale, ma assume natura di indennizzo assoggettato ad un meccanismo di pagamento condizionato dalla disponibilità di fondi e secondo un rigido ordine cronologico, sì che il pagamento potrebbe essere effettuato solo dopo che gli avvocati, che abbiano presentato la propria fattura antecedentemente, siano stati pagati, finisce per trasformare un credito originato dalla prestazione di un servizio a seguito della nomina quale difensore di ufficio o su incarico della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, ma pur sempre funzionale all’esercizio di difesa ed al funzionamento dell’apparato giudiziario, introducendo una differenziazione in alcun modo prevista dal legislatore e lasciando il creditore esposto alla più totale incertezza sul momento del pagamento temperata dal solo sforzo organizzativo del funzionario delegato al pagamento”. tale interpretazione è errata sotto più profili. In primo luogo, a prescindere dalla (opinabile) qualificazione dell’obbligazione gravante sul Ministero come “indennitaria”, è evidente che non si tratti di una obbligazione contrattuale in senso stretto, ma di una obbligazione ex lege ai sensi dell’art. 1173 c.c., discendente dalle disposizioni attuative dell’art. 24, comma 3, Cost. È in virtù di tali previsioni che lo Stato è vincolato a remunerare l’opera dei professionisti; non certo in virtù della stipulazione di un contratto (che nella specie è insussistente), né della “prestazione di un servizio” in sé e per sé considerata. In altri termini, la fonte del diritto del difensore a ricevere una prestazione pecuniaria dallo Stato va ravvisata nella legge: il che esclude la sussumibilità del caso di specie in una consueta prestazione di servizi. La fattispecie sembra peraltro sovrapponibile alla diversa evenienza esaminata dalla Suprema Corte (anche a Sezioni Unite) e relativa alle prestazioni dovute alle farmacie dalle aziende Sanitarie Locali in corrispondenza della vendita dei farmaci di fascia a: caso nel quale “la fonte del rapporto è nel caso propriamente da ravvisarsi non già in un negozio bensì nel regolamento che ha reso esecutivo l’accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con le farmacie pubbliche e private, così escludendo la sussistenza di una transazione commerciale” (così Cass. civ., Sez. Un., 20 novembre 2020, n. 26496, citando Cass. civ., Sez. III, 8 marzo 2017 n. 5796), anche tenendo conto del principio espresso da “Cass. sez. 3, 10 aprile 2019 n. 9991, rv 653427-02 -che a ciò aggiunge la qualificazione del farmacista quale seg raSSeGNa aVVoCatUra DeLLo Stato -N. 4/2022 mento del Servizio Sanitario nazionale onde la sua attività in esecuzione del rapporto concessorio con l’azienda Sanitaria Locale ha natura pubblicistica per la tutela della salute collettiva, incompatibile dunque con il paradigma della transazione commerciale” (così ancora Cass. civ., Sez. Un., 20 novembre 2020, n. 26496, che sarà più ampiamente analizzata infra). Come perspicuamente illustrato dalle Sezioni Unite nella citata sentenza, “La dispensazione dei c.d. farmaci di classe a si differenzia, invero, in modo netto da ogni altra attività del farmacista, in quanto per questo genere di farmaci la dispensazione non può giustificare un immediato corrispettivo dell’assistito, essendo questo titolare del diritto a riceverli quale concretizzazione del fondamentale diritto alla salute di cui all’art. 32 Cost. […] invero, è proprio questa delimitata compartecipazione all’entità pubblica con correlato spoglio della natura imprenditoriale che ha condotto a riconoscere alla attività del farmacista, anche in dottrina appunto, una natura “ibrida” o comunque improntata ad una “doppia vocazione”, id est sia all’attività economica sia all’attività di pubblico servizio, con conseguenti ricadute sulla relativa disciplina, in cui coesistono tratti di libera impresa e tratti di servizio pubblico regolamentato”. Così come i farmacisti -di per sé qualificabili come esercenti un’attività imprenditoriale -sono considerati dal legislatore alla stregua di segmenti del SSN nella loro attività di vendita di farmaci di fascia a (in esecuzione di un’attività di natura pubblicistica perché preordinata alla tutela della salute collettiva), così gli avvocati -di per sé qualificabili come esercenti un’attività professionale -sono considerati dal legislatore alla stregua di segmenti del sistema nazionale del patrocinio a spese dello Stato, allorquando assumono la difesa di soggetti non abbienti, nel rispetto del d.P.r. 115/2002 e in esecuzione di un’attività di natura pubblicistica perché preordinata alla realizzazione dei fini impressi dall’art. 24, comma 3, Cost. In altri termini, nel prestare attività difensiva a favore dei non abbienti, i difensori assumono la qualità di prestatori di un pubblico servizio, secondo una disciplina (dettata dal d.P.r. 115/2002) che presenta ampi tratti di specialità rispetto a quella delle obbligazioni in generale. alla luce di quanto sopra, non può dirsi che questa difesa abbia proceduto “introducendo una differenziazione in alcun modo prevista dal legislatore”; si tratta al contrario di una differenziazione prevista proprio dal legislatore, nel dettare una disciplina speciale orientata al fine di razionalizzare il pagamento di tutti i difensori che (in tutta Italia) prestino attività in favore di soggetti ammessi al patrocinio a spese dello Stato: disciplina che prevede l’inesigibilità dei crediti fino allo stanziamento dei fondi da parte del Ministero e fino al pagamento delle istanze pregresse nel rispetto dell’ordine cronologico, senza decorrenza di interessi ai sensi degli artt. 1282, 1284, 1224 c.c. In definitiva, i primari interessi pubblicistici sottesi alla disciplina dapprima ripercorsa vengono a delineare un pagamento certus an ma incertus quando, su CoNteNzIoSo NazIoNaLe bordinato al perfezionamento del procedimento di controllo ex art. 173 ss. d.P.r. 115/02 e (soprattutto) allo stanziamento dei fondi in sede di bilancio, in contemperamento tra le diverse esigenze alle quali la spesa pubblica è preordinata. Va peraltro evidenziato come l’interpretazione qui proposta non comporti il rischio di vedere posticipati sine die i pagamenti delle competenze riconosciute con decreto ex art. 82 d.P.r. 115/02, tenuto conto che la mancata previsione di un termine non va a detrimento degli interessati, che conoscono ex ante tale regime di pagamento e tacitamente lo accettano, nel momento in cui decidono di prestare attività in regime di patrocinio a spese dello Stato. […] In altri termini, sembra che parte avversa, dopo essersi visto liquidare l’ultima fattura presentata nel 2018 a distanza di soli quattro mesi, dipinga come un sacrificio intollerabile un’attesa senz’altro non eccessiva, che egli è tenuto a sopportare sulla base della normativa pertinente (dal medesimo senz’altro conosciuta allorquando ha deciso di assistere persone ammesse al gratuito patrocinio), che lo chiama ad attendere in adempimento di un obbligo di solidarietà riconducibile all’art. 2 Cost. D’altra parte, l’ordinamento contempla strumenti idonei a conoscere lo stato della pratica, ad accellerarne l’avanzamento e a controllare che il suo svolgimento sia corretto (ad esempio verificando il rispetto dell’inderogabile criterio cronologico): si pensi alla facoltà di chiedere accesso agli atti ovvero di sollecitare una risposta da parte dell’amministrazione, con possibilità di proporre azione avverso il silenzio ex art. 31 c.p.a. Del resto, gli interessati, pur non potendo ricorrere al rito monitorio a fronte dell’inesigibilità dell’obbligazione, restano liberi di agire in via ordinaria per l’accertamento dei loro crediti, al pari di tutti i creditori titolari di crediti inesigibili. […] L’inesigibilità porta con sé l’inammissibilità del ricorso per decreto ingiuntivo e la non debenza di interessi corrispettivi, invece liquidati dalla sentenza impugnata in base a statuizioni ampiamente confutate nell’atto di appello, al quale ci si riporta integralmente. In questa sede basti rilevare che ai sensi dell’art. 1282 c.c. gli interessi maturano soltanto in relazione a “crediti liquidi ed esigibili”, tra i quali non può essere annoverata la situazione soggettiva azionata da controparte, per le ragioni supra evidenziate. La inopinata assimilazione della prestazione svolta in regime di patrocinio a spese dello Stato ad una prestazione di servizi tout court ha altresì condotto il tribunale a ritenere applicabile la disciplina dettata dal D.lgs. 231/2002, secondo una soluzione che non può in alcun modo trovare accoglimento. Secondo il primo giudice la disciplina del d.P.r. 115/2002 avrebbe rilevanza meramente interna “senza però intaccare la disciplina di diritto comune, raSSeGNa aVVoCatUra DeLLo Stato -N. 4/2022 ivi compresa quella contenuta nel D.Lgs. 231/2002 (e successive modifiche apportate dal D.Lgs. 192/2012), poiché la natura dell’attività resa dal prestatore di servizi non muta anche nell’ipotesi sui generis di conferimento del- l’incarico ad opera del giudice e, men che meno, in caso di nomina fatta dal cliente ma con onere del patrocinio a spese dello Stato. Quella del professionista legale rimane pur sempre una prestazione di servizi, nell’ambito delle c.d. professioni ad accesso riservato, di natura privatistica in ogni caso attuativa degli artt. 3 e 24 cost. infatti, in base all’art. 1 D.lgs. 231/2002, come modificato dal D.Lgs. 9 novembre 2012, n. 192 (“modifiche al decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, per l’integrale recepimento della direttiva 2011/7/UE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, a norma dell’articolo 10, comma 1, della legge 11 novembre 2011, n. 180. (12G0215)”), le disposizioni ivi contenute “si applicano ad ogni pagamento effettuato a titolo di corrispettivo in una transazione commerciale”. Secondo l’art. 2 D.Lgs. 231/2002 sono transazioni commerciali: “i contratti, comunque denominati, tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni, che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi contro il pagamento di un prezzo”, mentre per imprenditore deve intendersi “ogni soggetto esercente un’attività economica organizzata o una libera professione”. L’articolato non distingue il modo con cui si origina il rapporto contrattuale, né, come sì è detto vi sono elementi per poter ritenere la natura diversa della prestazione resa (v., a contrario, Cass., sez. un., 20 novembre 2020, n. 26496 riguardo ai crediti dei farmacisti verso il SSn con riferimento ai farmaci di fascia a). né è di ostacolo la definizione di pubblica amministrazione contenuta nell’art. 2, comma primo, lett. b), tenuto conto del- l’avvenuta abrogazione del D.Lgs. 163/2006 ad opera del D.Lgs. 50/2016”. tale ordine di argomentazioni è meritevole di integrale riforma, finendo per ampliare a dismisura gli oneri gravanti sullo Stato (e in ultima analisi sulla collettività tutta) in assenza di una disposizione di legge in tal senso. Premesso che nel caso di specie non si è in presenza della prestazione di un servizio in favore dello Stato, è un fuor d’opera il riferimento operato alla direttiva 2011/7/Ue, testualmente riferita ai “ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali”, tra le quali non può in alcun modo essere annoverato il pagamento dell’attività prestata in regime di gratuito patrocinio. Depongono in tal senso non solo le illustrate finalità pubblicistiche che innervano l’istituto, ma anche la stessa natura del credito derivante dalla prestazione di attività difensiva a favore di soggetti ammessi al patrocinio a spese dello Stato: quest’ultimo è tenuto a corrispondere la somma indicata nel decreto di pagamento non certo sulla scorta di un contratto, bensì sulla scorta di un puntuale disposto normativo. Non a caso, per espressa disposizione di legge l’importo da corrispondere CoNteNzIoSo NazIoNaLe in caso di patrocinio a spese dello Stato può essere inferiore al minimo tabellare: il che contribuisce ad asseverare che la somma in parola non è dovuta a titolo contrattuale ed a porne in luce la differenza rispetto alle comuni obbligazioni, tale da giustificare una divaricazione rispetto alla disciplina dettata dal Libro IV del codice civile. Né può valorizzarsi in senso contrario la presentazione della fattura, che è imposta dal d.P.r. 115/02 soltanto per ragioni contabili. ad ogni modo, anche a voler esaminare la disciplina dettata dal D.lgs. 231/2002 (recante la trasposizione della direttiva de qua), ci si avvedrà che anche nel caso di transazioni commerciali (evidentemente prive delle tensioni solidaristiche che permeano il c.d. gratuito patrocinio) l’ordinamento prevede la possibilità di assoggettare le “transazioni commerciali in cui il debitore è una pubblica amministrazione” a termini ben più lunghi di quelli previsti in via generale: si può giungere a sessanta giorni “quando ciò sia oggettivamente giustificato dalla natura particolare del contratto o da talune sue caratteristiche” (art. 4, comma 4) o anche ad un termine superiore non individuato nel massimo, “quando è prevista una procedura diretta ad accertare la conformità della merce o dei servizi al contratto […] purché ciò non sia gravemente iniquo per il creditore” (art. 4, comma 6). In altri termini, se perfino nel settore delle transazioni commerciali si ammette la possibilità di prevedere termini di pagamento ben più lunghi dell’ordinario in presenza di ragioni oggettive o di particolari procedure di controllo, a fortiori dovrà ammettersi un termine più elastico per i pagamenti degli onorari dovuti ai sensi dell’art. 82 d.P.r. 115/02: il che è peraltro senz’altro prevedibile per il creditore istante, alla luce dell’iter procedimentale descritto dal testo unico sulle spese di giustizia. Dunque, anche ragioni di ordine logico impongono di non assoggettare il pagamento dei crediti da spese di giustizia ad un trattamento deteriore rispetto a quello riservato alle transazioni commerciali: il che conduce a ritenere inesigibile il pagamento prima del compiuto corso del procedimento amministrativo diretto ad accertare la conformità dell’istanza alla legge. Non si ignora che il dispositivo della sentenza impugnata non impone il pagamento di interessi ai sensi del D.lgs. 231/2002 se non in virtù dell’art. 1284, comma 4, c.c. (che comunque non potrà trovare applicazione una volta che si escluda l’esigibilità delle somme e la conseguente azionabilità in via monitoria), ma la necessità di interpretare il dispositivo in uno alla motivazione impone di riformare integralmente quest’ultima, anche considerando la sua eccentricità rispetto alla disciplina vigente. Peraltro, la stessa pronuncia giurisprudenziale citata dalla sentenza appellata appare deporre nel senso di escludere la debenza degli interessi in parola nel caso di specie: infatti la già citata Cass. civ., Sez. Un., 20 novembre 2020, n. 26496 ha riconosciuto che “il tasso di interesse di cui all’art. 5 d.lg. n. 231 del 2002, nel testo anteriore alla novellazione di cui al d.lg. n. 192 nel raSSeGNa aVVoCatUra DeLLo Stato -N. 4/2022 2012, non è applicabile all’ipotesi di ritardo con il quale la pubblica amministrazione competente abbia corrisposto al farmacista la seconda quota di ristoro relativa alla dispensazione dei farmaci di classe a -con conseguente riconoscimento degli interessi all’ordinario tasso legale -in quanto, limitatamente a tale dispensazione, il farmacista è componente del servizio sanitario nazionale e non è qualificabile come “imprenditore”, ovvero “soggetto esercente un’attività economica organizzata o una libera professione”, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. c) del suddetto decreto legislativo”, sulla base di argomentazioni perfettamente sovrapponibili al caso di specie. rinviando a quanto già argomentato nel precedente punto 3, va sottolineato -per quanto più interessa -che le Sezioni Unite hanno valorizzato “Cass. sez. 3, 8 marzo 2017 n. 5796, non massimata, la quale è del tutto conforme a Cass. sez. 3, 28 febbraio 2017 n. 5042, rv 643178-01 (emessa dallo stesso collegio nella medesima udienza), massimata come segue: “in materia di rapporti tra il Servizio sanitario nazionale e le farmacie pubbliche e private, il saggio di interessi previsto dal D.Lgs. n. 231 del 2002 è inapplicabile ai crediti derivanti dall’erogazione dell’assistenza farmaceutica per conto delle aSL, atteso che tale rapporto deriva da una fonte, non negoziale, ma legale ed amministrativa […] il punto è che la fonte del rapporto non è un negozio, ma un regolamento, essendo stato reso esecutivo l’accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con le farmacie pubbliche e private con D.P.r. Gli effetti giuridici sono riconducibili non all’accordo, ma al decreto che lo rende esecutivo. […]”. […] Sulla stessa linea si è in seguito posta, estendendo -in aggiunta, e non, appunto, in divergenza -le argomentazioni dalla fonte del debito alla natura soggettiva del debitore, Cass. sez. 3, 10 aprile 2019 n. 9991, già citata, la cui massima è la seguente: “il tasso di interesse di cui al D.Lgs. n. 231 del 2002, art. 5 non è applicabile ai crediti derivanti dall’erogazione dell’assistenza farmaceutica per conto delle aSL, dal momento che l’attività di dispensazione dei farmaci e dei dispositivi medici, svolta dal farmacista in esecuzione del rapporto concessorio con l’azienda sanitaria locale, essendo intesa a realizzare, quale segmento del servizio sanitario nazionale, l’interesse pubblico della tutela della salute collettiva, ha natura pubblicistica e, pertanto, non può essere inquadrata nel paradigma della transazione commerciale di cui all’art. 2, comma 1, lett. a) citato decreto legislativo”. In altri termini, “non si discute dell’applicabilità o meno degli interessi moratori di origine comunitaria nei rapporti contrattuali in cui una parte è una pubblica amministrazione, id est non si mette in dubbio l’idoneità in generale della pubblica amministrazione a stipulare una ‘transazione commerciale’, species negoziale introdotta nel sistema normativo interno dal D.Lgs. n. 231 del 2002. oggetto della discussione è, invece, la sussistenza o meno di una “transazione commerciale” tra le aziende sanitarie locali del servizio sanitario nazionale e il farmacista allorquando questi effettua assistenza far CoNteNzIoSo NazIoNaLe maceutica dispensando, a seguito di prescrizione medica a sua volta emessa in conformità alle regole governanti il servizio sanitario nazionale, al soggetto assistito i farmaci di classe a, ovvero i farmaci per cui il farmacista non riceve corrispettivo dall’assistito bensì ottiene, parzialmente in anticipo e parzialmente in epoca successiva, un riequilibrio in termini economici dalla competente azienda sanitaria locale. occorre quindi chiarire se tale riequilibrio economico integra nell’ottica giuridica la prestazione corrispettiva di una “transazione commerciale” oppure costituisce un ristoro non incastonabile in un siffatto negozio -che pertanto non sussisterebbe nella fattispecie -, bensì direttamente ed esclusivamente inserito entro il paradigma del funzionamento del servizio sanitario nazionale in quanto tale. […] il nucleo che in effetti impronta la fattispecie in esame risiede peraltro nella specificità, ontologica e pertanto teleologica, dell’assistenza farmaceutica”, sussistente in misura tale da incidere anche sulla natura di chi, in correlazione/coordinazione con altri compartecipi, la pratica. La dispensazione dei c.d. farmaci di classe a si differenzia, invero, in modo netto da ogni altra attività del farmacista, in quanto per questo genere di farmaci la dispensazione non può giustificare un immediato corrispettivo dell’assistito, essendo questo titolare del diritto a riceverli quale concretizzazione del fondamentale diritto alla salute di cui all’art. 32 Cost., di cui l’abbisognare di tali farmaci costituisce una species dei presupposti dell’esercizio (cfr., p. es., già Cass. sez. L, 29 marzo 2005 n. 6598, rv 58099301, e Cass. sez. L, 10 luglio 2007 n. 15386, rv 598550-01, nonchè S.U. ord. 22 febbraio 2012 n. 2570, rv 621211-01). Qualificarne la dispensazione come “attività economica organizzata” da parte del farmacista o anche soltanto svolgimento di “libera professione” (in riferimento al D.Lgs. n. 231 del 2002, art. 2, comma 1, lett. c), non trova dunque supporto nella reale configurazione di una siffatta attività, che si inserisce in toto nell’espletamento del servizio sanitario nazionale quanto, appunto, alla assistenza farmaceutica in senso proprio, e che si colloca nel rapporto stretto e diretto, proprio della sua piena realizzazione, con il pubblico interesse sotteso a detto servizio, a sua volta riconducibile all’obbligo dello Stato, condiviso con le regioni ex art. 117 Cost., comma 3, di tutelare il diritto alla salute -non a caso infatti, è agevole rilevare, l’art. 32 Cost. è strutturato prendendo le mosse non dal diritto individuale e dall’interesse collettivo, bensì dall’obbligo istituzionale: “La repubblica tutela la salute...”. […] invero, è proprio questa delimitata compartecipazione all’entità pubblica con correlato spoglio della natura imprenditoriale che ha condotto a riconoscere alla attività del farmacista, anche in dottrina appunto, una natura “ibrida” o comunque improntata ad una “doppia vocazione”, id est sia all’attività economica sia all’attività di pubblico servizio, con conseguenti ricadute sulla relativa disciplina, in cui coesistono tratti di libera impresa e tratti di servizio pubblico regolamentato. […] E dunque, dissezionando la giustapposta duplice natura raSSeGNa aVVoCatUra DeLLo Stato -N. 4/2022 dell’attività del farmacista -riconducibile l’una alla libera professione e l’altra al pubblico servizio -così da estrarre quella che viene in gioco ai fini della dispensazione dei farmaci di classe a, non può non concludersi che in questa il farmacista è direttamente e specificamente inserito nel servizio sanitario nazionale, come suo segmento, onde non è qualificabile, ai fini dell’applicazione del D.Lgs. n. 231 del 2002, come “imprenditore”, ovvero “soggetto esercente un’attività economica organizzata o una libera professione”, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. c) suddetto D.Lgs.”. a parere di questa difesa, è veramente difficile non applicare al caso di specie le medesime coordinate dettate dalle Sezioni Unite in relazione all’attività del farmacista. Invero, la prestazione di attività difensiva in favore dei non abbienti e nel paradigma tracciato dal d.P.r. 115/2002 si differenzia in modo netto da ogni altra attività dell’avvocato, in quanto per questo genere di attività la dispensazione non può giustificare un immediato corrispettivo dell’assistito, essendo questo titolare del diritto a riceverli quale concretizzazione del fondamentale diritto di difesa di cui all’art. 24, comma 3, Cost. E dunque, dissezionando la giustapposta duplice natura dell’attività dell’avvocato -riconducibile l’una alla libera professione e l’altra al pubblico servizio -così da estrarre quella che viene in gioco ai fini della dispensazione di attività difensiva in favore dei non abbienti, non può non concludersi che in questa l’avvocato è direttamente e specificamente inserito nel sistema del patrocinio a spese dello Stato, come suo segmento, onde non è qualificabile, ai fini dell’applicazione del D.Lgs. n. 231 del 2002, come “imprenditore”, ovvero “soggetto esercente un’attività economica organizzata o una libera professione”, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. c) suddetto D.Lgs.». Guido Di Biase* Corte d’appello di Venezia, Sezione quarta civile, sentenza 15 febbraio 2023 n. 210 -Pres. M. Campagnolo - Ministero della Giustizia (avv. Stato Venezia) c. omissis. (...) per la parte appellante accertato e dichiarato che la somma di € 19.766,40 oggetto del decreto ingiuntivo trib. Venezia n. 3222/2019 è stata interamente corrisposta dal Ministero della Giustizia all’avvocato riformare integralmente la sentenza del tribunale di Venezia n. 161/2022 e conseguentemente accertare e dichiarare che nulla è dovuto dal Ministero della Giustizia all’avvocato a titolo di interessi e spese, a fronte dell’inesigibilità dei crediti azionati; in ogni caso, in riforma della sentenza appellata, voglia codesta Ill.ma Corte accertare e dichiarare (*) avvocato dello Stato. CoNteNzIoSo NazIoNaLe che i crediti azionati non sono soggetti alla disciplina prevista dal D.lgs. 231/2002 per i ritardi dei pagamenti nelle transazioni commerciali; spese del doppio grado di giudizio rifuse, o in subordine compensate; per la parte appellata: rigettare l’appello proposto dal Ministero della Giustizia, in quanto infondato in fatto e in diritto, oltre che destituito di qualsiasi fondamento, confermando integralmente la Sentenza del tribunale di Venezia n. 161/2022. Condannare il Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro-tempore alla rifusione dei danni ex art. 96 cpc per aver agito con colpa grave, impugnando una sentenza oltre il termine perentorio di legge, al solo fine di non rispettare i propri impegni e doveri, con liquidazione in via equitativa. In ogni caso con rifusione integrale di spese e compensi del giudizio d’appello. CoNCISa eSPoSIzIoNe DeLLe raGIoNI IN Fatto e DIrItto DeLLa DeCISIoNe 1. Con sentenza n. 161/2022 il tribunale di Venezia ha così deciso: «1. revoca il decreto ingiuntivo n. 3222/2019 emesso il 30.12.2019 dal tribunale di venezia; 2. condanna il ministero della Giustizia, in persona del ministro p.t., al pagamento in favore dell’avvocato di € 2.516,98 (fatture 25/2019, 52/2019, 53/2019), oltre gli interessi: al tasso ex art. 1284, comma primo, c.c. dal 19.10.2019 (data della costituzione in mora) sugli importi delle singole fatture, fatta eccezione per le fatture 50/2019, 52/2019 e 53/2019 sino al 14.12.2019 (data della proposizione della domanda); al tasso ex art. 1284, comma 4°, c.c. sugli importi di tutte le fatture azionate dal 14.12.2019 (data della proposizione della domanda) sino al 10.6.2020 relativamente alle fatture nn. 10-14-15-16-17-18-19-20-2122- 23-24 del 2019, sino al 6.11.2020 per la fattura 38/2019, sino al 30.11.2020 per le fatture 48/2019 e 49/2019, sino al 7.12.2020 per la fattura 50/2019; al tasso ex art. 1284, comma 4°, c.c. sull’importo di 2.516,98 dal 14.12.2019 fino all’effettivo soddisfo; 3. compensa per 1/5 le spese di lite e condanna l’opponente alla rifusione in favore dell’opposto del residuo, liquidato: in € 1.742,4 per competenze professionali, oltre rimborso forfetario del 15%, iva e Cpa se dovuti per legge per il presente giudizio; in € 116,4 per esborsi ed € 432 per competenze professionali, oltre rimborso forfetario del 15%, iva e Cpa se dovuti per legge per la fase monitoria; 4. sentenza provvisoriamente esecutiva». 2. Il tribunale ha osservato che: l’avvocato ha chiesto il decreto ingiuntivo contro il Ministero della Giustizia per € 19.766,40, in relazione a 19 fatture elettroniche emesse e accettate a seguito di altrettanti decreti di liquidazione di compensi resi dai tribunali e passati in giudicato, per prestazioni professionali come difensore d’ufficio. 3. Con atto di citazione del 22 marzo 2022 il Ministero della Giustizia ha proposto appello deducendo i seguenti motivi: violazione e/o falsa applicazione del DPr 115/2002, erroneità della sentenza impugnata laddove ha ritenuto esigibili i crediti oggetto di giudizio e, in particolare, i crediti relativi alle fatture 25/2019 (€ 538,2), 52/2019 (€ 1.363,44) e 53/2019 (€ 615,34), per il complessivo importo di € 2.516,98; erroneità della sentenza nella parte relativa alle spese di lite. 4. La parte appellata si è costituita con comparsa del 29 giugno 2022, resistendo al gravame. 5. Sulle conclusioni sopra riportate, la causa è stata riservata in decisione ai sensi dell’art. 190 cpc, con i termini di legge per depositare le comparse conclusionali e le memorie di replica. 6. osserva la Corte. L’appellato sostiene che l’appello del Ministero è stato notificato il 14 marzo 2022; la sentenza del tribunale di Venezia n. 161/2022 è stata notificata con PeC il 10 febbraio 2022; da quel momento ha cominciato a decorrere il termine perentorio di raSSeGNa aVVoCatUra DeLLo Stato -N. 4/2022 trenta giorni previsto dall’art. 325 cpc per proporre l’impugnazione; il termine è scaduto sabato 12 marzo 2022, sicché l’appello del Ministero va considerato tardivo con conseguente inammissibilità. 7. L’eccezione è infondata. Cass. 23375/2016 afferma: «la disciplina del computo dei termini di cui all’art. 155, commi 4 e 5, cpc che proroga di diritto, al primo giorno seguente non festivo, il termine che scade in un giorno festivo o di sabato, si applica, per il suo carattere generale, a tutti i termini, anche perentori, contemplati dal codice di rito, compreso il termine breve per la proposizione del ricorso per cassazione». 8. Nel merito: il ministero ricorda che l’avvocato ha chiesto e ottenuto decreto ingiuntivo nei suoi confronti per € 19.766,40. 9. Nel ricorso monitorio l’avvocato espone: dopo aver esperito le procedure per il recupero dei crediti professionali con esito negativo e la presentazione delle relative istanze con le parcelle per le attività compiute, l’avvocato ha ottenuto i decreti di liquidazione dalle autorità procedenti, ormai divenuti esecutivi; quindi sono state emesse le fatture elettroniche intestate ai singoli uffici giudiziari; adesso si trova a dover sopportare inaccettabili e prolungati ritardi da parte dell’amministrazione della Giustizia; il Ministero della Giustizia con circolare del 19 ottobre 2009 ha precisato che i decreti di liquidazione non hanno natura di titolo esecutivo, ma costituiscono solo titoli per ottenere il pagamento; i predetti decreti di liquidazione hanno natura di prova scritta. 10. Si tratta di compensi per prestazioni professionali rese come difensore d’ufficio in materia penale ex art. 116 DPr 115/2002, e come difensore di persone ammesse al patrocinio a spese dello Stato ex art. 82 DPr 115/2002. 11. Il ministero rileva che durante l’opposizione l’Ufficio spese di giustizia presso la Corte d’appello di Venezia ha emesso a favore dell’avvocato gli ordinativi per il pagamento delle fatture n. 14-15-16-17-18-19-20-21-22-23-24 del 2019 per € 11.853,30 (pagate il 10 giugno 2020) e delle fatture n. 38-48-49-50 sempre riferibili al 2019 per € 5.390,12 (pagate con gli ordinativi del 6 novembre 2020, 30 novembre 2020 e 7 dicembre 2020). 12. Il tribunale con la sentenza gravata ha revocato il decreto ingiuntivo n. 3222/2019 emesso il 30 dicembre 2019, e condannato il Ministero della Giustizia a pagare all’avvocato € 2.516,98 (fatture 25/2019, 52/2019, 53/2019 che non erano state pagate medio tempore), oltre interessi. 13. Col primo motivo l’appellante deduce violazione e/o falsa applicazione del DPr 115/2002, erroneità della sentenza impugnata che ha ritenuto esigibili i crediti oggetto di giudizio e, in particolare, i crediti relativi alle fatture 25/2019 (€ 538,2), 52/2019 (€ 1.363,44) e 53/2019 (€ 615,34), per il complessivo importo di € 2.516,98. 14. Il motivo è fondato, poiché il ricorso per decreto ingiuntivo ha considerato lo Stato e il Ministero della Giustizia alla stregua di un comune debitore, e il decreto di liquidazione ex art. 82 DPr 115/2002 come un titolo che legittima a pretendere l’immediato pagamento dell’importo liquidato. 15. Così non è: nel ricorso monitorio l’avvocato precisa che ha ottenuto i decreti di liquidazione dalle autorità procedenti, ormai divenuti esecutivi, e che sono state emesse le fatture elettroniche intestate ai singoli uffici giudiziari; su questa base di fatto ha duplicato la pretesa chiedendo anche il DI (con relative spese del monitorio); quindi si è radicata l’opposizione (con ulteriore aggravio di spese) ma, aggiunge il legale, «il ministero della Giustizia con Circolare del 19 ottobre 2009 ha precisato che i decreti di liquidazione, non hanno natura di titolo esecutivo, ma costituiscono solo titoli per ottenere il pagamento». CoNteNzIoSo NazIoNaLe 16. In realtà, se già ha i titoli per ottenere il pagamento, non appare giustificato promuovere una causa sulla medesima pretesa. Secondo il tribunale, è ammissibile la tutela monitoria dei crediti originati da decreti ex art. 82 DPr 115/2002, che pure costituiscono «titolo di pagamento», poiché nella sostanza l’espressa qualificazione come titolo di pagamento non implica la natura di «titolo esecutivo». 17. In argomento la giurisprudenza ha affermato quanto segue: Cass. 31820/2019: «in tema di difesa d’ufficio, il ricorso al procedimento monitorio costituisce un passaggio obbligato per richiedere la liquidazione dei compensi ai sensi del combinato disposto degli artt. 82 e 116 DPr 115/2002, sicché i relativi costi, comprensivi di spese, diritti e onorari, debbono rientrare nell’ambito di quelli che l’erario è tenuto a rimborsare». 18. Inoltre, Cass. 8359/2020: «in tema di patrocinio a spese dello Stato, ai sensi dell’art. 116 del d.P.r. 30 maggio 2002, n. 115, il difensore d’ufficio non può ottenere la liquidazione dell’onorario a carico dell’erario senza dimostrare di aver effettuato un vano e non pretestuoso tentativo di recupero (nella specie attraverso l’emissione del decreto ingiuntivo, l’intimazione dell’atto di precetto ed il verbale di pignoramento immobiliare negativo), ma non è tenuto a provare anche l’impossidenza dell’assistito, che si risolverebbe in un onere eccessivo e non funzionale all’istituto della difesa d’ufficio». 19. Si capisce dunque che il titolo giudiziale va richiesto dall’avvocato contro il suo assistito, ovvero la parte del contratto di patrocinio. Nel caso specifico, l’avvocato aveva già in mano i decreti di liquidazione emessi dall’ufficio spese di giustizia nei confronti del ministero che non era la sua controparte, bensì semplicemente l’organo indicato dalla legge per pagare l’indennità qual è il compenso del patrocinio pubblico, ove mai l’assistito fosse privo di mezzi («impossidente»). 20. Pertanto, a parere della Corte non v’è ragione di ammettere anche l’ingiunzione sulla base dei titoli per il pagamento (che sarebbero la prova scritta del credito) già resi e diventati definitivi nei confronti del Ministero come pacificamente si ammette, tanto più che alla fine la possibilità di assoggettare a esecuzione forzata le somme del ministero è sempre subordinata alla loro concreta disponibilità -in argomento vd. Cass. 22854/2014: «... sempre che esistano in contabilità fondi soggetti a esecuzione forzata»; conf. Cass. 7121/2015. 21. D’altro canto, la legge di stabilità del 2016 (comma 778 art. 1 l. 208/2015) ha introdotto la possibilità di compensare i debiti dello Stato per il patrocinio pubblico con ogni imposta, tassa e contributi dovuti dall’avvocato per i dipendenti. Inoltre, la nuova legge di bilancio del 2023 (comma 860 l. 197/2022) consente di compensare anche con i contributi dovuti dagli avvocati alla cassa forense a titolo di oneri previdenziali: gli avvocati devono prima emettere fattura registrata sulla piattaforma elettronica di certificazione del MeF, quindi optare per la compensazione certificando la sola liquidazione (non il pagamento) del debito da parte dell’autorità giudiziaria con decreto di pagamento non opposto: se dunque il titolo di pagamento è definitivo, il debito è accertato, può essere compensato col debito del legale verso la cassa di previdenza. 22. Il sistema normativo prevede altresì un termine perentorio per eseguire il pagamento, stabilisce che i pagamenti devono avvenire in ordine cronologico; inoltre, se l’accreditamento all’avente diritto in ordine cronologico non può essere eseguito proprio per mancanza o insufficienza dei fondi, il pagamento deve avvenire nei giorni immediatamente successivi, non appena vi sia la disponibilità dei fondi (vd. art. 181 DPr 115/2002), senza far scattare alcuna sanzione, né la decorrenza di interessi per il ritardato pagamento. raSSeGNa aVVoCatUra DeLLo Stato -N. 4/2022 23. In base ai rilievi fin qui svolti, pertanto, sono assorbiti sia il secondo motivo (che contesta l’applicazione degli interessi), sia il terzo (che lamenta la violazione dell’art. 1284, 4° comma cc per aver applicato ai crediti controversi la disciplina prevista per i ritardi dei pagamenti nelle transazioni commerciali ex D. Lvo 231/2002). 24. L’appello proposto dal ministero della giustizia va accolto. Le spese sono regolate secondo la soccombenza e liquidate applicando i valori previsti dallo scaglione di riferimento, avuto riguardo a tipologia della causa, difficoltà e valore economico dell’affare, importanza dell’attività prestata (art. 4 DM 55/2014). 25. La motivazione è sintetica e non analitica, poiché «gli atti di parte e i provvedimenti depositati con modalità telematiche sono redatti in maniera sintetica» (art. 9-octies DL 83/2015, conv. in l. 132/2015). PEr QUESti motivi la Corte d’appello di Venezia, quarta sezione civile, definitivamente pronunciando, disattesa ogni diversa e contraria istanza ed eccezione, così provvede: 1. in riforma della sentenza indicata in epigrafe, dichiara che nulla è dovuto dal Ministero della Giustizia all’avvocato (...) a titolo di interessi e spese a fronte della inesigibilità dei crediti azionati; 2. condanna (...) a rifondere le spese liquidate per il primo grado in € 2.540,00, e per l’appello in € 1.889,00 (scaglione da € 5.201,00 a € 26.000,00) per compenso, oltre accessori di legge; 3. dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati nel medesimo a norma dell’art. 52 D. Lvo 196/2003. Venezia, 15 febbraio 2023. PAreridelComitAtoConSultivo Convenzioni-quadro stipulate dalla Concessionaria servizi informatici pubblici (Consip) S.p.A. Sulla possibile deroga all’obbligo di adesione previsto per le Amministrazioni dello Stato Parere del 23/03/2022 -192042, al 48513/2021, avv. emanuele Feola Con la nota in riscontro, codesta Amministrazione ha chiesto il parere della Scrivente in merito ai requisiti in presenza dei quali è possibile derogare all’obbligo, previsto per le Amministrazioni dello Stato, di aderire alle convenzioni- quadro stipulate dalla Consip S.p.A. In particolare, nella richiesta di parere, sono state rappresentate le seguenti circostanze di fatto: a) in data 10 maggio 2021, codesto Dicastero ha deliberato di procedere all’affidamento mediante gara del servizio di pulizia e igiene ambientale relativo alle sedi territoriali e alle strutture centrali di formazione del Corpo nazionale dei vigili del fuoco per il biennio 2022/2024, in base al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa; b) le procedure di gara sono state gestite dalle Direzioni regionali dei Vigili del fuoco in qualità di stazioni appaltanti; c) tali procedure di gara sono giunte alla fase dell’aggiudicazione; d) tuttavia, nelle more delle procedure di gara, è stata attivata -per taluni lotti geografici -una convenzione-quadro stipulata dalla Consip S.p.A., avente ad oggetto l’erogazione del medesimo servizio di pulizia. Pertanto, con la nota in riscontro, si è chiesto alla Scrivente di specificare se, in considerazione della sopravvenuta attivazione della suddetta convenzione- quadro, codesta Amministrazione possa procedere all’aggiudicazione delle procedure di gara gestite dalle singole Direzioni regionali. Al fine di rendere il parere richiesto, appare opportuno ricostruire -sia pure rASSegnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 sinteticamente -la normativa concernente l’obbligo per le Amministrazioni pubbliche di avvalersi delle convenzioni-quadro stipulate dalla Consip S.p.A. L’art. 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, e s.m.i., dispone che “1. Il ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, nel rispetto della vigente normativa in materia di scelta del contraente, stipula, anche avvalendosi di società di consulenza specializzate, selezionate anche in deroga alla normativa di contabilità pubblica, con procedure competitive tra primarie società nazionali ed estere, convenzioni con le quali l’impresa prescelta si impegna ad accettare, sino a concorrenza della quantità massima complessiva stabilita dalla convenzione ed ai prezi e condizioni ivi previsti, ordinativi di fornitura di beni e servizi deliberati dalle amministrazioni dello Stato anche con il ricorso alla locazione finanziaria [...] 3. le amministrazioni pubbliche possono ricorrere alle convenzioni stipulate ai sensi del comma 1, ovvero ne utilizzano i parametri di prezzo-qualità, come limiti massimi, per l’acquisto di beni e servizi comparabili oggetto delle stesse, anche utilizzando procedure telematiche per l’acquisizione di beni e servizi ai sensi del decreto del Presidente della repubblica 4 aprile 2002, n. 101. la stipulazione di un contratto in violazione del presente comma è causa di responsabilità amministrativa, ai fini della determinazione del danno erariale si tiene anche conto della differenza fra il prezzo previsto nelle convenzioni e quello indicato nel contratto. 3-bis. I provvedimenti con cui le amministrazioni pubbliche deliberano di procedere in modo autonomo a singoli acquisti di beni e servizi sono trasmessi alle strutture e agli uffici preposti al controllo di gestione, per l’esercizio delle funzioni di sorveglianza e di controllo [...] Il dipendente che ha sottoscritto il contratto allega allo stesso una apposita dichiarazione con la quale attesta, ai sensi e per gli effetti degli articoli 47 e seguenti del decreto del Presidente della repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, e successive modifiche, il rispetto delle disposizioni contenute nel comma 3”. L’art. 58 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, ha precisato che “ai sensi di quanto previsto dall’articolo 26, comma 3, della legge 23 dicembre 1999, n. 488, per pubbliche amministrazioni si intendono quelle definite dall’articolo 1 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29” e che “le convenzioni di cui al citato articolo 26 sono stipulate dalla Concessionaria servizi informatici pubblici (ConSIP) Spa”. Dalle disposizioni sopra trascritte, si evince, quindi, l’obbligo per le amministrazioni pubbliche indicate dall’art. 1 del decreto-legislativo n. 29 del 1993 (oggi sostituito dall’art. 1 del decreto-legislativo n. 165 del 2001) di avvalersi delle convenzioni stipulate dalla Consip S.p.A. oppure -in alternativa -di utilizzarne i parametri di prezzo-qualità, come limiti massimi, qualora procedano all’acquisto di beni e servizi comparabili a quelli che costituiscono l’oggetto delle citate convenzioni. PArerI DeL CoMItAto ConSuLtIVo tuttavia, nel caso delle amministrazioni pubbliche statali, l’obbligo in questione è ancor più stringente, dato che, in presenza di una convenzione stipulata dalla Consip S.p.A., tali amministrazioni sono tenute -in linea di principio - ad utilizzarla, senza poter ricorrere a strumenti alternativi. Difatti, l’articolo 1, co. 449, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e s.m.i., dispone che “nel rispetto del sistema delle convenzioni di cui agli articoli 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, e successive modificazioni, e 58 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, tutte le amministrazioni statali centrali e periferiche, ivi compresi gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado, le istituzioni educative e le istituzioni universitarie, nonché gli enti nazionali di previdenza e assistenza sociale pubblici e le agenzje fiscali di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, sono tenute ad approvigionarsi utilizzando le convenzioni-quadro”. Le disposizioni menzionate, che prevedono l’obbligo di avvalersi delle convenzioni stipulate dalla Consip S.p.A., costituiscono norme imperative e la violazione delle medesime implica conseguenze sul piano civilistico, disciplinare e contabile. In particolare, l’art. 1, co. 1, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, stabilisce che “Successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, i contratti stipulati in violazione dell’articolo 26, comma 3 della legge 23 dicembre 1999, n. 488 ed i contratti stipulati in violazione degli obblighi di approvvigionarsi attraverso gli strumenti di acquisto messi a disposizione da Consip S.p.a. sono nulli, costituiscono illecito disciplinare e sono causa di responsabilità amministrativa. ai fini della determinazione del danno erariale si tiene anche conto della differenza tra il prezzo, ove indicato, dei detti strumenti di acquisto e quello indicato nel contratto”. Peraltro, il medesimo articolo introduce una prima eccezione alla menzionata regola generale, disponendo che essa “non si applica alle amministrazioni dello Stato quando il contratto sia stato stipulato ad un prezzo più basso di quello derivante dal rispetto dei parametri di qualità e di prezzo degli strumenti di acquisto messi a disposizione da Consip S.p.a., ed a condizione che tra l’amministrazione interessata e l’impresa non siano insorte contestazioni sulla esecuzione di eventuali contratti stipulati in precedenza”. Il contenuto dell’eccezione de qua è ulteriormente precisato dalla circolare del Ministero dell’economia e delle Finanze del 25 agosto 2015. La suddetta circolare ha chiarito che le Amministrazioni statali sono tenute, nei casi in cui stipulino contratti senza utilizzare gli strumenti di acquisto centralizzati messi a disposizione dalla Consip S.p.A., “a fornire ai competenti uffici di controllo e regolarità amministrativa e contabile adeguata indicazione dei concreti motivi per i quali si è proceduto in deroga agli obblighi sopra richiamati. In particolare, ai fini della prova dell’osservanza dei benchmark di qualità e prezzo messi a diposizione da Consip, occorrerà operare rASSegnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 un raffronto tra fattori di comparazione omogenei (es. tra prezzi della convenzione Consip di durata settennale e prezzi relativi al contratto stipulato al di fuori degli strumenti di acquisto centralizzati di pari durata settennale), tenendo in particolare attenzione, per la verifica dell’omogeneità degli strumenti, le prestazioni contrattuali principali e le caratteristiche essenziali dell’oggetto delle stesse”. una seconda eccezione alla regola generale relativa all’utilizzo delle convenzioni- quadro stipulate dalla Consip S.p.A. è stata introdotta dall'articolo 1, co. 510, della legge 28 dicembre 2015, n. 288. tale norma prevede che “le amministrazioni pubbliche obbligate ad approvvigionarsi attraverso le convenioni di cui all’articolo 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, stitulate da Consip S.p.a. [...] possono procedere ad acquisti autonomi esclusivamente a seguito di apposita autorizzazione specficamente motivata resa dall’organo di vertice amministrativo e trasmessa al competente ufficio della Corte dei conti, qualora il bene o il servizio oggetto di convenzione non sia idoneo al soddisfacimento dello specifico fabbisogno dell’amministrazione per mancanza di caratteristiche essenziali”. nella sentenza n. 1937 del 2018, il Consiglio di Stato -nell'esaminare il contesto normativo sopra sintetizzato -ha ribadito come si rinvengano, in sede di centralizzazione, le migliori possibili condizioni di offerta da porre a disposizione delle pubbliche amministrazioni; sicché, ad esse è consentito procedere in modo autonomo, soltanto in via eccezionale e motivata, qualora dimostrino di aver ricercato e conseguito condizioni migliorative rispetto a quelle contenute nelle convenzioni-quadro stipulate dalla Consip S.p.A. In altri termini, fermo il carattere di principio dell'obbligo di avvalersi delle suddette convenzioni-quadro, permane sempre la facoltà per le amministrazioni statali (centrali e periferiche) di attivare in concreto propri strumenti di negoziazione, laddove tale opzione sia orientata a conseguire condizioni economiche più favorevoli rispetto a quelle stabilite nelle richiamate convenzioni- quadro. Pertanto, ad avviso del Consiglio di Stato, le disposizioni in esame delineano “un coerente quadro normativo nel quale è demandato alla Consip il compito di rinvenire, in sede di centralizzazione, le migliori possibili condizioni di offerta da porre a disposizione delle amministrazioni, ma è consentito alle amministrazioni di procedere in modo autonomo, a condizione che possano dimostrare di aver ricercato e conseguito condizioni migliorative rispetto a quelle contenute nelle convenzioni-quadro, attraverso un meccanismo di responsabilizzazione delle amministrazioni stesse, che è coerente con la disciplina euro-unitaria” (cfr. sentenza n. 6817 del 2021). In applicazione del suddetto indirizzo ermeneutico, la giurisprudenza amministrativa ha altresì chiarito i rapporti tra gara indetta ed espletata da Consip S.p.A., e gara condotta in modo autonomo dalla stazione appaltante, con par PArerI DeL CoMItAto ConSuLtIVo ticolare riferimento all’ipotesi in cui la prima sia stata portata a compimento con la stipulazione della relativa convenzione-quadro, quando la seconda era ancora in corso di svolgimento. In tal caso, invero, si pone il problema per l’Amministrazione della scelta tra l’adesione alla convenzione-quadro stipulata dalla Consip S.p.A. e il completamento della procedura di gara avviata autonomamente dalla stazione appaltante. ebbene, nella sentenza n. 1071 del 2021, il t.a.r. toscana -Firenze, dopo aver richiamato i suddetti principi di diritto enunciati dal Consiglio di Stato, ha ritenuto che “l'opzione fra aderire alla convenzione Consip oppure portare a termine la procedura di gara implica valutazioni di natura tecnico-discrezionale sulla convenienza delle condizioni dei due capitolati ma anche valutazioni di opportunità, sindacabili per eccesso di potere, nei limiti dell’evidente illogicità, della contraddittorietà, dell’arbitrarietà o dell’irragionevolezza”. nella specie, il Collegio ha affermato la legittimità della scelta compiuta dall’Amministrazione di concludere la gara precedentemente indetta, emergendo dagli atti depositati come l’Amministrazione avesse “ampiamente spiegato le ragioni che l’hanno condotta a concludere la gara con l’aggiudicazione [...], anziché ad aderire alla convenzione Consip"; essa, infatti, aveva compiutamente valutato "la complessiva maggiore convenienza e utilità dell’offerta [...] e comunque la non sovrapponibilità fra le due gare dato che alcuni dei servizi messi a bando [...] non erano presenti nella convenzione Consip, mentre in quest’ultima erano ricomprese prestazioni già affidate [...] ad altri operatori economici, o di nessun interesse per la stessa”. Peraltro, è ben possibile che la procedura di gara gestita autonomamente dalla stazione appaltante si concluda prima della stipulazione della convenzione- quadro da parte della Consip. In questo caso, si pongono due problemi ulteriori: a) il primo concerne l’individuazione dei vincoli cui è soggetta l'autonomia negoziale della stazione appaltante nella predisposizione delle condizioni contrattuali; b) il secondo è relativo alle conseguenze che la successiva stipulazione della convenzione-quadro può avere -sotto il profilo civilistico -sul contratto concluso con l’impresa aggiudicataria. Con riguardo alla questione sub a), si evidenzia che -anche in caso di assenza di una convenzione stipulata dalla Consip -l’autonomia negoziale delle stazioni appaltanti resta limitata dal disposto di cui all’articolo 9 del decreto- legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89. Il co. 3-bis della disposizione appena citata prevede che le Amministrazioni pubbliche possono procedere, qualora non siano disponibili convenzioni rASSegnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 quadro stipulate dalla Consip e in caso di motivata urgenza, allo svolgimento di autonome procedure di acquisto dirette alla stipula di contratti “aventi durata e misura strettamente necessaria”. Il successivo co. 7 aggiunge che “l’autorità nazionale anticorruzione, a partire dal 1° ottobre 2014, attraverso la banca dati nazionale dei contratti pubblici [...] fornisce, tenendo anche conto della dinamica dei prezzi dei diversi beni e servizi, alle amministrazioni pubbliche un’elaborazione dei prezzi di riferimento alle condizioni di maggiore efficienza di beni e di servizi tra quelli di maggiore impatto in termini di costo a carico della pubblica amministrazione, nonché pubblica sul proprio sito web i prezzi unitari corrisposti dalle pubbliche amministrazioni per gli acquisti di tali beni e servizi. I prezzi di riferimento pubblicati dall’autorità e dalla stessa aggiornati entro il 1° ottobre di ogni anno, sono utilizzati per la programmazione dell’attività contrattuale della pubblica amministrazione e costituiscono prezzo massimo di aggiudicazione, anche per le procedure di gara aggiudicate all’offerta più vantaggiosa, in tutti i casi in cui non è presente una convenzione stipulata ai sensi dell’articolo 26, comma 1, della legge 23 dicembre 1999, n. 488, in ambito nazionale ovvero nell’ambito territoriale di riferimento. I contratti stipulati in violazione di tale prezzo massimo sono nulli”. In sintesi, le disposizioni da ultimo menzionate consentono alle stazioni appaltanti di procedere in modo autonomo, quando non sia presente una convenzione stipulata dalla Consip, qualora sussista un “caso di motivata urgenza” inoltre, il contratto dovrà avere -in attesa dell’attivazione della convenzione- quadro -“durata e misura strettamente necessaria”, nonché prevedere -a pena di nullità -un prezzo non superiore a quello massimo individuato dall’A.n.A.C., anche nel caso in cui la gara venga aggiudicata con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Quanto al problema individuato sub b), si osserva che, qualora sopravvenga la stipulazione della convenzione-quadro da parte della Consip S.p.A., è stata introdotta dal legislatore una peculiare ipotesi di recesso contrattuale. Si tratta dell’ipotesi di recesso prevista dall’articolo 1, co. 13, del decreto- legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, secondo cui “le amministraioni pubbliche che abbiano validamente stipulato un autonomo contratto di fornitura o di servizi hanno diritto di recedere in qualsiasi tempo dal contratto, previa formale comunicazione all’appaltatore con preavviso non inferiore a quindici giorni e previo pagamento delle prestazioni già eseguite oltre al decimo delle prestazioni non ancora eseguite, nel caso in cui, tenuto conto anche dell’importo dovuto per le prestazioni non ancora eseguite, i parametri delle convenzioni stipulate da Consip S.p.a. ai sensi dell’articolo 26, comma 1, della legge 23 dicembre 1999, n. 488 successivamente alla stipula del predetto contratto siano migliorativi rispetto a quelli del contratto stipulato e l’appaltatore non acconsenta ad una modifica delle PArerI DeL CoMItAto ConSuLtIVo condizioni economiche tale da rispettare il limite di cui all’articolo 26, comma 3 della legge 23 dicembre 1999, n. 488. ogni patto contrario alla presente disposizione è nullo. Il diritto di recesso si inserisce automaticamente nei contratti in corso ai sensi dell’articolo 1339 c.c., anche in deroga alle eventuali clausole difformi apposte dalle parti. nel caso di mancato esercizio del detto diritto di recesso l’amministrazione pubblica ne dà comunicazione alla Corte dei conti, entro il 30 giugno di ogni anno, ai fini del controllo successivo sulla gestione del bilancio e del patrimonio di cui all’articolo 3, comma 4, della legge 14 gennaio 1994, n. 20”. In altri termini, il legislatore ha introdotto, mediante la suddetta disposizione, il diritto/dovere per le amministrazioni pubbliche di recedere dai contratti stipulati prima dell’attivazione della convenzione-quadro, quando le condizioni economiche di quest’ultima siano più favorevoli di quelle previste nei contratti già stipulati, a meno che l’aggiudicatario non acconsenta a modificare di conseguenza le pertinenti clausole contrattuali. La disposizione in esame ha natura imperativa: infatti, ogni patto contrario è nullo e il diritto di recesso si inserisce “automaticamente” nei contratti in corso, ai sensi dell’articolo 1339 cod. civ., “anche in deroga alle eventuali clausole difformi apposte dalle parti”. ricostruito in questi termini il contesto normativo e giurisprudenziale di riferimento, si ritiene che -nel caso sottoposto all’esame della Scrivente -occorra distinguere due ipotesi: 1) quella delle gare che hanno ad oggetto il servizio di pulizia nei lotti geografici per i quali non è ancora attiva la convenzione-quadro stipulata dalla Consip S.p.A.; 2) quella delle gare relative a lotti geografici per i quali la suddetta con- venzione-quadro è già stata attivata. nel primo caso, la Scrivente ritiene che si possa senz’altro procedere al- l’aggiudicazione delle procedure di gara in atto, ferma restando: 1) l’osservanza dei vincoli previsti dal menzionato art. 9 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89; e 2) la possibilità di recedere dai contratti stipulati, qualora sussistano le condizioni previste dall’articolo 1, co. 13, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 135. nel secondo caso, per contro, occorre verificare: 1) se l’offerta dell’aggiudicatario presenti una “complessiva maggiore convenienza e utilità” rispetto alle specifiche condizioni contrattuali previste nella convenzione-quadro (art. 1, co. 1, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 135; nonché, in giurisprudenza, Consiglio di Stato n. 1937 del 2018 e n. 6817 del 2021); 2) ovvero, se le condizioni previste nella convenzione-quadro siano ef rASSegnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 fettivamente idonee al soddisfacimento dello specifico fabbisogno dell'amministrazione (idoneità che -come s’è detto -verrebbe meno “per assenza di caratteristiche essenziali”) e, quindi, vi sia una concreta sovrapponibilità con le condizioni negoziali offerte dall’aggiudicatario (cfr. dall’art. 1, co. 510, della legge 28 dicembre 2015, n. 288; nonché, in giurisprudenza, t.a.r. toscana Firenze, n. 1071 del 2021). Difatti, soltanto in presenza delle suddette condizioni alternative, è possibile addivenire alla legittima aggiudicazione del contratto di appalto. ebbene, la Scrivente ritiene che -nel caso in esame -si possa procedere alla conclusione delle gare gestite in via autonoma dalle singole Direzioni regionali dei vigili del fuoco, in quanto esse sembrerebbero condurre alla stipulazione di appalti connotati da condizioni contrattuali di “complessiva maggiore convenienza e utilità”, rispetto a quelle previste nella convenzione- quadro, anche in considerazione della sovrapponibilità soltanto parziale tra i due strumenti negoziali. ed invero, codesto Dicastero ha evidenziato che: 1) la convenzione-quadro è strutturata per Province, in alcuni casi anche non coincidenti con il territorio regionale di riferimento e, nel caso del Comune di roma, per Municipi; pertanto, in ragione dell’articolazione su base regionale dei centri di spesa, l’adesione alla suddetta convenzione-quadro comporterebbe notevoli aggravi procedurali, amministrativi e contabili, rispetto all’aggiudicazione delle gare in corso, già strutturate su base regionale e interregionale, nonché su tre lotti funzionali per le Scuole centrali di formazione; 2) il disciplinare di gara ed il capitolato tecnico della Consip stabiliscono che la durata dei contratti sia pari a tre anni; sicché, l’eventuale adesione alla convenzione-quadro comporterebbe un onere economico eccedente rispetto alle attuali disponibilità di bilancio previste per un biennio e già prese in considerazione nell’ambito delle singole gare di appalto, che prevedono appunto l’aggiudicazione di contratti di appalto della durata di due anni; 3) sussiste una sovrapponibilità soltanto parziale delle condizioni contrattuali sul piano qualitativo e normativo, in ragione -inter alia -delle seguenti circostanze: a) la convenzione-quadro stipulata dalla Consip, a differenza dell’appalto specifico bandito da codesto Dicastero, non è aggiornata ai nuovi Criteri Ambientali Minimi (CAM) di cui al D.M. n. 51 29 gennaio 2021, pubblicato sulla g.u. n. 42 del 19 febbraio 2021, in vigore dal 19 giugno 2021; b) la convenzione-quadro ha ad oggetto un appalto a misura e non a corpo, come accade invece nel caso delle gare bandite da codesta Amministrazione, con la conseguenza che l’adesione alla convenzione-quadro potrebbe comportare -in concreto -dei costi maggiori per le singole stazioni appaltanti; c) la suddetta convenzione-quadro prevede un extra canone per l’attività PArerI DeL CoMItAto ConSuLtIVo di pulizia straordinaria da calcolare separatamente, con un ulteriore incremento del prezzo a carico delle stazioni appaltanti, laddove il capitolato tecnico predisposto da codesto Dicastero prevede la possibilità di ore aggiuntive di pulizia straordinaria già nell’ambito dell’offerta economica complessiva. Pertanto, in considerazione dei suddetti elementi riferiti da codesta Amministrazione, si ritiene che nulla osti all’aggiudicazione delle gare in corso, ferma restando la possibilità di recedere dai contratti stipulati, qualora -nell’ambito dell’esecuzione concreta del singolo rapporto negoziale -dovesse emergere la sussistenza delle condizioni previste dall’articolo 1, co. 13, del de- creto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 135. La questione è stata sottoposta al Comitato Consultivo dell’Avvocatura dello Stato, che si è espresso in conformità nella seduta del 16 marzo 2022. rASSegnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 Corrispondenza intercorrente tra Amministrazioni dello