ANNO LXXV - N. 1 GENNAIO - MARZO 2023 RASSEGNA AV V O C AT U R A DELLO STATO PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO COMITATO SCIENTIfICO: Presidente: Michele Dipace. Componenti: Franco Coppi -Natalino Irti -Eugenio Picozza - Franco Gaetano Scoca. DIRETTORE RESPONSABILE: Giuseppe Fiengo - CONDIRETTORI: Maurizio Borgo, Stefano Varone. COMITATO DI REDAZIONE: Giacomo Aiello -Lorenzo D’Ascia -Gianni De Bellis -Wally Ferrante -Sergio Fiorentino -Paolo Gentili -Maria Vittoria Lumetti -Francesco Meloncelli -Marina Russo. CORRISPONDENTI DELLE AVVOCATURE DISTRETTUALI: Andrea Michele Caridi -Stefano Maria Cerillo Pierfrancesco La Spina -Marco Meloni -Maria Assunta Mercati -Alfonso Mezzotero -Riccardo Montagnoli -Domenico Mutino -Nicola Parri -Antonino Ripepi -Piero Vitullo. HANNO COLLABORATO INOLTRE AL PRESENTE fASCICOLO: Enrico De Giovanni, Davide Di Giorgio, Federico D’Orazio, Emanule Feola, Andrea Ferri, Michele Gerardo, Alberto Giovannini, Giovanni Grasso, Domenico Maimone, Gaetana Natale, Nicoletta Ortu, Gabriella Palmieri Sandulli, Carlo Maria Pisana, Valeria Romano, Luigi Simeoli, Antonio Trimboli, Stefano Lorenzo Vitale. E-mail Giuseppe fiengo rassegna@avvocaturastato.it maurizio.borgo@avvocaturastato.it stefanovarone@avvocaturastato.it ABBONAMENTO ANNUO ..............................................................................€ 40,00 UN NUMERO .............................................................................................. € 12,00 Per abbonamenti ed acquisti inviare copia della quietanza di versamento di bonifico bancario o postale a favore della Tesoreria dello Stato specificando codice IBAN: IT 42Q 01000 03245 348 0 10 2368 05, causale di versamento, indirizzo ove effettuare la spedizione, codice fiscale del versante. I destinatari della rivista sono pregati di comunicare eventuali variazioni di indirizzo AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO RASSEGNA -Via dei Portoghesi, 12, 00186 Roma E-mail: rassegna@avvocaturastato.it - Sito www.avvocaturastato.it Stampato in Italia - Printed in Italy Autorizzazione Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 i n d i c e -s o m m a r i o Tragedia del Vajont. A ricordo della figura dell’avvocato dello Stato Vincenzo Camerini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . A ricordo dell’Avv. Americo Rallo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . dell’Avv. Giuseppe Massimo Dell’Aira . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . TEMI ISTITUZIONALI Intervento dell’Avvocato Generale dello Stato in occasione della cerimonia di inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2024 . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 1 Nuovo Regolamento recante norme per l’organizzazione e il funzionamento degli uffici dell’Avvocatura dello Stato, D.P.C.M. 29 novembre 2023 n. 210 (G.U. n. 301 del 28 dicembre 2023) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 4 CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE Carlo Maria Pisana, Le “clausole di esclusiva” nella decisione della Corte di Giustizia dell’Unione, sentenza 19 gennaio 2023 in causa C-680/20 (Unilever vs AGCM) e altre situazioni giuridiche “escludenti” nella giurisprudenza della Corte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 17 CONTENZIOSO NAZIONALE Antonino Ripepi, Giovanni Grasso, La fisionomia attuale della recidiva, nel prisma della recente giurisprudenza di legittimità. Disamina della sentenza delle Sezioni Unite del 25 luglio 2023 n. 32318 . . . . . . . . . . . . ›› 37 Antonio Trimboli, Costituzione di parte civile dopo la riforma Cartabia: brevi considerazioni a caldo sulla sentenza delle Sezioni Unite del 21 settembre 2023 n. 38481 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 63 I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO Enrico De Giovanni, Rimborso spese legali sostenute dal pubblico dipendente ai sensi dell’art. 18 d.l. n. 67/1997, conv. l. n. 135/97. Corretta definizione degli ambiti applicativi della disposizione . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 83 Luigi Simeoli, Davide Di Giorgio, In tema di tutela ambientale dell’ecosistema marino e di quello lagunare. Ambito di applicazione dell’art. 109, d.lgs. 152/2006 (T.U.A.), del D.M. 173/2016 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 86 Domenico Maimone, Sui requisiti per il riconoscimento delle “Fondazioni di partecipazione” tra i soggetti collettivi di cui all’art. 13 della legge 349/1986 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 95 Valeria Romano, Cessione pro soluto e in blocco di crediti derivanti da operazioni di finanziamento rimborsati mediante cessione del quinto dello stipendio; cessione effettuata nel contesto di una operazione di c.d. cartolarizzazione ai sensi degli artt. 1 e 4 della L. 30 aprile 1999 n. 130, dell’art. 58 del D.Lgs. n. 385 del 1° settembre 1993 (il “Testo Unico Bancario”) ›› 104 Emanuele feola, Convenzione-quadro stipulata dalla Consip S.p.A. per la fornitura di carburante mediante “buoni acquisto”. Possibilità per le Amministrazioni dello Stato di avviare una procedura autonoma di scelta del contraente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 113 Stefano Lorenzo Vitale, Determinazione del valore di lite in caso di ricorso avverso un avviso di accertamento contenente il contestuale provvedimento di irrogazione della sanzione ex art. 17 comma 1 D.lgs. n. 472/1997 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 119 LEGISLAZIONE ED ATTUALITà Alberto Giovannini, Il partenariato pubblico-privato nel nuovo codice dei contratti pubblici. Prime impressioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 123 Gaetana Natale, Artificial Intelligence and privacy rights . . . . . . . . . . . . ›› 140 Gaetana Natale, The fundamental rights of the person in the digital horizon. Law and technology: a possible combination? . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 151 Antonino Ripepi, Amministrare per processi. Il PNRR, il PIAO e il Business Process Reengineering nelle Pubbliche Amministrazioni: un’occasione da non perdere. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 160 CONTRIBUTI DI DOTTRINA Gerardo Michele, Efficienza del processo e strumenti alternativi di risoluzione delle controversie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 173 Gaetana Natale, federico D’Orazio, La responsabilità medica alla prova dell’IA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 191 Nicoletta Ortu, La stabile messa a libro paga dell’agente pubblico e il contrastato rapporto tra corruzione per l’esercizio della funzione e corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 213 Andrea ferri, Rapporti tra procedimento penale e procedimento disciplinare: un excursus giurisprudenziale sul lavoro privato e quello alle dipendenze di pubbliche amministrazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 236 Comunicato dell’Avvocato Generale, Avv. Giuseppina Buongiorno. . . . Comunicato dell’Avvocato Generale, Avv. Stefano Vivacqua . . . . . . . . . Comunicato dell’Avvocato Generale, Avv. Giovanna Maria Cuccia Russo Comunicato dell’Avvocato Generale, Avv. Ines Sisto Monterisi. . . . . . . . . Comunicato dell’Avvocato Generale, Avv. Filippo Patella . . . . . . . . . . . . Tragedia del Vajont. A ricordo della figura dell’avvocato dello Stato Vincenzo Camerini Il 9 ottobre 2023 il Presidente Sergio Mattarella nei luogi del disatro del Vajont ha ricordato la tragedia umana accaduta alle 10,30 della sera del 9 ottobre 1963. Paesi, comunità, vite distrutti. 1910 morti. Il processo si tenne a L’Aquila, a ben 550 chilometri dal luogo del disastro, per legitima suspicione a motivo dei problemi di ordine pubblico, iniziò il 25 novembre 1968 e si concluse la sera del 17 dicembre 1969. Lo Stato era rappresentato dall’Avvocatura distrettuale di L’Aquila nella persona dell’avvocato dello Stato Vincenzo Camerini, persona di grande professionalità e di vasta cultura unitamente a raffinata educazione e grande umiltà, che rappresentò lo Stato anche nelle fasi del processo di appello, dal 20 luglio 1970 al 3 ottobre 1970. Dal 15 marzo al 25 marzo 1971 a Roma si svolse il processo di Cassazione, fu sempre incaricato l’avvocato dello Stato Vincenzo Camerini che si studiò 25mila pagine, contenute in 256 faldoni. Dal 18 maggio 2023 l’“Archivio Processuale del Distrastro della Diga del Vajont” è iscritto nel Registro Internazionale del Programma Unesco Memory of the World, per la tutela e la valorizzazione del patrimonio archivistico più importante del mondo. Ricordo a cura di Sigilfredo Riga, Funzionario dell’Avvocatura distrettuale dello Stato di L’Aquila. A ricordo dell’ Avv. Americo Rallo Con profondo dispiacere, comunico che è venuto a mancare l’Avvocato dello Stato Americo Rallo (*) Il Segretario Generale Avv. Maurizio Greco (*) E-mail Segreteria Generale, martedì 14 novembre 2023 17:26 A ricordo dell’ Avv. Giuseppe Massimo Dell’Aira Con profondo dispiacere, comunico che è venuto a mancare l’Avv. Giuseppe Massimo Dell’Aira, Avvocato Generale Onorario (*) Il Segretario Generale Avv. Maurizio Greco (*) E-mail Segreteria Generale, domenica 21 gennaio 2024 15:43 TEMIISTITUZIONALI CERIMONIA DI INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO 2024 Intervento dell’Avvocato Generale dello Stato Avv. Gabriella Palmieri Sandulli Signor Presidente della Repubblica, Autorità, Signora Prima Presidente della Corte di cassazione, Signor Procuratore Generale, Signore e Signori prendo la parola in questa solenne Cerimonia per porgere il saluto del- l’Istituto che ho l’alto onore e il privilegio di dirigere. 2. Nella Sua approfondita e ampia Relazione la Prima Presidente ha riferito in modo analitico e dettagliato i risultati raggiunti dalla Suprema Corte anche nell’anno 2023, frutto, ancora una volta, del grandissimo impegno profuso dai Magistrati e da tutto il Personale amministrativo, ai quali va il più vivo ringraziamento. Nel 2023 è proseguita la collaborazione dell’Avvocatura dello Stato con la Corte di cassazione sia per lo svolgimento di udienze tematiche, sia per l’individuazione di significative questioni da sottoporre alle Sezioni Unite al fine di determinare un indirizzo univoco necessario per la riduzione del contenzioso pendente anche dinanzi ai giudici di merito, in effetti, avvenuto per i giudizi relativi alla protezione internazionale, alla espulsione di cittadini extracomunitari e alla cd. Legge Pinto. 3. Proseguendo nella collaborazione istituzionale con la Procura Generale della Cassazione e il Consiglio Nazionale Forense, è stato sottoscritto, lo scorso 1° marzo 2023, il Protocollo d’intesa sul processo civile al dichiarato scopo di “manifestare la volontà comune di costruire insieme una prassi organizzativa e un’interpretazione condivisa”, un Testo Unico dei Protocolli. RASSeGNA AvvOCATURA DeLLO STATO -N. 1/2023 4. In linea con quanto già auspicato in occasione della Cerimonia dello scorso anno, a garanzia di una giustizia non solo celere, ma anche effettiva, nel Protocollo è stato previsto che l’utilizzo della decisione ai sensi dell’articolo 380-bis c.p.c. sia preceduto dalla formulazione di una proposta sufficientemente esaustiva per consentire al difensore una meditata valutazione sulla scelta processuale da compiere nell’interesse della parte rappresentata. 5. In tema di definizione celere e uniforme dei giudizi civili si segnalano, nel contenzioso che interessa l’Avvocatura dello Stato, le prime applicazioni anche dell’istituto del “rinvio pregiudiziale” previsto dall’articolo 363-bis c.p.c.; si tratta di uno strumento che può e deve essere implementato per la sua rilevante potenzialità in termini di deflazione del contenzioso e di indirizzo uniforme della giurisprudenza. 6. L’attività professionale dell’Avvocatura dello Stato si svolge non soltanto dinanzi alle Sezioni Civili, con il nutrito e rilevante contenzioso tributario, ma anche dinanzi alle Sezioni penali. Mi limito, per ragioni di brevità, a menzionare la significativa sentenza n. 43790/23, che, in accoglimento delle tesi sostenute dall’Avvocatura dello Stato, ha dettato, nell’ambito di un procedimento per reato di strage (art. 285 c.p.), importanti principi in tema di omessa notifica dell’avviso di udienza preliminare alle Amministrazioni dello Stato in quanto persone offese, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Organo di vertice che rappresenta lo Stato e il Ministero dell’Interno, tutore dell’ordine e della sicurezza pubblica. 7. L’anno appena trascorso ha segnato sia la compiuta digitalizzazione dell’attività giudiziaria in virtù del Decreto Legislativo n. 149/2022, sia l’obbligatorietà del processo telematico anche dinanzi alla Corte di cassazione. L’Avvocatura dello Stato ha contribuito in modo significativo al percorso di innovazione iniziato anni fa, fornendo, insieme al Consiglio Nazionale Forense, il proprio contributo sui tavoli tecnici; dichiarandosi disponibile per quelli che saranno attivati sui temi, indicati dal Procuratore Generale nella Sua Relazione, relativi all’intelligenza artificiale, alla giustizia predittiva e alle tecniche di machine learning, in Avvocatura già analizzati per ottimizzare la strategia processuale a partire dai dati, anche in chiave deflattiva del contenzioso. Il passaggio al regime di obbligatorietà ha, ovviamente, inciso sui dati relativi ai depositi telematici, che, innanzi alla Corte di cassazione, sono passati, per l’Avvocatura dello Stato, dai 3500 dell’anno 2022 ai quasi 13 mila dell’anno 2023, con un aumento, dunque, del 400 per cento. 8. Per rappresentare la complessa attività dell’Avvocatura dello Stato qualche dato statistico: nel 2023, i nuovi affari trattati sono stati 147.478 con TeMI ISTITUzIONALI un incremento, in generale, di circa il 13% rispetto al 2022, ritornando, dunque, ai livelli del 2019 precedenti alla pandemia. Per quanto riguarda gli esiti dei giudizi in cui è parte l’Avvocatura dello Stato in Cassazione si conferma ancora una volta una percentuale di successo nelle cause patrocinate nella media superiore al 65%. Tali dati sottolineano la gravosità del lavoro e l’impegno dell’Avvocatura dello Stato per assicurare l’ottimale svolgimento dei propri compiti istituzionali. 9. Da ultimo, dall’osservatorio privilegiato di Agente del Governo della Repubblica italiana, ricordo come sia efficacemente proseguito il dialogo tra la Corte di cassazione e la Corte di giustizia dell’Unione europea. Nel 2023 sono state proposte sei questioni di rinvio pregiudiziale in diversi ambiti, mandato d’arresto europeo, disciplina delle accise, diritti dei lavoratori, diritti dei consumatori, confermando l’importanza di tale strumento di cooperazione da giudice a giudice, che assume una funzione fondamentale per l’integrazione tra l’ordinamento interno e quello eurounitario nel rispetto delle tradizioni costituzionali nazionali e dei principi supremi che ne sono la base. 10. Concludo questo mio intervento confermando che l’Avvocatura dello Stato continuerà a profondere il massimo impegno per essere sempre all’altezza delle rilevanti funzioni attribuite e al servizio del Paese. Grazie per l’attenzione. Roma, 25 gennaio 2024 Palazzo di Giustizia, Aula Magna RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2023 NUOVO REGOLAMENTO RECANTE NORME PER L’ORGANIZZAZIONE E IL FUNZIONAMENTO DEGLI UFFICI DELL’AVVOCATURA DELLO STATO Si rappresenta che è stato pubblicato, sulla G.U. n. 301 del 28 dicembre 2023, il nuovo Regolamento (D.P.C.M. n. 210 del 29 novembre 2023, allegato alla presente) recante norme per l’organizzazione e il funzionamento degli uffici dell’Avvocatura dello Stato (*). Il Segretario Generale Avv. Maurizio Greco DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 29 novembre 2023, n. 210 Regolamento recante norme per l’organizzazione e il funzionamento degli uffici dell’Avvocatura dello Stato. (23G00218) (GU n. 301 del 28-12-2023) Vigente al: 12-1-2024 IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI Vista la legge 23 agosto 1988, n. 400, recante «Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri» e, in particolare, gli articoli 17 e 19, comma 1, lettera r); Visto il decreto-legge 22 aprile 2023, n. 44, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2023, n. 74, recante «Disposizioni urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle amministrazioni pubbliche» e, in particolare, l’articolo 1, commi 2 e 3; Visto il decreto-legge 11 novembre 2022, n. 173, convertito, con modificazioni, dalla legge 16 dicembre 2022, n. 204, recante «Disposizioni urgenti in materia di riordino delle attribuzioni dei Ministeri» e, in particolare, l’articolo 13; Visto il decreto-legge 29 settembre 2023, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 novembre 2023, n. 170, recante «Disposizioni urgenti in materia di proroga di termini normativi e versamenti fiscali» e, in particolare, l’articolo 14, comma 2; Visto il regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611, recante «Approvazione del T.U. delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull’ordinamento dell’Avvocatura dello Stato» e, in particolare, l’articolo 17; Visto il regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1612, recante «Approvazione del regolamento per la esecuzione del T.U. delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull’ordinamento dell’Avvocatura dello Stato»; Vista la legge 3 aprile 1979, n. 103, recante «Modifiche dell’ordinamento dell’Avvocatura dello Stato» anche con riferimento alle competenze del consiglio degli avvocati e procuratori dello Stato definite dall’articolo 23; Vista la legge 14 gennaio 1994, n. 20, recante «Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti» e, in particolare, l’articolo 3; Visto il decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 279, recante «Individuazione delle unità pre (*) E-mail Segretario Generale, venerdì 5 gennaio 2024 15:14. TEMI ISTITUzIONALI visionali di base del bilancio dello Stato, riordino del sistema di tesoreria unica e ristrutturazione del rendiconto generale dello Stato»; Visto il decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, recante «Riforma dell’organizzazione del Governo, a norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59» e, in particolare, l’articolo 4; Vista la legge 7 giugno 2000, n. 150, recante «Disciplina delle attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni»; Visto il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante «Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche»; Visto il decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, concernente «Codice in materia di protezione dei dati personali, recante disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento nazionale al regolamento (UE) n. 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE»; Visto il decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, recante «Codice dell’amministrazione digitale »; Visto il decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 158, recante «Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni»; Vista la legge 31 dicembre 2009, n. 196, recante «legge di contabilità e finanza pubblica»; Vista la legge 6 novembre 2012, n. 190, recante «Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione»; Visto il decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, recante «Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni»; Visto il decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2018, n. 132, recante «Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata» e, in particolare, l’articolo 15, comma 01; Vista la legge 30 dicembre 2018, n. 145, recante «Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021» e, in particolare, l’articolo 1, comma 318; Vista la legge 27 dicembre 2019, n. 160, recante «Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022» e, in particolare, l’articolo 1, commi 171 e 172; Visto il decreto-legge 31 dicembre 2020, n. 183, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2021, n. 21, recante «Disposizioni urgenti in materia di termini legislativi, di realizzazione di collegamenti digitali, di esecuzione della decisione (UE, EURATOM) 2020/2053 del Consiglio, del 14 dicembre 2020, nonché in materia di recesso del Regno Unito dal- l’Unione europea» e, in particolare, l’articolo 1-bis, comma 2; Visto il decreto del Presidente della Repubblica 29 ottobre 2021, n. 214, concernente «Regolamento recante norme per l’organizzazione e il funzionamento degli uffici dell’Avvocatura dello Stato»; Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 14 novembre 2005, recante «Ride RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2023 terminazione delle dotazioni organiche del personale amministrativo delle aree funzionali, delle posizioni economiche e dei profili professionali, con riferimento alle singole strutture, dell’Avvocatura generale dello Stato)», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 31 del 7 febbraio 2006; Considerata l’organizzazione proposta coerente con i compiti e le funzioni attribuite all’Avvocatura di Stato dalla normativa di settore vigente; Sentiti l’Organismo paritetico per l’Innovazione (OPI) e il Comitato Unico di garanzia per le pari opportunità e il benessere di chi lavora contro le discriminazioni (CUG); Sentito il Consiglio di amministrazione dell’Avvocatura dello Stato nella seduta del 13 ottobre 2023; Preso atto che sulla proposta di riorganizzazione, l’Amministrazione ha informato le Organizzazioni sindacali in data 5 ottobre 2023; Vista la deliberazione preliminare del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 23 ottobre 2023; Udito il parere del Consiglio di Stato, espresso dalla sezione consultiva per gli atti normativi nell’adunanza del 7 novembre 2023; Vista la deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 27 novembre 2023; Di concerto con i Ministri per la pubblica amministrazione e dell’economia e delle finanze; Adotta il seguente regolamento: Art. 1 Oggetto e ambito di applicazione 1. Le disposizioni del presente regolamento disciplinano l’organizzazione e il funzionamento degli uffici dell’Avvocatura dello Stato, nel rispetto delle previsioni del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611, della legge 3 aprile 1979, n. 103, e delle altre norme di legge che disciplinano la specifica materia. Art. 2 Criteri di organizzazione 1. Gli uffici amministrativi dell’Avvocatura dello Stato sono ordinati secondo i seguenti criteri: a) articolazione degli uffici per funzioni omogenee; b) collegamento e coordinamento delle attività degli uffici, nel rispetto del principio di collaborazione, anche attraverso la comunicazione interna ed esterna e l’interconnessione mediante sistemi informatici e statistici pubblici; c) trasparenza, attraverso apposita struttura per l’informazione ai cittadini e alle amministrazioni e, per ciascun procedimento, attribuzione a un unico ufficio della responsabilità complessiva dello stesso, nel rispetto della legge 7 agosto 1990, n. 241; d) armonizzazione degli orari di servizio e di apertura degli uffici con le esigenze di funzionamento degli uffici giurisdizionali e con gli orari delle amministrazioni pubbliche dei Paesi e delle istituzioni dell’Unione europea. Art. 3 L’Avvocato generale 1. L’Avvocato generale, fatta salva ogni altra attribuzione prevista da norme di legge o di regolamento, quale organo di governo dell’Istituto, esercita le funzioni di indirizzo e a tal fine assegna le risorse finanziarie al Segretario generale quale centro di responsabilità. 2. L’Avvocato generale dello Stato definisce gli obiettivi ed i programmi da attuare avvalendosi del Segretario generale e verifica la rispondenza dei risultati della gestione ammini TEMI ISTITUzIONALI strativa alle direttive generali impartite. A tal fine, anche sulla base delle proposte del Segretario generale, adotta ogni anno le direttive generali da seguire per l’azione amministrativa e per la gestione. 3. L’Avvocato generale è il titolare dell’informazione e della comunicazione istituzionale. 4. L’Avvocato generale in particolare: a) presiede il Consiglio di amministrazione; b) conferisce, con propri decreti, adottati su proposta del Segretario generale, in conformità a quanto previsto dalle norme vigenti, gli incarichi di direzione degli uffici di livello dirigenziale generale, di prima fascia, sottoscrivendo i relativi contratti; c) definisce l’organizzazione degli uffici di livello dirigenziale; d) nomina i componenti degli organi collegiali previsti dal presente regolamento e da altre norme, salvo che non sia diversamente stabilito; e) svolge le funzioni di direzione, di indirizzo e di controllo che gli sono attribuite dalle leggi e dai regolamenti; f) valuta la corrispondenza dei risultati dell’attività amministrativa ai propri atti di indirizzo; g) nomina con appositi decreti gli esperti a supporto della propria Attività di agente di governo a difesa dello Stato italiano dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo. 5. L’Avvocato generale si avvale nella propria attività, oltre che della collaborazione del Segretario generale, anche delle strutture di supporto di cui all’articolo 4 e può avvalersi della collaborazione di avvocati e procuratori dello Stato, fiduciariamente scelti. Art. 4 Strutture di supporto all’Avvocato generale 1. Le strutture di supporto all’Avvocato generale sono: a) il Servizio di segreteria; b) il Servizio studi e formazione professionale; c) il Servizio di comunicazione istituzionale; d) il Servizio del cerimoniale. 2. Il Servizio di segreteria è struttura di livello non dirigenziale ed è composta da personale individuato nell’ambito dei dipendenti di ruolo dell’Avvocatura o di altre amministrazioni in posizione di comando o distacco. Il Servizio svolge attività di supporto ai compiti dell’Avvocato generale e provvede al coordinamento degli impegni dello stesso; assiste, altresì, l’Avvocato generale negli organismi a cui partecipa e adempie, su suo mandato, a compiti specifici riguardanti l’attività e i rapporti istituzionali del medesimo. Al servizio può essere preposto un responsabile titolare di posizione organizzativa. 3. Il Servizio studi e formazione professionale è struttura di livello non dirigenziale ed è costituito da avvocati o procuratori dello Stato nominati dall’Avvocato generale e coordinati dall’Avvocato generale aggiunto o da un Vice Avvocato generale. L’incarico dei componenti dura tre anni ed è rinnovabile. 4. Il Servizio studi e formazione professionale coadiuva l’Avvocato generale nelle seguenti attività: a) predisposizione delle relazioni periodiche previste dall’articolo 15 del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611; b) elaborazione di studi e ricerche della normativa e della giurisprudenza rilevanti; c) rilevazione e analisi dell’attività parlamentare; d) elaborazione dei programmi di formazione e aggiornamento professionale degli avvocati e procuratori dello Stato. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2023 5. Il Servizio di comunicazione istituzionale è struttura di livello non dirigenziale che cura i rapporti con il sistema e gli organi di informazione nazionali e internazionali ed effettua il monitoraggio dell’informazione italiana ed estera e ne cura la rassegna, con particolare riferimento ai profili che attengono ai compiti istituzionali dell’Avvocatura. Il coordinatore del servizio è fiduciariamente scelto dall’Avvocato generale tra gli avvocati ovvero procuratori dello Stato e può svolgere anche il ruolo di portavoce dell’Avvocato generale, ove autorizzato da quest’ultimo, per la cura dei rapporti di carattere istituzionale con gli organi di informazione. L’incarico di coordinatore dura tre anni ed è rinnovabile. Il servizio può avvalersi di personale amministrativo individuato tra il personale in servizio ovvero, in mancanza di adeguata professionalità, di risorse esterne nel rispetto delle previsioni normative vigenti e in possesso di comprovata esperienza maturata sul campo delle comunicazioni istituzionali ovvero dell’editoria. 6. Il Servizio del cerimoniale è struttura di livello non dirigenziale che cura l’organizzazione e la gestione degli eventi di interesse dell’Avvocato generale. Il coordinatore del predetto servizio è fiduciariamente scelto dall’Avvocato generale tra gli avvocati e/o procuratori. Dura in carica tre anni ed è rinnovabile. Il servizio può avvalersi di personale amministrativo individuato tra il personale in servizio. Art. 5 Responsabile per la transizione digitale 1. Il Responsabile per la transizione digitale è nominato dall’Avvocato generale, sentito il Segretario generale, tra gli avvocati dello Stato dotati di specifiche competenze ed esperienze professionali allo svolgimento del predetto incarico. L’incarico dura fino a cinque anni ed è rinnovabile non più di una volta. 2. Il Responsabile per la transizione digitale cura i rapporti con le autorità e le amministrazioni che hanno competenze in ambito informatico, anche con riferimento ai processi giurisdizionali telematici, e definisce la strategia per l’assolvimento dei compiti di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, secondo le direttive dell’Avvocato generale, nell’ottica della transizione verso modalità operative digitali, in conformità alle linee di indirizzo per l’informatica nella pubblica amministrazione e, in generale, alle vigenti disposizioni in materia di informatizzazione della pubblica amministrazione. Per lo svolgimento dei suoi compiti il Responsabile per la transizione digitale si avvale della Direzione generale competente. Art. 6 Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza 1. Il Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (RPCT) è nominato dall’Avvocato generale, sentito il Segretario generale, di norma tra i Dirigenti di ruolo in servizio presso l’Avvocatura dello Stato in possesso di adeguata conoscenza dell’organizzazione e del funzionamento dell’amministrazione. 2. Il RPCT svolge i compiti stabiliti dall’articolo 1, comma 7, della legge 6 novembre 2012, n. 190. 3. Il RPCT per i suoi compiti si avvale del personale in servizio presso la Direzione generale del personale. Art. 7 Responsabile della protezione dei dati personali 1. Il Responsabile della protezione dei dati personali è nominato dall’Avvocato generale, sentito il Segretario generale, tra gli avvocati o i procuratori dello Stato dotati di specifiche TEMI ISTITUzIONALI competenze ed esperienze professionali in materia. L’incarico, non rinnovabile, dura fino a cinque anni. 2. Il Responsabile della protezione dei dati personali svolge i compiti stabiliti dal Regolamento (UE) n. 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, e dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196. Art. 8 Organismo indipendente di valutazione 1. L’Organismo indipendente di valutazione ha il compito di valutare il funzionamento complessivo del sistema della valutazione, della trasparenza e integrità dei controlli interni e di garantire la correttezza dei processi di misurazione e valutazione della performance individuale del personale amministrativo. L’organismo di valutazione opera, gratuitamente, in posizione di autonomia e risponde esclusivamente all’Avvocato generale dello Stato. 2. Per lo svolgimento dei propri compiti, l’organismo può accedere agli atti e ai documenti concernenti le attività dell’Avvocatura di interesse e può richiedere ai titolari degli Uffici dirigenziali di riferimento le informazioni necessarie. Sugli esiti delle proprie attività l’organismo riferisce secondo i criteri e le modalità normativamente previste. 3. L’organismo di valutazione è composto da un Vice Avvocato generale dello Stato, che lo presiede, e da due avvocati dello Stato, nominati dall’Avvocato generale, in possesso dei requisiti previsti dalla normativa vigente per l’espletamento dell’incarico. Art. 9 Segretario generale 1. Il Segretario generale, da cui dipendono gli uffici di livello dirigenziale generale, è il vertice dell’organizzazione amministrativa e fatta salva ogni altra attribuzione prevista da norme di legge o di regolamento, è titolare delle seguenti funzioni: a) collabora direttamente con l’Avvocato generale e propone a quest’ultimo, sentiti i dirigenti di prima fascia, le modifiche all’organizzazione degli Uffici dirigenziali non generali, nell’invarianza della dotazione organica, al fine di assicurare che il livello delle relative competenze amministrative sia costantemente adeguato agli obiettivi da perseguire e alle esigenze di semplificazione amministrativa, con riguardo anche all’evoluzione dell’ordinamento; b) cura l’attuazione degli indirizzi generali dell’azione amministrativa definiti dall’Avvocato generale anche attraverso l’emanazione di specifiche circolari; c) coordina e controlla la gestione delle risorse umane, finanziarie e strumentali di pertinenza dei dirigenti; d) adotta le iniziative necessarie al coordinamento fra le strutture del segretariato generale e fra queste e le avvocature distrettuali; e) sovrintende, avvalendosi dei competenti dirigenti di prima fascia, alla organizzazione, anche logistica, degli Uffici centrali e periferici dell’Avvocatura di Stato; f) conferisce, con propri decreti, sentiti i titolari degli uffici dirigenziali generali, gli incarichi di direzione degli uffici dirigenziali di seconda fascia e sottoscrive i relativi contratti; g) esercita il potere sostitutivo nei confronti del personale con qualifiche dirigenziali, nei casi di inerzia; h) sentiti i titolari degli uffici dirigenziali generali, determina i programmi e definisce le direttive per dare attuazione agli indirizzi dell’Avvocato generale definiti nella direttiva annuale; i) valuta la dirigenza di seconda fascia, nell’ambito delle proprie competenze, ai sensi delle norme vigenti in materia, sentiti i dirigenti di prima fascia e l’Avvocato distrettuale per i dirigenti preposti in sede distrettuale; RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2023 l) assicura il coordinamento e la vigilanza degli uffici amministrativi e di supporto all’attività istituzionale; m) nomina i referenti informatici presso gli uffici centrali e distrettuali; n) valuta la dirigenza di prima fascia nell’ambito delle proprie competenze, ai sensi delle norme vigenti in materia; o) svolge ogni altro compito attribuitogli da disposizioni di legge, da regolamenti e dai contratti collettivi di lavoro, 2. Fermo restando il disposto dell’articolo 6 del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1612, il Segretario generale, per lo svolgimento delle sue funzioni, può avvalersi della collaborazione di avvocati e procuratori dello Stato, addetti all’ufficio di segreteria generale, nominati dal- l’Avvocato generale su proposta del Segretario generale. 3. Sono poste alle dirette dipendenze del Segretario generale le seguenti strutture: a) la Segreteria generale e la Segreteria degli organi collegiali di cui all’articolo 10; b) l’ufficio di collaborazione professionale, archivio, servizio esterno e servizi ausiliari di cui all’articolo 11. 4. Il Segretariato generale costituisce centro di responsabilità amministrativa ai fini contabili. Art. 10 Segreteria generale e degli organi collegiali 1. Alle dirette dipendenze del Segretario generale opera la Segreteria generale, cui sono addette unità di personale della dotazione organica dell’Avvocatura generale che attendono agli adempimenti connessi alle competenze istituzionali del Segretariato. 2. Il personale della Segreteria generale opera anche quale Segreteria degli organi collegiali, cui sono addette unità di personale che curano gli adempimenti relativi al funzionamento del Comitato consultivo, del Consiglio degli avvocati e procuratori dello Stato e del Consiglio di amministrazione. Art. 11 Ufficio di Collaborazione professionale, archivio, servizio esterno e servizi ausiliari 1. L’Ufficio di collaborazione professionale, archivio, servizio esterno e servizi ausiliari è struttura di livello dirigenziale non generale che coadiuva il Segretario nelle seguenti attività: a) segreteria di avvocati e procuratori; b) redazione materiale di atti e lettere, espletamento delle attività telematiche di gestione e deposito di atti e documenti e di notificazione di atti e provvedimenti; c) adempimenti interni ed esterni in materia di: notificazione di atti e provvedimenti, depositi, ricerche e altri incombenti presso le cancellerie e segreterie delle autorità giudiziarie; acquisizione e lavorazione di sentenze o di altri provvedimenti decisori; agenda e scadenziere; d) gestione dei fondi spesa degli enti ed altri soggetti patrocinati e attività consequenziali e relativo rendiconto con il supporto degli uffici della Direzione generale per le risorse finanziarie; e) adempimenti connessi alle attività istituzionali di competenza dell’Agente del Governo a difesa dello Stato italiano dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo; f) gestione del protocollo in entrata e impianti: adempimenti e lavorazioni relativi ad atti notificati, corrispondenza in arrivo, impianto affari; g) gestione del protocollo in uscita: adempimenti e lavorazioni relativi alla corrispondenza in partenza; h) gestione dei servizi di carattere generale a supporto delle attività istituzionali, e in particolare, del servizio corrispondenza, del servizio automobilistico, del servizio cassa, del ser TEMI ISTITUzIONALI vizio di portineria e custodia, degli archivi, della telefonia, della fotoriproduzione e della stampa. 2. Nell’ambito dell’ufficio di cui al comma 1, il Segretario generale può conferire, nei limiti delle risorse a tal fine disponibili, incarichi di natura organizzativa o professionale. Art. 12 Uffici di livello dirigenziale 1. L’Avvocatura Generale è articolata in due uffici di livello dirigenziale generale, ciascuno dei quali costituente centro di costo, di seguito indicati: a) Direzione generale per le risorse umane, per la formazione e affari generali; b) Direzione generale per le risorse finanziarie, contratti e sistemi informativi. 2. Nell’ambito delle direzioni di cui al comma 1, sono individuati i restanti Uffici di livello dirigenziale non generale. 3. L’Avvocatura è altresì articolata in n. 25 Avvocature distrettuali di cui all’articolo 15 e nei corrispondenti uffici amministrativi unici distrettuali di livello dirigenziale non generale. Art. 13 Direzione generale per le risorse umane, per la formazione e affari generali 1. La Direzione generale per le risorse umane, per la formazione e affari generali svolge le funzioni e i compiti di spettanza dell’Avvocatura nei seguenti ambiti: a) attuazione delle politiche relative al personale dell’Avvocatura; b) raccolta e conservazione della normativa interna e degli atti relativi agli affari di Segreteria generale; c) relazioni con il pubblico, ai sensi dell’articolo 11 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165; d) programmazione e pianificazione strategica dell’attività amministrativa dell’Avvocatura dello Stato, anche mediante la predisposizione del piano della performance e la redazione della relazione annuale sulla performance e della direttiva annuale dell’Avvocato generale sull’azione amministrativa; e) misurazione della performance e dei risultati dell’attività amministrativa, anche in funzione di supporto dell’OIV; f) elaborazione e attuazione del piano integrato di attività e organizzazione del personale amministrativo in raccordo con gli indirizzi forniti dal Segretario generale; g) elaborazione e attuazione del piano di reclutamento del personale togato in raccordo con gli indirizzi forniti dall’Avvocato generale e dal Segretario generale; h) ricerca e sperimentazione delle innovazioni funzionali alle esigenze formative del personale dell’Avvocatura; i) amministrazione del personale togato e amministrativo; l) cura delle relazioni sindacali e contrattazione collettiva integrativa nazionale per il personale amministrativo dell’Avvocatura; m) coordinamento ed emanazione di indirizzi alle Avvocature distrettuali per l’applicazione dei contratti collettivi e la stipula di accordi decentrati per il personale amministrativo del- l’Avvocatura; n) attuazione dei programmi per la mobilità del personale; o) trattamento di quiescenza e previdenza relativo al personale togato, dirigenziale di livello generale e non generale dell’Avvocatura e al personale amministrativo dell’Avvocatura dello Stato; RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2023 p) gestione contabile delle competenze del personale togato e amministrativo; q) adozione di misure finalizzate a promuovere il benessere organizzativo del personale dell’Avvocatura e a fornire consulenza alle avvocature distrettuali per lo svolgimento di analoghe azioni con riferimento al contesto territoriale di competenza; r) supporto alla gestione del contenzioso concernente il personale dell’Avvocatura; s) supporto all’ufficio che si occupa dei procedimenti disciplinari relativi al personale amministrativo dell’Avvocatura; t) cura delle attività connesse ai procedimenti per responsabilità dirigenziale dei Dirigenti prevista dall’articolo 21, commi 1 e 1-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165; u) cura delle attività connesse ai procedimenti per responsabilità penale e amministrativo- contabile del personale dell’Avvocatura; v) supporto al Segretariato generale per la predisposizione di schemi di atti normativi, relazioni illustrative e relazioni tecnico-finanziarie agli atti normativi ed emendamenti, per quanto di competenza; z) attività di coordinamento e consulenza relativamente alla gestione delle strutture periferiche; aa) ricezione, protocollo e smistamento della corrispondenza di propria competenza. 2. La direzione di cui al comma 1 si compone di n. 3 uffici di livello dirigenziale non generale, così denominati: a) Ufficio I - personale amministrativo e trattamento economico; b) Ufficio II - personale togato e trattamento economico; c) Ufficio III - affari generali, formazione, performance. 3. L’individuazione degli Uffici di livello dirigenziale non generale e la definizione delle rispettive competenze è disciplinata con successivo atto dell’Avvocato generale ai sensi del- l’art. 16 del presente regolamento. Art. 14 Direzione generale per le risorse finanziarie, contratti e sistemi informativi 1. La Direzione generale per le risorse finanziarie, contratti e sistemi informativi, svolge le funzioni e i compiti di spettanza dell’Avvocatura nei seguenti ambiti: a) supporto alla definizione della politica finanziaria dell’Avvocatura e cura della redazione delle proposte per il documento di economia e finanza, rilevazione del fabbisogno finanziario dell’Avvocatura avvalendosi dei dati forniti dai competenti uffici e coordinamento dell’attività di predisposizione del budget economico, della relativa revisione e del consuntivo economico; b) predisposizione dello stato di previsione della spesa dell’Avvocatura, delle operazioni di variazione e assestamento, supporto alla redazione delle proposte per la legge di bilancio, dell’attività di rendicontazione al Parlamento e agli organi di controllo, sentito il Segretario generale e in attuazione delle direttive dell’Avvocato generale; c) predisposizione degli atti relativi all’assegnazione delle risorse finanziarie ai centri di costo e di spesa delegata in favore delle Avvocature distrettuali, coordinandone, per le materie di competenze, le attività; d) analisi e monitoraggio dei dati gestionali, dei flussi finanziari e dell’andamento della spesa; e) gestione unificata delle spese strumentali dell’Avvocatura, individuate ai sensi dell’articolo 4, comma 2, del decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 279; f) gestione del pagamento delle spese processuali, del risarcimento dei danni e degli accessori relativi al contenzioso inerente all’Avvocatura; TEMI ISTITUzIONALI g) gestione delle fatture e liquidazione delle spese di competenza dell’Avvocatura; h) gestione delle procedure amministrativo-contabili relative alle attività strumentali, alle attività contrattuali e convenzionali dell’amministrazione, compresi gli affidamenti anche in favore di soggetti in house, nonché quelli afferenti al sistema informativo e alle infrastrutture di rete; i) elaborazione del programma biennale degli acquisti di beni e servizi; 1) pianificazione, gestione, sviluppo e monitoraggio del sistema informativo, ivi compresa la rete intranet di intesa con il Responsabile della transizione digitale; m) promozione di progetti e di iniziative comuni nell’area delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione; n) cura dei rapporti con l’Agenzia per l’Italia digitale (AGID), anche per quanto attiene ai sistemi informativi automatizzati; o) gestione della rete di comunicazione dell’Avvocatura, definizione di standard tecnologici per favorire la cooperazione informatica e i servizi di interconnessione con altre amministrazioni; p) attuazione delle linee strategiche per la riorganizzazione e digitalizzazione dell’Avvocatura, con particolare riferimento ai processi connessi all’utilizzo del protocollo informatico, alla gestione dei flussi documentali e alla firma digitale; q) indirizzo, pianificazione e monitoraggio della sicurezza del sistema informativo, anche attraverso l’implementazione delle misure tecniche e organizzative che soddisfino i requisiti previsti dalla normativa in materia di protezione dei dati personali di intesa con il Responsabile della transazione digitale e del Responsabile del trattamento dei dati; r) gestione dell’infrastruttura del sito istituzionale dell’amministrazione; s) servizio di statistica; t) servizio di biblioteca, di banche dati professionali e acquisto di libri; u) adempimenti per la stampa o copia delle pubblicazioni di servizio; v) supporto per la pubblicazione della rassegna stampa dell’Avvocatura dello Stato; z) gestione del piano generale di organizzazione per il funzionamento delle sedi centrali e periferiche della Avvocatura su tutto il territorio nazionale; aa) predisposizione e aggiornamento del piano triennale dei lavori e dell’acquisizione di beni e servizi, in applicazione degli atti di indirizzo dell’Avvocato generale e del Segretario generale; bb) attività di coordinamento e consulenza relativamente alla gestione delle strutture periferiche; cc) monitoraggio dell’utilizzo delle risorse finanziarie relative alla spesa delegata; dd) liquidazione e procedure amministrative di recupero onorari di competenza dell’Avvocatura; ee) rendicontazione e riparto degli onorari di competenza dell’Avvocatura; ff) riparto e liquidazione dei compensi affluiti al fondo perequativo degli avvocati e procuratori dello Stato e al fondo perequativo del personale amministrativo; gg) gestione dei servizi del consegnatario e magazzino nonché del cassiere; hh) gestione della manutenzione ordinaria e straordinaria degli immobili e dei relativi im pianti tecnologici; ii) coordinamento degli adempimenti connessi alla disciplina in materia di sicurezza sul luogo di lavoro su tutto il territorio nazionale; ll) rilevamento, analisi e gestione delle esigenze logistiche degli Uffici centrali e distrettuali e attuazione delle misure atte al soddisfacimento delle stesse; RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2023 mm) rapporti con l’Agenzia del demanio; nn) ricezione, protocollo e smistamento della corrispondenza di propria competenza. 2. Il Dirigente di prima fascia preposto alla direzione generale di cui al presente articolo è individuato quale datore di lavoro secondo la normativa in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. In tale veste vengono riconosciuti al medesimo tutti i poteri autonomi, decisionali e di spesa necessari per l’espletamento della funzione attribuita. 3. La Direzione di cui al comma 1 si compone di n. 4 uffici di livello dirigenziali non generale, così denominati: a) Ufficio I - bilancio e liquidazione; b) Ufficio II - risorse informatiche e statistica; c) Ufficio III - contratti, acquisti ed economato; d) Ufficio IV - recupero crediti e riparto onorari. 4. L’individuazione degli Uffici di livello dirigenziale non generale e la definizione delle rispettive competenze è disciplinata con successivo atto dell’Avvocato generale ai sensi del- l’art. 16 del presente regolamento. Art. 15 Avvocature distrettuali 1. Gli Avvocati distrettuali, fatta salva ogni altra attribuzione prevista da norme di legge o regolamenti, svolgono le seguenti funzioni: a) definiscono, in esecuzione delle direttive adottate dall’Avvocato generale, gli obiettivi e i programmi da attuare nell’ambito delle rispettive Avvocature distrettuali, indicandone la priorità. A tal fine adottano ogni anno le direttive generali da seguire per l’azione amministrativa e per la gestione, anche sulla base delle proposte formulate, dal dirigente preposto all’ufficio amministrativo unico; b) richiedono, anche su proposta del dirigente preposto all’Ufficio amministrativo unico distrettuale, il contingente di personale amministrativo necessario alle esigenze funzionali delle rispettive Avvocature distrettuali; c) esercitano, anche avvalendosi del dirigente preposto all’Ufficio amministrativo unico distrettuale, la sorveglianza sull’andamento dei servizi ed effettuano la verifica della rispondenza dei risultati della gestione amministrativa alle direttive impartite ai sensi della lettera a); d) dispongono in ordine all’adeguamento dell’orario di servizio alla specifica realtà locale, tenuto conto dei criteri generali determinati dal Segretario generale. 2. Gli Avvocati distrettuali sono responsabili dell’attuazione delle direttive ad essi impartite dall’Avvocato generale. Entro il 30 aprile di ogni anno presentano all’Avvocato generale una relazione complessiva sull’attività svolta nell’anno precedente. 3. Presso ciascuna Avvocatura distrettuale dello Stato opera l’ufficio amministrativo unico, di livello dirigenziale non generale, per la gestione unificata di tutti i servizi e le attività di competenza dell’Avvocatura, comunque nei limiti della vigente dotazione organica del personale dirigenziale di livello non generale. A detti Uffici sono assegnate le funzioni di cui al comma 4, da esercitarsi, nell’ambito di ciascun distretto, in attuazione delle direttive di cui al comma 1, lettera a), e alle direttive di secondo livello, impartite dal Segretario generale, sentite le Direzioni generali competenti per materia. 4. Al Dirigente dell’ufficio unico amministrativo, oltre alle competenze previste da disposizioni legislative e regolamentari sono assegnate le seguenti attività: a) gestione del protocollo di ingresso e uscita dell’Avvocatura di competenza; b) gestione del personale amministrativo; TEMI ISTITUzIONALI c) gestione dei servizi di competenza; d) gestione delle attività di competenza del funzionario delegato in materia di spesa delegata e fondi di spesa degli enti e altri soggetti patrocinati; e) gestione dei servizi del consegnatario e magazzino nonchè del cassiere; f) gestione dei servizi di carattere generale a supporto delle attività istituzionali; g) programmazione e rendicontazione della spesa delegata, seguendo le direttive fornite dalla Direzione generale competente; h) valutazione del personale amministrativo, sentito l’Avvocato distrettuale per la parte di competenza; i) attuazione delle misure nei limiti della spesa delegata assegnata in materia di sicurezza degli ambienti di lavoro, osservando le direttive impartite dal datore di lavoro; l) liquidazione e procedure amministrative relative alle spese di competenza della distrettuale; m) procedure amministrative di recupero e rendicontazione degli onorari di competenza dell’Avvocatura distrettuale; n) espletamento delle procedure per l’affidamento dei lavori, servizi e forniture nei limiti della spesa delegata, procedendo alla sottoscrizione dei relativi contratti. Art. 16 Uffici di livello dirigenziale non generale 1. Alla individuzione degli Uffici di livello dirigenziale non generale e alla definizione dei relativi compiti si provvede, su proposta del Segretario Generale, sentiti i Direttori generali interessati e sentite le Organizzazioni sindacali, con decreto dell’Avvocato generale di natura non regolamentare, ai sensi dell’articolo 17, comma 4-bis, lettera e), della legge 23 agosto 1988, n. 400 e dell’articolo 4, commi 4 e 4-bis del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300. Art. 17 Posti di funzione dirigenziale e dotazioni organiche del personale non dirigenziale 1. Le dotazioni organiche del personale appartenente alla qualifica dirigenziale e non dirigenziale dell’Avvocatura, come determinate per legge, sono riportate nell’allegata Tabella A, che costituisce parte integrante del presente regolamento. 2. Al fine di assicurare la necessaria flessibilità di utilizzo delle risorse umane avuto riguardo alle effettive esigenze operative, l’Avvocato generale, sentito il Segretario generale, con proprio decreto effettua la ripartizione dei contingenti di personale dirigenziale e non dirigenziale nelle strutture in cui si articola l’Avvocatura. 3. Il decreto è comunicato alla Presidenza del Consiglio dei ministri -Dipartimento della funzione pubblica e al Ministero dell’economia e delle finanze -Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato. Art. 18 Disposizioni transitorie e finali 1. Le strutture esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto e i provvedimenti di attribuzione della titolarità degli organi e degli uffici in corso di efficacia alla medesima data sono fatti salvi fino alla definizione delle procedure di conferimento della titolarità delle strutture oggetto di riorganizzazione ai sensi del presente decreto. Fino alla conclusione delle procedure di conferimento della titolarità delle strutture oggetto di riorganizzazione, ai sensi del presente decreto, le strutture già esistenti proseguono lo svolgimento delle ordinarie attività con le risorse umane e strumentali loro assegnate dalla normativa vigente. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 1/2023 2. Il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 29 ottobre 2021, n. 214, è abrogato a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente regolamento. 3. Dall’attuazione del presente regolamento non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare. Roma, 29 novembre 2023 Il Presidente del Consiglio dei ministri Meloni Il Ministro per la pubblica amministrazione zangrillo Il Ministro dell’economia e delle finanze Giorgetti Visto, il Guardasigilli: Nordio Registrato alla Corte dei conti il 19 dicembre 2023 Ufficio di controllo sugli atti della Presidenza del Consiglio dei ministri, del Ministero della giustizia e del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, n. 3335 Tabella A Avvocatura dello Stato - Dotazione organica Dirigenti di livello generale 2 Dirigenti di livello non generale 33 Totali dirigenti 35 Area Elevate Professionalità --Area Funzionari 346 Area Assistenti 777 Area Operatori 131 Totale Aree 1.254 Totale complessivo 1.289 ContenziosoCoMUnitArioedinternAzionALe Le “clausole di esclusiva” nella decisione della Corte di Giustizia dell’Unione, sentenza 19 gennaio 2023 in causa C-680/20 (Unilever vs AGCM) e altre situazioni giuridiche “escludenti” nella giurisprudenza della Corte Carlo Maria Pisana* La recente decisione della Corte dell’Unione enuncia due principi in tema di prassi anticoncorrenziali: a) la possibilità di considerare, ai fini della disciplina antitrust, come unico soggetto anche una pluralità di imprese autonome non legate da rapporti di controllo, ma da semplici vincoli contrattuali; b) la possibilità di valutare come abusive prassi basate sull’impiego di “clausole esclusive” con i distributori, considerato il concreto contesto in cui vengono poste in essere. La presente nota si pone l’obiettivo di esaminare questo secondo aspetto, ovviamente strettamente connesso con il primo, e di valutarne la portata in relazione ad ulteriori “meccanismi escludenti” di matrice privatistica rinvenibili nella prassi ed in particolare in relazione ai diritti di privativa industriale. Si tralascia pertanto di considerare il tema della posizione dominante derivante da “diritti speciali o esclusivi” concessi ad impresa pubblica o privata dallo Stato membro (1). (*) Avvocato dello Stato. Le ricerche di normativa e giurisprudenza per il presente scritto sono state compiute dalla Dott.ssa Martina Vitale, tirocinante presso l’Avvocatura Generale dello Stato in forza di convenzione con l’Università LUMSA. Un ringraziamento dell’Autore al Collega Francesco Scalfani per aver fornito il materiale relativo alle sue difese nella causa oggetto della presente nota (C-680/20, Unilever vs AGCM) in cui ha patrocinato la Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. (1) Sul tema anche Corte Giustizia Unione Europea Sez. IX, 21 settembre 2023, n. 510/22 relativa al caso di una concessionaria pubblica di acque minerali in Romania. RASSEGnA AVVOCATURA DELLO STATO -n. 1/2023 1. Il caso Unilever. La Unilever Italia Mkt operation s.r.l. si occupa, tra l’altro, della fabbricazione e commercializzazione di prodotti di largo consumo, tra cui gelati confezionati, commercializzati col marchio Algida e Carte d’Or. In Italia, in particolare la predetta società distribuisce i gelati in confezioni individuali destinate ad essere consumate “all’esterno”, ossia nei punti vendita, fuori dal domicilio dei consumatori, mediante una rete di 150 distributori. A seguito della denuncia di una concorrente, “La Bomba snc” produttore di ghiaccioli, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato italiana (AGCM) ha avviato un’indagine volta a accertare l’ipotizzato abuso di posizione dominante commessa dalla Unilever sul mercato dei gelati in confezioni individuali. È emerso che i concessionari della Unilever proponevano a bar e stabilimenti balneari nel Lazio, Marche e Emilia Romagna “clausole di esclusiva”: -da una parte, esigendo l’obbligazione dei distributori ad acquistare esclusivamente dalla Unilever il prodotto; -dall’altra, offrendo importanti sconti e commissioni, da cui questi sarebbero decaduti in caso di violazione dell’obbligo di esclusiva. L’Autorità nazionale ha ritenuto di prescindere dagli studi economici prodotti dalla Unilever, al fine di escludere in concreto effetti preclusivi nei confronti di concorrenti altrettanto efficienti. L’Autorità, infatti, rilevato l’impiego sistematico delle predette clausole di esclusiva, ha qualificato la condotta di per sé sufficiente a configurare l’abuso di posizione dominante, ingiungendo la cessazione della prassi abusiva e irrogando una sostanziosa sanzione per violazione dell’art. 102 TFUE (2) e art. 3 L. 287/1990 (3). (2) Art. 102 TFUE: “È incompatibile con il mercato interno e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale di questo. Tali pratiche abusive possono consistere in particolare: a) nell’imporre direttamente od indirettamente prezzi d’acquisto, di vendita od altre condizioni di transazione non eque; b) nel limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico, a danno dei consumatori; c) nell’applicare nei rapporti commerciali con gli altri contraenti condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, determinando così per questi ultimi uno svantaggio per la concorrenza; d) nel subordinare la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l’oggetto dei contratti stessi”. (3) Art. 3 L. 287/1990: “1. È vietato l’abuso da parte di una o più imprese di una posizione dominante all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, ed inoltre è vietato: a) imporre direttamente o indirettamente prezzi di acquisto, di vendita o altre condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose; b) impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, lo sviluppo tecnico o il progresso tecnologico, a danno dei consumatori; c) applicare nei rapporti commerciali con altri contraenti condizioni oggettivamente diverse per pre COnTEnzIOSO COMUnITARIO ED InTERnAzIOnALE La Unilever, soccombente in prime cure (T.a.r. Lazio Sent. 6080/18), ha proposto appello al Consiglio di Stato, sostenendo in primo luogo la propria estraneità alle condotte poste in essere dai concessionari, i quali erano persone giuridiche indipendenti e non sottoposte ad alcun controllo societario da parte della multinazionale, in secondo luogo che l’Autorità avrebbe dovuto verificare gli effetti della condotta sull’alterazione della concorrenza in concreto. Il Giudice investito dell’appello ha sollevato due questioni di conformità all’ordinamento dell’Unione. I quesiti del Consiglio di Stato. Con ordinanza 7 dicembre 2020, il sommo organo della Giustizia Amministrativa ha posto due quesiti pregiudiziali: 1) Se, al di fuori dei casi di controllo societario, un coordinamento soltanto contrattuale tra operatori economici formalmente autonomi e indipendenti possa dare luogo ad un’unica entità economica ai fini dell’applicazione degli artt. 101 (4) e 102 TFUE; 2) Se, in ipotesi di un abuso di posizione dominante attuato mediante clausole di esclusiva, l’Autorità di regolazione sia tenuta sempre a verificare in base ad analisi economiche se in concreto si sia verificato l’effetto esclusivo, stazioni equivalenti, così da determinare per essi ingiustificati svantaggi nella concorrenza; d) subordinare la conclusione dei contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari che, per loro natura e secondo gli usi commerciali, non abbiano alcuna connessione con l’oggetto dei contratti stessi”. (4) Art. 101 TFUE: “1. Sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno ed in particolare quelli consistenti nel: a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita ovvero altre condizioni di transazione; b) limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo tecnico o gli investimenti; c) ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento; d) applicare, nei rapporti commerciali con gli altri contraenti, condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, così da determinare per questi ultimi uno svantaggio nella concorrenza; e) subordinare la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l’oggetto dei contratti stessi. 2. Gli accordi o decisioni, vietati in virtù del presente articolo, sono nulli di pieno diritto. 