Stato e Avvocatura dello Stato inerente ad atti defensionali. istanza di accesso ed ostensibilità Parere del 07/04/2022 -226377, al 19451/2021, avv. maurIzIo GreCo Con la nota che si riscontra n. 5319/15-37-12, del 3 dicembre 2021, codesto Comando rappresenta quanto segue. Il -omissis-ebbe a proporre ricorso al t.a.r. Lazio avverso un provvedimento di trasferimento che riguardava altro ufficiale dell’Arma destinato alla sede di Imperia. Il t.a.r. Lazio ha dichiarato la propria incompetenza territoriale e l’ufficiale ha così provveduto alla riassunzione del giudizio avanti al t.a.r. Liguria. Il t.a.r Liguria ha poi stabilito, in data 11 novembre 2021, l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse, dato l’atto di rinuncia proposto dall’ufficiale in data 27 settembre 2021. medio tempore, il 9 agosto 2021, l’ufficiale aveva chiesto che gli venisse inviata copia della memoria con cui l’Amministrazione aveva interloquito con la Scrivente sui motivi di ricorso, richiesta che non era stata accolta alla luce dell’art. 2 del D.P.C.M. n. 200/1996. Detta richiesta sarebbe stata reiterata in data 16 novembre 2021. Ciò premesso, si osserva che non risulta possibile dare favorevole corso alla istanza dell’ufficiale. ed infatti, agli atti della Scrivente risulta pervenuta la nota di codesto Comando n. 5319/14-10-18, in data 8 giugno 2021, contenente gli elementi difensivi dell’Amministrazione. Detta nota, proprio per la sua natura, facendo riferimento ad elementi finalizzati ad assicurare la difesa dell’Amministrazione ed essendo quindi direttamente funzionale alla tutela della stessa in giudizio (cfr., art. 14 r.D. 1611/1933), contenendo valutazioni di ordine strategico-difensivo, appare essere sottratta in quanto tale al regime ostensivo in virtù di quanto previsto dal combinato disposto degli artt. 24 comma 1), lettera a, L. 241/1990, 2 e 5 del D.P.C.M. n. 200/1996 (cfr., tra le tante, Cons. St. sez. IV sentt. nn. 2496/2021 e 6115/2021). In particolare si sottolinea che ai sensi dell’art. 2 del citato D.P.C.M. 200/96 sono sottratti all’accesso i seguenti documenti: “a) pareri resi in relazione a lite in potenza o in atto e la inerente corrispondenza; b) atti defensionali; c) corrispondenza inerente agli affari di cui ai punti a) e b)”. Il requisito dell’attinenza “a lite in potenza o in atto” è dunque previsto solo per i pareri (resi, evidentemente dall’Avvocatuxa dello Stato, in relazione a una lite); ne consegue che analoga riferibilità non sussiste in relazione agli PArerI DeL CoMItAto ConSuLtIVo atti defensionali e alla corrispondenza ad essa (punto b) inerente, che devono quindi ritenersi sottratti all’accesso sine die. È questa la fattispecie che emerge nel presente caso. Infatti, con la nota in esame, sono stati forniti tutti gli elementi informativi e tecnico-difensivi della controversia che appunto, in quanto tali, sono caratterizzati dalla riservatezza, mirando alla tutela della posizione dell’Amministrazione, la quale deve essere libera di esercitare il proprio diritto di difesa garantito dalla Costituzione e deve poter fruire, in detto ambito, di una tutela pari a quella di qualsiasi altro soggetto dell’ordinamento quando ha interlocuzioni con il proprio legale Istituzionale. Ferme queste osservazioni, anche a voler, in via meramente ipotetica e qui denegata, opinare diversamente ritenendo necessaria l’attinenza del documento a lite in potenza o in atto, rimarrebbe comunque impregiudicata la circostanza che, come sopra cennato, trattasi di controversia esaurita, non sussistendo così alcuna ragione né difensiva né di altro genere da cui parte istante possa trarre concreta utilità da un eventuale accesso. L’accesso richiesto, infatti, non può essere ritenuto funzionale alla tutela di alcun interesse giuridicamente rilevante (accesso c.d. conoscitivo) né, tantomeno, stante l’intervenuta definizione della lite, è strumentale alla difesa in giudizio (c.d. accesso difensivo). Si rimane a disposizione per quanto ulteriormente necessario. Sul presente parere si è espresso in conformità il Comitato consultivo nella seduta del 16 marzo 2022. rASSegnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 Soggetti danneggiati da trasfusioni con sangue infetto. Procedure transattive di cui alla l. 29 novembre 2007 n. 222 e all’articolo 2, comma 362, della l. 31 dicembre 2007 n. 244 alla luce della nota sentenza 5 novembre 2021, n. 16 dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato Parere del 16/06/2022 -397040, al 48906/2021, v.a.G. enrICo de GIovannI Con la nota in epigrafe codesta Amministrazione segnala di trovarsi nella necessità di far fronte all’esecuzione di alcune sentenze del Consiglio di Stato in materia di transazioni disciplinate dalle leggi nn. 222 e 244/2007, che hanno annullato i provvedimenti di rigetto adottati dall’Amministrazione in considerazione della ritenuta maturazione -peraltro esclusa dal giudice di primo grado - dei termini previsti dall’art. 5, comma 1, del d.m. 4 maggio 2012. In particolare, svolge le seguenti osservazioni in riferimento alla sentenza n. 3698 del 2021 del Consiglio di Stato, pubblicata in data 11 maggio 2021. nella prefata sentenza, il Consiglio di Stato ha statuito che il Ministero della Salute dovrà riesaminare la domanda di ammissione alla transazione presentata dall’appellante tenendo conto dei principi espressi in motivazione ed accertando se, come dedotto in giudizio (e provato con la relativa documentazione), altri danneggiati che versavano nella medesima condizione dell’appellante siano stati ammessi alla transazione. Con riferimento alla prima parte della statuizione nella motivazione si legge che si “imponeva all’amministrazione di approfondire la problematica rappresentata dalla parte danneggiata, indicando compiutamente le ragioni giuridiche per le quali, a fronte di una decisione esecutiva di primo grado, che aveva rigettato l’eccezione di prescrizione e che aveva riconosciuto il diritto al risarcimento del danno, l’amministrazione aveva nondimeno negato l’accesso alla procedura transattiva (introdotta dal legislatore a scopo deflattivo del contenzioso risarcitorio) sulla base di un presupposto (quello dell’intervenuta prescrizione del diritto), ritenuto insussistente dal giudice”. Codesta Amministrazione segnala che siffatto rigetto, a seguito di conforme parere della Scrivente, si fondava sul carattere non definitivo della sentenza di I grado (n. 19054 del 2014 del tribunale di roma), che ha riconosciuto, respingendo l’eccezione di prescrizione, il diritto al risarcimento del danno a favore dell’interessata, argomentazioni che sono state riaffermate, senza successo, nelle difese dinanzi al Consiglio di Stato. Pertanto, si teme che un eventuale ulteriore provvedimento di rigetto da parte dell’Amministrazione, fondato sull’eccezione di maturata prescrizione, determinerebbe, in caso di impugnazione ex art. 112 cod. proc. amm., un nuovo annullamento del provvedimento per violazione o elusione del giudicato. PArerI DeL CoMItAto ConSuLtIVo Per quanto concerne la seconda parte della pronuncia, laddove si richiede all’Amministrazione di accertare se altri danneggiati che versavano nella stessa condizione dell’appellante siano stati ammessi alla transazione, viene qui comunicato che una verifica istruttoria dell’ufficio, effettuata per le vie brevi, ha consentito di accertare che per tutti i soggetti stipulanti era stata accertata la sussistenza del requisito dell’art. 5, comma 1, lett. a) d.m. citato, vale a dire la non intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento. Premesso quanto sopra, codesta Amministrazione, ai fini di valutare se procedere o meno all’eventuale stipula della relativa transazione, chiede un parere sul caso sopra illustrato che possa fornire, in tema di prescrizione, utili elementi anche per eventuali successive fattispecie analoghe. ulteriore questione, che viene sottoposta alla Scrivente, riguarda quanto statuito dalle sentenze nn. 3533 e 3376 del 2021 del Consiglio di Stato, anche in considerazione dei provvedimenti adottati in conseguenza delle stesse dal Commissario ad acta nominato. La sentenza n. 3533 del 2021 (la sentenza n. 3376 del 2021 del Consiglio di Stato ha identico contenuto) ha statuito, fra l’altro, che: “Gli indennizzi in parola sono previsti e disciplinati da una disciplina di legge speciale (leggi n. 222/2007, art. 33, e 244/2007, art. 2, comma 360) che “autorizza il ministero della Salute, di concerto con il ministero dell’economia e delle Finanze, a stipulare transazioni con soggetti talassemici, affetti da altre emoglobinopatie o affetti da anemie ereditarie, emofiliaci ed emotrasfusi occasionali danneggiati da trasfusioni con sangue infetto o da somministrazione di emoderivati infetti e con soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie che avessero istaurato azioni di risarcimento ai sensi dell’art. 2043 ss. c.c.” e che impone l’“equa riparazione per i soggetti danneggiati da trasfusione con sangue infetto o emoderivati infetti da vaccinazioni obbligatorie” che abbiano presentato domanda di adesione alla procedura transattiva, di cui alla l. 244 del 2007, entro il 19 gennaio 2010”. ritiene il Consiglio di Stato che i plurimi interventi legislativi in materia rispondono ad una evidente ratio equitativa, volta a contenere il conseguente imponente e finanziariamente molto oneroso -contenzioso risarcitorio mediante la possibilità, per tutti gli interessati, di accedere in modo paritario ad un equo indennizzo, sottraendosi ai tempi, ai costi ed all’alea di un giudizio civilistico. ne consegue, sempre secondo le citate sentenze, che il giudice amministrativo deve prendere atto dell’avvenuto conferimento, all’Amministrazione, di una potestà pubblicistica, e quindi del potere-dovere di ristorare il danno indebitamente subito dai pazienti emotrasfusi, anche stipulando una transazione con ogni soggetto richiedente qualora lo stesso risulti oggettivamente compreso fra quelli danneggiati ed abbia formulato “domanda di risarcimento del danno ai sensi dell’art. 2043 ss. cc.” ovvero abbia presentato “domanda di adesione alla rASSegnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 procedura transattiva, di cui alla 1. 244 del 2007, entro il 19 gennaio 2010”, risultando “ultroneo” ogni diverso ed ulteriore limite prescrizionale o temporale previsto dalla normativa codicistica e discendendone l’impossibilità di applicare la ordinaria disciplina prescrizionale per la parte in cui ciò impedisse di dare attuazione al chiaro disposto della citata previsione di legge speciale. ne consegue, nei casi esaminati dalle citate decisioni, che, in presenza di una domanda di risarcimento ex art. 2043 c.c. ritualmente proposta (e peraltro accolta dal tribunale civile di primo grado) e di plurime domande di indennizzo reiteratamente proposte dall’interessata già prima dell’azione in giudizio, la previsione di cui al D.M. 4 maggio 2012, art. 5, comma 1, lett. a), non poteva in ogni caso ritenersi ostativa alla stipula della richiesta transazione mediante il richiamo a termini prescrizionali in realtà non applicabili alla fattispecie in esame; non è quindi possibile, prosegue il giudice amministrativo, individuare particolari ragioni ostative debitamente valutate dall’Amministrazione al fine di giustificare la non ammissione dell’appellante alla procedura transattiva. Il Consiglio di Stato ha disposto, in conclusione, che l’appello sia accolto e, per l’effetto, annullando l’impugnato diniego, ha dichiarato l’obbligo del nominato commissario ad acta di riesaminare la domanda dell’appellante, ammettendola alla procedura transattiva ai fini della corresponsione del previsto indennizzo. Codesta Amministrazione comunica quindi che a seguito delle predette sentenze il Commissario ad acta ha adottato due provvedimenti di ammissione alla procedura transattiva. tanto premesso si rileva quanto segue. **** Il presente parere prenderà in considerazione le questioni generali e di massima sollevate dalle descritte sentenze e valuterà gli effetti, sul piano interpretativo e, quindi, applicativo della vigente normativa, della nota sentenza 5 novembre 2021, n. 16 dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato; alla luce dei principi che saranno di seguito esposti si procederà poi, con successive note, a fornire specifiche indicazioni operative ai fini dell’esecuzione delle sopra riassunte sentenze del Consiglio di Stato. **** Come è noto, con la 1. 29 novembre 2007, n. 222 (di conversione del- l’articolo 33 del d.l. 1 ottobre 2007, n. 159) e con l’articolo 2, comma 362, della 1. 31 dicembre 2007, n. 244, si è prevista la possibilità per il Ministero della Salute di stipulare transazioni con soggetti danneggiati da trasfusioni con sangue infetto che abbiano instaurato azioni di risarcimento tuttora pendenti; con decreto 28 aprile 2009, n. 132, del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, è stato adottato il regolamento che ha fissato i criteri in base ai quali definire le transazioni da stipulare con i soggetti individuati dalla normativa. PArerI DeL CoMItAto ConSuLtIVo Con decreto 4 maggio 2012 del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze (c.d. “Decreto moduli”) sono stati definiti i moduli transattivi per cui sono state ritenute ammissibili, ai sensi del- l’art. 5, comma 1, dello stesso le sole istanze per le quali: “a) non siano decorsi più di cinque anni fra la data di presentazione della domanda per l’indennizzo di cui alla legge 25 febbraio 1992, n. 210 e la data di notifica dell’atto di citazione, da parte dei danneggiati viventi; b) non siano decorsi più di dieci anni tra la data del decesso e la data di notifica dell’atto di citazione da parte degli eredi dei danneggiati deceduti; c) non sia già intervenuta una sentenza dichiarativa della prescrizione”. Premesso che è stato autorevolmente affermato in giurisprudenza che, contrariamente a quanto ora ritenuto dal Consiglio di Stato nelle sentenze nn. 3533 e 3376/2021, il Ministero della Salute, in forza delle richiamate disposizioni, non ha l’obbligo giuridico di consentire la stipula delle transazioni, trattandosi di scelta rimessa alle valutazioni dell’ufficio competente, non comprimibili attraverso l’indicazione vincolante di un loro esito predeterminato (cfr. Corte di cassazione, sez. VI, sentenza n. 17403 del 30 luglio 2014; Consiglio di Stato, parere 13/2015 del 5 gennaio 2015), e che la circostanza che siffatta affermazione sia stata resa anche dalla Suprema Corte di cassazione, cui spetta la superiore funzione nomofilattica, appare per tale motivo particolarmente significativo (tale da superare diverse valutazioni anche del giudice Amministrativo), è stato posto il problema dell’interpretazione del citato art. 5. Come è noto, nei propri pareri e atti defensionali la Scrivente ha più volte affermato (in armonia con il disposto dell’art. 5 in esame) che, allorché il soggetto interessato (il danneggiato vivente nel caso della lettera a) abbia presentato domanda di adesione alla transazione quando sono trascorsi più di cinque anni tra la data di presentazione della domanda per l’indennizzo di cui alla l. n. 210 del 1992 e quella di notificazione dell’atto introduttivo del giudizio risarcitorio ovvero (essendo erede di danneggiato deceduto, lett. b) l’abbia presentata quando sono decorsi più di 10 anni tra la data del decesso del dante causa e quella di notifica dell’atto di citazione risarcitorio, l’istanza deve essere rigettata, e, ciò, si era ritenuto, perché, in questi casi, il diritto al risarcimento del danno doveva ritenersi estinto valutandosi che siffatti termini facessero riferimento all’intervenuta prescrizione quinquennale o decennale del relativo diritto. Le sentenze sopra ricordate del Consiglio di Stato giungono invece addirittura ad affermare, nel respingere le tesi difensive erariali, che “il giudice amministrativo deve prendere atto dell’avvenuto conferimento, all’amministrazione, di una potestà pubblicistica, e quindi del potere-dovere di ristorare il danno indebitamente subito dai pazienti -omISSIS-, anche stipulando una transazione con ogni soggetto richiedente qualora lo stesso risulti oggettiva rASSegnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 mente compreso fra quelli danneggiati ed abbia formulato “domanda di risarcimento del danno ai sensi dell’art. 2043 ss. c.c.” ovvero abbia presentato “domanda di adesione alla procedura transattiva, di cui alla l. 244 del 2007, entro il 19 gennaio 2010”.... alla luce della predetta previsione di legge speciale, risulta evidentemente ultroneo ogni diverso ed ulteriore limite prescrizionale o temporale previsto dalla normativa codicistica, discendendone la impossibilità di applicare la ordinaria disciplina prescrizionale per la parte in cui ciò impedirebbe di dare attuazione al chiaro disposto della citata previsione di legge speciale”; si tratta, come ben si vede, di una sostanziale e totale disapplicazione delle ricordate previsioni dell’art. 5 del d.m. 4 maggio 2012 in esame e, in particolare, dei termini ivi previsti per l’ammissibilità delle domande, ma, ancor di più, si tratta della totale disapplicazione delle norme di legge primaria che riconnettono l’estinzione di una posizione giuridica attiva al trascorrere di un determinato lasso di tempo, giungendosi, così, di fatto ad una violazione dei principi fondamentali del diritto in materia di prescrizione. A ciò si aggiunga che nelle prefate decisioni il Consiglio di Stato fa espresso riferimento all’istituto della prescrizione (“impossibilità di applicare la ordinaria disciplina prescrizionale”) evidentemente intendendo che i termini di cui all’art. 5 abbiano, appunto, natura prescrizionale. Va tuttavia ricordato che sul tema specifico è intervenuta la citata sentenza n. 16/2021 dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato che così si è espressa nell’esaminare l’art. 5, comma 1, del decreto 4 maggio 2012. “È proprio sulle lettere a) e b) del “decreto moduli” che si appunta la quaestio iuris sollevata..., la Sezione rimettente non nutre dubbio alcuno che la lett. b), nel tracciare il perimetro di applicabilità della speciale procedura transattiva, si riferisca al danno iure hereditatis, con esclusione del danno eventualmente subito dalle vittime secondarie iure proprio (si rinvia sul punto all’ampia argomentazione contenuta nell’ordinanza di rinvio, paragrafo 17) e dunque si limita a interrogare questa adunanza sul significato utile da dare alla previsione ivi riportata con riferimento al solo danno iure hereditatis, non mancando di prospettare un range di opzioni esegetiche di natura conservativa che si basano, in tesi, su una possibile rinuncia alla prescrizione fondata sulla pietas dell’ordinamento verso le ipotesi più gravi (opzione tuttavia ritenuta impraticabile stante il disposto dell’art. 2937, comma 2, c. c., secondo il quale “si può rinunziare alla prescrizione solo quando questa è compiuta”) o, secondo altra tesi, di natura demolitiva, fondata, per converso, sull’esistenza di un’irriducibile aporia in ordine ai termini prescrizionali applicabili, da risolvere attraverso gli strumenti della disapplicazione (se e in quanto si possa ritenere la fonte di natura “sostanzialmente” regolamentare) oppure della declaratoria di nullità del “dm moduli”. PArerI DeL CoMItAto ConSuLtIVo 3.1. Tra le opzioni esegetiche passate in rassegna dalla Sezione ve n'è infine una che, senza sottacere l’equivocità della formulazione normativa, ha il pregio di stemperare il problematico rapporto delle previsioni del “dm moduli” con i principi generali in tema di prescrizione, assegnando al citato dm il ruolo meramente applicativo di definizione temporale delle condizioni di accessibilità degli eredi al modulo transattivo fermo il regime sostanziale della prescrizione fissato dalla legge. 4. ritiene la Sezione che questa ultima sia l’opzione ermeneutica da seguire. 5. né il regolamento di cui al dm 28 aprile 2009, n. 132, né il “dm moduli” a cui il primo ha demandato la fissazione di alcuni profili meramente attuativi della fattispecie avrebbero potuto prevedere alcunché di innovativo in materia di prescrizione, non avendo forza di legge (cfr. art. 2946 cc e seguenti). Trattasi di fonti e atti generali applicativi, il cui unico compito è piuttosto quello di dettare criteri e modalità operative per la definizione transattiva delle liti pendenti, alla luce dei principi generali in materia di decorrenza dei termini di prescrizione del diritto fissati dal codice civile. 6. l’amministrazione, nell’adempiere a tale compito a mezzo del “dm moduli”, ha ritenuto di individuare quale criterio primario, idoneo a scremare l’area della materia contenziosa suscettibile di speciale transazione, quello dell’insussistenza di una sentenza dichiarativa della prescrizione (lett c). Questa è invero l’unica previsione che deve ritenersi direttamente collegata all’effettivo decorso dei termini prescrizionali: essa è declinata nel senso che se la prescrizione è stata oggetto di accertamento giurisdizionale, seppur non coperto da giudicato, l’accesso al modulo transattivo è da ritenersi precluso. 6.1. le altre due coordinate selettive, riferite rispettivamente ai “danneggiati viventi” (lett. a) e agli “eredi dei danneggiati deceduti” (lett. b) si limitano, ferma la condizione del mancato intervento di una sentenza accertativa della prescrizione, a definire un arco temporale entro il quale la domanda di adesione alla procedura transattiva può essere presentata. Ciò fanno, è da ritenere, sulla base di motivazioni che non attengono al presunto maturarsi della prescrizione alla luce delle previsioni codicistiche, ma a ragioni di carattere gestionale correlate alla limitatezza delle risorse messe a disposizione, e, probabilmente, al grado di interesse e bisogno del danneggiato presuntivamente evincibile dai tempi di attivazione del giudizio. del resto, se così non fosse, e se viceversa si ritenesse che il quinquennio indicato in seno alla lett. a) nonché il decennio di cui alla lett. b) fossero in qualche modo correlati al decorso del termine prescrizionale, sarebbe agevole osservare che tali termini sono suscettibili di interruzione anche a mezzo di atto stragiudiziale, e sarebbe pertanto errato presumere il maturarsi della prescrizione senza estendere l’indagine e le valutazioni anche al rapporto preprocessuale. 6.2. l’indicata soluzione esegetica, che sgancia il disposto applicativo rASSegnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 dalle disposizioni codicistiche in tema di prescrizione, deriva, oltre che dal tenore testuale delle disposizioni, anche dai criteri ermeneutici di carattere sistematico e teleologico. Il procedimento transattivo del quale si discorre è certamente procedimento di carattere speciale che non esclude la percorribilità della transazione ordinaria fra le parti ove ne ricorrano i presupposti generali di cui all’art. 1965 c.c. esso ha la duplice finalità di incidere sul vasto contenzioso che la vicenda ha generato nonché di offrire in tempi rapidi (purtroppo solo auspicati) ai danneggiati o ai loro eredi un ristoro, sì da evitare che, specialmente nelle fasce di popolazione a basso reddito, al danno si associno ulteriori disagi sociali ed economici. 6.3. la soluzione interpretativa è anche l’unica coerente con il topos ermeneutico dell’interpretazione “conforme” atteso che è l’unica, alla luce della formulazione testuale della disposizione, ad assicurare la conformità dell’impianto attuativo con le superiori regole in materia di prescrizione, così come chiarite dalla Corte di Cassazione, a mente delle quali in caso di decesso del danneggiato a causa del contagio, la prescrizione rimane quinquennale per il danno subito da quel soggetto in vita, del quale il congiunto chieda il risarcimento iure hereditatis “trattandosi pur sempre di un danno da lesione colposa, e dunque di un reato a prescrizione quinquennale” (da ultimo, Cass. civ., n. 5964/2016 cit.). 7. Può dunque rispondersi ai quesiti posti dalla Sezione III nel modo che segue: a) la previsione di cui all’art. 5, comma 1, lettera b), del d.m 4 maggio 2012 comprende nel proprio ambito applicativo l’ipotesi della richiesta di adesione alla transazione formulata dall’erede del danneggiato da emotrasfusioni, il quale abbia fatto valere in giudizio la propria pretesa al risarcimento del danno iure hereditario; b) il termine decennale contemplato dal citato art. 5, comma 1, lettera b), non è riferibile alla presunta prescrizione ma si limita a segnare l’ambito temporale entro il quale la pendenza del giudizio costituisce il necessario presupposto per l’ammissione alla transazione. Siffatta ricostruzione della natura dei termini previsti dall’art. 5 in esame si pone dunque in contrasto con le pregresse sentenze dello stesso Consiglio di Stato sopra illustrate, sulle quali codesta Amministrazione chiede indicazioni a questo g.u., ed impone un ripensamento anche delle tesi finora sostenute dalla Scrivente in sede sia processuale che consultiva, giacché, come già segnalato, questa Avvocatura aveva in passato talvolta ritenuto che i termini in esame fossero riconducibili all’istituto della prescrizione: al contrario, come affermato dall’A.P., “le ... due coordinate selettive, riferite rispettivamente ai “danneggiati viventi” (lett. a) e agli “eredi dei danneggiati deceduti” (lett. PArerI DeL CoMItAto ConSuLtIVo b) ... non attengono al presunto maturarsi della prescrizione”, ma si limitano “a segnare l’ambito temporale entro il quale la pendenza del giudizio costituisce il necessario presupposto per l’ammissione alla transazione”; detti termini hanno, quindi, natura procedimentale, integrando altrettante condizioni di ammissibilità dell’istanza di adesione alla procedura transattiva speciale, ferma restando l’ulteriore condizione del mancato intervento di una sentenza, anche non definitiva, accertativa della prescrizione, di cui alla successiva lett. c) del comma 1 dell’art. 5 del decreto c.d. moduli. L’A.P. precisa che tali previsioni si giustificano, non in relazione al presunto maturarsi della prescrizione alla luce delle previsioni codicistiche, ma sulla base di ragioni di carattere gestionale correlate alla limitatezza delle risorse messe a disposizione, e, probabilmente, al grado di interesse e bisogno del danneggiato presuntivamente evincibile dai tempi di attivazione del giudizio. Viene dunque radicalmente superato ogni riferimento al concetto di prescrizione nell’interpretazione e applicazione del disposto dell’art. 5, comma 1, lettere a) e b) del decreto all’esame. tuttavia, si precisa, il regime legale della prescrizione -la sua durata e, ancor prima, la sua operatività -rimane fermo, anche perché tale regime può essere modificato soltanto da una fonte normativa primaria, quale i decreti al- l’esame certamente non sono (v., del resto, i riferimenti all’istituto della prescrizione contenuti nell’art. 2, comma 2, del d.m. n. 132/2009 e nella stessa sentenza dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato). **** tanto precisato si impone, tuttavia, un ulteriore chiarimento. Come più volte affermato dalla giurisprudenza, ivi compresa quella del Consiglio di Stato a sezioni semplici sopra ricordata, la procedura transattiva speciale in questione è stata introdotta dal legislatore a scopo deflattivo del contenzioso risarcitorio. tuttavia, qualora il contenzioso risarcitorio civile sia, sulla base di concreti elementi, suscettibile di essere definito (o, addirittura, sia già stato definito, anche se non in via di giudicato, come precisato nella già ricordata lett. c) del comma 1 dell’art. 5 in esame) in relazione all’intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento del danno, non vi è ragione per accedere alla soluzione transattiva: il che vuol dire che resta fermo il fatto che codesta Amministrazione, nell’esercizio della propria discrezionalità, non potrà comunque prescindere da una valutazione prognostica circa la ricorrenza, appunto, di un’eventuale prescrizione del diritto, e dovrà dunque denegare la transazione ogni qualvolta riterrà plausibile l’intervenuta prescrizione, in applicazione delle ordinarie norme civilistiche, del diritto predetto, salvo, s’intende, che già non esista un giudicato negativo al riguardo. **** rASSegnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 Dunque, alla luce di quanto finora esposto, si ritiene di poter affermare che: 1) le previsioni di cui all’art. 5, comma 1, lett. a), b) e c) del d.m. 4 maggio 2012 contemplano altrettante condizioni di ammissibilità alla procedura transattiva speciale: ne va quindi previamente e preliminarmente verificata la sussistenza in ogni singolo caso; ne consegue che l’accesso alla transazione dovrà essere negato ogni qualvolta risultino carenti dette condizioni, senza che in tal caso assumano rilevanza eventuali decisioni intervenute in sede processuale civile in relazione alla non maturata prescrizione del diritto al risarcimento dei danni, ferma, comunque, la autonoma rilevanza ostativa di una sentenza dichiarativa della prescrizione, anche se non passata in giudicato, prevista dalla lett. c) (costituente anch’essa autonoma condizione di (in)ammissibilità della domanda di adesione); 2) altro, invece, sono i requisiti di merito -attinenti anche alla “convenienza”, per l’Amministrazione, della transazione, tra i quali rileva, in primis, la non intervenuta estinzione, per prescrizione, del diritto al risarcimento del danno -che andranno anch’essi debitamente valutati, sempreché, beninteso, l’istanza risulti ammissibile ai sensi della disposizione più sopra citata. Dunque (si sottolineano i diversi riferimenti ai danneggiati viventi e agli eredi di quelli deceduti) dovrà negarsi la transazione qualora l’istanza risulti inammissibile poiché: -(ipotesi a)) sono decorsi più di cinque anni tra la data di presentazione della domanda per l’indennizzo di cui alla legge 25 febbraio 1992, n. 210 e la data di notifica dell’atto di citazione da parte dei danneggiati viventi; -(ipotesi b)) sono decorsi più di dieci anni tra la data del decesso e la data di notifica dell’atto di citazione da parte degli eredi dei danneggiati deceduti; -(ipotesi c)) sempre, qualora sia già intervenuta una sentenza dichiarativa della prescrizione, anche se non definitiva. Qualora l’istanza risulti ammissibile, occorrerà poi verificare la sussistenza di tuffi i requisiti di merito, fra i quali assume particolare rilevanza la mancata estinzione del diritto risarcitorio per prescrizione. Sulla base di tale (nuova) opzione ermeneutica, particolarmente autorevole in ragione dell’organo dal quale promana (Adunanza Plenaria del C.D.S.) si potrà d’ora in poi operare a fronte di istanze transattive; sotto tale specifico profilo, risultano dunque superate, quali precedenti giurisprudenziali, anche le sentenze nn. 3533 e 3376 del 2021 del Consiglio di Stato (che, in quanto coperte dal giudicato, tuttavia restano pienamente vincolanti ed esecutive con riferimento alle parti dei rispettivi giudizi e che quindi in tal senso andranno senz’altro eseguite). **** Dalla suestesa impostazione -fondata sulla distinzione e concorrenza di PArerI DeL CoMItAto ConSuLtIVo condizioni di ammissibilità e requisiti di merito, prescrizione in primis, della transazione speciale -deriva inoltre la necessità, in sede civile risarcitoria, di continuare ad eccepire tempestivamente, ove ne ricorrano gli estremi, la prescrizione del diritto al risarcimento del danno. **** Altra questione, anch’essa posta da codesta Amministrazione, è quella riguardante il caso in cui sia già intervenuto un provvedimento del Commissario ad acta che abbia ammesso il richiedente alla transazione; in tal caso, deve ritenersi che l’Amministrazione sia tenuta a dare esecuzione al provvedimento stesso; qualora, come affermato dal C.D.S. nelle citate sentenze nn. 3533 e 3376 del 2021 (che sul punto appaiono corrette), risultino profili ostativi diversi da quelli che sono stati oggetto del contenzioso e dunque decisi dal giudice amministrativo (diversi, quindi, per restare alle questioni oggetto del presente parere, da quelle legate all’assenza delle condizioni di cui all’art. 5 in esame), i profili medesimi dovranno essere riscontrati e valutati dal medesimo Commissario ad acta, e non dall’Amministrazione (che con l’insediamento di questi ha oramai perso il potere di provvedere). **** resta il problema dell’ottemperanza alle pregresse sentenze, definitive, che abbiano già statuito in senso difforme rispetto alle suesposte indicazioni; naturalmente, in questi casi opera il limite del giudicato, cosicché ad esse dovrà prestarsi puntuale esecuzione. È il caso, si cita ad esempio, della sentenza n. 3533/2021, a cui fa riferimento la richiesta di parere; in questa ipotesi il CDS ha ordinato “al nominato commissario ad acta di ammettere l’appellante alla richiesta procedura transattiva nei termini e alle condizioni di cui in motivazione e di procedere in caso positivo alla liquidazione dell’indennizzo di legge”: il Commissario ad acta, ausiliario del g.A., ha operato e provveduto in esecuzione dell’ordine del giudice e codesta Amministrazione non potrà che prendere atto delle determinazioni al riguardo assunte. Sulla questione si è espresso in senso conforme il Comitato Consultivo dell’Avvocatura dello Stato nella seduta del giorno 9 giugno 2022. rASSegnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 Quesito sulla trasferibilità da parte dell’esacri in liquidazione coatta amministrativa in favore dell’Associazione nazionale Cri, di beni immobili ai sensi dell’art. 4-bis, d.lgs. 28 settembre 2012, n. 178 inserito dall’art. 1, co. 486, l. 30 dicembre 2020, n. 178 Parere del 18/07/2022-469877, al 14244/2021, ProC. valerIa romano 1. il quesito e il metodo per la relativa soluzione. Con la nota in riscontro codesto ente ha chiesto alla Scrivente di esprimere il proprio avviso in ordine al corretto significato da ascrivere ed alla precisa portata applicativa da riconoscere all’art. 4-bis del d.lgs. 28 settembre 2012, n. 178. Più in particolare, l’Amministrazione ha chiesto di chiarire se sia o meno possibile, in pendenza della procedura di liquidazione coatta amministrativa, disporre, ai sensi della norma richiamata, il trasferimento a titolo gratuito in favore dell’Associazione nazionale CrI di tre beni immobili rispettivamente siti in roma, Albino (Bg) e Scarlino (gr) con la precisazione che i cespiti in parola sono impiegati per scopi sanitari, sociali ed assistenziali risultando il primo, sito in roma, locato al Ministero della giustizia e destinato alla tutela dei minori colti in flagranza di reato ed in condizioni di disagio, il secondo, sito in Albino (Bg), impiegato per l’assistenza di anziani non autosufficienti ed il terzo bene, ubicato nel territorio del comune di Scarlino (gr), attualmente concesso in locazione alla ASL toscana sud-est, deputato allo svolgimento di attività ambulatoriale in favore della comunità del luogo. In disparte la destinazione ed il regime giuridico dei singoli immobili sui quali la disamina si intratterrà infra (1), l’oggetto del quesito innanzi riassunto, già ad un primo esame, pare alla Scrivente far emergere il tratto peculiare di fondo della procedura di liquidazione coatta amministrativa cui è sottoposto l’esacri in forza del d.lgs. 28 settembre 2012, n. 178. Detta peculiarità risiede, infatti, nella circostanza per cui gli organi alla stessa preposti non sono chiamati a perseguire unicamente finalità di smobilitazione coattiva del patrimonio dell’ente debitore nell’interesse esclusivo dei creditori, ma finalizzano la propria attività anche alla realizzazione di interessi di tipo pubblicistico direttamente indicati dal Legislatore tra i quali -giusta il disposto dell’art. 2 del d.lgs. 28 settembre 2012, n. 178 -l’interesse a “concorrere temporaneamente allo sviluppo” dell’Associazione della Croce rossa italiana. In altri termini, la questione se taluni immobili, in concreto impiegati per finalità sociali ma contestualmente qualificabili come poste attive nel patrimonio dell’ente in indirizzo, possano essere trasferiti, a titolo gratuito, (1) Si rinvia al § 3.1. PArerI DeL CoMItAto ConSuLtIVo all’organizzazione privata di volontariato nell’ottica di concorrere allo sviluppo della stessa ovvero debbano essere sottoposti alle procedure di vendita coattiva affinché il relativo ricavato sia ripartito tra i creditori, evidenzia la dualità e la intrinseca conflittualità degli scopi che contestualmente permeano ex lege la liquidazione coatta amministrativa cui è sottoposta l’Amministrazione in indirizzo perché, come evidente, l’interesse dei creditori di codesto ente pubblico al soddisfacimento dei crediti ammessi al passivo della procedura concorsuale può subire un detrimento a causa di atti dispositivi in favore dell’Associazione CrI, pur sempre compiuti -sebbene con lo scopo di concorrere all’attuazione delle finalità istituzionali dell’Associazione -a titolo gratuito ed in pendenza della liquidazione coatta amministrativa con conseguente incisione pregiudizievole sull’attivo concorsuale. Muovendo da tale sfondo concettuale che evoca il generale tema del valore da assegnare alla soddisfazione degli interessi collettivi nelle procedure concorsuali liquidatorie, l’approccio metodologico che pare alla Scrivente più consono alla ricerca della soluzione del quesito formulato postula, in primis, un’analisi sul come -sul piano normativo -prima dell’entrata in vigore dell’art. 4-bis del d.lgs. 28 settembre 2012, n. 178, il Legislatore delegato abbia disciplinato i limiti e le condizioni dell’esercizio del potere traslativo di titolarità di codesto ente in favore dell’Associazione italiana della Croce rossa, bilanciando l’interesse patrimoniale dei creditori con l’interesse dell’organizzazione di volontariato alla continuità nell’esercizio delle proprie finalità istituzionali. In seconda battuta si renderà necessaria un’analisi testuale e teleologica dell’art. 4-bis del d.lgs. 28 settembre 2012, n. 178 e -successivamente -una verifica circa la sussistenza, nel testo dell’art. 4-bis nonché alla stregua dell’intero ordito normativo del d.lgs. 28 settembre 2012, n. 178, di indicazioni legislative utili per orientare l’Amministrazione, nel caso di specie, ad un ponderato bilanciamento delle contrapposte esigenze in rilievo ed alla conseguente valutazione in ordine alla trasferibilità o meno delle unità immobiliari oggetto della nota in riscontro. 2. il potere traslativo di beni immobiliari dell’esacri in liquidazione coatta amministrativa in favore dell’Associazione italiana Cri prima dell’entrata in vigore dell’art. 4-bis del d.lgs. 28 settembre 2012, n. 178: natura giuridica, limiti e condizioni legittimanti. già nell’assetto normativo antecedente all’entrata in vigore dell’art. 4bis del d.lgs. 28 settembre 2012, n. 178, il Legislatore delegato riconosceva, in capo all’esacri, il potere di adottare provvedimenti, ex uno latere e fuori da un contesto negoziale, di trasferimento in favore dell’Associazione della proprietà di beni immobili ritenuti, dall’ente pubblico procedente, necessari allo svolgimento dei compiti istituzionali dell’organizzazione di volontariato di diritto privato. La base normativa legittimante l’esercizio del potere in rASSegnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 parola era rappresentata dall’art. 4, comma 1 bis, d.lgs. n. 178/12 a mente del quale: “l’ente individua con propri provvedimenti i beni mobili ed immobili da trasferire in proprietà all’associazione ai sensi del presente decreto. I provvedimenti hanno effetto traslativo della proprietà, producono gli effetti previsti dall’articolo 2644 del codice civile e costituiscono titolo per la trascrizione. I provvedimenti di individuazione dei beni costituiscono, altresì, titolo idoneo ai fini del discarico inventariale dei beni mobili da trasferire in proprietà all’associazione nonché per l’assunzione in consistenza da parte di quest’ultima. I provvedimenti di cui al presente comma sono esenti dal pagamento delle imposte o tasse previste per la trascrizione, nonché di ogni imposta o tassa connessa con il trasferimento della proprietà dei beni all’associazione”. La disposizione innanzi richiamata attribuiva, dunque, all’ente in indirizzo un vero e proprio potere autoritativo destinato ad estrinsecarsi nell’adozione di atti unilaterali di trasferimento della proprietà idonei ad incidere unilateralmente sulla sfera giuridica dell’Associazione attraverso l’adozione di “provvedimenti” aventi effetto reale e costituenti titolo per la trascrizione nei registi immobiliari in favore del destinatario del provvedimento senza che la previa acquisizione del consenso dell’Associazione accipiens fosse normativamente richiesta quale elemento costitutivo della fattispecie traslativa diversamente da quanto previsto per gli atti traslativi di diritti reali immobiliari tra privati per i quali è -di regola -richiesta una manifestazione di volontà del destinatario degli effetti traslativi sia nella forma dell’accettazione in ambito contrattuale o di delazione ereditaria a titolo universale, sia nella forma del rifiuto in materia, ad esempio, di delazione ereditaria a titolo particolare (2). La produzione, iure imperii, dell’effetto traslativo immediatamente e direttamente ricondotto all’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 4, comma 1 bis, d.lgs. n. 178/12 -ponendosi in deroga al principio per cui, salve le fattispecie di acquisto a titolo originario della proprietà, ai fini dell’acquisto di un diritto reale immobiliare è di regola richiesta nel nostro ordinamento una manifestazione di volontà dell’interessato -è stata debitamente circoscritta dal Legislatore delegato sia ratione temporis sia con riguardo alle condizioni legittimanti l’adozione dello schema traslativo provvedimentale in parola da parte di codesto ente. In tale ottica, l’art. 8, comma 2, d.lgs. n. 178/12 così disponeva “... entro il 31 dicembre 2017, i beni mobili ed immobili necessari ai fini statutari e allo svolgimento dei compiti istituzionali e di interesse pubblico dell’associazione sono trasferiti alla stessa. alla conclusione della liquidazione, i beni mobili e immobili (2) In tema si v., amplius punto IV del parere reso dalla Scrivente con riguardo all’affare legale CS 51830/19 in riscontro alle Vostre note del 26 giugno 2019 n. 11066 e prot. n. 9697 del 31 maggio 2019. PArerI DeL CoMItAto ConSuLtIVo rimasti di proprietà dell’ente sono trasferiti all’associazione, che subentra in tutti i rapporti attivi e passivi ...”. Alla stregua delle disposizioni richiamate il potere traslativo della proprietà di beni immobiliari dell’esacri in liquidazione coatta amministrativa in favore dell’Associazione italiana CrI prima dell’entrata in vigore dell’art. 4bis del d.lgs. 28 settembre 2012, n. 178 poteva avere ad oggetto: a) gli immobili necessari ai fini statutari e allo svolgimento dei compiti istituzionali e di interesse pubblico dell’Associazione; b) i cespiti residuati -alla chiusura della procedura concorsuale -in proprietà dell’ente. Sotto il profilo temporale, la disciplina recata dal combinato disposto degli artt. 4, comma 1-bis, e 8, comma 2, del d.lgs. n. 178/12 collocava la facoltà, per l’ente in indirizzo, di esercizio del potere traslativo pubblicistico in esame in due specifici segmenti cronologici: a) prima dell’avvio della liquidazione coatta amministrativa (entro il 31 dicembre 2017) per l’adozione dei provvedimenti traslativi di immobili ritenuti necessari ai fini statutari e allo svolgimento dei compiti istituzionali e di interesse pubblico dell’Associazione; b) successivamente alla chiusura della stessa procedura concorsuale per i cespiti rimasti a quel momento in proprietà dell’ente. Dalla disciplina innanzi riassunta era dato inferirsi -in ragione del principio di legalità e tipicità dei provvedimenti amministrativi -che nel frangente temporale intermedio, intercorrente tra l’avvio della liquidazione coatta amministrativa (1 gennaio 2018) (3) e la chiusura della procedura, non risultava ascrivibile -in difetto di una base normativa legittimante -in capo all’ente in indirizzo alcun potere traslativo con riguardo ai beni che, sebbene necessari allo svolgimento dei compiti istituzionali dell’Associazione, non erano stati trasferiti entro il termine assegnato dal Legislatore del 31 dicembre 2017, mentre risultava sussistente, anche in pendenza della procedura di liquidazione, il potere -non temporalmente circoscritto -di trasferimento di cui all’art. 4, comma 1, lett. d) d.lgs. n. 178/12 a mente del quale “Il Commissario e successivamente il Presidente nazionale (...) trasferiscono all’associazione, a decorrere dal 1° gennaio 2016, i beni pervenuti alla CrI attraverso negozi giuridici modali e concedono in uso gratuito, con spese di manutenzione ordinaria a carico dell’usuario, alla medesima data quelli necessari allo svolgimento dei fini statutari e dei compiti istituzionali”. In sintesi -dunque -dalla lettura coordinata delle tre disposizioni innanzi riportate (art. 4, comma 1, lett. d); art. 4, comma 1-bis, e art. 8, comma 2, del (3) Ai sensi dell’art. 8, comma 2, d.lgs. n. 178/12, difatti, “a far data dal 1° gennaio 2018, l’ente è posto in liquidazione ai sensi del titolo v del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, fatte salvo le disposizioni di cui al presente comma”. rASSegnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 d.lgs. n. 178/12) emergeva la seguente modulazione del potere traslativo di beni immobiliari dell’esacri in liquidazione coatta amministrativa in favore dell’Associazione italiana CrI prima dell’entrata in vigore dell’art. 4-bis del d.lgs. 28 settembre 2012, n. 178: -quanto ai beni necessari per lo svolgimento dei fini statutari e dei compiti istituzionali dell’Associazione, in base all’art. 8, comma 2, d.lgs. n. 178/12, gli stessi potevano essere trasferiti all’Associazione per mezzo dei provvedimenti traslativi della proprietà adottati ex art. 4, comma 1 bis del d.lgs. n. 178/12 solo prima dell’avvio della liquidazione coatta amministrativa (entro il 31 dicembre 2017); -quanto ai beni pervenuti alla CrI attraverso negozi giuridici modali si prevedeva, ex art. 4, comma 1 lett. d) d.lgs. n. 178/12, la trasferibilità all’Associazione in pendenza della procedura concorsuale liquidatoria e senza il limite temporale del 31 dicembre 2017 esplicitamente assegnato per i soli beni necessari ai fini statutari e per lo svolgimento dei compiti istituzionali del- l’Associazione; -quanto ai cespiti residuanti in proprietà dell’ente alla conclusione della liquidazione coatta amministrativa il trasferimento restava subordinato alla formale chiusura della procedura concorsuale. In un’ottica di interpretazione teleologica della disciplina innanzi richiamata, la scelta del Legislatore delegato di precludere -oltre il 31 dicembre 2017 ed in pendenza della procedura di liquidazione coatta amministrativa l’adozione di provvedimenti traslativi ex art. 4, comma 1-bis, di beni immobili non provenienti da negozi giuridici modali e non tempestivamente ricompresi dall’ente nella portata oggettiva dei provvedimenti traslativi assunti entro il 31 dicembre 2017 rispondeva all’esigenza di evitare, dopo la data del 31 dicembre 2017, la sottrazione alla liquidazione di parte dell’attivo per destinarlo allo sviluppo dell’organizzazione di volontariato con conseguente sacrificio delle ragioni dei creditori in capo ai quali sarebbe, in ultima istanza, rimasto allocato l’onere finanziario dello sviluppo dell’Associazione. Proprio su detta impostazione e sul bilanciamento di interessi alla stessa sottesa, il Legislatore è intervenuto tipizzando -con l’entrata in vigore dell’art. 4-bis del d.lgs. 28 settembre 2012, n. 178 -una nuova ipotesi al ricorrere della quale l’ente in indirizzo risulta titolare, in pendenza della procedura concorsuale, di un sopravvenuto potere di adozione dei provvedimenti traslativi in favore dell’Associazione. 3. Analisi testuale dell’art. 4-bis del d.lgs. 28 settembre 2012, n. 178. L’art. 4-bis del d.lgs. 28 settembre 2012 n. 178, inserito dall’art. 1, comma 486, L. 30 dicembre 2020, n. 178, rubricato “riorganizzazione del- l’associazione italiana della Croce rossa (CrI)” ed in vigore a decorrere dal 1° gennaio 2021, così testualmente dispone: “I beni immobili e le unità PArerI DeL CoMItAto ConSuLtIVo immobiliari di proprietà dell’ente strumentale alla CrI in liquidazione coatta amministrativa che, a decorrere dal 1° gennaio 2018, sono utilizzati quali sedi istituzionali od operative dei comitati regionali, territoriali e delle province autonome di Trento e di Bolzano e che ai sensi del comma 1-bis dell’articolo 4 avrebbero dovuto essere trasferiti all’associazione transitano alla stessa per lo svolgimento dei suoi compiti statutari. 2. entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, il Presidente nazionale dell’associazione fa istanza di trasferimento all’ente strumentale alla CrI e il commissario liquidatore, previo parere del comitato di sorveglianza e previa autorizzazione dell’autorità di vigilanza, adotta gli atti conseguenti per attuare il trasferimento. 3. I provvedimenti di trasferimento adottati dal commissario liquidatore hanno effetto traslativo della proprietà, producono gli effetti previsti dall’articolo 2644 del codice civile e costituiscono titolo per la trascrizione. Il suddetto trasferimento è esente dal pagamento delle imposte o tasse previste per la trascrizione, nonché di ogni altra imposta o tassa connessa con il trasferimento della proprietà dei beni all’associazione. 4. Tutti i beni immobili di proprietà dell’ente strumentale alla CrI in liquidazione coatta amministrativa utilizzati dall’associazione, per scopi istituzionali, a far data dal 1° gennaio 2018, in via transitoria sono concessi in uso gratuito alla stessa. le spese di gestione e di manutenzione ordinaria e straordinaria sono a carico dell’usuario. 5. I lasciti disposti con atti testamentari entro il 31 dicembre 2017, per i quali l’apertura della successione sia intervenuta successivamente al 1° gennaio 2018, spettano all’associazione”. La norma innanzi riportata attribuisce all’Amministrazione in indirizzo un nuovo potere di adozione di provvedimenti traslativi della proprietà in favore dell’Associazione: detto potere -mentre appare assimilabile all’illustrata potestà traslativa provvedimentale ante-riforma sotto il profilo degli effetti reali, collegati immediatamente e direttamente all’atto amministrativo -si distingue dal potere esauritosi alla data del 31 dicembre 2017 sia sotto il profilo temporale sia con riguardo alle condizioni del relativo esercizio sia per quanto afferisce alla selezione legislativa dei beni immobili suscettibili di essere traslati in capo all’organizzazione privata. Più in particolare, dal punto di vista temporale il Legislatore delegato ha, infatti, attribuito un potere provvedimentale traslativo esercitabile, da parte di codesto ente, nella finestra temporale tra il 1 febbraio 2018 e la chiusura della liquidazione, prima non fruibile per i trasferimenti immobiliari non aventi ad oggetto beni provenienti da negozi giuridici modali. Sotto diverso profilo, il potere ex art. 4-bis del d.lgs. 28 settembre 2012, n. 178, diversamente dal potere provvedimentale previgente, che prescindeva dal consenso dell’Associazione accipiens, postula un’attività di impulso procedimentale soggettivamente qualificata e sottoposta a termine decadenziale essendo prevista, ai fini del rASSegnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 l’avvio dell’iter procedimentale volto all’adozione del provvedimento di trasferimento, la necessaria presentazione di un’istanza del Presidente nazionale dell’Associazione entro il 2 marzo 2021. Dal punto di vista dell’oggetto, mentre il previgente potere di trasferimento, consumatosi in data 31 dicembre 2017, risultava esercitabile solo in riferimento ai beni immobili necessari ai fini statutari ed allo svolgimento dei compiti istituzionali e di interesse pubblico dell’Associazione, le determinazioni traslative ex art. 4 bis cit. possono incidere sui beni immobili che, ai sensi del comma 1-bis dell’articolo 4 del d.lgs. 28 settembre 2012, n. 178, avrebbero dovuto essere trasferiti all’Associazione prima del 31 dicembre 2017 che, a decorrere dal 1° gennaio 2018, siano utilizzati quali sedi istituzionali od operative dei comitati regionali e territoriali della CrI. Con maggiore impegno esplicativo, la norma -interpretata ex art. 12 delle preleggi in base al significato letterale e semantico delle parole utilizzate nonché sulla scorta della connessione tra le stesse -limita, sotto il profilo dell’oggetto, come evidenziato dall’impiego della preposizione congiuntiva “e” in luogo di quella disgiuntiva “o” -l’esercizio del potere traslativo in parola al ricorrere di due requisiti cumulativi: a) la necessarietà degli immobili, prima dell’avvio della liquidazione coatta amministrativa (entro il 31 dicembre 2017), al perseguimento dei fini statutari e allo svolgimento dei compiti istituzionali e di interesse pubblico dell’Associazione; b) il concreto utilizzo dei medesimi cespiti, a decorrere dal 1° gennaio 2018, quali sedi istituzionali od operative dei comitati regionali, territoriali e delle Province autonome di trento e di Bolzano della CrI. Così riassunto il contenuto della disposizione in esame e tracciato il quadro comparativo tra il potere traslativo riconosciuto dalla novella e il previgente assetto normativo, al fine di verificare, come richiesto nel quesito che si riscontra, la trasferibilità degli immobili siti in roma, Albino (Bg) e Scarlino (gr) oggetto della nota in riferimento, pare necessario verificare la concorrente presenza dei requisiti innanzi indicati non potendosi prescindere, in tale ottica, da una propedeutica definizione della nozione di “sedi istituzionali od operative”. 3.1 Sulle nozioni di “sede istituzionale e sede operativa” di cui all’art. 4-bis del d.lgs. 28 settembre 2012, n. 178. Come è noto, l’ordinamento civilistico non conosce una definizione legislativa unitaria della nozione di “sede” sicché occorre rifarsi -in mancanza di una definizione normativa generale -con approccio empirico al linguaggio comune. In tale ottica, la “sede” può essere definita -almeno in via di primissima approssimazione -come il criterio di riferimento della collocazione spaziale per le persone giuridiche alternativo alla residenza ed al domicilio che riguardano le persone fisiche. Come correttamente osservato in dottrina, le re PArerI DeL CoMItAto ConSuLtIVo gole relative alla sede della persona giuridica “esprimono un’esigenza di organizzazione dei rapporti giuridici” (4) consistente nella necessità di attribuire a ciascun soggetto di diritto, nei rapporti con i terzi, una posizione definita rispetto ai luoghi. nell’ambito di questa generale cornice, la nozione di sede assume, nel nostro ordinamento, significati non del tutto sovrapponibili a seconda dell’aggettivo che, di volta in volta, accompagna il termine (5). Ai fini del presente parere vengono, in particolare, in rilievo le nozioni di “sede istituzionale” edi “sede operativa” testualmente riportate all’art. 4-bis del d.lgs. 28 settembre 2012, n. 178. La sede istituzionale o legale è notoriamente quella indicata convenzionalmente nell’atto costitutivo o nello statuto della persona giuridica la cui indicazione ha la funzione di indicare, per evidenti ragioni di certezza dei rapporti giuridici, “il luogo deputato o stabilmente utilizzato per l’accentramento dei rapporti interni e con i terzi in vista del compimento degli affari dell’ente” (6). La nozione di sede operativa è definita, in giurisprudenza, come “il luogo ove hanno stabilmente sede gli organi e gli uffici di una persona giuridica e dove detti organi ed uffici svolgono le attività deliberative ed esecutive di cui sono investiti per la gestione delle funzioni dell’ente, anche se diverso dalla sede legale, al quale attribuisce rilevanza, in alternatia a quest’ultima, l’art. 46 c.c., comma 2” (7). Sicché la sede operativa di una persona giuridica coincide con il luogo ove è situato l’effettivo centro di direzione dell’ente o, comunque, il contesto spaziale ove risulta fissata, nel complessivo ambito della gestione del soggetto collettivo, con effettività e continuità, l’attività di direzione, controllo ed impulso dell’attività dell’ente identificandosi con il centro effettivo dei suoi interessi, dove l’ente vive ed opera e dove si trattano gli affari nonché dove i diversi fattori dell’attività vengono organizzati e coordinati per il raggiungimento dei fini statutari. Calando le coordinate teoriche e le definizioni giurisprudenziali delle nozioni di “sede istituzionali” e di “sede operativa” sopra richiamate al caso in esame bisogna verificare se gli immobili siti in roma, Albino (Bg) e Scarlino (gr) oggetto del presente parere siano o meno qualificabili come “sedi operative” dei comitati regionali o territoriali della CrI e possano essere, per tale ragione, trasferiti all’Associazione ex art. 4-bis del d.lgs. 28 settembre 2012, n. 178. ebbene, dalla documentazione in possesso della Scrivente, emerge che il tratto comune dei tre immobili oggetto del presente parere è quello di trovarsi (4) D. CAnDIAn, Voce domicilio, residenza, dimora, in dig. Civ. VII, p. 110. (5) Il Legislatore distingue, infatti, tra “sede legale” e “sede effettiva” all’art. 46 c.c., il codice di rito impiega il concetto di “sede principale” all’art. 19 c.p.c., l’art. 9 della legge fallimentare si riferisce alla nozione di “sede secondaria”, il Legislatore tributario impiega il concetto di “sede dell’amministrazione” all’art. 73 t.u.i.r. (6) Cass. 13 aprile 9004, n. 7037; Cass. 6 agosto 1997, n. 7279. (7) Cass. 9 marzo 2009 n. 5654; Cass. 26 marzo 2003 n. 4490; Cass. 9 giugno 2000 n. 7849. rASSegnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 nella disponibilità materiale di soggetti diversi dai comitati regionali o territoriali della CrI. Quanto all’immobile sito in roma lo stesso risulta locato a titolo oneroso al Ministero della giustizia in forza del contratto di locazione stipulato in data 28 giugno 2007 tra l’Associazione Italiana Croce rossa, in qualità di locatore, ed il Dipartimento di giustizia Minorile, in qualità di conduttore. Con detto contratto le parti hanno convenuto (art. 1) la destinazione dell’immobile al- l’attuazione degli scopi pattuiti in una separata convenzione stipulata tra l’ufficio Centrale della giustizia Minorile, la Fondazione “il Faro” e la Croce rossa Italiana in data 24 luglio 1997. Per quel che in questa sede rileva, con la convenzione cui il contratto di locazione rinvia, l’immobile è stato deputato ad ospitare un centro operativo polifunzionale per l’attivazione di progetti, programmi formativi, di studio lavoro e tempo libero per l’accoglienza e l’assistenza di minori in situazione di disagio. Ciò premesso ed alla stregua della regolamentazione contrattuale e convenzionale avente ad oggetto l’immobile in parola, la Scrivente ritiene che detta unità immobiliare non possa essere considerata -ai fini dell’art. 4-bis del d.lgs. 28 settembre 2012, n. 178 -quale sede operativa di comitati regionali o territoriali della CrI perché il contratto di locazione stipulato in data 28 giugno 2007 costituisce il titolo giuridico legittimante la disponibilità dell’immobile da parte del soggetto conduttore -nel caso di specie il Ministero della giustizia -contrattualmente tenuto ad avvalersi degli spazi in locazione per l’attuazione degli scopi concordati tra le parti con la convenzione a latere del contratto di locazione -con la conseguenza che dalla disponibilità dell’immobile in capo al Ministero deve inferirsi che detto cespite ospiti una sede operativa decentrata del Dicastero e non quella di un comitato regionale o territoriale della CrI. Sul punto va rilevato, a conforto delle considerazioni che precedono, che la giurisprudenza amministrativa -interessatasi del tema per verificare la legittimità delle clausole dei bandi di gara richiedenti agli operatori economici la titolarità di una sede operativa in prossimità del luogo di esecuzione della prestazione -ha affermato che il contratto di locazione costituisce, “per comune esperienza ed in base all’ordinaria razionalità, una delle possibili forme di disponibilità della sede operativa” (8). Muovendo dalla corretta analisi della regolazione pattizia dei rapporti tra le parti, è -peraltro -la stessa Associazione che ha formulato l’istanza di trasferimento dell’immobile in parola a rilevare testualmente che il cespite è stato adibito dal Ministero della giustizia “a sede dell’ufficio sociale per i minorenni e centro di prima accogIienza per minori colti in fragranza di reato” (9) con la conseguenza che il predetto immobile non può ritenersi sussumibile nel dettato dell’art. 4-bis del d.lgs. 28 settembre 2012, n. 178 nella parte in cui di( 8) t.A.r. umbria Perugia Sez. I, sent. 26 giugno 2009, n. 357. (9) Così la nota del 23 marzo 2022 avente ad oggetto “supplemento di istruttoria -riscontro cri”. PArerI DeL CoMItAto ConSuLtIVo spone che “i beni immobili e le unità immobiliari (...) che (...) sono utilizzati quali sedi istituzionali od operative dei comitati regionali, territoriali e delle province autonome di Trento e di Bolzano (...) transitano” all’Associazione “per lo svolgimento dei suoi compiti statutari”. Parimenti, con riguardo all’immobile sito nel territorio del comune di Scarlino (gr) (10) lo stesso risulta essere concesso in locazione alla ASL locale la quale vi eroga prestazioni sanitarie ambulatoriali a favore della comunità del luogo sicché la Scrivente non ritiene di poter qualificare l’immobile quale sede operativa del comitato territoriale della CrI condividendosi, sul punto, l’avviso espresso da codesta Amministrazione per cui “sembra evidente, quindi, che semmai questa è una sede operativa della aSl e non della CrI”. Quanto, infine, all’immobile sito in Albino il regime giuridico del cespite è regolato da un contratto “per l’affidamento in concessione per la durata di anni dieci dei servizi relativi alla gestione di una residenza sanitario assistenziale disabili (rSd) con annesso poliambulatorio convenzionato con il SSSn” stipulato in data 29 settembre 2011, registrato in data 17 ottobre 2011 al numero 8004 serie 3 e prorogato fino al 31 luglio 2022. In forza della predetta convenzione la Casa di cura H. s.p.a. risulta affidataria, a titolo oneroso, di tutti i servizi sanitari e socio-assistenziali erogati nella struttura nonché soggetto responsabile della gestione, della conservazione dell’immobile e delle relative pertinenze, della manutenzione dei relativi arredi, degli impianti di servizio e delle attrezzature presenti nell’immobile avendo il concedente Croce rossa Italiana, ai sensi dell’art. 13 del contratto, assunto l’obbligo di “porre a disposizione del concessionario l’immobile”. Alla stregua della documentazione in atti pare, pertanto, alla Scrivente che l’immobile sia qualificabile come la sede operativa non già del Comitato provinciale di Bergamo, ma del concessionario H. s.p.a tenuto conto che l’unità immobiliare risulta interamente gestita nonché sfruttata economicamente dalla medesima Casa di Cura la quale, come indicato nella premessa del contratto stipulato in data 29 settembre 2011, trova “la propria remunerazione attraverso la riscossione diretta delle rette degli ospiti della r.S.d. e di tutti i proventi connessi alla gestione dei servizi e delle attività, anche private o in convenzione del poliambulatorio con il s.s.n. rivolte agli ospiti ed ai soggetti esterni”. L’immobile è, dunque, il luogo in cui il concessionario H. s.p.a svolge l’attività concordata con il concedente finalizzando detta attività al soddisfacimento di uno scopo di carattere privato (quale quello di introitare una remunerazione per il servizio svolto) del quale è certo sintomo il pagamento di un canone per la disponibilità del- l’immobile che, dunque, non può che essere considerato come la sede operativa del concessionario. (10) contrassegnato dai seguenti estremi catastali foglio 33 particella 277 sub 8 cat. A/ 10. rASSegnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 né può dirsi, come pare evincibile da pagina 8 del quesito che si riscontra che gli immobili siti in roma, Albino (Bg) e Scarlino (gr) possano essere qualificati come “sedi operative” di comitati regionali o territoriali della CrI perché, seppur nella disponibilità di soggetti conduttori o concessionari, gli anzidetti comitati vi eserciterebbero le loro attività e vi perseguirebbero i propri compiti istituzionali in “via mediata” avvalendosi di soggetti terzi. In proposito vale in primis sottolineare come l’art. 4-bis del d.lgs. 28 settembre 2012, n. 178 nella parte in cui consente l’esercizio di un potere traslativo di beni immobili a titolo gratuito ed in pendenza di una procedura concorsuale liquidatoria è una norma eccezionale che -ponendosi in deroga al divieto derivante dall’art. 2740 c.c di sottrarre poste attiva alla proceduta concorsuale -è soggetta alla regola della “stretta interpretazione” sicché non è dato includere nella portata applicativa della norma la nozione di “sede operativa in via mediata” suggerita dall’ente in indirizzo. L’operatività della norma deve essere conseguentemente esclusa in ipotesi di utilizzazione degli immobili da parte di terzi, quand’anche svolgenti in essi un’attività di pubblico interesse. D’altronde, muovendo dalla nozione di “sede operativa” quale luogo in cui effettivamente un ente persegue i propri compiti e fini istituzionali, deve anche essere richiamata la giurisprudenza secondo la quale “la locuzione ‘compiti istituzionali’ si riferisce a quelle funzioni che costituiscono la ragion d’essere dell’ente e, pertanto, possono essere svolte solo da quest’ultimo e non va confusa con il concetto di servizio pubblico che può, invece, essere svolto anche da un altro soggetto anche privato” (11). Alla stregua delle considerazioni che precedono la Scrivente ritiene di escludere che gli immobili siti in roma, Albino (Bg) e Scarlino (gr) possano essere qualificati, ai fini del trasferimento all’Associazione privata ex art. 4bis del d.lgs. 28 settembre 2012, n. 178, come beni immobili “utilizzati quali sedi istituzionali od operative dei comitati regionali territoriali e delle province autonome di Trento e di Bolzano”. 3.2 Conclusioni. Sull’annoverabilità delle unità immobiliari site in roma, Albino (BG) e Scarlino (Gr) tra i beni suscettibili di essere concessi in uso gratuito alla Associazione ex art. 4-bis, comma 4, del d.lgs. 28 settembre 2012 n. 178. Alla stregua delle considerazioni che precedono, tenuto conto del carattere cumulativo dei requisiti cui la norma in esame subordina -come detto (12) -la (11) Comm. trib. regionale Marche Ancona Sez. V, Sent., 2 dicembre 2019, n. 870 che richiama la giurisprudenza della Corte di Cassazione Cass. 14226/15, 14912/16 e Cass. 16797/2017 in tema di quando ricorra un asservimento di beni immobili ai compiti istituzionali dello Stato in relazione all’interpretazione dell’art. 7, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 504 del 1992 che prevede l’esenzione dall’assoggettamento al tributo ICI (poi IMu) per gli immobili posseduti dallo Stato. PArerI DeL CoMItAto ConSuLtIVo trasferibilità degli immobili non provenienti da negozi giuridici modali dopo il 31 dicembre 2017, rimane assorbita -in difetto del primo dei requisiti in esame -la questione se le unità immobiliari oggetto del presente parere possano essere qualificate come beni “che, ai sensi del comma 1-bis dell’articolo 4, avrebbero dovuto essere trasferiti all’associazione ... per lo svolgimento dei suoi compiti statutari”. In assenza, infatti, di uno dei due presupposti per l’esercizio del potere traslativo ex art. 4-bis, comma 1, del d.lgs. 28 settembre 2012, n. 178, la Scrivente non può che esprimere parere negativo rispetto alla trasferibilità al- l’Associazione privata di tutti e tre i cespiti oggetto del quesito. esclusa l’applicabilità agli immobili siti in roma, Albino (Bg) e Scarlino (gr) dell’art. 4-bis, comma 1, del d.lgs. 28 settembre 2012 n. 178 occorre verificare se detti beni possano ritenersi ricompresi nel dettato del comma 4 della medesima disposizione a mente del quale “Tutti i beni immobili di proprietà dell’ente strumentale alla CrI in liquidazione coatta amministrativa, utilizzati dall’associatione per scopi istituzionali, a far data dal 1° gennaio 2018, in via transitoria, sono concessi in uso gratuito alla stessa. le spese di gestione e di manutenzione ordinaria e straordinaria sono a carico dell’usuario”. Al fine di procedere alla corretta interpretazione della disposizione innanzi testualmente richiamata, la Scrivente ritiene opportuno segnalare, in primis, la natura eccezionale anche del comma 4 dell’art. 4-bis, del d.lgs. 28 settembre 2012, n. 178, in quanto norma derogatoria rispetto al principio della necessaria fruttuosità del patrimonio immobiliare nella titolarità di soggetti pubblici quale corollario del canone di buon andamento della P.a. di cui all’art. 97 Cost. In base a detto principio, come noto, le Pubbliche Amministrazioni debbono improntare la gestione del patrimonio pubblico immobiliare al criterio di necessaria redditività dei cespiti valorizzandone il potenziale economico mentre -come evidente -un contratto di comodato, per sua natura essenzialmente gratuito (v. art. 1803, comma 2, cod. civ.), costituisce una forma di utilizzo infruttifero del bene pubblico in quanto schema contrattuale di per sé idoneo a determinare l’attribuzione di un “vantaggio economico” in favore di un soggetto (comodatario) che -non recando alcuna entrata in senso strettamente monetario -può risultare fonte di depauperamento del concedente “pari alla mancata entrata retraibile dal cespite” (13). (12) v. supra § 3. (13) Così Corte dei Conti Liguria Sez. giurisdiz., Sent., (ud. 23/07/2021) 04-05-2022, n. 42. In generale, sul rapporto tra il principio di necessaria redditività del patrimonio pubblico e la relativa con- cedibilità -in ipotesi eccezionali -in comodato gratuito si rinvia a Corte dei Conti Liguria Sez. contr. Delib., 31/01/2017, n. 2, t.A.r. Campania napoli Sez. I, Sent., (ud. 25/09/2019) 28-11-2019, n. 5623. In termini anche Corte dei Conti Sez. II App., Sent., (ud. 11/06/2019) 06-10-2020, n. 224 secondo la quale: “Il comodato gratuito di un bene di proprietà pubblica, siccome rappresenta una deroga al principio generale della redditività del patrimonio pubblico, deve costituire uno strumento per perseguire esclusivamente interessi pubblici, ma pur sempre perseguendo l’economicità della gestione della res publica”. rASSegnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 Muovendo da tale premessa concettuale pare, quindi, potersi inferire che -nella logica del Legislatore della novella del dicembre del 2020 -la mancata redditività di taluni beni di proprietà di esacri suscettibili di essere concessi in uso gratuito in favore dell’organizzazione di volontariato privato -in deroga al principio di generale fruttuosità del patrimonio pubblico nonché con conseguente compromissione degli interessi della classe creditoria di codesto ente (14) -è da ritenersi eccezionalmente ammissibile solo ove detti beni siano direttamente “utilizzati dall’associazione” per scopi istituzionali di guisa che la mancata redditività dei cespiti concessi in uso gratuito risulti compensata dalla valorizzazione di altro interesse rilevante, che trova il suo riconoscimento e fondamento nell’art. 2 del d.lgs. 28 settembre 2012, n. 178, ovvero nella necessità di “concorrere temporaneamente allo sviluppo” dell’Associazione della Croce rossa italiana. Stante l’illustrato contemperamento di interessi sotteso alla disposizione in esame, può concludersi nel senso che la concessione in uso gratuito dei beni immobili prevista dal comma 4 dell’art. 4 bis, comma 1, del d.lgs. 28 settembre 2012 n. 178, tenuto conto della natura eccezionale della disposizione, non interpretabile, come tale, in via estensiva, non suppone un qualsivoglia impiego attraverso soggetti terzi degli immobili per finalità latamente riconducibili all’ampio oggetto istituzionale ed alle numerose funzioni dell’Associazione, ma risulta legislativamente subordinata alla previa positiva verifica dell’utilizzo, in modo diretto, e non semplicemente mediato, degli immobili per l’assolvimento dei compiti istituzionali dell’Associazione intendendo per tali quelli che costituiscono la “ragion d’essere” della stessa. Sulla scorta di siffatto riscontro, richiamando quanto esposto con specifico riferimento ai tre immobili oggetto del presente parere in ordine all’irrilevanza dell’utilizzo “mediato” ai fini del trasferimento in proprietà all’Associazione ex art. 4-bis, comma 1, del d.lgs. 28 settembre 2012, n. 178 (15) si esprime parere negativo anche in relazione alla qualificabilità dei cespiti siti in roma, Albino (Bg) e Scarlino (gr) quali beni suscettibili di essere concessi in uso gratuito all’Associazione ex art. 4-bis, comma 4, del d.lgs. 28 settembre 2012, n. 178. ed infatti, l’attuale concessione dei beni in esame in godimento -a terzi (16) soprattutto se a titolo oneroso -dimostra ipso facto che i beni di roma, Albino (Bg) e Scartino (gr) non sono né necessari né essenziali “ai fini statuari e allo svolgimento dei compiti istituzionali e di interesse pubblico” del- l’Associazione: se venissero, infatti, concessi in uso gratuito ex art. 4-bis, (14) Si rinvia al § 1. (15) v. supra § 3.1. (16) rispettivamente il Ministero della giustizia, la Casa di cura H. s.p.a., la ASL toscana sud est. PArerI DeL CoMItAto ConSuLtIVo comma 4, del d.lgs. 28 settembre 2012, n. 178, l’organizzazione privata comodataria verosimilmente continuerebbe -e si limiterebbe -a percepire il canone dai (sub)concessionari e dai (sub)conduttori al pari di una qualsiasi società immobiliare, non funzionalizzando direttamente, come preteso dal Legislatore, i cespiti in parola al perseguirnento dei scopi che rappresentano la “ragion d’essere” dell’Associazione. Si esprime, quindi, parere contrario sia al trasferimento degli immobili di roma, Albino (Bg) e Scarlino (gr) in proprietà all’Associazione ex art. 4bis, comma 1, del d.lgs. 28 settembre 2012, n. 178 sia alla concessione in uso gratuito dei medesimi immobili all’Associazione ex art. 4-bis, comma 1, del d.lgs. 28 settembre 2012, n. 178 non ricorrendone, in entrambi i casi, alla stregua dell’attuale formulazione delle norme in rilievo, i presupposti legislativi. Sul presente parere si espresso in senso conforme il Comitato Consultivo dell’Avvocatura dello Stato nella seduta del 9 giugno 2022. rASSegnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 rimborsabilità delle spese legali ai sensi dell’art. 18 d.l. n. 67/1997 sostenute dal dipendente pubblico in procedimento preliminare avviato ex art. 67 del Codice di Giustizia Contabile e definito con decreto di archiviazione Parere del 19/07/2022 -473519, al 7140/2022, ProC. melvIo mauGerI Con la nota che si riscontra, codesta Avvocatura ha chiesto alla Scrivente di fornire un parere di massima in merito alla questione indicata in oggetto. La richiesta rinviene la sua ragion d’essere nel possibile contrasto tra quanto indicato nella circolare n. 26/2021, con la quale questo ufficio ha affermato che, “a tenore [della sentenza 31 luglio 2020, n. 189 della Corte Costituzionale], anche la fase non contenziosa del giudizio contabile può, ricorrendone tutti gli altri requisiti, essere oggetto di rimborso”, e “l’orientamento granitico della giurisprudenza amministrativa, contabile e ordinaria ... [secondo cui l’art. 18, comma 1, del decreto legge 25 marzo 1997, n. 67], così come autenticamente interpretato dall’art. 10 bis, comma 10, l. 2 dicembre 2005, n. 248, non consente il rimborso delle spese legali sostenute dal pubblico dipendente nella fase antecedente all’eventuale giudizio, caratterizzato dalla archiviazione del procedimento a seguito di deduzioni difensive che il dipendente ha depositato dopo essere stato invitato a dedurre” (nota prot. n. 25400 del 16 febbraio 2022). nel dettaglio, sostiene l’Avvocatura in indirizzo che la Corte costituzionale, con la suindicata sentenza n. 189/2020, non avrebbe interpretato la normativa statale (1) nel senso di attribuirle il significato secondo cui sarebbe ammessa la rimborsabilità delle spese in questione. Muovendo da tale presupposto e richiamato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui “è illegittimo il rimborso, da parte dell’ente di appartenenza, delle spese legali sostenute da soggetto destinatario di provvedimento di archiviazione dell’azione, poiché il beneficio è subordinato al definitivo proscioglimento del presunto responsabile” (così Corte dei conti Veneto 4 dicembre 2006, n. 1146), ha chiesto a questa Avvocatura di riesaminare la questione in oggetto. tanto premesso, si osserva quanto segue. Come in effetti evidenziato nella nota che si riscontra, la Corte costituzionale non ha interpretato il combinato disposto degli artt. 18, comma 1, d.l. n. 67/1997, 3, comma 2 bis, d.l. n. 543/1996 e 10 bis, comma 10, d.l. n. 203/2005 nel senso che gli stessi imporrebbero il rimborso delle spese difensive sostenute (1) Cioé, l’art. 18, comma 1, del decreto legge 25 marzo 1997, n. 67, l’art. 3, comma 2 bis, del decreto legge 23 ottobre 1996, n. 543 e l’art. 10 bis, comma 10, del decreto legge 30 settembre 2005, n. 203. PArerI DeL CoMItAto ConSuLtIVo dai dipendenti pubblici nella fase preliminare dei giudizi di responsabilità innanzi alla Corte dei conti; ha, però, ritenuto coerente con la ratio di tali norme una legge provinciale (2) che ammetteva proprio tale rimborso (3). Se così è, il reale problema che si pone diventa quello di comprendere se le norme sopra richiamate possano o meno essere interpretate nel senso indicato nella circolare n. 26/2021. Per affrontare la questione, occorre muovere dalla lettera delle seguenti disposizioni: a) art. 3, comma 2 bis, d.l. n. 543/1996: “In caso di definitivo proscioglimento ai sensi di quanto previsto dal comma 1 dell’art. 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, come modificato dal comma 1 del presente articolo, le spese legali sostenute dai soggetti sottoposti al giudizio della Corte dei conti sono rimborsate dall’amministrazione di appartenenza”; b) art. 18, comma 1, d.l. n. 67/1997: “le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa (4), promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall’avvocatura dello Stato. le amministrazioni interessate, sentita (2) nella specie, l’art. 18, comma 1, della legge provinciale trento 27 agosto 1999 n. 3. (3) Si legge nella sentenza n. 189/2020: “5.4.-nella specie, con l’art. 18, comma 1, della legge prov. Trento n. 3 del 1999, è stata prevista la possibilità di rimborso delle spese sostenute per attività difensive svolte sia nelle fasi preliminari di giudizi civili, penali e contabili, sia nei procedimenti conclusi con l’archiviazione. Tale intervento attiene non al rapporto di impiego e quindi alla competenza statale in materia di «ordinamento civile» -bensì al rapporto di servizio e si inserisce nel quadro di un complessivo apparato normativo volto a evitare che il pubblico dipendente possa subire condizionamenti in ragione delle conseguenze economiche di un procedimento giudiziario, anche laddove esso si concluda senza l’accertamento di responsabilità. 5.4.1.- Si tratta, invero, di finalità coerenti con la ratio della disciplina statale che -già con l’art. 1, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20 (disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti) -ha delimitato la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica ai fatti e alle omissioni commessi con dolo o con colpa grave. In questo modo, il legislatore statale ha inteso «predisporre, nei confronti degli amministratori e dei dipendenti pubblici, un assetto normativo in cui il timore delle responsabilità non esponga all’eventualità di rallentamenti ed inerzie nello svolgimento dell’attività amministrativa [...] determinando quanto del rischio dell’attività debba restare a carico dell’apparato e quanto a carico del dipendente, nella ricerca di un punto di equilibrio tale da rendere, per dipendenti ed amministratori pubblici, la prospettiva della responsabilità ragione di stimolo, e non di disincentivo [...]» (sentenza n. 371 del 1998). risulta ispirato alla medesima ratio anche l’art. 18, comma 1, del decreto legge 25 marzo 1997, n. 67 (disposizioni urgenti per favorire l’occupazione)... nella stessa direzione si pone l’interpretazione autentica di quest’ultima disposizione, indicata dall’art. 10 bis, comma 10, del decreto legge 30 settembre 2005, n. 203 (misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria) ...”. (4) Allorquando si riferisce alla “responsabilità ... amministrativa”, l’art. 18 cit. si riferisce sicuramente anche alla responsabilità contabile (così la circolare n. 26/2021); del resto, se così non fosse, non avrebbe alcun senso il richiamo operato dall’art. 10 bis, comma 10, d.l. 203/2005, espressamente riferito al giudizio contabile, al suddetto art. 18. rASSegnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 l’avvocatura dello Stato, possono concedere anticipazioni del rimborso, salva la ripetizione nel caso di sentenza definitiva che accerti la responsabilità”; c) art. 10 bis, comma 10, d.l. n. 203/2005: “le disposizioni dell’articolo 3, comma 2-bis, del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639 e dell’articolo 18, comma 1, del decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni dalla legge 23 maggio 1997, n. 135, si interpretano nel senso che il giudice contabile, in caso di proscioglimento nel merito, e con la sentenza che definisce il giudizio, ai sensi e con le modalità di cui all’articolo 91 del codice di procedura civile, non può disporre la compensazione delle spese del giudizio e liquida l’ammontare degli onorari e diritti spettanti alla difesa del prosciolto, fermo restando il parere di congruità dell’avvocatura dello Stato da esprimere sulle richieste di rimborso avanzate all’amministrazione di appartenenza” (5). Dalla lettura delle norme sopra richiamate emerge che, a differenza del- l’art. 3, comma 2 bis, d.l. n. 543/1996, l’art. 18 d.l. n. 67/1997 non richiede necessariamente un giudizio conclusosi con un “definitivo proscioglimento”, ma reputa sufficiente un “provvedimento che escluda la... responsabilità”. Proprio tale ultimo inciso ha permesso alla Scrivente di affermare, nella circolare n. 26/2021, che il rimborso delle spese presuppone che “il giudizio che ha visto convenuto o indagato/imputato l’interessato si sia concluso con sentenza o provvedimento che abbia escluso la sua responsabilità. la sentenza deve necessariamente essere passata in giudicato; mentre, a seconda dei casi il provvedimento può non essere definitivo, quale, ad esempio, un’archiviazione nel merito da parte del GIP”. Da questo punto di vista, l’art. 18 cit. sembrerebbe ammettere, prima facie, il rimborso delle spese sostenute dal dipendente pubblico invitato a dedurre ex art. 67 d.lgs. 26 agosto 2016, n. 174 (Codice di giustizia Contabile) nell’ambito di un procedimento contabile archiviato ai sensi del successivo art. 69, anche al fine di non creare una disparità di trattamento rispetto all’indagato sottoposto ad un procedimento penale oggetto di archiviazione. Sennonché, ricorda opportunamente l’Avvocatura in indirizzo, con il conforto della giurisprudenza contabile (6), che tale conclusione sembrerebbe essere smentita considerando: (5) Il contenuto dell’art. 10-bis sopra citato è stato in parte trasfuso nell’art. 31 del d.lgs. 26 agosto 2016, n. 174, il quale, dopo aver chiarito al comma 1 che “il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell’altra parte e ne liquida l’ammontare insieme con gli onorari di difesa”, così dispone al successivo comma 2: “Con la sentenza che esclude definitivamente la responsabilità amministrativa per accertata insussistenza del danno, ovvero, della violazione di obblighi di servizio, del nesso di causalità, del dolo o della colpa grave, il giudice non può disporre la compensazione delle spese del giudizio e liquida, a carico del- l’amministrazione di appartenenza, l’ammontare degli onorari e dei diritti spettanti alla difesa”. (6) Cfr. Corte dei conti Marche, Sez. reg. giurisd., 20 dicembre 2010, n. 249. PArerI DeL CoMItAto ConSuLtIVo 1) la differenza letterale sussistente tra il termine “proscioglimento” eil termine “archiviazione”; 2) la circostanza per la quale nel procedimento contabile il decreto di archiviazione è emesso dal Pubblico Ministero, mentre il proscioglimento è pronunciato da un giudice a seguito di un vero e proprio giudizio; 3) la mancanza di un controllo giudiziale sul decreto di archiviazione emesso dal Pubblico Ministero; 4) l’assenza di obbligatorietà della difesa tecnica nella fase delle indagini contabili. In realtà, ritiene la Scrivente che le superiori argomentazioni non siano dirimenti. In particolare, l’argomento sub 1) non pare decisivo in quanto -come anticipato -l’art. 18 d.l. 67/1997, a differenza dell’art. 3, comma 2 bis, d.l. 543/1996, reputa sufficiente un qualunque “provvedimento che escluda la ... responsabilità”, quale può di certo essere, quantomeno in astratto, anche il provvedimento di archiviazione. Parimenti non decisivo pare l’argomento sub 2), in quanto la scelta del Legislatore di attribuire al Pubblico Ministero, e non al giudice, il potere di archiviare il procedimento contabile non sembra poter incidere sulla disciplina del rimborso delle spese in questione. né, d’altro canto, sembra potersi dare rilievo alla circostanza che con l’invito a dedurre si aprirebbe (non già una “fase processuale” in senso stretto, ma) una “fase procedimentale”, trattandosi di differenza formalistica irrilevante ai fini perseguiti dalla normativa in esame, che -come ricordato nella citata sentenza della Corte costituzionale n. 189/2020 -sono da individuare nell’esigenza di “predisporre, nei confronti degli amministratori e dei dipendenti pubblici, un assetto normativo in cui il timore delle responsabilità non esponga all’eventualità di rallentamenti ed inerzie nello svolgimento dell’attività amministrativa”: il timore di essere coinvolto in un “procedimento” per l’accertamento di una eventuale responsabilità erariale opera, infatti, sulla psiche del dipendente pubblico in termini del tutto analoghi al timore di essere coinvolto in un “giudizio” per l’accertamento di una responsabilità civile o penale. Ad ogni modo, il dubbio circa l’applicabilità dell’art. 18 cit. anche ai “procedimenti” e non solo ai “processi”, non sembra avere reale ragion d’essere nel caso in esame, ove la richiesta di rimborso proviene da un dipendente dell’Agenzia del Demanio, cui risulta applicabile l’art. 91, comma 7, de Contratto Collettivo nazionale di Lavoro relativo al personale del comparto delle Agenzie Fiscali per il quadriennio normativo 2002 -2005, il quale si riferisce espressamente anche al “procedimento di responsabilità civile, penale o amministrativa - contabile” (7). (7) L’art. 91, comma 7, del Contratto Collettivo nazionale di Lavoro relativo al personale del rASSegnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 Quanto all’argomento sub 3), se è vero che il decreto di archiviazione emesso dal Pubblico Ministero contabile non è sottoposto al vaglio di un giudice in senso stretto, è altrettanto vero che tale provvedimento, “debitamente motivato” (al pari del decreto emesso dal giudice per le indagini preliminari ai sensi dell’art. 409 c.p.p.), deve essere “sottoposto al visto del procuratore generale”, il quale, se non condivide le motivazioni dell’archiviazione, “formula per iscritto le proprie motivate osservazioni, comunicandole al pubblico ministero assegnatario del fascicolo” e, nel caso in cui permanga il dissenso, “avoca il fascicolo istruttorio, adottando personalmente le determinazioni inerenti l’esercizio dell’azione erariale” (art. 69, commi 3, 5 e 6, d.lgs. 174/2016). Infine, per quel che riguarda l’argomento sub 4), non sembra che l’assenza dell’obbligo della difesa tecnica sia dirimente, non essendo sindacabile la scelta del dipendente invitato a dedurre di farsi assistere o meno da un difensore (8). Al più, la necessarietà o meno dell’assistenza legale e, soprattutto, l’effettività dell’apporto difensivo rispetto al provvedimento di archiviazione, potranno essere valutate sotto il profilo della quantificazione dell’importo concretamente dovuto a titolo di rimborso. Da altra angolazione, la conclusione cui è pervenuta la circolare n. 26/2021 non pare porsi in contrasto con l’interpretazione autentica dell’art. 18 d.l. n. 67/1997 fornita dall’art. 10-bis, comma 10, d.l. 203/2005. Ciò in quanto -come affermato dalla Corte costituzionale con la citata sentenza n. 189/2020 -“ferma restando la regolamentazione da parte del giudice contabile delle spese del relativo giudizio -deve essere distinto il rapporto comparto delle Agenzie Fiscali per il quadriennio normativo 2002 -2005 così dispone: “In applicazione dell’art. 18 del d.l. 25 marzo 1997, n. 67, convertito con modificazioni, dalla legge 23 maggio 1997, n. 135, l’agenzia, nella tutela dei propri diritti ed interessi, ove si verifichi l’apertura di un procedimento di responsabilità civile, penale o amministrativa-contabile nei confronti del dipendente, per fatti o atti compiuti nell’espletamento del servizio e nell’adempimento dei compiti d’ufficio eroga al dipendente stesso, su sua richiesta e previo parere di congruità dall’avvocatura Generale dello Stato, il rimborso e, tenuto conto della sua situazione economica, eventuali anticipazioni per gli oneri di difesa, a condizione che non sussista conflitto di interesse”. tale disposizione continua ad essere applicabile ai dipendenti dell’Agenzia del Demanio in quanto compatibile con successivi contratti collettivi, dai quali non è stata espressamente disapplicata (cfr. art. 96 del Contratto Collettivo nazionale di Lavoro relativo al personale del comparto funzioni centrali triennio 2016-2018 e 62 del Contratto Collettivo nazionale di Lavoro del personale del comparto funzioni centrali triennio 2019-2021). (8) Sia pur riferito ad una materia diversa da quella in esame, non sembra inutile in questa sede il richiamo al principio di diritto espresso nei seguenti termini da Cass. Civ. 14 dicembre 2017, n. 30069: “ai sensi degli artt. 74 e 75 d.P.r n. 115 del 2002, il patrocinio a spese dello Stato è assicurato in ogni procedimento civile, con inclusione della volontaria giurisdizione, ed anche quando l’assistenza tecnica del difensore non è prevista come obbligatoria, perché l’istituto copre ogni esigenza di accesso alla tutela giurisdizionale, sia quando questa tutela coinvolge necessariamente l’opera di un avvocato, sia quando la parte non abbiente, pur potendo stare in giudizio personalmente, richieda la nomina di un difensore, al fine di essere consigliata nel miglior modo sull’esistenza a sulla consistenza dei propri diritti, ritenendo di non essere in grado di operare da sé”. PArerI DeL CoMItAto ConSuLtIVo che ha per oggetto il giudizio di responsabilità contabile da quello che si instaura fra l’incolpato, poi assolto o prosciolto, e l’amministrazione di appartenenza, relativamente al rimborso delle spese per la difesa. Sia la giurisprudenza ordinaria, sia quella amministrativa, infatti, hanno riconosciuto che tra i due rapporti non vi sono elementi di connessione, in ragione della diversità del loro oggetto (Consiglio di Stato, sezione III, sentenza 28 luglio 2017, n. 3779; nello stesso senso, Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenze 14 marzo 2011, n. 5918, 24 marzo 2010, n. 6996, e 12 novembre 2003, n. 17014)”. Detto altrimenti, con l’art. 10-bis cit. il Legislatore ha inteso incidere solamente sulla disciplina della regolamentazione delle spese di lite nel giudizio contabile (9), consentendo una condanna al pagamento delle predette spese nei confronti della Pubblica Amministrazione altrimenti difficilmente ipotizzabile (10), senza al contempo incidere sul rapporto fra il dipendente e l’Amministrazione di appartenenza. Quest’ultimo rapporto, a differenza di quanto ritenuto in giurisprudenza in tempi relativamente recenti (11), resta, dunque, assoggettato alla disciplina ordinaria sancita -per quel che qui interessa -dall’art. 18 d.l. n. 67/1997, la cui lettera, laddove fa riferimento al “provvedimento che escluda la responsabilità”, e la cui ratio, così come individuata anche dalla Corte costituzionale con la sentenza sopra indicata, giustificano, in caso di archiviazione, il rimborso delle spese affrontate dal dipendente pubblico invitato a dedurre dal Pubblico Ministero ex art. 67 del Codice di giustizia Contabile. Del resto, il rimborso di tali spese, lungi dall’arrecare un danno erariale, (9) oggi disciplinate dall’art. 31 del d.lgs. n. 174/2016, richiamato nella precedente nota n. 5. (10) Come ricordato da Cass. Civ., Sez. Lav., 19 agosto 2013, n. 19195, gli artt. 18 d.1. 67/1997 e 3, comma 2 bis, d.l. 543/1996 sono “norme concepite pur sempre in vista di un rimborso extragiudiziale e non giudiziale, benché certa giurisprudenza contabile (Corte dei conti, sez. Basilicata, 13.2.97 n. 43) avesse ritenuto in via di interpretazione logico-sistematica la assoggettabilità a condanna dell’amministrazione in caso di rigetto della domanda di responsabilità, cosa che la giurisprudenza della Corte dei conti aveva prevalentemente negato in base al rilievo che il giudizio era introdotto da una citazione del Procuratore contabile, considerato solo come Pubblico ministero e quindi come parte esclusivamente formale (come s’è detto). le persistenti perplessità applicative di tali norme hanno infine indotto il legislatore ad intervenire con il d.l. n. 203 del 2005, art. 10 bis, comma 10 (convertito, con modificazioni, in l. n. 248 del 2005)”. (11) Il riferimento è alla già citata Cass. Civ., Sez. Lav., n. 19195/2013, secondo cui “dopo l’entrata in vigore dell’art. 10 bis, comma 10, del d.l. 30 settembre 2005 n. 203, conv. in legge 2 dicembre 2005, n. 248, in caso di proscioglimento nel merito del convenuto in giudizio per responsabilità amministrativo- contabile innanzi alla Corte dei conti, spetta esclusivamente a detto giudice, con la sentenza che definisce il giudizio, liquidare -ai sensi e con le modalità di cui all’art. 91 c.p.c. ed a carico del- l’amministrazione di appartenenza -l’ammontare delle spese di difesa del prosciolto, senza successiva possibilità per quest’ultimo di chiedere in separata sede, all’amministrazione medesima, la liquidazione di dette spese, neppure in via integrativa della liquidazione operata dal giudice contabile”. tuttavia, come già ampiamente evidenziato nella circolare n. 11/2021, a seguito dell’intervento di C. Cost. 189/2020, quest’orientamento deve ritenersi superato. rASSegnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 può anche determinare un minore esborso per l’Amministrazione, dal momento che, normalmente, le spese legali relative all’attività difensiva svolta nella fase preliminare sono quantificate in misura inferiore rispetto a quelle relative alla medesima attività svolta nella successiva fase giudiziale, in tesi evitabile laddove il dipendente avesse adeguatamente interloquito -se del caso, proprio a mezzo di difensore -con il Pubblico Ministero al fine di indurlo ad archiviare il caso. In definitiva, alla luce delle superiori considerazioni, la Scrivente ritiene che, ai sensi dell’art. 18 d.l. n. 67/1997 e alle condizioni ivi indicate, siano rimborsabili anche le spese sostenute dal dipendente pubblico nello specifico procedimento preliminare avviato dall’art. 67 d.lgs. n. 174/2016 e definito con decreto di archiviazione emesso ai sensi del successivo art. 69, fermo restando il diritto di ripetizione dell’Amministrazione in caso di successiva riapertura del fascicolo istruttorio. Sul presente parere si è espresso in senso conforme il Comitato Consultivo nella seduta del 7 luglio 2022. PArerI DeL CoMItAto ConSuLtIVo rimborsabilità delle spese legali ai sensi dell’art. 18 d.l. n. 67/1997 sostenute dal dipendente pubblico in procedimento di accertamento tecnico preventivo a fini conciliativi ex art. 696 bis c.p.c. Parere del 05/08/2022 -512987, al 12646/2022, ProC. elIo CuCChIara Codesta Avvocatura Distrettuale ha formulato richiesta di parere di massima in ordine all’ammissibilità del rimborso spese legali ex art. 18 D.L. 67/1997 per il caso in cui il pubblico dipendente sia stato convenuto in un procedimento di accertamento tecnico preventivo a fini conciliativi ex art. 696 bis c.p.c. conclusosi, per quanto riferito nell’istanza di rimborso, con il riconoscimento della estraneità del dipendente rispetto ai fatti oggetto di contestazione e a cui non sia seguita l’instaurazione del successivo giudizio di merito. tanto premesso, al fine di fornire risposta al suddetto quesito, appare in primo luogo opportuno riportare di seguito il testo dell’art. 18, co. 1, D.L. 67/1997: «le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall’avvocatura dello Stato. le amministrazioni interessate, sentita l’avvocatura dello Stato, possono concedere anticipazioni del rimborso, salva la ripetizione nel caso di sentenza definitiva che accerti la responsabilità». Come può leggersi, la norma, ai fini della concessione del rimborso, richiede espressamente, sotto il profilo oggettivo, la sussistenza di due condizioni: -che sia promosso un giudizio di responsabilità del dipendente pubblico relativo a fatti e/o atti afferenti all’espletamento del servizio o all’assolvimento di obblighi istituzionali; -che detto giudizio si sia concluso con sentenza od altro provvedimento che abbia escluso la responsabilità dell’istante. A queste si aggiunge una terza condizione, l’assenza di conflitto d’interessi con l’Amministrazione, di elaborazione dottrinale e giurisprudenziale (cfr. ex multis ord. Cass. civ., sez. lav., n. 17874 del 6 luglio 2018; sent. Cons. Stato n. 1816 del 5 maggio 2016). Dal punto di vista soggettivo, invece, il rimborso deve essere presentato da parte di “dipendenti di amministrazioni statali”. rASSegnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 Ciò premesso, sebbene la questione di massima prospettata attenga essenzialmente alla valutazione dei requisiti oggettivi della richiamata norma, deve, tuttavia, rilevarsi come, nel caso concreto, appaia invece dirimente il profilo soggettivo, venendo in considerazione un’istanza di rimborso presentata all’università da parte di un docente della medesima. orbene, questa Avvocatura generale, con soluzione assunta ad esito della riunione del Comitato Consultivo del 7-8 luglio 2022 in relazione agli AA.LL. 21273/22 (roma) e 610/22 (ADS Firenze), si è espressa in senso contrario al- l’ammissibilità del rimborso ex art. 18 D.L. 67/1997 in favore dei docenti universitari, in quanto non qualificabili alla stregua di “dipendenti di amministrazioni statali” nel senso fatto proprio dalla menzionata norma. rimandandosi per ogni ulteriore approfondimento sul punto a quanto ampiamente dedotto nel richiamato parere, che, ad ogni buon conto si allega (*), l’insussistenza nel caso concreto delle condizioni soggettive del diritto al rimborso costituisce, pertanto, ragione sufficiente a negarne la concessione, con conseguente assorbimento della questione di massima qui in esame. In ogni caso, per completezza espositiva, quanto al profilo oggettivo, deve, comunque, evidenziarsi, in via di prima approssimazione, come possano ritenersi sussistenti fondati dubbi in ordine alla possibilità di ricondurre i procedimenti ex art. 696 bis c.p.c. nell’alveo oggettivo dell’art. 18 D.L. 67/1997 e, conseguentemente, di ammettere il rimborso delle relative spese. L’art. 696 bis c.p.c. consente, infatti, l’immediato espletamento di una consulenza tecnica “ai fini dell’accertamento e della relativa determinazione dei crediti derivanti dalla mancata inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito”. Quanto all’articolazione della procedura, la stessa consiste semplicemente nella nomina del consulente d’ufficio e nello svolgimento delle operazioni peritali. unica peculiarità è data dal fatto che il consulente “prima di provvedere al deposito della relazione, tenta, ove possibile, la conciliazione delle parti”. Inoltre, qualora il tentativo di conciliazione abbia esito positivo, è prevista la formazione di processo verbale, al quale il giudice, con proprio decreto, attribuisce valore di titolo esecutivo. nell’ipotesi in cui, invece, la conciliazione non riesca, la parte interessata, nell’eventuale successivo giudizio di merito, può chiedere l’acquisizione della relazione peritale. In ogni caso, in base all’art. 698, co. 2 e 3, c.p.c. (applicabile anche al procedimento ex 696 bis c.p.c. -cfr. Cass civ., Sez. un., n. 14301 del 20 giugno 2007), lo svolgimento della consulenza tecnica preventiva non spiega effetti preclusivi nel procedimento di merito, potendosi comunque contestare l’ammissibilità e la rilevanza di tale attività istruttoria, come anche chiedersene la rinnovazione. trattasi, quindi, di una procedura non articolata in una vera e propria fase (*) In questa rass., 2022, vol. 2, pp. 39-45. PArerI DeL CoMItAto ConSuLtIVo contenziosa, ma che si sostanzia unicamente nell’espletamento delle operazioni peritali e nell’eventuale conciliazione tra le parti, senza che il giudice sia mai chiamato a svolgere alcuna funzione decisoria, nemmeno in ordine alla ripartizione delle spese di lite, potendosi ammettere una pronuncia su tale profilo solo ove il ricorso venga dichiarato inammissibile o rigettato senza procedere all’assunzione della prova (cfr. Cass. civ., sez. VI, n. 26573 del 22 ottobre 2018). non a caso la Corte di Cassazione ha escluso l’inammissibilità di qualsiasi forma di impugnazione degli atti adottati nell’ambito di procedimenti ex art. 696 bis c.p.c. (cfr. ord. Cass. civ., Sez. unite, n. 14301 del 20 giugno 2007). Alla luce di quanto appena evidenziato, deve, quindi, rilevarsi come il procedimento ex art. 696 bis c.p.c. sia strutturalmente inidoneo a concludersi con una sentenza o altro provvedimento di esclusione della responsabilità civile del dipendente pubblico. Anzi, proprio le peculiari caratteristiche sopra delineate permettono di dubitare della possibilità stessa di qualificare detto procedimento alla stregua di un vero e proprio giudizio per responsabilità civile, difettando la formulazione di una domanda all’autorità giudiziaria di condanna del dipendente pubblico o anche solo di accertamento della sua responsabilità. tale tesi, peraltro, trova conferma nell’ordinanza Cass. civ., sez. III, n. 21975 del 3 settembre 2019 (citata nella richiesta di parere di massima), la quale ha, in effetti, evidenziato che “le spese per la consulenza tecnica preventiva disposta ex art. 696 bis c.p.c. [...] non hanno natura giudiziale [...] rientrando esse nel complesso delle spese stragiudiziali sopportate dalla parte prima della lite (cfr. Cass. Sez. 6-3, ordinanza n. 26573 del 22 ottobre 2018)”. In conclusione, ferme restando, quindi, le assorbenti e preliminari considerazioni in ordine alla non ammissibilità nel caso di specie del rimborso sotto il profilo soggettivo, anche dal punto di vista oggettivo può, in via di prima approssimazione e fatto salvo ogni ulteriore approfondimento sul punto, evidenziarsi la sussistenza di fondati dubbi in ordine alla riconducibilità dei procedimenti ex art. 696 bis c.p.c. nell’alveo dell’art. 18 D.L. 67/1997, quantomeno nel caso in cui non si addivenga ad un’interpretazione estensiva della suddetta disposizione. Sul presente parere è stato sentito il Comitato Consultivo dell’Avvocatura dello Stato che si è espresso in conformità nelle sedute in data 7-8 luglio 2022. rASSegnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 ente già ammesso al patrocinio autorizzato dell’Avvocatura dello Stato ai sensi dell’art. 43 del r.d. n. 1611/1933. istituzione di una “Avvocatura interna” dell’ente in questione Parere del 13/02/2023-112733, al 5531/2023, v.a.G. marIa leTIzIa GuIda Con nota del 3 febbraio 2023, prot. n. 52731, codesta Amministrazione ha chiesto il parere di questa Avvocatura in merito alla iniziativa assunta dal omissis relativa alla istituzione di un proprio ufficio denominato “Avvocatura omissis”. Dalla documentazione trasmessa risulta che: -con delibera del Consiglio di Amministrazione n. 117 del 2018 è stato adottato il “regolamento dell’avvocatura del omissis” ed è stato istituito l’ufficio legale dell’ente denominato “Avvocatura omissis”; -con delibera n. 11/2022 del Consiglio di Amministrazione è stato adottato il nuovo statuto dell’ente; -con delibera del Consiglio di Amministrazione n. 111/22 è stato approvato il regolamento di organizzazione e funzionamento. Il regolamento di organizzazione e funzionamento del 12 ottobre 2022, adottato ai sensi dell’art. 16, comma 4, del nuovo Statuto (del 16 febbraio 2022) all’art. 15 attribuisce all’Avvocatura del omissis la rappresentanza, il patrocinio, l’assistenza in giudizio dell’ente e l’alta consulenza legale. Il comma 2 della predetta norma stabilisce che “essa cura i rapporti con l’avvocatura dello Stato ...”. Il regolamento dell’Avvocatura del omissis, all’art. 3, comma 2, stabilisce che “il omissis si avvale dell’avvocatura del omissis, dell’avvocatura dello Stato ovvero, previa deliberazione del Consiglio di amministrazione, di avvocati del libero foro, specialisti della materia, attraverso il conferimento di mandato congiunto, con gli avvocati dell’avvocatura del omissis”. Il successivo comma 3 dispone che “Il patrocinio dell’avvocatura dello Stato sarà mantenuto fino a quando l’avvocatura non sarà dotata del personale sufficiente a garantirne il funzionamento e comunque rimarrà per le controversie rimesse alle giurisdizioni di grado superiore o che ineriscono a questioni di massima e/o rivestano particolare rilevanza o che necessitano di condotta difensiva uniforme sul territorio nazionale”. In tali casi, il comma 4 attribuisce al direttore generale, previa autorizzazione del Consiglio di Amministrazione, il potere di conferire l’incarico. Così delineata, per la parte che qui rileva, la disciplina regolamentare e statutaria, questa Avvocatura ritiene che la stessa debba necessariamente coordinarsi con la disciplina normativa e con i consolidati principi giurisprudenziali in materia di patrocinio “autorizzato”, quale nel caso di specie è quello PArerI DeL CoMItAto ConSuLtIVo conferito all’Avvocatura dello Stato in favore dell’ente con DPCM 23 dicembre 2003, confermato con successivo DPCM 14 luglio 2016. In particolare, il DPCM 23 dicembre 2003, nella premessa, richiama espressamente l’art. 43 del t.u. delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato approvato con r.D. n. 1611 del 1933, autorizzando l’Avvocatura dello Stato ad assumere la rappresentanza e la difesa dell’ente in tutti i giudizi attivi e passivi avanti le autorità giudiziarie, i collegi arbitrali, le giurisdizioni amministrative e speciali. A seguito dell’istituzione dell’ente, il successivo DPCM del 2016 ha confermato, nei termini sopra indicati, la predetta autorizzazione. La giurisprudenza intervenuta sulla questione relativa alla natura del patrocinio autorizzato, previsto dall’art. 43 del citato r.D. n. 1611/1933 citato, ha affermato che: “Qualora sia intervenuta l’autorizzazione, di cui al comma 1, la rappresentanza e la difesa nei giudizi indicati nello stesso comma sono assunte dalla avvocatura dello Stato in via organica ed esclusiva, eccettuati i casi di conflitto di interessi con lo Stato o con le regioni. Salve le ipotesi di conflitto, ove tali amministrazioni ed enti intendano in casi speciali non avvalersi della avvocatura dello Stato, debbono adottare apposita motivata delibera da sottoporre agli organi di vigilanza. le disposizioni di cui ai precedenti commi sono estese agli enti regionali, previa deliberazione degli organi competenti”; essa è una difesa, come testualmente precisa l’art. 43, “organica ed esclusiva”: questo significa, sotto un duplice profilo: a) che l’amministrazione non statale è tenuta in via generale ed ordinaria ad avvalersi dell’avvocatura dello Stato; b) che l’avvocatura dello Stato deve simmetricamente dare il proprio patrocinio; ... (Cass., n. 22675/2020 in causa riguardante proprio il omissis; cfr. Cass., SS.uu., n. 24876/2017; Cass. n. 24545/2018). In conformità a tali principi, la previsione contenuta all’art. 15 del regolamento di organizzazione sopra citato riconosce l’esistenza del patrocinio autorizzato, laddove affida all’Avvocatura interna di curare i rapporti con l’Avvocatura dello Stato. Così come anche l’art. 2 del regolamento dell’Avvocatura del omissis stabilisce, tra i compiti di questo, di curare l’istruttoria delle pratiche per l’Avvocatura Distrettuale o generale dello Stato nelle cause dalla stessa patrocinate. Anche il successivo art. 3, al comma 2, riconosce che l’ente si avvale (tra l’altro) dell’Avvocatura dello Stato. Le suddette disposizioni, tuttavia, presentano alcuni profili di contrasto con i suesposti principi, nella parte in cui attribuiscono all’Avvocatura del omissis compiti e funzioni che, invece, competono all’Avvocatura dello Stato in virtù del patrocinio autorizzato a suo tempo concesso. In particolare, lo stesso art. 2, pur richiamando i rapporti con l’Avvocatura dello Stato nelle cause da quest’ultima patrocinate, indica, tra i compiti del rASSegnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 l’Avvocatura interna, “la rappresentanza, patrocinio, assistenza e difesa del- l’ente in sede stragiudiziale e giudiziale dinanzi a tutte le magistrature nonché ad eventuali collegi arbitrali”; “ricorsi amministrativi compreso il ricorso straordinario al Capo dello Stato”. Si ritiene, quindi, che lo ius postulandi sia prefigurato, in via principale e primaria, all’Avvocatura interna. Analoghi profili di contrasto con il carattere esclusivo del patrocinio autorizzato sussistono con riferimento alle disposizioni di cui ai commi 3 e 4 dell’art. 3 laddove: a) viene previsto il mantenimento del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato solo fino a quando l’Avvocatura interna non sarà dotata del personale sufficiente a garantirne il funzionamento; b) il patrocinio del- l’Avvocatura dello Stato, comunque, rimane per le sole controversie rimesse alle giurisdizioni di grado superiore o che ineriscono a questioni di massima o particolare rilevanza; c) in tali casi -questioni di massima o particolare rilevanza -l’incarico deve essere conferito dal direttore generale previa autorizzazione del Consiglio di Amministrazione. Le citate disposizioni regolamentari, invero, contrastano con l’art. 43, commi 3 e 4, del citato r.D. n. 1611/1933, che disciplinano espressamente i casi di esonero dal patrocinio autorizzato. tali disposizioni, invero, prevedono la possibilità che il patrocinio erariale autorizzato possa essere derogato sia per la difesa davanti alle giurisdizioni di primo grado e, comunque, dinanzi al t.a.r., sia allorché il Consiglio di Amministrazione, a suo insindacabile giudizio, decida di affidare il patrocinio all’Avvocatura in considerazione della particolare rilevanza o delicatezza delle questioni giuridiche da trattare. La norma regolamentare non può contenere disposizioni riduttive del patrocinio erariale, attribuite con norme di rango superiore, diverse da quelle previste dal citato art. 43, commi 3 e 4. tale disciplina rischia di generare gravi incertezze sulla validità dell’attività di difesa e rappresentanza in giudizio (ius postulandi), ma, soprattutto, si ritiene determini la nullità -rilevabile dal giudice di ufficio -dell’attività difensiva direttamente svolta dall’ente in deroga alla citata disposizione di legge (cfr. tra le tante, Cass. n. 39430/21). Per completezza, si evidenzia che l’Avvocatura interna del omissis non costituisce un’unità organica dotata di autonomia e indipendenza anche sotto il profilo strutturale e organizzativo, così come affermato dall’ente nella nota del 3 gennaio 2023 prot. 004799. essa, infatti, né nello Statuto e neppure nel regolamento di organizzazione è indicata tra gli organi dell’ente, per cui deve considerarsi solo come un’articolazione organizzativa interna. Alla stregua delle suesposte considerazioni, valuterà codesta Amministrazione le opportune iniziative da adottare. PArerI DeL CoMItAto ConSuLtIVo Sulla questione è stato sentito il Comitato Consultivo dell’Avvocatura dello Stato che si è espresso in conformità nella seduta del 10 febbraio 2023. . l’avvocato Generale Gabriella Palmieri Sandulli rASSegnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 interpretazione del nuovo Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 36/2023) in tema di cause di esclusione dalle procedure di gara a fronte della novella introdotta dalla c.d. riforma Cartabia (d.lgs n. 150/2022) sull’istituto dell’applicazione della pena su richiesta delle parti di cui all’art. 444 c.p.p. Parere del 16/06/2023-405560, al 17349/2023, avv. marCo STIGlIano meSSuTI, ProC. adele BerTI Suman Con la nota in epigrafe, Consip S.p.A. ha chiesto a questa Avvocatura un parere in merito alla corretta interpretazione delle previsioni del nuovo Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 36/2023) in tema di cause di esclusione dalle procedure di gara a fronte della novella introdotta dal decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (c.d. riforma Cartabia) sull’istituto dell’applicazione della pena su richiesta. nello specifico, il comma 1-bis dell’articolo 445 c.p.p., così come novellato dall’articolo 25, comma 1, lett. b) del d.lgs. n. 150/2022 ha previsto che “se non sono applicate pene accessorie, non producono effetti le disposizioni di leggi, diverse da quella penale, che equiparano la sentenza prevista dall’art. 444 comma 2, c.p.p. alla sentenza di condanna”. La c.d. riforma Cartabia, nell’ottica di incentivare il ricorso all’applicazione della pena su richiesta per finalità deflattive della giustizia penale, ha dunque stabilito che, salvo il caso in cui sia il giudice penale, con la sentenza di patteggiamento, a disporre una “pena accessoria”, la sentenza di patteggiamento in sede extra-penale non può essere equiparata ad una sentenza di condanna. In questo senso, recita infatti l’art. 445, comma 1-bis, c.p.p., le disposizioni extra-penali “non producono effetti”. Come già affermato in precedenti consultazioni (cfr. CS 9291/2023 parere del 27 febbraio 2023, n. 153480 in ordine alla possibilità che la sentenza di patteggiamento determini a carico dell’imputato una situazione di incandidabilità ai sensi del d.lgs. 235/2012, c.d. decreto Severino), dal tenore testuale della novellata disposizione si ricava che, salvo il caso di applicazione di pene accessorie, tutte quelle disposizioni legislative non qualificabili come penali, nelle quali la sentenza resa ex art. 444 c.p.p. è equiparata alla sentenza di condanna, non trovano più applicazione a far data dall’entrata in vigore della riforma Cartabia (30 dicembre 2022, ai sensi del D.L. n. 162/2022). *** Con la nota a riscontro Consip S.p.a. si interroga in merito alle conseguenze che la predetta novella normativa ha sulle disposizioni del nuovo Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 36/2023) in tema di cause di esclusione. PArerI DeL CoMItAto ConSuLtIVo nello specifico, si chiede a questo g.u. di confermare che: “la sentenza irrevocabile di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 c.p.p. per uno dei reati di cui all’articolo 94, comma 1, del d.lgs. n. 36/2023 non costituisce adeguato mezzo di prova ai fini dell’esclusione (non automatica) di cui all’articolo 98 comma 3, lett. g) del medesimo decreto legislativo; -la sentenza irrevocabile di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 c.p.p. per uno dei reati di cui all’articolo 98, comma 3, lett. h) del d.lgs. n. 36/2023 non costitusce adeguato mezzo di prova ai fini del- l’esclusione (non automatica) ivi prevista; -la sentenza non irrevocabile di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 c.p.p. per uno dei reati di cui all’articolo 98, comma 3, lett. h) del d.lgs. n. 36/2023 non costituisce adeguato mezzo di prova ai fini dell’esclusione (non automatica) ivi prevista”. Si richiede, inoltre, di fornire un parere circa l’interpretazione dell’articolo 98, comma 6, lett. g) del d.lgs. n. 36/2023 (che attribuisce valenza probatoria alla sentenza non irrevocabile di applicazione della pena su richiesta equiparandola in questo senso alla sentenza di condanna non definitiva) in combinato disposto con il novellato articolo 445 c.p.p. In particolare, “fermo restando che le disposizioni del Codice dei contratti pubblici non hanno natura di legge penale”, Consip domanda se: -le sentenze di “patteggiamento” rilevanti ai sensi dell’articolo 98, comma 6, lett. g) del d.lgs. n. 36/2023 siano solo quelle che prevedono pene accessorie e, in caso affermativo, se assume rilievo l’applicazione di qualsiasi pena accessoria ovvero soltanto l’applicazione della pena accessoria rilevante nel contesto della contrattualistica pubblica, ovverosia l’incapacità di contrattare con la Pubblica amministrazione; ovvero se -nell’applicazione dell’articolo 98 comma 6, lett. g) del d.lgs. n. 36/2023 -in quanto norma successiva e speciale che tiene conto delle sentenze di applicazione della pena su richiesta ai soli fini della valutazione discrezionale dell’illecito professionale nei limitati casi in cui venga contestato uno dei reati tassativamente elencati all’art. 94 comma 1 dello stesso decreto legislativo deve essere privilegiata un interpretazione letterale da cui consegue che le dette sentenze assumono rilievo anche ove non sia disposta l’applicazione di pene accessorie”. *** Al fine di rendere la consultazione richiesta, occorre anzitutto analizzare la disciplina introdotta dal nuovo Codice dei contratti pubblici (nel prosieguo anche solo “nuovo Codice”), approvato con d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36, in attuazione della legge delega 21 giugno 2022, n. 78, che, rispetto al testo precedente, presenta molteplici profili innovativi (1). rASSegnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 Con particolare riferimento alle cause di esclusione dalle procedure di gara, che interessano in questa sede, il nuovo impianto codicistico distingue tra cause di esclusione c.d. “automatica” (cioè quelle che trovavano applicazione in via diretta, senza alcun margine di apprezzamento valutativo da parte della stazione appaltante in merito alla sussistenza dei presupposti) e causa di esclusione c.d. “non automatica”. Con riferimento alla prime, l’articolo 94, co. 1, del nuovo Codice prevede che “è causa di esclusione di un operatore economico dalla partecipazione a una procedura d’appalto la condanna con sentenza definitiva o decreto penale di condanna divenuto irrevocabile”, per uno dei reati tassativamente elencati nelle successive lettere da a) a h). L’articolo 95 disciplina, invece, le cause di esclusione non automatica, che rimettono alla stazione appaltante il potere decisorio di esclusione del- l’operatore economico, tra le quali rientra anche la fattispecie del c.d. “grave illetito professionale” già prevista dall’articolo 80, comma 5, lettera c) del d.lgs. n. 50 del 2016, che viene specificatamente disciplinata nel successivo articolo 98. L’articolo 98, in senso innovativo rispetto al codice del 2016, si occupa nel dettaglio del grave illecito professionale, elencando le fattispecie che possono condurre alla adozione di una deliberazione motivata di esclusione (“non automatica” per quanto indicato nell’articolo 95, comma 1, lett. e)) dell’operatore economico, eliminando gli elementi di incertezza che hanno comportato un vasto contenzioso in materia, esigenza fortemente avvertita dagli operatori del settore e favorevolmente accolta anche dall’Autorità nazionale Anticorruzione nell’atto di segnalazione n. 3 del 27 luglio 2022, oltre che espressamente contemplata nella legge delega (2). nello specifico, il “nuovo” articolo sull’illecito professionale enumera e descrive le fattispecie rilevanti, tra le quali rientrano (articolo 98, comma 3): ‑lett. g) “contestata commissione da parte dell’operatore economico (...) di taluno dei reati consumati o tentati di cui al comma 1 del medesimo articolo 94”; lett. h) “contestata o accertata commissione, da parte dell’operatore economico (...) di taluno dei seguenti reati consumati (...)” (abusivo esercizio di una professione, bancarotta, reati tributari, etc.). (1) Il nuovo Codice dei contratti pubblici è entrato in vigore con i relativi Allegati il 1° aprile 2023, ma sarà efficace solo a partire dal 1° luglio 2023. È infatti prevista una fase transitoria di tre mesi, sicché il d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, abrogato dal 1° luglio 2023, continuerà da questa data ad applicarsi esclusivamente ai procedimenti in corso. Vi è quindi allo stato una “convivenza” delle due discipline. (2) La legge delega per la riforma del codice dei contratti pubblici (legge 21 giugno 2022 n. 78) all’articolo 1, comma 2, lettera n), ha previsto espressamente la: «n) razionalizzazione e semplificazione delle cause di esclusione, al fine di rendere le regole di partecipazione chiare e certe, individuando le fattispecie che configurano l’illetito professionale di cui all’articolo 57, paragrafo 4, della direttiva 2014/24/ue del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014». PArerI DeL CoMItAto ConSuLtIVo I successivi commi indicano i mezzi di prova che la stazione appaltante può utilizzare al fine di comprovare la sussistenza di un illecito professionale, chiarendo altresì la portata dell’obbligo motivazionale. In particolare, in relazione alle fattispecie sopra citate di cui alle lettere g) e f) del comma 3, si prevede che costituiscano mezzi di prova adeguati: “g) quanto alla lettera g), gli atti di cui all’articolo 407-bis, comma 1, del codice di procedura penale, il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’articolo 429 del codice di procedura penale, o eventuali provvedimenti cautelari reali o personali emessi dal giudice penale, la sentenza di condanna non definitiva, il decreto penale di condanna non irrevocabile, la sentenza non irrevocabile di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale; h) quanto alla lettera h), la sentenza di condanna definitiva, il decreto penale di condanna irrevocabile, la condanna non definitiva, i provvedimenti cautelari reali o personali, ove emessi dal giudice penale” (articolo 98, comma 6). La disposizione precisa che la stazione appaltante deve valutare i provvedimenti sanzionatori e giurisdizionali di cui al comma 6 motivando sulla ritenuta idoneità dei medesimi a incidere sull’affidabilità e sull’integrità del- l’offerente e che l’eventuale impugnazione