3. Tuttavia, le disposizioni del paragrafo 1 possono essere dichiarate inapplicabili: - a qualsiasi accordo o categoria di accordi fra imprese, - a qualsiasi decisione o categoria di decisioni di associazioni di imprese, e -a qualsiasi pratica concordata o categoria di pratiche concordate, che contribuiscano a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti o a promuovere il progresso tecnico o economico, pur riservando agli utilizzatori una congrua parte dell’utile che ne deriva, ed evitando di: a) imporre alle imprese interessate restrizioni che non siano indispensabili per raggiungere tali obiettivi; b) dare a tali imprese la possibilità di eliminare la concorrenza per una parte sostanziale dei prodotti di cui trattasi”. RASSEGnA AVVOCATURA DELLO STATO -n. 1/2023 oppure se, la prassi di clausole di esclusiva, in quanto di per sé idonea a produrre l’effetto, sia sufficiente alla contestazione dell’illecito antitrust. Incardinata a Lussemburgo la causa (C-680/20 Unilever vs AGCM), la Corte di Giustizia dell’Unione si è pronunciata in proposito con la sentenza resa all’udienza del 19 gennaio 2023, affermando principi degni di attenzione. Il ragionamento della Corte dell’Unione. La Corte ha affermato che, al fine di rilevare la capacità del comportamento di un’impresa di alterare la concorrenza effettiva sul mercato, l’Autorità Garante della Concorrenza deve accertare che la prassi contestata sia idonea a produrre effetti concorrenziali in concreto, basandosi a tal fine sull’esame delle condizioni e circostanze esistenti sul mercato al momento della sua attuazione. In proposito, la Corte dà indicazioni sia in ordine al contenuto del- l’accertamento, sia in ordine alle modalità del medesimo. Sotto il profilo sostanziale, l’Autorità è chiamata a verificare anche la latitudine del comportamento sul mercato, le limitazioni di capacità gravanti sui fornitori di materie prime: in definitiva che l’impresa in posizione dominante sia, per una parte della domanda, un partner inevitabile (“inconturnable”). non assume invece rilevanza l’elemento soggettivo, ossia la ricorrenza di un intento anticoncorrenziale dell’impresa in posizione dominante poiché l’art. 102 TFUE fonda la nozione di sfruttamento abusivo su una valutazione meramente oggettiva del comportamento. Sotto il profilo procedimentale, tuttavia, se l’impresa in posizione dominante ha prodotto uno studio economico che dimostri che la prassi adottata non abbia effetti pregiudizievoli per la concorrenza, l’autorità garante ha l’onere di esaminare questi studi ed eventualmente motivare in ordine alle ragioni per cui lo ritenga irrilevante. Precisa la Corte che l’art. 102 TFUE vieta lo sfruttamento abusivo della posizione dominante sul mercato interno o su una parte di questo. Dunque, ha l’obiettivo di sanzionare i comportamenti di un’impresa in posizione dominante che hanno l’effetto di alterare la concorrenza effettiva tra le imprese. Tuttavia, la disposizione in parola non intende impedire ad un’impresa di conquistare, grazie ai suoi meriti e capacità, una posizione dominante sul mercato; anzi, la concorrenza basata sui meriti può portare alla scomparsa o all’emarginazione sul mercato di concorrenti meno efficienti e meno interessanti per i consumatori, in termini di qualità, prezzi e innovazione. Pertanto, potrà ravvisarsi l’abuso soltanto allorché sia accertato che un imprenditore abbia tenuto un comportamento tale da produrre effetti preclusivi nei confronti di concorrenti, che siano pari all’autore quanto ad efficienza in termini di struttura dei costi, capacità di innovazione o qualità, o comunque qualora il suddetto comportamento si sia basato su mezzi diversi dalla concorrenza fondata sui meriti. COnTEnzIOSO COMUnITARIO ED InTERnAzIOnALE Le conclusioni della Corte. Alla luce di tale ragionamento la Corte dell’Unione conclude che: 1) al fine di valutare la capacità dell’impresa maggiore (produttrice o come nel caso distributrice esclusiva) di esercitare un’influenza dominante nelle politiche commerciali, finanziarie e industriali dei propri partners minori (distributori o in questo caso “concessionari”), occorre verificare se tali scelte siano da ricondurre esclusivamente alla impresa maggiore: pertanto se le condotte dei partners minori (nel nostro caso i distributori facenti parte della rete Unilever) sono state decise e, sostanzialmente, imposte unilateralmente dalla impresa maggiore, l’abuso è riconducibile a questa; 2) le clausole di esclusiva, con cui i distributori si impegnano a rifornirsi in tutto o in parte da un’impresa in posizione dominante, anche in assenza di sconti, costituiscono un comportamento da sempre qualificato abusivo della posizione dominante, perché in grado di limitare la concorrenza. 2. Le clausole di esclusiva nella giurisprudenza della Corte di Giustizia. Come anticipato in premessa, ferma restando l’importanza indubbia dell’affermazione del primo principio in ordine alla nozione di impresa, come inclusiva della rete di distributori da questa condizionati unilateralmente, ai fini della posizione di abuso dominante, lo scopo di questa nota è focalizzato sulla seconda affermazione: quella in tema di intrinseca lesività delle clausole di esclusiva. nel caso appena esaminato, la Corte di Giustizia ha affermato tale principio con riguardo a una fattispecie in cui la lesione della concorrenza basata sui meriti imprenditoriali si è concretata in clausole di esclusiva, per mezzo delle quali l’impresa egemone, Unilever, imponeva l’obbligo di rifornirsi esclusivamente presso sé di un prodotto, offrendo sconti e compensi incentivanti, che sarebbero cessati se i distributori si fossero riforniti anche da altri produttori concorrenti (nel caso di specie presso La Bomba snc). L’abuso si concretava nell’impiego di tali vincoli negoziali. nel precedente Intel (sentenza 6 settembre 2017, nella causa C-413/14P), tale società, noto leader nel settore dei processori, aveva applicato nei rapporti con quattro produttori di apparecchiature informatiche sconti condizionati al fatto che questi si rifornissero dalla stessa per tutto o quasi il loro fabbisogno di processori. Inoltre, aveva subordinato i pagamenti a un distributore europeo di dispositivi micro-elettrici alla condizione che questo vendesse esclusivamente computer equipaggiati di processori Intel. Tali condizioni poste a sconti e condizioni di pagamento avevano lo scopo di “fidelizzare” i quattro produttori e il distributore, riducendo notevolmente la capacità concorrenziale delle altre imprese produttrici di processori. La Corte UE ha respinto il ricorso presentato dalla società egemone contro la decisione con cui la Commissione Europea la aveva condannata a una sanzione di 1,06 miliardi di euro per abuso di posizione dominante. RASSEGnA AVVOCATURA DELLO STATO -n. 1/2023 Anche in tale caso pertanto la condotta si concretava nell’uso distorto di clausole negoziali “di esclusiva”. nel precedente Post Danmark II (sentenza 6 ottobre 2015, causa C23/ 14), di pochi anni prima, la Corte, in relazione ad un altro caso connotato dalla applicazione di un sistema di sconti retroattivi “negativi” (ossia tali da portare il prezzo di vendita al di sotto del costo di produzione) ha avuto occasione di chiarire che il “criterio del concorrente altrettanto efficiente” (5), non costituisce l’unico metodo di accertamento del carattere abusivo di una posizione di mercato dominante (6), e che un sistema negoziale di clausole esclusive costituisce di per sé una valida presunzione della ricorrenza della prassi abusiva (7). Tale precedente pertanto, non soltanto individua nell’impiego delle clausole di esclusiva un possibile mezzo per la realizzazione dell’abuso, ma afferma che l’impiego di esse costituisce di per sé una presunzione di abuso, similmente a quanto ribadito nel recente caso Unilever. 3. Altre situazioni giuridiche escludenti considerate nella giurisprudenza Unionale: i diritti di privativa. I casi esaminati vertono sull’uso distorto di un vincolo, la clausola di esclusiva, che trova fonte nell’autonomia privata. L’impresa egemone e le imprese minori infatti assumono contrattualmente reciproche obbligazioni, producendo per tale effetto un vincolo alla condotta commerciale delle imprese minori. È ben possibile però che il vincolo di esclusiva non sia di origine negoziale, ma trovi fonte in norme cogenti, poste a presidio di altri valori, quali la tutela della proprietà intellettuale (dir. 2004/48 CE). Anche in tali casi l’uso distorto da parte del titolare del diritto di esclusiva conferitogli non da un contratto, ma dalla legge in combinazione o meno con meccanismi contrattuali può determinare l’effetto distorsivo della concorrenza basata sui meriti di mercato. Il caso Generics (UK) Ltd. Sulla connessione tra diritto di brevetto e abuso di posizione dominante si è pronunciata la sentenza del 30 gennaio 2020 resa dalla Corte UE nella causa C-307/18, Generics (UK) Ltd e altri vs Competition and Markets Autorithy. (5) c.d. “as efficient competitor” test , in sigla AEC. (6) “Il criterio del concorrente altrettanto efficiente deve pertanto essere considerato uno degli strumenti utili a valutare l’esistenza di uno sfruttamento abusivo di una posizione dominante nell’ambito di un sistema di sconti” (punto 61 della sentenza 6 ottobre 2015, causa C-23/14). (7) “l’applicazione del criterio del concorrente altrettanto efficiente non configura una condizione indispensabile per accertare il carattere abusivo di un sistema di sconti alla luce dell’articolo 82 CE. In una situazione come quella di cui al procedimento principale, l’applicazione del criterio del concorrente altrettanto efficiente è inconferente” (punto 62 sentenza citata). COnTEnzIOSO COMUnITARIO ED InTERnAzIOnALE La vicenda, oltremodo complessa in fatto, attiene alla commercializzazione della paroxetina, un farmaco antidepressivo rilasciato unicamente su prescrizione medica, appartenente al gruppo degli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina. Alla scadenza del brevetto sul principio attivo, al fine di prevenire l’accesso al mercato di nuovi produttori, l’impresa già titolare del brevetto aveva concluso accordi transattivi con i soggetti che si accingevano a entrare nel mercato (8), con l’effetto di escluderne tutti gli altri, prolungando in concreto il diritto di privativa concesso dall’ordinamento per un tempo limitato. L’Autorità britannica anticoncorrenza ha pesantemente sanzionato la condotta. A fronte dell’impugnazione della Generics (UK) Ltd il Competition Appeal Tribunal ha posto un articolato quesito alla Corte del- l’Unione vertente in sostanza sul rapporto tra norme poste a tutela della concorrenza e norme poste a tutela della proprietà intellettuale. La Corte di Lussemburgo, pur richiamando l’elevato livello di tutela nel mercato interno attribuito al diritto di proprietà intellettuale, ha dovuto riconoscere che l’esercizio di tale diritto, in cui si concretano gli accordi transattivi in parola, diviene abuso di posizione dominante, quando produce “l’effetto di tenere temporaneamente fuori dal mercato i potenziali concorrenti produttori di farmaci generici che utilizzano questo principio attivo” (par. 145). In definitiva, la Corte è addivenuta alla conclusione che: “L’articolo 102 TFUE deve essere interpretato nel senso che la strategia di un’impresa in posizione dominante titolare di un brevetto di processo per la produzione di un principio attivo divenuto di dominio pubblico, che la porta a concludere, …, una serie di accordi di composizione amichevole aventi, quanto meno, l’effetto di tenere temporaneamente fuori dal mercato i potenziali concorrenti produttori di farmaci generici che utilizzano tale principio attivo, costituisce un abuso di posizione dominante ai sensi di tale articolo, qualora detta strategia abbia la capacità di limitare la concorrenza e, in particolare, di produrre effetti di preclusione che superano gli effetti anticoncorrenziali specifici di ciascuno degli accordi di composizione amichevole che vi contribuiscono, circostanza che spetta al giudice nazionale verificare”. Ai fini della presente nota, giova rilevare che nel caso in esame il vincolo alla condotta commerciale imposto dalla impresa egemone trae fonte dalle norme poste a tutela della proprietà intellettuale e soltanto in seconda battuta dagli accordi di composizione bonaria via via conclusi in relazione al contenzioso creatosi nella situazione di incertezza. L’uso distorto del diritto di proprietà intellettuale, attribuito dalla fonte di diritto oggettivo, si risolve in condotta abusiva vietata. (8) “la G. si trovava confrontata alla possibilità che i produttori di farmaci generici chiedessero un’autorizzazione di immissione in commercio (in prosieguo: l’“AIC” nel Regno Unito, in forza di una procedura abbreviata, per la loro versione di tale farmaco” illustra la narrativa in fatto della sentenza. RASSEGnA AVVOCATURA DELLO STATO -n. 1/2023 Diritti di privativa e tutela della concorrenza. Dall’analisi effettuata, risulta pacifico per la Corte di Giustizia UE che l’apposizione di clausole di esclusiva da parte di imprese in posizione dominante, nei rapporti con i propri distributori o fornitori, costituisce un abuso di quella posizione, poiché concretamente idonee a ridurre la capacità concorrenziale di imprese altrettanto efficienti. Più complesso invece è il rapporto che caratterizza i diritti di proprietà intellettuale e il diritto antitrust: i primi, infatti, istituiscono un potere di monopolio sul bene protetto, al fine di escluderne i concorrenti dal godimento, salvo consenso dell’avente diritto, e quindi dal mercato; l’altro vuole garantire proprio il libero accesso al mercato e la competizione basata sull’efficienza economica e pertanto intende prevenire le condotte aventi effetto “esclusivo”, anche se derivante dall’uso distorto di istituti giuridici di per sé leciti. In realtà, si tratta di due facce della stessa medaglia, perché entrambi mirano a promuovere l’innovazione e gli investimenti a beneficio dei consumatori, anche se in concreto possono porsi in conflitto. Occorre infatti stabilire se sulla base dei diritti di proprietà intellettuale, il produttore possa legittimamente precludere l’utilizzo del bene oggetto di brevetto da parte dei concorrenti. In questo contesto, viene in rilievo la essential facility doctrine, elaborata dal giudice comunitario per individuare quei beni che per la loro caratteristica strutturale siano da considerarsi essenziali per la concorrenza e pertanto, la possibilità di rifiuto di contrattare rispetto ad essi configura abuso di posizione dominante. Questa tesi impone alle imprese che detengono il diritto di proprietà intellettuale su beni che non possano facilmente essere sostituiti nella catena produttiva, di renderlo disponibile a chi ne faccia richiesta sul mercato in base a condizioni eque. Pertanto, il possesso di diritti di esclusiva può conferire a un’impresa una posizione dominante sul mercato di un determinato prodotto. Ora, l’utilizzazione di siffatto diritto, se riferito a essential facilities e volto, anche attraverso meccanismi negoziali a rendere del tutto inaccessibile il bene protetto ad altri operatori, o anche accessibile ma a condizioni non eque, costituisce uno sfruttamento di mezzi diversi da quelli propri di una concorrenza basata sui meriti. Dunque, in linea con l’orientamento della Corte, i diritti di privativa devono essere esercitati conformemente alle norme che tutelano il funzionamento del mercato e della concorrenza, avendo entrambi l’obiettivo di garantire l’esercizio della libertà di impresa e tutelare i diritti dei consumatori. 4. Conclusioni. La Corte dell’Unione resta fedele al suo tradizionale orientamento sostanzialistico, volto a valutare più che la liceità delle condotte, quella degli ef COnTEnzIOSO COMUnITARIO ED InTERnAzIOnALE 25 fetti prodotti dalle condotte. In virtù di tale approccio, afferma la possibilità di ravvisare l’abuso di posizione dominante allorché l’effetto limitativo della concorrenza costituisca il risultato della utilizzazione “abusiva” di una posizione giuridica di vantaggio, sia quando di origine negoziale, come nel caso delle “clausole di esclusiva” inserite negli accordi con i distributori (causa Unilever), sia quando derivante da un diritto riconosciuto dalla legge, come nel caso dell’uso distorto del diritto di brevetto (causa Generics Ltd). La Corte non si spinge però, nel caso del 2023, a ravvisare negli accordi di esclusiva una sorta di presunzione iuris et de iure di condotta anticoncorrenziale, esigendo comunque sul piano procedimentale la disamina delle eventuali osservazioni a discarico prodotte dal trasgressore. Corte di giustizia dell’Unione europea, sezione Quinta, sentenza 19 gennaio 2023 -Pres. e Rel. E. Regan -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Consiglio di Stato (Italia) con ordinanza del 15 dicembre 2020 -Unilever Italia Mkt. Operations Srl / Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. «Rinvio pregiudiziale -Concorrenza -Articolo 102 TFUE -Posizione dominante -Imputazione al produttore dei comportamenti dei suoi distributori -Esistenza di vincoli contrattuali tra il produttore e i distributori -nozione di “unità economica” -Ambito di applicazione Sfruttamento abusivo -Clausola di esclusiva -necessità di dimostrare gli effetti sul mercato» 1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli articoli 101 e 102 TFUE. 2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Unilever Italia Mkt. Operations Srl (in prosieguo: la «Unilever») e l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (in prosieguo: l’«AGCM») in merito ad una sanzione inflitta da tale autorità alla suddetta società per abuso di posizione dominante sul mercato italiano della distribuzione di gelati in confezioni individuali a determinati tipi di esercizi commerciali, quali gli stabilimenti balneari e i bar. Procedimento principale e questioni pregiudiziali 3 La Unilever si occupa della fabbricazione e della commercializzazione di prodotti di largo consumo, tra cui gelati confezionati, commercializzati con i marchi Algida e Carte d’Or. In Italia, la Unilever distribuisce gelati in confezioni individuali destinate ad essere consumate «all’esterno», vale a dire al di fuori del domicilio dei consumatori, in bar, caffè, club sportivi, piscine o altri luoghi di svago (in prosieguo: i «punti vendita»), mediante una rete di 150 distributori. 4 Il 3 aprile 2013 una società concorrente ha presentato all’AGCM una denuncia per abuso di posizione dominante da parte della Unilever sul mercato dei gelati in confezioni individuali. L’AGCM ha avviato un’indagine. 5 nel corso della sua istruttoria, l’AGCM ha ritenuto, in particolare, di non essere tenuta ad analizzare gli studi economici prodotti dalla Unilever al fine di dimostrare che le prassi oggetto dell’indagine non avevano effetti preclusivi nei confronti dei suoi concorrenti almeno altrettanto efficienti, in quanto tali studi sarebbero del tutto irrilevanti in presenza di RASSEGnA AVVOCATURA DELLO STATO -n. 1/2023 clausole di esclusiva, dato che l’impiego di tali clausole da parte di un’impresa detentrice di una posizione dominante sarebbe sufficiente a configurare un abuso di tale posizione. 6 Con decisione del 31 ottobre 2017, l’AGCM ha ritenuto che la Unilever avesse abusato della sua posizione dominante sul mercato della commercializzazione dei gelati in confezioni individuali destinate ad essere consumate all’esterno, in violazione dell’articolo 102 TFUE. 7 Da tale decisione risulta che la Unilever ha condotto, sul mercato di cui trattasi, una strategia di esclusione idonea ad ostacolare la crescita dei suoi concorrenti. Detta strategia si sarebbe basata principalmente sull’imposizione, da parte dei distributori della Unilever, di clausole di esclusiva ai gestori dei punti vendita, obbligandoli a rifornirsi esclusivamente presso la Unilever per l’intero fabbisogno di gelati in confezioni individuali. Quale corrispettivo, tali operatori beneficiavano di un’ampia gamma di sconti e commissioni, la cui attribuzione era subordinata a condizioni di fatturato o commercializzazione di una determinata gamma di prodotti della Unilever. Tali sconti e tali commissioni, che si applicavano, secondo combinazioni e modalità variabili, alla quasi totalità dei clienti della Unilever, avrebbero mirato a indurre questi ultimi a continuare a rifornirsi esclusivamente presso tale società, dissuadendoli dal risolvere il loro contratto per rifornirsi presso concorrenti della Unilever. 8 In particolare, due aspetti della decisione dell’AGCM del 31 ottobre 2017 sono rilevanti ai fini del presente rinvio pregiudiziale. 9 Da un lato, sebbene i comportamenti abusivi non siano stati materialmente posti in essere dalla Unilever, bensì dai suoi distributori, l’AGCM ha ritenuto che tali comportamenti dovessero essere imputati unicamente alla Unilever in quanto quest’ultima e i suoi distributori avrebbero costituito un’unica entità economica. Infatti, la Unilever interferirebbe in una certa misura nella politica commerciale dei distributori, cosicché questi ultimi non avrebbero agito in modo indipendente quando hanno imposto clausole di esclusiva ai gestori dei punti vendita. 10 Dall’altro lato, l’AGCM ha ritenuto che, tenuto conto delle caratteristiche specifiche del mercato in questione, e in particolare dello scarso spazio disponibile nei punti vendita, nonché del ruolo determinante, nelle scelte dei consumatori, della portata dell’offerta in tali punti vendita, la Unilever, con il suo comportamento, avesse escluso, o quantomeno limitato, la possibilità per gli operatori concorrenti di esercitare una concorrenza fondata sui meriti dei loro prodotti. 11 Di conseguenza, con la sua decisione del 31 ottobre 2017, l’AGCM ha inflitto alla Unilever un’ammenda pari a EUR 60 668 580 per aver abusato della sua posizione dominante, in violazione dell’articolo 102 TFUE. 12 La Unilever ha proposto ricorso avverso tale decisione dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Italia), che ha respinto integralmente tale ricorso. 13 La Unilever ha impugnato tale sentenza dinanzi al Consiglio di Stato (Italia). 14 A sostegno di tale appello, la Unilever sostiene che il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio avrebbe dovuto constatare l’esistenza di vizi asseritamente inficianti la decisione dell’AGCM del 31 ottobre 2017 per quanto riguarda, da un lato, l’imputabilità alla stessa dei comportamenti tenuti dai suoi distributori e, dall’altro, gli effetti dei comportamenti di cui trattasi che, a suo avviso, non sarebbero stati idonei a falsare la concorrenza. 15 Il giudice del rinvio afferma di nutrire dubbi quanto all’interpretazione da dare al diritto dell’Unione per rispondere alle due censure summenzionate. In particolare, per quanto COnTEnzIOSO COMUnITARIO ED InTERnAzIOnALE 27 riguarda la prima censura, esso menziona il fatto che gli è necessario sapere se e a quali condizioni un coordinamento tra operatori economici formalmente autonomi e indipendenti sia tale da equivalere all’esistenza di un unico centro decisionale, con il corollario che i comportamenti dell’uno possano essere imputati anche all’altro. 16 Alla luce di tali circostanze, il Consiglio di Stato ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: «1) Al di fuori dei casi di controllo societario, quali sono i criteri rilevanti al fine di stabilire se il coordinamento contrattuale tra operatori economici formalmente autonomi e indipendenti dia luogo ad un’unica entità economica ai sensi degli articoli 101 e 102 TFUE; se, in particolare, l’esistenza di un certo livello di ingerenza sulle scelte commerciali di un’altra impresa, tipica dei rapporti di collaborazione commerciale tra produttore e intermediari della distribuzione, può essere ritenut[a] sufficiente a qualificare tali soggetti come parte della medesima unità economica; oppure se sia necessario un collegamento ‟gerarchico” tra le due imprese, ravvisabile in presenza di un contratto in forza del quale più società autonome si ‟assoggettano” all’attività di direzione e coordinamento di una di esse, richiedendosi quindi da parte dell’Autorità [di concorrenza competente] la prova di una pluralità sistematica e costante di atti di indirizzo idonei ad incidere sulle decisioni gestorie dell’impresa, cioè sulle scelte strategiche ed operative di carattere finanziario, industriale e commerciale. 2) Al fine di valutare la sussistenza di un abuso di posizione dominante attuato mediante clausole di esclusiva, se l’articolo 102 TFUE vada interpretato nel senso di ritenere sussistente in capo all’autorità di concorrenza [competente] l’obbligo di verificare se l’effetto di tali clausole è quello di escludere dal mercato concorrenti altrettanto efficienti, e di esaminare in maniera puntuale le analisi economiche prodotte dalla parte sulla concreta capacità delle condotte contestate di escludere dal mercato concorrenti altrettanto efficienti; oppure se, in caso di clausole di esclusiva escludenti [i concorrenti] o di condotte connotate da una molteplicità di pratiche abusive (sconti fidelizzanti e clausole di esclusiva), non ci sia alcun obbligo giuridico per l’[AGCM] di fondare la contestazione del- l’illecito antitrust sul criterio del concorrente altrettanto efficiente». sulle questioni pregiudiziali Sulla prima questione Sulla ricevibilità 17 L’AGCM e il governo italiano sostengono che la prima questione sarebbe irricevibile, poiché la domanda di pronuncia pregiudiziale difetterebbe delle necessarie precisazioni. Inoltre, detta questione farebbe riferimento all’articolo 101 TFUE, mentre tale disposizione non sarebbe stata applicata dall’AGCM. 18 A tal proposito occorre rammentare che, secondo una giurisprudenza consolidata, che è stata ormai recepita nell’articolo 94 del regolamento di procedura della Corte, l’esigenza di giungere a un’interpretazione del diritto dell’Unione che sia utile al giudice nazionale impone che quest’ultimo definisca il contesto di fatto e di diritto in cui si inseriscono le questioni sollevate, o almeno che esso spieghi le ipotesi di fatto su cui tali questioni sono fondate. Tali obblighi valgono specialmente nel settore della concorrenza, che è caratterizzato da situazioni di fatto e di diritto complesse (sentenza del 5 marzo 2019, Eesti Pagar, C‑349/17, EU:C:2019:172, punto 49). 19 Inoltre, la Corte non può statuire su una questione pregiudiziale proposta da un giudice nazionale quando appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione RASSEGnA AVVOCATURA DELLO STATO -n. 1/2023 richiesta non ha alcun legame con la realtà effettiva o con l’oggetto del procedimento principale, o qualora il problema sia di natura ipotetica (v., in tal senso, sentenza del 13 ottobre 2022, Baltijas Starptautiskā Akadēmija e Stockholm School of Economics in Riga, C‑164/21 e C‑318/21, EU:C:2022:785, punto 33). 20 nel caso di specie, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 19 delle sue conclusioni, da un lato, le informazioni contenute nell’ordinanza di rinvio, sebbene sintetiche, sono sufficienti per chiarire l’ipotesi di fatto sulla quale si fonda la prima questione. Dal- l’altro lato, la circostanza che il giudice del rinvio menzioni, nella prima questione, non solo l’articolo 102 TFUE, ma anche l’articolo 101 TFUE non è tale da rimettere in discussione la ricevibilità della prima questione nel suo insieme. 21 Per contro, poiché dalla motivazione dell’ordinanza di rinvio risulta che l’articolo 101 TFUE non è stato applicato dall’AGCM nel caso in discussione nel procedimento principale, e anche se la nozione di «impresa» è comune agli articoli 101 e 102 TFUE, la prima questione, nella parte in cui verte sull’interpretazione dell’articolo 101 TFUE, deve essere considerata ipotetica e quindi irricevibile. 22 Di conseguenza, la prima questione è ricevibile unicamente nella parte in cui verte sull’interpretazione dell’articolo 102 TFUE. Nel merito 23 Dalla domanda di pronuncia pregiudiziale risulta che, per quanto riguarda i comportamenti abusivi dei distributori, l’AGCM ha sanzionato unicamente la Unilever, addebitandole un abuso di posizione dominante. In tale contesto, con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede a quali condizioni i comportamenti di operatori economici formalmente autonomi e indipendenti, vale a dire i distributori, possano essere imputati ad un altro operatore economico autonomo e indipendente, vale a dire il fabbricante dei prodotti che essi distribuiscono. 24 In tali circostanze, occorre considerare che, con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 102 TFUE debba essere interpretato nel senso che i comportamenti adottati da distributori che fanno parte della rete di distribuzione di un produttore in posizione dominante possano essere imputati a quest’ultimo e, eventualmente, a quali condizioni. 25 In particolare, detto giudice si chiede se l’esistenza di un coordinamento contrattuale tra un produttore, intorno al quale tale coordinamento contrattuale è organizzato, e diversi distributori giuridicamente autonomi sia sufficiente per consentire una siffatta imputazione o se occorra, inoltre, constatare che detto produttore ha la capacità di esercitare un’influenza determinante sulle decisioni commerciali, finanziarie e industriali che i distributori possono adottare riguardo all’attività interessata, che ecceda quella che caratterizza abitualmente i rapporti di collaborazione tra i produttori e gli intermediari di distribuzione. 26 A tal riguardo è certamente vero che, nei limiti in cui la loro attuazione implica la loro accettazione, almeno tacita, da parte di tutti i contraenti, le decisioni adottate nell’ambito di un coordinamento contrattuale, come un accordo di distribuzione, non rientrano, in linea di principio, in un comportamento unilaterale, ma si inseriscono nelle relazioni che le parti di tale coordinamento intrattengono tra loro (v., in tal senso, sentenza del 17 settembre 1985, Ford-Werke e Ford of Europe/Commissione, 25/84 e 26/84, EU:C:1985:340, punti 20 e 21). Siffatte decisioni rientrano quindi, in linea di principio, nel diritto delle intese di cui all’articolo 101 TFUE. COnTEnzIOSO COMUnITARIO ED InTERnAzIOnALE 29 27 Tale conclusione non esclude tuttavia che ad un’impresa in posizione dominante possa essere imputato il comportamento adottato dai distributori dei suoi prodotti o servizi, con i quali essa intrattiene solo rapporti contrattuali, e che, di conseguenza, venga constatato che detta impresa ha commesso un abuso di posizione dominante ai sensi dell’articolo 102 TFUE. 28 Infatti, all’impresa che detiene una posizione dominante incombe la particolare responsabilità di non pregiudicare, con il suo comportamento, una concorrenza effettiva e leale nel mercato interno (sentenza del 6 settembre 2017, Intel/Commissione, C‑413/14 P, EU:C:2017:632, punto 135 e giurisprudenza ivi citata). 29 Orbene, come osservato dall’avvocato generale al paragrafo 48 delle sue conclusioni, un siffatto obbligo mira a prevenire non solo i pregiudizi alla concorrenza causati direttamente dal comportamento dell’impresa in posizione dominante, ma anche quelli generati da comportamenti la cui attuazione sia stata delegata da tale impresa a soggetti giuridici indipendenti, tenuti ad eseguire le sue istruzioni. Pertanto, qualora il comportamento contestato all’impresa in posizione dominante sia materialmente attuato tramite un intermediario che fa parte di una rete di distribuzione, tale comportamento può essere imputato a detta impresa qualora risulti che esso è stato adottato conformemente alle istruzioni specifiche impartite da quest’ultima, e quindi a titolo di esecuzione di una politica decisa unilateralmente dall’impresa suddetta, cui i distributori interessati erano tenuti a conformarsi. 30 In una ipotesi siffatta, dato che il comportamento contestato all’impresa in posizione dominante è stato deciso unilateralmente, quest’ultima può esserne considerata come l’autrice e quindi come la sola eventuale responsabile ai fini dell’applicazione dell’articolo 102 TFUE. Infatti, in un caso del genere, i distributori e, di conseguenza, la rete di distribuzione che questi ultimi formano con tale impresa devono essere considerati semplicemente uno strumento di ramificazione territoriale della politica commerciale di detta impresa e, a tale titolo, come lo strumento tramite il quale è stata eventualmente attuata la prassi di esclusione di cui trattasi. 31 Ciò vale, in particolare, quando un siffatto comportamento assume la forma di contratti tipo, interamente redatti da un produttore in posizione dominante e contenenti clausole di esclusiva a vantaggio dei suoi prodotti, che i distributori di tale produttore sono tenuti a far firmare ai gestori di punti vendita senza potervi apportare modifiche, salvo espresso accordo di detto produttore. Infatti, in tali circostanze, il produttore non può ragionevolmente ignorare che, alla luce dei vincoli giuridici ed economici che lo uniscono a tali distributori, questi ultimi attuano le sue istruzioni e, in tal modo, la politica adottata da quest’ultimo. Tale produttore deve, pertanto, essere considerato disposto ad assumere i rischi di questo comportamento. 