dei medesimi è considerata nel- l’ambito della valutazione volta a verificare la sussistenza della causa escludente. Infine, viene puntualizzato che il provvedimento di esclusione deve essere motivato in relazione a tutte e tre le condizioni di cui al comma 2 (ossia, “a) elementi sufficienti ad integrare il grave illecito professionale; b) idoneità del grave illecito professionale ad incidere sull’affidabilità e integrità dell’operatore; c) adeguati mezzi di prova di cui al comma 6”). *** tanto premesso, si ritiene di concordare nell’interpretazione fornita da Consip S.p.a. nel senso che la sentenza di applicazione della pena su richiesta di cui all’articolo 444 c.p.p. non rileva anzitutto ai fini dell’esclusione automatica di cui all’articolo 94, comma 1, del nuovo Codice. Invero, la disposizione, nel prevedere l’esclusione automatica a carico degli operatori economici che abbiano riportato una condanna per uno fra i reati specificamente indicati, elenca testualmente, nella sua versione definitiva, le sole ipotesi di “sentenza definitiva o decreto penale di condanna divenuto irrevocabile” sicché si esclude che possa avere valore automaticamente escludente la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti. Si ritiene, altresì, corretto affermare, per le medesime ragioni di ordine testuale, che la stessa non rilevi ai fini della causa di esclusione non automatica di cui all’articolo 98, comma 3, lett. h), elencando l’articolo 98, comma 6, tra i mezzi di prova, “la sentenza di condanna definitiva, il decreto penale di condanna irrevocabile, la condanna non definitiva, i provvedimenti cautelari reali rASSegnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 o personali, ove emessi dal giudice penale”, senza dunque fare riferimento alla sentenza di applicazione della pena su richiesta ex art. 444 c.p.p. Ciò vale sia per la sentenza irrevocabile, sia per la sententa non irrevocabile di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 c.p.p., in quanto il tenore letterale della disposizione è chiaro nell’escludere qualsiasi tipologia di sentenza ex art. 444 c.p.p. per uno dei reati di cui all’articolo 98, comma 3, lett. h) del d.lgs. n. 36/2023 tra i mezzi di prova rilevanti ai fini del- l’esclusione (non automatica) ivi prevista. Viceversa, alla luce del tenore letterale dell’articolo 98, comma 6, lettera g), quest’ultima sembrerebbe di per sé (e quindi anche ove non sia disposta l’applicazione delle pene accessorie) rilevare come mezzo di prova ai fini delle valutazioni in merito alla sussistenza di un grave illecito professionale per le ipotesi contemplate dal comma 3, lettera g), in quanto si fa espresso riferimento agli “atti di cui all’articolo 407-bis, comma 1, del codice di procedura penale, il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’articolo 429 del codice di procedura penale, o eventuali provvedimenti cautelari reali o personali emessi dal giudice penale, la sentenza di condanna non definitiva, il decreto penale di condanna non irrevocabile, la sentenza non irrevocabile di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale”. La disposizione, dunque, espressamente attribuisce valenza probatoria ai fini della valutazione del grave illecito professionale alla sentenza non irrevocabile di applicazione della pena su richiesta per uno dei reati consumati o tentati di cui al comma 1 dell’articolo 94, equiparandola in questo senso alla “sentenza di condanna non definitiva” (oltre che al decreto penale di condanna non irrevocabile). Ciò, tuttavia, potrebbe apparire non coerente con la nuova disciplina introdotta dalla c.d. riforma Cartabia al comma 1-bis dell’articolo 445 c.p.p. in quanto in questo modo vi sarebbe una sostanziale equiparazione della sentenza (non irrevocabile) ex articolo 444 c.p.p. alla sentenza di condanna (non definitiva) come mezzo di prova discrezionalmente valutabile dalla stazione appaltante al fine della verifica in merito alla idoneità e affidabilità dell’operatore economico concorrente. una prima soluzione interpretativa sarebbe dunque quella di ritenere, pur a fronte della equiparazione prevista dall’articolo 98, comma 6, lettera g), del nuovo Codice fra sentenze (non definitive) di condanna e sentenze (non irrevocabili) di patteggiamento, che quest’ultime acquistino rilievo ai fini probatori solo qualora sia prevista l’applicazione di pene accessorie, a fronte della nuova disciplina dell’art. 445, comma 1-bis, c.p.p. tale conclusione sembrerebbe per un verso anche supportata dai lavori preparatori, posto che in sede parlamentare sono stati espunti i riferimenti “alla sentenza irrevocabile di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale”, in origine contenuti nell’articolo PArerI DeL CoMItAto ConSuLtIVo 98 comma 6, lett. h) e alla “sentenza di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale” all’articolo 94, comma 1, del nuovo Codice, mentre è stato lasciato il riferimento nell’articolo 98, comma 6, lett. g). Come si legge nella relazione illustrativa di accompagnamento al nuovo Codice: “rispetto al testo approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri, in accoglimento dell’osservazione con la quale entrambe le Commissioni parlamentari hanno chiesto al Governo di valutare l’opportunità di coordinare lo schema di decreto legislativo con le novità introdotte dal decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 sugli effetti extra-penali delle sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, all’alinea del comma 1 è stato soppresso il riferimento al citato articolo 444 del codice di procedura penale” [...] “sono state apportate anche le necessarie modifiche alla lettera h) del comma 7, finalizzate -per l’illecito professionale -ad eliminare il riferimento alla sentenza irrevocabile di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, al decreto penale di condanna non irrevocabile oppure agli atti di cui agli articoli 405 407-bis, comma 1 del codice di procedura penale nonché al decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’articolo 429 del codice di procedura penale, come mezzi di prova di per sé sufficienti a concretare l’esclusione, mentre è rimasto il riferimento alla condanna, definitiva e non definitiva, e alle misure cautelari penali”. Il permanente riferimento alla sentenza (non irrevocabile) di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 c.p.p. come mezzo di prova del “grave illecito professionale” ai sensi all’articolo 98, comma 6, lett. g) sembrerebbe dunque rappresentare, qualora si ritenesse di accedere a questa prima soluzione interpretativa, un difetto di coordinamento tra i due testi normativi (nuovo codice dei contratti e riforma Cartabia), non rinvenendosi ragioni per eliminare tale riferimento nelle ipotesi di cui al medesimo comma 6, lett. h) e all’articolo 94, comma 1, al dichiarato fine di “coordinare lo schema di decreto legislativo con le novità introdotte dal decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 sugli effetti extra-penali delle sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale” lasciandolo invece al successivo articolo 98, comma 6, lett. g). né si rinvengono, nella relazione di accompagnamento, indicazioni in tal senso. Pertanto, ragioni di ordine logico e sistematico, nonché di coerenza con la lettera e con la ratio della nuova disciplina del patteggiamento, potrebbero indurre a ritenere che le sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p. rilevanti ai sensi dell’articolo 98, comma 6, lett. g) del d.lgs. n. 36/2023, stante la pacifica natura non penale della predetta legge, siano solo quelle che prevedono pene accessorie, trattandosi dell’unica eccezione espressamente prevista dal novellato art. 445 c.p.p. rASSegnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 *** tuttavia, non sfugge alla Scrivente che la predetta soluzione interpretativa comporterebbe, di fatto, una interpretatio abrogans della norma, andando oltre alla sua interpretazione letterale, circostanza che potrebbe invero condurre a ritenere ragionevole una diversa soluzione interpretativa, che invece ravvisi nel mantenimento del riferimento alla sentenza ex art. 444 c.p.p. come mezzo di prova ai sensi dell’articolo 98, comma 6, lett. g) una precisa scelta del legislatore. non può infatti non rilevarsi come, dal punto di vista temporale, il Codice dei contratti pubblici sia successivo all’entrata in vigore della c.d. riforma Cartabia (e, quindi, non possa ravvisarsi una forma di c.d. abrogazione implicita, come avvenuto con riguardo alle disposizioni del c.d. decreto Severino nella consultazione richiamata nelle premesse), oltre ad essere una normativa speciale che, di per sé, dovrebbe comunque prevalere rispetto ad una legge precedente e generale, in virtù dei noti principi di risoluzione delle antinomie tra norme “incompatibili” compendiati nei brocardi latini lex posterior derogat priori e lex specialis derogat legi generali. Peraltro, occorre evidenziare anche la diversità delle fattispecie previste dall’art. 98, comma 3, lettera g) e dalla lettera h), cui il comma 6 rinvia. Solo con riguardo alla seconda, infatti, il legislatore ha ritenuto di espungere il riferimento alla sentenza di patteggiamento, motivato -come visto -proprio dall’esigenza di coordinare la disposizione alla novità introdotta dalla c.d. riforma Cartabia, mentre tale richiamo è rimasto immutato nella lettera g). Invero, mentre l’art. 98, comma 3, lettera g) fa riferimento all’ipotesi di “g) contestata commissione da parte dell’operatore economico, ovvero dei soggetti di cui al comma 3 dell’articolo 94 di taluno dei reati consumati o tentati di cui al comma 1 del medesimo articolo 94”, ossia gli stessi reati che impongono l’esclusione automatica, la lettera h) fa riferimento alla “h) contestata o accertata commissione, da parte dell’operatore economico oppure dei soggetti di cui al comma 3 dell’articolo 94, di taluno dei seguenti reati consumati: 1) abusivo esercizio di una professione, ai sensi dell’articolo 348 del codice penale; 2) bancarotta semplice, bancarotta fraudolenta, omessa dichiarazione di beni da comprendere nell’inventario fallimentare o ricorso abusivo al credito, di cui agli articoli 216, 217, 218 e 220 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267; 3) i reati tributari ai sensi del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i delitti societari di cui agli articoli 2621 e seguenti del codice civile o i delitti contro l’industria e il commercio di cui agli articoli da 513 a 517 del codice penale; 4) i reati urbanistici di cui all’articolo 44, comma 1, lettere b) e c), del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia, di cui al decreto del Presidente della repubblica 6 giugno 2001, n. 380, con riferimento agli affidamenti aventi ad oggetto lavori o servizi di architettura e ingegneria; 5) i reati previsti dal decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231”. PArerI DeL CoMItAto ConSuLtIVo Queste seconde ipotesi, in quanto di per sé fattispecie non idonee alla esclusione automatica ex art. 94 cit., potrebbero ritenersi “meno gravi” e dunque tali da condurre a ritenere non sufficiente, quale mezzo di prova, la sola sentenza di patteggiamento ex art. 444 c.p.p. Peraltro, proprio dal fatto che -come visto -nelle altre ipotesi in cui la sentenza ex art. 444 c.p.p. era espressamente menzionata (art. 94 e art. 98, co. 6, lett. h)) il legislatore ha espressamente deciso di espungere il riferimento nel dichiarato fine di coordinare il testo alla c.d. riforma Cartabia (cfr. relazione illustrativa prima citata), se ne potrebbe dedurre, a contrario, che il permanere del richiamo alla sentenza di patteggiamento nell’art. 98, comma 6, lettera g) rappresenti una precisa scelta legislativa, alla luce della maggior gravità probatoria rappresentata dalla presenza di una sentenza (anche non irrevocabile) di patteggiamento per reati che di per sé rilevano anche ai fini della esclusione automatica ex art. 94. tanto premesso, considerato che le due possibili letture sopra descritte avrebbero l’effetto, l’una, di interpretare la disposizione normativa in questione come relativa alle sole sentenze di patteggiamento che prevedono l’applicazione di pene accessorie, superando il tenore letterale della norma, l’altra, di far sorgere un possibile problema di coordinamento con la disciplina introdotta dalla c.d. riforma Cartabia, attesa la delicatezza della questione nonché le conseguenze derivanti dalle soluzioni prescelte in termini di possibile contenzioso, la Scrivente ritiene opportuno, prima di assumere le proprie determinazioni conclusive in ordine alla corretta interpretazione dall’articolo 98, comma 6, lettera g), del nuovo Codice dei contratti pubblici, acquisire preliminarmente l’avviso dei Ministeri in indirizzo, nonché ogni eventuale contributo utile da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dell’Autorità nazionale Anticorruzione. Si rappresenta l’urgenza di definire il quesito posto, suscettibile di interessare diverse Amministrazioni, oltre a Consip, considerato che le norme del nuovo Codice acquisiranno efficacia a decorrere dal 1° luglio 2023 e che la problematica sottoposta riguarda una materia, quella del “grave illecito professionale” quale fattispecie escludente nel settore delle gare pubbliche, che ha già generato nel passato un vasto contenzioso, sfociato in decisioni non sempre lineari e coerenti tra loro, contribuendo ad aumentare le incertezze applicative da parte degli operatori del settore. *** Il presente parere è stato sottoposto all’esame del Comitato Consultivo che, nella seduta del 5 giugno 2023, si è espresso in conformità. LEGISLAZIONEEDATTUALITÀ Responsabilità medica e sanità digitale Gaetana Natale* To cure o to care: per un medico esercitare la propria professione significa curare una malattia o “prendersi cura” del paziente come persona? La necessità della c.d. “umanizzazione delle cure” potrà realizzarsi con le nuove tecnologie digitali? La blockchian potrà realizzare la “c.d. continuità assistenziale integrata?”. Uno degli aforismi della Scuola Medica Salernitana recitava: “Si tibi deficiant medici, medici tibi fiant haec tria: mens laeta, requies, moderata diaeta”: certo ognuno di noi deve essere medico di sé stesso, ma il rapporto di cura deve realizzarsi sulla base della fiducia e dell’empatia con lo specialista che non solo deve guarirci dalla malattia, ma riportarci ad una situazione di completo benessere. In un momento storico come quello attuale, nel quale anche la medicina (o, almeno, quella di elezione) si è dovuta confrontare con il tema del distanziamento sociale, la c.d. “telemedicina” ha senz’altro rappresentato una grande opportunità ma anche, sotto alcuni profili, una grande sfida. Essa è considerata, indubbiamente, una delle nuove frontiere dell’organizzazione del sistema sanitario a livello internazionale. Difatti, l’emergenza pandemica ha determinato la necessità di ridisegnare i servizi sanitari anche attraverso un’attenta governance della digitalizzazione (1). (*) Avvocato dello Stato, Professore di Sistemi Giuridici Comparati, Consigliere giuridico del Garante per la tutela dei dati personali. Il presente articolo costituisce l’elaborazione di una relazione tenuta dall’Autrice il 13 dicembre 2022 presso il Centro Innovazioni Tecnologiche dell’Istituto Superiore della Sanità. Elaborazione redatta dall’Autrice unitamente alla DoTT.SSA FAbIolA AnDronACI, già praticante presso l’Avvocatura dello Stato. (1) La pandemia di Covid ha infatti portato alla luce, in maniera inequivocabile, il bisogno di im RASSEGNA AvvoCAtURA DELLo StAto -N. 4/2022 Nell’ultimo periodo, si è assistito ad una vera e propria accelerazione del processo normativo e applicativo di implementazione della sanità digitale, intesa quale sommatoria di progetti e strumenti, che vanno dal Fascicolo Sanitario Elettronico alla dematerializzazione delle ricette, dallo sviluppo delle App mediche alla telemedicina, fino a giungere allo sviluppo dell’intelligenza artificiale applicata alle attività medicali. Sono variegate le ragioni che stanno determinando il crescente sviluppo della sanità digitale e vanno ricercare in molteplici fattori, tra i quali l’incremento anagrafico della popolazione, l’aumento dell’incidenza delle patologie croniche, oltre alla già cennata necessità di una rinnovazione e implementazione della rete dei servizi assistenziali e sanitari. L’ambizioso progetto della telemedicina, che ha visto primi tentativi applicativi alcuni decenni fa, soprattutto in ragione del tentativo di erogare prestazioni sanitarie in luoghi difficilmente accessibili, quali imbarcazioni, centri di ricerche localizzati in zone remote o nell’ambito di scenari bellici, ha da alcuni anni visto una nuova primavera, anche grazie alla crescita tecnologica. Difatti, dal 2014 esistono nel nostro Paese linee guida emanate dal Ministero della Salute riguardanti il progetto di sanità a distanza, che tentano di focalizzare i molti aspetti spinosi e le difficoltà applicative di tale ambizioso strumento, anche tenendo in considerazione la frammentazione regionale dei sistemi sanitari. In coerenza con tali previsioni la Corte di Cassazione penale (2) si è espressa in merito alle modalità di effettuazione di quegli atti medici, prevalentemente attività diagnostiche, svolte “tra assenti”, venendo meno la compresenza nel medesimo luogo del paziente e dell’operatore sanitario che analizza dati rilevati altrove e ricevuti attraverso tecnologie informatiche. In particolare, la Corte ha confermato che “non è necessaria l’autorizzazione per le postazioni di telemedicina, in quanto il paziente vi effettua solo delle rilevazioni dei parametri che non implicano attività sanitaria”. Senza ombra di dubbio, l’emergenza sanitaria ha comportato un’accelerazione di tale progetto: si guardi all’approvazione del dicembre 2020 in sede di Conferenza Stato-Regioni delle indicazioni nazionali per l’erogazione delle prestazioni in telemedicina, che ha realizzato il pieno inserimento delle attività a distanza nel Sistema sanitario nazionale. Questo provvedimento, cui ovviamente dovranno seguire ulteriori applicativi, è particolarmente importante poiché ha consentito l’introduzione della telemedicina con ruolo autonomo e definito nei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), garantendo così la possibilità di erogazione proprio attraverso il Sistema sanitario nazionale, con relativo sistema di tariffazione delle varie maginare nuove modalità di erogazione delle prestazioni che possano permettere di seguire i pazienti anche da remoto, mediante l’uso di strumenti di tecnologia. (2) Cass. penale, sez. III, sent. n. 38485/2019. LEGISLAzIoNE ED AttUALItà tipologie di attività, tra le quali rientrano la televisita, il teleconsulto medico, la teleconsulenza medico-sanitaria, la teleassistenza da parte di professioni sanitarie e la telerefertazione. Si tratta di un ambizioso progetto dai risvolti complessi, dal punto di vista organizzativo e tecnico, per le strutture sanitarie coinvolte e che mira a rendere possibile la fruizione di servizi sanitari a distanza, con svariati vantaggi, sia a favore dei pazienti, che potranno usufruire di servizi sanitari, senza doversi recare fisicamente presso le strutture sanitarie, sia del personale sanitario, che sarà posto nelle condizioni di porre in essere prestazioni con l’abbattimento delle limitazioni logistiche. Le cennate linee guida, dal punto di vista operativo-tecnico, prevedono elementi standard necessari al fine della possibilità di erogazione dei servizi a distanza, tra i quali la piena disponibilità di una rete internet, la presenza di un portale a cui il personale medico dovrà accedere con credenziali e relativi privilegi all’accesso, un’applicazione web raggiungibile dai pazienti, previa verifica dell’identità, il rispetto delle indicazioni riguardanti il trattamento dei dati personali, e da ultimo la certificazione dell’hardware e dei software utilizzati dalle strutture per la sanità digitale, quali dispositivi medici. Alla luce dell’avvio sempre più consistente della telemedicina, appare fondamentale un’attenta attività di risk management e di governance aziendale che ponga attuazione alle previsioni volte alla realizzazione delle attività finalizzate alla prevenzione e alla gestione del rischio, anche, e forse soprattutto, ponendo in essere adeguati percorsi informativi e formativi volti alla corretta gestione e utilizzazione delle nuove tecnologie. Infatti, riguardo al profilo del risk management occorre constatare come la sicurezza delle cure sia considerata “parte costitutiva del diritto alla salute” (3) ed essa, si realizzi “anche mediante l’insieme di tutte le attività finalizzate alla prevenzione e alla gestione del rischio connesso all’erogazione di prestazioni sanitarie e l’utilizzo appropriato delle risorse strutturali, tecnologiche e organizzative” (4). Proprio per il raggiungimento di tale scopo, l’art. 3 (5) ha previsto l’istituzione dell’osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza nella sanità, che è stato costituito con decreto del Ministro della Salute del 29 settembre 2017 e si è insediato presso l’AGENAS (6) nel marzo del 2018. Il primo rapporto formulato dall’osservatorio, riguardante l’anno 2018 e inviato al Parlamento il 25 febbraio scorso, evidenzia come il compiuto conseguimento della sicurezza del paziente, delle cure e dell’intero sistema sani (3) Dall’art. 1, co. 1, l. 24/2017. (4) Dall’art. 1, co. 2, l. 24/2017. (5) L. 24/2017. (6) Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, ente pubblico non economico di rilievo nazionale. Svolge una funzione di supporto tecnico ed operativo alle politiche di governo dei servizi sanitari di Stato e Regioni, mediante attività di ricerca, monitoraggio, valutazione, formazione e innovazione. RASSEGNA AvvoCAtURA DELLo StAto -N. 4/2022 tario si basi sui principi di decentramento ed estrema periferizzazione, fino a giungere al singolo operatore sanitario della gestione del rischio; di accentramento della gestione dei sinistri a livello aziendale, interaziendale e/o anche solo regionale; di integrazione, in entrambi i sistemi di gestione, con piattaforme informatico -telematiche, volte alla reciproca alimentazione dei dati e delle attività di prevenzione e valutazione delle casistiche. È presumibile che sulla base delle iniziative che verranno assunte nei territori, si definiscano buone pratiche per la sicurezza anche nell’ambito della telemedicina, al fine di definire interventi che riducano il rischio di eventi avversi che possano essere determinati dall’uso non congruo o scarsamente professionale delle strumentazioni informatiche o dall’utilizzo di apparecchiature non adeguate. Da questo punto di vista si può dire che il percorso da intraprendere sarà sicuramente lungo e difficoltoso anche se alcuni territori annoverano già esperienze valide, ulteriormente avvalorate da forme di cooperazioni interregionali o transnazionali (7). Appare opportuno individuare le finalità che si intendono conseguire con la telemedicina. In primis, si tratta di servizi dedicati alle categorie di persone già classificate a rischio o persone già affette da patologie (come diabete o patologie cardiovascolari), le quali, pur conducendo una vita normale, devono sottoporsi a costante monitoraggio di alcuni parametri vitali, come ad esempio, tasso di glicemia per il paziente diabetico, al fine di ridurre il rischio di insorgenza di complicazioni. Per quanto concerne la diagnosi, questa comprende i servizi che hanno come obiettivo quello di muovere le informazioni diagnostiche anziché il paziente. Sebbene risulti difficilmente eseguibile un iter diagnostico attraverso l’uso esclusivo di strumenti di telemedicina, essa può costituire un completamento o consentire approfondimenti utili al processo di diagnosi e cura, ad esempio, attraverso la possibilità di usufruire di esami diagnostici refertati dallo specialista, presso l’ambulatorio del medico di medicina generale, la farmacia ovvero il domicilio del paziente. Per cura si deve intendere l’insieme dei servizi finalizzati a operare scelte terapeutiche e a valutare l’andamento prognostico riguardante pazienti per cui la diagnosi è ormai chiara. Si tratta ad esempio di servizi di teledialisi o della possibilità di interventi chirurgici a distanza. Poi, vi è la riabilitazione ovvero i servizi erogati presso il domicilio o altre strutture assistenziali a pazienti cui viene prescritto l’intervento riabilitativo come pazienti fragili, bambini, disabili, cronici, anziani. (7) È il caso questo della Provincia autonoma di trento con la sua partecipazione al progetto nathCare, elaborato nell’ambito del programma di cooperazione territoriale europea “Spazio alpino 20072013” mirante a creare una rete transnazionale di sistemi sanitari per buona parte incentrato proprio sulla sanità elettronica. LEGISLAzIoNE ED AttUALItà La fase di monitoraggio, invece, mira alla gestione, anche nel tempo, dei parametri vitali, e indica lo scambio di dati (parametri vitali) tra il paziente (a casa, in farmacia, in strutture assistenziali dedicate) in collegamento con una postazione di monitoraggio per l’interpretazione dei dati. Gli utenti sono i soggetti che fruiscono di un servizio di telemedicina. Si può trattare di: un paziente/caregiver (televisita, telesalute) -un medico in assenza del paziente (teleconsulto) -un medico o altro operatore sanitario in presenza del paziente (televisita, telecooperazione sanitaria). L’utente dovrà provvedere alla trasmissione delle informazioni sanitarie (dati, segnali, immagini, ecc.) e riceve gli esiti del servizio (diagnosi, indirizzi terapeutici). occorre distinguere un Centro erogatore e un Centro servizi. Il Centro erogatore può essere rappresentato da strutture del Servizio Sanitario Nazionale, autorizzate o accreditate, pubbliche o private, operatori del SSN quali medici di medicina generale e pediatri di libera scelta, medici specialisti che erogano prestazioni sanitarie attraverso una rete di telecomunicazioni. Il Centro erogatore riceve le informazioni sanitarie dall’utente e trasmette all’utente gli esiti della prestazione. Il Centro servizi, invece, è la struttura che ha la funzione di gestione e manutenzione di un sistema informativo, attraverso il quale il Centro erogatore svolge la prestazione in telemedicina, la installazione e manutenzione degli strumenti nei siti remoti (casa del paziente o siti appositamente predisposti), la fornitura, gestione e manutenzione dei mezzi di comunicazione (compresa la gestione dei messaggi di allerta) tra pazienti e medici o altri operatori sanitari, l’addestramento di pazienti e familiari all’uso degli strumenti. Il Centro servizi ha il compito di gestire le informazioni sanitarie generate dall’utente che devono pervenire al Centro erogatore della prestazione sanitaria, e gli esiti della prestazione che devono essere trasmessi dal Centro erogatore all’utente. Nel caso in cui non sia presente un Centro servizi, le funzioni del Centro servizi devono essere ottemperate dal Centro erogatore. Indubbiamente, la possibilità di connettere pazienti e medici attraverso App e piattaforme digitali ha consentito di mantenere attivo e vitale il rapporto medico-paziente, nonché di dare continuità ai percorsi di cura -laddove possibile -e ciò nelle modalità della “televisita” o “teleconsulto”, tuttavia non sono mancate (e ancora oggi non mancano) le preoccupazioni per quanto riguarda l’affidabilità dei sistemi, la sicurezza degli strumenti tecnologici prescelti e, in ultimo, i possibili profili di responsabilità legati a questa “nuova” modalità di erogazione delle prestazioni sanitarie. La prima volta che viene introdotta una definizione normativa di telemedicina avviene con il Decreto Ministero della Salute n. 77 del 23 maggio 2022 (8). (8) Regolamento recante la definizione di modelli e standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale nel Servizio sanitario nazionale. RASSEGNA AvvoCAtURA DELLo StAto -N. 4/2022 “la telemedicina è una modalità di erogazione di servizi e prestazioni assistenziali sanitarie sociosanitarie a rilevanza sanitaria a distanza, abilitata dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, e utilizzata da un professionista sanitario per fornire prestazioni sanitarie agli assistiti (telemedicina professionista sanitario -assistito) o servizi di consulenza e supporto ad altri professionisti sanitari (telemedicina professionista sanitario -professionista sanitario)” (9). Si pone allora il problema della responsabilità sanitaria. Sostanzialmente, ci si domanda se sia cambiata la responsabilità sanitaria nell’erogazione di una prestazione in telemedicina. Il tema della c.d. “telemedicina” è preso in considerazione dalla più recente disposizione normativa in tema di responsabilità professionale sanitaria, ossia la L. n. 24/2017 (meglio nota come Legge “Gelli”) concernente la responsabilità professionale in ambito sanitario. L’art. 7 della summenzionata legge, nel dettare le regole per il riparto della responsabilità fra struttura sanitaria e singolo esercente, prevede che “la struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell’adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell’opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del Codice civile, delle loro condotte dolose o colpose. la disposizione di cui al comma 1 si applica anche alle prestazioni sanitarie svolte in regime di libera professione intramuraria ovvero nell’ambito di attività di sperimentazione e di ricerca clinica ovvero in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale nonché attraverso la telemedicina”. Dalla lettura della disposizione, si evince come la prestazione possa essere erogata anche in forma “digitale”, ossia ricorrendo agli strumenti della telemedicina. Il richiamo esplicito a questa modalità di erogazione della prestazione fa sì che per i consulti effettuati “a distanza” valgano le medesime regole previste con riguardo alle modalità tradizionali di visita, ossia quelle in compresenza, applicandosi a entrambe analoga disciplina. Pertanto, dal punto di vista normativo, non vi sono differenze per quanto attiene al tema della responsabilità professionale, ma ciò che rileva è il modo in cui si utilizza la tecnologia, ossia lo strumento, e la scelta che si opera in tal senso. Difatti, il professionista sanitario deve sempre adottare la soluzione operativa che offra le migliori garanzie di proporzionalità, appropriatezza, efficacia e sicurezza, soprattutto, è tenuto a valutare se le specifiche circostanze del singolo caso concreto rendono possibile ricorrere a un servizio a distanza. Si dovrà, dunque, evitare di ricorrere allo strumento della televisita/del (9) L’allegato 1 punto 15 Decreto Ministero della Salute n. 77 del 23 maggio 2022. LEGISLAzIoNE ED AttUALItà teleconsulto se, in scienza e coscienza, si ritiene tale strumento non capace di fornire una risposta certa per via della patologia clinica del paziente oppure in ragione della inadeguatezza dei mezzi a disposizione. tuttavia, sul punto è ampio il dibattito, considerando che parte della dottrina ritiene che le prestazioni sanitarie effettuate attraverso strumenti digitali abbiano minor rango interpretativo (sia circa la sfera clinica che riguardo a risvolti connessi a profili di responsabilità del personale esercente la professione medica) rispetto a quelle poste in essere “in presenza”. tale tesi non risulta condivisibile, difatti il legislatore ha stabilito che possono rientrare nelle previsioni di cui agli artt. 1218 e 1228, non solo le prestazioni dirette svolte nell’ambito di strutture sanitarie, ma anche quelle effettuate attraverso strumenti di telemedicina. Ciò significa che le prestazioni di sanità digitale, sebbene siano effettuate con l’ausilio di strumenti digitali e attraverso la rete internet, rientrano a pieno titolo nell’ambito delle prestazioni professionali sanitarie ed eventuali violazioni dovranno essere trattate alla stregua di tutte le attività medicali svolte sulla base di rapporto strutturato tra il paziente e l’esercente la professione sanitaria. La ripartizione delle responsabilità dei soggetti coinvolti nella sanità digitale presenta, invece, spazi ancora labili e che presuppongono attente valutazioni. Come è stato spiegato, l’organizzazione delle attività di sanità digitale appare alquanto complessa, in virtù dell’articolata organizzazione dei servizi, che vedono l’esistenza di un Centro erogatore, rappresentato dalle strutture sanitarie (siano esse del SSN o accreditate, o ancora private) oltre agli operatori sanitari (medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, o ancora medici specialisti) che effettuano le attività sanitarie in favore degli utenti/pazienti attraverso gli strumenti tecnici approntati e gestiti dal Centro servizi. Il ruolo del Centro servizi appare quindi l’installazione e la manutenzione degli strumenti, oltre alla fornitura, la gestione e manutenzione dei mezzi di comunicazione digitale. Ebbene, la complessità appare evidente in quanto il servizio di telemedicina presuppone la necessaria interazione fra le tre figure fondamentali: il fornitore della strumentazione, l’azienda che eroga il servizio e il professionista che effettua la prestazione. Profili di responsabilità, nei casi di prestazioni viziate da censure, potranno quindi essere ravvisate in capo alle strutture che erogano il servizio, in buona sostanza per possibili errori di carattere organizzativo, ma anche in capo al professionista che effettua materialmente l’attività di telemedicina, ravvisandosi in tal caso le previsioni ben note relativamente alle fattispecie di responsabilità diretta dell’esercente la professione sanitaria. Potrà rispondere di eventuali malfunzionamenti dei sistemi informatici e di rete anche quel soggetto (fornitore della strumentazione) che ha l’onere di approntare l’installazione e la manutenzione di tali strumenti. Inoltre, implicando conservazione, archiviazione e trasmissione, anche RASSEGNA AvvoCAtURA DELLo StAto -N. 4/2022 internazionale, di dati sensibili (rectius, dati sanitari) concernenti lo stato di salute dei pazienti, così come la collaborazione a distanza di professionisti che prestino la propria opera, la telemedicina pone, anche, un problema di tutela della privacy dei pazienti, ossia di corretto trattamento dei dati concernenti il loro stato di salute. In linea teorica, ad esempio, la riservatezza dei dati personali del paziente può essere violata, intenzionalmente o accidentalmente, per errore umano, sia durante l’incontro vero e proprio di telemedicina che durante la trasmissione delle informazioni a distanza o in sede di archiviazione della cartella clinica, quest’ultima in forma cartacea od elettronica. Nel Codice della privacy (d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196) non sono dedicate specifiche norme sull’argomento; anche il titolo v della Parte I dedicata al trattamento di dati personali in ambito sanitario (artt. 75 ss.) non prende in specifica considerazione il trattamento dei dati sensibili nell’ambito della telemedicina. Nonostante l’assenza di indicazioni puntuali, principi e norme del Codice della privacy, i dati sensibili possono essere applicati analogicamente ai trattamenti sanitari di telemedicina. Un ultimo profilo che appare opportuno valutare concerne la disciplina del consenso informato. Difatti, il consenso informato del paziente è obbligatorio per i trattamenti medici in genere, essendo diretta applicazione tanto dell’art. 32, comma 2 Cost. (volontarietà dei trattamenti sanitari), quanto dell’art. 13 Cost. (inviolabilità della libertà personale) e dell’art. 33, legge 23 dicembre 1978 n. 833 (che esclude la possibilità d’accertamenti e di trattamenti sanitari contro la volontà del paziente, se questo è in grado di prestarlo) (10), a fortiori, quindi, esso deve essere richiesto specificamente anche per i trattamenti di telemedicina non potendosi presumere ch’esso sia prestato in relazione alla pratica medica tradizionale. Per quanto riguarda la trasparenza dei dati relativi alla salute ed il loro trattamento, l’art. 4, co. 1, l. 24/2017 stabilisce che le prestazioni sanitarie erogate dalle strutture pubbliche e private sono soggette all’obbligo di trasparenza nel rispetto del codice di materia di protezione dei dati personali, il c.d. codice della privacy (11). I successivi commi dell’art. 4 della l. 24/2017 configurano il diritto di accesso alla documentazione sanitaria come un diritto di accesso sui generis, azionabile anche nei confronti di soggetti privati, quali le strutture sanitarie private, e distinguibile sia dal diritto di accesso ai documenti amministrativi sia dal diritto di accesso civico, ponendo in capo alla direzione sanitaria della struttura pubblica o privata di fornire entro 7 giorni al richiedente avente diritto (10) Cass. civ., sez. III, 9 febbraio 2010, n. 2847. (11) Come noto ampiamente modificato dal d.lgs. 101/2018 ed a sua volta emanato per adeguare il nostro sistema al Regolamento Ue 679/2016, divenuto pienamente operativo a partire dal 25 maggio 2018. LEGISLAzIoNE ED AttUALItà la documentazione relativa al paziente “preferibilmente in formato elettronico” (art. 4, co. 2). In generale il trattamento dei dati personali che viene operato nell’espletamento dei servizi di telemedicina è assimilabile al trattamento dei dati personali di natura sensibile. I dati informativi relativi alla salute del paziente sono oggetto di particolare protezione. Essi sono definiti dall’art. 4, n. 15, regolamento Ue 2016/679 quali “dati personali attinenti alla salute fisica o mentale di una persona fisica, compresa la prestazione di servizi di assistenza sanitaria, che rivelano informazioni relative al suo stato di salute”. Questo fa sì che tali dati siano sottoposti ad un sistema particolarmente accurato che ne tutela il trattamento. In generale, sulla base dell’art. 9, par. 1 del più volte citato regolamento Ue, che ricomprende i dati relativi alla salute nelle categorie particolari di dati personali, vige il principio del loro divieto di trattamento. Il trattamento è tuttavia possibile quando si verifica uno dei casi indicati nel co. 2 del predetto articolo, il quale prevede al primo posto l’ipotesi in cui l’interessato abbia prestato il proprio consenso esplicito al trattamento di tali dati per una o più finalità specifiche. Per i profili che qui interessano, ai sensi di quanto stabilito nella lett. h) del co. 2 del surrichiamato articolo, il trattamento è possibile quando “è necessario per finalità di medicina preventiva o di medicina del lavoro... diagnosi, assistenza o terapia sanitaria o sociale ovvero gestione dei sistemi e servizi sanitari o sociali sulla base del diritto dell’Unione o degli Stati membri o conformemente al contratto con un professionista della sanità”. Ebbene, sostanzialmente quando ricorre l’esigenza di cura o diagnosi, il trattamento dei dati sanitari non solo non subisce divieti ma è praticabile prescindendosi dal consenso dell’interessato. Il regolamento Ue 2016/679 appare, in generale, particolarmente attento ai processi della evoluzione tecnologica, tant’è che nel considerando (6) viene fatto rilevare che “la rapidità̀ dell’evoluzione tecnologica e la globalizzazione comportano nuove sfide per la protezione dei dati personali” e nel considerando (7) viene sottolineato che l’evoluzione tecnologica “richiede un quadro più solido e coerente in materia di protezione dei dati dell’Unione, affiancato da efficaci misure di attuazione, data l’importanza di creare il clima di fiducia che consentirà lo sviluppo dell’economia digitale in tutto il mercato interno”. Il problema di maggior rilievo che si pone a proposito di trattamento di dati sanitari in telemedicina è quello di garantire la sicurezza delle informazioni. In generale il titolare del trattamento ha il compito di predisporre le misure di ordine tecnico e organizzativo che siano idonee e adeguate al soddisfacimento di tale esigenza (art. 32 reg. UE 2016/679). In tale contesto assume una particolare valenza il principio della accoun RASSEGNA AvvoCAtURA DELLo StAto -N. 4/2022 tability, in quanto il reg. UE dianzi citato prescinde dalla imposizione di misure minime (o, comunque, qualificabili come sufficienti), indicandole nel dettaglio, ma prescrive l’adozione di misure che debbono essere effettivamente idonee ed adeguate. Anche sotto questo aspetto la normativa statale si è adeguata al principio generale introdotto dal regolamento UE e, comunque, già prima dell’entrata in vigore del d.lgs. 101 2018, le sezioni unite della Cassazione avevano evidenziato il profilo della idoneità delle misure da adottare, precisando che “i dati sensibili idonei a rivelare lo stato di salute possono essere trattati soltanto mediante modalità organizzative quali tecniche di cifratura o criptatura che rendono non identificabile l’interessato. ne consegue -rilevano le Sezioni Unite -che i soggetti pubblici o le persone giuridiche private, anche quando agiscano rispettivamente in funzione della realizzazione di una finalità di pubblico interesse o in adempimento di un obbligo contrattuale, sono tenuti all’osservanza delle predette cautele nel trattamento dei dati in questione”. La legislazione italiana riserva una qualche attenzione ai profili concernenti la tutela dei dati relativi alla salute la cui acquisizione abbia luogo attraverso l’uso di nuove tecnologie. Un profilo particolare nel contesto dell’informatizzazione dei dati sanitari è quello riguardante il fascicolo sanitario elettronico, istituito dall’art. 12, d.l. 179/2012. tale strumento informatico riunisce i dati e i documenti digitali o digitalizzati di tipo sanitario e socio sanitario, relativi al paziente. Esso è costantemente aggiornato ed è accessibile, oltre che all’interessato, al personale sanitario autorizzato, mentre è esclusa la possibilità di accesso a datori di lavoro, periti assicurativi e terzi in generale. Nonostante tali garanzie, l’inserimento dei dati all’interno del fascicolo sanitario elettronico è subordinato al consenso del paziente, il quale deve essere informato su chi ha accesso ai dati contenuti nel fascicolo e su come i dati stessi possano essere utilizzati. In mancanza di una abrogazione espressa dell’art. 12, è da ritenere che la disposizione concernente la preventiva, obbligatoria acquisizione del consenso sia tuttora vigente. Infatti, pur sancendo l’art. 75 del codice della privacy, nella sua nuova formulazione, che per il trattamento dei dati effettuati per finalità di cura e diagnosi non occorra più, in generale, come abbiamo visto, il consenso dell’interessato, conformemente a quanto previsto dall’art. 9 reg. 2016/679, ciò non equivale al- l’abrogazione tout court di quelle disposizioni legislative che prevedono il consenso dell’interessato, giacché proprio ai sensi della normativa europea è rimessa agli Stati membri la valutazione circa l’opportunità “di mantenere ulteriori condizioni, comprese limitazioni, con riguardo al trattamento di dati genetici, dati biometrici o dati relativi alla salute” (art. 9, par. 4, reg. Ue 2016/679). LEGISLAzIoNE ED AttUALItà Il paziente, pertanto, dovrà prestare specifica adesione a questa speciale forma di medicina, non potendo il sanitario supporne la spontanea adesione dello stesso. Per quanto diffusa ed auspicata, infatti, la pratica della telemedicina non costituisce ancora un normale atto medico con la conseguenza che essa deve essere autorizzata distintamente dal paziente. La distinzione tra consenso informato prestato in relazione alla medicina tradizionale e a quella elettronica implica che il rifiuto della telemedicina non implichi pure il rifiuto delle cure mediche in genere. Se qualsiasi atto di telemedicina deve considerarsi atto medico, il paziente deve essere adeguatamente informato sulle caratteristiche del servizio, sui rischi collegati, ivi inclusi i ritardi nel trattamento dovuti a complicazioni della pianificazione della visita ospedaliera, sugli esiti attesi, su quelli probabili e su quelli possibili, sul funzionamento della telemedicina, sul personale che sarà presente nel corso dell’esame clinico, sui rischi per la riservatezza delle informazioni del paziente, comprese le politiche istituzionali riguardanti l’istruzione o la registrazione dell’incontro telemedico e le conseguenze del rifiuto. Per quanto essenziali, tali notizie possono essere incluse in un documento di consenso generale per la cura del paziente ovvero essere contenute in un documento separato, purché, ripetersi, il paziente riceva informazioni specifiche su quelle notizie. Perciò, si può affermare, che la situazione non cambia: il richiamo esplicito da parte del legislatore a questa nuova forma di modalità di erogazione della prestazione sanitaria comporta che per gli atti medici svolti in telemedicina varranno le stesse regole previste per la medicina “tradizionale”. Per quanto riguarda invece la casistica, seppure le segnalazioni negative e/o di problematiche sorte, è molto parca, non si può negare che l’erogazione di una prestazione in telemedicina possa presentare rischi specifici e certamente diversi rispetto a quelli tipicamente connessi alla medicina “tradizionale”. Il che non significa che la telemedicina sia più “pericolosa”, ma significa solo che i rischi possono essere “diversi” da quelli tradizionali. Quindi è necessario effettuare una specifica analisi di detti rischi. Con l’avvento della telemedicina si è ragionato su quali possibili scenari possano emergere e che, pertanto, tutti i medici dovrebbero avere presente per evitare di incorrere in responsabilità sanitaria derivante da un suo uso scorretto. Un primo scenario di “nuovi” contenziosi potrebbe riguardare l’opportunità del sanitario di ricorrere alla telemedicina. In particolare, si potrebbero profilare due casi di responsabilità sanitaria: -il medico fa colpevolmente ricorso alla telemedicina, o perché la patologia del paziente controllato (telecontrollo) o monitorato (telemonitoraggio) richiede un grado di controllo/monitoraggio maggiore rispetto a quello garantito dalla telemedicina (12), o perché il medico effettua una televisita in so RASSEGNA AvvoCAtURA DELLo StAto -N. 4/2022 stituzione di una visita in presenza che, attraverso un esame obiettivo completo (13), avrebbe consentito di rilevare una diversa e/o più grave patologia; -il medico ha colpevolmente omesso di far ricorso alla telemedicina, per esempio quando un telecontrollo/telemonitoraggio avrebbe potuto migliorare le condizioni di salute del paziente se affiancato al ricorso della medicina “tradizionale”. Il medico, in sostanza, è tenuto a valutare in quali situazioni e in che misura la telemedicina può essere impiegata in favore del paziente. Il fondamento della responsabilità, quindi, non sarebbe rinvenibile nelle modalità di erogazione della prestazione sanitaria, ma nella scelta stessa di ricorrere alla telemedicina. Questo è quanto accaduto per esempio nel risalente precedente giurisprudenziale in cui la Cassazione penale, con la sentenza n. 9279 del 28 marzo 2003, ha deciso di condannare per omicidio colposo tre medici che avevano seguito un paziente per telefono, così omettendo la necessaria visita in presenza. E infatti, in questo noto caso giudiziario la condanna non scaturì dal contenuto della prestazione sanitaria, bensì dalla erronea scelta di prescrivere diagnosi e terapie senza prevedere la necessità di svolgere una visita in presenza. Al “nuovo” profilo di cui al punto precedente potrebbero aggiungersi anche gli atti di malpractice sanitaria derivanti dall’inosservanza dei requisiti richiesti dalla legge e/o dalle linee guida per l’erogazione di una prestazione in telemedicina. In questa diversa ipotesi, il paziente potrebbe contestare la modalità attraverso la quale la prestazione in telemedicina è stata erogata (14). Ciò potrebbe accadere, per esempio, nei casi in cui: -venga effettuato un telecontrollo (o un telemonitoraggio) senza garantire al paziente di essere visitato in presenza in un tempo congruo al suo quadro clinico (15); -il medico non riesca a rilevare durante una televisita una patologia a causa della impossibilità tecnica del paziente di fornire in tempo reale tutti i necessari dati clinici, referti medici, immagini, audio-video, requisito invece ritenuto indispensabile dalle citate “Indicazioni del Ministero della Salute del 17 dicembre 2020” (16). È chiaro come in tali casi spetterà alla struttura provare di non avere responsabilità per i danni subiti dal paziente, per cui sarà fondamentale disporre (12) Ad esempio ricovero in struttura. (13) tradizionalmente composto da ispezione, palpazione, percussione e auscultazione. (14) Non il ricorso stesso alla telemedicina come nel caso precedente. (15) Come richiesto dalle citate “Indicazioni del Ministero della Salute del 17 dicembre 2020”. (16) Sul punto si precisa che, secondo le nuove linee di indirizzo, in caso di difficoltà nell’esecuzione della prestazione per qualunque motivo tecnico legato alle condizioni riscontrate del paziente, il sanitario dovrà riprogrammare la prestazione in presenza. LEGISLAzIoNE ED AttUALItà di idonea documentazione, anche videoregistrata, della corretta esecuzione della prestazione. In terzo luogo, è pacifico che la prestazione sanitaria in telemedicina debba rispettare gli stessi requisiti previsti per la “medicina tradizionale” in materia di consenso informato in conformità ai requisiti introdotti dalla Legge Gelli. Ciò implica che il sanitario dovrà specificare nel modulo di consenso informato, oltre alle informazioni indicate nell’ambito delle attività svolte in presenza, anche quelle più specificamente connesse all’erogazione della prestazione sanitaria da remoto. La mancanza di tali ulteriori informazioni potrebbe dunque comportare una responsabilità per violazione della disciplina in materia di consenso informato ed esporre il professionista al risarcimento dei danni. tra queste informazioni possiamo certamente annoverare quelle ritenute indispensabili dalle citate “Indicazioni del Ministero della Salute del 17 dicembre 2020” e, quindi, la circostanza che: -l’intervento tenuto in via telematica si potrebbe interrompere a causa di blackout, blocchi di sistema o instabilità della linea internet; -i dati del paziente potrebbero essere esposti a ulteriori e diversi rischi di riservatezza; -in caso di rifiuto della prestazione in telemedicina, il paziente potrebbe correre dei rischi a causa dell’attesa dei tempi di programmazione per una visita in presenza. Infine, un’altra possibile causa di contenzioso correlata alla telemedicina potrebbe riguardare il riparto delle responsabilità tra i diversi soggetti coinvolti nella erogazione della prestazione sanitaria in telemedicina. E infatti la telemedicina implica che la prestazione sanitaria del medico venga filtrata attraverso l’uso di dispositivi digitali, rete internet, software e sistemi di comunicazione. Il ruolo nella telemedicina del proprietario delle tecnologie è stato codificato per la prima volta nelle già citate Linee Guida Nazionali del Ministero della Salute del 10 luglio 2012 che gli hanno attribuito il ruolo di “Centro Servizi”. Si tratta di “una struttura che ha le funzioni di gestione e manutenzione di un sistema informativo, attraverso il quale il Centro Erogatore svolge la prestazione in Telemedicina, la installazione e manutenzione degli strumenti nei siti remoti (casa del paziente o siti appositamente predisposti), la fornitura, gestione e manutenzione dei mezzi di comunicazione (compresa la gestione dei messaggi di allerta) tra pazienti e medici o altri operatori sanitari, l’addestramento di pazienti e familiari all’uso degli strumenti). Di minima, esemplificando, il Centro Servizi gestisce le informazioni sanitarie generate dall’Utente che devono pervenire al Centro Erogatore della prestazione sanitaria, e gli esiti della prestazione che devono essere trasmessi dal Centro Erogatore all’Utente” (17). RASSEGNA AvvoCAtURA DELLo StAto -N. 4/2022 Le stesse Indicazioni chiariscono in tema di responsabilità il seguente principio: “Il Centro Servizi non interviene a livello di responsabilità clinica, risponde al Centro Erogatore per quanto riguarda lo svolgimento efficace di tutti i suoi compiti, in particolare per gli aspetti di integrità e sicurezza delle informazioni sanitarie trasmesse durante le attività di Telemedicina”. Di conseguenza, nella telemedicina la responsabilità professionale (i.e. clinica) rimane in capo alla struttura sanitaria e non si trasferisce al Centro Servizi. tuttavia, vi è un’eccezione. Come chiarito dalla Cassazione (18) il Centro servizi potrebbe rispondere qualora il servizio fornito, anche se non qualificato come atto sanitario, risulti pur sempre una prestazione sanitaria ai sensi delle normative vigenti. tale accertamento sarà di competenza dell’Autorità Giudiziaria, la quale, nel caso ritenga il servizio una prestazione sanitaria, riterrebbe inevitabilmente configurata la contravvenzione sanzionata dal R.D. n. 1265 del 1934, art. 193 per assenza della prescritta autorizzazione sanitaria. Ai fini della responsabilità, dunque, sarà dirimente per la Struttura sanitaria e il Centro servizi assicurarsi che il servizio da quest’ultimo erogato non abbia le caratteristiche dell’atto medico. Se è vero che la responsabilità professionale (al netto della eccezione indicata) non si trasferisce al Centro servizi, è altrettanto vero che il Centro servizi risponde (nei confronti della struttura sanitaria e del paziente) dei danni derivanti da un difetto della tecnologia e/o, più in generale, da un malfunzionamento del servizio (es. si pensi al caso in cui il software utilizzato dal paziente elabori la pressione o la glicemia in modo errato, ovvero ritardi la trasmissione dei dati al punto tale da far scaturire un ritardo diagnostico o di trattamento). In questo caso, qualora il danno sia imputabile al prodotto e/o servizio fornito dal Centro servizi, il paziente potrà chiedere i danni: -al Centro servizi direttamente a titolo di responsabilità del “produttore” come regolata dal Codice del Consumo per aver fornito un prodotto/servizio difettoso (Cfr. Cass. n. 3258/2016); -alla struttura sanitaria a titolo di responsabilità professionale per essersi avvalsa nell’erogazione della prestazione in telemedicina di una tecnologia malfunzionante e/o difettosa, fermo restando il diritto di quest’ultima di rivalersi nei confronti del Centro servizi per avergli fornito un prodotto/servizio che ha arrecato danni ai propri pazienti. Il principale vantaggio della sanità digitale è la possibilità di garantire un’interconnessione completa, non più legata al luogo di una struttura o agli (17) Definizione ministeriale. (18) Cass. Pen., sez. III, sent. n. 38485 del 17 settembre 2019. LEGISLAzIoNE ED AttUALItà orari in cui è possibile prenotare una visita medica. Al contrario, la notevole espansione delle soluzioni per la telemedicina e la nascita di soluzioni innovative, hanno portato ad una partecipazione informata da parte dei pazienti e ha incrementato il loro benessere personale. Inoltre, si sta ampliando l’interesse generale dei sistemi sanitari per velocizzare il processo di digitalizzazione. Così facendo si ottiene un duplice vantaggio non indifferente: vengono ridotti i costi effettivi delle cure e, contemporaneamente, si garantisce una maggior accuratezza di diagnosi e procedure. Ma non solo, poter avere a disposizione dei medici con cui consultarsi e mettere a disposizione su un network i propri servizi a favore dei pazienti, permette la prevenzione di condizioni mediche gravi e un adeguato supporto alla gestione delle loro patologie. I servizi principali della sanità digitale sono: -la telemedicina. Il settore della telemedicina permette a strutture e medici di comunicare facilmente sia con pazienti che con altri professionisti senza essere presenti fisicamente, ottimizzando tempi e risorse. trattandosi di dati sensibili si entra in un contesto molto spinoso, in quanto va garantita ad ogni livello e settore la privacy di ogni paziente. Perciò è importante che le aziende creino delle policy corredate di procedure per il consenso, in linea con le normative giuridiche. Inoltre, in questo particolare ambito, tendenzialmente si utilizzano dei servizi in cloud per conservare i dati sanitari. Quindi è molto importante essere ben aggiornati sugli standard di riservatezza che le informative privacy impongono; -la cartella clinica elettronica, o fascicolo elettronico (FSE). La cartella clinica elettronica è uno strumento molto utile per contenere lo storico della vita sanitaria dei pazienti interessati. Il trasferimento dei dati tra pazienti e professionisti sanitari è così agevolato dagli strumenti digitali disponibili. Naturalmente anche in questo ambito è molto importante la questione legata alla privacy. Il continuo sviluppo del significato di privacy e protezione di dati personali nonché della tutela stessa è causato proprio dall’evoluzione della tecnologia. È quindi indispensabile stabilire in principio chi ha i permessi per consultare i quadri clinici; -la ricetta elettronica. Il concetto di ricetta elettronica è un concetto rivoluzionario e fondamentale per snellire le attività rese all’interno degli ambulatori, anche se non sarà un’abitudine semplice da accettare per i cittadini italiani legati alle vecchie ricette cartacee. Con la ricetta elettronica si evita prima di tutto l’errore frequente che si verifica nel momento in cui vengono prescritti i farmaci. Spesso, infatti, è il farmacista a dover avere la capacità di interpretare la scrittura del medico di base per riuscire a capire di quale farmaco il paziente ha bisogno. Un altro vantaggio è legato al fatto che la ricetta elettronica permette allo Stato un controllo maggiore e un risparmio sui costi, dal momento che la ricetta elettronica costa molto meno rispetto a quella tra RASSEGNA AvvoCAtURA DELLo StAto -N. 4/2022 dizionale che va stampata. In ultima analisi, la ricetta elettronica permette di semplificare le operazioni di farmacovigilanza e di controllo effettuate, ad esempio, dalle ASL italiane. La legge, infatti, prevede che tutte le ricette prodotte e consegnate nelle strutture sanitarie debbano essere controllate. È ormai evidente che gli strumenti della sanità digitale che ci coinvolgono apportano dei sostanziali benefici sull’intero sistema sanitario e che la direzione intrapresa dalle principali strutture sanitarie sia quella di garantire massima affidabilità, puntualità e sicurezza. La sanità moderna non può più limitarsi al- l’assicurare le cure necessarie durante le emergenze. Anche perché molto spesso i problemi sono aggravati da lunghe attese o da una comunicazione gestita male. Perciò nasce l’esigenza di affidarsi a soluzioni di sanità digitale. Si è parlato anche di “telenegligenza”. Senza dubbio è veritiero che una prestazione erogata in telemedicina ha lo stesso valore di una prestazione erogata in presenza, e che alle attività svolte in telemedicina si applicano tutte le disposizioni -normative e deontologiche -applicabili delle professioni sanitarie; ma d’altra parte è vero che la telemedicina può porre problemi, come già anticipato precedentemente, inediti sotto il profilo della malpractice medica. Come ci ricorda l’Istituto Superiore di Sanità, agire in telemedicina significa assumersene piena responsabilità professionale, anche in ordine alla corretta gestione delle limitazioni dovute alla distanza fisica. Ad esempio, è raccomandabile utilizzare dispositivi medici di una particolare classe per la televisita (19), perché solo così viene assicurato il trasferimento in tempo reale di immagini video e audio, mentre è meno sicuro l’uso di strumenti digitali presenti al domicilio del paziente. Un primo spunto di riflessione in tema di compatibilità della telemedicina con il quadro normativo generale lo si può rinvenire nel riferimento alla forza espansiva del Codice dell’Amministrazione digitale, laddove, all’art. 9, è stabilito che “le amministrazioni pubbliche favoriscono ogni forma di uso delle nuove tecnologie per promuovere una maggiore partecipazione dei cittadini, anche residenti all’estero, al processo democratico e per facilitare l’esercizio dei diritti politici e civili e migliorare la qualità dei propri atti”. Poiché tra le amministrazioni pubbliche rientrano anche le amministrazioni che costituiscono il Servizio sanitario nazionale, ne discende la piena applicabilità, nel- l’ambito sanitario, dei principi affermati nel CAD, ferme restando le attribuzioni previste in tema di tutela della salute dall’art. 117 Cost. e le disposizioni che disciplinano la riservatezza e la protezione dei dati sensibili. Con riguardo al profilo concernente la responsabilità nelle sue diverse articolazioni, civile, penale, amministrativa e all’approntamento di un contesto tale da definirne con esattezza gli ambiti, è bene preliminarmente chiarire che essendo il servizio di telemedicina assimilabile a qualunque servizio sanitario (19) La classe “2-a”. LEGISLAzIoNE ED AttUALItà diagnostico-terapeutico, la prestazione in telemedicina non sostituisce la prestazione sanitaria tradizionale che si ha nel rapporto personale medico -paziente, ma integra quest’ultima per migliorarne l’efficacia, l’efficienza e l’appropriatezza. Questa annotazione, ai fini dell’accertamento delle responsabilità in ambito sanitario in un contesto caratterizzato dall’utilizzo della tecnologia informatica e telematica per l’assistenza e la cura dei pazienti, va tenuta costantemente presente in quanto la prestazione sanitaria mediata da Information and communication technology (ICt) è da ritenere assimilata alla prestazione erogata secondo le forme cosiddette tradizionali, avendo essa il fine precipuo di migliorare la qualità e l’appropriatezza delle cure complessivamente erogate dal sistema sanitario. In conclusione, si può affermare come la diffusione delle procedure e delle piattaforme digitali possa svolgere un ruolo chiave nella elaborazione di nuovi modelli di cura e di assistenza sanitaria. Permangono diverse problematiche applicative, cui abbiamo fatto cenno, soprattutto di compatibilità con i tradizionali contesti normativi e amministrativi. Il superamento di tali problematiche non può essere rimesso a interventi limitati ed episodici ma esige l’approntamento di un sistema organico per la sanità digitale in grado di fornire garanzia agli operatori e ai pazienti, fissando con chiarezza gli ambiti di responsabilità. RASSEGNA AvvoCAtURA DELLo StAto -N. 4/2022 L’ornitorinco del diritto costituzionale ovvero l’esercizio di stile nella tassonomia delle forme di governo Fabio Ratto Trabucco* l’articolo svolge una puntuale critica sul tema dell’eccesso ripartitorio dei sistemi di governo, riprendendo il caso della vicenda tassonomica dell’ornitorinco nell’ambito delle scienze umane. Attesa l’inesportabilità ovvero travaso delle forme di governo da un Paese all’altro, l’esercizio ozioso e vano della classificazione dei sistemi degli esecutivi non giova all’ingegneria costituzionale. Al contrario, l’analisi di ogni singola forma, quale calata in un determinato Paese, nel suo contesto evolutivo storico-politico-sociologico, è quanto mai utile per comprenderne vantaggi e limiti. l’utopia dell’idealtipo di governo cozza quindi con i vari archetipi dei sistemi qua e là esistenti ed i fiumi d’inchiostro dedicati alla loro classificazione appaiono perciò del tutto fini a sé stessi, alla stregua di una mera sterile speculazione dogmatica. Il diritto costituzionale non necessita, né tantomeno merita, perciò, un proprio ornitorinco da dissezionare in un campo di battaglia fra scienziati. Parliamoci chiaro: la partizione delle forme ovvero sistemi di governo é un mero esercizio di stile fine a se stesso caro ai costituzionalisti di lungo corso ed alto lignaggio. Non è certo questa la sede per un contributo del tutto estemporaneo e forse anche dissacratore di quella tradizione dottrinale che si occupa di comparazione con metodo universalizzante ma si reputa opportuno svolgere una libera critica in tema di catalogazione delle forme di governo. L’applicazione della disciplina tassonomica -da τάξις/tàxis, ordinamento e νόμος/nòmos, norma -alle forme di governo, in luogo delle classiche scienze naturali con la nota tassonomia biologica, costituisce la volontà di operare una classificazione gerarchica di elementi dell’ingegneria costituzionale. Infatti, da oltre un secolo la dottrina dei settori giuspubblicistico nonché politologico s’é variamente sforzata di trovare un punto d’equilibrio comune per riordinare in partizioni unanimemente accettate le forme degli esecutivi esistenti al mondo. L’obiettivo sarebbe anche quello di tendere ad una forma di governo ideale per l’architettura costituzionale del singolo Paese preso in esame. orbene, gli esiti sono stati del tutto vani. Basti al riguardo evocare il caso della negletta forma di governo semipresidenziale: da Duverger (1) a Frison- Roche (2) all’estero, da Biscaretti di Ruffìa (3) a volpi (4) in Italia, hanno (*) Professore a contratto in Istituzioni di diritto pubblico nell’Università di Padova. (1) Cfr. M. DUvERGER, le système politique française, XX, Paris, PUF, 1990, 527 ed ID., Échec au roi, Paris, Albin-Michel, 1978, 33, 122. LEGISLAzIoNE ED AttUALItà escogitato innumerevoli soluzioni modellistiche applicative, ma gli esiti appaiono non collimanti, se non financo contrapposti se pensiamo alle posizioni antitetiche al riguardo di Duverger e volpi. Anche la stessa classificazione tassonomica della forma di governo italiana proposta dall’Elia (5) é stata abilmente revocata in dubbio dal Luciani per il quale, più che di mutazioni del nostro sistema, si dovrebbe parlare della mera evoluzione del suo funzionamento (6): dunque la necessità di una “nontassonomia” delle forme di governo che ne distingua nettamente la struttura ed il funzionamento (7). Ne appare un tema piuttosto stantio e che per l’effetto appare sommessamente immeritevole d’ulteriori arzigogolate disquisizioni da parte della più attenta dottrina d’approccio metodologico sistemico e comparato e questo senza cadere nell’autocontraddizione della tesi critica qui esposta non certo dal Mortati “redivivo e pentito”. Sotto altro profilo, il tentativo di procedere a qualsiasi costo ad una classificazione rischia spesso di produrre dispute che poi si rivelano meramente nominalistiche. Ed un caso emblematico è rappresentato proprio dalle partizioni delle forme di governo, elaborate da costituzionalisti e politologi sotto forma di numerosissime varianti (8). Del resto, al fine di una corretta comprensione delle forme di governo, fare riferimento non solo ai dati formali, che in ogni caso devono essere individuati in modo corretto, distinguendo quelli «essenziali» da quelli «marginali», ma anche a quelli che emergono dall’effettività (9). Del resto, la necessità di classificare ed assegnare un nome agli oggetti sconosciuti non è certamente una prerogativa del solo diritto costituzionale, ma si può rintracciare in qualunque campo del sapere, dalle scienze sociali a quelle della natura. (2) Cfr. F. FRISoN-RoChE, le “modèle semi-présidentiel” comme instrument de la transition en Europe post-communiste, Bruxelles, Bruylant, 2005, 283. (3) Cfr. P. BISCAREttI DI RUFFìA, Diritto costituzionale, Napoli, Jovene, 1989, 212-213. (4) Cfr. M. voLPI, Esiste una forma di governo semipresidenziale?, in L. PEGoRARo, A. RINELLA (cur.), Semipresidenzialismi, Padova, Cedam, 1997, 25 ss. e ID., Sulla classificazione delle forme di governo proposta da Duverger, in A. BALDASSARRE, G. RoSSI (cur.), le istituzioni costituzionali in Italia. Il dubbio della riforma. Colloquio con Maurice Duverger, Roma, Autonomie, 1986, 39 ss., 99. Da ultimo, M. voLPI, Il semipresidenzialismo tra teoria e realtà, Bologna, Bononia University Press, 2014. (5) Cfr. L. ELIA, Governo (forme di) (voce), in «Enc. Dir.», XIX, Milano, Giuffré, 1970, 634 ss., su cui R. NANIA, Forma di governo e sistema dei partiti: rileggendo leopoldo Elia, in «Nomos», 2014, 1-8. (6) Cfr. M. LUCIANI, Governo (forme di) (voce), in «Enc. Dir.», Annali III, Milano, Giuffré, 2010, 538. (7) Ibid. (8) Cfr. L. PEGoRARo, Forme di governo, definizioni, classificazioni (con particolare riferimento alla forma di governo semipresidenziale), in AA.vv., Studi in onore di leopoldo Elia, Milano, Giuffré, 1999, II, 1216-1230 e R. tARChI, la classificazione delle forme di governo. Il difficile passaggio dal catalogo al sistema, Pisa, s.n., 1989. (9) Cfr. P. CIARLo, Il presidenzialismo regional style, in «Quaderni costituzionali», 2001, 1, 133. RASSEGNA AvvoCAtURA DELLo StAto -N. 4/2022 Ma a ben vedere, l’esercizio classificatorio non é certo prerogativa dei sistemi di governo. Nell’ambito delle scienze animali è nota la vicenda tassonomica dell’ornitorinco, l’animale scoperto in Australia a fine Settecento, che presentava caratteristiche anatomiche tali per cui risultava impossibile incasellarlo nelle categorie sino ad allora elaborate. Nacquero dispute infinite tra i naturalisti e furono necessari più di ottant’anni di disquisizioni, non senza duri contrasti tra scuole di pensiero differenti, per giungere alla conclusione che l’ornitorinco è un mammifero che depone le uova (l’unico insieme all’echidna o formichiere spinoso, anch’essa d’esclusiva stanza australiana) (10). Se è vero che, talvolta, le classificazioni mostrano con evidenza intenti di carattere meramente descrittivo ed autoreferenziale, più spesso le tipizzazioni delle forme di governo non ambiscono a tali usi, ma contribuiscono al dibattito sulle riforme istituzionali, alimentando le infinite discussioni sulla ricerca della migliore forma di governo. La modellistica delle forme di governo è, infatti, strettamente funzionale all’ingegneria costituzionale giacché ogni modello contiene al suo interno una soluzione normativa adatta al contesto politico-partitico da analizzare. Al limite, per evitare degenerazioni concettuali si potrebbe anche eliminare il male alla radice e sostenere -come del resto è stato fatto -che nel diritto costituzionale e, in particolare nel campo dei sistemi di governo, le classificazioni non abbiano nessun senso e si fondano sul presupposto, del tutto assurdo, che le forme di governo teoriche siano altrettante entità reali ed in ogni caso servano solo come supporto argomentativo in caso di dubbio sul reale funzionamento delle istituzioni. Del resto, per capire se la classificazione delle forme di governo presenti una qualche utilità è necessario porsi alcuni quesiti (11). In primo luogo si tratta di verificare se, una volta definiti, per esempio, i caratteri distintivi della forma di governo parlamentare e di quella presidenziale (separazione rigida dei poteri nel secondo caso, separazione souple nel primo) risulta una griglia teorica in grado di includere o escludere nella categoria così costruita le esperienze concrete. La risposta non può che essere negativa, in quanto se andiamo ad analizzare l’esperienza presidenziale statunitense vediamo che quella forma di governo presenta tutta una serie di elementi istituzionali (veto presidenziale sulle leggi, partecipazione del Senato per le nomine governative più importanti, etc.) che attenuano di molto il carattere rigido della separazione dei poteri. ovvio che la dottrina “corra ai ripari” individuando altri criteri per la distinzione tra forme di governo presidenziali e parlamentari, in primo luogo l’elezione diretta del Capo dello Stato nel primo caso, il rapporto fiduciario (10) Cfr. U. ECo, Kant e l’ornitorinco, Milano, Bompiani, 1999, 208 ss. (11) Cfr. M. tRoPER, les classifications en droit constitutionnel, in «Revue de droit public et de la science politique», 1989, 4, 945 ss. LEGISLAzIoNE ED AttUALItà tra Governo e Parlamento nel secondo. Anche in questa prospettiva, però, è facile cadere in numerose contraddizioni logiche. Per esempio, bisognerebbe dimostrare (cosa in realtà impossibile) che siano proprio i criteri individuati dal costituzionalista quelli che fanno funzionare una forma di governo in tal modo. Paradossalmente la classificazione così ottenuta non si distinguerebbe in nulla da quella che prendesse in considerazione le forme di governo nelle quali, per esempio, il Capo dello Stato è un uomo o una donna o quelle nelle quali la Costituzione è scritta o meno. Ancora, dal punto di vista scientifico la classificazione delle forme di governo non ha nessuna utilità perché una volta costruita una determinata tipologia bisognerebbe arrivare alla conclusione che tutte le forme di governo che presentano caratteristiche istituzionali identiche funzionano allo stesso modo, affermazione non difficilmente falsificabile (12). Al contrario, non manca chi cerca di dimostrare che la classificazione delle forme di governo ha ancora oggi un senso, in quanto alla contrapposizione tra la forma di governo parlamentare e quella presidenziale sarebbe possibile individuare delle vere e proprie logiche di funzionamento che, ancorate a precise argomentazioni di ordine storico, consentirebbero il mantenimento della tipologia classificatoria classica (13). In questo modo, in realtà, si entra in un circolo vizioso dal quale non sembra facile uscire. Negare che le classificazioni detengano una qualche funzione potrebbe anche rappresentare la soluzione del problema, sennonché le partizioni esistono e -come sopra cennato -non si limitano sempre ad una mera descrizione dell’esistente, ma, talvolta, ambiscono a suggerire soluzioni istituzionali ad ordinamenti in fase di manutenzione. Paradossalmente, la stessa semplificazione dei concetti a fini classificatori non genera soluzione, bensì ulteriore complicazione (14). A ben vedere, il nodo cardine appare l’estrema difficoltà del mondo accademico costituzionalistico a pensare per categorie generali, da cui il concreto sotteso rischio di “impiccarsi” alle microdefinizioni. A fronte del rischio di obliare una qualche categoria si finisce per elencarle tutte, anche se poi dimenticarsi comunque qualcuna è fatale. Inoltre, le classificazioni dei sistemi di governo restano sempre contraddistinte da una certa astrattezza di base, con la conseguente inevitabile difficoltà a calare un determinato idealtipo nella realtà concreta di un certo (12) Sull’utilità del diritto comparato nella tipizzazione delle varie forme di governo, cfr. G.U. RESCIGNo, Forme di stato e forme di governo, in «Enciclopedia giuridica treccani», Roma, IEI, XIv, 1989, 21-22 e M. DoGLIANI, Spunti metodologici per un’indagine sulle forme di governo, in «Giustizia costituzionale», 1973, 1, 214-243. (13) Cfr. P. LAUvAUX, Propositions méthodologiques pour la classification des régimes, in «Droits», 2000, 32, 109 ss. (14) Cfr. M. AINIS, la semplificazione complicante, in AA.vv., Diritto amministrativo ed economia: una sinergia per la competitività del Paese, Milano, Giuffré, 2015, 567-576. RASSEGNA AvvoCAtURA DELLo StAto -N. 4/2022 ordinamento, all’interno del quale si muovono differenti variabili -anche extraparlamentari (15) se non extragiuridiche con riferimento alla tecnologia (16) -sempre difficili da catalogare all’interno di una casistica predeterminata. occorre, quindi, considerare le varie partizioni con una buona dose di elasticità al fine di non limitare la gamma solo ad alcuni prototipi di governo. Ecco dunque che la furia ripartitoria all’ennesima potenza dei sistemi di governo, e quasi iconoclasta delle opposte classificazioni, s’appalesa discutibile se non dannosa per la stessa scienza costituzionalistica che deve saper contemperare e non certo contrapporre la diversa modellistica di governo. Attesa la stessa inesportabilità ovvero travaso delle forme di governo da un Paese all’altro, l’esercizio ozioso e vano della classificazione dei sistemi degli esecutivi non giova all’ingegneria costituzionale. Al contrario, per l’analisi di ogni singola forma, quale calata in un determinato Paese, nel suo contesto evolutivo storico-politico-sociologico (17), quanto mai utile per comprenderne vantaggi e limiti. L’utopia dell’idealtipo di governo cozza quindi con i vari archetipi dei sistemi qua e là esistenti ed i fiumi d’inchiostro dedicati alla loro classificazione appaiono perciò del tutto fini a sé stessi, alla stregua di una mera sterile speculazione dogmatica. Il diritto costituzionale non necessita, né tantomeno merita, perciò, un proprio ornitorinco da dissezionare in un campo di battaglia fra scienziati. Se la tassonomia nella visione predarwiniana ha lo scopo di individuare la gerarchia ordinata dei “tipi naturali” senza ammettere eccezioni, intermedi, anomalie, essa non s’attaglia ai sistemi di governo. Semmai occorre ripensare il concetto stesso di tassonomia come vera guida all’azione, nella quale, ad esempio, evitare di collocare il semipresidenzialismo in una o nell’altra casella classificatoria esistente e suggerendo sempre la necessità di un ulteriore esame invece che adagiarsi su dati suppostamente acquisiti ed inconfutabili. Inevitabile in questa sede un serio riferimento alle varie concezioni delle categorizzazioni, dai concetti di tipo e archetipo di Bentham alle nozioni di type e token di Peirce, dal concetto di idealtipo di Weber alle nozioni di crittotipo, fenotipo e genotipo di Sacco, dal principio di archetipo di Black sino all’idea di protipo di Rosch, per fare alcuni esempi. Lungi dall’appiattire la tematica delle forme di governo trascurando la ricaduta prescrittiva che la modellistica porta con sé, che è il vero aspetto interessante della teoria delle medesime, appare come, in luogo della tassonomia (15) Cfr. C. FASoNE, Sistemi di commissioni parlamentari e forme di governo, Padova, Cedam, 2012, 321-569. (16) Cfr. A. SANtoSUoSSo, G. PINottI, Il diritto delle corti, la scienza e la tecnica: una tassonomia, in «Rivista di BioDiritto», 2017, 1, 53-79. (17) Sulla differenza tra diritto comparato, altre discipline giuridiche, storiche, politologiche e sociologiche, cfr. G. LoMBARDI, Premesse al corso di diritto pubblico comparato. Problemi di metodo, Milano, Giuffré, 1986. LEGISLAzIoNE ED AttUALItà delle forme di governo, non possa che trovare ulteriore conferma propria l’illustre teoria del Sacco circa i c.d. formanti non verbalizzati o crittotipi (18), quali modelli inespressi dell’ordinamento. Come nell’eloquente caso del presidenzialismo latinoamericano quale crittotipo radicato nella storia coloniale dell’area in quanto connesso ad un istituto dell’antico diritto precolombiano che corrisponde a quello che sarà poi l’istituto presidenziale una volta affermata l’indipendenza dalla corona spagnola (19). Il minimo comune denominatore cruciale e dirimente dei sistemi di governo delle liberaldemocrazie resta unicamente la c.d. opposizione garantita (20), titolare di un’autentica funzione costituzionale istituzionalizzata, alla stregua di una delle più sorprendenti scoperte sociali dell’umanità (21). Ne sono esempi passim, fra l’altro, lo shadow cabinet inglese, il diritto di costituire commissioni d’inchiesta a richiesta di un quarto dei membri del bundestag, il diritto di ricorrere alla giustizia costituzionale da parte di minoranze parlamentari in Austria, Francia, Germania e Spagna ovvero la regola convenzionale di assicurare all’opposizione la presidenza di alcune Commissioni parlamentari con funzioni di controllo e, talvolta, la presidenza di una delle Assemblee, come anche in Italia. E per quanto il ruolo dell’opposizione possa in certi casi risultare appannato (governi di grande coalizione, gabinetti di guerra, democrazie consociative sul modello elvetico, etc.) ne deriva ineluttabile la perdita di significato della stessa separazione dei poteri statuali tra Parlamento e Governo. Al contrario, s’è in ogni caso affermata una diversa contrapposizione ovvero un nuovo dualismo funzionale (22) tra esecutivo e maggioranza parlamentare, da un lato, ed opposizione cui è affidata la funzione di controllo, dall’altro lato, in sostituzione della classica dicotomia Parlamento borghese vs. Governo del monarca. La funzione attiva delle minoranze pone in secondo piano la stessa rilevanza del pluripartitismo e genera per l’effetto in ogni caso delle forme di governo ad opposizione garantita (23) che si distinguono dalle mere “democrazie di facciata” autocratiche, del tutto avulse dai principi classici del costituzionalismo liberale. (18) Cfr. R. SACCo, Crittotipo (voce), in «Digesto delle discipline privatistiche», II, Utet, torino, 1990, 39 e ID., Introduzione al diritto comparato, torino, Giappichelli, 1980, 33-35. (19) Cfr. G. LoMBARDI, cit., 64-65 e da ultimo sul tema D.A. SABSAy, Constitución y transición a la democracia en América latina. Ensayos selectos, Santiago del Cile, olejnik, 2019. (20) Cfr. G. DE vERGottINI, Diritto costituzionale comparato, Padova, Cedam, 2019, 210. (21) Cfr. R.A. DAhL, Toward Democracy: A Journey, Berkeley, University of California Press, 1997, 10 e M. BAILEy, D. BRAyBRookE, robert A. Dahl’s Philosophy of Democracy Exhibited in his Essays, in «Annual Review of Political Science», 2003, 6, 99-118. (22) Cfr. G. DE vERGottINI, cit., 210. (23) Cfr. G. DE vERGottINI, la forma de gobierno de oposición garantizada, in «Revista de Estudios Políticos», 1979, 9, 5-41. CONTRIBUTIDIDOTTRINA Autorità Amministrative Indipendenti. Caratteri, tipologie, procedimenti in attribuzione e tutele giurisdizionali Gerardo Michele* Sommario: 1. autonomia ed indipendenza delle autorità amministrative indipendenti 2. Natura giuridica delle autorità indipendenti -3. Un modello deviante da quello ministeriale. Problemi di compatibilità costituzionale -4. Poteri caratterizzanti le autorità indipendenti: poteri normativi, regolatori, amministrativi (vigilanza/sanzionatori) -5. autorità garante della concorrenza e del mercato (c.d. antitrust) -5.1. Procedimenti in attribuzione all’antitrust -6. autorità per la garanzia delle comunicazioni (c.d. agcom) -7. autorità di regolazione per energia, reti e ambiente (c.d. arera) -8. autorità di regolazione dei trasporti (c.d. art) -9. autorità nazionale anticorruzione (c.d. anac) -10. Garante per la protezione dei dati personali (c.d. Garante della privacy) -11. Banca d’italia -12. istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (c.d. ivass) -13. Commissione nazionale per la Società e la Borsa (c.d. Consob) -14. agenzia per la rappresentanza negoziale delle Pubbliche amministrazioni (c.d. aran) -15. Difensore Civico -16. Procedimenti para-giurisdizionali in attribuzione alle autorità amministrative indipendenti -17. rimedi giurisdizionali avverso gli atti delle autorità amministrative indipendenti -18. Necessità di una riflessione sulla vitalità delle autorità amministrative indipendenti. 1. autonomia ed indipendenza delle autorità amministrative indipendenti. Gli enti indipendenti sono enti pubblici dotati di autonomia ed indipendenza, al vertice di ordinamenti sezionali, specie nel campo economico, con compiti regolatori e di garanzia in posizione neutrale, di equidistanza tra i soggetti, pubblici e privati, in gioco. Le varie leggi istitutive enunciano che le au (*) Avvocato dello Stato. Le opinioni espresse nel presente scritto rappresentano esclusivamente il pensiero dell’Autore. rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 torità operano in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione. L’autonomia, come di consueto, implica la capacità di autodeterminarsi in determinati ambiti. L’indipendenza deve sussistere specialmente rispetto ad un particolare soggetto in gioco, ossia dal Governo. Si reputa che la particolarità degli interessi richiede che gli stessi vengano gestiti in modo neutro, in mera applicazione della legge, senza posizioni di parte quale potrebbe essere l’influenza esercitata dall’indirizzo politico del governo o il controllo dell’esecutivo. La neutralità implica uno stato di indifferenza rispetto all’assetto degli interessi oggetto di regolazione e la piena equidistanza tra le posizioni dei vari soggetti o gruppi interessati. La neutralità è quindi diversa dalla imparzialità. Questa ultima richiede che nel procedimento è doveroso valutare e ponderare tutti gli interessi pubblici e privati coinvolti, e non favorire uno specifico interesse, ma sempre in funzione della migliore tutela dello specifico interesse pubblico in attribuzione dell’autorità procedente. L’indipendenza viene garantita dalla assenza di interferenze del Governo sui vertici dell’autorità. L’indipendenza è il frutto del concorso di diverse circostanze: attribuzione del potere di nomina dei vertici dell’autorità indipendente ad autorità diverse dal Governo; vertici scelti tra soggetti dotati di specifica ed elevata professionalità; dotare le dette autorità di autonome e sufficienti risorse umane, materiali e strumentali. Va registrato che tali circostanze non sempre ricorrono per tutte le autorità. oltre all’estraneità rispetto all’indirizzo politico ulteriore tratto caratterizzante le Autorità in esame è l’elevata expertise tecnica, l’elevata conoscenza tecnica attese le complesse funzioni esercitate (operative, regolatorie, quasi giurisdizionali) (1). 2. Natura giuridica delle autorità indipendenti. Le autorità indipendenti sono amministrazioni dello Stato, diverse dai Ministeri. Spesso, al momento della loro istituzione, la legge dispone che le attribuzioni in un dato settore fino ad allora spettanti al Ministero sono trasferite all’Autorità. trattasi di enti aventi natura amministrativa e non -esaltando i poteri regolatori e la neutralità dell’esercizio delle funzioni -un tertium genus tra amministrazione e giurisdizione (2). (1) Così: M. D’ALberti, Lezioni di diritto amministrativo, iV edizione, Giappichelli, 2019, p. 110. (2) Ex plurimis: C. ConteSSA, A. LALLi, manuale di diritto amministrativo, La tribuna, 2021, p. 349. in giurisprudenza: Cons. Stato, 30 maggio 2014, n. 2818 secondo cui le autorità indipendenti sono amministrazioni pubbliche in senso stretto, poiché, composte da soggetti ai quali è attribuito lo status di pubblici ufficiali (art. 2, comma 10, legge n. 481 del 1995), svolgono compiti propri dello Stato, dotate di potere normativo secondario (o, altrimenti, il potere di emanazione di atti amministrativi pre Contributi Di DottrinA Corollario di tale dato è che gli atti adottati dalle amm.ni in esame sono sottoposti all’ordinario sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo (con l’eccezione, per deroga legale, del Garante della privacy ed altresì per le controversie in materia di opposizione avverso le sanzioni irrogate dalla Consob e dalla banca d’italia, ove la giurisdizione spetta all’A.G.o.). inoltre la rappresentanza, il patrocinio e l’assistenza in giudizio delle autorità spettano ex lege all’Avvocatura dello Stato in virtù dell’art. 1 r.D. 30 ottobre 1933, n.1611 (3). Poi, in virtù dell’art. 2 bis, comma 1, D.L.vo 14 marzo 2013, n. 33, la disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni si applica altresì alle autorità amministrative indipendenti di garanzia, vigilanza e regolazione. Vengono ricondotti a tale categoria -tra l’altro -i seguenti enti: l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, (c.d. Antitrust), l’Autorità per la garanzia delle comunicazioni (c.d. Agcom), l’Autorità di regolazione per energia reti e Ambiente (c.d. Arera), l’Autorità di regolazione dei trasporti (c.d. Art), l’Autorità nazionale anticorruzione (c.d. Anac), il Garante per la protezione dei dati personali (c.d. Garante della Privacy), la banca d’italia, la Commissione nazionale per la società e la borsa (c.d. Consob), l’istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (c.d. ivass), l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle Pubbliche Amministrazioni (c.d. Aran), il Difensore Civico. Le autorità amministrative indipendenti sono strutture particolarmente diffuse a partire dall’inizio degli anni ’90 del secolo scorso sul modello di enti già presenti nel nostro ordinamento (quali la banca d’italia) e di suggestioni del mondo anglosassone (le c.d. authority). Con il tempo, nel decennio fino al 2000, tuttavia si è avuta una vera e propria proliferazione di enti indipendenti, non sempre necessari e non sempre indipendenti. 3. Un modello deviante da quello ministeriale. Problemi di compatibilità costituzionale. Con gli enti indipendenti viene creato, come detto, un ordinamento sezionale. ossia una data branca del diritto amministrativo fuoriesce dal modello cettivi collettivi), di poteri sanzionatori, di ispezione e di controllo; esse hanno poteri direttamente incidenti sulla vita dei consociati che si giustificano solo in forza della natura pubblica che deve -necessariamente - essere loro riconosciuta. (3) Secondo cui “La rappresentanza, il patrocinio e l’assistenza in giudizio delle amministrazioni dello Stato, anche se organizzate ad ordinamento autonomo, spettano alla avvocatura dello Stato. Gli avvocati dello Stato, esercitano le loro funzioni innanzi a tutte le giurisdizioni ed in qualunque sede e non hanno bisogno di mandato, neppure nei casi nei quali le norme ordinarie richiedono il mandato speciale, bastando che consti della loro qualità”. ricognitivamente si conferma il patrocinio erariale in favore di date Autorità con diverse disposizioni (art. 154 ter, comma 2, D.L.vo 30 giugno 2003, n. 196 con riferimento al Garante della Privacy; D.P.C.M. 22 giugno 1995 con riferimento all’ArAn; art. 1, comma 10, D.L. 8 aprile 1974, conv. L. 7 giugno 1974, n. 216 con riferimento alla ConSob). rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 ministeriale per essere regolato, in autonomia ed indipendenza, da un distinto ente. tale modello pone un problema di compatibilità costituzionale, atteso che l’indipendenza spezza il cordone ombelicale che deve legare -in modo diretto o indiretto -l’apparato amministrativo al corpo elettorale, in ossequio all’art. 1, comma 2, Cost., secondo cui “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. nel modello ministeriale, i rappresentanti del popolo (Parlamento) aventi funzioni di indirizzo e controllo -danno la fiducia al Governo che è al vertice dell’apparato amministrativo (rectius: ogni articolazione statale dipende -in misura più o meno intensa -da un Ministro); il Governo, poi, risponde dei risultati della propria condotta, a titolo di responsabilità politica e/o amministrativa (4). Quando si segue il modello delle autorità amministrative indipendenti tanto non avviene. Anzi, quanto più si esalta l’indipendenza tanto più ci si allontana dal modello ministeriale (5). Ma tant’è. Le autorità amministrative indipendenti pullulano rigogliose nel mondo giuridico. Per il principio di effettività occorre prenderne atto, segnalando la detta aporia. Diversamente opinando si ritiene che la fonte di rango costituzionale di queste autorità è data piuttosto da norme e principi dell’ordinamento del- l’unione europea che, almeno per alcune di esse, espressamente prevedono il requisito dell’indipendenza (6). Molte autorità sono state istituite in attuazione del diritto dell’unione europea che ha dato origine ad una rete integrata di organismi istituiti in ciascuno Stato membro svolgenti in modo coordinato la propria attività per curare l’attuazione del diritto europeo in particolari materie. Ad es., in tema di protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, l’art. 51, commi 1 e 2, del reg. (Ce) 27 aprile 2016, n. 2016/679/ue del Parlamento europeo prevede: “1. ogni Stato membro dispone che una o più autorità pubbliche indipendenti siano incaricate di controllare l’applicazione del presente regolamento al fine di tutelare i diritti e le libertà fondamentali delle persone fisiche con riguardo al trattamento e di agevolare la libera circolazione dei dati personali all’interno dell’Unione («autorità di controllo»). 2. ogni autorità di controllo contribuisce alla coerente applicazione del presente regolamento in tutta l’Unione. a tale scopo, le autorità di controllo cooperano tra loro e con la Commissione, conformemente al capo Vii ”. (4) Ai sensi dell’art. 95, commi 1 e 2, Cost. “il Presidente del Consiglio dei ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei ministri. i ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei ministri, e individualmente degli atti dei loro dicasteri”. (5) esprime dubbi sulla legittimità costituzionale della istituzione delle autorità in questione e. CASettA, manuale di diritto amministrativo, XVi edizione, Giuffré, 2014, pp. 248-249. (6) Così: V. CeruLLi ireLLi, Lineamenti del diritto amministrativo, Vi edizione, Giappichelli, 2017, p. 108. Contributi Di DottrinA ulteriore argomento in favore della compatibilità costituzionale delle autorità indipendenti è costituito dalle particolari garanzie partecipative degli operatori del settore caratterizzanti -per numerose autorità, secondo la disciplina legislativa -l’attività di regolazione, con la sottoposizione di una attività, spesso normativa, al principio del contraddittorio (7). 4. Poteri caratterizzanti le autorità indipendenti: poteri normativi, regolatori, amministrativi (vigilanza/sanzionatori). La creazione dell’ordinamento sezionale comporta che l’autorità è l’ente di riferimento nella materia, con poteri normativi, regolatori, amministrativi, il cui esercizio è connotato, spesso, da discrezionalità tecnica. Difatti le leggi costitutive delle autorità prevedono, di norma, che queste: -sono dotate di un potere normativo secondario, ossia di adottare regolamenti, quanto meno riferito alla propria organizzazione (disegno organizzativo, personale, contabilità), senza soggezione al potere regolamentare in materia di organizzazione attribuito al governo ex art. 17, comma 1, lett. d) L. 23 agosto 1988, n. 400. Le amministrazioni indipendenti si caratterizzano per la loro soggezione soltanto alla legge. Sovente è prescritto che il regolamento deve essere motivato, in deroga alla regola generale di cui all’art. 3 L. 7 agosto 1990, n. 241 che non prescrive la motivazione per gli atti normativi; ciò è prescritto, ad es., per i provvedimenti aventi natura regolamentare o di contenuto generale (esclusi quelli attinenti all’organizzazione interna) della banca d’italia, della Consob, dell’isvap che “devono essere motivati con riferimento alle scelte di regolazione e di vigilanza del settore ovvero della materia su cui vertono” (art. 23, comma 1, L. 28 dicembre 2005, n. 262); -hanno potere regolatorio del settore, a mezzo di atti generali (a seconda delle previsioni: regolamenti, linee guida, raccomandazioni, orientamenti), incidendo pertanto su attività e situazioni dei terzi, guidando e conformando i comportamenti degli operatori (es. imprese operanti in certi mercati); -gestiscono in modo concreto gli interessi pubblici in attribuzione, a mezzo di procedimenti amministrativi diretti al controllo del rispetto della disciplina in materia, sanzionando le condotte difformi degli operatori rispetto al quadro di riferimento. in tale attività le autorità fanno uso, sovente, della c.d. discrezionalità tecnica dovendosi operare delle valutazioni tecniche. 5. autorità garante della Concorrenza e del mercato (c.d. antitrust). L’Autorità è stata istituita con la L. 10 ottobre 1990, n. 287. Ha autonomia organizzativa; ha altresì autonomia finanziaria nei limiti del contributo fissato dalla legge (art. 10, commi 6 e 7, L. n. 287/1990). È una Autorità di tipo ge (7) Conf. Cons. Stato, 1 ottobre 2014, n. 4874. rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 neralista atteso che esercita i propri poteri, in modo trasversale, nei confronti di tutte le imprese o di altri soggetti pubblici o privati (8). Composizione e nomina. L’Autorità è organo collegiale costituito dal presidente e da quattro membri, nominati con determinazione adottata d’intesa dai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della repubblica. il presidente è scelto tra persone di notoria indipendenza che abbiano ricoperto incarichi istituzionali di grande responsabilità e rilievo. i quattro membri sono scelti tra persone di notoria indipendenza da individuarsi tra magistrati del Consiglio di Stato, della Corte dei conti o della Corte di cassazione, professori universitari ordinari di materie economiche o giuridiche, e personalità provenienti da settori economici dotate di alta e riconosciuta professionalità. i membri dell’Autorità sono nominati per sette anni e non possono essere confermati (art. 10, commi 2 e 3, L. n. 287/1990). Compiti. È preposta alla tutela della libera concorrenza in una economia liberale, con poteri di controllo/ispettivi, sanzionatori, conoscitivi e consultivi. L’autorità non è invece titolare di poteri regolatori, atteso che gli interventi della stessa sono riferiti a comportamenti già posti in essere dalle imprese. È escluso, dall’ambito della tutela della concorrenza in capo alla detta Autorità, il settore del credito, che rimane di competenza della banca d’italia. La libera concorrenza vuole che non vi siano ostacoli e dal lato della domanda e, soprattutto, dal lato dell’offerta. Dal lato della domanda i consumatori devono potere scegliere prodotti e servizi in base alla convenienza per prezzo e qualità; dal lato della offerta le imprese devono competere e conquistare il mercato solo per la loro capacità ed i loro meriti. L’autorità è uno dei soggetti rilevanti della rete europea per la tutela della concorrenza, ordinamento sezionale che comprende la Commissione europea e le autorità nazionali sulla concorrenza (AnC), che per l’italia è costituita, appunto, dall’ente in esame. Antitrust e Commissione sono attori, nazionali ed europei, competenti per la tutela della concorrenza secondo la disciplina contenuta essenzialmente negli artt. 101-109 trattato sul funzionamento dell’unione europea (t.F.u.e.), nel regolamento (Ce) n. 1/2003 del Consiglio del 16 dicembre 2002 concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli artt. 101 e 102 del t.F.u.e. e nel regolamento (Ce) n. 139/2004 del Consiglio del 20 gennaio 2004 relativo al controllo delle concentrazioni tra imprese. nell’ambito della rete europea della concorrenza vi è una cooperazione al fine della assistenza investigativa (artt. 15 octies -15 duodecies L. n. 287/1990). L’autorità è competente su cartelli e abusi di posizione dominante di rilevanza nazionale ed anche europea (in quest’ultima ipotesi l’intervento del- l’antitrust è consentito per il principio delle competenze parallele tra (8) M. CLAriCH, manuale di diritto amministrativo, iii edizione, il Mulino, 2013, p. 349. Contributi Di DottrinA 259 Commissione dell’u.e. ed autorità nazionali) (9); per i procedimenti gestiti dalla Commissione, poi, può prestare assistenza e, quindi, contribuire all’istruttoria. invece, per le concentrazioni, è competente solo per le operazioni di rilevanza nazionale, atteso che per quelle di rilevanza europea è competente la Commissione. 5.1. Procedimenti in attribuzione all’antitrust. i procedimenti in attribuzione dell’autorità più rilevanti sono tre. Procedimenti di controllo/ispettivi, ed eventualmente sanzionatori, in materia di cartelli ed abuso di posizione dominante, sia di dimensione nazionale (artt. 2 e 3 L. n. 287/1990) che di dimensione europea (artt. 101 e 102 T.F.U.E.). A tutela del libero gioco della concorrenza sono vietate le intese tra imprese -ossia gli accordi e/o le pratiche concordati tra imprese nonché le deliberazioni, anche se adottate ai sensi di disposizioni statutarie o regolamentari, di consorzi, associazioni di imprese ed altri organismi similari -che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante. Le intese vietate sono nulle ad ogni effetto; è altresì vietato l’abuso da parte di una o più imprese di una posizione dominante all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante. il procedimento, in uno ai poteri dell’antitrust, è delineato negli artt. 12 -15 septies L. n. 287/1990. il procedimento de quo, in applicazione degli Engel criteria della Corte eDu, potendo sfociare in una sanzione quasi penale (quale una sanzione amministrativa pecuniaria di elevato ammontare) deve rispettare i principi del giusto processo di cui all’art. 6 CeDu. L’autorità può attivare, d’ufficio o ad istanza di parte (“chiunque vi abbia interesse”, ad es. di imprese concorrenti o di consumatori) un procedimento per valutare l’esistenza delle fattispecie vietate. il materiale conoscitivo è molto ampio: “i tipi di prove ammissibili dinanzi all’autorità comprendono i documenti, le dichiarazioni orali, i messaggi elettronici, le registrazioni e tutti gli altri documenti contenenti informazioni, indipendentemente dalla loro forma e dal supporto sul quale le informazioni sono conservate” (art. 12, comma 1 bis). i poteri di indagine sono ampi ed ufficiosi. L’antitrust, tra l’altro: può operare indagini conoscitive di natura generale nei settori economici nei quali l’evoluzione degli scambi, il comportamento dei prezzi, o altre circostanze facciano presumere che la con (9) tanto è confermato dall’art. 1, comma 2, L. n. 287/1990 secondo cui l’Antitrust “applica anche parallelamente in relazione a uno stesso caso gli articoli 101 e 102 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e gli articoli 2 e 3 della presente legge in materia di intese restrittive della libertà di concorrenza e di abuso di posizione dominante”. rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 correnza sia impedita, ristretta o falsata; può richiedere a imprese e a enti che ne siano in possesso di fornire informazioni e di esibire documenti utili; può convocare in audizione ogni rappresentante di un’impresa o di un’associazione di imprese, un rappresentante di altre persone giuridiche e ogni persona fisica se tali rappresentanti o tali persone fisiche possono essere in possesso di informazioni rilevanti ai fini dell’istruttoria; può disporre perizie e analisi economiche e statistiche nonché la consultazione di esperti in ordine a qualsiasi elemento rilevante ai fini dell’istruttoria; può disporre presso imprese e associazioni di imprese tutte le ispezioni necessarie all’applicazione della normativa antitrust. ove prima facie non sussistano le fattispecie vietate la pratica viene archiviata. Diversamente il procedimento evolve con la notifica dell’atto di contestazione degli addebiti. L’istruttoria del procedimento è in contraddittorio e, nella pendenza dello stesso, possono anche essere adottate misure cautelari (art. 14 bis). il procedimento si chiude, ove accertata l’infrazione, con il provvedimento che ordina la cessazione della condotta, la rimozione degli effetti e l’applicazione di una sanzione; diversamente con un provvedimento di archiviazione. L’Autorità può comminare sanzioni oltrecché al termine del procedimento anche laddove proprie prescrizione siano violate. Le decisioni dell’antitrust che constatano una violazione del diritto della concorrenza fanno stato nel giudizio civile instaurato dalla parte danneggiata per quanto riguarda la natura della violazione e la sua portata materiale, personale, temporale e territoriale, ma non anche per il nesso di causalità e l’esistenza del danno (art. 7, comma 1, D.L.vo 19 gennaio 2017, n. 3). Attesa la complessità delle procedure e la difficoltà dell’accertamento delle condotte anticoncorrenziale il sistema prevede dei meccanismi collaborativi/ premiali miranti al ristoro dei pregiudizi arrecati alla concorrenza. Vengono in rilievo le seguenti misure: a) ravvedimento operoso. il procedimento si può chiudere anche con una sorta di patteggiamento: entro tre mesi dalla notifica dell’apertura di un’istruttoria per l’accertamento della violazione, le imprese possono presentare impegni tali da far venire meno i profili anticoncorrenziali oggetto dell’istruttoria; l’autorità, valutata l’idoneità di tali impegni e previa consultazione degli operatori del mercato, può renderli obbligatori per le imprese e chiudere il procedimento senza accertare l’infrazione (art. 14 ter, comma 1) (10). Questa sorta (10) i commi 2 e 3 dell’articolo dispongono “2. L’autorità in caso di mancato rispetto degli impegni resi obbligatori ai sensi del comma 1 può irrogare una sanzione amministrativa pecuniaria fino al 10 per cento del fatturato totale realizzato a livello mondiale durante l’esercizio precedente. al fine di monitorare l’attuazione degli impegni, l’autorità esercita i poteri di cui all’articolo 14 della presente legge. 3. L’autorità può d’ufficio riaprire il procedimento se: a) si modifica in modo determinante la situazione di fatto rispetto ad un elemento su cui si fonda la decisione; b) le imprese interessate con Contributi Di DottrinA 261 di patteggiamento viene veicolato in un accordo sostitutivo di provvedimento ex art. 11 L. n. 241/1990. b) transazione (art. 14 quater). Avviata l’istruttoria l’autorità può fissare un termine entro il quale le imprese interessate possono manifestare per iscritto la loro disponibilità a partecipare a discussioni in vista dell’eventuale presentazione di proposte di transazione. L’Autorità può informare le parti che partecipano a discussioni di transazione circa: “a) gli addebiti che intende muovere nei loro confronti; b) gli elementi probatori utilizzati per stabilire gli addebiti che intende muovere; c) versioni non riservate di qualsiasi specifico documento accessibile, elencato nel fascicolo in quel momento, nella misura in cui la richiesta della parte sia giustificata al fine di consentirle di accertare la sua posizione in merito a un periodo di tempo o a qualsiasi altro aspetto particolare del cartello; d) la forcella delle potenziali ammende. Tali informazioni sono riservate nei confronti di terzi salvo che l’autorità ne abbia esplicitamente autorizzato la divulgazione”. in caso di esito favorevole di tali discussioni, l’autorità può fissare un termine entro il quale le imprese interessate possono impegnarsi a seguire la procedura di transazione presentando proposte transattive che rispecchino i risultati delle discussioni svolte e in cui riconoscano la propria partecipazione a un’infrazione degli artt. 2 e 3 L. n. 287/1990 ovvero degli artt. 101 e 102 t.F.u.e., nonché la rispettiva responsabilità. L’incentivo, finalizzato all’esito positivo della procedura, è costituito dalla riduzione dell’entità della sanzione di cui all’art. 15, comma 1 bis. c) Programmi di clemenza. Al fine di favorire le denunce spontanee sulla esistenza di cartello, l’Autorità adotta con proprio provvedimento generale un programma di trattamento favorevole (leniency programmes) che definisce i casi in cui, in virtù della qualificata collaborazione prestata dalle imprese nell’accertamento di infrazioni delle regole di concorrenza, la sanzione amministrativa pecuniaria può essere non applicata o ridotta per le imprese che rivelino la loro partecipazione a cartelli segreti (artt. 15 bis -15 septies). Procedimenti autorizzativi, in materia di operazioni di concentrazione (artt. 5-6 e 16-19 L. n. 287/1990). Le concentrazioni tra imprese -realizzate con fusioni tra imprese, creazione di società comuni o accordi negoziali -sono un potenziale pericolo per la concorrenza perché potrebbero ridurre gli operatori dal lato dell’offerta. Potrebbero però anche essere utili, in quanto, ad es., razionalizzano costi con beneficio con i consumatori. Sicché tali operazioni non sono vietate. travvengono agli impegni assunti; c) la decisione si fonda su informazioni trasmesse dalle parti che sono incomplete inesatte o fuorvianti ”. rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 Semplicemente, ove siano economicamente rilevanti, vanno valutate dall’autorità ed ove siano reputate compatibili con il libero mercato sono ammesse, diversamente sono vietate. il procedimento inizia con la comunicazione delle imprese interessate all’autorità della decisione di volere realizzare l’operazione. nelle more l’operazione non può essere realizzata. All’esito dell’istruttoria l’autorità, se accerta che l’operazione di concentrazione ostacoli in modo significativo la concorrenza effettiva nel mercato nazionale o in una sua parte rilevante, in particolare a causa della costituzione o del rafforzamento di una posizione dominante (11), vieta la concentrazione (ovvero l’autorizza prescrivendo le misure necessarie ad impedire tali conseguenze); diversamente la reputa compatibile. il provvedimento definitorio del procedimento ha portata costitutiva, tanto che, se l’operazione di concentrazione è già stata realizzata nelle more del procedimento che si chiude, poi, favorevolmente per le imprese prescrive le misure necessarie a ripristinare condizioni di concorrenza effettiva, eliminando gli effetti distorsivi. il procedimento, in uno ai poteri dell’antitrust (tra cui: richieste di informazioni, sospensione temporanea dell’operazione di concentrazione, sanzioni amministrative pecuniarie per inottemperanza al divieto di concentrazione o all’obbligo di notifica) è delineato negli artt. 16 -19 L. n. 287/1990. Procedimenti correttivi di atti delle PP.aa. violativi delle norme a tutela della concorrenza e del mercato (art. 21 bis L. n. 287/1990). L’Autorità è anche un guardiano affinché gli atti amministrativi adottati dalla PP.AA. non violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato. in presenza di tali atti l’antitrust, in prima battuta -in ossequio al principio di leale collaborazione tra PP.AA. -invita motivatamente la P.A. a rimuovere il vulnus; ove l’invito non sortisca effetto potrà chiedere all’autorità giurisdizionale l’annullamento dell’atto. La fase procedimentale, precontenziosa -all’evidenza - è la prima. Questa la specifica disciplina: a) L’autorità garante, se ritiene che una qualsiasi P.A. abbia emanato un atto -sia atto amministrativo generale, sia regolamento, sia provvedimento in violazione delle norme a tutela della concorrenza e del mercato, emette, (11) “Tale situazione deve essere valutata in ragione della necessità di preservare e sviluppare la concorrenza effettiva tenendo conto della struttura di tutti i mercati interessati e della concorrenza attuale o potenziale, nonché della posizione sul mercato delle imprese partecipanti, del loro potere economico e finanziario, delle possibilità di scelta dei fornitori e degli utilizzatori, del loro accesso alle fonti di approvvigionamento o agli sbocchi di mercato, dell’esistenza di diritto o di fatto di ostacoli all’entrata, dell’andamento dell’offerta e della domanda dei prodotti e dei servizi in questione, degli interessi dei consumatori intermedi e finali, nonché del progresso tecnico ed economico purché esso sia a vantaggio del consumatore e non costituisca impedimento alla concorrenza. L’autorità può valutare gli effetti anticompetitivi di acquisizioni di controllo su imprese di piccole dimensioni caratterizzate da strategie innovative, anche nel campo delle nuove tecnologie” (art. 6, comma 1, L. n. 287/1990). Contributi Di DottrinA entro sessanta giorni, un parere motivato, nel quale indica gli specifici profili delle violazioni riscontrate, ossia vengono segnalate le violazioni riscontrate e sono indicati i rimedi per eliminarli e ripristinare il corretto funzionamento della concorrenza e del mercato. il parere costituisce un presupposto di inammissibilità del successivo ricorso giurisdizionale (12). b) Se la P.A. non si conforma nei sessanta giorni successivi alla comunicazione del parere, l’Autorità può presentare, tramite l’Avvocatura dello Stato, il ricorso al t.a.r., entro i successivi trenta giorni introduttivo di un giudizio secondo il rito abbreviato di cui al Libro iV, titolo V, D.L.vo 2 luglio 2010, n. 104 (codice del processo amministrativo - c.p.a.). 6. autorità per la Garanzia delle Comunicazioni (c.d. agcom). L’Autorità è stata istituita con l’art. 1 della L. 31 luglio 1997, n. 249. Ha autonomia normativa e organizzativa; ha altresì autonomia finanziaria nei limiti del fondo stanziato a tale scopo nel bilancio dello Stato ed iscritto in apposito capitolo dello stato di previsione della spesa del Ministero del- l’economia e delle Finanze (art. 1, comma 9, L. n. 249/1997). All’Autorità si applicano le disposizioni di cui all’art. 2 L. 14 novembre 1995, n. 481 (relative all’Autorità per i servizi di pubblica utilità, ora Arera), non derogate dalle disposizioni dalla legge n. 249/1997 (così dispone il comma 21 dell’art. 1 L. n. 249/1997). Le funzioni in attribuzione dell’Agcom riguardano, essenzialmente, tre profili: -analisi dei mercati, con la definizione dei mercati geografici rilevanti, sentita l’antitrust, al fine di garantire la concorrenza e con interventi rivolta a ripristinarla nel caso di distorsioni conseguenza dell’attività di imprese che dispongono di un significativo potere di mercato; -garanzia del servizio universale, ossa dell’insieme di diritti che tutti gli utenti finali possono vantare in relazione ad un insieme minimo di prestazioni su tutto il territorio nazionale e con carattere di continuità (in particolare una connessione in postazione fissa alla rete telefonica pubblica, un efficace accesso e un elenco degli abbonati); -risoluzione delle controversie stragiudiziarie insorte tra gli operatori in relazione agli obblighi previsti dal Codice delle comunicazioni elettroniche e quelle insorte tra operatori e utenti. organi e nomina. Sono organi dell’autorità il presidente, la commissione per le infrastrutture e le reti, la commissione per i servizi e i prodotti e il consiglio. Ciascuna commissione è organo collegiale costituito dal presidente dell’Autorità e da due commissari. il consiglio è costituito dal presidente e da tutti i commissari. il Senato della repubblica e la Camera dei deputati eleg (12) Conf. Cons. Stato, 23 luglio 2020, n. 4715; Cons. Stato, 28 gennaio 2016, n. 323. rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 gono due commissari ciascuno, i quali vengono nominati con decreto del Presidente della repubblica. il presidente dell’autorità è nominato con decreto del Presidente della repubblica su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri d’intesa con il Ministro delle comunicazioni. La designazione del nominativo del presidente dell’Autorità è previamente sottoposta al parere delle competenti Commissioni parlamentari ai sensi dell’art. 2 L. n. 481/1995. i componenti dell’Autorità sono scelti fra persone dotate di alta e riconosciuta professionalità e competenza nel settore; durano in carica sette anni e non possono essere confermati (art. 1, commi 3 e 5, L. n. 249/1997). Compiti. È preposta alla tutela dello svolgimento regolare del settore delle comunicazioni, con poteri: a) normativi (adozione di regolamenti); b) regolatori (sia con atti vincolanti come le direttive, che non vincolanti, c.d. soft law, quali indirizzi, linee guida, codici di condotta); c) ispettivi; d) sanzionatori (13); e) conoscitivi; f) propositivi; g) giustiziali (decisione di ricorsi amministrativi; intervento in controversie giurisdizionali); h) consultivi. tali compiti vengono esercitati dalla commissione per le infrastrutture e le reti, dalla commissione per i servizi e i prodotti e dal consiglio secondo l’attribuzione di competenza operata dal comma 6 dell’art. 1 L. n. 249/1997. La commissione per le infrastrutture e le reti esercita, tra l’altro, le seguenti funzioni: -esprime parere al Ministero delle comunicazioni sullo schema del piano nazionale di ripartizione delle frequenze da approvare con decreto del detto Ministro; -elabora, avvalendosi anche degli organi del Ministero delle comunica( 13) L’art. 1, commi 29-32, L. n. 249/1997 recita: “29. i soggetti che nelle comunicazioni richieste dall’autorità espongono dati contabili o fatti concernenti l’esercizio della propria attività non rispondenti al vero, sono puniti con le pene previste dall’articolo 2621 del codice civile. 30. i soggetti che non provvedono, nei termini e con le modalità prescritti, alla comunicazione dei documenti, dei dati e delle notizie richiesti dall’autorità sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 516 a euro 103.29 irrogata dalla stessa autorità. 31. i soggetti che non ottemperano agli ordini e alle diffide dell’autorità, impartiti ai sensi della presente legge, sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.329 a euro 258.228. Se l’inottemperanza riguarda provvedimenti adottati in ordine alla violazione delle norme sulle posizioni dominanti o in applicazione del regolamento (UE) 2019/1150 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, si applica a ciascun soggetto interessato una sanzione amministrativa pecuniaria non inferiore al 2 per cento e non superiore al 5 per cento del fatturato realizzato dallo stesso soggetto nel- l’ultimo esercizio chiuso anteriormente alla notificazione della contestazione. Se l’inottemperanza riguarda ordini impartiti dall’autorità nell’esercizio delle sue funzioni di tutela del diritto d’autore e dei diritti connessi, si applica a ciascun soggetto interessato una sanzione amministrativa pecuniaria da euro diecimila fino al 2 per cento del fatturato realizzato nell’ultimo esercizio chiuso anteriormente alla notifica della contestazione Le sanzioni amministrative pecuniarie previste dal presente comma sono irrogate dall’autorità. 32. Nei casi previsti dai commi 29, 30 e 31, se la violazione è di particolare gravità o reiterata, può essere disposta nei confronti del titolare di licenza o autorizzazione o concessione anche la sospensione dell’attività, per un periodo non superiore ai sei mesi, ovvero la revoca”. Contributi Di DottrinA zioni e sentite la concessionaria pubblica e le associazioni a carattere nazionale dei titolari di emittenti o reti private nel rispetto del piano nazionale di ripartizione delle frequenze, i piani di assegnazione delle frequenze e li approva, con esclusione delle bande attribuite in uso esclusivo al Ministero della difesa che provvede alle relative assegnazioni. Per quanto concerne le bande in compartecipazione con il Ministero della difesa, l’Autorità provvede al previo coordinamento con il medesimo; -definisce le misure di sicurezza delle comunicazioni e promuove l’intervento degli organi del Ministero delle comunicazioni per l’eliminazione delle interferenze elettromagnetiche, anche attraverso la modificazione di impianti, sempreché conformi all’equilibrio dei piani di assegnazione; -determina, sentito il parere del Ministero delle comunicazioni, gli standard per i decodificatori in modo da favorire la fruibilità del servizio; -cura la tenuta del registro degli operatori di comunicazione e postali (14). L’autorità adotta apposito regolamento per l’organizzazione e la tenuta del registro e per la definizione dei criteri di individuazione dei soggetti tenuti all’iscrizione; -definisce criteri obiettivi e trasparenti, anche con riferimento alle tariffe massime, per l’interconnessione e per l’accesso alle infrastrutture di telecomunicazione secondo criteri di non discriminazione; -regola le relazioni tra gestori e utilizzatori delle infrastrutture di telecomunicazioni e verifica che i gestori di infrastrutture di telecomunicazioni garantiscano i diritti di interconnessione e di accesso alle infrastrutture ai soggetti che gestiscono reti ovvero offrono servizi di telecomunicazione; promuove accordi tecnologici tra gli operatori del settore per evitare la proliferazione di impianti tecnici di trasmissione sul territorio; -dirime le controversie, sentite le parti interessate, in tema di interconnessione e accesso alle infrastrutture di telecomunicazione; -riceve periodicamente un’informativa dai gestori del servizio pubblico di telecomunicazioni sui casi di interruzione del servizio agli utenti, formu( 14) A tale registro si devono iscrivere, in virtù della L. n. 249/1997, i soggetti destinatari di concessione ovvero di autorizzazione da parte dell’autorità o delle amministrazioni competenti, i fornitori di servizi postali, compresi i fornitori di servizi di consegna dei pacchi, le imprese concessionarie di pubblicità da trasmettere mediante impianti radiofonici o televisivi o da diffondere su giornali quotidiani o periodici, sul web e altre piattaforme digitali fisse o mobili, le imprese di produzione e distribuzione dei programmi radiofonici e televisivi, i fornitori di servizi di intermediazione on line e i motori di ricerca on line, anche se non stabiliti, che offrono servizi in italia, i fornitori di servizi di piattaforma per la condivisione di video di cui alle disposizioni attuative della direttiva (ue)1808/2018 i prestatori di servizi della società dell’informazione, comprese le imprese di media monitoring e rassegne stampa, nonché quelle operanti nel settore del video on demand, nonché le imprese editrici di giornali quotidiani, di periodici o riviste e le agenzie di stampa di carattere nazionale, nonché le imprese fornitrici di servizi telematici e di telecomunicazioni ivi compresa l’editoria elettronica e digitale; nel registro sono altresì censite le infrastrutture di diffusione operanti nel territorio nazionale. rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 lando eventuali indirizzi sulle modalità di interruzione. Gli utenti interessati possono proporre ricorso all’Autorità avverso le interruzioni del servizio, nei casi previsti da un apposito regolamento definito dalla stessa Autorità; -interviene nelle controversie tra l’ente gestore del servizio di telecomunicazioni e gli utenti privati; -vigila sui tetti di radiofrequenze compatibili con la salute umana e verifica che tali tetti, anche per effetto congiunto di più emissioni elettromagnetiche, non vengano superati, anche avvalendosi degli organi periferici del Ministero delle comunicazioni. La commissione per i servizi e i prodotti, tra l’altro: -vigila sulla conformità alle prescrizioni della legge dei servizi e dei prodotti che sono forniti da ciascun operatore destinatario di concessione ovvero di autorizzazione promuovendo l’integrazione delle tecnologie e dell’offerta di servizi di telecomunicazioni; -emana direttive concernenti i livelli generali di qualità dei servizi e per l’adozione, da parte di ciascun gestore, di una carta del servizio recante l’indicazione di standard minimi per ogni comparto di attività; -vigila sulle modalità di distribuzione dei servizi e dei prodotti, inclusa la pubblicità in qualunque forma diffusa e può emanare regolamenti per la disciplina delle relazioni tra gestori di reti fisse e mobili e operatori che svolgono attività di rivendita di servizi di telecomunicazioni; -in materia di pubblicità sotto qualsiasi forma e di televendite, emana i regolamenti attuativi delle disposizioni di legge e regola l’interazione organizzata tra il fornitore del prodotto o servizio o il gestore di rete e l’utente, che comporti acquisizione di informazioni dall’utente, nonché l’utilizzazione delle informazioni relative agli utenti; -verifica il rispetto nel settore radiotelevisivo delle norme in materia di tutela dei minori e in caso di inosservanza delle norme in materia di tutela dei minori delibera l’irrogazione delle sanzioni; -garantisce l’applicazione delle disposizioni vigenti sulla propaganda, sulla pubblicità e sull’informazione politica nonché l’osservanza delle norme in materia di equità di trattamento e di parità di accesso nelle pubblicazioni e nella trasmissione di informazione e di propaganda elettorale ed emana le norme di attuazione; -propone al Ministero delle comunicazioni lo schema della convenzione annessa alla concessione del servizio pubblico radiotelevisivo e verifica l’attuazione degli obblighi previsti nella suddetta convenzione e in tutte le altre che vengono stipulate tra concessionaria del servizio pubblico (rai -radiotelevisione italiana S.p.A.) e amministrazioni pubbliche; -garantisce che le rilevazioni degli indici di ascolto e di lettura dei diversi mezzi di comunicazione, su qualsiasi piattaforma di distribuzione e di diffusione, si conformino a criteri di correttezza metodologica, trasparenza, verifi Contributi Di DottrinA cabilità e certificazione da parte di soggetti indipendenti e siano realizzate da organismi dotati della massima rappresentatività dell’intero settore di riferimento; emana le direttive necessarie ad assicurare il rispetto dei citati criteri e princìpi e vigila sulla loro attuazione; -verifica che la pubblicazione e la diffusione dei sondaggi sui mezzi di comunicazione di massa siano effettuate rispettando i criteri contenuti nell’apposito regolamento che essa stessa provvede ad emanare. il consiglio, tra l’altro: -garantisce l’applicazione delle norme legislative sull’accesso ai mezzi e alle infrastrutture di comunicazione, anche attraverso la predisposizione di specifici regolamenti; -adotta il regolamento concernente l’organizzazione e il funzionamento, i bilanci, i rendiconti e la gestione delle spese, anche in deroga alle disposizioni sulla contabilità generale dello Stato, nonché il trattamento giuridico ed economico del personale addetto; -adotta regolamenti sulle modalità operative e comportamentali del personale, dei dirigenti e dei componenti della Autorità attraverso l’emanazione di un documento denominato Codice etico dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni; -disciplina con propri provvedimenti le modalità per la soluzione non giurisdizionale delle controversie che possono insorgere fra utenti o categorie di utenti ed un soggetto autorizzato o destinatario di licenze oppure tra soggetti autorizzati o destinatari di licenze tra loro. Per le predette controversie, individuate con provvedimenti dell’Autorità, non può proporsi ricorso in sede giurisdizionale fino a che non sia stato esperito un tentativo obbligatorio di conciliazione da ultimare entro trenta giorni dalla proposizione dell’istanza al- l’Autorità. A tal fine, i termini per agire in sede giurisdizionale sono sospesi fino alla scadenza del termine per la conclusione del procedimento di conciliazione; -adotta il regolamento sui criteri e sulle modalità di rilascio delle concessioni e delle autorizzazioni in materia radiotelevisiva e per la determinazione dei relativi canoni e contributi; -verifica i bilanci ed i dati relativi alle attività ed alla proprietà dei soggetti autorizzati o concessionari del servizio radiotelevisivo, secondo modalità stabilite con regolamento; -accerta la effettiva sussistenza di posizioni dominanti nel settore radiotelevisivo e comunque vietate ai sensi della L. n. 249/1997 e adotta i conseguenti provvedimenti; -esprime, entro trenta giorni dal ricevimento della relativa documentazione, parere obbligatorio sui provvedimenti, riguardanti operatori del settore delle comunicazioni e del settore postale, predisposti dall’antitrust in applicazione degli artt. 2, 3, 4 e 6 L. n. 287/1990. Procedimenti. i procedimenti in attribuzione dell’Autorità, alla luce di rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 quanto soprariportato, sono numerosi, tanto da farne una delle autorità con i poteri più significativi. Abbiamo, tra l’altro: a) procedimenti normativi, diretti alla adozione di regolamenti; b) procedimenti regolatori, sfocianti nella adozione di provvedimenti generali; c) procedimenti ispettivi, ed eventualmente sanzionatori; d) procedimenti dichiarativi (tenuta del registro degli operatori di comunicazione e postali); e) procedimenti giustiziali, diretti a dirimere controversie in vie amministrativa; f) procedimenti consultivi. Per lo svolgimento delle proprie funzioni, l’autorità esercita i poteri descritti nei commi 20 e 22 dell’art. 2 L. n. 481/1995, giusta il richiamo operato dal comma 21 dell’art. 1 L. n. 249/1997, in quanto non derogate dalle disposizioni dalla legge n. 249/1997. ossia: a) richiesta, ai soggetti esercenti il servizio, informazioni e documenti sulle loro attività; b) controlli; c) irrogazione di sanzioni; d) ordine al soggetto esercente il servizio la cessazione di comportamenti lesivi dei diritti degli utenti, imponendo l’obbligo di corrispondere un indennizzo; e) adozione, nell’ambito della procedura di conciliazione o di arbitrato, di provvedimenti temporanei diretti a garantire la continuità dell’erogazione del servizio ovvero a far cessare forme di abuso o di scorretto funzionamento da parte del soggetto esercente il servizio. All’uopo si rinvia all’esame che verrà svolto nella trattazione dell’Arera. 