32 In tale ipotesi, l’imputabilità all’impresa in posizione dominante del comportamento attuato dai distributori facenti parte della rete di distribuzione dei suoi prodotti o servizi non è subordinata né alla dimostrazione che i distributori interessati facciano parte anche di tale impresa, ai sensi dell’articolo 102 TFUE, né all’esistenza di un vincolo «gerarchico » risultante da una pluralità sistematica e costante di atti di indirizzo destinati a tali distributori, idonei ad influire sulle decisioni di gestione che questi ultimi adottano riguardo alle loro rispettive attività. 33 Alla luce di quanto precede, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 102 TFUE deve essere interpretato nel senso che i comportamenti adottati da distributori facenti parte della rete di distribuzione dei prodotti o dei servizi di un produttore RASSEGnA AVVOCATURA DELLO STATO -n. 1/2023 che gode di una posizione dominante possono essere imputati a quest’ultimo, qualora sia dimostrato che tali comportamenti non sono stati adottati in modo indipendente da detti distributori, ma fanno parte di una politica decisa unilateralmente da tale produttore e attuata tramite tali distributori. Sulla seconda questione 34 Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 102 TFUE debba essere interpretato nel senso che, in presenza di clausole di esclusiva contenute in contratti di distribuzione, l’autorità garante della concorrenza competente è tenuta, per accertare un abuso di posizione dominante, a dimostrare che tali clausole hanno l’effetto di escludere dal mercato concorrenti efficienti tanto quanto l’impresa in posizione dominante e se, in ogni caso, in presenza di una pluralità di prassi controverse, tale autorità sia tenuta ad esaminare in modo dettagliato le analisi economiche eventualmente prodotte dall’impresa interessata, segnatamente ove siano fondate sul criterio detto del «concorrente altrettanto efficiente». 35 A tale riguardo occorre ricordare che l’articolo 102 TFUE dichiara incompatibile con il mercato interno e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra gli Stati membri, lo sfruttamento abusivo, da parte di una o più imprese, di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale di questo. 36 Tale nozione mira quindi a sanzionare i comportamenti di un’impresa in posizione dominante che, in un mercato in cui il grado di concorrenza sia già indebolito a seguito della presenza di tale impresa, hanno l’effetto di compromettere la conservazione di una struttura di concorrenza effettiva (sentenza del 12 maggio 2022, Servizio Elettrico nazionale e a., C‑377/20, EU:C:2022:379, punto 68 e giurisprudenza ivi citata). 37 Ciò premesso, l’articolo 102 TFUE non ha lo scopo di impedire ad un’impresa di conquistare, grazie ai suoi meriti, e in particolare grazie alle sue competenze e capacità, una posizione dominante su un mercato, né di garantire che concorrenti meno efficienti di un’impresa che detiene una posizione siffatta restino sul mercato. Invero, non tutti gli effetti preclusivi pregiudicano necessariamente la concorrenza poiché, per definizione, la concorrenza basata sui meriti può portare alla scomparsa dal mercato o all’emarginazione dei concorrenti meno efficienti e quindi meno interessanti per i consumatori, segnatamente dal punto di vista dei prezzi, della scelta, della qualità o dell’innovazione (sentenza del 12 maggio 2022, Servizio Elettrico nazionale e a., C‑377/20, EU:C:2022:379, punto 73 e giurisprudenza ivi citata). 38 Viceversa, le imprese in posizione dominante sono tenute, indipendentemente dalle cause di una simile posizione, a non pregiudicare, con il loro comportamento, una concorrenza effettiva e leale nel mercato interno (v., in particolare, sentenze del 9 novembre 1983, nederlandsche Banden-Industrie-Michelin/Commissione, 322/81, EU:C:1983:313, punto 57, e del 6 settembre 2017, Intel/Commissione, C‑413/14 P, EU:C:2017:632, punto 135). 39 Pertanto, un abuso di posizione dominante potrà essere accertato, segnatamente, quando il comportamento contestato abbia prodotto effetti preclusivi nei confronti di concorrenti di efficienza quantomeno pari all’autore di tale comportamento in termini di struttura dei costi, di capacità di innovazione o di qualità o, ancora, qualora detto comportamento si sia basato sull’utilizzo di mezzi diversi da quelli riconducibili ad una concorrenza «normale », vale a dire fondata sui meriti (v., in tal senso, sentenza del 12 maggio 2022, Servizio Elettrico nazionale e a., C‑377/20, EU:C:2022:379, punti 69, 71, 75 e 76 e giurisprudenza ivi citata). COnTEnzIOSO COMUnITARIO ED InTERnAzIOnALE 31 40 A tal riguardo, spetta alle autorità garanti della concorrenza dimostrare il carattere abusivo di un comportamento alla luce di tutte le rilevanti circostanze fattuali riguardanti il comportamento di cui trattasi (sentenze del 19 aprile 2012, Tomra Systems e a./Commissione, C‑549/10 P, EU:C:2012:221, punto 18, e del 12 maggio 2022, Servizio Elettrico nazionale e a., C‑377/20, EU:C:2022:379, punto 72), il che include quelle messe in evidenza dagli elementi di prova dedotti a sua difesa dall’impresa in posizione dominante. 41 È vero che, per dimostrare il carattere abusivo di un comportamento, un’autorità garante della concorrenza non deve necessariamente dimostrare che tale comportamento abbia effettivamente prodotto effetti anticoncorrenziali. Infatti, l’articolo 102 TFUE mira a sanzionare il fatto, per una o più imprese, di sfruttare in modo abusivo una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale di questo, indipendentemente dall’esito più o meno fruttuoso di tale sfruttamento (sentenza del 12 maggio 2022, Servizio elettrico nazionale e a., C‑377/20, EU:C:2022:379, punto 53 e giurisprudenza ivi citata). Pertanto, un’autorità garante della concorrenza può constatare una violazione dell’articolo 102 TFUE dimostrando che, durante il periodo nel quale il comportamento in questione è stato attuato, esso aveva, nelle circostanze del caso di specie, la capacità di restringere la concorrenza basata sui meriti nonostante la sua mancanza di effetti. 42 Tuttavia, tale dimostrazione deve fondarsi, in linea di principio, su elementi di prova tangibili, che dimostrino, aldilà della mera ipotesi, la capacità effettiva della prassi in questione di produrre tali effetti, dovendo l’esistenza di un dubbio al riguardo andare a vantaggio dell’impresa che ha fatto ricorso a detta prassi (v., in tal senso, sentenze del 14 febbraio 1978, United Brands e United Brands Continentaal/Commissione, 27/76, EU:C:1978:22, punto 265, e del 31 marzo 1993, Ahlström Osakeyhtiö e a./Commissione, C‑89/85, C‑104/85, C‑114/85, C‑116/85, C‑117/85 e da C‑125/85 a C‑129/85, EU:C:1993:120, punto 126). 43 Di conseguenza, una prassi non può essere qualificata come abusiva se è rimasta allo stato di progetto. Inoltre, un’autorità garante della concorrenza non può basarsi sugli effetti che tale prassi potrebbe o avrebbe potuto produrre se talune circostanze particolari, che non erano quelle esistenti sul mercato al momento della sua attuazione e la cui realizzazione risultava allora improbabile, si fossero realizzate. 44 Peraltro, se è vero che, al fine di valutare la capacità del comportamento di un’impresa di restringere la concorrenza effettiva su un mercato, un’autorità garante della concorrenza può basarsi sugli insegnamenti delle scienze economiche, confermati da studi empirici o comportamentali, la presa in considerazione di tali insegnamenti non può, tuttavia, essere sufficiente. Altri elementi propri delle circostanze del caso di specie, quali l’ampiezza di detto comportamento sul mercato, le limitazioni di capacità gravanti sui fornitori di materie prime o il fatto che l’impresa in posizione dominante sia, almeno per una parte della domanda, un partner inevitabile, devono essere presi in considerazione per stabilire se, alla luce di tali insegnamenti, si debba ritenere che il comportamento di cui trattasi abbia avuto, almeno per una parte del periodo in cui è stato attuato, la capacità di produrre effetti preclusivi sul mercato interessato. 45 Si deve seguire, del resto, un approccio analogo per quanto riguarda la prova di un intento anticoncorrenziale dell’impresa in posizione dominante. Infatti, tale intento costituisce un indizio della natura e degli obiettivi perseguiti dalla strategia attuata da detta impresa e può essere preso in considerazione a tale titolo. L’esistenza di un intento anticoncorrenziale può essere rilevante anche ai fini del calcolo dell’ammenda. Tuttavia, la dimo RASSEGnA AVVOCATURA DELLO STATO -n. 1/2023 strazione dell’esistenza di un siffatto intento non è né richiesta né sufficiente, di per sé, per stabilire l’esistenza di un abuso di posizione dominante, dal momento che la nozione di «sfruttamento abusivo», ai sensi dell’articolo 102 TFUE, si fonda su una valutazione oggettiva del comportamento in parola (v., in tal senso, sentenze del 19 aprile 2012, Tomra Systems e a./Commissione, C‑549/10 P, EU:C:2012:221, punti 19 e 21, e del 12 maggio 2022, Servizio Elettrico nazionale e a., C‑377/20, EU:C:2022:379, punti 61 e 62). 46 In tale contesto, per quanto riguarda più specificamente le clausole di esclusiva, la Corte ha certamente dichiarato che le clausole con cui le controparti si sono impegnate a rifornirsi per la totalità o per una parte considerevole del loro fabbisogno presso un’impresa in posizione dominante, anche se non accompagnate da sconti, costituivano, per loro natura, sfruttamento di posizione dominante e che lo stesso valeva per gli sconti di fedeltà concessi da una tale impresa (sentenza del 13 febbraio 1979, Hoffmann-La Roche/Commissione, 85/76, EU:C:1979:36, punto 89). 47 Tuttavia, nella sentenza del 6 settembre 2017, Intel/Commissione (C‑413/14 P, EU:C:2017:632, punto 138), la Corte ha, in primo luogo, precisato tale giurisprudenza rispetto all’ipotesi in cui un’impresa in posizione dominante sostenga, nel corso del procedimento amministrativo, producendo elementi di prova a sostegno delle sue affermazioni, che il suo comportamento non ha avuto la capacità di restringere la concorrenza e, in particolare, di produrre gli effetti preclusivi contestati. 48 A tal fine, la Corte ha indicato che, in tale situazione, l’autorità garante della concorrenza non solo è tenuta ad analizzare, da una parte, la portata della posizione dominante del- l’impresa sul mercato rilevante e, dall’altra, la misura in cui la prassi contestata copre il mercato, nonché le condizioni e le modalità di concessione degli sconti in questione, la loro durata e il loro importo, ma è anche tenuta a valutare l’eventuale esistenza di una strategia volta a escludere i concorrenti che siano efficienti almeno tanto quanto l’impresa dominante (sentenza del 6 settembre 2017, Intel/Commissione, C‑413/14 P, EU:C:2017:632, punto 139). 49 La Corte ha aggiunto, in secondo luogo, che l’analisi della capacità preclusiva è parimenti rilevante per valutare se un sistema di sconti, rientrante in linea di principio nel divieto di cui all’articolo 102 TFUE, possa essere oggettivamente giustificato. Inoltre, l’effetto preclusivo derivante da un sistema di sconti, svantaggioso per la concorrenza, può essere controbilanciato, o anche superato, da vantaggi in termini di efficienza che vadano a beneficio anche del consumatore. Orbene, una siffatta ponderazione degli effetti, favorevoli e sfavorevoli per la concorrenza, della prassi contestata può essere effettuata solo a seguito di un’analisi della capacità di esclusione di concorrenti efficienti almeno tanto quanto l’impresa in posizione dominante, inerente alla prassi di cui trattasi (sentenza del 6 settembre 2017, Intel/Commissione, C‑413/14 P, EU:C:2017:632, punto 140). 50 È vero che, fornendo questa seconda precisazione, la Corte ha menzionato unicamente i meccanismi di sconto. Tuttavia, dal momento che sia le prassi di sconti sia le clausole di esclusiva possono essere oggettivamente giustificate o che gli svantaggi che esse generano possono risultare controbilanciati, se non addirittura superati, da vantaggi in termini di efficienza che vanno a beneficio anche del consumatore, una siffatta precisazione deve essere considerata valida sia per l’una che per l’altra di tali prassi. 51 Del resto, oltre al fatto che una tale interpretazione appare coerente con la prima precisazione formulata dalla Corte nella citata sentenza del 6 settembre 2017, Intel/Commissione (C‑413/14 P, EU:C:2017:632, punto 139), va notato che, sebbene le clausole di esclusiva COnTEnzIOSO COMUnITARIO ED InTERnAzIOnALE 33 suscitino, per loro natura, preoccupazioni legittime in relazione alla concorrenza, la loro capacità di escludere i concorrenti non è automatica, come d’altronde illustrato dalla comunicazione della Commissione intitolata «Orientamenti sulle priorità della Commissione nell’applicazione dell’articolo [102 TFUE] al comportamento abusivo delle imprese dominanti volto all’esclusione dei concorrenti» (GU 2009, C 45, pag. 7, paragrafo 36). 52 ne consegue che, da un lato, quando un’autorità garante della concorrenza sospetti che un’impresa abbia violato l’articolo 102 TFUE facendo ricorso a clausole di esclusiva e quest’ultima contesti, nel corso del procedimento, la capacità concreta di dette clausole di escludere dal mercato concorrenti altrettanto efficienti, producendo elementi di prova a sostegno, tale autorità deve assicurarsi, nella fase della qualificazione dell’infrazione, che tali clausole avessero, nelle circostanze del caso di specie, l’effettiva capacità di escludere dal mercato concorrenti efficienti tanto quanto tale impresa. 53 Dall’altro lato, l’autorità garante della concorrenza che ha avviato tale procedimento è altresì tenuta a valutare, in concreto, la capacità di tali clausole di restringere la concorrenza, qualora, nel corso del procedimento amministrativo, l’impresa sospettata, senza negare formalmente che il suo comportamento avesse la capacità di restringere la concorrenza, sostenga che esistono giustificazioni per la sua condotta. 54 In ogni caso la produzione, nel corso del procedimento, di prove idonee a dimostrare l’inidoneità a produrre effetti restrittivi fa sorgere l’obbligo, per detta autorità garante della concorrenza, di esaminarle. Infatti, il rispetto del diritto di essere ascoltato, il quale, secondo giurisprudenza costante, costituisce un principio generale del diritto dell’Unione, esige che le autorità garanti della concorrenza ascoltino l’impresa in posizione dominante, il che implica che esse prestino tutta l’attenzione richiesta alle osservazioni prodotte da quest’ultima ed esaminino, con cura e imparzialità, tutti gli elementi rilevanti della fattispecie e, in particolare, le prove prodotte da detta impresa (v., in tal senso, sentenza del 12 maggio 2022, Servizio Elettrico nazionale e a., C‑377/20, EU:C:2022:379, punto 52). 55 ne consegue che, qualora l’impresa in posizione dominante abbia prodotto uno studio economico al fine di dimostrare che la prassi che le viene contestata non era idonea ad estromettere i concorrenti, l’autorità garante della concorrenza competente non può escludere la rilevanza di tale studio senza esporre le ragioni per le quali ritiene che esso non consenta di contribuire alla dimostrazione dell’incapacità delle prassi contestate di compromettere la concorrenza effettiva sul mercato interessato e, di conseguenza, senza mettere detta impresa in grado di determinare l’offerta di prove che potrebbe essere sostituita a detto studio. 56 Per quanto riguarda il criterio del concorrente altrettanto efficiente, al quale il giudice del rinvio ha fatto espressamente menzione nella sua domanda, occorre ricordare che tale nozione fa riferimento a diversi criteri che hanno in comune il fine di valutare la capacità di una prassi di produrre effetti preclusivi anticoncorrenziali, facendo riferimento all’idoneità di un ipotetico concorrente dell’impresa in posizione dominante, altrettanto efficiente in termini di struttura dei costi, a proporre ai clienti una tariffa tanto vantaggiosa da indurli a cambiare fornitore, nonostante gli svantaggi generati, senza che ciò porti detto concorrente a subire perdite. Tale idoneità è generalmente determinata alla luce della struttura dei costi della stessa impresa in posizione dominante. 57 Orbene, un criterio di tale natura può essere inadeguato in presenza, in particolare, di talune prassi non tariffarie, come un rifiuto di consegna, o quando il mercato di cui trattasi è tutelato da barriere elevate. Del resto, tale criterio è solo uno dei diversi metodi che RASSEGnA AVVOCATURA DELLO STATO -n. 1/2023 consentono di valutare se una prassi abbia la capacità di produrre effetti preclusivi; e tale metodo, del resto, prende in considerazione solo la concorrenza sui prezzi. In particolare, l’uso, da parte di un’impresa in posizione dominante, di mezzi diversi da quelli propri di una concorrenza basata sui meriti può essere sufficiente, in determinate circostanze, a denotare l’esistenza di un siffatto abuso (v. parimenti, in tal senso, sentenza del 12 maggio 2022, Servizio Elettrico nazionale e a., C‑377/20, EU:C:2022:379, punto 78). 58 Di conseguenza, le autorità garanti della concorrenza non possono avere l’obbligo giuridico di fondarsi sul criterio del concorrente altrettanto efficiente per dichiarare il carattere abusivo di una prassi (v., in tal senso, sentenza del 6 ottobre 2015, Post Danmark, C‑23/14, EU:C:2015:651, punto 57). 59 Tuttavia, anche in presenza di prassi non tariffarie, la rilevanza di un siffatto criterio non può essere esclusa. Infatti, un criterio di questo tipo può rivelarsi utile qualora le conseguenze della prassi di cui trattasi possano essere stimate. In particolare, nel caso di clausole di esclusiva, un siffatto criterio può teoricamente servire a stabilire se un ipotetico concorrente, che abbia una struttura dei costi analoga a quella dell’impresa in posizione dominante, sia in grado di proporre i propri prodotti o le proprie prestazioni senza andare incontro a perdite o a ricavi insufficienti se dovesse farsi carico delle indennità che i distributori dovrebbero pagare per cambiare fornitore, o delle perdite che essi dovrebbero subire dopo un tale cambiamento a seguito della revoca degli sconti precedentemente concessi (v., per analogia, sentenza del 25 marzo 2021, Slovak Telekom/Commissione, C‑165/19 P, EU:C:2021:239, punto 110). 60 Di conseguenza, qualora un’impresa in posizione dominante sospettata di una prassi abusiva fornisca a un’autorità garante della concorrenza un’analisi fondata sul criterio del concorrente altrettanto efficiente, detta autorità non può escludere tale prova senza neppure esaminarne il valore probatorio. 61 Tale circostanza non è rimessa in discussione dall’esistenza di una pluralità di prassi controverse. Infatti, anche ipotizzando che gli effetti cumulati di tali prassi non possano essere presi in considerazione mediante tale criterio, resta il fatto che il risultato di un test di tale natura può nondimeno costituire un indizio degli effetti di talune di dette prassi e, pertanto, essere rilevante al fine di determinare se talune qualifiche possano essere prese in considerazione riguardo alle prassi di cui trattasi. 62 Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla seconda questione dichiarando che l’articolo 102 TFUE deve essere interpretato nel senso che, in presenza di clausole di esclusiva contenute in contratti di distribuzione, un’autorità garante della concorrenza è tenuta, per accertare un abuso di posizione dominante, a dimostrare, alla luce di tutte le circostanze rilevanti e tenuto conto, segnatamente, delle analisi economiche eventualmente prodotte dall’impresa in posizione dominante riguardo all’inidoneità dei comportamenti in questione ad escludere dal mercato i concorrenti efficienti tanto quanto essa stessa, che tali clausole siano capaci di limitare la concorrenza. Il ricorso al criterio del concorrente altrettanto efficiente ha carattere facoltativo. Tuttavia, se i risultati di un siffatto criterio sono prodotti dall’impresa interessata nel corso del procedimento amministrativo, l’autorità garante della concorrenza è tenuta a esaminarne il valore probatorio. sulle spese 63 nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le COnTEnzIOSO COMUnITARIO ED InTERnAzIOnALE spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara: 1) L’articolo 102 tFUe deve essere interpretato nel senso che i comportamenti adottati da distributori facenti parte della rete di distribuzione dei prodotti o dei servizi di un produttore che gode di una posizione dominante possono essere imputati a quest’ultimo, qualora sia dimostrato che tali comportamenti non sono stati adottati in modo indipendente da detti distributori, ma fanno parte di una politica decisa unilateralmente da tale produttore e attuata tramite tali distributori. 2) L’articolo 102 tFUe deve essere interpretato nel senso che, in presenza di clausole di esclusiva contenute in contratti di distribuzione, un’autorità garante della concorrenza è tenuta, per accertare un abuso di posizione dominante, a dimostrare, alla luce di tutte le circostanze rilevanti e tenuto conto, segnatamente, delle analisi economiche eventualmente prodotte dall’impresa in posizione dominante riguardo al- l’inidoneità dei comportamenti in questione ad escludere dal mercato i concorrenti efficienti tanto quanto essa stessa, che tali clausole siano capaci di limitare la concorrenza. il ricorso al criterio detto «del concorrente altrettanto efficiente» ha carattere facoltativo. tuttavia, se i risultati di un siffatto criterio sono prodotti dall’impresa interessata nel corso del procedimento amministrativo, l’autorità garante della concorrenza è tenuta a esaminarne il valore probatorio. ContenzioSonazionaLe La fisionomia attuale della recidiva, nel prisma della recente giurisprudenza di legittimità. Disamina della sentenza delle Sezioni Unite del 25 luglio 2023 n. 32318 Antonino Ripepi* Giovanni Grasso** Sommario: 1. Premessa -2. Storia e disciplina dell’istituto -3. inquadramento sistematico della recidiva -4. La recidiva nel prisma della giurisprudenza più recente -5. Conclusioni. 1. Premessa. Data l’irrinunciabilità di una prospettiva diacronica ed evolutiva alquanto complessa per lo svolgimento di un’analisi adeguata, discutere di recidiva oggi non appare affatto agevole. La transizione dall’impostazione originaria del codice del 1930 al modello imperniato sulla discrezionalità giudiziale del 1974, poi sostituita dal “progetto securitario” della legge ex Cirielli fino al suo ridimensionamento con il “modello costituzionalmente orientato” per via delle pronunce della Corte costituzionale sono, al tempo stesso, storia e illustrazione della recidiva nel codice penale vigente (1). Nondimeno, pur avendo vissuto diverse oscillazioni connesse a interventi di riforma e incisive pronunce giurisprudenziali, è possibile definire i tratti generali con cui si presenta oggi tale istituto. (*) Procuratore dello Stato -Avvocatura Distrettuale di Reggio Calabria, Referente distrettuale per la “Rassegna dell’Avvocatura dello Stato”. (**) Dottore di ricerca in Diritto pubblico -indirizzo penalistico. Cultore della materia per l’area IUS/17 presso l’Università “Mediterranea” di Reggio Calabria. Nonostante il presente lavoro sia il frutto della riflessione congiunta dei due Autori, i paragrafi 1 e 3 sono da attribuirsi a Giovanni Grasso, mentre i paragrafi 2, 4 e 5 sono stati redatti da Antonino Ripepi. (1) La terminologia qui impiegata è mutuata dal G. FoRtI -S. SeMINARA -G. ZUCCALà, Commentario breve al Codice Penale, Cedam, VI ed., pp. 457 ss. RASSeGNA AVVoCAtURA DeLLo StAto -N. 1/2023 Sebbene attenga alla pericolosità del reo (2), a differenza delle fattispecie contigue di “reità” essa viene qualificata come circostanza (3), da cui discende la rilevanza non ai fini dell’applicazione di misure di sicurezza, bensì per la produzione di incrementi sanzionatori significativi (4), oltre che a numerosi effetti indiretti a carattere penalizzante e preclusivo di effetti favorevoli (5). 2. Storia e disciplina dell’istituto. L’espressione “recidiva”, collegata all’etimo latino recidere, cioè “ricadere”, designa le ipotesi in cui il reo torni a delinquere dopo essere stato condannato per un primo reato. Ampliando la prospettiva, la recidiva si colloca in un novero più ampio di figure, tra cui quella del delinquente o contravventore abituale o professionale, nonché del delinquente per tendenza, che contrassegnano la maggiore pericolosità sociale di determinate classi di soggetti i quali, pertanto, necessitano di forme di retribuzione penale rafforzata (6). Si tratta di un istituto controverso in dottrina. Già nel XIX secolo, autorevoli studiosi ritenevano che la recidiva in nessun caso potesse incidere sulla quantificazione della pena per il nuovo reato, posto che precedenti episodi criminosi non incrementano in alcun modo il disvalore di altri successivi (7); a tali argomentazioni si è opposto che l’aggravamento della pena sarebbe razionale, e servirebbe a controbilanciare la maggiore insensibilità del reo alla sanzione penale (8). esaminata la ratio generale dell’istituto, e volgendo all’individuazione della natura giuridica, un orientamento ormai minoritario della dottrina ritiene che la recidiva configuri uno status del colpevole, in quanto tale assoggettato a un (problematico) regime di imputazione oggettiva e di sottrazione al bilanciamento tra circostanze ai sensi dell’art. 69 c.p., nonché, sul piano processuale, ininfluente ai fini del regime di procedibilità (9). La dottrina maggioritaria, invece, ritiene che venga in rilievo una circostanza propria inerente alla persona del colpevole ex art. 70 c.p. (10), in quanto elemento che (2) Nesso evidenziato nella relazione del Guardasigilli, pp. 147 ss., che addirittura fa leva su una più efficace difesa contro il delitto; del resto, la recidiva si spiega più in un’ottica di prevenzione speciale, che di retribuzione - si cfr. t. PADoVANI, Diritto penale, Giuffrè, XII ed., pp. 319 ss. (3) La recidiva soggiace alla disciplina generale delle circostanze salvo deroghe legislative espresse (Cass. S.U., 24 febbraio 2011, indelicato; Cass. S.U., 29 gennaio 2021, n. 3585, Li Trenta). (4) G. De VeRo, Corso di diritto penale, Giappichelli, I ed., p. 780. (5) Questa “marcata ambivalenza” della recidiva, legata alla sua duplice collocazione in termini di disciplina, è evidenziata da Cass. Pen., Sez. Un., 24 febbraio 2011, n. 20798. (6) G. FoRtI - S. SeMINARA - G. ZUCCALà, op. cit., p. 453. (7) G. CARMIGNANI, Teoria delle leggi della sicurezza sociale, III, Pisa, 1832, pp. 230 ss. (8) F. CARRARA, Stato della dottrina sulla recidiva, in opuscoli di diritto criminale, II, Lucca, 1878, p. 13. (9) G. BettIoL - L. PettoeLLo MANtoVANI, Diritto penale, Cedam, XII ed., pp. 577 ss. (10) G. MARINUCCI -e. DoLCINI, manuale di diritto penale, parte generale, Giuffrè, IV ed., p. 533. CoNteNZIoSo NAZIoNALe incide, aggravandola, sulla colpevolezza o sull’imputabilità del reo, a seconda delle ricostruzioni. I residui dubbi sono stati eliminati dall’intervento di Cass. Pen., Sez. Un., 24 febbraio 2011, n. 20798, che hanno autorevolmente definito la recidiva quale “circostanza pertinente al reato che richiede un accertamento, nel caso concreto, della relazione qualificata tra lo status e il fatto che deve risultare sintomatico, in relazione alla tipologia dei reati pregressi e all’epoca della loro consumazione, sia sul piano della colpevolezza che su quello della pericolosità sociale”. Si tratta, dunque, di circostanza in senso stretto, aggravante, soggettiva e ad effetto comune o speciale a seconda che venga in rilievo la recidiva semplice o, rispettivamente, le ipotesi aggravate; sul piano applicativo, se ne ricava l’integrale applicabilità all’istituto in esame della disciplina tipica delle circostanze. Minimo comune denominatore di tutte le figure di recidiva descritte nell’art. 99 c.p. è la commissione di un delitto doloso a seguito di condanna definitiva per altro delitto doloso. Altro dato comune consiste in ciò, che tutte le forme di recidiva contemplate nell’art. 99 c.p. hanno, attualmente, natura discrezionale a seguito di Corte cost., 23 luglio 2015, n. 185, che ha dichiarato l’incostituzionalità del quinto comma della disposizione laddove disponeva l’obbligatorietà dell’aumento di pena per la recidiva; tale connotato rimette la valutazione della sussistenza dei presupposti dell’istituto al giudice, tenuto a verificare senza automatismi l’effettiva maggiore pericolosità sociale del reo, derivante dall’insofferenza dimostrata nei confronti delle condanne intervenute. 