7. autorità di regolazione per Energia, reti e ambiente (c.d. arera). L’Autorità è stata istituita con la L. 14 novembre 1995, n. 481 (15). Ha autonomia normativa, organizzativa, amministrativa e contabile. il bilancio preventivo e il rendiconto della gestione è soggetto al controllo della Corte dei conti. Ha altresì autonomia finanziaria (16), con possibilità di deroga alle norme sulla contabilità generale dello Stato (art. 1, comma 21, L. n. 249/1997). Composizione e nomina. L’Autorità è organo collegiale costituito dal presidente e da quattro membri, nominati, ai sensi dell’art. 2, commi 7 e 8, L. n. 481/1995 (17), su proposta del Ministro dello sviluppo economico d’intesa (15) originariamente denominata -dalla sua istituzione il 14 novembre 1995 fino al 24 dicembre 2013 -Autorità per l’energia elettrica e il gas (AeeG), poi, fino al 27 dicembre 2017, Autorità per l’energia elettrica il gas ed il sistema idrico (AeeGSi). Con l’art. 1, comma 528, L. 27 dicembre 2017, n. 205 si è disposto: “La denominazione «autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico» è sostituita, ovunque ricorre, dalla denominazione «autorità di regolazione per energia, reti e ambiente» (arEra)”. (16) Per l’art. 2, comma 38, L. n. 581/1995 “all’onere derivante dall’istituzione e dal funzionamento delle autorità, […], si provvede:[…] a decorrere dal 1996, mediante contributo di importo non superiore all’uno per mille dei ricavi dell’ultimo esercizio, versato dai soggetti esercenti il servizio stesso”. inoltre per l’art. 1, comma 528, L. n. 205/2017:“all’onere derivante dal funzionamento del- l’arEra, in relazione ai compiti di regolazione e controllo in materia di gestione dei rifiuti di cui al comma 527, si provvede mediante un contributo di importo non superiore all’uno per mille dei ricavi dell’ultimo esercizio versato dai soggetti esercenti il servizio di gestione dei rifiuti medesimi, ai sensi dell’articolo 2, comma 38, lettera b), della legge 14 novembre 1995, n. 481, e dell’articolo 1, comma 68-bis, della legge 23 dicembre 2005, n. 266”. (17) “7. […] nominati con decreto del Presidente della repubblica, previa deliberazione del Con Contributi Di DottrinA con il Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica (art. 1, comma 528, L. n. 205/2017). Compiti. È preposta alla tutela delle regole del gioco nell’ordinamento sezionale relativo all’energia, reti, servizio idrico integrato e al ciclo dei rifiuti anche differenziati urbani e assimilati, con poteri normativi, regolatori (quali quelli tariffari), di controllo (con conseguente potestà ispettiva e sanzionatoria), conoscitivi, propositivi, e consultivi. L’Autorità, tra l’altro, in base all’art. 2, comma 12, L. n. 481/1995 ed all’art. 1, comma 527, L. n. 205/2017: -controlla che le condizioni e le modalità di accesso per i soggetti esercenti i servizi siano attuate nel rispetto dei princìpi della concorrenza e della trasparenza, anche al fine di prevedere l’obbligo di prestare il servizio in condizioni di eguaglianza, in modo che tutte le ragionevoli esigenze degli utenti siano soddisfatte; -propone la modifica delle clausole delle concessioni e delle convenzioni, delle autorizzazioni, dei contratti di programma in essere e delle condizioni di svolgimento dei servizi, ove ciò sia richiesto dall’andamento del mercato o dalle ragionevoli esigenze degli utenti; -stabilisce e aggiorna, in relazione all’andamento del mercato e del reale costo di approvvigionamento della materia prima, la tariffa base, i parametri e gli altri elementi di riferimento per determinare le tariffe -ossia: i prezzi massimi unitari dei servizi al netto delle imposte (18) -nonché le modalità per il recupero dei costi eventualmente sostenuti nell’interesse generale in modo da assicurare la qualità, l’efficienza del servizio e l’adeguata diffusione del medesimo sul territorio nazionale, nonché la realizzazione degli obiettivi generali di carattere sociale, di tutela ambientale e di uso efficiente delle risorse, tenendo separato dalla tariffa qualsiasi tributo od onere improprio; verifica la conformità ai criteri determinativi della tariffa delle proposte di aggiornamento delle tariffe annualmente presentate; siglio dei ministri […]. Le designazioni effettuate dal Governo sono previamente sottoposte al parere delle competenti Commissioni parlamentari. in nessun caso le nomine possono essere effettuate in mancanza del parere favorevole espresso dalle predette Commissioni a maggioranza dei due terzi dei componenti. Le medesime Commissioni possono procedere all’audizione delle persone designate. […]. 8. i componenti di ciascuna autorità sono scelti fra persone dotate di alta e riconosciuta professionalità e competenza nel settore; durano in carica sette anni e non possono essere confermati. […]”. (18) Così l’art. 2, comma 17, L. n. 481/1995. i successivi due commi precisano che i parametri che l’Autorità fissa per la determinazione della tariffa con il metodo del price-cap, inteso come limite massimo della variazione di prezzo vincolata per un periodo pluriennale, sono i seguenti: “a) tasso di variazione medio annuo riferito ai dodici mesi precedenti dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati rilevato dall’iSTaT; b) obiettivo di variazione del tasso annuale di produttività, prefissato per un periodo almeno triennale. 19. ai fini di cui al comma 18 si fa altresì riferimento ai seguenti elementi: a) recupero di qualità del servizio rispetto a standards prefissati per un periodo almeno triennale; b) costi derivanti da eventi imprevedibili ed eccezionali, da mutamenti del quadro normativo o dalla variazione degli obblighi relativi al servizio universale; c) costi derivanti dall’adozione di interventi volti al controllo e alla gestione della domanda attraverso l’uso efficiente delle risorse”. rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 -emana le direttive per la separazione contabile e amministrativa e verifica i costi delle singole prestazioni per assicurare, tra l’altro, la loro corretta disaggregazione e imputazione per funzione svolta, per area geografica e per categoria di utenza evidenziando separatamente gli oneri conseguenti alla fornitura del servizio universale definito dalla convenzione; -controlla lo svolgimento dei servizi con poteri di ispezione, di accesso, di acquisizione della documentazione e delle notizie utili, determinando altresì i casi di indennizzo automatico da parte del soggetto esercente il servizio nei confronti dell’utente ove il medesimo soggetto non rispetti le clausole contrattuali o eroghi il servizio con livelli qualitativi inferiori a quelli stabiliti nel regolamento di servizio, nel contratto di programma ovvero ai livelli generali di qualità riferiti al complesso delle prestazioni e i livelli specifici di qualità riferiti alla singola prestazione da garantire all’utente; -emana le direttive concernenti la produzione e l’erogazione dei servizi da parte dei soggetti esercenti i servizi medesimi, definendo in particolare i livelli generali di qualità riferiti al complesso delle prestazioni e i livelli specifici di qualità riferiti alla singola prestazione da garantire all’utente. tali determinazioni producono la modifica o integrazione del regolamento di servizio che deve essere predisposto dal soggetto esercente il servizio; -pubblicizza e diffonde la conoscenza delle condizioni di svolgimento dei servizi al fine di garantire la massima trasparenza, la concorrenzialità del- l’offerta e la possibilità di migliori scelte da parte degli utenti intermedi o finali; -valuta reclami, istanze e segnalazioni presentate dagli utenti o dai consumatori, singoli o associati, in ordine al rispetto dei livelli qualitativi e tariffari da parte dei soggetti esercenti il servizio nei confronti dei quali interviene imponendo, ove opportuno, modifiche alle modalità di esercizio degli stessi ovvero procedendo alla revisione del regolamento di servizio; -decide le controversie insorte tra utenti e soggetti esercenti il servizio nell’ambito delle procedure di conciliazione o di arbitrato; -verifica la congruità delle misure adottate dai soggetti esercenti il servizio al fine di assicurare la parità di trattamento tra gli utenti, garantire la continuità della prestazione dei servizi, verificare periodicamente la qualità e l’efficacia delle prestazioni; -controlla che ciascun soggetto esercente il servizio adotti, in base alla direttiva sui princìpi dell’erogazione dei servizi pubblici del Presidente del Consiglio dei ministri del 27 gennaio 1994, pubblicata nella G.u. n. 43 del 22 febbraio 1994, una carta di servizio pubblico con indicazione di standards dei singoli servizi e ne verifica il rispetto; - effettua controlli ed irroga sanzioni amministrative pecuniarie; -adotta i regolamenti a) per disciplinare le audizioni periodiche delle formazioni associative nelle quali i consumatori e gli utenti siano organizzati, Contributi Di DottrinA delle associazioni ambientaliste, delle associazioni sindacali delle imprese e dei lavoratori e lo svolgimento di rilevazioni sulla soddisfazione degli utenti e sull’efficacia dei servizi; b) per definire le norme concernenti l’organizzazione interna e il funzionamento, la pianta organica del personale di ruolo, l’ordinamento delle carriere, nonché, in base ai criteri fissati dal contratto collettivo di lavoro in vigore per l’antitrust e tenuto conto delle specifiche esigenze funzionali e organizzative, il trattamento giuridico ed economico del personale. Procedimenti. Per i procedimenti in attribuzione dell’Autorità vale quanto detto a proposito dell’Autorità per la Garanzia delle Comunicazioni. i commi 20 e 22 dell’art. 2 L. n. 481/1995 stabiliscono che per lo svolgimento delle proprie funzioni, l’autorità: a) richiede, ai soggetti esercenti il servizio, informazioni e documenti sulle loro attività; b) effettua controlli in ordine al rispetto degli atti di cui ai commi 36 e 37 dell’art. 2 L. n. 481/1995 (19); c) irroga, salvo che il fatto costituisca reato, in caso di inosservanza dei propri provvedimenti o in caso di mancata ottemperanza da parte dei soggetti esercenti il servizio, alle richieste di informazioni o a quelle connesse all’effettuazione dei controlli, ovvero nel caso in cui le informazioni e i documenti acquisiti non siano veritieri, sanzioni amministrative pecuniarie non inferiori nel minimo a euro 2.500 e non superiori nel massimo a euro 154.937,07; in caso di reiterazione delle violazioni ha la facoltà, qualora ciò non comprometta la fruibilità del servizio da parte degli utenti, di sospendere l’attività di impresa fino a 6 mesi ovvero proporre al Ministro competente la sospensione o la decadenza della concessione; d) ordina al soggetto esercente il servizio la cessazione di comportamenti lesivi dei diritti degli utenti, imponendo l’obbligo di corrispondere un indennizzo; e) può adottare, nell’ambito della procedura di conciliazione o di arbitrato, provvedimenti temporanei diretti a garantire la continuità dell’erogazione del servizio ovvero a far cessare forme di abuso o di scorretto funzionamento da parte del soggetto esercente il servizio; f) Le PP.AA. e le imprese sono tenute a fornire alle autorità, oltre a notizie e informazioni, la collaborazione per l’adempimento delle loro funzioni. 8. autorità di regolazione dei trasporti (c.d. art). L’Autorità è stata istituita e disciplinata -anche con riguardo alle compe (19) “36. L’esercizio del servizio in concessione è disciplinato da convenzioni ed eventuali contratti di programma stipulati tra l’amministrazione concedente e il soggetto esercente il servizio, nei quali sono definiti, in particolare, l’indicazione degli obiettivi generali, degli scopi specifici e degli obblighi reciproci da perseguire nello svolgimento del servizio; le procedure di controllo e le sanzioni in caso di inadempimento; le modalità e le procedure di indennizzo automatico nonché le modalità di aggiornamento, revisione e rinnovo del contratto di programma o della convenzione. 37. il soggetto esercente il servizio predispone un regolamento di servizio nel rispetto dei princìpi di cui alla presente legge e di quanto stabilito negli atti di cui al comma 36. […]”. rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 tenze -con l’art. 37 D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, conv. L. 22 dicembre 2011, n. 214. All’Autorità si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni organizzative e di funzionamento di cui alla legge14 novembre 1995, n. 481, relativa alla Autorità di regolazione per energia reti e Ambiente. Pertanto, come quest’ultima ha autonomia normativa, organizzativa, amministrativa e contabile. il bilancio preventivo e il rendiconto della gestione è sottoposto al controllo della Corte dei conti. Ha altresì autonomia finanziaria, con possibilità di deroga alle norme sulla contabilità generale dello Stato. Composizione e nomina. L’Autorità è organo collegiale composto dal presidente e da due componenti nominati secondo le procedure di cui all’articolo 2, comma 7, L. n. 481/1995. Ai componenti e ai funzionari dell’Autorità si applica il regime previsto dall’art. 2, commi da 8 a 11, della medesima legge. i componenti dell’Autorità sono scelti, nel rispetto dell’equilibrio di genere, tra persone di indiscussa moralità e indipendenza e di comprovata professionalità e competenza nei settori in cui opera l’Autorità. i componenti dell’Autorità sono nominati per un periodo di sette anni e non possono essere confermati nella carica. Compiti. È preposta alla tutela delle regole del gioco nell’ordinamento sezionale relativo al settore dei trasporti e dell’accesso alle relative infrastrutture e ai servizi accessori, con poteri normativi, regolatori, ispettivi, sanzionatori, conoscitivi, giustiziali e consultivi. L’Autorità, tra l’altro, provvede: -a garantire l’efficienza produttiva delle gestioni e il contenimento dei costi per gli utenti, le imprese e i consumatori, condizioni di accesso eque e non discriminatorie alle infrastrutture ferroviarie, portuali, aeroportuali e alle reti autostradali, nonché in relazione alla mobilità dei passeggeri e delle merci in ambito nazionale, locale e urbano anche collegata a stazioni, aeroporti e porti; -a definire i criteri per la fissazione da parte dei soggetti competenti delle tariffe, dei canoni, dei pedaggi, tenendo conto dell’esigenza di assicurare l’equilibrio economico delle imprese regolate, l’efficienza produttiva delle gestioni e il contenimento dei costi per gli utenti, le imprese, i consumatori; -a stabilire le condizioni minime di qualità dei servizi di trasporto nazionali e locali connotati da oneri di servizio pubblico, individuate secondo caratteristiche territoriali di domanda e offerta; -a definire, in relazione ai diversi tipi di servizio e alle diverse infrastrutture, il contenuto minimo degli specifici diritti, anche di natura risarcitoria, che gli utenti possono esigere nei confronti dei gestori dei servizi e delle infrastrutture di trasporto e a dirimere le relative controversie; -a definire gli schemi dei bandi delle gare per l’assegnazione dei servizi di trasporto in esclusiva e delle convenzioni da inserire nei capitolati delle medesime gare e a stabilire i criteri per la nomina delle commissioni aggiudicatrici. Con riferimento al trasporto pubblico locale l’Autorità definisce anche Contributi Di DottrinA gli schemi dei contratti di servizio per i servizi esercitati da società in house o da società con prevalente partecipazione pubblica ai sensi del D.L.vo 19 agosto 2016, n. 175, nonché per quelli affidati direttamente. Sia per i bandi di gara che per i predetti contratti di servizio esercitati in house o affidati direttamente l’Autorità determina la tipologia di obiettivi di efficacia e di efficienza che il gestore deve rispettare, nonché gli obiettivi di equilibrio finanziario; per tutti i contratti di servizio prevede obblighi di separazione contabile tra le attività svolte in regime di servizio pubblico e le altre attività; -con riferimento al settore autostradale, a stabilire per le concessioni i sistemi tariffari dei pedaggi basati sul metodo del price cap; a definire gli schemi di concessione da inserire nei bandi di gara relativi alla gestione o costruzione; a definire gli schemi dei bandi relativi alle gare cui sono tenuti i concessionari autostradali; -con riferimento all’accesso all’infrastruttura ferroviaria, a definire i criteri per la determinazione dei pedaggi da parte del gestore dell’infrastruttura e i criteri di assegnazione delle tracce e della capacità e a vigilare sulla loro corretta applicazione da parte del gestore dell’infrastruttura; -con riferimento al servizio taxi, a monitorare e verificare la corrispondenza dei livelli di offerta del servizio taxi, delle tariffe e della qualità delle prestazioni alle esigenze dei diversi contesti urbani, secondo i criteri di ragionevolezza e proporzionalità, allo scopo di garantire il diritto di mobilità degli utenti. Comuni e regioni, nell’ambito delle proprie competenze, provvedono, previa acquisizione di preventivo parere da parte dell’Autorità, ad adeguare il servizio dei taxi. Procedimenti. Per i procedimenti in attribuzione dell’Autorità vale quanto detto a proposito dell’Agcom. nell’esercizio dei compiti innanzi delineati, l’Autorità -giusta il comma 3 dell’art. 37 cit. -tra l’altro: a) può sollecitare e coadiuvare le PP.AA. competenti all’individuazione degli ambiti di servizio pubblico e dei metodi più efficienti per finanziarli, mediante l’adozione di pareri che può rendere pubblici; b) determina i criteri per la redazione della contabilità delle imprese regolate e può imporre, se necessario per garantire la concorrenza, la separazione contabile e societaria delle imprese integrate; c) propone all’amministrazione competente la sospensione, la decadenza o la revoca degli atti di concessione, delle convenzioni, dei contratti di servizio pubblico, dei contratti di programma e di ogni altro atto assimilabile comunque denominato, qualora sussistano le condizioni previste dall’ordinamento; d) richiede a chi ne è in possesso le informazioni e l’esibizione dei documenti necessari per l’esercizio delle sue funzioni, nonché raccoglie da qualunque soggetto informato dichiarazioni, da verbalizzare se rese oralmente; e) se sospetta possibili violazioni della regolazione negli ambiti di sua competenza, svolge ispezioni presso i soggetti sottoposti alla regolazione mediante accesso a impianti, a mezzi di trasporto e uffici; rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 durante l’ispezione, anche avvalendosi della collaborazione di altri organi dello Stato, può controllare i libri contabili e qualsiasi altro documento aziendale, ottenerne copia, chiedere chiarimenti e altre informazioni, apporre sigilli; delle operazioni ispettive e delle dichiarazioni rese deve essere redatto apposito verbale; f) ordina la cessazione delle condotte in contrasto con gli atti di regolazione adottati e con gli impegni assunti dai soggetti sottoposti a regolazione, disponendo le misure opportune di ripristino; nei casi in cui intenda adottare una decisione volta a fare cessare un’infrazione e le imprese propongano impegni idonei a rimuovere le contestazioni da essa avanzate, può rendere obbligatori tali impegni per le imprese e chiudere il procedimento senza accertare l’infrazione; può riaprire il procedimento se mutano le circostanze di fatto su cui sono stati assunti gli impegni o se le informazioni trasmesse dalle parti si rivelano incomplete, inesatte o fuorvianti; in circostanze straordinarie, ove ritenga che sussistano motivi di necessità e di urgenza, al fine di salvaguardare la concorrenza e di tutelare gli interessi degli utenti rispetto al rischio di un danno grave e irreparabile, può adottare provvedimenti temporanei di natura cautelare; g) valuta i reclami, le istanze e le segnalazioni presentati dagli utenti e dai consumatori, singoli o associati, in ordine al rispetto dei livelli qualitativi e tariffari da parte dei soggetti esercenti il servizio sottoposto a regolazione, ai fini dell’esercizio delle sue competenze; h) disciplina, con propri provvedimenti, le modalità per la soluzione non giurisdizionale delle controversie tra gli operatori economici che gestiscono reti, infrastrutture e servizi di trasporto e gli utenti o i consumatori mediante procedure semplici e non onerose anche in forma telematica. Per le predette controversie non è possibile proporre ricorso in sede giurisdizionale fino a che non sia stato esperito un tentativo obbligatorio di conciliazione, da ultimare entro trenta giorni dalla proposizione dell’istanza all’Autorità. A tal fine, i termini per agire in sede giurisdizionale sono sospesi fino alla scadenza del termine per la conclusione del procedimento di conciliazione; i) irroga una sanzione amministrativa pecuniaria fino al 10 % del fatturato dell’impresa interessata nei casi di inosservanza dei criteri per la formazione e l’aggiornamento di tariffe, canoni, pedaggi, diritti e prezzi sottoposti a controllo amministrativo, comunque denominati, di inosservanza dei criteri per la separazione contabile e per la disaggregazione dei costi e dei ricavi pertinenti alle attività di servizio pubblico e di violazione della disciplina relativa all’accesso alle reti e alle infrastrutture o delle condizioni imposte dalla stessa Autorità, nonché di inottemperanza agli ordini e alle misure disposti; l) applica una sanzione amministrativa pecuniaria fino all’1 % del fatturato del- l’impresa interessata qualora: 1) i destinatari di una richiesta della stessa Autorità forniscano informazioni inesatte, fuorvianti o incomplete, ovvero non forniscano le informazioni nel termine stabilito; 2) i destinatari di un’ispezione rifiutino di fornire ovvero presentino in modo incompleto i documenti aziendali, nonché rifiutino di fornire o forniscano in modo inesatto, fuorviante o in Contributi Di DottrinA completo i chiarimenti richiesti; m) nel caso di inottemperanza agli impegni di cui alla lettera f) applica una sanzione fino al 10 % del fatturato dell’impresa interessata. 9. autorità nazionale anticorruzione (c.d. anac). L’Autorità è stata istituita con l’art. 1 L. 6 novembre 2012, n. 190. Ha autonomia normativa ed organizzativa. non ha autonomia finanziaria in quanto agli oneri di funzionamento si provvede nei limiti dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 4, comma 3, primo periodo, L. 4 marzo 2009, n. 15. Composizione e nomina. L’Autorità è organo collegiale composto dal presidente e da quattro componenti scelti tra esperti di elevata professionalità, anche estranei all’amministrazione, con comprovate competenze in italia e all’estero, sia nel settore pubblico che in quello privato, di notoria indipendenza e comprovata esperienza in materia di contrasto alla corruzione. il presidente e i componenti sono nominati con decreto del Presidente della repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, previo parere favorevole delle Commissioni parlamentari competenti espresso a maggioranza dei due terzi dei componenti. il presidente è nominato su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, di concerto con il Ministro della giustizia e il Ministro dell’interno; i componenti sono nominati su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. il presidente e i componenti dell’Autorità non possono essere scelti tra persone che rivestono incarichi pubblici elettivi o cariche in partiti politici o in organizzazioni sindacali o che abbiano rivestito tali incarichi e cariche nei tre anni precedenti la nomina e, in ogni caso, non devono avere interessi di qualsiasi natura in conflitto con le funzioni dell’Autorità. i componenti sono nominati per un periodo di sei anni e non possono essere confermati nella carica (art. 13, comma 3, D.L.vo 27 ottobre 2009, n. 150). Compiti. È l’autorità indipendente nella materia della prevenzione della corruzione e della trasparenza nella P.A. (20), con poteri normativi, regolatori, di vigilanza e controllo (con facoltà ispettive e potestà sanzionatoria), conoscitivi e consultivi. L’Autorità definisce con propri regolamenti le norme concernenti il proprio funzionamento (art. 13, comma 4, L. n. 150/2009). i suoi compiti sono delineati nell’art. 1, comma 2, della L. 6 novembre 2012 n. 190 a termine dei quali, tra l’altro: -in virtù del potere regolatorio, adotta il Piano nazionale anticorruzione ai sensi del successivo comma 2 bis. il Piano ha durata triennale ed è aggiornato annualmente. esso costituisce atto di indirizzo per le PP.AA. di cui all’art. (20) Sulla materia: M. GerArDo, anticorruzione e trasparenza nella pubblica amministrazione. Profili giuridici, economici ed informatici, in questa rassegna, 2016, 3, pp. 219-243. rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 1, comma 2, D.L.vo 30 marzo 2001, n. 165, ai fini dell’adozione dei propri piani triennali di prevenzione della corruzione, e per gli altri soggetti di cui all’art. 2 bis, comma 2, D.L.vo n. 33/2013, ai fini dell’adozione di misure di prevenzione della corruzione integrative di quelle adottate ai sensi del D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231. il Piano, anche in relazione alla dimensione e ai diversi settori di attività degli enti, individua i principali rischi di corruzione e i relativi rimedi e contiene l’indicazione di obiettivi, tempi e modalità di adozione e attuazione delle misure di contrasto alla corruzione; -in virtù del potere conoscitivo analizza le cause e i fattori della corruzione e individua gli interventi che ne possono favorire la prevenzione e il contrasto; -in virtù del potere consultivo esprime parere obbligatorio sugli atti di direttiva e di indirizzo, nonché sulle circolari del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione in materia di conformità di atti e comportamenti dei funzionari pubblici alla legge, ai codici di comportamento e ai contratti, collettivi e individuali, regolanti il rapporto di lavoro pubblico; -esercita la vigilanza e il controllo sull’effettiva applicazione e sull’efficacia delle misure adottate dalle PP.AA. ai sensi dei commi 4 e 5 dell’art. 1 in esame -ossia sugli atti e documenti finalizzati alla prevenzione e contrasto della corruzione e dell’illegalità nella P.A. -e sul rispetto delle regole sulla trasparenza dell’attività amministrativa previste dai commi da 15 a 36 dell’art. 1 in esame e dalle altre disposizioni vigenti. Sul punto, il comma 3 dell’art. 1 citato precisa che per l’esercizio delle dette funzioni l’Anac “esercita poteri ispettivi mediante richiesta di notizie, informazioni, atti e documenti alle pubbliche amministrazioni, e ordina l’adozione di atti o provvedimenti richiesti dai piani di cui ai commi 4 e 5 e dalle regole sulla trasparenza dell’attività amministrativa previste dalle disposizioni vigenti, ovvero la rimozione di comportamenti o atti contrastanti con i piani e le regole sulla trasparenza citati”; - esercita la vigilanza e il controllo sui contratti pubblici. Al fine di delineare il volto dell’Anac è necessario altresì il richiamo alle disposizioni del Codice dei contratti (D.L.vo 18 aprile 2016, n. 50) da cui è dato evincere che l’Autorità ha funzioni di regolazione, vigilanza e controllo sui contratti pubblici, agisce anche al fine di prevenire e combattere l’illegalità e la corruzione (art. 213, comma 1, D.L.vo n. 50/2016), dispone di poteri di ispezione (comma 5), di denuncia (comma 6), di sanzione verso chi non dà informazioni o documenti (comma 13); dà pareri vincolanti di precontenzioso (ove le parti acconsentano) su questioni insorte durante lo svolgimento delle procedure di gara (art. 211, comma 1, D.L.vo n. 50/2016). L’AnAC, giusta il codice dei contratti, dispone -secondo la previsione generale dell’art. 213, comma 2, D.L.vo n. 50/2016 -di un ampio potere regolatorio, attraverso l’emanazione di linee guida, bandi-tipo, capitolati-tipo, contratti-tipo e altri strumenti di regolazione flessibile (es.: art. 38 commi 6 e Contributi Di DottrinA 7 sulle modalità attuative del sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti e centrali di committenza; art. 71 sulla adozione da parte dell’AnAC di bandi tipo; art. 80, comma 13 sulle linee guida per omogeneizzare l’accertamento di determinate cause di esclusione di un operatore economico dalla partecipazione a una procedura d’appalto o concessione). Viene in rilievo, solitamente, un potere normativo vincolante, avente natura regolamentare. in dati casi tale potere regolatorio costituisce un mero atto di indirizzo, non vincolante e disapplicabile dalle stazioni appaltanti: c.d. soft law; es. art. 71 nel predisporre bandi tipo: la disposizione stabilisce che i bandi di gara sono redatti in conformità dei bandi tipo, tuttavia le stazioni appaltanti possono discostarsene, motivando espressamente in ordine alle deroghe nella delibera a contrarre. L’autorità dispone altresì di poteri di intervento nella fase esecutiva dei contratti. Può supportare le stazioni appaltanti nella predisposizione degli atti e nella gestione delle procedure di particolare importanza (c.d. vigilanza collaborativa). L’Autorità -nelle materie del diritto di accesso civico e di obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle PP.AA. controlla il rispetto dell’esatto adempimento degli obblighi di pubblicazione, ispeziona e dà ordini di procedere alle pubblicazioni rilevanti, controlla l’operato del responsabile della Prevenzione della Corruzione e dell’oiV, denuncia illeciti, irroga sanzioni (art. 45 D.L.vo n. 33/2013). L’Autorità vigila sul rispetto della materia della inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le PP.AA. e presso gli enti privati in controllo pubblico, con poteri ispettivi e di accertamento e funzioni consultive su direttive e circolari ministeriali (art. 16 D.L.vo 8 aprile 2013). Procedimenti. i procedimenti in attribuzione dell’Autorità più rilevanti sono: a) procedimenti normativi e amministrativi generali con funzione di regolazione; b) procedimenti dichiarativi, sfocianti in provvedimenti abilitativi, ad esempio di qualificazione delle stazioni appaltanti e centrali di committenza (art. 38 D.L.vo n. 50/2016); c) procedimenti ispettivi, ed eventualmente sanzionatori. 10. Garante per la protezione dei dati personali (c.d. Garante della privacy). il Garante è stato istituito con la L. 31 dicembre 1996, n. 675, successivamente abrogata e sostituita con il D.L.vo del 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali), il quale all’art. 1 dispone che “il trattamento dei dati personali avviene secondo le norme del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, di seguito «regolamento», e del presente codice, nel rispetto della dignità umana, dei diritti e delle libertà fondamentali della persona”. All’evidenza viene in rilievo una materia nella quale vi è una disciplina integrata, sia dell’unione europea che nazionale. rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 Come l’antitrust, anche il Garante è una autorità di tipo generalista, esercitando i propri poteri, in modo trasversale, nei confronti di tutte le imprese o di altri soggetti pubblici o privati. La disciplina relativa al Garante è contenuta nella Parte iii, titolo ii del D.L.vo n. 196/2003 (artt. 153-160-bis). Ha autonomia normativa, organizzativa e contabile, anche in deroga alle norme sulla contabilità generale dello Stato. Ha altresì autonomia finanziaria garantita da un fondo stanziato a tale scopo nel bilancio dello Stato e iscritto in apposita missione e programma di spesa del Ministero dell’economia e delle finanze; il rendiconto della gestione finanziaria è soggetto al controllo della Corte dei conti. il Garante può esigere dal titolare del trattamento il versamento di diritti di segreteria in relazione a particolari procedimenti (art. 156, comma 8, D.L.vo n. 196/2003). Composizione e nomina. il Garante è composto dal Collegio, che ne costituisce il vertice, e dall’ufficio. il Collegio è costituito da quattro componenti, eletti due dalla Camera dei deputati e due dal Senato della repubblica con voto limitato. i componenti devono essere eletti tra coloro che presentano la propria candidatura nell’ambito di una procedura di selezione il cui avviso deve essere pubblicato nei siti internet della Camera, del Senato e del Garante almeno sessanta giorni prima della nomina. Le candidature possono essere avanzate da persone che assicurino indipendenza e che risultino di comprovata esperienza nel settore della protezione dei dati personali, con particolare riferimento alle discipline giuridiche o dell’informatica. i componenti eleggono nel loro ambito un presidente, il cui voto prevale in caso di parità. eleggono altresì un vice presidente, che assume le funzioni del presidente in caso di sua assenza o impedimento. L’incarico di presidente e quello di componente hanno durata settennale e non sono rinnovabili (art. 153 D.L.vo n. 196/2003). Compiti. È preposto alla tutela della protezione dei dati personali, con poteri normativi, regolatori, di accertamento e controllo, sanzionatori, giustiziali, conoscitivi, propositivi e consultivi. Ha il compito, giusta gli artt. 154, 154 bis, 154 ter e 156, comma 3, D.L.vo n. 196/2003, tra l’altro, di: -controllare se i trattamenti sono effettuati nel rispetto della disciplina applicabile, anche in caso di loro cessazione e con riferimento alla conservazione dei dati di traffico; -trattare i reclami presentati ai sensi del regolamento (ue) 2016/679 e delle disposizioni contenute nel D.L.vo n. 196/2003, anche individuando con proprio regolamento modalità specifiche per la trattazione; -promuovere l’adozione di regole deontologiche per i trattamenti previsti dalle disposizioni di cui agli articoli 6, paragrafo 1, lettere c) ed e), 9, paragrafo 4, e al capo iX del regolamento (ue) 2016/679 e procedere alla loro approvazione; Contributi Di DottrinA -rendere pareri sulle proposte di legge o di regolamento riguardanti la materia del trattamento dei dati personali; -adottare linee guida di indirizzo riguardanti le misure organizzative e tecniche di attuazione dei principi del regolamento (ue) 2016/679; -controllo o assistenza in materia di trattamento dei dati personali prevista da leggi di ratifica di accordi o convenzioni internazionali o da atti dell’unione europea; -disciplinare con regolamento, pubblicato nella Gazzetta ufficiale della repubblica italiana, le modalità specifiche dei procedimenti relativi all’esercizio dei compiti e dei poteri ad esso attribuiti dal regolamento (ue) 2016/679 e dal D.L.vo n. 196/2003; -agire in giudizio nei confronti del titolare o del responsabile del trattamento in caso di violazione delle disposizioni in materia di protezione dei dati personali; -adottare regolamenti, pubblicati nella Gazzetta ufficiale della repubblica italiana, per definire: l’organizzazione e il funzionamento dell’ufficio; l’ordinamento delle carriere e le modalità di reclutamento del personale secondo i principi e le procedure di cui agli artt. 1, 35 e 36 D.L.vo n. 165/2001; la ripartizione dell’organico tra le diverse aree e qualifiche; il trattamento giuridico ed economico del personale, secondo i criteri previsti dalla L. n. 249/1997, e, per gli incarichi dirigenziali, dagli articoli 19, comma 6, e 23 bis D.L.vo n. 165/2001; la gestione amministrativa e la contabilità, anche in deroga alle norme sulla contabilità generale dello Stato. Procedimenti. i procedimenti in attribuzione del Garante sfociano nella adozione di atti generali (regolamenti o provvedimenti amministrativi generali) o provvedimenti particolari. L’impugnazione degli stessi -in deroga alle ordinarie regole sul riparto della giurisdizione -va fatta dinanzi al giudice ordinario e non a quello amministrativo. tanto è disposto dall’art. 152 D.L.vo n. 196/2003. i procedimenti in attribuzione del Garante più rilevanti sono: - procedimenti normativi (adozione di regolamenti); -procedimenti finalizzati alla adozione di atti amministrativi generali (Linee guida, regole deontologiche, ecc.) con funzione di regolazione; -procedimenti autorizzatori (ad es. relativi alle autorizzazioni, individuali o generali, al trattamento ulteriore di dati personali a fini di ricerca scientifica o a fini statistici: art. 110 bis); -procedimenti di accertamento e controllo, secondo la disciplina contenuta negli artt. 157-160-bis D.L.vo n. 196/2003 prevedenti poteri di: richiesta di informazioni e di esibizione di documenti; accertamenti, ossia accessi a banche di dati, archivi o altre ispezioni e verifiche nei luoghi ove si svolge il trattamento o nei quali occorre effettuare rilevazioni comunque utili al controllo del rispetto della disciplina in materia di trattamento dei dati personali; -procedimenti sanzionatori, con adozione di provvedimenti correttivi e rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 sanzionatori (ossia: sanzioni amministrative pecuniarie e sanzioni amministrative accessorie). La disciplina è contenuta nell’art. 166 D.L.vo n. 196/2003, il quale al comma 9 prevede che “con proprio regolamento pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della repubblica italiana, il Garante definisce le modalità del procedimento per l’adozione dei provvedimenti e delle sanzioni di cui al comma 3 ed i relativi termini, in conformità ai principi della piena conoscenza degli atti istruttori, del contraddittorio, della verbalizzazione, nonché della distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie rispetto all’irrogazione della sanzione”; -procedimenti giustiziali (141-144 D.L.vo n. 196/2003: reclami e segnalazioni al Garante). Giusta l’art. 140 bis D.L.vo n. 196/2003, l’interessato, qualora ritenga che i diritti di cui gode sulla base della normativa in materia di protezione dei dati personali siano stati violati, può proporre reclamo al Garante o ricorso dinanzi all’autorità giudiziaria. i commi 2 e 3 della disposizione statuiscono che il reclamo al Garante non può essere proposto se, per il medesimo oggetto e tra le stesse parti, è stata già adita l’autorità giudiziaria e che la presentazione del reclamo al Garante rende improponibile un’ulteriore domanda dinanzi all’autorità giudiziaria tra le stesse parti e per il medesimo oggetto. il reclamo è un ricorso amministrativo il cui procedimento è disciplinato dal Garante con proprio regolamento (art. 142, comma 5, D.L.vo n. 196/2003). il reclamo deve essere deciso dal Garante entro nove mesi dalla data di presentazione ed avverso la decisione è ammesso ricorso giurisdizionale all’A.G.o. ex art. 152 D.L.vo n. 196/2003 (art. 143, commi 3 e 4, D.L.vo n. 196/2003). 11. Banca d’italia. “La Banca d’italia, istituto di diritto pubblico, è la banca centrale della repubblica italiana, è parte integrante del Sistema Europeo di Banche Centrali ed è autorità nazionale competente nel meccanismo di vigilanza unico di cui all’articolo 6 del regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio del 15 ottobre 2013. È indipendente nell’esercizio dei suoi poteri e nella gestione delle sue finanze” (così art. 4, comma 1, D.L. 30 novembre 2013, n. 133, conv. L. 29 gennaio 2014, n. 5) (21). La banca d’italia è fornita di autonoma personalità giuridica (22). Per preservare l’indipendenza dell’istituto dal potere politico è previsto che le quote di partecipazione nel capitale della banca d’italia possano appartenere solo a banche e imprese di assicurazione e riassicurazione aventi sede legale e amministrazione centrale in italia, fondazioni di cui all’art. 27 D.L.vo 17 maggio 1999, n. 53 (23), enti ed istituti di previdenza e assicurazione con sede in italia e fondi pensione istituiti ai sensi dell’art. 4, comma 1, D.L.vo 5 (21) in senso analogo l’art. 19, commi 1 e 2, L. 28 dicembre 2005, n. 262. (22) in tal senso: Cass., S.u., 21 luglio 2006, n. 16751. (23) ossia le fondazioni che hanno effettuato il conferimento dell’azienda bancaria ai sensi del D. L.vo 20 novembre 1990, n. 356. Contributi Di DottrinA dicembre 2005, n. 252; inoltre ciascun partecipante non può possedere, direttamente o indirettamente, una quota del capitale superiore al 5 per cento (così art. 4, commi 4-5 D.L. n. 133/2013). oltre all’autonomia organizzativa e finanziaria, è altresì dotata di autonomia normativa (art. 23 L. n. 262/2005). Composizione e nomina. organi della banca d’italia sono il Governatore, il Direttorio, il Consiglio Superiore della banca d’italia, l’Assemblea dei partecipanti. il governatore e gli altri membri del direttorio durano in carica sei anni, con la possibilità di un solo rinnovo del mandato. La nomina del governatore è disposta con decreto del Presidente della repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio superiore della banca d’italia (art. 19, commi 7 ed 8, L. n. 262/2005). il Consiglio Superiore della banca d’italia si compone del Governatore e di 13 consiglieri, nominati nelle assemblee dei partecipanti presso le sedi della banca, fra i candidati individuati da un comitato costituito all’interno dello stesso Consiglio tra persone che posseggano i requisiti di indipendenza, onorabilità e professionalità previsti dallo Statuto della banca d’italia (art. 5 D.L. 30 novembre 2013, n. 133, conv. L. 29 gennaio 2014, n. 5). Compiti. Le principali funzioni della banca d’italia sono dirette ad assicurare la stabilità monetaria e la stabilità finanziaria, in attuazione del principio della tutela del risparmio sancito dalla Costituzione (art. 47) con funzione, quindi, monetaria e di vigilanza. La funzione monetaria -governo della moneta per garantirne la stabilità -vede quale protagonista principale l’unione europea, con il Sistema europeo delle banche centrali (SebC), il quale si compone delle banche centrali e della banca centrale europea (bCe), alle quali l’art. 130 del t.F.u.e. garantisce l’indipendenza dai governi nazionali che non possono impartire istruzioni o influenzare altrimenti le loro decisioni. il t.F.u.e. (artt. 127 e 128) devolve al SebC le funzioni di definire ed attuare la politica monetaria con l’obiettivo del mantenimento della stabilità dei prezzi e con il potere in via esclusiva di autorizzare l’emissione di banconote all’interno dell’u.e. e di definire e attuare la politica monetaria dell’u.e. Giusta l’art. 14, comma 3, dello Statuto bCe “Le banche centrali nazionali costituiscono parte integrante del SEBC e agiscono secondo gli indirizzi e le istruzioni della BCE”. All’evidenza, le funzioni monetarie sono accentrate in capo alla bCe. in questo contesto la banca d’italia può effettuare operazioni in cambi conformemente alle norme fissate dall’eurosistema. Gestisce le riserve valutarie proprie; gestisce, inoltre, una quota-parte di quelle della bCe per conto di quest’ultima. È responsabile della produzione delle banconote in euro, in base alla quota definita nell’ambito dell’eurosistema, della gestione della circolazione e dell’azione di contrasto alla contraffazione. rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 La funzione di vigilanza è svolta sugli istituti di credito al fine di garantirne la solvibilità. essa è disciplinata dal testo unico delle leggi bancarie e creditizie (D.L.vo 1 settembre 1993, n. 385) e da un corpo di norme europee. il testo unico attribuisce alla banca d’italia, ma anche in parte al Ministero dell’economia e delle finanze e al Comitato interministeriale per il credito e il risparmio, un’ampia gamma di poteri: normativi, volti a disciplinare -con regolamento -l’attività delle banche sotto il profilo, ad esempio, dell’adeguatezza del patrimonio, del contenimento dei rischi, dei limiti all’acquisto di partecipazioni, dell’organizzazione amministrativa e contabile, dei controlli interni e dei sistemi di remunerazione e di incentivazione (art. 53); amministrativi come, ad es., nel procedimento di autorizzazione o revoca all’esercizio dell’attività bancaria (art. 14) (24) o nel procedimento di autorizzazione, sospensione o revoca all’acquisto di partecipazioni in banche (art. 19) (25); poteri ispettivi (art. 54); poteri d’intervento prescrittivi, come il divieto di distribuire utili o di effettuare particolari operazioni (art. 53 bis); sanzionatori (art. 144). nell’esercizio di questa funzione la banca d’italia agisce in modo integrato e sotto la supervisione dell’European Banking authority (organismo dell’u.e. che ha il compito di sorvegliare il mercato bancario europeo) e soprattutto della bCe. in europa, la banca d’italia è l’autorità nazionale competente nell’ambito del Meccanismo di vigilanza unico (Single Supervisory mechanism, SSM) sulle banche ed è autorità nazionale di risoluzione nell’ambito del Meccanismo di risoluzione unico (Single resolution mechanism, SrM) delle banche e delle società di intermediazione mobiliare. Procedimenti. i procedimenti in attribuzione della banca d’italia più rilevanti sono: -procedimenti normativi e ad amministrativi generali con funzione di regolazione. La disciplina generale su tali procedimenti è contenuta nell’art. 23 L. 262/2005 secondo cui i provvedimenti della banca d'italia, della ConSob, dell’iSVAP, ora iVASS aventi natura regolamentare o di contenuto generale, esclusi quelli attinenti all’organizzazione interna, devono essere motivati con riferimento alle scelte di regolazione e di vigilanza del settore ovvero della materia su cui vertono. tanto in deroga all’art. 3 L. n. 241/1990 secondo cui (24) Che al comma 2 statuisce: “L’autorizzazione è rilasciata dalla BCE, su proposta della Banca d’italia; è negata, dalla Banca d’italia o dalla BCE, quando dalla verifica delle condizioni indicate nel comma 1 non risulti garantita la sana e prudente gestione”. i commi 3 bis e3 ter prevedono inoltre che la revoca dell’autorizzazione è disposta dalla bCe, sentita la banca d’italia o su proposta di questa sussistendo le condizioni ivi indicate. (25) Che al comma 5 e 5 bis statuisce: “5. L’autorizzazione è rilasciata dalla BCE, su proposta della Banca d'italia. […]. L’autorizzazione può essere sospesa o revocata se vengono meno o si modificano i presupposti e le condizioni per il suo rilascio. 5-bis. La Banca d’italia propone alla BCE di negare l’autorizzazione all’acquisizione della partecipazione quando dalla verifica delle condizioni indicate nel comma 5 non risulti garantita la sana e prudente gestione della banca”. Contributi Di DottrinA tali tipologie di atti sono esenti dall’obbligo della motivazione. i provvedimenti de quibus sono accompagnati da una relazione che ne illustra le conseguenze sulla regolamentazione, sull’attività delle imprese e degli operatori e sugli interessi degli investitori e dei risparmiatori. nella definizione del contenuto degli atti di regolazione generale, le Autorità tengono conto in ogni caso del principio di proporzionalità, inteso come criterio di esercizio del potere adeguato al raggiungimento del fine, con il minore sacrificio degli interessi dei destinatari. A questo fine, esse consultano gli organismi rappresentativi dei soggetti vigilati, dei prestatori di servizi finanziari e dei consumatori; le Autorità disciplinano con propri regolamenti l’applicazione dei principi descritti, indicando altresì i casi di necessità e di urgenza o le ragioni di riservatezza per cui è ammesso derogarvi; -procedimenti di controllo a carattere contenzioso e procedimenti sanzionatori. tali procedimenti sono svolti nel rispetto dei principi della piena conoscenza degli atti istruttori, del contraddittorio, della verbalizzazione nonché nel rispetto del principio della distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie rispetto all’irrogazione della sanzione (art. 24 L. 262/2005; la descritta disciplina si applica anche ai provvedimenti adottati dalla ConSob, dall’iSVAP, ora iVASS). tanto alla luce della circostanza che alla banca d’italia compete -secondo la disciplina contenuta nel D.L.vo n. 385/1993 -la funzione di vigilanza e controllo sulle banche, caratterizzata dalla titolarità di poteri ispettivi e sanzionatori e finalizzata a garantire la sana e prudente gestione dei soggetti vigilati. nonché, in generale, mirante a preservare la stabilità complessiva, l’efficienza e la competitività del sistema. 12. istituto per la vigilanza sulle assicurazioni. L’iVASS è stato istituito e disciplinato con l’art. 13 D.L. 6 luglio 2012, n. 95, conv. Legge 7 agosto 2012, n. 135. esso svolge l’attività di vigilanza nel settore assicurativo, anche attraverso un più stretto collegamento con la vigilanza bancaria. i commi dal 2 al 4 dell’articolo citato così dispongono: “2. L’iVaSS ha personalità giuridica di diritto pubblico. 3. L’istituto opera sulla base di principi di autonomia organizzativa, finanziaria e contabile, oltre che di trasparenza e di economicità, mantenendo i contributi di vigilanza annuali previsti dal Capo ii del Titolo XiX del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazione private). 4. L’iVaSS e i componenti dei suoi organi operano con piena autonomia e indipendenza e non sono sottoposti alle direttive di altri soggetti pubblici o privati. L’iVaSS può fornire dati al ministro dello sviluppo economico e al ministro dell’economia e delle finanze, esclusivamente in forma aggregata”. Svolge le funzioni già affidate all’istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse collettivo (iSVAP) ai sensi dell’art. 4 della legge 12 agosto 1982, rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 n. 576 (riforma della vigilanza sulle assicurazioni) e dell’art. 5 del D.L.vo 7 settembre 2005, n. 209 (26). È un’autorità amministrativa indipendente che esercita la vigilanza sul mercato assicurativo italiano, per garantirne la stabilità e tutelare il consumatore. oltre che di autonomia organizzativa, finanziaria e contabile è dotata altresì di autonomia normativa. È sottoposta al controllo della Corte dei conti. Composizione e nomina. Sono organi dell’iVASS il Presidente, il Consiglio ed il Direttorio di cui all’art. 21 dello Statuto della banca d’italia. Presidente dell’istituto è il Direttore Generale della banca d’italia. il Presidente è il legale rappresentante dell’istituto e presiede il Consiglio. il Consiglio è composto dal Presidente e da due consiglieri scelti tra persone di indiscussa moralità ed indipendenza oltre che di elevata qualificazione professionale in campo assicurativo, nominati con decreto del Presidente della repubblica, previa delibera del Consiglio dei Ministri, ad iniziativa del Presidente del Consiglio, su proposta del Governatore della banca d’italia e di concerto con il Ministro dello sviluppo economico. i due consiglieri restano in carica sei anni, con possibilità di rinnovo per un ulteriore mandato. Al Consiglio spetta l’amministrazione generale dell’iVASS. tra l’altro, il Consiglio: adotta il regolamento organizzativo dell’iVASS; delibera in ordine al trattamento normativo ed economico del personale dipendente dell’istituto e adotta il relativo regolamento; adotta i provvedimenti di nomina, assegnazione, promozione e cessazione dal servizio dei dipendenti; conferisce gli incarichi di livello dirigenziale; approva gli accordi stipulati con le organizzazioni sindacali; provvede alla gestione dei contributi dei soggetti vigilati; esamina ed approva il bilancio. Al Direttorio integrato spetta l’attività di indirizzo e direzione strategica dell’iVASS, la competenza ad assumere i provvedimenti aventi rilevanza esterna relativi all’esercizio delle funzioni istituzionali in materia di vigilanza assicurativa e l’adozione di provvedimenti a carattere normativo, tra cui lo Statuto. Compiti. L’istituto, tra l’altro, esercita le seguenti funzioni: -vigilanza dell’osservanza delle leggi e dei regolamenti da parte delle imprese e degli agenti sul settore assicurativo, mediante l’esercizio dei poteri di natura autorizzativa, prescrittiva, accertativa, cautelare e repressiva previsti dalle disposizioni del codice delle assicurazioni private. nell’esercizio di tale funzione è parte del SeViF (Sistema europeo delle autorità di vigilanza finanziaria) e partecipa alle attività che esso svolge, tenendo conto della convergenza degli strumenti e delle prassi di vigilanza in ambito europeo (art. 5, commi 1 e 1 bis, D.L.vo 7 settembre 2005, n. 209, c.d. Codice delle assicurazioni private); (26) Giusta l’art. 13, comma 42, D.L. n. 95/2012 “ogni riferimento all’iSVaP contenuto in norme di legge o in altre disposizioni normative è da intendersi effettuato all’iVaSS”. Contributi Di DottrinA -adotta ogni regolamento necessario per la sana e prudente gestione delle imprese o per la trasparenza e la correttezza dei comportamenti dei soggetti vigilati ed allo stesso fine rende nota ogni utile raccomandazione o interpretazione (art. 5, comma 2, D.L.vo n. 209/2005); controlla la gestione tecnica, finanziaria, patrimoniale e contabile delle imprese di assicurazione; -rileva i dati di mercato necessari per la formazione delle tariffe e delle condizioni di polizza; -coopera con le altre autorità indipendenti, per assicurare il corretto esercizio delle rispettive funzioni, tra cui quelle in materia antitrust; - autorizza l’esercizio dell’attività assicurativa; -assicura la trasparenza dell’offerta agli utenti. All’uopo è titolare di potere regolamentare -da esercitarsi previa consultazione con le imprese assicurative -in ordine alla correttezza della pubblicità, alle regole di presentazione e di comportamento delle imprese e degli intermediari nell’offerta di prodotti assicurativi, nonché agli obblighi informativi prima della conclusione del contratto e durante l’esecuzione di esso; -regolazione a tutela dei consumatori. A tal fine raccoglie i reclami presentati nei confronti delle imprese assicurative, li censisce in un registro dei reclami, agevola la corretta esecuzione dei contratti assicurativi e facilita la soluzione delle questioni che gli vengono sottoposte intervenendo nei confronti dei soggetti vigilati con provvedimenti e sanzioni; monitora le richieste di risarcimento inoltrate a tutti gli istituti assicurativi in attività sul territorio italiano al fine di prevenire truffe e abusi (art. 5, comma 3, D.L.vo n. 209/2005) (27). Procedimenti. i caratteri dei procedimenti in attribuzione all’iVASS sono analoghi a quelli riguardanti la banca d’italia. 13. Commissione nazionale per la Società e la Borsa. La Commissione nazionale per la Società e la borsa -Consob è stata istituita con il D.L. 8 aprile 1974, n. 95, conv. L. 7 giugno 1974, n. 216. La stessa “ha personalità giuridica di diritto pubblico e piena autonomia nei limiti stabiliti dalla legge” (art. 1, comma 2, D.L. n. 95/1974). È un ente rivolto -con l’esercizio di funzioni di vigilanza e di garanzia della stabilità e del contenimento del rischio -alla tutela degli investitori, all’efficienza, alla trasparenza e allo sviluppo del mercato finanziario. Questo è articolato in tre distinti settori: a) intermediari finanziari (sim, promotori finanziari, ecc.); b) emittenti strumenti finanziari (società di capitali, quotate o non quotate); c) società di gestione dei mercati regolamentati (borse). La materia è principalmente disciplinata dal D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, c.d. testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria. La (27) Sulle funzioni dell’istituto: F.G. SCoCA (a cura di), Diritto amministrativo, iii edizione, Giappichelli, 2014, pp. 63-633. rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 funzione di vigilanza spetta alla banca di italia, per quanto riguarda l’attività degli istituti di credito italiani o di diritto estero operanti in italia. È dotata di autonomia normativa, organizzativa, finanziaria e contabile. La Commissione provvede all’autonoma gestione delle spese per il proprio funzionamento nei limiti del fondo stanziato a tale scopo nel bilancio dello Stato e iscritto, con unico capitolo, nello stato di previsione della spesa del Ministero del tesoro. La gestione finanziaria si svolge in base al bilancio di previsione approvato dalla Commissione entro il 31 dicembre dell’anno precedente a quello cui il bilancio si riferisce. il contenuto e la struttura del bilancio di previsione, il quale deve comunque contenere le spese indicate entro i limiti delle entrate previste, sono stabiliti da proprio regolamento. il rendiconto della gestione finanziaria è soggetto al controllo della Corte dei conti. La Commissione, con regolamento, delibera le norme concernenti la propria organizzazione ed il proprio funzionamento, disciplinando in ogni caso i rapporti tra il presidente ed i commissari anche ai fini della relazione in Commissione su singoli affari; quelle concernenti il trattamento giuridico ed economico del personale e l’ordinamento delle carriere, nonché quelle dirette a disciplinare la gestione delle spese nei limiti previsti dalla legge, anche in deroga alle disposizioni sulla contabilità generale dello Stato. Le deliberazioni della Commissione concernenti i regolamenti sono sottoposti al Presidente del Consiglio dei ministri, il quale ne verifica la legittimità e li rende esecutivi, ove non intenda formulare, entro il termine suddetto, proprie eventuali osservazioni. Queste ultime devono essere effettuate, in unico contesto, sull’insieme del regolamento e sulle singole disposizioni. Composizione e nomina. La Commissione è composta da un presidente e da quattro membri, scelti tra persone di specifica e comprovata competenza ed esperienza e di indiscussa moralità e indipendenza, nominati con decreto del Presidente della repubblica su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio stesso. essi durano in carica 7 anni e l’incarico non è rinnovabile. Compiti. La Consob, tra l’altro, regolamenta la prestazione dei servizi di investimento, gli obblighi informativi delle società quotate e le offerte al pubblico di prodotti finanziari; autorizza la pubblicazione dei prospetti informativi relativi ad offerte pubbliche di vendita e dei documenti d’offerta concernenti offerte pubbliche di acquisto; l’esercizio dei mercati regolamentati; le iscrizioni agli albi di settore; vigila sulle società di gestione dei mercati e sulla trasparenza e l’ordinato svolgimento delle negoziazioni, nonché sulla trasparenza e correttezza dei comportamenti degli intermediari e dei promotori finanziari; sanziona i soggetti vigilati, direttamente o formulando una proposta al Ministero dell’economia e delle Finanze; controlla le informazioni fornite al mercato dalle società quotate e da chi promuove offerte al pubblico di strumenti finanziari, nonché le informazioni contenute nei do Contributi Di DottrinA cumenti contabili delle società quotate; accerta eventuali andamenti anomali delle contrattazioni su titoli quotati e compie ogni altro atto di verifica di violazioni delle norme in materia di manipolazione del mercato (fattispecie oggi applicabile in caso di società quotate), abuso di informazioni privilegiate (insider trading) e di aggiotaggio. Procedimenti. i procedimenti in attribuzione della Consob più rilevanti sono: -procedimenti normativi e ad amministrativi generali con funzione di regolazione, mediante i quali vengono stabiliti i requisiti di solidità finanziaria e patrimoniale che gli operatori devono possedere. Come visto innanzi, la disciplina generale su tali procedimenti è contenuta nell’art. 23 L. 262/2005 secondo cui i provvedimenti, tra l’altro, della Consob aventi natura regolamentare o di contenuto generale, esclusi quelli attinenti all’organizzazione interna, devono essere motivati con riferimento alle scelte di regolazione e di vigilanza del settore ovvero della materia su cui vertono; -procedimenti autorizzatori. L’attività degli intermediari (diversi dalle banche, nel qual caso interviene la banca d’italia) e delle società di gestione dei mercati regolamentati è sottoposta alla autorizzazione preventiva della Consob; -procedimenti di controllo e procedimenti sanzionatori. i procedimenti de quibus, in applicazione degli Engel criteria della Corte eDu, potendo sfociare in una sanzione quasi penale (quale una sanzione amministrativa pecuniaria di elevato ammontare) devono rispettare i principi del giusto processo di cui all’art. 6 CeDu. La normativa nazionale è coerente con tale dato. Difatti tali procedimenti sono svolti nel rispetto dei principi della piena conoscenza degli atti istruttori, del contraddittorio, della verbalizzazione nonché nel rispetto del principio della distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie rispetto all’irrogazione della sanzione (art. 24 L. 262/2005). ove non venga svolta correttamente l’attività di controllo e vigilanza, ad esempio per omissioni, e si arrechino danni agli investitori, la Consob è tenuta al risarcimento del danno cagionato con giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (art. 133, comma 1, lett. c, c.p.a.) (28). Va precisato che nel- l’esercizio delle proprie funzioni di controllo la Consob (come anche la banca d’italia, l’isvap ora ivass, la Covip e l’autitrust), i componenti dei loro organi nonché i loro dipendenti rispondono dei danni cagionati da atti o comporta (28) “Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo […] le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo, ovvero ancora relative all’affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore, nonché afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di pubblica utilità”. rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 menti posti in essere con dolo o colpa grave (così art. 24, comma 6 bis, L. n. 262/2005). 14. agenzia per la rappresentanza negoziale delle Pubbliche amministrazioni. L’ArAn è stata istituita con l’art. 50 D.L.vo 3 febbraio 1993, n. 29, poi abrogato e sostituito dall’art. 46 D.L.vo n. 165/2001. Ai sensi dei commi 10 e 11 dell’articolo da ultimo citato “10. L’araN ha personalità giuridica di diritto pubblico. Ha autonomia organizzativa e contabile nei limiti del proprio bilancio. affluiscono direttamente al bilancio dell’araN i contributi di cui al comma 8. L’araN definisce con propri regolamenti le norme concernenti l’organizzazione interna, il funzionamento e la gestione finanziaria. i regolamenti sono soggetti al controllo del Dipartimento della funzione pubblica e del ministero dell’economia e delle finanze, adottati d’intesa con la Conferenza unificata, da esercitarsi entro quarantacinque giorni dal ricevimento degli stessi. La gestione finanziaria è soggetta al controllo consuntivo della Corte dei conti. 11. il ruolo del personale dipendente dell’araN è definito in base ai regolamenti di cui al comma 10. […]”. L’Agenzia costituisce una struttura tecnica -dotata di autonomia normativa, organizzativa, gestionale e contabile -che rappresenta le pubbliche amministrazioni nella contrattazione collettiva nazionale di lavoro. Composizione e nomina. Sono organi dell’ArAn il Presidente ed il Collegio di indirizzo e controllo. il Presidente dell’ArAn è nominato con decreto del Presidente della repubblica, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione previo parere della Conferenza unificata. il Presidente rappresenta l’agenzia ed è scelto fra esperti in materia di economia del lavoro, diritto del lavoro, politiche del personale e strategia aziendale, anche estranei alla pubblica amministrazione, nel rispetto delle disposizioni riguardanti le incompatibilità di legge. il Presidente dura in carica quattro anni e può essere riconfermato per una sola volta. il collegio di indirizzo e controllo è costituito da quattro componenti scelti tra esperti di riconosciuta competenza in materia di relazioni sindacali e di gestione del personale, anche estranei alla pubblica amministrazione e dal presidente dell’Agenzia che lo presiede; due di essi sono designati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta, rispettivamente, del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione e del Ministro dell’economia e delle finanze e gli altri due, rispettivamente, dall’AnCi e dall’uPi e dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome. il collegio coordina la strategia negoziale e ne assicura l’omogeneità, assumendo la responsabilità per la contrattazione collettiva e verificando che le trattative si svolgano in coerenza con le direttive contenute negli atti di indirizzo. il collegio dura in carica quattro anni e i suoi componenti possono essere riconfermati per una sola volta. Contributi Di DottrinA Compiti. L’ArAn esercita a livello nazionale, in base agli indirizzi ricevuti dalle pubbliche amministrazioni rappresentate, ogni attività relativa alle relazioni sindacali, alla negoziazione dei contratti collettivi e alla assistenza delle pubbliche amministrazioni ai fini dell’uniforme applicazione dei contratti collettivi. Sottopone alla valutazione della commissione di garanzia dell’attuazione della L. 12 giugno 1990, n. 146 gli accordi nazionali sulle prestazioni indispensabili ai sensi dell’art. 2 della legge citata. Le pubbliche amministrazioni possono avvalersi dell’assistenza del- l’ArAn ai fini della contrattazione integrativa. L’ArAn cura le attività di studio, monitoraggio e documentazione necessarie all’esercizio della contrattazione collettiva. Procedimenti. L’Agenzia ha in attribuzione procedimento normativi ed altresì procedimenti rappresentativi sfocianti nella stipula di contratti collettivi. 15. Difensore civico. il difensore civico è un istituto tipico degli enti territoriali, posto a garanzia del cittadino nei confronti delle pubbliche amministrazioni. interviene, d’ufficio o a istanza di parte, allorché vi sono patologie nell’azione amministrativa, con un ruolo di impulso, denuncia, sollecitazione e -ove venga in rilievo attività vincolata -di sostituzione nell’attività. nell’ordinamento giuridico italiano la figura è diffusa a livello regionale (prevista negli Statuti delle regioni) e provinciale (29). È in posizione di indipendenza, imparzialità, autonomia e neutralità rispetto all’ente territoriale di riferimento. La Corte costituzionale evidenzia che il difensore civico “è generalmente titolare di sole funzioni di tutela della legalità e della regolarità amministrativa, in larga misura assimilabili a quelle di controllo” (30). il giudice di le (29) L’art. 11 t.u.e.L. dispone: “1. Lo statuto comunale e quello provinciale possono prevedere l’istituzione del difensore civico, con compiti di garanzia dell’imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione comunale o provinciale, segnalando, anche di propria iniziativa, gli abusi, le disfunzioni, le carenze ed i ritardi dell’amministrazione nei confronti dei cittadini. 2. Lo statuto disciplina l’elezione, le prerogative ed i mezzi del difensore civico nonché i suoi rapporti con il consiglio comunale o provinciale. 3. il difensore civico comunale e quello provinciale svolgono altresì la funzione di controllo nell’ipotesi prevista all’articolo 127”. Successivamente è stato soppresso il difensore civico comunale con l’art. 2, comma 186, lett. a), L. 23 dicembre 2009, n. 191, il quale ha così disposto: “al fine del coordinamento della finanza pubblica e per il contenimento della spesa pubblica, i comuni devono adottare le seguenti misure: a) soppressione della figura del difensore civico comunale di cui all’articolo 11 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. Le funzioni del difensore civico comunale possono essere attribuite, mediante apposita convenzione, al difensore civico della provincia nel cui territorio rientra il relativo comune. in tale caso il difensore civico provinciale assume la denominazione di «difensore civico territoriale» ed è competente a garantire l’imparzialità e il buon andamento della pubblica amministrazione, segnalando, anche di propria iniziativa, gli abusi, le disfunzioni, le carenze e i ritardi dell’amministrazione nei confronti dei cittadini; […]”. (30) Corte cost., 6 aprile 2004, n. 112. rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 gittimità -in una vicenda relativa ad una legge regionale che attribuiva ad un difensore civico regionale, nei confronti di un ente locale inerte, il potere di nomina di un commissario ad acta che provvede in via sostitutiva -intende in senso restrittivo i poteri del difensore civico, negandogli il potere sostitutivo nel caso di inerzie su atti vincolati, sul rilievo che il difensore civico è un organo “preposto alla vigilanza sull’operato dell’amministrazione regionale con limitati compiti di segnalazione di disfunzioni amministrative, al quale non può dunque essere legittimamente attribuita, proprio perché non è un organo di governo regionale, la responsabilità di misure sostitutive che incidono in modo diretto e gravoso sull’autonomia costituzionalmente garantita dei Comuni” (31). Composizione e nomina. È un organo monocratico nominato, di solito, dall’organo politico collegiale eletto direttamente dalla comunità di riferimento (consiglio regionale e provinciale). il titolare deve avere una specifica professionalità. Compiti. i compiti sono delineati nello Statuto della regione o della Provincia, o nella fonte subordinata alla quale lo Statuto rinvia. Solitamente le fonti prevedono le seguenti evenienze: -il potere di seguire, a tutela dei singoli, degli enti e delle formazioni sociali che vi hanno interesse e che ne facciano richiesta, l’adozione degli atti e lo svolgimento dei procedimenti posti in essere dall’amministrazione di riferimento, dagli enti ed aziende dipendenti e titolari di delega, limitatamente, per questi ultimi, alle funzioni delegate, con speciale riferimento alla salvaguardia dei diritti costituzionali dell’utente in modo che siano assicurate le tempestività e le regolarità; -il difensore civico qualora nell’esercizio dei propri compiti istituzionali rilevi o abbia notizia che nell’operato di altre amministrazioni si verifichino disfunzioni od anomalie comunque incidenti sulla qualità e regolarità dell’attività amministrativa regionale diretta o delegata, ne riferisce al consiglio del- l’ente di riferimento; -ha diritto di ottenere dagli uffici dell’amministrazione di riferimento e dagli enti e aziende strumentali e/o ausiliarie copia di atti e documenti, nonché ogni notizia connessa alla questione trattata; -decorso un dato termine dall’acquisizione dei documenti e notizie richiesti, fissa il termine per la definizione dell’affare o chiede ai preposti agli uffici competenti di procedere congiuntamente all’esame della questione, al fine di contribuire alla sua sollecita definizione; -se il difensore civico accerta che l’atto richiesto, per il quale è stato sollecitato il suo intervento, sia un atto dovuto omesso illegittimamente, ha l’obbligo di chiedere al Presidente della giunta regionale o provinciale -a seconda (31) Corte cost., n. 112/2004. Contributi Di DottrinA che venga in rilievo il difensore civico regionale o provinciale -la nomina di un commissario ad acta per l’adozione dell’atto omesso; -nei confronti dei preposti agli uffici che ostacolino con atti od omissioni lo svolgimento della sua funzione, il difensore civico può proporre agli organi competenti dell’amministrazione di appartenenza la promozione dell’azione disciplinare, a norma dei rispettivi ordinamenti. ove il fatto costituisca reato, il difensore civico che ne venga a conoscenza nell’esercizio delle funzioni di ufficio ha l’obbligo di denunziarlo all’autorità giudiziaria; -poteri in materia di accesso, secondo quanto già precisato sopra descrivendo gli organi degli enti territoriali. Procedimenti. i procedimenti in attribuzione dei difensori civici sono tendenzialmente di secondo grado, atteso che il difensore civico si inserisce, per definizione potrebbe dirsi, in un procedimento di primo grado arenatosi, oppure definito in modo patologico. 16. Procedimenti para-giurisdizionali in attribuzione alle autorità amministrative indipendenti. Come regola, i procedimenti in attribuzione alle autorità indipendenti hanno natura amministrativa. Peculiarità, tuttavia, presenta la tipologia di procedimenti che, nell’ambito dell’attività di vigilanza, conduce alla adozione di una sanzione amministrativa. Sulla materia, la Corte eDu e, di conseguenza, la giurisprudenza nazionale, ritiene che il procedimento abbia sostanza giurisdizionale, rectius: di giudizio penale, con applicazione, di conseguenza, dell’art. 6 CeDu sul diritto a un equo processo (32). tanto in applicazione dei c.d. Engel criteria, al fine di individuare l’ambito della materia penale sostanziale e processuale, per tutte le conseguenze (32) “1. ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti. La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l’accesso alla sala d’udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell’interesse della morale, dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o, nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità possa portare pregiudizio agli interessi della giustizia. 2. ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata. 3. in particolare, ogni accusato ha diritto di: (a) essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa formulata a suo carico; (b) disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa; (c) difendersi personalmente o avere l’assistenza di un difensore di sua scelta e, se non ha i mezzi per retribuire un difensore, poter essere assistito gratuitamente da un avvocato d’ufficio, quando lo esigono gli interessi della giustizia; (d) esaminare o far esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico; (e) farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata in udienza”. rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 convenzionali (non solo circa l’applicazione dell’art. 6 CeDu, ma anche per l’applicazione dell’art. 7 CeDu) (33). Con gli Engel criteria, la giurisprudenza della Corte eDu ritiene che si è in presenza di un giudizio penale in tre evenienze: a) giudizio qualificato espressamente penale dalla legge nazionale; b) procedimento formalmente amministrativo, ma nel quale viene applicata una sanzione afflittiva avente finalità di prevenzione generale e/o speciale, analogicamente alla sanzione penale; c) procedimento formalmente amministrativo, ma nel quale viene applicata una sanzione di ammontare molto rilevante, enorme (34). in applicazione dei criteri di cui alle lettere b) e c) si è qualificato, ad esempio, il procedimento sanzionatorio dinanzi all’antitrust e alla Consob, come procedimento quasi-giurisdizionale, con l’esigenza di applicare le garanzie previste per il processo penale nell’art. 6 CeDu, nell’interpretazione datane dalla Corte eDu, tra cui: a) diritto al silenzio. All’uopo il giudice delle leggi, con sentenza 30 aprile 2021, n. 84 ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 24, 111 e 117, comma 1, Cost. -quest’ultimo in relazione all’art. 6 CeDu, all’art. 14, comma 3, lettera g), del Patto internazionale sui diritti civili e politici (PiDCP) e all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea (CDFue) -l’art. 187 quinquiesdecies del D.L.vo n. 58/1998, nel testo originariamente introdotto dall’art. 9, comma 2, lettera b), della legge 18 aprile 2005, n. 62, nella parte in cui si applica anche alla persona fisica che si sia rifiutata di fornire alla Consob risposte che possano far emergere la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative di carattere punitivo, ovvero per un reato (35); b) imparzialità e terzietà della istituzione che deve applicare la sanzione, con la necessità della separazione tra chi esercita funzioni istruttorie e chi esercita funzioni decisorie. nei regolamenti procedimentali, a volte, non vi è la detta distinzione tra “inquirente” e “giudicante”. Gli stessi do( 33) “1. Nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso”. (34) Corte eDu, 8 giugno 1976, Engel e altri c. Paesi Bassi, ricorsi nn. 5100/71, 5101/71, 5102/71, 5354/72 e 5370/72. (35) inoltre, in via consequenziale, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del predetto art. 187 quinquiesdecies D.L.vo n. 58 del 1998, nel testo modificato dall’art. 24, comma 1, lettera c), D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, conv. L. 17 dicembre 2012, n. 221, nella parte in cui si applica anche alla persona fisica che si sia rifiutata di fornire alla banca d’italia o alla Consob risposte che possano far emergere la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative di carattere punitivo, ovvero per un reato. infine, in via consequenziale, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del predetto art. 187 quinquiesdecies D.L.vo n. 58 del 1998, nel testo modificato dall’art. 5, comma 3, del D.L.vo 3 agosto 2017, n. 129, nella parte in cui si applica anche alla persona fisica che si sia rifiutata di fornire alla banca d’italia o alla Consob risposte che possano far emergere la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative di carattere punitivo, ovvero per un reato. Contributi Di DottrinA vrebbero, quindi essere illegittimi. È prevalso, tuttavia un orientamento giurisprudenziale per il quale la possibilità di impugnare il successivo provvedimento sanzionatorio dinanzi ad un giudice dotato di piena giurisdizione consente di ritenere che, nella sostanza, sia rispettato l’art. 6 CeDu. Si ritiene che -in un certo senso -vi è una sorta di globale procedimento, una specie di partita di due tempi sulla vicenda, articolantesi in una prima fase amministrativa e una successiva giurisdizionale. Si ritiene quindi che la seconda fase giurisdizionale -ossia: impugnativa dinanzi ad un giudice in sede di giurisdizione esclusiva e di merito -rispetti gli standard richiesti dalla CeDu (36). All’evidenza il descritto orientamento giurisprudenziale è un artificio verbale e cozza con le premesse: se quello dinanzi alla Consob e all’antitrust è nella sostanza un giudizio penale l’art. 6 CeDu va applicato nella sua interezza e quindi i procedimenti in materia sono illegittimi; se non è un giudizio penale l’art. 6 CeDu non è violato; diversamente è un giocare con le parole. Va precisato che, come visto innanzi, per la banca d’italia, la Consob, l’isvap ora ivass, il “principio della distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie rispetto all’irrogazione della sanzione” è espressamente imposto dall’art. 24, comma 1, L. n. 262/2002. 17. rimedi giurisdizionali avverso gli atti delle autorità amministrative indipendenti. Per i loro connotati le autorità indipendenti sono un ente pubblico. È ormai sopita la discussione sulla loro natura giuridica, ritenendosi da alcuni giuristi che esse fossero un’autorità giustiziale o para-giurisdizionale; opinioni, queste non accoglibili, perché, come detto, in contrasto con i caratteri delle dette autorità. La qualità di ente pubblico delle autorità in esame comporta, tra l’altro, che gli atti adottati sono provvedimenti amministrativi, vieppiù anche normativi ove vengano in rilievo regolamenti, avverso i quali gli interessati possono chiedere tutela dinanzi al giudice amministrativo, in base alle normali regole sul riparto di giurisdizione, salve le eccezioni normative. Cognizione ordinaria del giudice amministrativo, in sede di giurisdizione esclusiva. in materia vi è la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. (36) La Corte eDu, ad es., ritiene che il procedimento sanzionatorio azionato dall’Agcom per omessa comunicazione di un rapporto di controllo societario, prevista per le società che chiedano finanziamenti pubblici all’editoria, non viola, nel caso concreto, l’art. 6 par. 1 della CeDu poiché esso, pur essendosi svolto essenzialmente per iscritto ed essendo stata offerta solo in parte ai soggetti interessati la possibilità di interloquire sugli elementi di prova raccolti dall’Autorità, ha trovato in sede giurisdizionale un sindacato pieno (sentenza del 10 dicembre 2020, Edizioni del roma Società Cooperativa a r.l. e Edizioni del roma S.r.l. v. italia, ricorsi nn. 68954/13 e 70495/13, su cui G. QuAGLiArieLLo, Le sanzioni sostanzialmente penali dell’aGCom e il sindacato di piena giurisdizione, in questa rassegna, 2021, 2, pp. 17-38). rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 All’uopo l’art. 133, comma 1, lett. l), c.p.a. dispone che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo “l) le controversie aventi ad oggetto tutti i provvedimenti, compresi quelli sanzionatori (37) ed esclusi quelli inerenti ai rapporti di impiego privatizzati, adottati dalla Banca d’italia, […], dall’autorità garante della concorrenza e del mercato, dall’autorità per le garanzie nelle comunicazioni, dall’autorità per l’energia elettrica e il gas, e dalle altre autorità istituite ai sensi della legge 14 novembre 1995, n. 481, dall’autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, […], dalla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità della pubblica amministrazione, dall’istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private, comprese le controversie relative ai ricorsi avverso gli atti che applicano le sanzioni ai sensi dell’articolo 326 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209”. La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo allorché abbia ad oggetto le sanzioni pecuniarie è estesa al merito (art. 134, lett. c, c.p.a.). Sindacato del giudice amministrativo. il giudice amministrativo ha un sindacato pieno sui detti provvedimenti. Questi costituiscono, spesso, manifestazione della c.d. discrezionalità tecnica. il sindacato sulle valutazioni tecniche è oltrecché estrinseco (sulla manifesta illogicità ed incongruenza), anche intrinseco (ossia vi è il controllo dell’attendibilità del criterio tecnico utilizzato dall’Autorità e il suo esito applicativo). tanto trova conferma nell’art. 7 D.L.vo 19 gennaio 2017, n. 3 -recante l’attuazione della direttiva 2014/104/ue del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 novembre 2014, relativa a determinate norme che regolano le azioni per il risarcimento del danno ai sensi del diritto nazionale per violazioni delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell’unione europea (c.d. private enforcement) -secondo cui “il sindacato del giudice del ricorso comporta la verifica diretta dei fatti posti a fondamento della decisione impugnata e si estende anche ai profili tecnici che non presentano un oggettivo margine di opinabilità, il cui esame sia necessario per giudicare la legittimità della decisione medesima”. Vuol dirsi che il giudice può prendere diretta cognizione dei fatti rilevanti e valutarli alla stregua delle regole giuridiche e tecniche del settore (38). il (37) La Corte costituzionale, con sentenze 27 giugno 2012, n. 162 e 15 aprile 2014, n. 94, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della presente lettera -con riguardo alle controversie in materia di sanzioni irrogate, rispettivamente, dalla Consob e dalla banca d’italia -nella parte in cui attribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo con cognizione estesa al merito e alla competenza funzionale del tAr Lazio (sede di roma). (38) Sugli accertamenti nella materia de qua: Cons. Stato, 15 luglio 2019, n. 4990 (oggetto del giudizio è la concertazione anticompetitiva contestata dall’Antitrust nei confronti delle società del gruppo r. e n., le quali avrebbero tra loro concertato strategie -in specie una intesa orizzontale restrittiva della concorrenza in violazione dell’art. 101 tFue -volte ad ostacolare la legittima possibilità di acquisto ed impiego del farmaco “A.” per la cura delle patologie oculari, al fine di favorire le maggiori vendite del farmaco “L.”, di gran lunga più costoso del primo). Contributi Di DottrinA giudice, quindi, non è tenuto a prendere cognizione dei fatti solo attraverso la descrizione contenuta nel provvedimento impugnato. il giudice può prendere diretta cognizione dei fatti anche con l’ausilio di C.t.u., di verificazione, della prova orale. Fatti che, come in ogni giudizio con discrezionalità tecnica, possono essere suscettibili di varia valutazione. È il caso -in materia di concorrenza -ad es., della nozione di mercato rilevante, del concetto di abuso di posizione dominante, del concetto di pratica concordata; è il caso altresì, in materia di servizi pubblici, della variazione dei meccanismi di determinazione tariffaria. il giudicante quindi può sindacare il metodo scientifico e/o il criterio tecnico e/o regole tecniche prescelti -valutando se la scelta risulti attendibile e ragionevole -ed il procedimento applicativo seguito dall’Autorità, con l’unico limite della sostituzione all’Autorità (39). La discrezionalità tecnica nel caso in esame differisce dalla normale discrezionalità tecnica sotto l’aspetto quantitativo: vengono in rilievo dati fattuali enormemente complessi e di grande rilevanza economica (è il caso, ad esempio, dei servizi di rete), nei quali già la mera lettura del puro dato è connotata da difficoltà; vengono in rilievo altresì scelte regolatorie spesso caratterizzate da un elevato tasso di tecnicismo di carattere prevalentemente economico e finanziario. il giudicante non può, in ossequio alle regole sui limiti della giurisdizione, sostituirsi all’Amm.ne. nel caso che il dato fattuale conduca a più valutazioni e soluzioni (ad es. A, b, C) e l’Amm.ne tra queste ne abbia privilegiata una (ad. es. b), il giudicante può controllare se la scelta fatta dall’Amm.ne sia attendibile alla stregua delle regole tecniche. non può il giudicante sostituirsi all’Amm.ne; ad es. ritenere che la soluzione scelta dall’Amm.ne non è la migliore tra quelle ricavabili dalle regole tecniche e, quindi annullare l’atto impugnato e con la propria sentenza scegliere la soluzione reputata come la migliore (ad es. D) oppure annullare l’atto impugnato e con la propria sentenza ordinare all’Amm.ne di recepire la soluzione da lui reputata come la migliore. ove la scelta fatta dall’Amm.ne sia inattendibile alla stregua delle regole tecniche (le regole tecniche possono condurre a tre possibili soluzioni -ad es. A, b, C -e l’Amm.ne opta per la soluzione e), il giudice può annullare il provvedimento dell’Amm.ne. Cognizione, in via di eccezione alla regola della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, del giudice ordinario. Quale eccezione a tale linea tendenziale sulla giurisdizione, spettano alla cognizione del giudice ordinario: a) tutte le controversie in materia di protezione dei dati personali, comprese quelle aventi ad oggetto l’impugnativa dei provvedimenti del Garante per la protezione dei dati personali (art. 152 D.L.vo n. 196/2003 e art. 10, (39) Sulla materia: M. FiLiCe, il problematico confine tra i poteri dell’agcom e il sindacato del giudice, in Giorn. Dir. amm., 2017, 3, pp. 389 e ss.; M. FiLiCe, Verso un sindacato consapevole sulle valutazioni tecnico-discrezionali, in Giorn. Dir. amm., 2016, 5, pp. 684 e ss. rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 comma 10, D.L.vo 1 settembre 2011, n. 150). La cognizione dell’A.G.o. è una di giurisdizione esclusiva; b) le controversie in materia di opposizione avverso le sanzioni irrogate dalla Consob e dalla banca d’italia. tanto risulta all’esito delle sentenze della Corte costituzionale nn. 162/2012 e 94/2014 innanzi citate (40) -reputanti che la materia de qua involga diritti soggettivi -determinanti l’espressa revivescenza -“delle disposizioni del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 [ossia articoli 187 septies, commi da 4 a 8; 195, commi da 4 a 8], che attribuiscono alla Corte d’appello la competenza funzionale in materia di sanzioni inflitte dalla CoN- SoB” (così la sentenza n. 162/2012) e -degli artt. “145, commi da 4 a 8, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia)”, “187septies, commi da 4 a 8, e 195, commi da 4 a 8, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52)” (così la sentenza n. 94/2014). 18. Necessità di una riflessione sulla vitalità delle autorità amministrative indipendenti. Giunti al fondo di questa breve disamina occorre chiedersi: sono necessarie le authority? La creazione delle authority ha avuto quale volano l’esigenza che dati settori, specie dell’economia, fossero regolati da soggetti indipendenti ed au (40) Le dette sentenze reputano illegittima la norma perché il legislatore delegato non ha “tenuto conto della giurisprudenza delle sezioni unite civili della Corte di cassazione, formatasi specificamente sul punto. La Corte di cassazione ha, infatti, sempre precisato che la competenza giurisdizionale a conoscere delle opposizioni (art. 196 del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58) avverso le sanzioni inflitte dalla CoNSoB ai promotori finanziari, anche di tipo interdittivo, spetta all’autorità giudiziaria ordinaria, posto che anche tali sanzioni, non diversamente da quelle pecuniarie, debbono essere applicate sulla base della gravità della violazione e tenuto conto dell’eventuale recidiva e quindi sulla base di criteri che non possono ritenersi espressione di discrezionalità amministrativa (Corte di cassazione, sezioni unite civili, 22 luglio 2004, n. 13703; nello stesso senso 11 febbraio 2003, n. 1992; 11 luglio 2001, n. 9383).[…]. La citata giurisprudenza della Corte di cassazione, la quale esclude che l’irrogazione delle sanzioni da parte della CoNSoB sia espressione di mera discrezionalità amministrativa, unitamente alla considerazione che tali sanzioni possono essere sia di natura pecuniaria, sia di tenore interdittivo (giungendo persino ad incidere sulla possibilità che il soggetto sanzionato continui ad esercitare l’attività intrapresa), impedisce di giustificare sul piano della legittimità costituzionale l’intervento del legislatore delegato, il quale, incidendo profondamente sul precedente assetto, ha trasferito alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative alle sanzioni inflitte dalla CoNSoB, discostandosi dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, che invece avrebbe dovuto orientare l’intervento del legislatore delegato, secondo quanto prescritto dalla delega. Di conseguenza, deve ritenersi che, limitatamente a simile attribuzione di giurisdizione, siano stati ecceduti i limiti della delega conferita, con conseguente violazione dell’art. 76 Cost.” (così la sentenza n. 162/2012, con argomentazioni richiamate nella successiva sentenza n. 94/2014). Contributi Di DottrinA tonomi dal potere politico. Quanto evidenziato a favore della creazione delle authority non è irresistibile: a) in primo luogo l’intervenuta separazione, a metà degli anni ’90 del secolo trascorso, tra sfera politica ed amministrazione, nel rispetto del principio di legalità anche di fonte comunitaria, rende non necessarie -nel disegno organizzativo dell’organizzazione amministrativa italiana -le autorità indipendenti. i compiti di queste potrebbero essere svolti dall’apparato amministrativo con marcata autonomia rispetto al potere politico; b) inoltre deve rilevarsi che in determinati settori e in determinati casi potrebbe essere, anzi, opportuno favorire la massima coesione tra l’indirizzo politico e l’attività dei regolatori di un certo settore. Peraltro, nella pratica, le authority hanno dato luogo a varie aporie: -si è creata una burocrazia parallela a quella ministeriale con un personale di serie A, tenuto conto dei generosi trattamenti economici del personale dipendente delle authority, peraltro non assunto -almeno nella fase di attivazione -con selezione e competenze che giustificasse il surplus economico, ma per trasferimenti e/o mobilità da altri enti pubblici; -la indipendenza degli organi apicali, che dovrebbe essere la cifra giustificativa della esistenza delle authority, non sempre sussiste. Anzi, dalla disamina fatta, emerge che la nomina degli organi della maggior parte delle authority è riconducibile - in modo diretto o indiretto - al Governo; -deficit di legittimazione democratica. tra le altre, le autorità indipendenti, svolgono funzioni normative (adozione di regolamenti). tuttavia, come evidenziato, la funzione normativa è da ricondurre agli organi espressione della volontà popolare (Parlamento e Governo; Consiglio e Giunta regionale, provinciale, comunale), in ossequio al precetto secondo cui “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione” (art. 1, comma 2, Cost.); -a livello di risultati, il bilancio operativo dell’attività delle authority è magro. L’attività dell’antitrust non ha scalfito i cartelli oligopolistici nel settore dei servizi; ad es., nella vendita di carburante la differenza di prezzo tra le varie Compagnie è insignificante. L’Agcom non ha inciso sul -sostanziale -duopolio televisivo, sulla qualità della programmazione della televisione pubblica. L’AnAC ha natura spuria: ente di natura para-amministrativo e/o para-giurisdizionale; in fondo è un ispettore qualificato, ma tanto basta a ricondurlo all’apparato amministrativo. il Garante della privacy, si rivela, nella sostanza, fattore di appesantimento con le tutele formali (ad es. i modelli di consenso alla privacy) e -soprattutto -irrilevante nella tutela della materia commessagli; su internet si consumano ordinariamente violazioni di dati sensibili e si vedono le cose più turpi, eppure il Garante della privacy agisce in modo accidentale e marginale: è successo che è stato sanzionato il rappresentante dell’ente pubblico che sul sito istituzionale ha pubblicato la compravendita di un terreno all’ente nella quale il nominativo dei venditori è riportato rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 per intero e non solo con le iniziali (sic). L’attività di vigilanza della Consob e della banca d’italia -nell’ultimo ventennio, nel quale si sono stabilizzati i caratteri di authority dei due enti -è largamente deficitaria con performance non esaltanti, specie nella vigilanza sulle imprese bancarie ed industriali. L’agevole corollario delle aporie evidenziate è chiaro: abolizione di tutte le authority e riconduzione di strutture e funzioni nell’ambito dei Ministeri, beninteso con autonomia marcata nel rispetto degli stimoli derivanti dal- l’unione europea. Contributi Di DottrinA Il principio del contraddittorio nei procedimenti amministrativi di cui all’art. 13 della l. n. 241/1990 Rosa Amatucci* Sommario: 1. Premessa generale: delimitazione dell’oggetto di indagine -2.1 metodo di analisi. ricognizione morfologica: esempi di fattispecie sottoposte all’art. 13 secondo la giurisprudenza -2.2 metodo di analisi dogmatica -3. atti normativi -4. atti amministrativi generali -4.1 Piani e programmi -4.2 Le programmazioni -4.3 Gli atti amministrativi generali delle autorità amministrative indipendenti -5. Dibattito pubblico -6. Procedimenti espropriativi -7. Procedimenti tributari -8. Procedimenti previdenziali -9. La tutela del contraddittorio negli accordi di cui all’art. 11 -10. Collegamenti dell’art. 13 col diritto di accesso di cui all’art. 22 - 11. Conclusioni generali. 1. Premessa generale: delimitazione dell’oggetto di indagine. il capo iii -rubricato “Partecipazione al procedimento amministrativo” (1) -della legge 7 agosto 1990 n. 241, delinea presupposti e strumenti per instaurare “un confronto (o scontro) ad armi pari” tra privati cittadini e pubblica amministrazione (2), dando attuazione ai principi di diritto interno (primi tra tutti, “buon andamento” ed “imparzialità” di cui all’art. 97 Costituzione), europeo (“buona amministrazione” ex art. 41 CDFue) ed internazionale (“equo processo” ex art. 6 CeDu). Se da un lato, le primissime sentenze della Consulta mostravano una certa ritrosia nel riconoscere il contraddittorio amministrativo principio di rango costituzionale (3), dall’altro, illuminata dottrina, a livello teorico, lo definiva come “condizione extraprocessuale al processo giurisdizionale” (4) e il legislatore, a livello dogmatico, lo configurava come cri(*) Dottoressa in Giurisprudenza, ammessa alla Pratica forense presso l’Avvocatura Generale dello Stato (avv. Stato GAetAnA nAtALe). (1) Ai fini dell’indagine che si sta conducendo, è utile segnalare che nell’originario schema del d.d.l. della Commissione nigro, la rubrica del capo iii recitava “contraddittorio nel procedimento amministrativo” e non, come oggi “partecipazione nel procedimento amministrativo”. in realtà, questa scelta si spiega con l’esigenza di ricomprendere nel genus partecipazione, tanto il modulo collaborativo (mediante il deposito di osservazioni) quanto quello difensivo (con l’atto tipico dell’opposizione). Per approfondire, si rinvia al parere del Consiglio di Stato, n. 7, 19 febbraio 1987. (2) Si tratta: a) della comunicazione di avvio del procedimento (ex artt. 7-8); b) del potere di intervento degli interessati (ex art. 9); c) del diritto dei partecipanti di prendere visione degli atti relativi al procedimento in essere e, successivamente, di presentare memorie e documenti (ex art. 10); d) della comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della domanda nei procedimenti ad istanza di parte (ex art. 10-bis). (3) Corte Cost., sent. n. 13 del 2 marzo 1962; Corte Cost., sent n. 23 del 1978. (4) F. benVenuti, voce Contraddittorio (Diritto amministrativo), in Enciclopedia del diritto, vol. iX. rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 terio generale della presenza del cittadino al percorso decisionale pubblico (5). in tempi più recenti, le riforme costituzionali e ordinarie (6), e la sinergia di dottrina e giurisprudenza, hanno fugato ogni dubbio circa la natura costituzionale del principio in esame. tutto quanto premesso, si tratta di capire se il principio del contraddittorio amministrativo trovi applicazione indiscriminatamente in qualsiasi tipo di procedimento pubblico ovvero se, a seconda della funzione esercitata, esso subisca delle deroghe. invero, a livello normativo, il capo iii della suddetta legge si chiude con una disposizione, l’art. 13, che delimita oggettivamente l’ambito di applicazione delle garanzie in esso contenute. tuttavia, la rubrica “Ambito di applicazione delle norme sulla partecipazione” non corrisponde del tutto al suo contenuto: avrebbe piuttosto dovuto rappresentare che le norme sulla partecipazione individuale (e quindi sul contraddittorio) di cui ai precedenti articoli, non si applicano a determinati procedimenti; invece, il titolo è tale da poter indurre nell’equivoco che in questi procedimenti non sia garantito l’esercizio del contraddittorio. inoltre, l’elenco contenuto nel testo della norma (7) non è esaustivo, perché sotto l’ombrello generico di atti amministrativi generali, ricomprende tutta una serie di specie di difficile individuazione. Ancora, l’indicazione specifica ma distinta da quella degli atti amministrativi generali, degli atti di pianificazione e programmazione costituisce una ridondanza, perché essi sono, per eccellenza, atti amministrativi generali. occorre anche precisare che, dal punto di vista dei principi generali del diritto amministrativo, il concetto di sovranità, alla base della autoritarietà dell’atto amministrativo e della sua imperatività, è diverso da quello fatto proprio dagli altri Paesi membri dell’unione e soprattutto del diritto europeo: dove i c.d. atti “normativi” (convenzioni, regolamenti, direttive e decisioni) debbono essere comunque motivati in base ai c.d. considerando. Questo obbligo risale addirittura alla formulazione originaria dell’art. 190 del trattato Cee di roma. nel sistema nazionale e costituzionale, viceversa, prevale tuttora una concezione “bilaterale” dei rapporti tra cittadino ed amministrazione (l’amministrato, piuttosto che il cittadino), per cui la tutela piena del contraddittorio è limitata a quei procedimenti individuali che la dottrina chiama “so (5) G. berti, Procedimento, procedura, partecipazione in Studi in onore di E. Guicciardi, Padova, 1975, p. 799. (6) tra le tante, si ricorda la legge costituzionale n. 2 del 23 novembre 1999 (“inserimento dei principi del giusto processo nell’art. 111 della Costituzione”). (7) Art. 13 “ambito di applicazione delle norme sulla partecipazione” 1. Le disposizioni contenute nel presente capo non si applicano nei confronti dell’attività della pubblica amministrazione diretta alla emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione. 2. Dette disposizioni non si applicano altresì ai procedimenti tributari per i quali restano parimenti ferme le particolari norme che li regolano. Contributi Di DottrinA stanziali”. Al contrario, gli atti normativi (regolamenti soprattutto) sono considerati estranei a questo tipo di rapporto, e pertanto non debbono essere motivati, ma piuttosto semplicemente “giustificati” con il richiamo ai presupposti e alla normativa di cui sono applicazione. Questo modo di procedere ha influenzato anche la dogmatica dei c.d. atti amministrativi generali, al punto che molti di essi sono stati qualificati, e non da ora, come atti sostanzialmente normativi. Da ciò discende una ultima considerazione di carattere generale. Data l’enorme varietà degli atti amministrativi c.d. generali, il metodo di indicazione non può che essere tassonomico, perché a seconda del tipo di atto ricompreso nell’art. 13, si rinviene la più ampia gamma di effetti giuridici: per gli atti normativi è il vincolo di obbedienza, come per la legge, mentre gli atti amministrativi generali possono avere effetti costitutivi e conformativi (come ad esempio i piani regolatori generali e le programmazioni ambientali); ancora effetti dichiarativi con valore costitutivo, come l’iscrizione nelle liste delle bellezze naturali e dei beni culturali. Addirittura, vi può essere potestà con- formativa del negozio giuridico, integrazione amministrativa delle clausole contrattuali, obbligo di rispetto di standard come avviene per gli atti delle autorità indipendenti di regolamentazione. tali sono ad esempio, i provvedimenti di fissazione delle tariffe o di determinazione dei prezzi che costituiscono, secondo la migliore dottrina (8), una conformazione amministrativa del negozio giuridico. Degli altri speciali procedimenti indicati espressamente dall’art. 13 (procedimenti amministrativi tributari e previdenziali; ovvero dei procedimenti di cambiamento della generalità ai fini di protezione dei collaboratori ai sensi del d.lgs. 119/93) si parlerà a suo tempo. un vero rebus giuridico è rappresentato infine dalla natura giuridica delle “linee guida” presenti nei più vari settori della attività amministrativa: la giurisprudenza ha già riconosciuto -ai fini della tutela giurisdizionale -natura vincolante alle linee guida dell’AnAC, del GSe (Gestore del Sistema elettrico) e perfino dell’Agenzia per l’italia digitale. 2.1 metodo di analisi. ricognizione morfologica: esempi di fattispecie sottoposte all’art. 13 secondo la giurisprudenza. Prima di tentare una ricognizione dogmatica appare utile effettuare -a campione -una ricognizione di tipo morfologico. Sotto questo profilo, nella prassi giudiziaria si registra la tendenza ad allargare lo spettro delle fattispecie da attrarre nella categoria degli atti amministrativi generali, e dunque della stessa operatività dell’art. 13. in particolare, si rinvengono esempi nei seguenti settori o materie: (8) Cfr. M.S. GiAnnini, il pubblico potere, bologna, 1986; M.S. GiAnnini, Diritto amministrativo, Milano, 1988, ii. rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 a) procedure di formazione dei piani regolatori generali e loro varianti (9); b) tutti i piani particolareggiati sia di carattere generale (PPe piano particolareggiato di esecuzione) sia di carattere speciale: a. piani di insediamenti produttivi (PiP) (10); b. piani di edilizia economica e popolare (PeeP), ma non le localizzazioni individuali di opera di edilizia economica e popolare (art. 51 l. 865/71); c) procedimento di panificazione programmazione del programma urbano di parcheggi (PuP) (11); d) atti di programmazione economico sociale, quali ad esempio la programmazione regionale della spesa sanitaria (12). tuttavia, secondo il Consiglio di Stato (13), “la deliberazione regionale con la quale sono stati fissati i tetti di spesa delle prestazioni sanitarie, è stata qualificata come atto plurimo e non come atto amministrativo generale e quindi è da considerare illegittima, se adottata senza previo avviso dell’avvio del procedimento”; e) c.d. localizzazioni o individuazioni di aree rispettivamente per: a. impianti di stazioni radio per telefonia cellulare (14); b. localizzazione di impianti di termovalorizzazione (15); c. localizzazione di impianti di rifiuti solidi urbani (16); d. le delibere di individuazione di zone carenti di servizio farmaceutico (17); e. provvedimenti di revisione della pianta organica delle sedi farmaceutiche (18); f. istituzione di nuove sedi farmaceutiche (19); f) determinazione dei prezzi (20); approvazione di servizi pubblici (21); provvedimenti di adeguamento delle tariffe telefoniche (22); g) provvedimenti in materia di contabilità, finanza, beni demaniali e patrimoniali, quali ad esempio gli atti di aggiornamento dei canoni di concessione dei medesimi (23); (9) t.a.r. Molise, sez. i, n. 239/2021; Cons. Stato, sez. iV, n. 1914/2016. (10) Con. Stato n. 5819/2014. (11) Cons. Stato, sez. V, n. 2852/2003. (12) t.a.r. Campania, napoli, sez. i, n. 16660/2005. (13) Cons. Stato, sez. iV, 13 luglio n. 3920/2020. (14) t.a.r. emilia-romagna, sez. i, n. 3/2021; t.a.r. Sardegna, sez. ii, n. 163/2008. (15) t.a.r. Piemonte, sez. ii, n. 3607/2000. (16) Cons. Stato, sez. V, n. 2471/2006. Sono ipotesi in cui è potenzialmente applicabile l’istituto del dibattito pubblico. (17) Cons. Stato, sez. V, 22 dicembre 2005, n. 7356. (18) t.a.r. emilia-romagna, Parma, sez. i, 1° dicembre 2008, n. 442; Cons. Stato, sez. iV, 26 ottobre 1999, n. 1628. (19) Cons. Stato, sez. iii, n. 3136/2018. (20) t.a.r. Campania, sez. i, 14 settembre 1999, n. 2320. (21) Cons. Stato, sez. Vi, 17 aprile 2009, n. 2308. (22) t.a.r. Lazio, sez. ii, 8 giugno 1993, n. 657. (23) t.a.r. toscana, 17 aprile 2002, n. 153. Contributi Di DottrinA h) procedimenti dichiarativi in materia di tutela del paesaggio, quale integrazione degli elenchi delle bellezze ambientali e dei beni ambientali e culturali (24); i) procedimenti di pianificazione in materia ambientale, valutazioni di impatto ambientale, autorizzazioni ambientali. Come hanno notato autorevoli commentatori (25), “la disciplina della partecipazione nei procedimenti di pianificazioni in materia ambientale risulta fortemente condizionata dalla regolamentazione internazionale (Convenzione di Aarhus, ratificata nel nostro Paese con l. 108/2001) e comunitaria, che la incentiva proprio nei procedimenti volti all’emanazione di piani e programmi nonché di atti normativi (26). in tutti questi casi più che la figura del legittimo contraddittore, vi è quello del portatore di interessi o stakeholder, molto variegati, si va dal proprietario confinante rispetto al progetto di una discarica di rifiuti ad associazioni di categoria (ordini e collegi professionali, società di ingegneria), portatori di interessi diffusi e collettivi, quali le organizzazioni non governative riconosciute dal Ministero dell’Ambiente aventi finalità di protezione dell’ambiente stesso oppure miste come il CoDAConS (27). 2.2. metodo di analisi dogmatica. Sebbene il metodo dell’analisi giuridica delle fattispecie sia plurimo ed opinabile (per soggetti, per tipo di attività, per tipo di procedimento, per funzione, per considerazione degli interessi pubblici ecc.) sembra efficace ispirarsi alla tassonomia proposta dalla grande dottrina (28) che li articola in ordine discendente, ed in relazione al tipo di potere esercitato. Questo metodo comporta che in primo luogo vengano considerati gli atti normativi secondari, che sono diretta esecuzione delle fonti primarie del diritto e, successivamente, le funzioni di indirizzo, coordinamento, pianificazione e programmazione, regolazione e conformazione. 3. atti normativi. una rapida trattazione del regime giuridico degli atti normativi si giustifica per la loro profonda differenza di natura giuridica, funzione ed effetti (ma anche procedure) rispetto alle altre categorie di atti inclusi nell’art. 13, compresi gli stessi atti amministrativi generali. Come si è accennato in premessa, l’impostazione finora data all’interpre (24) Cons. Stato, n. 1898/2002. (25) M.C. roMAno, in commento all’art. 13 ambito di applicazione delle norme sulla partecipazione in L’azione amministrativa, a cura di A. roMAno, torino, 2016, pp. 442 ss. (26) Così M.C. roMAno, op. cit., p. 443. (27) non rientrando nell’oggetto dello specifico lavoro, si rinvia per ulteriori dettagli soprattutto a M.C. roMAno, op. cit., pp. 443-445. (28) M.S. GiAnnini, istituzioni di Diritto amministrativo, Milano, 1981. rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 tazione della Costituzione, ed estrapolabile dalle sentenze della Corte Costituzionale, è molto tradizionale, perché risale all’applicazione consueta del principio di separazione dei poteri, anche se, come noto, essa viene ampiamente criticata anche nei Paesi di civil law e non solo di common law. infatti, i regolamenti nella manualistica (29) vengono situati tra gli atti del potere esecutivo, a differenza non solo delle leggi, ma anche di tutti gli atti con forza o valore di legge, che pur sarebbero di competenza del Governo. Ma in realtà, specialmente dalla politica vengono percepiti come un continuum, soprattutto per quanto riguarda la categoria più importante: i regolamenti di esecuzione (ma anche i regolamenti di organizzazione). un tipo di atto relativamente nuovo è poi costituito dai decreti ministeriali autorizzati, espressione della “riserva di amministrazione” come limite del potere legislativo in base ai principi di cui all’articolo 97 Cost. Dal punto di vista sociologico, è evidente che anche nella loro preparazione vi è un confronto almeno informale con i portatori di interessi (altrove chiamati “lobbisti”). tuttavia, non è un confronto paragonabile alla metodologia seguita dalla unione europea dove -prima di normare un determinato settore, vi sono indagini conoscitive (libri bianchi), orientamenti di principio (libri verdi), ampie procedure di consultazione (es. appalti pubblici), pareri espressi dai più vari comitati. Come autorevole dottrina (30) ha suggerito, infatti, accanto alle c.d. fonti giuridiche del diritto, tradizionalmente distinte in fonti primarie e secondarie, il contesto europeo apre alla nozione di fonti culturali, cioè più in generale dell’apporto che soggetti non politici, ma istituzionali ovvero stakeholders e rappresentanti di associazioni di interessi di categoria, collettivi e diffusi, alla formazione delle c.d. leggi comunitarie. Ciò è constatabile dalle ampie procedure di consultazione utilizzate non solo per redigere documenti, quali libri bianchi, verdi e comunicazioni, ma soprattutto in tema di direttive, come quelle sugli appalti pubblici. Da questo quadro emerge, come sottolineato dalla dottrina sopracitata, che anche la normazione europea è soggetta alla verifica della sua ragionevolezza e della conformità all’interesse pubblico concreto specifico ed attuale, diversamente dalle leggi e dai regolamenti dello Stato italiano, che si basano unicamente sul principio di autorità. È quindi evidente che i regolamenti non sono soggetti al contraddittorio, al contrario degli atti amministrativi generali, come si dimostrerà oltre. (29) Cfr. tra i tanti e. CASettA, manuale di diritto amministrativo, XiV, Milano, 2022; F.G. SCoCA, Diritto amministrativo, Vii, torino, 2021. (30) e. PiCozzA, Diritto amministrativo e comunitario, ii edizione, torino, 2004, pp. 36 ss.; G. zAGrebeLSki, manuale di diritto costituzionale, vol. i, il sistema delle fonti del diritto, torino, 1987; A. PizzoruSSo, Fonti (sistema costituzionale del diritto) in Studi in onore di E.T. Liebman, Milano, 1979, i, pp. 327 ss. Contributi Di DottrinA Come è noto, nel cosiddetto preambolo, ove esistente, (ed in modo del tutto simile ai decreti-legge o ai decreti legislativi delegati) la distinzione di fondo è tra giustificazioni (l’indicazione delle norme che appunto giustificano l’emanazione del regolamento, presupposti di fatto e di diritto, che variano a seconda del tipo di regolamento) e motivazione sulla sola procedura di approvazione, che spesso è obbligatoria ed il cui mancato rispetto comporta l’illegittimità (31). tale differenza rispetto alle altre categorie di atti generali si nota anche sul piano processuale, in quanto è ben rara in giurisprudenza l’ipotesi della loro impugnabilità diretta e immediata; normalmente, anzi, un regolamento non è impugnabile ex se, ma solo insieme ad un atto applicativo del quale costituisca presupposto di legittimità. Si potrebbe, quindi, concludere brevemente nel senso che i regolamenti, come le leggi, non sono soggetti all’esercizio del diritto al contraddittorio procedimentale, ma solo ad una verifica della loro legalità a posteriori, che si attua in sede giurisdizionale amministrativa. Per completezza, si deve anche osservare che, comunque, una tutela in generale della legalità è contenuta, sul piano sostanziale, nell’art. 4 delle Preleggi al Codice Civile, a mente del quale i regolamenti non possono contenere norme contrarie alla legge e, sul piano processuale, attraverso la previsione della competenza del giudice ordinario civile e penale ai sensi degli artt. 4 e 5 della Legge 20 Marzo 1865/2248 All. e, abolitrice del contenzioso amministrativo. infatti, l’art. 4 prescrive che il giudice applicherà i regolamenti in quanto rispettosi della legge. in disparte poi appare il rimedio della c.d. illegittimità comunitaria (che peraltro secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia della unione europea, si applica a tutti gli atti e provvedimenti nazionali di qualsiasi livello: leggi, atti con forza o valore di legge, regolamenti, provvedimenti amministrativi, negozi giuridici pubblici e privati e perfino pronunce dei giudici nazionali). esso non può essere esaminato in questa sede, ma -in qualche modo -entra nel concetto di “contraddittorio” anche se non procedimentale: ciò in quanto l’interessato può sempre invitare e diffidare (con il tradizionale atto di invito e diffida ex articolo 25 del t.u. sul pubblico impiego, per questa parte ancora vigente) qualsiasi autorità nazionale, ad interpretare la propria normativa in modo conforme al diritto europeo. ed in caso di incompatibilità accertate a disapplicare la normativa medesima (32). La portata del primato del diritto comunitario e la diretta applicabilità del medesimo è tale che suddetto obbligo non si applica solo alle Autorità Centrali dello Stato, ma anche alla (31) Sugli argomenti della giustificazione e della motivazione si rimanda ampiamente alle considerazioni di S. PeronGini, Teoria e dogmatica del provvedimento amministrativo, torino, 2016 e di P. VirGA, il provvedimento amministrativo, Milano, 1972. (32) V. già Corte di Giustizia 22 giugno 1989 in causa 103/1988, fratelli Costanzo. rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 classe politica e ai dirigenti locali, e perfino alle autorità giurisdizionali. La stessa legge 117/1988 e s.m.i. sulla responsabilità dei magistrati, richiama le conseguenze della mancata applicazione o disapplicazione, dell’obbligo di interpretazione conforme e perfino della omissione di una questione pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267 del t.F.u.e. eguali considerazioni in ordine al mancato rispetto del diritto internazionale ed in particolare della CeDu (33). 