3. inquadramento sistematico della recidiva. Invero, la descritta configurazione codicistica dell’istituto non coincide con la sua etimologia, al punto da essersi delineato uno iato tra ‘recidiva naturale’ e ‘recidiva giuridica’ (11). Ciò in quanto la ricaduta nel delitto non è mera, ma segue l’adozione di una condanna nei confronti del reo e, soprattutto, il monito in essa incorporato. Da qui si ricava agevolmente la differenza tra recidiva e concorso di reati, nei termini di riconduzione del secondo istituto alla determinazione complessiva della pena per la commissione di più reati da parte di uno stesso soggetto, anche in executivis, ma prescindendo dalla correlazione di colpevolezza esistente sul piano cronologico fra il momento del- l’avvertimento e quello della reazione indifferente (12). Ciò non esclude possibili sovrapposizioni delle due discipline qualora i reati in concorso siano successivi a una condanna passata in giudicato (si cfr. art. 80 c.p.). (11) La differenza tra ‘recidiva naturale’ e ‘giuridica’ è messa in luce da t. PADoVANI, op. cit., p. 619. (12) Peraltro, proprio sul piano temporale il codice Rocco ha innovato rispetto al codice Zanardelli attraverso la previsione della rilevanza della recidiva anche a tempo indeterminato. RASSeGNA AVVoCAtURA DeLLo StAto -N. 1/2023 Il nesso esistente tra condanna antecedente e nuova reità rappresenta la vera chiave di lettura odierna dell’istituto. orbene, si è anticipato che la recidiva costituisce una circostanza, segnatamente attinente alla persona del reo. Ma esattamente a quale dato della persona afferisce? La lente di osservazione in grado di poter illustrare il percorso utile a rispondere a tale quesito è una disposizione generale: l’art. 133 c.p., che individua i criteri di commisurazione della pena. In particolare, si può affermare l’esistenza di un rapporto di specialità tra l’art. 99 e l’art. 133, comma 1 n. 2 c.p. (13), nella specie con la capacità a delinquere (14). Del resto, ad essa la accomuna il proprio carattere “bidimensionale” (15), frutto del compromesso tra la Scuola classica e la Scuola positiva (16): prognostico-preventivo -valutare la probabilità di futura commissione dei reati, e quindi la pericolosità del reo (17); diagnostico-retributivo -che risponde alla domanda relativa al livello di espressione e appartenenza di quel fatto di reato alla personalità del reo (18). In realtà, e più precisamente, si tratta di un accrescimento del giudizio sulla colpevolezza del reo, che si manifesta insensibile ai messaggi connessi alle precedenti condanne subite. ecco svelato il nesso giustificativo pieno con il principio di colpevolezza (19); nesso che richiede, alla luce di quanto sopra, (13) G. De VeRo, op. cit., p. 783. (14) Già la recidiva ad intensità crescente quanto ad effetti sanzionatori, secondo alcuni, aveva segnato l’adesione a un’impostazione personologica della recidiva come in grado di influenzare il disvalore del reato (R. BARtoLI, voce recidiva, in Enc. dir. -annali, vol. VII, Giuffrè, 2014, p. 888; più cauto V. MUSCAtIeLLo, La recidiva, Giappichelli, 2008, pp. 15 ss.). (15) Per tale espressione, F. MANtoVANI, Diritto penale, Cedam, X ed., pp. 631 ss. (16) essa si presenta come un vero e proprio compromesso tra Scuola Classica e Scuola positiva, poiché l’una, che la riconduce alla maggiore rimproverabilità, ne avrebbe comportato un’applicazione obbligatoria, temporanea e specifica; l’altra facoltativa, perpetua e generica (De FRANCeSCo, Principi, reato, forme di manifestazione, Giappichelli, I ed., p. 564). (17) Si cfr. il richiamo che l’art. 203 fa all’art. 133 c.p. (18) G. De VeRo, op. cit., p. 783. (19) G. De VeRo, 784; M. RoMANo -G. GRASSo, Commentario al codice penale, II, Giuffré, 2012, p. 93; F. PALAZZo, Corso di diritto penale, Giappichelli, VIII ed., pp. 508 ss. Per una critica rispetto alla coerenza tra il principio di colpevolezza dell’attuale fisionomia della recidiva, si v. e.M. AMBRo- SettI, recidiva e Costituzione: un rapporto difficile, in Dir. pen. proc., 2/2023, p. 229: «(…) si deve necessariamente rilevare che attualmente il trattamento sanzionatorio per il recidivo non appare inquadrabile nella dimensione della colpevolezza del fatto. Sono chiaramente esigenze di prevenzione sociale negativa o, per meglio dire, di neutralizzazione, alla base di un regime sanzionatorio di stampo draconiano: ai sensi dell’art. 99, comma 4, c.p. l’aumento di pena può essere fino a due terzi rispetto alla pena massima; è precluso ex art. 69, comma 4, c.p. un giudizio di prevalenza delle attenuanti rispetto alla recidiva reiterata; di fatto sono divenuti imprescrittibili -per il disposto dell’art. 157, comma 2, c.p. -la stragrande maggioranza dei reati commessi dal recidivo qualificato; infine, è limitata -per effetto degli artt. 7, 8 e 9 della legge “ex-Cirielli” -la possibilità di applicare alcuni benefici penitenziari. in ultima analisi, pur riconoscendo la necessità di un trattamento differenziato per coloro che si sono dimostrati più volte indifferenti rispetto a una condanna penale, non pare arbitrario affermare che il complessivo trattamento riservato alle forme di recidiva grave, ed in specie, a quella reiterata, appare in evidente contrasto con il principio di colpevolezza e con il suo corollario della proporzionalità della pena». CoNteNZIoSo NAZIoNALe di considerare questa circostanza oggetto di piena consapevolezza da parte del reo e non di mera conoscibilità, in rapporto alla precedente condanna (20). Proprio quest’ultimo aspetto spiega l’attuale facoltatività della recidiva e la discrezionalità che la connota (21), ciò che non ne intacca la natura di circostanza (22). Peraltro, tali rilievi costituzionali consentono di evidenziare il carattere fisiologico di tale discrezionalità, poiché, non trattandosi di un mero status, è richiesto un giudizio specifico sulla concreta maggiore rimproverabilità del fatto. Peraltro, occorre tenere conto dell’Illustre insegnamento secondo cui la discrezionalità penale non è mai una discrezionalità totale, ma una “discrezionalità guidata”, in questo caso orientata in base al canone di colpevolezza e tendente a rendere l’illecito penale compiutamente personale (23). Benché l’inerenza alla persona della circostanza e della sua valutazione faccia sorgere il rischio di trasmodare verso la colpevolezza d’autore (24), in quel costante dialogo fra check and balances messo in luce dalla dottrina d’oltralpe (25), il limite di questa personalizzazione del giudizio sulla pena è offerto dalla logica retrospettiva della gravità del fatto di reato (26): oltrepassando quello, si trasmoderebbe nella pena per una condotta di vita (27). 4. La recidiva nel prisma della giurisprudenza più recente. I presupposti dogmatici e giurisprudenziali dianzi esaminati appaiono indispensabili per comprendere il ragionamento giuridico su cui si articola una recente sentenza pronunciata dalla Corte di legittimità nella sua più autorevole composizione: Cass. pen., Sez. Un., 30 marzo 2023 (dep. 25 luglio 2023), n. 32318. Nella vicenda posta all’attenzione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, due soggetti erano stati condannati per aver commesso, in concorso, il furto aggravato di due blocchetti di assegni, delitto ulteriormente aggravato (20) G. De FRANCeSCo, op. cit., p. 565. (21) Regime conseguente, dopo la legge n. 251 del 2005, a Corte cost. n. 185/2015. (22) Va rammentato che la facoltatività della recidiva è profilo diverso da quello della obbligatorietà o meno della contestazione. (23) Così, M. GALLo, Diritto penale italiano, appunti di parte generale, I, Giappichelli, III ed., pp. 36-37. In particolare, si è osservato che «Su tal via, dare al giudice ampi poteri discrezionali val quanto dotarlo di un regolo lesbio che si adatta alle punte ed agli anfratti da misurare. È un modo di innestare sull’ordinamento positivo il senso sinuoso delle cose. Naturalmente ad una condizione che rappresenta l’altra faccia, anzi, il presupposto dell’equità: che sia rigorosamente adempiuto l’obbligo di motivazione in tutta chiarezza dettato dall’art. 132 c.p.» (p. 37). Sulla ‘discrezionalità penale’, v. F. BRICoLA, La discrezionalità nel diritto penale. Nozione e aspetti costituzionali, Giuffrè, 1965, pp. 353 ss. (24) G. De VeRo, op. cit., p. 784. (25) C. RoXIN, Politica criminale e sistema del diritto penale. Saggi di teoria del reato, a cura di S. MoCCIA, eSI, 1998, pp. 168 ss. (26) Per analoghe riflessioni in tema di misure di sicurezza, si cfr. G. RUGGIeRo, La proporzionalità nel diritto penale, Giappichelli, 2018, pp. 156 ss., 168 ss. (27) F. PALAZZo, op. cit., p. 509. RASSeGNA AVVoCAtURA DeLLo StAto -N. 1/2023 dalla recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale; la sentenza del G.U.P., resa nell’ambito del giudizio abbreviato, era stata confermata dalla Corte d’Appello, la quale ha fondato le proprie statuizioni sull’orientamento secondo cui la recidiva reiterata può essere riconosciuta anche quando non sia stata già dichiarata in precedenza la recidiva semplice. Avverso tale decisione, uno dei due imputati ha proposto ricorso per Cassazione e ha denunciato, tra i motivi, il vizio di motivazione in relazione alla mancata esclusione della recidiva, in quanto la Corte territoriale avrebbe omesso ogni valutazione concreta circa la maggiore pericolosità sociale del- l’imputato e si sarebbe limitata alla mera verifica circa l’esistenza di precedenti penali nel casellario giudiziale, senza considerare che l’imputato non era mai stato condannato per un reato aggravato dalla recidiva e, dunque, sarebbe stato necessario escludere la configurabilità della recidiva reiterata. Cass. pen., sez. V, 13 settembre 2022, n. 36738, investita del ricorso, ha rimesso la decisione del ricorso alle Sezioni Unite affinché chiarissero “se, ai fini dell’applicazione della recidiva reiterata, sia necessaria una sentenza, divenuta irrevocabile anteriormente al fatto per il quale si procede, che abbia condannato l’imputato per un reato aggravato dalla recidiva”. La Sezione rimettente propendeva per un superamento dell’indirizzo maggioritario, condiviso invece dalla Corte d’Appello. L’orientamento favorevole valorizzava l’argomento letterale: l’art. 99 c.p., nel riferirsi al “recidivo che commette un altro reato”, utilizza tale espressione per mera comodità espositiva e non intende, invece, indicare una qualità giudizialmente accertata da una sentenza precedente e passata in giudicato (Cass. Pen., Sez. III, 20 maggio 1993, n. 6424). Pertanto, il giudice di cognizione avrebbe potuto liberamente accertare i presupposti della recidiva non dichiarata, mentre tale valutazione sarebbe stata preclusa al giudice dell’esecuzione alla luce dei principi processuali generali. L’argomento letterale, a dimostrazione della intrinseca non dimostratività dell’argomentazione giuridica e della relatività della medesima, era tuttavia richiamato anche dall’indirizzo opposto e minoritario, secondo il quale proprio la lettera di cui all’art. 99 c.p., nel riferirsi al “recidivo”, intende indicare una particolare qualità giudiziale del soggetto, in quanto tale oggetto di pronuncia passata in giudicato (Cass. Pen., sez. II, 26 novembre 2020, n. 37063). L’ordinanza di rimessione propendeva per il superamento dell’indirizzo maggioritario, adducendo vari argomenti. In primo luogo, il termine “recidivo” è utilizzato dal c.p. per tutte le figure di recidiva enucleate dall’art. 99 c.p. che precedono il quarto comma e, dunque, l’interpretazione dello stesso dev’essere omogenea. In secondo luogo, l’evoluzione storica dell’istituto e della giurisprudenza sedimentatasi su di esso dimostra come, mentre nell’impostazione originaria del codice del 1930 la recidiva configurava una questione di diritto, non di fatto, ed era automatica a fronte dell’iscrizione del precedente penale CoNteNZIoSo NAZIoNALe nel casellario, oggi l’impostazione è radicalmente mutata. Autorevoli precedenti giurisprudenziali quali Corte cost., 14 giugno 2007, n. 192 e, soprattutto, Corte cost., 23 luglio 2015, n. 185 interpretano la recidiva quale espressione di una accentuata colpevolezza e di una maggiore pericolosità del reo, da accertarsi con metodo casistico e lungi da qualsiasi automatismo, da cui discende l’incostituzionalità dei profili di obbligatorietà desumibili dalla precedente versione del quinto comma dell’art. 99 c.p. tale giudizio qualificato di maggior riprovevolezza, tuttavia, secondo i giudici rimettenti dovrebbe essere consacrato in una sentenza che lo abbia statuito irrevocabilmente e non dovrebbe essere formulato per la prima volta dal giudice che si occupi dei presupposti della recidiva reiterata in assenza di qualsiasi dichiarazione giudiziale pregressa; diversamente opinando, si rischierebbe una regressione alla concezione di recidiva quale status dominato da automatismi, in contrasto con l’evoluzione di cui si è detto. Il Procuratore generale aveva argomentato nella medesima direzione dell’ordinanza di rimessione, osservando come la recidiva reiterata, in quanto autonoma circostanza aggravante, ove ritenuta in base ai soli precedenti penali non comprenderebbe la recidiva semplice, poiché è diversa la consistenza del fatto aggravato. Inoltre, utili indicazioni derivano dal confronto tra la disciplina della recidiva, in cui non è espressamente prevista la possibilità della valutazione ex post dei relativi presupposti, e l’art. 679 c.p.p. che, invece, consente espressamente al giudice di sorveglianza una dichiarazione posteriore dell’abitualità e professionalità nel reato. Si potrebbe, dunque, applicare il noto canone interpretativo rappresentato dal brocardo ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit. D’altronde, in ottica sistematica, l’art. 105 c.p. consente la dichiarazione di professionalità anche nei confronti di chi commetta un altro reato trovandosi nelle condizioni richieste per la dichiarazione di abitualità nel reato. Le Sezioni Unite, nonostante le numerose argomentazioni in senso contrario, aderiscono all’orientamento maggioritario tradizionale. Il ragionamento giuridico del Giudice di legittimità nella sua più autorevole composizione è così strutturato. Il primo argomento fa leva sulla interpretazione letterale: nella formulazione dell’art. 99, quarto comma, c.p. manca qualsiasi riferimento ad una precedente affermazione giudiziaria della recidiva semplice. Le fattispecie del primo e del quarto comma sono connotate da simmetria, in quanto, a una prima parte riferita alla posizione soggettiva di recidivanza del reo, segue una seconda parte rappresentativa delle conseguenze giuridiche di questa posizione sul trattamento sanzionatorio. Ne deriva che non si possa intendere la prima parte del quarto comma, ossia il riferimento all’ipotesi nella quale il “recidivo commette un altro delitto non colposo”, quale comprensiva anche della seconda parte del primo comma, relativa al riconoscimento giudiziale della recidiva, poiché un tale procedimento interpretativo contrasterebbe con la corrispondenza simmetrica fra le due fattispecie. RASSeGNA AVVoCAtURA DeLLo StAto -N. 1/2023 In secondo luogo, le Sezioni Unite richiamano l’argomento sistematico. Il fatto che la dichiarazione di professionalità nel reato prescinda dalla necessità di una preventiva sentenza di condanna che abbia dichiarato l’imputato delinquente abituale non dev’essere necessariamente inteso nell’ottica suggerita dal Procuratore generale; anzi, se ne può ricavare, in via induttiva, il principio generale secondo cui non è necessaria l’espressa pronuncia di una dichiarazione costitutiva di una condizione relativa ai precedenti penali del reo di grado inferiore a quella valutata nel procedimento. e, in quanto principio generale, non si vede perché lo stesso non debba trovare applicazione in tema di recidiva. A sostegno di tale conclusione, la Suprema Corte richiama anche la giurisprudenza di settore in materia di oblazione speciale e patteggiamento allargato. La prima, contemplata dall’art. 162-bis, comma terzo, c.p., non è ammessa “quando ricorrono i casi previsti dal terzo capoverso dell’art. 99” c.p., preclusione costantemente intesa dalla giurisprudenza di legittimità nel senso che la condizione di recidiva reiterata impedisca l’accesso all’oblazione anche ove la stessa non sia stata giudizialmente dichiarata (Cass. Pen., Sez. III, 17 febbraio 2017, n. 29238); nella stessa direzione, in materia di patteggiamento ex art. 444, c. 1-bis, c.p.p., il quale risulta allargato a “coloro che siano stati dichiarati ... recidivi ai sensi dell’art. 99, quarto comma” c.p., la giurisprudenza ha statuito che non occorre una pregressa dichiarazione giudiziale della recidiva (Cass. Pen., Sez. Un., 5 ottobre 2010, n. 35738). tuttavia, chi scrive non può astenersi dall’osservare come il ragionamento condotto dalle Sezioni Unite in commento possa essere discusso nella misura in cui ricava, sulla scorta dell’argomento sistematico, conclusioni di diritto penale sostanziale muovendo da una giurisprudenza consolidatasi nel diverso ambito processuale e, dunque, per finalità diverse. L’argomento decisivo deriva dalla natura giuridica dell’istituto come interpretata dalla consolidata giurisprudenza di legittimità. Cass. Pen., Sez. Un., 5 ottobre 2010, n. 35738 avevano, infatti, già statuito che il giudizio sulla recidiva, pur essendo incentrato sulla rilevanza dell’ultimo delitto commesso rispetto alla valutazione dell’accresciuta attitudine a delinquere, deve avere ad oggetto la totalità dei reati compresi nella sequenza recidivante. tale valutazione deve ritenersi possibile anche in assenza di una precedente valutazione concernente la recidiva semplice, poiché il giudizio comprende il contributo specifico di tutti i reati della serie esaminata alla formazione e al consolidamento della risoluzione criminale del reo, e, pertanto, assorbe necessariamente la valutazione in punto di recidiva semplice, poiché comprende (anche) la significatività propria del delitto che avrebbe determinato la configurabilità di tale ipotesi. Risultano, così, superate le obiezioni del Procuratore generale prima sintetizzate, in quanto, nella complessiva valutazione di cui sono stati esposti i termini, è incluso tanto il presupposto formale quanto quello sostanziale della recidiva semplice. CoNteNZIoSo NAZIoNALe Se così è, non sussiste alcun rischio di regressione alla concezione della recidiva quale status del reo dominato da automatismi, in quanto l’esigenza di valutare la maggiore riprovevolezza del reo può e deve essere realizzata nel- l’ambito del giudizio complessivo ai fini dell’applicazione della recidiva reiterata. A tal fine, si dovranno valorizzare indici sintomatici quali tipologia e offensività dei reati, omogeneità e collocazione temporale degli stessi, tipo di devianza di cui siano espressione e occasionalità o meno dell’ultimo delitto. Le Sezioni Unite, avvalendosi dell’argomento pragmatico, evidenziano come tale impostazione consenta di superare le rigidità applicative in cui incorre l’orientamento che esige indefettibilmente la previa dichiarazione giudiziale di recidiva semplice per poter applicare la recidiva reiterata, dichiarazione che potrebbe essere omessa per le contingenze processuali più varie. Inoltre, la possibile omissione di tale dichiarazione non incide negativamente sul principio di rieducazione del reo, che secondo la tesi avversa non saprebbe come orientare le proprie condotte in assenza di una preventiva sentenza passata in giudicato, poiché i presupposti sostanziali di applicazione della recidiva reiterata sono già scolpiti dal codice penale e conoscibili da tutti i consociati. In definitiva, sulla scorta degli argomenti prospettati, le Sezioni Unite non rinvengono ragioni sufficienti per superare un dato letterale e sistematico “chiaramente orientato nell’escludere che il previo accertamento della recidiva semplice sia condizione per valutare l’applicabilità della recidiva reiterata”. 5. Conclusioni. La disamina svolta dimostra come il nesso esistente tra condanna antecedente e nuova reità rappresenti la vera chiave di lettura odierna dell’istituto. L’affermazione dell’orientamento secondo cui il previo accertamento della recidiva semplice non è condizione necessaria per valutare l’applicabilità della recidiva reiterata non implica alcun rischio di regressione alla concezione della recidiva quale status del reo dominato da automatismi, in quanto l’esigenza di valutare la maggiore riprovevolezza del reo può e deve essere realizzata nell’ambito del giudizio complessivo ai fini dell’applicazione della recidiva reiterata. Cassazione penale, Sezioni Unite, sentenza (ud. 30 marzo 2023) 25 luglio 2023, n. 32318 -Pres. M. Cassano, Est. C. Zaza -Ricorso proposto da A.A. e B.B. avverso la sentenza del 20 settembre 2021 della Corte di appello di Ancona. RIteNUto IN FAtto 1. Con sentenza del 29 gennaio 2021 il Giudice dell’udienza preliminare del tribunale di Ancona, a seguito di giudizio abbreviato, condannava A.A. e B.B. alla pena di anni due e mesi otto di reclusione ed euro cinquecento di multa per il reato di furto di due blocchetti di RASSeGNA AVVoCAtURA DeLLo StAto -N. 1/2023 assegni e denaro liquido, asportati il 22 novembre 2020 dal ristorante “omissis” di omissis, aggravato dall’essersi introdotti nel locale con violenza sulle cose costituita dall’effrazione della porta, dall’aver commesso il fatto in concorso con altra persona, e quindi in numero di tre persone, e dalla recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale. 2. Con sentenza del 20 settembre 2021 la Corte di appello di Ancona confermava la decisione di primo grado. 3. Avverso quest’ultima sentenza ricorreva per cassazione il A.A. Deduceva violazione di legge e vizio motivazionale sull’affermazione di responsabilità, e vizio motivazionale sulla configurabilità delle aggravanti, sul diniego delle attenuanti generiche e dell’attenuante del danno di speciale tenuità e sulla determinazione della pena. Con atto del 31 marzo 2022 il A.A. dichiarava tuttavia di rinunciare al ricorso. 4. Ricorreva altresì per cassazione il B.B. Con il primo motivo deduceva violazione di legge e vizio motivazionale sul diniego del- l’attenuante di cui all’art. 114 c.p. La Corte territoriale si era limitata a richiamare le argomentazioni della sentenza di primo grado, riferite ad elementi dai quali emergeva un ruolo marginale dell’imputato, trovato unicamente sul luogo del fatto mentre la refurtiva e gli strumenti di effrazione erano rinvenuti in possesso di altri, e non aveva valutato tali circostanze ai fini della configurabilità della dedotta attenuante. Con il secondo motivo deduceva violazione di legge e vizio motivazionale sulla recidiva. L’applicazione del relativo aumento di pena non era stata motivata con riguardo all’espressività di maggiore pericolosità attribuibile alla commissione del reato qui giudicato, trascurandosi d’altra parte che l’assenza di una precedente condanna per fatti aggravati dalla recidiva induceva a ritenere che la stessa fosse stata esclusa in quelle sedi. A quest’ultimo proposito, la stessa possibilità di ritenere configurabile la contestata recidiva reiterata nonostante la recidiva semplice non fosse stata oggetto delle condanne precedenti, era stata motivata con la mera citazione di arresti giurisprudenziali in ordine alla possibilità di prescindere da tale pregressa, formale dichiarazione. Con il terzo motivo deduceva violazione di legge e vizio motivazionale sul diniego delle attenuanti generiche, motivato con la mancata indicazione di elementi di fatto a sostegno della relativa richiesta difensiva, ove invece tale richiesta era stata argomentata con la modesta gravità del fatto e il corretto comportamento processuale. 5. Con ordinanza del 13 settembre 2022 la Quinta Sezione penale di questa Corte, investita della decisione sui ricorsi, ha rilevato, quanto alla questione dedotta nella seconda parte del secondo motivo del ricorso del B.B., relativa alla configurabilità della recidiva reiterata in mancanza di una precedente condanna per fatto aggravato dalla recidiva semplice, l’esistenza di un orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità in tal senso, richiamato nella sentenza impugnata. Dato atto che un parziale distacco dal citato orientamento si individua in talune pronunce, per le quali è esclusa l’applicazione della recidiva reiterata nel caso in cui la recidiva semplice non sia stata in precedenza ritenuta per la mancanza del presupposto dell’anteriorità del passaggio in giudicato della condanna per il reato precedente, la Sezione rimettente ha evidenziato che l’indirizzo maggioritario deve essere superato nella direzione della necessità, per la configurabilità della recidiva reiterata, di una precedente sentenza definitiva di condanna per un reato aggravato dalla recidiva. tanto in considerazione dell’evoluzione dello stesso concetto di recidiva per effetto dei principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità, che hanno ridisegnato tale istituto quale non più corrispondente ad uno status soggettivo determinato solo dalla formale ricaduta nel reato, ma come tale da CoNteNZIoSo NAZIoNALe comprendere anche il presupposto della significatività nel nuovo reato in termini di maggiore colpevolezza e più elevata capacità a delinquere e pericolosità dell’imputato. Questa evoluzione si rivela incompatibile con il mantenimento del citato indirizzo maggioritario in tema di recidiva reiterata, ove attribuisce alla qualità di recidivo espressa nell’art. 99, comma 4, c.p., in quanto sintesi delle varie figure dell’istituto disciplinate dai commi precedenti, il contenuto proprio di un soggetto nei confronti del quale non sia unicamente già intervenuta una sentenza di condanna, ma sia stata altresì valutata la ricorrenza degli elementi anche sostanziali della recidiva, ciò implicando un’affermazione giudiziaria della relativa fattispecie aggravatrice. Non senza considerare che l’orientamento in discussione si risolve nel conferire alla recidiva reiterata connotazioni di obbligatorietà e rigido automatismo sanzionatorio, delle quali la Corte costituzionale ha sancito l’illegittimità con riguardo alla fattispecie di cui al successivo comma 5. Ritenuta pertanto l’esistenza sul punto di un potenziale contrasto giurisprudenziale, la Quinta Sezione penale ha rimesso i ricorsi alla Sezioni Unite. 6. Con decreto del 12 ottobre 2022 il Presidente aggiunto ha assegnato i ricorsi alle Sezioni Unite penali, fissandone la trattazione per l’udienza odierna. 7. Il 14 marzo 2023 il Procuratore generale ha fatto pervenire memoria di udienza con la quale aderisce alle argomentazioni dell’ordinanza di rimessione, indicando ulteriori elementi a sostegno delle stesse. In primo luogo, la recidiva reiterata, in quanto circostanza aggravante autonomamente prevista, ove ritenuta in base ai soli precedenti penali, non comprende la recidiva semplice, essendo diversa la consistenza del fatto aggravato. È significativo, inoltre, che l’art. 679 c.p.p. consenta espressamente al giudice di sorveglianza la valutazione ex post dell’abitualità e della professionalità del reato, e che la dichiarazione di professionalità nel reato sia prevista dall’art. 105 c.p. anche nei confronti di chi commetta un altro reato trovandosi nelle condizioni richieste per la dichiarazione di abitualità del reato, disposizioni invece non presenti nella disciplina della recidiva, che di contro la giurisprudenza esclude possa essere ritenuta dal giudice dell’esecuzione allorchè non sia stata dichiarata in sede di cognizione. L’applicazione della recidiva reiterata, in assenza di una precedente dichiarazione di recidiva semplice, priverebbe infine il condannato della possibilità di adeguare le proprie condotte a tale dichiarazione, in contrasto con la funzione rieducativa della pena. CoNSIDeRAto IN DIRItto 1. Va premesso, con riguardo al ricorso proposto da A.A., che la sopravvenuta rinuncia allo stesso comporta l’inammissibilità dell’impugnazione ai sensi dell’art. 591, comma 1, lett. d) c.p.p. Alla declaratoria di tale esito segue la condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che, in considerazione della sopravvenienza della causa di inammissibilità rispetto alla proposizione del ricorso, deve essere determinata in euro cinquecento. 2. La questione rimessa alle Sezioni Unite attiene al secondo motivo dedotto con il ricorso proposto da B.B. sull’applicazione, nei confronti dello stesso, della recidiva reiterata, ed è formulata nei seguenti termini: “Se, ai fini dell’applicazione della recidiva reiterata, sia necessaria una precedente dichiarazione di recidiva semplice contenuta in una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero sia sufficiente che, al momento della consumazione del reato, l’imputato risulti gravato da più condanne definitive per reati che manifestino una sua maggiore pericolosità sociale”. 3. L’istituto della recidiva è stato interessato da recenti e ripetuti interventi della giurisprudenza di legittimità, precipuamente nella sua massima espressione delle Sezioni Unite. È per RASSeGNA AVVoCAtURA DeLLo StAto -N. 1/2023 tanto opportuno, prima di affrontare la questione rimessa, verificare come la recidiva sia attualmente configurata nel diritto vivente all’esito di tali interventi. Questi ultimi hanno in particolare toccato tre passaggi dell’applicazione della fattispecie: la contestazione della stessa; la verifica della sussistenza dei suoi presupposti; gli effetti che derivano dalle modalità applicative della recidiva. Deve essere immediatamente sottolineato che i principi formulati con riguardo al primo ed al terzo di detti passaggi dipendono in misura determinante dalla indiscussa qualificazione della recidiva come circostanza aggravante inerente alla persona del colpevole, già oggetto di risalenti affermazioni giurisprudenziali (Sez. U, n. 3152 del 31/01/1987, Paolini, Rv. 175354; Sez. U, n. 1 del 27/05/1961, Papò, Rv. 098479), e successivamente ribadita con specifico riferimento alla sua ulteriore definizione quale aggravante ad effetto speciale nelle ipotesi, previste dai commi successivi al primo dell’art. 99 c.p., che comportano un aumento di pena superiore al terzo (oltre a Sez. U, n. 20798 del 24/02/2011, Indelicato, Rv. 249664, e Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, Calibè, Rv. 247838, di cui si avrà modo di trattare di seguito per altri aspetti, si vedano anche Sez. U, n. 30046 del 23/06/2022, Cirelli, Rv. 283328, e Sez. U, n. 3585 del 24/09/2020, dep. 2021, Li trenta, Rv. 280262). 3.1. Venendo in primo luogo al momento processuale della contestazione, dall’operatività della recidiva quale circostanza aggravante è stata tratta, segnatamente nella sentenza Calibè, la conseguenza della possibilità di ritenere la stessa in sede giudiziale solamente in quanto specificamente contestata all’imputato, a garanzia della formazione del contraddittorio sul punto. Il principio della obbligatoria contestazione della recidiva è stato successivamente riaffermato dalla giurisprudenza di legittimità nelle sue implicazioni relative alle modalità necessarie e sufficienti di tale contestazione in talune particolari situazioni. In presenza di una pluralità di imputazioni, in primo luogo, si è individuata una di tali implicazioni nella necessità che la circostanza sia oggetto di contestazione con puntuale riferimento a ciascuno dei reati (Sez. 3, n. 51070 del 07/06/2017, Ndiaye, Rv. 271880; Sez. 6, n. 5075 del 09/012/2014, Crucitti, Rv. 258046). D’altra parte, la testuale contestazione in calce alla serie delle imputazioni è stata considerata sufficiente per intendere la recidiva come riferita a ciascuna di esse, ove non si tratti di reati di diversa indole ovvero commessi in date diverse (Sez. 2, n. 22966 del 09/03/2021, Virgilio, Rv. 281456; Sez. 2, n. 56688 del 13/12/2017, Bel- castro, Rv. 272146). In ordine invece al rapporto fra le modalità della contestazione e le diverse ipotesi di recidiva previste dall’art. 99 c.p., si è ritenuta necessaria la specificazione nell’imputazione di quale di dette ipotesi sia addebitata (Sez. 5, n. 50510 del 20/09/2018, La Cava, Rv. 274446), rilevandosi consequenzialmente che la mera qualificazione della recidiva contestata come “ex art. 99 c.p.”, proprio in quanto priva di ulteriori precisazioni, non possa intendersi che riferita alla recidiva semplice (Sez. 3, n. 43795 del 01/12/2016, dep. 2017, Kirov, Rv. 270843; Sez. 2, n. 5663 del 20/11/2012, dep. 2013, Alexa, Rv. 254692). Di contro, nella stessa sentenza La Cava è stata considerata sufficiente l’indicazione della fattispecie normativa corrispondente all’ipotesi di recidiva contestata, escludendosi che tale indicazione debba essere corredata dalla descrizione degli elementi sui quali l’ipotesi è in concreto fondata. 3.2. La qualificazione della recidiva come circostanza aggravante è anche alla base di alcuni principi affermati dalle Sezioni Unite sugli effetti delle modalità applicative della recidiva. L’identificazione della natura circostanziale della recidiva ha condotto infatti ad estendere ad essa il principio generale per il quale una circostanza aggravante deve ritenersi riconosciuta CoNteNZIoSo NAZIoNALe ed applicata non solo quando essa si traduce nei tipici effetti di aggravamento della pena, ma anche allorchè la stessa venga fatta confluire nel giudizio di comparazione con circostanze attenuanti ai sensi dell’art. 69 c.p., con il diverso risultato, ove detto giudizio abbia esito nel senso dell’equivalenza fra le circostanze, di neutralizzare l’incidenza di queste ultime sulla determinazione della pena (Sez. U, n. 17 del 18/06/1991, Grassi, Rv. 187856). Gli effetti anche indiretti, che l’ordinamento ricollega al riconoscimento della recidiva, sono stati conseguentemente ritenuti operanti anche nel caso in cui la stessa sia valutata come equivalente ad una o più circostanze attenuanti, inibendone la funzione di mitigazione della pena (Sez. U, n. 20798 del 24/02/2011, Indelicato, Rv. 249664; Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, Calibè, Rv. 247838). Di contro, e coerentemente, la produzione degli effetti della recidiva, siano essi diretti o indiretti, è stata esclusa nel caso in cui la circostanza sia invece ritenuta subvalente nel bilanciamento con le attenuanti, al di fuori dei casi nei quali sia espressamente prevista dalla legge la rilevanza della recidiva a prescindere dal risultato del giudizio di bilanciamento; e ciò proprio in quanto in tal caso la funzione delle concorrenti circostanze attenuanti nella determinazione della pena ha modo di esplicarsi nella sua pienezza (Sez. U, n. 20808 del 25/10/2018, dep. 2019, Schettino, Rv. 275319). Con la stessa sentenza Schettino, il principio ha trovato concreta applicazione nel riconoscimento degli effetti della recidiva sulla quantificazione del termine di prescrizione del reato anche ove la stessa sia ritenuta equivalente alle attenuanti, escludendosi correlativamente che tali effetti si realizzino ove la recidiva non sia stata valorizzata nella determinazione della pena e neppure quale componente del giudizio di comparazione, anche nel caso in cui i precedenti penali dell’imputato siano stati valutati ai fini del diniego delle attenuanti generiche. Altra implicazione dello stesso criterio era stata in precedenza ravvisata ritenendo operativa la previsione del limite minimo di un terzo nell’aumento per la continuazione, di cui all’art. 81, comma 4, c.p., ove ricorra l’ipotesi di recidiva prevista dall’art. 99, comma 4, c.p., anche nel caso in cui detta ipotesi circostanziale sia considerata equivalente alle attenuanti (Sez. U, n. 31669 del 23/06/2016, Filosofi, Rv. 267044). Un’ulteriore riproposizione del principio si ritrova nella pronuncia (Sez. U, n. 3585 del 24/09/2020, dep. 2021, Li trenta, Rv. 280262) che ha posto peraltro in evidenza una particolare implicazione della qualificazione come circostanze aggravanti ad effetto speciale delle ipotesi di recidiva, previste dai commi secondo, terzo e quarto dell’art. 99 c.p., sul piano degli effetti dell’applicazione della fattispecie. La previsione dell’art. 649-bis c.p. sulla procedibilità d’ufficio dei reati di cui ai precedenti artt. 640, comma 3, 640-ter, comma 4, e 646 c.p. -nelle ipotesi aggravate previste dal comma 2 di detto articolo e dall’art. 61, comma 1, n. 11 c.p. ove ricorrano circostanze ad effetto speciale, è stata infatti ritenuta in quella sede tale da comprendere anche il caso in cui il reato sia aggravato per l’appunto dalla recidiva qualificata. 4. L’intervento giurisprudenziale sull’ulteriore passaggio applicativo della recidiva, costituito dalla verifica dei suoi presupposti, si è invece sviluppato dalla previsione legislativa di facoltatività delle conseguenze direttamente sanzionatorie della fattispecie, arricchendo di elementi aggiuntivi l’ambito dei requisiti di configurabilità della fattispecie, rispetto a quelli che risultano già evidenti dal testo normativo. 4.1. L’art. 99 c.p., in effetti, delinea espressamente i presupposti per la ravvisabilità della recidiva in una serie di condizioni progressivamente riferite, nelle varie ipotesi, ai precedenti penali dell’imputato. Per l’ipotesi della recidiva semplice, in particolare, il comma 1 dell’articolo richiede uni RASSeGNA AVVoCAtURA DeLLo StAto -N. 1/2023 camente una precedente condanna per un delitto non colposo, come quello per la cui commissione è attualmente giudicato; per quella della recidiva aggravata, il comma 2 prevede che il nuovo delitto sia della stessa indole di quello precedente, ovvero che sia commesso entro i cinque anni dalla condanna precedente oppure durante o dopo l’esecuzione della pena, ovvero ancora nel tempo in cui il condannato si è sottratto volontariamente all’esecuzione della pena; l’ipotesi della recidiva pluriaggravata è ravvisabile, in base al comma 3, nel concorso di più circostanze fra quelle descritte al comma 2; per l’ipotesi della recidiva reiterata è richiesta la commissione di un ulteriore delitto da parte del soggetto già recidivo, secondo quanto previsto dai commi precedenti. Le conseguenze di tali diverse ipotesi sulla determinazione della pena da infliggere per il nuovo delitto, nella testuale previsione normativa come riformulata dall’art. 4 L. 5 dicembre 2005, n. 251, sono indicate disponendo che il recidivo semplice “può essere sottoposto ad un aumento di un terzo della pena”; per il recidivo aggravato “la pena può essere aumentata fino alla metà”; per il recidivo pluriaggravato “l’aumento di pena è della metà”; e per il recidivo reiterato “l’aumento è della metà e, nei casi previsti dal comma 2, è di due terzi”. Un ulteriore livello di aggravamento sanzionatorio era previsto dal comma 5 dell’articolo in commento con la previsione di obbligatorietà dell’aumento di pena per la recidiva, in presenza di uno dei delitti indicati dall’art. 407, comma 2, lett. a) c.p.p. (nel senso, come chiarito in sede giurisprudenziale, che il nuovo delitto commesso appartenga a tale categoria, essendo irrilevante che abbia o meno questa natura il delitto precedente, v. Sez. U, n. 20798 del 24/02/2011, Indelicato, cit.; Sez. 2, n. 8076 del 21/11/2012, dep. 2013, Consolo, Rv. 254534), e con la fissazione del limite minimo di tale aumento, in caso di recidiva aggravata, nella misura di un terzo. La sopravvenuta declaratoria di illegittimità costituzionale del comma 5 citato, nella parte in cui prevedeva l’obbligatorietà dell’aumento di pena nella situazione indicata (Corte Cost., sent. n. 185 del 2015), rende tuttora vigente solo la descritta predeterminazione della misura minima dell’aumento. Quanto appena rammentato, con particolare riguardo alle modulazioni della risposta sanzionatoria in relazione alle varie ipotesi di recidiva, rende evidente che l’aumento di pena è facoltativo nei casi di recidiva semplice e di recidiva aggravata, alla luce della presenza, nelle corrispondenti fattispecie normative, delle espressioni “può essere sottoposto ad un aumento” o “può essere aumentata”. Neppure può porsi in dubbio, però, che analoga facoltatività contraddistingua le ulteriori ipotesi, per il solo fatto che, a proposito delle stesse, la norma si esprima nei termini tassativi “l’aumento è”. Le proposte questioni di illegittimità costituzionale dell’art. 69, comma 4, c.p.p., nella parte in cui stabilisce fra l’altro il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sull’aggravante della recidiva reiterata, sono state infatti dichiarate inammissibili (Corte Cost., sent. n. 192 del 2007) in quanto ritenute implicitamente fondate sul presupposto della obbligatorietà dell’applicazione della recidiva reiterata, in presenza dei soli requisiti attinenti ai precedenti penali, trascurando il diverso orientamento della giurisprudenza di legittimità, già espresso in alcune pronunce all’epoca della decisione della Corte costituzionale. Secondo tale indirizzo (fra le altre Sez. 6, n. 37169 del 17/09/2008, orlando, Rv. 241192; Sez. 5, n. 40446 del 25/09/2007, Mura, Rv. 237273; Sez. 2, n. 32876 del 04/07/2007, Doro, Rv. 237144; Sez. 4, n. 39134 del 28/06/2007, Mazzitta, Rv. 237271; Sez. 4, n. 26412 del 19/04/2007, Meradi, Rv. 236835), la formulazione letteralmente tassativa sul- l’aumento di pena nella disposizione relativa alla recidiva reiterata -con argomentazione da intendersi evidentemente valida anche per l’ipotesi della recidiva pluriaggravata -deve invero essere intesa nel suo diretto ed esclusivo riferimento alla determinazione di tale aumento, e CoNteNZIoSo NAZIoNALe non estesa anche all’applicazione o meno dello stesso, che rimane affidata alla decisione facoltativa del giudice; significato rimarcato in tal senso dalla ben diversa formulazione del comma 5 dell’art. 99 c.p., all’epoca vigente prima della menzionata declaratoria di illegittimità costituzionale del 2015, esplicitamente enunciata in termini di obbligatorietà dell’aumento in quella particolare ipotesi. 4.2. La citata sentenza della Corte costituzionale del 2007, tuttavia, non ha limitato il suo contenuto motivazionale ad una decisione sostanzialmente adesiva all’orientamento della giurisprudenza di legittimità sulla facoltatività dell’aumento di pena nelle fattispecie di recidiva aggravata e reiterata. La stessa Corte ha, infatti, indicato il criterio valutativo per l’esercizio di tale facoltatività, precisandone i contorni nella significatività del nuovo fatto delittuoso, commesso dopo una o più precedenti condanne, sotto il profilo della più accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosità del reo. Si tratta, in realtà, di una indicazione anch’essa già presente nella giurisprudenza di legittimità coeva alla decisione del giudice delle leggi (Sez. 4, n. 16750 del 11/04/2007, Serra, Rv. 236412), e successivamente ribadita in altre pronunce affermative del carattere facoltativo dell’applicazione della recidiva (Sez. 5, n. 22871 del 15/05/2009, Held, Rv. 244209; Sez. 3, n. 45065 del 25/09/2008, Pellegrino, Rv. 241779; Sez. 2, n. 19557 del 19/03/2008, Rv. 240404, Buccheri). Il riferimento metodologico alla valutazione del nuovo delitto in termini di maggiore colpevolezza e pericolosità si è tuttavia consolidato nelle successive decisioni delle Sezioni Unite che hanno recepito tale principio nella risoluzione delle questioni rispettivamente rimesse (Sez. U, n. 20808 del 25/10/2018, dep. 2019, Schettino, in tema di necessità, perchè la recidiva possa ritenersi riconosciuta, dell’effettivo aumento della pena in relazione alla stessa o della sua confluenza nel giudizio di comparazione fra circostanze concorrenti eterogenee; Sez. U, n. 20798 del 24/02/2011, Indelicato, in tema di qualificazione della recidiva aggravata e reiterata come circostanza ad effetto speciale e delle relative conseguenze in caso di concorso della stessa con altre aggravanti dello stesso tipo; Sez. U, 35738 del 27/05/2010, Calibè, in tema di obbligatorietà della contestazione della recidiva). Nella sentenza Indelicato, in particolare, sono stati posti in evidenza gli aspetti sistematici della specificazione dei requisiti di maggiore colpevolezza e pericolosità, quali fondamenti per le valutazioni giudiziali sull’esercizio della facoltà di aumento di pena per effetto della recidiva, sia sotto il profilo strutturale che per quello funzionale. tale specificazione attribuisce in primo luogo ai requisiti indicati la natura di veri e propri presupposti per l’applicazione di tale aumento. Nella struttura della recidiva, in altre parole, al presupposto formale costituito dalla precedente condanna si aggiunge un presupposto sostanziale individuato per l’appunto nella maggiore colpevolezza e pericolosità, in quanto implicitamente previsto, accanto a quelli espressamente descritti dall’art. 99 c.p., nella disposizione di facoltativo aggravamento della pena a seguito dell’accertamento di tali condizioni. Sempre sul piano strutturale e descrittivo, inoltre, e in conseguenza diretta di questo ampliata visuale sui presupposti della recidiva, la stessa non può essere considerata unicamente come espressione di uno status soggettivo del reo, delineato dai suoi precedenti penali. La necessità del presupposto sostanziale di maggiore colpevolezza e pericolosità, del quale il nuovo delitto sia sintomatico, collega invece la recidiva anche ad un dato fattuale, ossia tale nuovo delitto nelle sue oggettive caratteristiche. Sotto il profilo funzionale, infine, coerentemente con la sua natura circostanziale, la recidiva opera in questa prospettiva come adeguamento della risposta sanzionatoria alla effettiva gra RASSeGNA AVVoCAtURA DeLLo StAto -N. 1/2023 vità del nuovo delitto. La peculiarità di questa funzione è nella necessità che tale gravità sia valutata nella sua relazione con i precedenti reati commessi, qualificata alla luce dell’incidenza nell’incremento della colpevolezza e della pericolosità del soggetto. 5. Il presupposto sostanziale della recidiva, come appena ricostruito, pone alcune questioni definitorie e, di conseguenza, anche operative. 5.1. Un primo ordine di questioni attiene ai rapporti fra le valutazioni di profili diversi quali, da un lato, la colpevolezza e la pericolosità, e, dall’altro, la personalità del reo, emergente dalle condanne precedenti, e la gravità del nuovo delitto. L’aspetto segnatamente definitorio concerne, in questa prospettiva, le stesse nozioni di colpevolezza e di pericolosità da considerarsi nel giudizio sulla recidiva. Una prima indicazione in questo senso, con particolare riguardo alla colpevolezza, si ritrova già in una delle decisioni di legittimità che collegavano l’esercizio della facoltatività, nell’aumento di pena per la recidiva, al dato della maggiore colpevolezza e pericolosità, nei tempi immediatamente successivi alla pronuncia della citata sentenza della Corte costituzionale del 2007 (Sez. 4, n. 21523 del 23/04/2009, Pinna, Rv. 244010). Si è infatti osservato in quella occasione che la valutazione di significatività del nuovo delitto, nell’ambito della reiterazione dei reati, si risolve nello stabilire se e quanto tale delitto esprima una maggiore rimproverabilità, in quanto dimostrativo di un atteggiamento di indifferenza verso la legge, dell’assenza di un ripensamento critico a seguito delle precedenti condanne e, in conclusione, di una risoluzione criminosa più consapevole e determinata. La maggiore dimensione di colpevolezza, ravvisabile nel nuovo delitto, viene rappresentata in sostanza nella sua espressività, ove rapportata ai delitti oggetto delle precedenti condanne, della resistenza del reo all’effetto dissuasivo derivante dalla revisione del proprio vissuto criminale in conseguenza di tali condanne, e del conseguente rafforzamento della propria determinazione delittuosa. Questa visione è stata delineata con maggiore chiarezza e completezza dalle Sezioni Unite con la più volte menzionata sentenza Indelicato. Qui l’elemento centrale, nella valutazione sull’applicazione dell’aumento di pena per la recidiva, è stato individuato nella maggiore attitudine a delinquere del reo, in quanto aspetto comune sia alla colpevolezza che alla capacità di realizzazione di nuovi reati. La colpevolezza, in questa prospettiva, rileva ai fini della recidiva nella sua accezione di consolidamento della determinazione delittuosa pur a fronte del monito delle precedenti condanne, corrispondente a quella proposta con la suddetta sentenza Pinna. tale nozione, tuttavia, viene sviluppata in una sua inevitabile risultante, ossia la maggiore attitudine a delinquere, che sotto questo profilo costituisce una componente della colpevolezza. Questa componente, per altro verso, si traduce a sua volta in una incrementata capacità delinquenziale, che in questo senso costituisce la forma espressiva della pericolosità determinante nel giudizio sulla recidiva. Questa ricostruzione implica che, se alla colpevolezza ed alla pericolosità si attribuiscono in concreto le forme appena rispettivamente descritte, le stesse sono oggetto non di distinte valutazioni ai fini della recidiva, ma di una valutazione unitaria e consequenziale, nel senso che dall’accertamento di una maggiore colpevolezza, in quanto costituita dal rafforzamento della determinazione criminosa, deriva quello di una pericolosità costituita dalla potenzialità di commissione di altri reati. In tal modo si chiariscono non solo i rapporti fra le due componenti del fondamento sostanziale della recidiva, nel segno di una valutazione che le investe entrambe unitariamente, ma anche quelli che intercorrono in questo contesto fra i precedenti del reo e il nuovo delitto. La valutazione dell’attitudine a delinquere, invero, da un lato consente alla recidiva di svol CoNteNZIoSo NAZIoNALe gere, quale circostanza aggravante, la propria funzione di adeguamento dell’entità della risposta punitiva al nuovo delitto. Dall’altro collega quest’ultimo reato ai fatti oggetto delle condanne precedenti, in quanto è in relazione a tali fatti ad essere esaminata l’incidenza del- l’ultima ricaduta nel crimine nel contrassegnare l’ulteriore incremento dell’attitudine a delinquere, incremento che giustifica la risposta sanzionatoria di cui sopra. 5.2. Se il giudizio sulla sussistenza del presupposto sostanziale della recidiva si incentra nella valutazione sulla maggiore attitudine a delinquere del reo, lo stesso non può evidentemente ridursi alla mera constatazione della commissione di un nuovo delitto da parte del soggetto già condannato. È necessario, di contro, un esame del percorso criminale del reo e della significatività del nuovo delitto, nell’ambito di tale percorso, in termini di rafforzamento del- l’attitudine a delinquere. tanto non può prescindere dal riferimento a parametri di commisurazione relativi sia ai precedenti che al nuovo delitto. Di siffatti parametri aveva già fatto cenno la Corte costituzionale (Corte Cost., sent. n. 192 del 2007), indicandoli, oltre che nel generale riferimento agli elementi previsti dall’art. 133 c.p., anche e più specificamente nella natura e nel tempo di commissione dei reati precedentemente commessi. Una più articolata definizione dei criteri in discussione è stata tuttavia formulata dalla Sezioni Unite (Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, Calibè, Rv. 247838), sia nella specificazione degli elementi di cui sopra che nell’apertura ad altri parametri. Quanto al primo aspetto, il riferimento alla natura dei reati è stato precisato in alcuni dati riguardanti i singoli illeciti, come la qualità delle condotte ed il loro grado di offensività, e in altri attinenti alla visione complessiva dei reati, quali il tipo di devianza di cui essi sono il segno ed il loro livello di omogeneità. L’oggetto del richiamo al tempo della commissione dei reati è stato invece focalizzato nella distanza temporale intercorrente fra gli stessi. Per altro verso, la sentenza Calibè ha posto l’accento, quanto in particolare al nuovo delitto commesso, sull’importanza di valutare l’eventuale occasionalità della ricaduta nel crimine. È in primo luogo da questo punto di vista, invero, che deve essere considerata l’incidenza di tale delitto nel rafforzamento dell’attitudine a delinquere. La stessa decisione ha peraltro escluso che la suddetta elencazione abbia carattere tassativo ed esclusivo, rimanendo possibile individuare nella realtà concreta ulteriori elementi significativi. Quello che occorre sottolineare, e che si rivelerà utile per quanto si dirà in seguito, è quanto in questa pronuncia delle Sezioni Unite emerge sulla necessità di una valutazione che, pur mirata all’incidenza dell’ultimo delitto sull’attitudine a delinquere del reo, prenda in esame in questa prospettiva l’interezza dei reati compresi nella sequenza recidivante. L’obiettivo finale dell’accertamento, in altre parole, è senza dubbio la significatività dell’ultimo episodio della serie per la risposta sanzionatoria prevista dall’art. 99 c.p.; ma il metodo di tale accertamento non può che guardare al complesso della serie criminale. 6. Venendo ora all’esame dello specifico quesito proposto alle Sezioni Unite, va premesso che l’ordinanza di rimessione assume una posizione critica rispetto ad un orientamento della giurisprudenza di legittimità che segnala come maggioritario, ma che in realtà è pressochè costante e risalente. 6.1. Secondo tale orientamento, la configurabilità della recidiva reiterata non presuppone la dichiarazione della recidiva semplice in una delle precedenti sentenze di condanna, essendo sufficiente a tal fine che, al momento della commissione dell’ultimo delitto, il reo risulti gravato da più condanne definitive per reati che, valutati unitamente all’ultimo, manifestino la sua maggiore attitudine criminosa (fra le altre, Sez. 2, n. 35159 del 01/07/2022, Lodi, Rv. RASSeGNA AVVoCAtURA DeLLo StAto -N. 1/2023 283848; Sez. 2, n. 15591 del 24/03/2021, Di Maio, Rv. 281229; Sez. 2, n. 21451 del 05/03/2019, Gasmì, Rv. 275816; Sez. 5, n. 47072 del 13/06/2014, Hoxha, Rv. 261308; Sez. 2, n. 18701 del 07/05/2010, Arullani, Rv. 247089; Sez. 5, n. 41288 del 25/09/2008, Moccia, Rv. 241598; Sez. 3, n. 7864 del 20/12/1974, dep. 1975, Arrighini, Rv. 130566; Sez. 4, n. 2957 del 11/11/1974, dep. 1975, Bongi, Rv. 129565; Sez. 4, n. 4010 del 20/09/1971, Marotta, Rv. 119454; Sez. 5, n. 1192 del 12/10/1967, dep. 1968, Di Pierro, Rv. 106912, oltre alle recenti e non massimate Sez. 5, n. 26170 del 22/04/2022, Nikolic; Sez. 6, n. 11522 del 02/02/2022, D’Ignoti; Sez. 6, n. 4448 del 27/01/2022, Ahmed; Sez. 2, n. 21770 del 19/02/2021, Ranalli). Questa linea interpretativa è motivata essenzialmente in base al dato letterale. L’art. 99, comma 4, c.p., nel prevedere l’ipotesi della recidiva reiterata, non fa alcun riferimento ad una precedente dichiarazione della recidiva semplice. Come poi si sottolinea particolarmente in alcune pronunce (Sez. 1, n. 24023 del 06/05/2003, Andreucci, Rv. 225233; Sez. 3, n. 6424 del 25/06/1993, Mighetto, Rv. 195127), un siffatto richiamo non può essere tratto dalla mera indicazione come “recidivo” dei soggetto che, ove commetta altro delitto, è sottoposto all’aumento di pena proprio della fattispecie recidivante in esame. Il termine, secondo questa lettura, non sottintende la costituzione di uno stato di recidivanza per effetto di una precedente dichiarazione giudiziale in tal senso. esso, al contrario, è utilizzato dal legislatore, per comodità espositiva, quale mera espressione di sintesi che consente di non riproporre testualmente e per esteso la disposizione del comma 1 dell’articolo sul presupposto formale della recidiva semplice, ossia la precedente condanna per un delitto non colposo. 6.2. Nell’ordinanza di rimessione si richiama, indicandolo come parzialmente divergente da quello appena esposto, un indirizzo giurisprudenziale che tuttavia si discosta da quest’ultimo per un aspetto marginale, e non ne mette in discussione l’essenzialità del principio generale affermato nella possibilità di ritenere la recidiva reiterata anche in mancanza di una previa dichiarazione della recidiva semplice. Il riferimento è alle decisioni che, in contrasto con talune di quelle citate in precedenza, in particolare le sentenze Lodi e Di Maio, secondo le quali la recidiva reiterata può essere ritenuta anche ove nei procedimenti precedentemente definiti non sussistano le condizioni astratte per la dichiarazione della recidiva semplice, hanno di contro affermato la necessità che, all’epoca della commissione del reato oggetto della seconda condanna precedente, si sia realizzata la condizione del passaggio in giudicato della prima condanna (Sez. 1, n. 49567 del 02/11/2022, Panico, non mass.; Sez. 3, n. 27450 del 29/04/2022, D’Aguì, Rv. 283351; Sez. 3, n. 2519 del 14/12/2021, dep. 2022, Pistocchi, Rv. 282707; Sez. 2, n. 37063 del 26/11/2020, Kassimi, Rv. 280436). Si tratta, all’evidenza, di decisioni dipendenti dalla particolarità del caso, nel quale in precedenza difettava una condizione formale per la configurabilità della recidiva semplice; decisioni, pertanto, non incidenti significativamente sulla generalità dell’affermazione della giurisprudenza in ordine alla mancanza, fra le condizioni per la ravvisabilità della recidiva reiterata, della pregressa dichiarazione della recidiva semplice. È significativo in tal senso, del resto, che nella sentenza Panico, poc’anzi citata, la constatazione del mancato passaggio in giudicato della prima condanna al momento della commissione del secondo reato sia stata considerata pregiudizialmente quale fatto che rendeva superfluo affrontare la questione, in quella sede proposta, della necessità in tutti i casi di una previa dichiarazione della recidiva semplice. tale questione, in realtà, è rimessa alle Sezioni Unite non tanto per l’esistenza di un effettivo contrasto giurisprudenziale sul punto, quanto per la ravvisabilità di un contrasto potenziale dell’attuale orientamento, in tema di irrilevanza della pregressa dichiarazione di recidiva semplice per la rilevabilità della recidiva reiterata, con l’evoluzione giurisprudenziale ricostruita CoNteNZIoSo NAZIoNALe in precedenza in ordine alla sussistenza di un presupposto sostanziale della recidiva, costituito dalla significatività dell’ultimo delitto commesso in termini di accresciuta attitudine a delinquere del reo. ed è in questa prospettiva che la questione deve essere discussa. 7. occorre considerare innanzitutto l’argomento di carattere letterale richiamato quale fondamento dell’interpretazione fin qui sostenuta dalla giurisprudenza di legittimità sulla questione in discussione. 7.1. tale argomento ha senza dubbio una notevole consistenza. La sua persuasività, peraltro, non è data unicamente dalla pur non trascurabile rilevanza dell’assenza, nella formulazione dell’art. 99, comma 4, c.p., di qualsiasi riferimento ad una precedente affermazione giudiziaria della recidiva semplice. L’adesione alla tesi opposta, nel senso della necessità di tale precedente pronuncia, presupporrebbe infatti l’attribuzione al termine “recidivo”, che introduce il citato comma 4 indicando come tale il soggetto nei confronti del quale può essere ritenuta la fattispecie reiterata della recidiva, di un significato tale da comprendere l’intero contenuto descrittivo del comma 1 dell’articolo; non solo, quindi, l’esistenza di una prima condanna per un delitto non colposo, ma anche la concreta applicazione della recidiva con la seconda condanna, mediante il relativo umento di pena o la confluenza della circostanza aggravante in un giudizio di comparazione con circostanze di segno contrario. Se si pone tuttavia attenzione alla struttura testuale complessiva della norma, ed in particolare al rapporto fra le fattispecie del primo e del comma 4, è di immediata constatazione che dette fattispecie sono connotate da un’evidente simmetria. In entrambe, invero, ad una prima parte riferita alla posizione soggettiva di recidivanza del reo, esplicitata nel comma 1 con l’indicazione della precedente condanna e della natura del reato oggetto della stessa, segue una seconda parte rappresentativa delle conseguenze giuridiche di questa posizione sul trattamento sanzionatorio. In questa configurazione, intendere la prima parte del comma 4, ossia il riferimento all’ipotesi nella quale il “recidivo commette un altro delitto non colposo”, quale comprensiva anche della seconda parte del comma 1, relativa al riconoscimento giudiziale della recidiva, appare decisamente dissonante rispetto alla descritta corrispondenza simmetrica fra le due fattispecie; mentre è invece coerente con la stessa una lettura della riportata espressione del comma 4 nel suo significato letterale, unicamente descrittivo della posizione del soggetto che abbia posto in essere l’ulteriore delitto trovandosi nella condizione formale di recidivo semplice, prevista dalla prima parte del comma 1, e non comprensivo dell’effettivo riconoscimento giudiziale della recidiva e dei relativi effetti sanzionatori, oggetto della seconda parte del comma 1 e, correlativamente, della seconda parte del comma 4 con riguardo alla fattispecie della recidiva reiterata. tanto, a maggior ragione, ove si consideri la facoltatività del giudizio da cui dipende la conseguenza sanzionatoria prevista dal comma 1 e, come si è visto, anche dal comma 4, a fronte della invece tassativa qualificazione di recidivanza per effetto del dato formale della pregressa condanna. L’elemento testuale, in sostanza, depone univocamente nel leggere il termine “recidivo” presente nel comma 4, conformemente all’interpretazione del- l’orientamento giurisprudenziale criticato con l’ordinanza di rimessione, come meramente ripropositivo in forma sintetica dell’espressione estesamente utilizzata nel comma 1 per descrivere la condizione di precedente condanna, e non inclusivo dell’eventuale, concreta applicazione della recidiva nei suoi effetti sanzionatori. 7.2. Vi sono, d’altra parte, diversi aspetti sistematici che si pongono in linea con questa conclusione. RASSeGNA AVVoCAtURA DeLLo StAto -N. 1/2023 L’art. 105 c.p., in primo luogo, prevede espressamente che sia dichiarato delinquente o contravventore professionale il soggetto che “trovandosi nelle condizioni richieste per la dichiarazione di abitualità, riporta condanna per altro reato”. Da questa formulazione emerge chiaramente (come del resto riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità, Sez. 4, n. 13463 del 05/11/2019, dep. 2020, Guarneri, Rv. 278919) che la dichiarazione di professionalità può essere pronunciata anche ove quella di livello immediatamente inferiore nella progressione prevista dalla legge, ossia quella di abitualità, non sia stata giudizialmente affermata, essendo sufficiente che ne sussistano le condizioni. Si tratta di un caso indubbiamente diverso oggetto da quello sottoposto a questa Corte con l’ordinanza di rimessione, e tuttavia significativo in quanto costituisce applicazione di un principio, per il quale non è necessaria l’espressa pronuncia di una dichiarazione costitutiva di una condizione relativa ai precedenti penali del reo di grado inferiore a quella valutata nel procedimento, sussistendone comunque i presupposti, in una fattispecie le cui conseguenze giuridiche sono per il soggetto interessato più gravi ed afflittive di quelle della recidiva. Si evidenzia in tal modo come sia conforme al sistema che il principio operi anche per la fattispecie della recidiva reiterata rispetto a quella della recidiva semplice, nel senso della possibilità di ritenere la prima anche solo in presenza delle condizioni formali della seconda. Considerazioni analoghe valgono per la previsione di ostatività della recidiva reiterata oltre che delle condizioni di abitualità e professionalità nelle contravvenzioni -all’ammissione all’oblazione speciale, di cui all’art. 162-bis, comma 3, c.p. La formulazione della relativa disposizione, nei termini per cui “l’oblazione non è ammessa quando ricorrono i casi previsti dal terzo capoverso dell’art. 99”, è infatti costantemente intesa dalla giurisprudenza di legittimità nel senso che la condizione di recidiva reiterata impedisce l’accesso all’oblazione anche ove la stessa non sia stata giudizialmente dichiarata (Sez. 3, n. 29238 del 17/02/2017, Cavallero, Rv. 270147; Sez. 3, n. 55123 del 04/10/2016, Derbali, Rv. 268776; Sez. 4, n. 20309 del 16/03/2004, Marchetta, Rv. 228922). Si è in particolare osservato sul punto che l’espressione testualmente riferita alla ricorrenza, fra gli altri, del caso della recidiva reiterata, deve essere letta, per il suo tenore sia letterale che logico, come indicativa della mera sussistenza dei precedenti che per il loro numero e la loro natura integrano il presupposto formale dell’ipotesi recidivante in esame (Sez. 1, n. 17316 del 05/04/2006, Giunta, Rv. 234251). È ancora all’interpretazione giurisprudenziale, infine, che si deve l’assimilazione, ai casi appena considerati, di quello dell’interdizione al cosiddetto “patteggiamento allargato”, ossia esteso all’applicazione di una pena detentiva non soggetta al limite massimo di due anni, ma a quello di cinque anni, prevista dall’art. 444, comma 1-bis, c.p.p. tale disposizione si esprime testualmente escludendo dalla possibilità di ricorrere a tale forma di applicazione di pena, fra gli altri, “coloro che siano stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza, o recidivi ai sensi dell’art. 99, comma 4, c.p.”; formulazione, questa, che può suggerire un'associazione della posizione dei recidivi reiterati a quella dei delinquenti abituali, professionali o per tendenza, nella condizione della necessità di una dichiarazione giudiziale di dette posizioni anteriore al procedimento nel quale è richiesta l’applicazione della pena, ed in tal senso è stata in effetti intesa da talune pronunce (Sez. 1, n. 1007 del 13/11/2008, dep. 2009, Manfredi, Rv. 242509; Sez. 6, n. 39238 del 16/09/2004, Bonfanti, Rv. 230378). Le Sezioni Unite hanno tuttavia escluso la legittimità di questa interpretazione, osservando che la norma è espressa in una forma tecnicamente imprecisa, in quanto utilizzata essenzialmente per ragioni di uniformità lessicale nell’esposizione di tutte le situazioni soggettive ostative all’ammissi CoNteNZIoSo NAZIoNALe bilità del patteggiamento allargato -la maggior parte delle quali caratterizzate dalla previsione di un'apposita dichiarazione, come per l’appunto quella di abitualità, professionalità e tendenza a delinquere -prescindendo dalle differenze sostanziali fra dette situazioni (Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, Calibè, Rv. 247840). In questo contesto, la peculiarità sostanziale che distingue la recidiva reiterata, e la recidiva in generale, è individuata dalla sentenza Calibè proprio nel fatto che essa non è oggetto di una formale dichiarazione, ma può solo essere ritenuta e applicata per i reati in relazione ai quali è contestata. La stessa nozione di una previa dichiarazione della recidiva reiterata, quale condizione ostativa all’accesso al patteggiamento allargato, è dunque improponibile. Questa lettura della previsione dell’art. 444, comma 1-bis, c.p.p. non consente pertanto di ravvisare nella stessa un dato sistematico in senso distonico dall’indirizzo giurisprudenziale sulla possibilità di ritenere la recidiva reiterata anche in mancanza di un precedente riconoscimento della recidiva semplice. È significativo, al contrario, che le conclusioni della sentenza Calibè sul punto siano state richiamate a sostegno di talune delle decisioni conformi a tale indirizzo (Sez. 2, n. 15591 del 24/03/2021, Di Maio, Rv. 281229; Sez. 2, n. 21451 del 05/03/2019, Gasmi, Rv. 275816). 