4. atti amministrativi generali. Contrariamente agli atti normativi, la categoria degli atti amministrativi generali è molto vasta e, come si affermava in premessa, può essere inquadrata solo sotto un profilo tassonomico, non in base al criterio più comune degli effetti giuridici. in un primo tempo, la dottrina ritenne che gli atti amministrativi generali avessero tutti un contenuto sostanzialmente regolamentare, ma che non costituissero fonti del diritto (34). Di conseguenza le principali differenze dagli atti normativi consistevano in queste caratteristiche: mancanza della vacatio legis, non applicazione del principio iura novit curia, mancanza di parametro nei giudizi di Cassazione, carattere generale, ma non astratto delle norme in esso contenute (35). Si deve all’opera di Massimo Severo Giannini (36) l’inquadramento degli atti amministrativi generali nei c.d. procedimenti precettivi, cioè procedimenti tesi a creare “precetti” intermedi tra la legge e l’atto amministrativo concreto. Si tratterebbe, quindi, di atti non normativi, ma comunque ad effetto conformativo delle situazioni giuridiche soggettive. tale ricostruzione segue evidentemente la tesi della natura sostanzialmente “normativa” dell’atto amministrativo generale, cioè della discrezionalità “creativa” e non semplicemente “attuativa” della legge (37). tra di essi rientrano sicuramente piani e programmi che, evidentemente, l’art. 13 ha voluto evidenziare per la loro importanza, ma che rientrano a pieno titolo tra gli atti amministrativi generali. Seguendo però il Giannini, prima di arrivare a livello degli atti di pianificazione -ma sempre all’interno della categoria dei procedimenti precettivi ci sono altri atti di eguale importanza, appartenenti alle seguenti tre funzioni: funzioni di indirizzo, funzioni di coordinamento, funzioni di direzione (38). (33) V. in particolare Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, n. 1/2022. (34) in questo senso, G. SAntAnieLLo, Gli atti amministrativi generali a contenuto non normativo, Giuffrè, Milano, 1963; G. GuArino, atti e poteri amministrativi, Milano, 1994; M.S. GiAnnini, Provvedimenti amministrativi generali e regolamenti ministeriali, in Scritti, vol. iii, Milano, 2003, 769 ss.; M.A. SAnDuLLi, Sugli atti amministrativi generali a contenuto non normativo, ora in Scritti giuridici, vol. i, napoli, 1990, 39 ss. (35) una applicazione ai piani regolatori in e. PiCozzA, il piano regolatore generale urbanistico, Padova, 1983. (36) M.S. GiAnnini, Diritto amministrativo, vol. ii, iii ed., Milano, 1993. (37) V. per tutti A. PirAS, Discrezionalità amministrativa in Enciclopedia del Diritto, Milano Giuffrè ad vocem. Contributi Di DottrinA Per quanto riguarda le funzioni di indirizzo, autorevole dottrina (39) ha individuato tale funzione come quella che si pone a cavallo tra funzione politica e funzione amministrativa. il concetto è stato codificato negli articoli 4 e 25 del d.P.r. 165/2001 s.m.i. sulla distinzione tra attività di indirizzo e attività di gestione. È chiaro che, in questo caso, non si pone un problema di contraddittorio, rientrando queste norme nella categoria delle c.d. norme di azione riguardanti la p.a., e non di relazione, attinenti ai rapporti con gli amministrati. Ci possono essere, però, atti di indirizzo lesivi di situazioni giuridiche soggettive in ordine ai quali la tutela è rimessa, come per i regolamenti, solo all’attività processuale. Contigua all’attività di indirizzo è l’attività di coordinamento, che può sfociare in vere e proprie intese, come ad esempio quelle con la conferenza Stato-regioni, oppure in pareri, come nella Conferenza Stato-città. La dottrina (40) ha sottolineato che non si tratta di esercizio del contraddittorio procedi- mentale, ma di forme di consulenza o di consultazione. Sono in altri termini forme di concertazione obbligatoria tra livelli differenti di poteri, incrementatesi soprattutto dopo la riforma del titolo V della Costituzione. Secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale, quanto meno nelle materie che incidono sulle competenze regionali, la mancanza di intesa potrebbe infatti sfociare nella dichiarazione di incostituzionalità della legge statale, ovvero nel conflitto di attribuzioni ai sensi dell’articolo 134 Cost. infine, va fatto un cenno all’attività di direzione che si situa gerarchicamente subito dopo l’attività di indirizzo, con cui spesso può essere confusa. Anche in questo caso, non vi è un vero e proprio contraddittorio tra chi dirige e chi esegue le direttive, ma poiché il rapporto tra questi soggetti è fiduciario, può esserci un momento di contraddittorio nel caso in cui il dirigente venga revocato o rimosso. Come insegna la giurisprudenza, infatti, il rapporto che si instaura ad esempio tra un ministro ed un ente pubblico dipendente da quel ministero è un rapporto di amministrazione basato sulla fiducia. Pertanto, in caso di revoca, valgono tutte le garanzie del contraddittorio a partire dalla comunicazione dell’avvio del procedimento di autotutela ai sensi degli artt. 7-8, anche se la Corte Costituzionale ha riconosciuto un alto tasso di discrezionalità nella decisione. A tal proposito, è nota la prassi per cui entro sei mesi dall’insediamento del nuovo Governo i dirigenti del precedente possono essere confermati o rimossi. (38) M.S. GiAnnini, istituzioni di diritto amministrativo, Milano, 1981. (39) e. PiCozzA, L’attività di indirizzo della pubblica amministrazione, Padova, 1988. (40) G. GHetti, La consulenza amministrativa, CeDAM, Padova, 1974; G. GHetti, il contraddittorio amministrativo, Padova, 1971. rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 4.1 Piani e programmi. Mentre per gli atti di indirizzo, coordinamento e direzione, come si è visto, non si pongono grandi problemi di esercizio del contraddittorio, non è così per pianificazioni e programmazioni. in questi procedimenti la regola del contraddittorio segue essenzialmente, come evidenziato dalla dottrina (41), l’effetto giuridico prodotto dal provvedimento terminale. Ad esempio, la normativa di diritto urbanistico, segue la distinzione tra piani di assetto e piani operativi, laddove la legge 1150/1942 distingue appunto tra piano generale e piano particolareggiato. Anche qui si può ipotizzare, in termini più moderni, una distinzione tra attività di regolazione (del territorio, dell’ambiente, del paesaggio) e un’attività conformativa e di controllo. ne consegue che il principio del contraddittorio nel procedimento è sempre rispettato, ma non sono applicabili gli articoli del capo iii della l. 241/1990 perché le leggi di settore hanno una propria disciplina. Soprattutto l’ampiezza del contraddittorio, si ispira al livello politico della decisione. nonostante gli sforzi di alcune leggi regionali, consistenti nel porre a disposizione della consultazione pubblica, il progetto di strumento urbanistico, ancora prima della sua formale adozione -in realtà la classe politica tende ancora ad ispirarsi al principio novecentesco della c.d. integrazione politica (42) cioè ritenendo tutt’oggi la classe politica in grado di risolvere i conflitti tra i vari interessi privati e sociali. tuttavia, come si vedrà nel paragrafo sugli accordi, il principio di sussidiarietà orizzontale e le diffuse forme di partenariato pubblico-privato, stanno rendendo recessivo questo modo unilaterale ed autoritativo di procedere, che difetta spesso di trasparenza e imparzialità. È nota in proposito la distinzione, in tema di piani regolatori, tra osservazioni e opposizioni. Poiché il piano regolatore generale è un procedimento complesso, fatto di una prima fase detta di adozione di competenza comunale, e di una seconda fase, detta di approvazione di competenza regionale, il privato può presentare osservazioni nei confronti del piano adottato, cui l’amministrazione ha il dovere di rispondere sia pure sinteticamente. Sebbene la giurisprudenza ritenga che di per sé la mancanza di una risposta ad una singola osservazione non costituisca né violazione di legge né eccesso di potere, tuttavia ne tiene in qualche modo conto, soprattutto se un’area fabbricabile perde per la prima volta il carattere di edificabilità. in altri termini la giurisprudenza amministrativa, molto opportunamente, segue il metodo della interpretazione adeguata al caso concreto, inaugurato dalla giurisprudenza costituzionale già da molto tempo. Per quanto riguarda, invece, i piani esecutivi, il privato può opporsi alle (41) e. PiCozzA, il piano regolatore urbanistico, CeDAM, Padova, 1983. (42) V. già r. SMenD, Dottrina della costituzione, Milano. Contributi Di DottrinA prescrizioni contenute nell’atto di adozione, dando vita ad una vera e propria forma di esercizio del contraddittorio procedimentale, per cui l’autorità comunale deve congruamente motivare l’eventuale rigetto (43). Come si ricorderà infatti, il ricorso in opposizione rappresenta una delle tre forme classiche di ricorso amministrativo (insieme a quello gerarchico e al ricorso gerarchico improprio). riassumendo, quindi, si può parlare di forme di partecipazione del privato alla decisione amministrativa, nei confronti della formazione del piano regolatore generale; e di forme di contraddittorio procedimentale nei confronti dei piani particolareggiati. È bene precisare che, in base alle pertinenti disposizioni del d.P.r. 327/2001 (“testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità”), può effettivamente capitare che ci sia una pluralità di procedimenti concomitanti, quali l’approvazione di un progetto di opera pubblica con effetto di variante al piano regolatore. in questo caso poiché l’effetto giuridico è la creazione di un vincolo finalizzato all’esproprio, l’esercizio del contraddittorio sarà disciplinato proprio dalla legge sull’espropriazione per pubblica utilità. Questi principi generali valgono per tutte le pianificazioni incidenti sul territorio, quindi non solo per quelle urbanistiche, ma anche per i piani paesistici, per i piani relativi agli interventi per la protezione della natura etc. non rientrano invece, nell’eccezione di cui all’art. 13 l. 241/1990 le valutazioni ambientali (VAS, ViA, VinCA) né le autorizzazioni integrate ed uniche in materia ambientale (AiA, AuA, iPPC). in questi casi, infatti, secondo la logica del capo iii, vi è una pluralità di soggetti potenziali interessati, proprio come nei procedimenti sostanziali e cioè rispettivamente: i destinatari, i pregiudicati, gli intervenienti, comprese altre amministrazioni preposte alla tutela di altri interessi pubblici. Di conseguenza l’esercizio del diritto al contraddittorio procedimentale segue il corso normale (44). 4.2 Le programmazioni. Dal punto di vista giuridico lessicale, non è stata mai molto chiara la distinzione tra pianificazioni e programmazioni, perché spesso sono usate dalle leggi e anche dalla dottrina, nonché dalla giurisprudenza amministrativa in modo intercambiabile come, ad esempio, nel caso della pianificazione o programmazione territoriale ovvero ambientale. La manualistica del diritto amministrativo è più precisa perché li distingue (43) Si ricorda che le opposizioni vengono inquadrate nei c.d. ricorsi amministrativi insieme ai ricorsi gerarchici e ai ricorsi gerarchici impropri. (44) Piuttosto, si deve osservare come molta di questa materia sia di derivazione comunitaria ed internazionale; le convenzioni, in particolare, spesso contengono disposizioni molto specifiche che prevalgono su quelle della legge 241/1990. rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 in base agli effetti giuridici: per esempio nelle pianificazioni territoriali, l’effetto giuridico è di tipo imperativo e può spingersi a costituire e conformare situazioni giuridiche soggettive (45). Viceversa, le programmazioni economiche, specialmente quelle di sviluppo economico e sociale ovvero quelle economiche-finanziare non hanno normalmente un effetto così imperativo, ma piuttosto “condizionale”, nel senso che prevedono la possibilità di raggiungere dei risultati e prescrivono le misure per poterli monitorare, controllare, aggiornare, ed eventualmente modificare (46). un esempio emblematico di tali difficoltà è la spesa annuale sanitaria. in via generale, queste programmazioni sono previste dal d.lgs. 165/2001, infatti, tra gli atti fondamentali di indirizzo politico amministrativo degli organi di governo figurano proprio le definizioni degli obiettivi e dei programmi da attuare ed in particolare: a) le decisioni in materia di atti normativi e l’adozione dei relativi atti di b) indirizzo interpretativo e applicativo; c) la definizione di obiettivi, priorità, piani, programmi, e direttive generali amministrativi e la gestione; d) l’individuazione delle risorse umane, materiali, economico-finanziare da destinare a diverse finalità e la loro ripartizione tra gli uffici di livello dirigenziale generale; e) la definizione dei criteri generali in materia di ausili finanziari a terzi e di determinazioni di tariffe, canoni, e analoghi oneri a carico di terzi. Appare evidente che questi programmi appartengono alle c.d. norme di azione, cioè quelle dirette al funzionamento della pubblica amministrazione e all’attuazione delle politiche pubbliche nelle materie di propria competenza, quindi, non si può porre proprio il problema della tutela di un contraddittorio. Semmai, viene in gioco, il principio di leale collaborazione tra Stato, enti ed istituzioni, e quindi forme di partecipazione completamente diverse rispetto ad altri programmi di sviluppo ad impatto territoriale quali gli accordi di programma, la programmazione negoziata e gli stessi parchi territoriali. tuttavia, si deve porre particolare attenzione quando questi atti siano lesivi di situazioni giuridiche soggettive protette direttamente dal diritto comunitario come diritti soggettivi. infatti, il diritto comunitario non riconosce a questi effetti proprio tale distinzione (47). (45) e. PiCozzA, il piano regolatore urbanistico, CeDAM, Padova, 1983. (46) Vedi già u. PototSCHniG, i pubblici servizi, CeDAM, Padova, 1984. (47) e. PiCozzA, Diritto amministrativo e diritto comunitario, cit. in giurisprudenza Corte di Giustizia 5 marzo 1986 in cause Brasserie du pecheur e Factortame nn. 43 e 48. Contributi Di DottrinA 4.3 Gli atti amministrativi generali delle autorità amministrative indipendenti. Come è noto, le Autorità Amministrative indipendenti sono oggetto di un notevole dibattito in dottrina (48) in quanto non hanno una copertura costituzionale esplicita, anche se normalmente vengono fatte rientrare nel concetto di pubblica amministrazione e di ente pubblico di cui all’art. 97 Cost. (49). normalmente la distinzione adottata è in linea teorica tra Autorità di Garanzia, Autorità di regolazione (ad esempio della concorrenza) e Autorità di regolamentazione (ad esempio della energia elettrica). tuttavia la distinzione è solo di massima, sia perché anche Autorità di regolazione possono essere titolari di poteri conformativi oltre che sanzionatori, sia perché la giurisprudenza amministrativa tende ad applicare il c.d. rito abbreviato di cui all’articolo 119 del codice del processo amministrativo, anche ad Autorità di Vigilanza (come la banca d’italia) che non sono formalmente denominabili come Autorità Amministrative indipendenti. in effetti, la loro attività è molto vasta perché sono preposte alla regolazione o addirittura alla regolamentazione di interi settori di attività economica precedentemente di competenza dei ministeri pertinenti. in particolare, sono di competenza di queste autorità i c.d. servizi pubblici a rete, quali acqua, energia trasporti e comunicazioni elettroniche. il Consiglio di Stato ha ritenuto che non pochi procedimenti delle Autorità indipendenti rientrino nel campo di applicazione dell’art. 13 (50). tuttavia, occorre nettamente distinguere tra: provvedimenti generali, quali la fissazione di prezzi e tariffe (ad esempio prezzo dell’energia elettrica e del gas), procedimenti individuali, spesso di tipo monitorio o addirittura sanzionatorio. Solo per i primi vale l’esimente dell’art. 13, ma come e più che per i piani regolatori generali, è assicurata un’ampia forma di consultazione delle imprese e degli altri stakeholders prima dell’approvazione del regime tariffario o comunque del prezzo amministrato. Viceversa, tutti i procedimenti individuali debbono obbligatoriamente rispettare il diritto al contraddittorio procedimentale anche se la l. 241/1990 viene sul punto integrata o addirittura sostituita dagli specifici regolamenti sulle c.d. istruttorie di competenza di queste Autorità. emblematico è il caso delle istruttorie sulle possibili violazioni della concorrenza ai sensi della l. 287/1990 e delle pertinenti norme del tFue. (48) Sui termini di questo dibattito cfr. M. Cuniberti, autorità indipendenti e libertà costituzionali, Milano, 2007; G. PeriCu, Brevi riflessioni sul ruolo istituzionale delle autorità amministrative indipendenti, in Dir. amm., 1996, 1 ss.; di “rompicapo costituzionale” ha parlato e. CHeLi, L’innesto costituzionale delle autorità indipendenti: problemi e conseguenze, in www.astridonline.it. (49) Cons. Stato comm. spec., 29 maggio 1998, in Foro amm., 1999, 414 ss. (50) Vedi già Cons. Stato, Vi, n. 2003/2006, n. 2248/2006, n. 1409/2006, n. 7972/2006. rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 non vi è dubbio che in questo caso ci sia un pieno esercizio del contraddittorio procedimentale da parte delle imprese sottoposte ad istruttoria e, in alcuni casi, anche a proposito del procedimento di irrogazione della sanzione. 5. Dibattito pubblico. L’istituto del cd. dibattito pubblico, o débat publique, per richiamare l’esperienza francese, è al centro dei più significativi interventi di riforma che interessano l’ordinamento italiano. La legge delega 21 giugno 2022, n. 78 stabilisce che il Governo, nell’adozione della nuova disciplina dei contratti pubblici provveda “alla revisione e alla semplificazione della normativa primaria in materia di programmazione, localizzazione delle opere pubbliche e dibattito pubblico, al fine di rendere le relative scelte maggiormente rispondenti ai fabbisogni della comunità, nonché di rendere più celeri e meno conflittuali le procedure finalizzate al raggiungimento dell’intesa fra i diversi livelli territoriali coinvolti nelle scelte stesse” (art. 1, comma 2, lett. o, l. 21 giugno 2022, n. 78). La ratio perseguita è quella di rafforzare l’istituto del dibattito pubblico, nel senso dell’affinamento e della semplificazione della disciplina vigente (51). invero, il dibattito pubblico è stato introdotto con l’art. 22 del d.lgs. n. 50/2016 (52) come strumento per realizzare opere pubbliche trasparenti e con (51) A. SCoGnAMiGLio, il nuovo codice dei contratti pubblici: dibattito pubblico indietro tutta, in apertaContrada. riflessioni su società, diritto, economia. (52) Art. 22, d.lgs. n. 50/2016, “Trasparenza nella partecipazione di portatori di interessi e dibattito pubblico”: 1. Le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori pubblicano, nel proprio profilo del committente, i progetti di fattibilità relativi alle grandi opere infrastrutturali e di architettura di rilevanza sociale, aventi impatto sull’ambiente, sulle città e sull’assetto del territorio, nonché gli esiti della consultazione pubblica, comprensivi dei resoconti degli incontri e dei dibattiti con i portatori di interesse. i contributi e i resoconti sono pubblicati, con pari evidenza, unitamente ai documenti predisposti dal- l’amministrazione e relativi agli stessi lavori. 2. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, adottato entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente codice, su proposta del ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentito il ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e il ministro per i beni e le attività culturali, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, in relazione ai nuovi interventi avviati dopo la data di entrata in vigore del medesimo decreto, sono fissati i criteri per l’individuazione delle opere di cui al comma 1, distinte per tipologia e soglie dimensionali, per le quali è obbligatorio il ricorso alla procedura di dibattito pubblico, e sono altresì definiti le modalità di svolgimento e il termine di conclusione della medesima procedura. Con il medesimo decreto sono altresì stabilite le modalità di monitoraggio sull’applicazione dell’istituto del dibattito pubblico. a tal fine è istituita, senza oneri a carico della finanza pubblica, una commissione presso il ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con il compito di raccogliere e pubblicare informazioni sui dibattiti pubblici in corso di svolgimento o conclusi e di proporre raccomandazioni per lo svolgimento del dibattito pubblico sulla base dell’esperienza maturata. Per la partecipazione alle attività della commissione non sono dovuti compensi, gettoni, emolumenti, indennità o rimborsi di spese comunque denominati (disposizione modificata dal D.Lgs. 56/17 in vigore dal 20 maggio 2017). 3. L’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore proponente l’opera soggetta a dibattito pub Contributi Di DottrinA divise. Alla disciplina è stata data attuazione con il D.P.C.M. n. 76 del 24 agosto 2018, che ha definito dettagliatamente la procedura (53) e ha elencato le opere per le quali è obbligatoria (54). Vengono, poi, precisate le modalità di controllo sull’applicazione dell’istituto per il tramite di una Commissione da istituirsi presso il Ministero delle infrastrutture (55). A ciò si aggiunge l’art. 46 del d.l. n. 77/2021, convertito con l. 29 luglio 2021 n. 108, nel quale sono state elencate delle opere infrastrutturali di notevole interesse finanziate con il Pnrr obbligatoriamente assoggettate a dibattito pubblico. È necessario precisare che, al fine di rendere più spedite le procedure per la realizzazione di queste nuove opere, il legislatore ha derogato alla disciplina ordinaria, nell’ottica dello snellimento della procedura. A tal riguardo, l’art. 46, d.l. cit., stabilisce che il dibattito pubblico deve concludersi nel termine di 30 giorni dalla sua indizione e che tutti i termini previsti dal decreto attuativo n. 76/2018 sono dimidiati. Di seguito, la Commissione nazionale, ha adottato la raccomandazione n. 2 e le nuove linee guida, al fine di dettagliare le fasi del procedimento di dibattito pubblico “accelerato” per le opere di cui all’all. 4, d.l. cit. Su tale scia, ha scandito le varie fasi del procedimento, aggiornandolo nei tempi e nei passaggi. Da ultimo, è doveroso precisare che, all’art. 46, d.l. cit., è previsto che, in caso di inosservanza da parte della stazione appaltante dei termini di svolgimento del dibattito pubblico “accelerato”, la Commissione nazionale esercita, senza indugio, i necessari poteri sostitutivi. in tal modo, alla Commissione sono state attribuite delle compe blico indice e cura lo svolgimento della procedura esclusivamente sulla base delle modalità individuate dal decreto di cui al comma 2. 4. Gli esiti del dibattito pubblico e le osservazioni raccolte sono valutate in sede di predisposizione del progetto definitivo e sono discusse in sede di conferenza di servizi relativa all’opera sottoposta al dibattito pubblico. (53) Per opere di dimensioni comprese tra la soglia e i due terzi, il dibattito si indice su richiesta di soggetti altamente qualificati in senso istituzionale/rappresentativo: a) Presidenza del Consiglio dei ministri o Ministeri direttamente interessati alla realizzazione dell’opera; b) un Consiglio regionale o una Provincia o una Città metropolitana o un Comune capoluogo di provincia territorialmente interessati dall’intervento; c) uno o più consigli comunali o unioni di comuni territorialmente interessati dall’intervento, se complessivamente rappresentativi di almeno 100.000 abitanti; d) almeno 50.000 cittadini elettori nei territori in cui è previsto l’intervento; e) almeno un terzo dei cittadini elettori per gli interventi che interessano le isole con non più di 100.000 abitanti e per il territorio di comuni di montagna. il dibattito pubblico può avere una durata non superiore ai quattro mesi a partire dalla data di pubblicazione del dossier di progetto. Questo termine è prorogabile da chi ha indetto la procedura per ulteriori due mesi, su iniziativa del coordinatore e laddove sussistano ragioni di comprovata necessità. (54) Le categorie di opere sottoposte al dibattito pubblico sono esplicate nell’Allegato 1 del su indicato decreto attuativo. in particolare, si tratta di opere che superano determinate soglie dimensionali, per le quali il legislatore ha ritenuto che tale procedura debba essere obbligatoriamente avviata, stante l’impatto che le stesse hanno sul territorio sul quale verranno realizzate. Queste soglie sono diminuite del 50% se l’opera è inclusa, anche parzialmente, in beni del patrimonio naturale o culturale uneSCo o zone contigue uneSCo, parchi naturali nazionali o regionali, aree marine protette. (55) istituita con d.m. 627/2020. rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 tenze più pregnanti rispetto a quelle meramente organizzative e pertanto, ben si comprende come la stessa ha assunto un ruolo centrale nell’intera procedura, sia di tipo direttivo che di tipo regolatorio. in generale, il dibattito pubblico è una procedura partecipativa già prevista in altri ordinamenti, in particolare in quello francese, ove la loi 95-101 statuisce che tutti i grandi progetti infrastrutturali di interesse nazionale, prima di essere sottoposti a valutazione di impatto ambientale o inchiesta pubblica, devono formare oggetto di débat public; tale dibattito riguarda gli obiettivi e le caratteristiche principali dei progetti ed è organizzato dalla Commission National du Débat Public (CnDP). Sul modello francese, rappresenta quel modello di procedimento amministrativo che realizza un confronto tra il proponente l’opera ed i soggetti pubblici e privati ad essa interessati e coinvolti dai suoi effetti e che è finalizzato a far emergere eventuali più soddisfacenti soluzioni progettuali ed a disinnescare il conflitto potenzialmente implicito in qualsiasi intervento che abbia un impatto significativo sul territorio (56). in questo senso, dà piena attuazione al principio di democrazia partecipativa (57), permettendo agli interessati di esprimere “direttamente” la propria volontà, opinioni, aspettative. Ciò determina, tra l’altro, diversi vantaggi. il primo è la riduzione del contenzioso: risulta evidente come il dibattito pubblico dovrebbe consentire l’adozione di scelte condivise e partecipate, evitando il proliferare di contenziosi durante la fase di approvazione dei progetti. il secondo consiste nella riduzione dei costi e, soprattutto, dei tempi di realizzazione delle opere. Sotto il profilo soggettivo, il comma 1 dell’art. 22, nell’indicare i soggetti che possono (o devono ricorrere) alla procedura del dibattito pubblico, fa riferimento sia alle amministrazioni aggiudicatrici che agli enti aggiudicatori. Assume, poi, un ruolo di rilievo la figura del coordinatore, al quale è assegnata la progettazione e conduzione del dibattito pubblico e che deve svolgere le attività affidate con responsabilità e autonomia professionale. Lo stesso deve avere requisiti di attestata esperienza e competenza nella direzione di processi partecipativi e nella gestione ed esecuzione di attività di programmazione e pianificazione in materia infrastrutturale, urbanistica, territoriale e socioeconomica. L’imparzialità della figura è garantita dal fatto che lo stesso dev’essere esterno all’amministrazione aggiudicatrice e non dev’essere né residente, né domiciliato nel territorio in cui verrà realizzata l’opera. il coordinatore è individuato dal Ministro competente per materia tra i suoi dirigenti. (56) Definizione della Corte Cost. sent. 14 dicembre 2018/235. (57) Sulla democrazia partecipativa cfr. G. Di GASPAre, il dibattito pubblico tra democrazia rappresentativa e democrazia partecipativa, in amministrazione in cammino, 30 settembre 2017; in tema vedi anche u. ALLeGretti (a cura di), Democrazia partecipativa. Esperienze e prospettive in italia e in Europa, Firenze university Press, 2010. Contributi Di DottrinA Se, però, l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore è un Ministero, lo stesso è nominato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri tra dirigenti pubblici estranei al Ministero interessato. A questi soggetti è assegnata la stesura dei documenti che riguardano il dibattito. nel dettaglio, l’amministrazione aggiudicatrice deve redigere il dossier del progetto e il dossier conclusivo (fase di iniziativa e fase decisionale), mentre il coordinatore deve realizzare il documento di progetto e la relazione conclusiva, avendo cura di individuare i temi del dibattito, il calendario degli incontri, le modalità di partecipazione e la comunicazione al pubblico. Ai fini dell’instaurazione del contraddittorio, assumono notevole importanza gli adempimenti di pubblicità affidati al coordinatore, che attua il piano di comunicazione e informazione al pubblico ed è responsabile della pianificazione e degli aggiornamenti della pagina internet del dibattito pubblico. in particolare, l’avvio del dibattito va comunicato dall’amministrazione aggiudicatrice alla Commissione e alle amministrazioni territoriali interessate, ai fini della pubblicazione, da effettuarsi nel termine di sette giorni dalla richiesta, sul sito internet della Commissione e sui siti delle amministrazioni locali coinvolte dall’intervento. La partecipazione alla procedura è estesa, senza limiti, a tutti i “portatori di interesse” (ad es. comitati di cittadini), di modo che sia dato ascolto alle ragioni dei residenti di quei territori che dovrebbero ospitare opere potenzialmente lesive della salute, dell’ambiente e del paesaggio. L’impostazione appena descritta si pone in un rapporto di perfetta simmetria con quella di cui all’art. 7, e soprattutto, di cui all’art. 9 della legge 241/1990, nella parte in cui la legge generale sul procedimento non solo legittima all’intervento coloro i quali sono nella possibilità di subire un pregiudizio dal provvedimento conclusivo del procedimento in corso, ma anche i soggetti “nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti” (58). Certamente gli enti e gli altri soggetti ammessi al dibattito hanno il diritto di essere ascoltati e di esprimere opinioni, ma non hanno anche il potere né il diritto di decidere se e come realizzare l’opera. La decisione, in ogni caso spetta all’amministrazione proponente. Secondo quanto spiega il Codice, “gli esiti del dibattito pubblico e le osservazioni raccolte sono valutate in sede di predisposizione del progetto definitivo e sono discusse in sede di conferenza di servizi relativa all’opera sottoposta al dibattito pubblico”. Segue un obbligo di motivazione, forma (58) Come giustamente sottolinea G. CoLAVitti, il “dibattito pubblico” e la partecipazione degli interessi nella prospettiva costituzionale del giusto procedimento, in amministrazione in Cammino, del 9 aprile 2020, pag. 11, “La ratio della previsione appare ragionevolmente essere quella di consentire a tutti coloro che possono comunque subire delle conseguenze dal procedimento in corso, di “far presente” (rappresentare, appunto) la propria posizione rispetto alla decisione da assumere, o comunque addurre elementi utili ai fini della deliberazione dell’autorità decidente”. rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 lizzato nel decreto attuativo (art. 7, comma 1, lett. a, DPCM cit.), laddove nel dossier conclusivo redatto a cura dell’amministrazione saranno doverosamente esplicitate “le ragioni che hanno condotto a non accogliere eventuali proposte”. Come rilevato da attenta dottrina (59), un istituto, espressione diretta della democrazia partecipativa, dovrebbe rendere vincolanti i risultati del confronto. Se questa riflessione è assolutamente coerente con le finalità del dibattito pubblico, essa va comunque bilanciata con altre esigenze, specie quelle di buon andamento, efficacia, economicità e non aggravamento del procedimento amministrativo (ex art. 97 Cost. e art. 1 l. 241/90). 6. Procedimenti espropriativi. il caso dei procedimenti espropriativi (rectius ablatori) è particolarmente interessante perché in parte sono esclusi dal capo iii per la specificità delle norme contenute nel testo unico sull’espropriazione per pubblica utilità, in parte vengono integrati proprio dalle norme di cui alla l. 241 citata. il concetto generale risale ai provvedimenti amministrativi dichiarativi di c.d. individuazione del vincolo espropriativo, rappresentati dalla dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza contenuta spesso nell’approvazione di un progetto di opera pubblica. Dispone, infatti, l’art. 11 del d.P.r. 327/2001 ( “la partecipazione degli interessati”) che va sempre inviato l’avviso di inizio del procedimento, sia nel caso dell’adozione di una variante al piano regolatore per la realizzazione di una singola opera pubblica; sia nel caso in cui il vincolo preordinato all’esproprio sia richiesto dallo stesso interessato ovvero su iniziativa dell’amministrazione competente all’approvazione del progetto mediante conferenza di servizi, accordo di programma, intesa o anche altro atto di natura territoriale, che in base alla legislazione vigente, comporti la variante al piano urbanistico. Ai sensi dell’art. 11, comma 2, l’avviso di inizio del procedimento deve precisare dove e con quali modalità può essere consultato il piano progetto. Gli interessati possono formulare entro i successivi 30 giorni “osservazioni” che vengono valutate dall’autorità espropriante ai fini delle definitive determinazioni. È appena il caso di aggiungere che anche quando la partecipazione al procedimento presenti forme di contraddittorio c.d. “indebolito” l’interessato può sempre impugnare direttamente l’atto dichiarativo della pubblica utilità presso il competente t.a.r. Forme di contraddittorio sono previste anche per il procedimento provvisorio, che normalmente precede l’approvazione del progetto definitivo (vedi art. 16, comma 10) (60). Così pure forme di contraddittorio sono previste nel (59) Si veda a proposito A. SCoGnAMiGLio, il nuovo codice dei contratti pubblici: dibattito pubblico indietro tutta, in apertaContrada. riflessioni su società, diritto, economia. Contributi Di DottrinA l’ambito del procedimento provvisorio che normalmente precede il provvedimento espropriativo (c.d. occupazione d’urgenza). infatti, il proprietario e gli altri interessati hanno il diritto di presenziare alle operazioni di immissione in possesso del bene, di redazione dello stato di consistenza degli immobili da espropriare e così avviene anche in ordine alla notifica del decreto di esproprio; in ogni caso possono sempre presentarsi “osservazioni” (art. 23, comma 3) (61). in conclusione, non si può certamente affermare che nei procedimenti ablatori reali (occupazione, espropriazione imposizione di servitù etc.) sia assente un diritto all’esercizio del contraddittorio. Si tratta piuttosto di appurare quanta parte sia assoggettata a specifiche disposizioni in deroga all’applicazione del capo iii e quanta, invece, venga opportunatamente integrata dalle disposizioni del capo medesimo. 7. Procedimenti tributari. L’articolo 13, secondo comma della l. n. 241/90, esclude dall’ambito di applicazione del capo iii altresì i procedimenti tributari, precisando che per essi restano ferme le particolari norme che li regolano. La ratio della disposizione, come si chiariva in premessa, non è quella di esentare un gruppo di procedimenti amministrativi dall’esercizio del diritto al contraddittorio in termini assoluti, ma di sottrarli esclusivamente dal modulo partecipativo di cui agli artt. 7 e seguenti della l. n. 241/90. in ragione delle loro caratteristiche, il legislatore detta specifiche discipline atte a regolare le modalità di partecipazione degli interessati all’attività pubblica. Per quanto sia pacifico che l’imposizione tributaria sia manifestazione della potestà amministrativa, le peculiarità di questa attività -prima tra tutte la natura vincolata del potere esercitato (62) -non ammettono una estesa applicazione della legge generale del procedimento amministrativo. invero, la materia tributaria è retta da leggi speciali, che contengono una regolamentazione dettagliata e minuziosa, non sempre compatibile con la ratio garantistica della legge n. 241/1990 (63). Va detto, peraltro, che la giurisprudenza di Cassazione è incline ad am (60) testualmente: “il proprietario e ogni altro interessato possono formulare osservazioni al responsabile del procedimento, nel termine perentorio di trenta giorni dalla comunicazione o dalla pubblicazione dell’avviso”. (61) Di seguito il testo della norma “la notifica del decreto di esproprio può avere luogo contestualmente alla sua esecuzione. Qualora vi sia l’opposizione del proprietario o del possessore del bene, nel verbale si dà atto dell’opposizione e le operazioni di immissione in possesso possono essere differite di dieci giorni”. (62) Secondo L. Perrone, La disciplina del procedimento tributario nello Statuto del contribuente, in rass. trib., 2009, 569 ss. “L’assenza di discrezionalità giustificherebbe una netta differenziazione tra procedure tributarie e procedimento amministrativo, rendendo inapplicabili alla materia tributaria la l. n. 241/1990”. (63) Per approfondire G. MeLiS, manuale di diritto tributario, torino, 2022. rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 mettere l’applicabilità della l. 241/1990 alla materia tributaria ritenendo, in linea generale, che “i principi generali dell’attività amministrativa, stabiliti dalla l. 241/1990, si applicano, salva la specialità, anche per il procedimento amministrativo tributario in quanto sul piano normativo generale si deve tener presente che il procedimento amministrativo, anche quello tributario, è la forma della funzione e che il potere di adottare l’atto amministrativo finale è solo l’esercizio terminale di un potere che è stato frazionato, in conformità alle norme, ispirate alla natura delle cose, sul procedimento, e quindi sulla divisione del potere amministrativo, anche nel potere di iniziativa” (64). il procedimento tributario è normato dallo Statuto del Contribuente (legge n. 212/2000), le cui disposizioni, ai sensi dell’art. 1 della stessa legge, costituiscono attuazione degli artt. 3, 23, 53 e 97 della Costituzione ed assurgono a principi generali dell’ordinamento tributario. tuttavia, diversamente da quanto accade per il procedimento ammnistrativo, ove il contraddittorio è attentamente disciplinato, alcuna disposizione né dello Statuto del contribuente, né di altra legge dell’ordinamento tributario, sancisce, in via generale, il diritto del contribuente al contraddittorio amministrativo. Dunque, si pone il problema di individuare quali sono le “particolari norme” che regolano la partecipazione nel procedimento tributario. invero, lo Statuto del contribuente, pur senza contenere nessuna disposizione di carattere generale, ha introdotto nell’ordinamento alcuni importanti istituti partecipativi, in chiave difensiva, tra cui l’obbligo degli uffici, a pena di nullità dell’iscrizione a ruolo, a seguito di liquidazione della dichiarazione, di invitare il contribuente a fornire chiarimenti o documenti prima di procedere all’iscrizione stessa (art. 6, co. 5, l. n. 212/2000) ed il diritto del contribuente di presentare deduzioni difensive dopo la notifica del processo verbale di constatazione, deduzioni che l’ufficio deve valutare (anche se sembrerebbe che dalla inosservanza di questa prescrizione non possa derivare la nullità dell’atto di accertamento, poiché la norma non la prevede) prima di emettere l’atto di accertamento (art. 12, co. 7, l. n. 212/2000). Proprio su quest’ultima disposizione e sulla portata applicativa si è concentrato maggiormente il dibattito nazionale giurisprudenziale (65). Merito dello Statuto è anche l’aver espresso principi di carattere generale -come quello che riconosce il diritto del contribuente ad una piena informazione ed i principi di buona fede e di collaborazione tra contribuente ed amministrazione -decisivi anche al fine di garantire l’effettività della partecipazione e del contraddittorio attraverso gli specifici istituti previsti dal legislatore (66). (64) Cass. Civ., sez. V, 1236/2006. (65) V. FortunAto, il contraddittorio endoprocedimentale tributario tra diritto interno e diritto comunitario in riv. Cammino Diritto, iSSn 2532-9871, Fasc. 01/2017. Contributi Di DottrinA La mancanza di una disposizione di carattere generale sulla partecipazione del contribuente induce ad affermare che la stessa è consentita solo attraverso i singoli strumenti partecipativi previsti da disposizione fiscali di carattere specifico. il “giusto procedimento” in tutte le sue accezioni troverebbe pertanto espressione nell’ordinamento solo se e in quanto il legislatore abbia previsto specifici istituti diretti a garantire la piena tutela di tutte le parti coinvolte. tale conclusione non vale in ambito europeo, ove la giurisprudenza prima ed il legislatore poi, hanno cristallizzato il principio del contraddittorio endoprocedimentale anche nei riguardi dei procedimenti tributari. La parabola evolutiva del principio del contraddittorio ha il proprio abbrivio nella sentenza della CGue Sopropè del 2008. i giudici affermavano che il contraddittorio è un principio fondamentale del diritto dell’unione europea “che trova applicazione ogni qualvolta l’amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto lesivo. in forza di tale principio, i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la sua decisione. a tal fine essi devono beneficiare di un termine sufficiente” (67). Successivamente il principio del contraddittorio ha assunto una valenza sostanziale e non meramente formale, nel senso che “la decisione adottata in violazione del principio del rispetto dei diritti della difesa comporta l’annullamento della decisione soltanto quando senza tale violazione, il procedimento avrebbe potuto condurre ad un risultato differente” (CGue - Kamino) (68). La violazione degli obblighi sulla partecipazione del contribuente al procedimento tributario potrebbe comportare anche l’annullamento dell’avviso di accertamento purché il contribuente dimostri che il suo coinvolgimento nel procedimento tributario avrebbe potuto condurre ad un esito diverso. in conclusione, in ambito giurisprudenziale europeo, è certo che sussiste un obbligo dell’amministrazione finanziaria di consentire la partecipazione del contribuente al procedimento tributario. il diritto viene sostanzialmente ricondotto all’articolo 41 CDFue che delinea il principio del giusto procedimento, e nel farlo, prevede, oltre al diritto di accesso ad un determinato (66) Si veda ampiamente L. SALVini, Procedimento amministrativo (dir. trib.), in Diz. dir. pubbl. Cassese, 4531. (67) CGue, 18 dicembre 2008, n. C-349/07, Sopropé, in rass. Trib., 2009, 570, con nota di G. rAGuCCi, il contraddittorio come principio generale del diritto comunitario e in GT -riv. giur. trib., 2009, 210, con nota di A. MArCHeSeLLi, il diritto al contraddittorio nel procedimento amministrativo tributario è diritto fondamentale del diritto comunitario. (68) CGue, 3 luglio 2014, cause riunite C-129/13 e C-130/13, Kamino e Datema, in GT -riv. giur. trib., 2014, 838, con nota di r. iAiA, i confini di illegittimità del provvedimento lesivo del diritto europeo al contraddittorio preliminare. rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 fascicolo e a una decisione motivata, anche il diritto ad essere ascoltati prima dell’adozione di un provvedimento lesivo (69). L’obbligo di attivare il contraddittorio incombe sulle Amministrazioni finanziarie degli Stati membri limitatamente ai procedimenti relativi ai tributi armonizzati (ad es. iVA); laddove per i tributi nazionali (si pensi all’irPeF), restano ferme le diposizioni fiscali di diritto interno. Da ultimo la giurisprudenza di legittimità ha emesso il seguente principio di diritto: “differentemente dal diritto dell’Unione europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, la invalidità dell’atto. Ne consegue che, in tema di tributi “non armonizzati”, l’obbligo dell’amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi “armonizzati”, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto purché in giudizio il ricorrente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e di buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto” (70). Le Sezioni unite, dopo aver negato l’immanenza di un obbligo generalizzato di contraddittorio, e quindi la possibilità di considerare l’art. 12, comma 7 dello Statuto come fonte di esso, delineano una duplicità di regime giuridico: da un lato i procedimenti relativi a tributi armonizzati e dall’altro i procedimenti relativi a tributi non armonizzati. relativamente a questi vi sarà un obbligo di attivazione del contraddittorio endoprocedimentale ogni qualvolta ciò sia previsto dalla norma specifica, la quale, definisce altresì le conseguenze giuridiche, in termini di validità dell’atto, in caso di violazione dell’obbligo in questione. Pertanto, a tali procedimenti non si applicherà il diritto europeo (71). L’orientamento della Suprema Corte, per quanto ben argomentato, non può essere condiviso. in primis, come avvertito da attenta giurisprudenza (72), (69) CGue, 22 novembre 2012, n. C-277/11. (70) SS.uu., n. 24823, 9 dicembre 2015. (71) V. FortunAto, il contraddittorio endoprocedimentale tributario tra diritto interno e diritto comunitario in riv. Cammino Diritto, Fasc. 01/2017. Contributi Di DottrinA una distinzione tra tributi potrebbe essere fonte di irragionevoli discriminazioni in relazione alle tutele applicabili. in secundis, la soluzione prospettata finisce per svalutare le potenzialità dell’articolo 97 della Costituzione, norma dalla quale far discendere l’affermazione generalizzata del principio del contraddittorio endoprocedimentale (73). È estremamente significativa la recente pronuncia della Consulta, con la quale è stata dichiarata inammissibile la questione di legittimità costituzionale relativa all’art. 12, comma 7 della l. 212/2020, rispetto all’art. 3 della Costituzione. Ad avviso del giudice a quo, infatti, il sistema procedimentale tributario sarebbe caratterizzato da un’ingiustificata disparità di trattamento tra le verifiche precedute da accessi in loco di cui all’art. 12, comma 7 e le verifiche “a tavolino”, sottratte all’obbligo di un contraddittorio preventivo con il contribuente. Sebbene la Corte Costituzionale abbia messo ben evidenza la frammentarietà delle norme sul contraddittorio, segnala allo stesso tempo l’esistenza di un percorso evolutivo tale per cui l’attivazione del contraddittorio endoprocedimentale non costituisce più un’ipotesi residuale, ma aspira ad assurgere a principio generale, anche in ambito tributario. Pertanto, si esorta il Parlamento a generalizzare il principio del contraddittorio preventivo con il contribuente, espressione del principio costituzionale di “giusto procedimento”, criterio di orientamento non solo per l’interprete, ma prima ancora per il legislatore (74). 8. Procedimenti previdenziali. Anche gli enti previdenziali, in qualità di enti di diritto pubblico, agiscono in pieno regime di diritto amministrativo. naturale conseguenza di tale affermazione è l’applicazione della legge generale sul procedimento amministrativo. in proposito, l’inPS -con deliberazione n. 36 del 30 maggio 1991 -ha adottato il regolamento di attuazione della l. 241/1990, destinato a trovare applicazione in tutti i procedimenti amministrativi che prendono avvio d’ufficio (72) Ctr toscana, ordinanza 736/2016. È stata sollevata una questione di legittimità costituzionale dell’articolo 12, comma 7, dello statuto del contribuente rispetto agli articoli 3, 24, 53, 111, 117 della Costituzione, nella parte in cui si riconosce al contribuente il diritto a ricevere copia del processo verbale di constatazione, da cui decorrono 60 giorni per le controdeduzioni per le sole ipotesi di verifica in loco presso la sede in cui si svolge l’attività del contribuente. (73) Già Cons. di Stato, sez. V, 22 maggio 2001, n. 2823, “l’avviso d’avvio del procedimento amministrativo ex art. 7, 1° comma, L. 7 agosto 1990 n. 241, costituisce principio generale dell’ordinamento ed è strettamente connesso con i canoni costituzionali dell’imparzialità e del buon andamento dell’azione amministrativa, onde non tollera interpretazioni che ne limitino arbitrariamente l’applicazione generalizzata a tutti i procedimenti, anche vincolati, perché la partecipazione al procedimento ha la sua ragion d’essere pure quando i presupposti dell’atto da adottare, pur se stabiliti in modo preciso e puntuale dalla legge, richiedano comunque un accertamento, nel cui ambito si deve garantire il contraddittorio con il privato”. (74) Corte Cost., 21 marzo n. 47/2023. rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 o su istanza di parte finalizzati all’adozione di un provvedimento amministrativo. Le recenti modifiche apportate dal c.d. decreto semplificazioni (d.l. 76/2020 conv. in l. 120/2020) hanno imposto una modifica e/o integrazioni delle disposizioni regolamentari, specie in materia di termini di conclusione dei procedimenti amministrativi. in particolare, l’art. 5 è stato aggiornato alla luce del novellato art. 10-bis della legge n. 241/1990, che expressis verbis esclude dall’obbligo di tempestiva comunicazione all’istante dei motivi ostativi all’accoglimento della domanda le procedure concorsuali e i procedimenti in materia previdenziali e assistenziale, sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali. Le ragioni di una simile esclusione sono diverse (75): in primis, l’instaurazione di un contraddittorio per ciascun procedimento avviato su istanza di parte rischierebbe di paralizzare l’attività dell’ente, vista la rilevante mole di procedure in corso; in secundis, non meno rilevante è la natura (vincolata) del potere esercitata dagli enti previdenziale, che finirebbe, addirittura, per rendere inutile la disposizione in parola (76). 9. La tutela del contraddittorio negli accordi di cui all’art. 11. La problematica relativa all’interferenza della disciplina degli accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento è nata dall’inserzione del comma 1bis, sui c.d. accordi procedimentali, nel testo dell’art. 11 l. 241/1990, che prescrive: “al fine di favorire la conclusione degli accordi di cui al comma 1, il responsabile del procedimento può predisporre un calendario di incontri in cui invita, separatamente o contestualmente, il destinatario del provvedimento ed eventuali controinteressati” (77). il solo fatto che la norma citi testualmente il termine “controinteressati” fa rientrare, in un certo senso, la fattispecie quantomeno nei principi generali della legge sul procedimento; infatti, il campo di azione della norma è molto ampio, potendo riguardare sia provvedimenti attuativi di atti amministrativi generali, come le convenzioni di lottizzazione (78), sia provvedimenti edilizi, quali il permesso di costruire. Sembra, invece, meno frequente l’applicazione dell’istituto del contraddittorio ai c.d. accordi sostitutivi di provvedimento. in proposito, alcuni Autori (75) Le ragioni dell’esclusione non convincono del tutto la dottrina: A. zito, il procedimento amministrativo, in F.G. SCoCA (a cura di) Diritto amministrativo, torino, 2022, pag. 228; F. LA CAVA, La comunicazione preventiva dei motivi che ostano all’accoglimento di un’istanza di parte: un’anticipazione del contraddittorio alla fase precedente il provvedimento in chiave deflativa del contenzioso, in amministrazione in cammino, pag. 4. (76) CeruLLi ireLLi, osservazioni generali sulla legge di modifica della l. 241/1990, parte ii, p. 3, su www.giustamm.it. (77) Comma inserito dall’art. 3 quinquies, D.L. 12 maggio 1995, n. 163, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 luglio 1995, n. 273. (78) Cons. di Stato, sez. iV, n. 2355/2008. Contributi Di DottrinA hanno lucidamente rappresentato i rapporti tra le fattispecie consensuali di cui all’art. 11 e la partecipazione di cui al comma 1 della norma. infatti, osservano “come la stipulazione di entrambe le tipologie di accordi abbia luogo “in accoglimento di osservazioni e proposte presentate a norma dell’art. 10” (79). Del resto, non casualmente, il legislatore colloca gli accordi de quibus nel capo iii della legge 241/90 rubricato “partecipazione al procedimento amministrativo”. invero l’inclusione della disciplina degli accordi amministrativi nel capo della legge sul procedimento, dedicato alla partecipazione non può non subire un influsso di tale istituto: la partecipazione svolge, infatti, la funzione di mezzo di difesa del cittadino, ovvero in misura maggioritaria, di strumento di collaborazione del privato con la pubblica amministrazione, avente la finalità del migliore perseguimento dell’interesse pubblico (80). riassumendo quindi sembra di poter delineare nella ricostruzione della natura giuridica degli accordi integrativi e sostitutivi di procedimenti di cui all’art. 11 della l. 241/1990 ben tre istituti: a) L’istituto partecipativo in senso puro, cioè quello che si esprime in osservazioni e proposte (art. 11, comma 1) e che può riguardare una pluralità indeterminata di soggetti e che attiene agli apporti collaborativi; b) il contraddittorio c.d. interno tra soggetto che vuole concludere un accordo e la pubblica amministrazione competente, al quale si applicano in via analogica tutti gli istituti del capo iii; c) un contraddittorio c.d. esterno da parte dei soggetti controinteressati, ipotesi frequente quando viene messa a disposizione un bene pubblico scarso per cui non è possibile accontentare tutti portatori di interesse. Per completezza, si ricorda che l’art. 15 prevede che anche al di fuori delle ipotesi disciplinate all’art. 14, le amministrazioni pubbliche possano sempre concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune. Sembra che sia difficile, se non impossibile, applicare in questo caso l’istituto del contraddittorio. infatti, come insegna la giurisprudenza a proposito della loro natura giuridica “le amministrazioni pubbliche stipulanti partecipano all’accordo in posizione di equiordinazione, ma non già al fine di comporre un conflitto di interessi di carattere patrimoniale, bensì di coordinare i rispettivi ambiti di intervento su oggetti di interesse comune” (81). La diversità di posizione si riflette anche nella fase contenziosa, infatti, secondo i commentatori, “ne deriva che le controversie insorte nelle fasi di formazione, conclusione, ed esecuzione degli accordi, (79) È la chiosa contenuta nel Codice amministrativo commentato, diretto da CArinGeLLA, Milano, 2022, ad opera di LuiGi tArAntino, sub art.11. (80) Cfr. tArAntino, op. cit., nel testo, pag. 764 che cita D’AnGioLiLLo accordi amministrativi e programmazione negoziata nella prospettiva del potere discrezionale, napoli, 2009. (81) Così Cons. Stato, sez. V, n. 3145/2014; Cons. Stato, sez. Vi, n. 3202/2012, Cons. Stato, sez. V, n. 4952/2008. rASSeGnA AVVoCAturA DeLLo StAto -n. 4/2022 quand’anche in presenza di un accertamento dell’adempimento contrattuale, sono devolute alla giurisdizione esclusiva ex art. 133, comma, 1 lettera a), n. 2 del d.lgs. 104/2010 (82). 10. Collegamenti dell’art. 13 col diritto di accesso di cui all’art. 22. L’art. 24 della legge sul procedimento amministrativo (“esclusione dal diritto di accesso”) esonera dal diritto di accesso ben tre categorie di procedimenti che sono collegati all’art. 13: lett. b) procedimenti tributari, per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano (interpello); lett. c) attività della pubblica amministrazione diretta all’emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione, di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione (83). tuttavia, il recente inserimento dell’istituto del dibattito pubblico nell’ambito delle misure di attuazione del Pnrr e l’art. 40 della seconda bozza del nuovo codice dei contratti potrebbero aprire a forme di informazione collettiva anche telematica, quale presupposto necessario ed indispensabile del dibattito stesso; lett. d) procedimenti selettivi nei confronti di documenti amministrativi contenenti informazioni di carattere psico-attitudinale relativi a terzi. Questa norma si collega indirettamente alla disciplina del d.lgs. 119/1993, in materia di cambiamento delle generalità per i collaboratori di giustizia e più in generale con le garanzie offerte dalla disciplina della privacy. A parte si colloca il divieto di accesso per il segreto (lett. a), istituto che per se stesso esclude la possibilità di contraddittorio. tuttavia, “la giurisprudenza non ritiene che la limitazione all’esercizio del diritto di accesso, quale facoltà della partecipazione, nei procedimenti elencati all’art. 13 debba automaticamente estendersi all’accesso previsto dell’art. 24, essendo quest’ultimo preordinato ad una finalità di difesa giurisdizionale dei propri interessi” (84). 11. Conclusioni generali. Alla fine di questa necessariamente breve analisi, pare di poter affermare con ragionevole fondamento che comunque tutte le fattispecie sopra considerate debbano rispettare i principi generali contenuti nell’articolo 1 della legge generale sul procedimento amministrativo, cioè trasparenza, pubblicità, imparzialità, proporzionalità, collaborazione e buona fede (c.d. affidamento), a maggior ragione se si considera che, a parere di illustre dottrina e consolidata giurisprudenza, essi non sono altro che un irrobustimento delle garanzie già consacrate nella Carta Costituzionale (85). non solo, anche i principi generali (82) Così Cass., SS.uu., n. 5923/2011. (83) Si rimanda ai paragrafi che precedono. (84) Così M.C. roMAno, cit., pp. 436 ss. Per la giurisprudenza si veda Cons. Stato, sez. iV, 28 marzo 2012, n. 1816 in Foro amm.; Cons. Stato, sez. V, 5 febbraio 2007, n. 453 in www.giustiziaamministrativa. it. Contributi Di DottrinA o particolari imposti dal diritto europeo, sia a livello generale del diritto originario (tue, tFue, CeDu) sia a livello di diritto derivato (convenzioni, regolamenti, direttive, decisioni). non è un caso che nel diritto vivente, rappresentato dalla giurisprudenza soprattutto amministrativa, tali atti generali vengono annullati proprio in quanto lesivi dei suddetti principi generali a prescindere da vizi formali quale l’eventuale difetto o insufficienza della motivazione. in altri termini, il controllo sulla legittimità di atti e provvedimenti (articolo 29 del c.p.a.) tende a trasformarsi in un controllo sulla legalità sostanziale; e così l’oggetto del giudizio amministrativo, da verifica della legittimità del potere esercitato, all’accertamento del rapporto. Proprio ai fini di tale accertamento si deve concludere che il rispetto del principio del contradditorio -nella fase di gestione del procedimento amministrativo -gioca un ruolo fondamentale anche a proposito delle fattispecie di cui all’articolo 13 della legge 241/90. in definitiva e prendendo posizione sul quesito formulato in premessa (il principio del contraddittorio amministrativo trova applicazione indiscriminatamente in qualsiasi tipo di procedimento pubblico ovvero in taluni procedimenti subisce delle eccezioni?), si sostiene che il contraddittorio, quale principio di rango costituzionale, non soffre delle vere e proprie deroghe, quanto piuttosto degli adeguamenti dettati dalla natura del potere esercitato, della funzione svolta e, dunque del tipo di procedimento in esame, secondo il principio di differenziazione. una diversa interpretazione appare contraria ai principi di democrazia partecipativa (artt. 1-3 Cost.), e di rispetto delle situazioni giuridiche soggettive (artt. 24-113 Cost.). (85) S. CASSeSe, Passato presente e futuro della legge sul procedimento amministrativo, in Nuova rass., 1994, p. 2401, secondo cui “la legge sul procedimento non è altro che una parte della Costituzione”. Allo stesso modo, G. MorbiDeLLi, Note sulla riserva di procedimento amministrativo, in Studi in memoria di Franco Piga, Milano, 1992. in giurisprudenza, si veda Cons. Stato, Ad. Gen., parere 19 febbraio 1987, n. 7. (*) COMUNICATO DELL’AVVOCATO GENERALE Lascia oggi il servizio, dopo quarantadue anni di significativa presenza, l’Avv. Antonio Valicenti. Al Collega e Amico che ha onorato l’Istituto con la Sua professionalità, la Sua dedizione alla cura degli interessi del Paese, vanno i saluti e gli auguri più affettuosi miei e di tutti gli Avvocati e Procuratori dello Stato e del Personale dell’Avvocatura. Gabriella Palmieri Sandulli (*) E-mail Segreteria Particolare, mercoledì 9 agosto 2023. (*) COMUNICATO DELL’AVVOCATO GENERALE Oggi lascia il servizio, dopo quarantuno anni di significativa presenza, l’Avv. Gabriella Onano, dell’Avvocatura Distrettuale di Firenze. Alla carissima Collega e Amica che ha onorato l’Istituto con la Sua professionalità, la Sua dedizione alla cura degli interessi del Paese, vanno i saluti e gli auguri più affettuosi miei e di tutti gli Avvocati e Procuratori dello Stato e del Personale dell’Avvocatura. Gabriella Palmieri Sandulli (*) E-mail Segreteria Particolare, giovedì 31 agosto 2023. Da: Nunziata Vincenzo Inviato: Venerdì, Giugno 9, 2023 11:32:28 AM A: Avvocati_tutti; Amministrativi_tutti Oggetto: saluto « Carissimi, in relazione a sopraggiunti impegni lavorativi esterni, ho rassegnato le mie dimissioni dall’Istituto. Si è trattato di una decisione difficile e sofferta; sono entrato, oltre quaranta anni fa, in quella che ho sempre considerato la mia “casa”, Una Istituzione apprezzata all’esterno in ogni Sede, che credo meriti il nostro senso di appartenenza e contribuisca a far crescere professionalmente tutti noi. Rivolgo un saluto particolare all’Avvocato Generale, all’Avvocato Generale Aggiunto, al Segretario Generale, ai tanti Colleghi con i quali ho condiviso il lavoro in questi anni. Un saluto ed un ringraziamento a tutto il personale amministrativo, componente insostituibile del funzionamento dell’Istituto. A tutti un sincero abbraccio, augurandomi di poterlo fare di persona nei prossimi giorni » Da: Palmieri Gabriella Inviato: venerdì 9 giugno 2023 19:51 A: Nunziata Vincenzo; Avvocati_tutti; Amministrativi_tutti Oggetto: saluto « Carissimo Vincenzo, abbiamo condiviso il percorso universitario e poi quello dei concorsi fatti e superati insieme. Ho sempre apprezzato le tue non comuni doti intellettuali, di preparazione giuridica e il tuo pragmatismo intelligente. Hai lasciato il segno in Avvocatura come in ogni incarico istituzionale anche esterno che hai ricoperto sempre nel migliore dei modi. Ti formulo gli auguri più affettuosi per il tuo nuovo prestigioso incarico e ti abbraccio forte» Da: Grasso Paolo Inviato: sabato 10 giugno 2023 18:16 A: Nunziata Vincenzo; Avvocati_tutti; Amministrativi_tutti Oggetto: saluto « Carissimo Vincenzo, mi unisco al coro unanime delle lodi che i Colleghi ti hanno sin qui giustamente tributato, per rinnovarti la grande stima ed il sincero affetto che provo nei tuoi confronti, non disgiunto dal dispiacere per la tua decisione di lasciare anzitempo l’Istituto, ancorché per svolgere un prestigioso incarico. Ho sempre ammirato la dedizione e l’impegno con cui hai onorato la tua brillante carriera di Avvocato dello Stato ed i numerosi ed importanti incarichi esterni, costituendo un sicuro e generoso punto di riferimento per tutti. In Avvocatura mancheranno i tuoi saggi consigli e le tue acute intuizioni, il tuo sapere giuridico e la tua divertente ironia. Mi rincuora ad ogni modo la certezza che avremo modo di proseguire in altri contesti le nostre frequentazioni e che manterrai quella preziosa disponibilità e quella apprezzata attenzione che hai sempre dimostrato. In bocca al lupo per il tuo nuovo percorso professionale, che saprai svolgere con meritato successo e che ti auguro ricco di ogni soddisfazione. Un abbraccio affettuoso» Finito di stampare nel mese di ottobre 2023 Stabilimenti Tipografici Carlo Colombo S.p.A. Vicolo della Guardiola n. 22 - 00186 Roma