8. A fronte degli elementi letterali e sistematici di cui sopra, nell’ordinanza di rimessione si richiama l’attenzione sulla necessità di tenere conto delle profonde modificazioni nella struttura dell’istituto della recidiva e nel giudizio sull’applicazione dello stesso, indotte dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità con l’individuazione del requisito sostanziale dell’accentuata attitudine a delinquere del reo, in quanto manifestazione di maggiore colpevolezza e pericolosità, e con la conseguente necessità, perchè la recidiva possa considerarsi ritenuta ed applicata, di una valutazione sulla sussistenza nel caso concreto di tale presupposto. Si osserva in proposito che, per effetto di questa mutata concezione della recidiva, la stessa non si riduce più nei limiti di uno status personale dipendente unicamente dalla presenza di determinati precedenti penali, ma si articola altresì in una più complessa condizione di incidenza del nuovo delitto commesso sull’attitudine a delinquere, da valutarsi nel significato in tal senso di tale delitto in relazione con i precedenti. tanto rende necessario, secondo questa interpretazione, che ogni livello di recidiva debba essere specificamente esaminato in corrispondenza con la commissione del nuovo delitto che ne rende formalmente accertabile la ricorrenza; e che pertanto la recidiva reiterata non possa essere valutata in mancanza di un accertamento sull’applicazione del precedente livello della recidiva semplice. Vi è un aspetto che può essere immediatamente colto in questa proposta ermeneutica, e che incide negativamente, e in misura non marginale, sulla persuasività della relativa argomentazione. Quest’ultima si presenta indubbiamente come improntata alla piena valorizzazione della nuova concezione della recidiva nel superamento di una rigidità applicativa, derivante dalla mera constatazione dell’esistenza delle precedenti condanne, in favore del giudizio in concreto sull’elemento sostanziale della maggiore attitudine a delinquere. Sul piano dei rapporti fra la recidiva semplice e la recidiva reiterata, tuttavia, tale proposta si risolve contraddittoriamente nell’introduzione di una diversa e non meno evidente connotazione di rigidità, data dal sottoporre l’applicazione della recidiva reiterata alla imprescindibile condizione del previo accertamento della recidiva semplice. Si tratta di un profilo di rigidità che, considerate le varie ed occasionali ragioni per le quali può accadere che detto accertamento non abbia avuto luogo -dalla mancata contestazione della recidiva nel procedimento precedente ad una diversa valutazione sulla significatività del delitto giudicato in quella sede, oppure alla mera omissione motivazionale sul punto -manifesta ancor più vividamente la sua RASSeGNA AVVoCAtURA DeLLo StAto -N. 1/2023 incoerenza con l’intento di concretezza e sostanzialità del giudizio sulla recidiva, posta alla base della tesi in discussione. A prescindere da questa difficoltà argomentativa, risulta però decisivo un ulteriore ordine di considerazioni. Va premesso che, per superare un dato letterale della pregnanza di quello in precedenza esposto, occorrerebbe che la soluzione proposta, nel senso della necessità di un precedente riconoscimento della recidiva semplice perchè si possa procedere all’accertamento della recidiva reiterata, costituisca l’unico percorso procedurale che consenta una piena e compiuta verifica sulla sussistenza del presupposto sostanziale della recidiva anche rispetto alla significatività dell’ulteriore delitto, in termini di accresciuta attitudine a delinquere, ai fini della configurabilità dell’ipotesi della fattispecie reiterata. orbene, si è in precedenza sottolineato come le Sezioni Unite, nella più volte menzionata sentenza Calibè, abbiano evidenziato che il giudizio sulla recidiva, pur essendo incentrato sulla rilevanza dell’ultimo delitto commesso rispetto alla valutazione dell’accresciuta attitudine a delinquere, deve avere ad oggetto la totalità dei reati compresi nella sequenza recidivante, nel loro apporto all’incremento dell’attitudine suindicata. Il riferimento a questo principio mostra come sia assolutamente possibile e praticabile una valutazione della maggiore attitudine a delinquere, rispetto alla ravvisabilità dell’ipotesi della recidiva reiterata, anche in assenza di una precedente valutazione in tal senso relativamente alla fattispecie intermedia della recidiva semplice. Se, infatti, l’oggetto del giudizio sulla recidiva reiterata, come sulla recidiva in generale, deve comprendere il contributo specifico di tutti i reati della serie esaminata alla formazione ed al consolidamento della risoluzione e della disposizione criminale del reo, lo stesso assorbe necessariamente quella che sarebbe stata la valutazione sul passaggio della recidiva semplice, in quanto riguardante anche la significatività propria del delitto che avrebbe determinato la configurabilità di tale ipotesi. Nella situazione in esame, in altre parole, tale valutazione non rimane omessa, ma può e deve essere effettuata, sia pure retrospettivamente, nell’ambito di quella attinente alla fattispecie della recidiva reiterata. In sostanza, la doverosa considerazione della nuova fisionomia dell’istituto della recidiva non conduce inevitabilmente alla necessità che la recidiva reiterata sia valutata e ritenuta solo in presenza di un precedente riconoscimento della recidiva semplice, potendo le relative esigenze essere realizzate nell’ambito del giudizio complessivo ai fini dell’applicazione della recidiva reiterata. Di conseguenza, non vi è ragione per superare un dato letterale e sistematico chiaramente orientato nell’escludere che il previo accertamento della recidiva semplice sia condizione per valutare l’applicabilità della recidiva reiterata. 9. Le considerazioni appena svolte evidenziano l’infondatezza della prima delle osservazioni proposte dal Procuratore generale nella memoria depositata e nelle conclusioni, formulate nel corso dell’udienza, che la richiamano; vale a dire, quella per cui la recidiva reiterata, ove ritenuta solo in base ai precedenti penali che formalmente la giustificano, non comprenderebbe la recidiva semplice. Le concrete modalità di accertamento della recidiva reiterata, nella comlessiva valutazione di cui sono stati esposti i termini, includono infatti non solo il presupposto formale della recidiva semplice, ma anche quello sostanziale. Quanto agli ulteriori rilievi del Procuratore generale, l’espressa previsione dell’art. 105 c.p., in ordine alla possibilità della dichiarazione di professionalità nel reato anche in assenza di una precedente dichiarazione di abitualità, non è conducente in ordine all’attribuzione di significato contrario alla mancanza di una similare previsione per il riconoscimento della recidiva reiterata in assenza di un precedente accertamento della recidiva semplice; si è visto in CoNteNZIoSo NAZIoNALe precedenza, di contro, come la possibilità di un accertamento successivo dei presupposti del- l’ipotesi di livello inferiore, in quanto prevista per fattispecie dagli effetti più gravi rispetto a quelle della recidiva, sia significativa della conformità al sistema di una soluzione analoga per le ipotesi di cui all’art. 99 c.p. Non sono poi rilevanti i riferimenti alla esplicita disposizione dell’art. 679 cod. proc. pen. sulla facoltà, per il giudice di sorveglianza, di accertare la pericolosità del condannato ai fini della dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato, ed alla preclusione dell’applicazione della recidiva in sede di esecuzione ove la stessa non sia stata ritenuta nel giudizio di cognizione, trattandosi di situazioni processuali chiaramente diverse da quella qui esaminata. Non è infine ravvisabile, quale effetto pregiudizievole della possibilità di accertare direttamente la recidiva reiterata, quello di impedire, a colui che sia stato condannato per la seconda volta, di adeguare la propria condotta di vita al monito della recidiva semplice e di non incorrere nelle conseguenze sanzionatorie della più grave ipotesi recidivante, in contrasto con la funzione rieducativa della pena. La possibilità di conformare la propria condotta alla previsione delle predette conseguenze sanzionatorie è infatti garantita per il condannato, anche in assenza dell’espressa indicazione della recidiva semplice nelle condanne precedenti, dalla predeterminazione normativa delle condizioni formali per le varie ipotesi di recidiva e delle loro implicazioni in tema di valutabilità delle stesse ai fini dell’applicazione di aumenti di pena anch’essi specificamente previsti dalla legge. Neppure si pone alcuna problematica con riguardo alla prevedibilità di una condanna che comprende anche l’aggravante della recidiva reiterata, essendo comunque necessario che la stessa sia oggetto di precisa contestazione. È altresì irrilevante il richiamo del difensore del ricorrente, nel corso della discussione, alla previsione dell’art. 81, comma 4, c.p. sul limite minimo dell’aumento per il concorso formale o la continuazione di reati nei confronti dei soggetti “ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall’art. 99, comma 4”, con una dicitura che richiede un compiuto accertamento della fattispecie recidivante. La norma citata disciplina anche in questo caso un’ipotesi sostanzialmente diversa da quella oggetto della questione rimessa, regolando un effetto penale della recidiva reiterata e non i rapporti fra tale forma di recidiva e quella della recidiva semplice. 10. Deve pertanto concludersi nel senso che la recidiva reiterata può essere accertata, ritenuta ed applicata nei confronti di un soggetto recidivo, da considerarsi tale in quanto già condannato due volte per delitti non colposi, anche se tale condizione di recidivanza non sia stata ritenuta nel precedente giudizio, in conformità con l’indirizzo fin qui seguito dalla giurisprudenza di legittimità. Detto questo, l’importanza dell’evoluzione che ha portato ad una diversa configurazione della recidiva e dei suoi aspetti applicativi, pur se non tale da creare il potenziale contrasto denunciato con l’ordinanza di rimessione, non deve essere trascurata. Lo spazio nel quale questa realtà può trovare adeguata considerazione non è, tuttavia, quello di un irrigidimento formalistico nella successione delle affermazioni giurisprudenziali delle varie ipotesi di recidiva, ma, piuttosto, quello della motivazione sull’applicazione della recidiva reiterata, segnatamente nel caso in cui non vi sia stato un precedente accertamento della recidiva semplice. La rilevanza dell’aspetto motivazionale della recidiva, nella nuova definizione assunta dal- l’istituto, è stata da tempo segnalata dalle Sezioni Unite, nel rilevare che la facoltatività del- l’applicazione della stessa impone al giudice, sia nel caso in cui disponga tale applicazione che nel caso contrario, uno specifico dovere di motivazione in proposito (Sez. U, n. 5859 del 27/10/2011, dep. 2012, Marcianò, Rv. 251690). tornando sulla questione, le Sezioni Unite hanno ribadito e dettagliato il principio, osservando che il superamento della concezione della RASSeGNA AVVoCAtURA DeLLo StAto -N. 1/2023 recidiva come status soggettivo determinato dai soli precedenti penali non rende più ammissibile una motivazione affidata a formule di stile; è di contro doverosa un’argomentazione che, precisando gli elementi fattuali presi in considerazione e i criteri utilizzati per valutarli, dia conto della maggiore rimproverabilità del reo per non essersi fatto distogliere dalla risoluzione criminosa per effetto delle precedenti condanne (Sez. U, n. 20808 del 25/10/2018, dep. 2019, Schettino, non massimata sul punto). Gli elementi fattuali e i criteri di valutazione, a cui la motivazione deve fare riferimento, sono evidentemente quelli già indicati dalle stesse Sezioni Unite nella sentenza Calibè, e dei quali si è detto in precedenza: la tipologia e l’offensività dei reati, la loro omogeneità e collocazione temporale, la devianza della quale sono complessivamente significativi e l’occasionalità o meno dell’ultimo delitto, oltre ad eventuali, ulteriori, dati emergenti dalla fattispecie concreta. Con riguardo alla recidiva reiterata, il principio si traduce nella necessità che i fatti oggetto delle pregresse condanne ed il nuovo delitto siano esaminati nelle loro connotazioni sintomatiche di un progressivo rafforzamento della determinazione criminosa e dell’attitudine a delinquere del reo. Nel caso in cui difetti, per qualsiasi ragione, un precedente riconoscimento giudiziale della recidiva semplice, questa impostazione motivazionale consente di conciliare adeguatamente tale evenienza con il rispetto delle esigenze di verifica del presupposto sostanziale della recidiva in tutti i passaggi del percorso criminale del reo. La valutazione, fra gli altri, del reato oggetto della seconda condanna precedente, nel suo apporto al consolidamento dell’attitudine a delinquere, è infatti in grado di motivare l’esistenza di una base recidivante che sostiene l’aumento corrispondente alla recidiva reiterata, in presenza di un nuovo delitto stimato come fattore indicativo di ulteriore rafforzamento della predetta attitudine. 11. Deve in conclusione essere affermato il seguente principio di diritto: “ai fini del riconoscimento della recidiva reiterata è sufficiente che, al momento della consumazione del reato, l’imputato risulti gravato da più sentenze definitive per reati precedentemente commessi ed espressivi di una maggiore pericolosità sociale, oggetto di specifica ed adeguata motivazione, senza la necessità di una previa dichiarazione di recidiva semplice”. 12. Dal principio appena enunciato discende evidentemente l’infondatezza del motivo di ricorso proposto dal B.B. con riguardo alla recidiva, nella parte in cui lamenta l’illegittimità dell’applicazione della recidiva reiterata in assenza di un precedente riconoscimento della recidiva semplice. È altresì infondata la doglianza relativa all’omessa contestazione della recidiva nei procedimenti relativi alle precedenti condanne, che il difensore del ricorrente ha ritenuto di corroborare con la produzione di due delle relative sentenze, da cui emerge tale circostanza. Si tratta, infatti, di un aspetto irrilevante rispetto all’operatività del principio indicato, come detto in precedenza, a prescindere dalle ragioni per le quali la recidiva semplice non sia stata in precedenza riconosciuta. Il motivo, peraltro, si articola anche nel rilievo di carenza motivazionale sull’accertamento della maggiore attitudine a delinquere della quale sarebbe espressivo il delitto oggetto del presente procedimento. tale censura, tuttavia, è essa pure infondata. È opportuno premettere che dal certificato penale del B.B. risultano una sentenza di applicazione di pena del tribunale di Ancona in data 13/03/2013, irrevocabile dal 24/04/2013, per un reato di furto commesso il 05/01/2012; una sentenza di condanna del tribunale di Ancona in data 15/07/2019, irrevocabile dal 17/11/2019, per un reato di furto commesso il 18/02/2016; e una sentenza di condanna del giudice dell’udienza preliminare del tribunale di Ancona in CoNteNZIoSo NAZIoNALe data 12/11/2020, irrevocabile dal 02/12/2020, per un reato di tentata estorsione commesso il 08/02/2019. occorre altresì sottolineare che il motivo di appello sul punto verteva essenzialmente sulla distanza temporale di quasi cinque anni trascorsa fra la commissione, nel febbraio del 2016, dell’ultimo delitto di furto precedentemente giudicato, e quella del furto oggetto del presente procedimento, avvenuta nel febbraio del 2020; e marginalmente su un accenno al carattere bagatellare di quest’ultimo reato. Con la sentenza impugnata si rispondeva, quanto al primo aspetto, richiamando l’ulteriore condanna per il reato di tentata estorsione, commesso nel febbraio del 2019. A questo proposito il difensore del ricorrente, all’odierna discussione, ha osservato che della condanna per il fatto estorsivo non può tenersi conto, ai fini della recidiva, in quanto divenuta definitiva successivamente al delitto qui giudicato. orbene, a parte il fatto che tale rilievo non era proposto con il ricorso, va considerato che lo stesso, se inteso ad escludere la sussistenza del requisito formale della recidiva -conformemente all’orientamento giurisprudenziale, citato in precedenza, per il quale rilevano a tal fine le precedenti condanne passate in giudicato prima della commissione dell’ultimo delitto -non è in grado di conseguire tale risultato, in quanto il B.B., come si è visto poc’anzi, aveva riportato comunque all’epoca due condanne per furto, ed era dunque già recidivo nell’accezione che consente l’applicazione della recidiva reiterata. Se invece la censura è diretta a contestare la valutabilità del fatto estorsivo per l’aspetto sostanziale della recidiva, va osservato che il fatto in esame era preso in considerazione nella sentenza impugnata al fine specifico di evidenziare come non ricorresse, nel percorso criminale del B.B., l’ampia lacuna temporale dedotta con l’atto di appello. Argomento, questo, che corrisponde puntualmente ad uno degli elementi fattuali indicati dalla giurisprudenza per il giudizio sulla recidiva, ossia la distanza cronologica fra i reati. Il ricorrente, invece, nulla deduce in ordine alla principale argomentazione svolta sul punto nella sentenza di primo grado, relativa in particolare all’accrescimento della determinazione a delinquere dell’imputato, nella successione dei reati di furto, dimostrato dalla sempre maggiore specializzazione nell’esecuzione delle condotte; argomentazione peraltro non aggredita specificamente neppure nell’atto di appello. Il ricorso è dunque generico per questo aspetto. D’altra parte, il complesso motivazionale delle sentenze di merito, valorizzando l’elemento in esame, offre una congrua giustificazione sul progressivo incremento dell’attitudine a delinquere dell’imputato, articolata nella considerazione per la quale alle precedenti condanne per reati analoghi, lungi dal corrispondere la dissuasione dell’imputato dalla ricaduta nel crimine, aveva al contrario fatto seguito l’acquisizione della descritta specializzazione, rilevabile nell’implicito quanto evidente richiamo alle modalità del fatto descritte nell’imputazione, quali il coinvolgimento di più persone nella condotta delittuosa, la scelta dell’obiettivo di tale condotta in un locale pubblico chiuso ed appartato e l’impossessamento di titoli di credito oltre che di denaro contante. In questa prospettiva, la motivazione tocca tutti gli aspetti determinanti nel giudizio sulla sussistenza del presupposto sostanziale della recidiva, vale a dire l’omogenea offensività patrimoniale di tutti i reati oggetto delle precedenti condanne, la loro collocazione in un contesto temporale unitario e continuo, nel quale si colloca anche il delitto estorsivo, e il carattere non occasionale dell’ultima ricaduta nel crimine; e risulta superato, in quanto logicamente incompatibile con questa ricostruzione, anche l’accenno dell’atto di appello alla asserita natura bagatellare dell’ultimo delitto, peraltro proposto in quella sede in termini meramente assertivi e non reiterato nel ricorso. 13. Il motivo dedotto sul diniego dell’attenuante di cui all’art. 114 c.p. è inammissibile. Posto che l’affermazione di responsabilità degli imputati era motivata con il ritrovamento RASSeGNA AVVoCAtURA DeLLo StAto -N. 1/2023 degli stessi, insieme a una donna nei confronti della quale si procedeva separatamente, sull’arenile antistante la veranda del ristorante, con il tentativo del A.A. di disfarsi degli assegni e del contante, sottratti dal ristorante, e di due torce, e con il ritrovamento di un piede di porco, un tondino, delle tenaglie e un cacciavite nella sabbia smossa sul luogo ove gli imputati erano stati sorpresi, si osservava nella sentenza impugnata che la prossimità di tutti i soggetti agenti al luogo di rinvenimento degli arnesi da scasso, a pochi metri dal luogo del furto, non consentiva di distinguere la qualità degli apporti concorsuali degli stessi. A tanto il ricorrente oppone rilievi generici, e meramente reiterativi delle argomentazioni proposte con l’appello, sul ruolo asseritamente marginale dell’imputato e sulla riconducibilità ai coimputati del possesso degli strumenti di effrazione, non confrontandosi con le considerazioni della Corte territoriale sulla posizione viceversa indifferenziata degli imputati. 14. Anche il motivo dedotto sul diniego delle attenuanti generiche è inammissibile. Il ricorrente, limitandosi a denunciare la carenza motivazionale dell’affermazione della sentenza impugnata sulla mancata indicazione di elementi a sostegno della richiesta difensiva, che invece sarebbero stati segnalati con l’atto di appello, ripropone di fatto tali elementi che, in quanto descritti nella modesta gravità della condotta, nel carattere risalente dei precedenti penali dell’imputato e nell’ottimo comportamento processuale, risultavano generici rispetto alle considerazioni della sentenza di primo grado sulle modalità del fatto e sulla personalità degli imputati. Le censure del ricorso sono pertanto manifestamente infondate rispetto ad una motivazione con la quale la Corte territoriale evidenziava come non fossero stati dedotti elementi ulteriori in grado di superare le considerazioni del tribunale sul punto. 15. A voler infine considerare la possibilità, affermata nella recente giurisprudenza di legittimità, di rilevare d’ufficio in questa sede l’applicabilità della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, di cui all’art. 131-bis c.p., come novellato dall’art. 1, comma 1, lett. c), n. 1 D.Lgs. n. 10 ottobre 2022, n. 150, in ragione della natura sostanziale dell’istituto e della immediata rilevabilità della fattispecie nei giudizi pendenti (Sez. 4, n. 9466 del 15/02/2023, Castrignano, Rv. 284133; Sez. 6, n. 7573 del 27/01/2023, Arzaroli, Rv. 284241), va osservato che la stessa giurisprudenza ammette che una decisione negativa in merito possa essere implicitamente desunta dalla complessiva struttura argomentativa della sentenza (Sez. 4, n. 5396 del 15/11/2022, dep. 2023, Lakrafy, Rv. 284096; Sez. 3, n. 43604 del 08/09/2021, Cincolà, Rv. 282097; Sez. 5, n. 6746 del 13/12/2018, dep. 2019, Currò, Rv. 275500). In tal senso, le considerazioni svolte nella sentenza impugnata sui precedenti penali dell’imputato e sulla natura non occasionale dell’ultimo delitto commesso, ai fini dell’applicazione della recidiva reiterata, integrano senz’altro una motivazione implicita sull’insussistenza dei presupposti per la ricorrenza dell’indicata causa di non punibilità. 16. Il ricorso del B.B. è pertanto complessivamente infondato, seguendone la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso proposto da A.A. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro cinquecento in favore della Cassa delle ammende. Rigetta il ricorso proposto da B.B. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 30 marzo 2023. CoNteNZIoSo NAZIoNALe Costituzione di parte civile dopo la riforma Cartabia: brevi considerazioni a caldo sulla sentenza delle Sezioni Unite del 21 settembre 2023 n. 38481 Antonio Trimboli* Volendo mettere in guardia da quello che d’ora in avanti sarà lo sport del “tiro al bersaglio sull’ammissibilità della costituzione di parte civile”, con l’aggravante che molti arbitri di gara saranno ben contenti di sbarazzarsi di uno scomodo ed ulteriore soggetto a cui dare delle risposte, si segnala il cambio di rotta della giurisprudenza di legittimità in ordine all’impegno argomentativo richiesto per la costituzione di parte civile. La sentenza (f. 9 e ss.) -sebbene la rimessione alle sezioni unite fosse per un altro tema sia pur connesso -ha riconosciuto come le nuove disposizioni (artt. 573, co. 1 bis e 78, co. 1, lett. d) c.p.p.) fotografino a differenza del passato un unico giudizio, che prosegue senza soluzione di continuità dalla sede penale a quella civile, cosicchè le ragioni della domanda di costituzione di parte civile debbano essere illustrate secondo gli stilemi dell’atto di citazione del processo civile, come previsto dall’art. 163, co. 3 n. 4 c.p.c., specificando -sempre secondo quanto si legge nel provvedimento -i motivi in forza dei quali si pretende che dal reato siano scaturite conseguenze pregiudizievoli, nonché il titolo che legittima a far valere la pretesa. Viene, quindi, superato il costante orientamento giurisprudenziale (ex multis: sez. ii, sent. 23940 del 15 luglio 2020, Rosati; sez. V, sent. 544 del 13 dicembre 2006, Bianco) secondo cui la causa petendi è sufficientemente individuata attraverso il richiamo al capo di imputazione, laddove la contestazione riguardi un reato di danno, mentre una maggiore specificazione delle ragioni a base della domanda si impone se si tratti di un reato di pericolo o il danneggiato non sia anche persona offesa. Linea quest’ultima peraltro seguita anche dai primi commentatori della riforma, i quali hanno sostenuto come la specificazione aggiunta all’art. 78 lett. d) c.p.p. non mutasse il quadro delineato fino ad allora dalla giurisprudenza, ma si limitasse solo a codificarlo. Questo cambio di rotta purtroppo non penso sia foriero di cose positive per la Difesa erariale. In questi termini, non pare possa sfuggire come -nonostante una contrazione dei tempi con il rischio di compromettere la qualità difensiva fosse già avvenuta con la limitazione della costituzione di parte civile alla sola fase ini (*) Avvocato dello Stato e Dottore di Ricerca in Diritto Pubblico -indirizzo Penale e Procedura Penale presso l’Università di Roma tor Vergata. RASSeGNA AVVoCAtURA DeLLo StAto -N. 1/2023 ziale dell’udienza preliminare -questo ulteriore intervento riduca ulteriormente i tempi di preparazione della difesa, tanto nella redazione del parere quanto dell’eventuale atto successivo, poiché si dovrà molto spesso sollecitare ed invitare l’Amministrazione interessata a puntualizzare compiutamente le circostanze descrittive del nesso di causalità giuridica tra fatto-reato e conseguenze pregiudizievoli (c.d. danno conseguenza), le quali non potranno certo risolversi in lunghe, generali e astratte petizioni di principio come spesso avviene. e ancora, l’impostazione della Cassazione, così come costruita, darà la stura ad eccezioni di inammissibilità motivate sulla mancata specificazione/allegazione di un danno, così trasformando la delibazione sull’ammissibilità della domanda in un accertamento preliminare sulla sua fondatezza, quanto meno in termini di danno potenziale, cosa finora esclusa, ma che probabilmente troverà sponda in diversi giudicanti, spesso poco attenti a distinguere i due momenti del giudizio. Ciò detto, non può che prendersi atto di come il nuovo indirizzo venga ad essere il risultato applicativo di una riforma che -come tante altre (si pensi a quella del processo civile) -non tiene conto, da un lato, delle peculiarità del sistema su cui si innesta e, dall’altro, di una visione d’insieme dell’ordinamento. e infatti quello che la Corte individua come titolo che legittima a far valere la pretesa altro non può essere se non il fatto-reato, mentre il richiamo al nesso civilistico del danno non lega bene né con il dinamismo probatorio del rito penale, né con alcune sue regole. Il perimetro del giudizio penale è -e deve necessariamente rimanere l’imputazione, non potendo inocularsi fatti altri identificativi di un nesso civilistico, poiché vi sarebbe il rischio di contaminare surrettiziamente l’imputazione con possibili condanne per fatti altri o diversi senza una preventiva contestazione e il conseguente rischio di processi nulli. Una specificazione del nesso civilistico non troverebbe nemmeno piena soddisfazione sotto un profilo probatorio, visto che gli strumenti di prova sono governati principalmente dal P.M., quindi diretti alla dimostrazione del fatto- reato (condotta -nesso causale -evento), lasciando nella prassi poco spazio alla parte civile, come si evince dalla circostanza che la maggioranza delle sentenze di condanna a favore della p.c. sono di tipo generico. I riformatori prima e le sezioni unite dopo sembrano dimenticare che nell’ipotesi in cui la domanda risarcitoria venga proposta nel processo penale -i rapporti tra azione civile e poteri cognitivi del giudice penale continuano ad essere informati al “principio di accessorietà” dell’azione civile rispetto a quella penale, principio che trova fondamento nelle “esigenze, di interesse pubblico, connesse all’accertamento dei reati e alla rapida definizione dei processi” e che ha quale naturale implicazione quella per cui l’azione civile, ove esercitata all’interno del processo penale, “è destinata a subire tutte le conseguenze e gli andamenti derivanti dalla funzione e dalla struttura” di que CoNteNZIoSo NAZIoNALe sto rito, di cui il danneggiato accetta le regole di ingaggio (in tal senso: C. Cost. sent. n. 12 del 2016 e sent. n. 176 del 2019). Il legislatore avrebbe dovuto essere meno ipocrita procedendo o a eliminare la parte civile dal processo penale, come avviene nel processo penale minorile (art. 10 d.P.R. 448/1988), dove però l’eccezione trova giustificazione nella necessità di preservare la personalità del minore o, quanto meno, attivare un meccanismo diverso per l’appello della parte civile. Quest’ultimo punto si giustifica in ragione del fatto che la necessità di modifica dei requisiti per la costituzione della parte civile -come dicono anche le sezioni unite -non risulta derivante da alcuna delle direttive della legge delega, circostanza questa che potrebbe minarne la legittimità costituzionale. Ciò avrebbe dovuto condurre un legislatore più responsabile ad intervenire sull’appello della p.c., non creando un giano bifronte quale l’art. 573, co. 1 bis c.p.p. e la sua stampella rappresentata dalla specifica di cui all’art. 78 lett. d), bensì disponendo che il gravame si dovesse proporre avanti al giudice civile secondo le regole di questo, ferme le prove già raccolte in sede penale e quelle ulteriori acquisibili nel processo civile, cosicchè attraverso questo strumento si potesse procedere ad un emendatio della domanda -come già avviene nell’ipotesi di rinvio di cui all’art. 622 c.p.p. -mediante una più puntuale descrizione della causalità giuridica tra reato e pregiudizio. Una tale soluzione -oltre a rispondere ai principali obiettivi della riforma, ossia efficienza e riduzione dei tempi processuali -trova conforto nell’interpretazione convenzionalmente orientata data dal Giudice delle Leggi all’art. 578 c.p.p., qualora il giudice penale debba conoscere dei soli interessi civili, perché il reato si è prescritto (sent. n. 182 del 2021); principio questo valevole ogni qualvolta la cognizione investa la sola domanda di danno, come ad esempio nel caso di gravame avverso sentenza assolutoria. In quell’occasione, la Corte Costituzionale chiarì, infatti, come il giudice penale non debba effettuare alcuna delibazione, nemmeno incidenter tantum, sulla responsabilità penale dell’imputato, essendo il giudicante chiamato a valutare non se il fatto presenti gli elementi costitutivi della condotta criminosa tipica (commissiva o omissiva) contestata come reato, bensì se quella condotta sia stata idonea a provocare un “danno ingiusto” secondo l’art. 2043 c.c. Alla luce di tutto questo, come per la riforma civile in cui sono presenti norme non proprio ottimali per la Difesa erariale (es. i tempi di costituzione del convenuto nel rito ordinario; la comparizione obbligatoria della parte alla prima udienza o in mediazione), rimane l’amarezza per una riforma alla cui elaborazione non sia intervenuto un Avvocato dello Stato, il cui contributo sarebbe stato sicuramente chiarificatore, perché -differentemente da altre categorie -oltre alle singole specializzazioni di ciascuno, abbiamo una visione generale dell’ordinamento giuridico, stante la trasversalità della nostra attività. RASSeGNA AVVoCAtURA DeLLo StAto -N. 1/2023 Non resta che attendere l’assestamento del nuovo indirizzo in seno alla giurisprudenza merito, sperando che possa valere quanto detto da tancredi Falconeri allo zio Principe di Salina nel Gattopardo di Giuseppe tomasi di Lampedusa: “se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”, almeno per quanto riguarda una non puntigliosa esposizione analitica del nesso che lega fatto -reato e pregiudizio. Cassazione penale, Sezioni Unite, sentenza (ud. 25 maggio 2023) 21 settembre 2023 n. 38481 -Pres. M. Cassano, Est. G. Andreazza -Ricorso proposto da parte civile A.A. (avv. F. Valentini) nel procedimento a carico di B.B., avverso la sentenza del 14 gennaio 2022 della Corte d’appello di L’Aquila. RIteNUto IN FAtto 1. Il tribunale di L’Aquila, con sentenza del 9 settembre 2019, condannava B.B., tratto a giudizio per rispondere dei delitti di cui agli artt. 582 e 590 c.p. in relazione alle lesioni personali cagionate dolosamente in tre occasioni alla convivente A.A., ed alle lesioni personali cagionate, per colpa, alla loro figlia A.H., alla pena di anni due di reclusione per il diverso delitto di cui all’art. 572 c.p., così giuridicamente riqualificati i fatti di cui all’imputazione; alla pronuncia seguiva la condanna del B.B. al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile A.A., equitativamente liquidato in euro 10.000, ed alla rifusione delle spese da quella stessa parte sostenute per la costituzione in giudizio. A seguito dell’atto di appello presentato dal difensore dell’imputato, la Corte di appello di L’Aquila, con sentenza del 14 gennaio 2022, riscontrata l’assenza degli elementi costitutivi del delitto di maltrattamenti in famiglia, riqualificava i fatti nei termini di cui all’originaria imputazione (ovvero sub specie di artt. 81, 582 e 590 c.p.) e, dichiarato non doversi procedere per tardività della querela in relazione al primo degli episodi in contestazione, condannava B.B. per i residui reati a lui ascritti alla pena di euro 1.500 di multa, confermando la condanna al risarcimento del danno, il cui ammontare veniva, tuttavia, ridotto, a seguito della riqualificazione dei fatti, dall’originario importo di euro 10.000, ad euro 2.000; da tale riduzione la Corte abruzzese riteneva infine derivare giusti motivi per compensare tra le parti le spese del grado relative all’azione civile «considerata la parziale soccombenza della parte civile con riferimento all’entità del risarcimento dei danni liquidati» seguita alla riqualificazione dei fatti. 2. Ha presentato ricorso per cassazione il difensore della parte civile deducendo, con un unico motivo di doglianza, la «violazione della legge e l’omessa motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) c.p.p. in relazione all’art. 541 c.p.p., nella parte in cui la Corte di appello di L’Aquila ha compensato integralmente tra le parti le spese di patrocinio del grado relative all’azione civile»: ad avviso della ricorrente, invero, la semplice riqualificazione giuridica delle condotte illecite non poteva costituire giusto motivo di compensazione, poichè, secondo il prevalente indirizzo dei giudici di legittimità, la conferma della responsabilità del- l’imputato, anche in presenza di un minor grado di essa, non legittimerebbe il mancato riconoscimento delle spese civili, che possono essere escluse solo in caso di totale soccombenza. Con requisitoria scritta del 16 gennaio 2023, il Sostituto Procuratore generale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso, «avendo la Corte territoriale compensato le spese sul valido argomento logico-giuridico della soccombenza parziale conseguente alla riduzione in appello della somma liquidata a titolo di risarcimento». CoNteNZIoSo NAZIoNALe 3. La Quinta Sezione penale di questa Corte, cui è stato assegnato il ricorso, con ordinanza del 7 febbraio 2023, lo ha rimesso alle Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 618, comma 1, c.p.p. onde vedere risolto il contrasto insorto nella giurisprudenza di legittimità in ordine alla applicabilità o meno dell’art. 573, comma 1-bis, c.p.p. a tutti i ricorsi pendenti al momento del- l’entrata in vigore, in data 30 dicembre 2022, dell’art. 33, comma 1, lett. a), n. 2, D.Lgs. n. 10 ottobre 2022, n. 150, che detta norma ha introdotto, ovvero solo a quelli proposti nei confronti delle sentenze pronunciate successivamente a tale data. La Sezione rimettente ha, in primo luogo, accertato il presupposto, la cui valutazione è preliminarmente richiesta per l’applicabilità della norma, della ritualità del ricorso e della sua non manifesta infondatezza, richiamando il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui «in tema di condanna della parte civile al pagamento delle spese di giudizio, la compensazione è ammessa, ai sensi dell’art. 541, comma 2, c.p.p., solo per gravi ed eccezionali ragioni, in analogia a quanto richiesto nell’ambito del processo civile dall’art. 92 c.p.c.» (Sez. 6, n. 35931 del 24/06/2021, Daidone, Rv. 282110-01). L’ordinanza si è, successivamente, interrogata sulla immediata applicabilità o meno dell’art. 573, comma 1-bis, c.p.p., secondo cui, quando la sentenza è impugnata, come nel caso di specie, per i soli interessi civili, il giudice di appello e la Corte di cassazione, se l’impugnazione non è inammissibile, rinviano per la prosecuzione, rispettivamente, al giudice o alla sezione civile competente, che decide sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile, e ha rilevato che, in assenza di un’apposita disposizione transitoria, la giurisprudenza di legittimità immediatamente successiva all’entrata in vigore della nuova disposizione ha sostenuto entrambe le soluzioni. In sintesi, secondo un primo orientamento, formatosi nell’immediatezza, l’art. 573, comma 1-bis, c.p.p. sarebbe immediatamente applicabile a tutte le impugnazioni pendenti al 30 dicembre 2022: in tal senso si sono espresse infatti Sez. 4, n. 2854 del 11/01/2023, Colonna, Rv. 284012-01, e Sez. 2, n. 6690 del 02/02/2023, Seno, Rv. 284216-01, ad avviso delle quali, in applicazione del principio tempus regit actum, il giudizio di impugnazione deve essere svolto secondo le nuove regole, non derivando alla parte civile alcun concreto pregiudizio dalla circostanza che il ricorso venga deciso dal giudice civile, e, dunque, nella sua sede naturale, piuttosto che dal giudice penale; peraltro, si è rilevato che, dovendo la parte civile impugnante riassumere il giudizio in sede civile, le sarebbe consentito, con l’atto di citazione in riassunzione, emendare o comunque conformare la propria domanda al nuovo ambito processuale, così come alla controparte sarebbe dato modo di contraddire e di replicare a tali nuove deduzioni. Secondo un diverso orientamento, sostenuto da Sez. 5, n. 3990 del 20/01/2023, Sangiorgi, Rv. 284019-01, e da Sez. 5, n. 4902 del 16/01/2023, Isgrò, Rv. 284121-01, la nuova norma, in quanto potenzialmente pregiudizievole per la posizione di chi abbia già proposto appello o ricorso per cassazione, sarebbe applicabile solo alle impugnazioni proposte avverso le sentenze emesse a partire dal 30 dicembre 2022; ed invero, la norma di nuovo conio prevede espressamente che il giudice penale, valutata l’ammissibilità del gravame, rinvii gli atti «per la prosecuzione» «al giudice o alla sezione civile competente», senza, dunque, prevedere alcuna riassunzione del giudizio: ne discende che l’impugnante ai soli effetti civili deve affrontare un giudizio retto da regole diverse da quelle alla stregua delle quali aveva costruito il proprio gravame, quali, ad esempio, quelle in tema di nesso eziologico tra la condotta e l’evento di danno, che il giudice civile ricostruisce non in base al criterio dell’alto grado di probabilità logica, ma in base al criterio causale del «più probabile che non». RASSeGNA AVVoCAtURA DeLLo StAto -N. 1/2023 Detto secondo orientamento vorrebbe porsi in continuità con il dictum della sentenza delle Sez. U, n. 27614 del 29/03/2007, Lista, Rv. 236537-01, che, nell’applicare il principio tempus regit actum, ricavabile dall’art. 11 preleggi, all’istituto delle impugnazioni, ha statuito che l’actus al quale occorre avere riguardo è la sentenza impugnata, poichè è in rapporto ad essa che vanno valutati la facoltà di impugnazione, la sua estensione, nonchè i modi ed i termini per esercitarla. L’ordinanza di rimessione ha infine precisato che, ove dovesse preferirsi questo secondo orientamento, dovrebbe farsi più correttamente riferimento non alla data di emissione della sentenza, pur se è a partire da questo momento che sorge il diritto di impugnare, ma a quella di deposito della stessa: «il riferimento alla data di deposito della sentenza, pur non rappresentando necessariamente [...] il momento a partire dal quale il diritto all’impugnazione può essere esercitato, coincide con esso o lo precede e quindi, per un verso, soddisfa l’esigenza di tutela dell’affidamento, per altro verso, evita una prolungata applicazione di norme processuali che non troverebbe più alcuna giustificazione e, per altro verso ancora, soddisfa l’esigenza di individuare un termine unitario di applicazione dell’innovazione processuale che resti insensibile alle date eventualmente diverse di proposizione degli atti di impugnazione nei processi soggettivamente complessi, nei quali siano presenti più parti civili o una parte civile e un responsabile civile». 4. Successivamente alla data di decisione dell’ordinanza di rimessione sono state depositate le motivazioni di ulteriori pronunce della Corte che, anteriormente alla rimessione della questione, hanno aderito all’uno o all’altro dei due indirizzi appena sopra ricordati. In particolare, nel senso dell’immediata applicabilità sono intervenute le ordinanze di Sez. 4, n. 10392 del 25/01/2023, Iacopino, non mass.; Sez. 4, n. 8483 del 17/01/2023, Camilletti e altro, non mass.; Sez. 3, n. 7625 del 11/01/2023, Ambu, Rv. 284248-01; nel senso, invece, della applicabilità “differita” sono intervenute le sentenze di Sez. 5, n. 20381 del 23/02/2023, tosoni, non mass.; Sez. 6, n. 12072 del 27/01/2023, Codognola, non mass.; Sez. 5, n. 3990 del 20/01/2023, Razzaboni, Rv. 284019-01; Sez. 5, n. 4902 del 16/01/2023, Cucinotta, Rv. 284121-01. 5. La Presidente di questa Corte, con decreto apposito, ha conseguentemente assegnato il ricorso alle Sezioni Unite in ordine al seguente quesito: “se l’art. 573, comma 1-bis, c.p.p., si applichi a tutte le impugnazioni per i soli interessi civili pendenti alla data del 30 dicembre 2022 o, invece, alle sole impugnazioni proposte avverso le sentenze pronunciate a decorrere dalla suddetta data”. 6. Successivamente, in data 18 maggio 2023, l’Avvocato generale ha presentato note scritte di udienza. CoNSIDeRAto IN DIRItto 1. L’esame delle pronunce di questa Corte complessivamente intervenute sulla questione rimessa consente anzitutto di focalizzare sinteticamente gli argomenti che l’uno e l’altro degli indirizzi, muovendo dalla mancanza di norme transitorie regolatrici della sorte delle impugnazioni proposte anteriormente alla entrata in vigore della nuova norma, espongono a supporto delle diverse conclusioni. 1.1. L’orientamento in ordine all’immediata applicabilità dell’art. 573, comma 1-bis, cit. esclude che nella specie possano venire in rilievo i principi affermati da Sez. U, Lista, cit. non versandosi in ipotesi di abolizione della possibilità di impugnazione oppure di mutamento del mezzo di impugnazione consentito, bensì venendo mantenuto lo stesso mezzo dinanzi allo stesso giudice e mutando solo l’epilogo del giudizio; conseguentemente, la parte conserve CoNteNZIoSo NAZIoNALe rebbe inalterato il diritto all’accertamento del danno civile mutando solo la sede decisoria posto che il giudice civile, come chiarito dalla norma, decide utilizzando le prove acquisite in sede penale e quelle eventualmente acquisite in sede civile; inoltre l’oggetto dell’accertamento non cambierebbe, ma si restringerebbe posto che la domanda risarcitoria da illecito civile sarebbe implicita in quella risarcitoria da illecito penale. La nuova e diversa sede della decisione del merito dell’impugnazione dipenderebbe allora dall’esito del vaglio di ammissibilità del ricorso che sarebbe dunque l’actus da considerare, nell’ottica del brocardo tempus regit actum, rilevante nella specie. Nè rileverebbe la modifica, di natura solo terminologica, dell’art. 78, comma 1, lett. d), c.p.p. operata sempre dalla cd. Riforma Cartabia con cui si è specificato che la esposizione delle ragioni della domanda civile deve essere fatta “agli effetti civili”. Si aggiunge che, anche ove si ritenesse di fare riferimento alla data della sentenza o della impugnazione quale momento discriminante, il giudice penale dovrebbe comunque sempre e solo decidere sulla fattispecie aquiliana senza contaminazioni derivanti dall’accertamento del fatto penale (soprattutto in caso di prescrizione) in conseguenza di quanto statuito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 182 del 2021, come già chiarito da Sez. 4, n. 37193 del 15/09/2022, Ciccarelli, Rv. 283739-01 e da Sez. 2, n. 11808 del 14/01/2022, Restaino, Rv. 283377-01, e dunque in base al criterio civilistico della maggiore probabilità e non dell’alto grado di probabilità logica. e in sede civilistica di rinvio troverebbero applicazione, come già chiarito da Sez. U, n. 20065 del 28/01/2021, Cremonini, Rv. 281228-01, le regole processuali e probatorie proprie del processo civile prescindendosi da ogni apprezzamento sulla responsabilità penale dell’imputato, nonchè sarebbe poi sempre possibile, sulla base della giurisprudenza civile, formulare nuove conclusioni o modificare la domanda ai fini della prospettazione degli elementi costitutivi dell’illecito civile in analogia con la transiatio iudicii in caso di annullamento ex art. 622 c.p.p. ai soli effetti civili, avendo già le Sez. U, Cremonini, cit., chiarito che il giudizio civile inizia con atto di riassunzione ex art. 392 c.p.c. Vengono infine richiamate, a conferma della soluzione invocata, le sentenze di Sez. U, n. 11586 del 30/09/2021, dep. 2022, D., Rv. 282808-01, Sez. U, n. 13539 del 30/01/2020, Perroni, Rv. 270270-01 e Sez. U, n. 3464 del 30/11/2017, Matrone, Rv. 275201-01, che hanno tutte affermato l’immediata applicabilità di nuove norme concernenti le impugnazioni in assenza di disposizioni transitorie. 1.2. L’orientamento di segno contrario, nel ritenere invece l’applicabilità, anche all’ipotesi in esame, dei principi affermati da Sez. U, Lista, cit., valorizza fondamentalmente le peculiarità del giudizio davanti al giudice civile rispetto a quello svolto, sia pure ai soli effetti civili, dinanzi al giudice penale, che renderebbero ragione dell’esigenza di tutela dell’affidamento dell’impugnante; tali peculiarità darebbero la possibilità, affermata dalle sezioni civili con riferimento al giudizio di rinvio a seguito dell’annullamento ex art. 622 c.p.p., di emendatio della domanda intesa anche come possibilità di chiedere, secondo i parametri del danno aquiliano, la pronuncia della condanna al risarcimento pur se emersa la sola colpa in luogo del dolo, poichè la variazione in melius dell’elemento psicologico dell’illecito non muterebbe i fatti costitutivi della domanda risarcitoria proposta con l’esercizio dell’azione civile in sede penale; già con riferimento al giudizio conseguente all’annullamento ex art. 622 c.p.p. si sarebbe dunque in presenza di un accertamento qualitativamente diverso rispetto a quello svolto in sede penale, sia pure nell’ambito delle statuizioni civili, perchè l’annullamento determinerebbe una vera e propria translatio iudicii dinanzi al giudice competente per valore in grado RASSeGNA AVVoCAtURA DeLLo StAto -N. 1/2023 di appello nel quale sarebbe consentito quindi modificare la domanda ai fini della prospettazione degli elementi costitutivi dell’illecito civile. tali peculiarità, si aggiunge, sarebbero rinvenibili a maggior ragione nel giudizio di prosecuzione scaturente dalla nuova norma dell’art. 573, comma 1-bis, cit. Si precisa anche che, mentre il vaglio di ammissibilità del giudice di legittimità penale è effettuato alla stregua delle regole penalistiche, il vaglio del giudice di legittimità civile è svolto alla stregua di quelle civilistiche, sicchè l’impugnante secondo i criteri penali avrebbe, in ogni caso, l’interesse ad un termine onde “costruire” il proprio atto di impugnazione in modo da poter affrontare un giudizio di legittimità retto da regole divenute diverse. 2. Così riassunti i termini del contrasto, la risoluzione della questione rimessa, seppur inerente ad un profilo di carattere essenzialmente intertemporale, impone di soffermarsi preliminarmente sul contenuto e sul significato delle norme con cui il D.Lgs. n. 10 ottobre 2020, n. 150 è intervenuto a disciplinare l’ipotesi della impugnazione della sentenza per gli interessi civili: solo apprezzando la portata delle modifiche intervenute sul punto, la loro ragione e il loro “innesto” nel sistema processuale preesistente, è infatti possibile dare una corretta risposta al quesito rimesso dalla Quinta Sezione penale. Come infatti è agevole ricavare dalla disamina degli indirizzi tra loro in contrasto sopra riassunti, il differente epilogo cui gli stessi giungono dipende essenzialmente dalla risposta che, nella pacifica mancanza da parte del legislatore di ogni regolamentazione transitoria delle nuove disposizioni, si dia sul grado di portata innovativa delle stesse: se, cioè, le modifiche intervenute abbiano o meno condotto alla configurazione di un quadro normativo la cui diversità, rispetto al precedente assetto, sia tale da ledere le aspettative di colui che abbia presentato l’impugnazione nel precedente regime, con conseguente necessità di tutelarne il legittimo affidamento nella immutabilità dello stesso secondo quanto meglio si specificherà oltre. Del resto, il richiamo, nel secondo orientamento considerato, alla necessità di fare applicazione, nella specie, dei principi affermati da Sez. U, Lista, cit. e l’esclusione, di converso, nel primo, della incidenza degli stessi nella ipotesi in esame, presuppongono, in entrambe le prospettive, un comune, astratto, dato di partenza, ovvero l’esigenza che non vengano appunto “tradite” le ovvie aspettative di chi, confidando, nel compimento di un atto processuale, in un determinato assetto normativo, veda tale quadro mutato in itinere in ragione della introduzione di elementi che, ove presenti in precedenza, avrebbero condotto a diverse determinazioni sullo stesso an o sul quomodo dell’atto compiuto. Non è, dunque, sulla condivisione dei principi di tutela appena ricordati che si è formata la divaricazione giurisprudenziale, bensì sulla rilevanza dei medesimi nella questione dedotta. 2.1. tanto, dunque, premesso, il legislatore, come richiesto dall’art. 1, comma 13, lett. d), della L. 27 settembre 2021 n. 134 (Delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonchè in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari), con cui si prescriveva, tra l’altro, di «adeguare [...] la disciplina delle impugnazioni per i soli interessi civili, assicurando una regolamentazione coerente della materia» in conseguenza, peraltro, della necessità di disciplinare i rapporti tra il nuovo istituto dell’improcedibilità dell’azione penale per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione e l’azione civile esercitata nel processo penale, ha modificato l’art. 573 c.p.p.; e ciò ha fatto, sia variando il comma 1, riferito alle impugnazioni «per gli interessi civili» e non più, come in precedenza, «per i soli interessi civili» sia, soprattutto, introducendo un comma 1 bis di nuovo conio nel quale si prevede che «quando la sentenza è impugnata per i CoNteNZIoSo NAZIoNALe soli interessi civili, il giudice di appello e la Corte di cassazione, se l’impugnazione non è inammissibile, rinviano per la prosecuzione, rispettivamente, al giudice o alla sezione civile competente, che decide sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile» (art. 33, comma 1, lett. a), n. 2, del D.Lgs. n. 150 del 2022). Una ulteriore modifica, da ricondurre evidentemente sempre nell’alveo della direttiva sopra ricordata, ha avuto poi ad oggetto l’art. 78 c.p.p., relativo, come da rubrica, alle formalità della costituzione di parte civile, ove, al comma 1, lett. d), si è previsto che, tra i requisiti formali della dichiarazione di costituzione, l’esposizione delle ragioni che giustificano la domanda debba essere specificamente svolta «agli effetti civili» (art. 5 del D.Lgs. n. 150 del 2022). 2.2. La introduzione, in particolare, del comma 1-bis dell’art. 573 cit. è stata spiegata, dalla Relazione illustrativa al decreto legislativo recante attuazione della L. 27 settembre 2021, n. 134, come espressione, con riguardo all’ipotesi in cui sia assente un’impugnazione anche agli effetti penali, della «innovativa regola del trasferimento della decisione al giudice civile, dopo la verifica imprescindibile sulla non inammissibilità dell’atto svolta dal giudice penale», così determinandosi «un ulteriore risparmio di risorse, nell’ottica di implementare l’efficienza giudiziaria nella fase delle impugnazioni». La Relazione ha aggiunto che «con il rinvio dell’appello o del ricorso al giudice civile l’oggetto di accertamento non cambierebbe, ma si restringerebbe, dal momento che la domanda risarcitoria da illecito civile è già implicita alla domanda risarcitoria da illecito penale», concludendo poi che «non vi sarebbe pertanto una modificazione della domanda risarcitoria nel passaggio dal giudizio penale a quello civile» e che «ragionevolmente, l’eventualità dovrà essere prevista dal danneggiato dal reato sin dal momento della costituzione di parte civile, atto che pertanto dovrà contenere l’esposizione delle ragioni che giustificano ‘la domanda agli effetti civili’, secondo l’innovata formulazione dell’art. 78, lett. d)» (v. pag. 164 della Relazione pubblicata in Gazzetta Ufficiale, Serie Generale n. 245 del 19 ottobre 2022 - Suppl. Straordinario n. 5). 2.3. Risulta pertanto evidente, sulla base della piana lettura del dato testuale delle nuove norme, e del significato sistematico appena ricordato, il mutamento di coordinate operato rispetto al “pregresso” quadro: mentre in precedenza anche l’impugnazione ai soli effetti civili (ovvero, in altri termini, quella svolta in assenza di ogni altra censura, da parte del medesimo impugnante ovvero dalle altre parti, riguardante i profili penali della decisione) era comunque destinata ad essere decisa dal giudice del processo penale nel quale era stata esercitata l’azione civile, benchè non residuassero più aspetti di ordine penale (e a tale piano apparteneva pur sempre, per il giudizio di legittimità, l’epilogo eccezionale rappresentato dall’art. 622 c.p.p.), all’esito della modifica in oggetto l’impugnazione (proposta, secondo la immutata regola generale di cui al comma 1 dell’art. 573 c.p.p., valevole anche nel caso di censure ai soli fini civili, nelle «forme ordinarie del giudizio penale») viene oggi ad essere decisa dal giudice civile, restando attribuito al giudice penale il solo compito di valutare la non inammissibilità del- l’impugnazione stessa: la necessità di accelerazione dei tempi di decisione, che ha rappresentato, nell’impostazione della riforma, uno dei parametri ispiratori della stessa, e la naturale dismissione, allorquando non siano più in gioco, per effetto del relativo giudicato, profili penali, della ordinaria regola di “attrazione” nel campo penale anche delle questioni civilistiche nascenti dal reato, ha comportato che, una volta esclusa, dal giudice penale, la inammissibilità dell’impugnazione (che, per ragioni evidenti di economia processuale, determinerebbe, altrimenti, la definitiva conclusione del giudizio), il medesimo giudizio debba essere rinviato in RASSeGNA AVVoCAtURA DeLLo StAto -N. 1/2023 nanzi al giudice civile per la “prosecuzione” dello stesso e la decisione, nel merito, dell’impugnazione. Nè può condurre a diverse conclusioni il fatto che, con riguardo in particolare al giudizio di legittimità, di “rinvio”, segnatamente al giudice civile competente per valore in grado di appello, già si occupasse l’art. 622 c.p.p., e che tale rinvio sia stato letto, da ultimo, anche dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 2265 del 28/01/2022, Cremonini, Rv. 281228-01), come introduttivo di un giudizio del tutto autonomo e svincolato rispetto a quello penale, conseguentemente richiedente un atto di impulso di parte attraverso l’istituto della riassunzione ex art. 392 c.p.p. evocato dallo stesso termine di “rinvio” (v. anche, nella più recente giurisprudenza civile della Corte, nel senso che il giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p. si configura come una sostanziale translatio iudicii dinanzi al giudice civile, regolato dagli artt. 392-394 c.p.c., Sez. 3 civ., n. 30496 del 18/10/2022, Rv. 666267-01; Sez. 3. civ., n. 8997 del 21/03/2022, Rv. 66457903; Sez. 3 civ., n. 517 del 15/01/2020, Rv. 656811-01; Sez. 3 civ., n. 16916 del 25/06/2019, Rv. 654433-01). È significativa infatti, sul punto, onde distinguere nettamente le due ipotesi, la ben diversa portata del “rinvio” come emergente dalla stessa concatenazione dei passaggi delle due norme: mentre il rinvio dell’art. 622 cit. segue a pronuncia di “annullamento”, ovvero, in altri termini, alla stessa decisione sull’impugnazione ad opera della Corte penale (giustificandosi il rinvio al giudice civile d’appello essenzialmente allorquando la decisione impugnata sia priva di motivazione ovvero debbano essere svolti accertamenti e valutazioni in fatto non esperibili nel giudizio di legittimità), il rinvio introdotto dal nuovo art. 573, comma 1-bis, cit. è funzionale alla “prosecuzione” in sede civile del medesimo giudizio iniziato in sede penale senza cesure o soluzioni di continuità (cesure date invece, nell’art. 622 cit., proprio dalla pronuncia di annullamento e che impediscono, tra l’altro, secondo la costante giurisprudenza civile, l’enunciazione di un principio di diritto cui il giudice civile del rinvio sia tenuto ad uniformarsi). 2.4. Anche la disciplina posta dallo stesso art. 573, comma 1-bis, cit. in ordine al regime di utilizzazione delle prove non smentisce ma, anzi conferma, l’unicità del giudizio: da un lato continuano, per espressa disposizione, ad essere utilizzate in sede civile le prove già acquisite in sede penale e, dall’altro, confluiscono, nello stesso giudizio, le prove eventualmente acquisende nel giudizio di rinvio. 2.5. Se, dunque, di medesimo giudizio “rinviato” per la decisione al giudice o alla sezione civile competente si tratta, pare evidente come non siano in alcun modo replicabili, nel nuovo assetto, i postulati appena ricordati, ed innanzitutto quello della natura “autonoma”, rispetto al giudizio penale, del giudizio da svolgersi in sede civile. Neppure appare conciliabile, con il nuovo assetto scaturente dalla norma in oggetto, la necessità, affermata dalla giurisprudenza sempre con riguardo al giudizio di rinvio “da annullamento”, di emendatio libelli al fine di coordinare la domanda presentata in sede penale ai parametri propri del giudizio civile sia con riferimento (quanto meno nel sistema precedente alla lettura data dalla sentenza della Corte Cost. n. 182 del 2021) ai requisiti della responsabilità aquiliana, sia con riguardo alle diverse regole attinenti al nesso di causalità, da un lato, e alle prove, dall’altro (v., per tutte, da ultimo, Sez. 1 civ., n. 7474 del 08/03/2022, Rv. 664524-01; Sez. 3 civ., n. 517 del 15/01/2020, Rv. 656811-01); infatti, la necessità di un tale adeguamento nel passaggio tra i due giudizi è ormai superata dalla già iniziale impostazione, oggi richiesta dal nuovo art. 78, comma 1, lett. d), cit. della pretesa civile secondo le più estese coordinate dell’atto introduttivo di cui all’art. 360 c.p.c. nella previsione di un simile, possibile, epilogo. CoNteNZIoSo NAZIoNALe Anzi, e di più, proprio la comparazione tra l’art. 573, comma 1-bis, c.p.p. e l’art. 622 c.p.p. (quale norma che continua a presupporre pur sempre un ordinario quadro che attribuisce alla Corte di cassazione penale la decisione sull’impugnazione anche agli effetti civili) sembra rivelare come l’unica lettura possibile della nuova disciplina sia quella appena considerata, giacchè, ove il legislatore della cd. Riforma Cartabia avesse invece inteso lasciare sostanzialmente immutato il quadro normativo come letto dalla costante giurisprudenza di legittimità, ben poco senso avrebbe avuto l’adozione del nuovo art. 573, comma 1-bis, cit., finendo quest’ultima norma per sovrapporsi irrazionalmente, negli esiti, proprio a quella dell’art. 622 cit. Dunque, è proprio il ben diverso rapporto cronologico a fondamento della nuova norma rispetto a quello posto alla base dell’art. 622 cit. (tra decisione e successivo rinvio, nell’art. 622, e tra rinvio e successiva decisione, nell’art. 573, comma 1-bis) a rendere non assimilabili tra loro l’assetto attuale e quello precedente di cui l’art. 622 cit. rappresenta pur sempre, come detto, nell’eccezione così introdotta alla regola dell’attrazione dell’azione civile al processo penale, una esplicazione. Sì che, è bene aggiungere, appaiono altresì improponibili, proprio perchè il giudizio che prosegue è sempre e solo il medesimo iniziato dinanzi al giudice penale, le esegesi (di cui è traccia in alcune delle ordinanze della Quinta Sezione adesive all’indirizzo di differita applicabilità del nuovo comma 1-bis) che hanno posto, accanto al vaglio di ammissibilità o meno del ricorso per cassazione affidato dalla nuova norma al solo giudice penale, un ulteriore e successivo vaglio di ammissibilità, secondo le regole processual-civilistiche, in capo alla sezione civile di rinvio; e ciò senza, peraltro, che ancora qui si consideri, come si farà subito oltre, la insostenibilità di una simile opzione -peraltro già poco compatibile con l’esigenza di semplificazione del processo penale espressamente enunciata dall’art. 1, comma 1 della legge delega n. 134 del 2021 -alla luce della regola della mutata formulazione dell’art. 78, comma 1, lett. d), cit. 2.6. Come infatti or ora anticipato, la modifica di tale ultima norma non può restare indifferente ai fini della spiegazione del significato del nuovo comma 1-bis dell’art. 573 al quale offre, invece, un necessario completamento, ed assume, anzi, un rilievo decisivo proprio agli effetti della risoluzione del contrasto giurisprudenziale su cui le Sezioni Unite sono chiamate ad intervenire. Va anzitutto rilevato che la necessità di tale modifica, riguardante una norma contenuta all’interno del titolo V del Libro I del codice di rito penale, riguardante la disciplina relativa a parte civile, responsabile civile e civilmente obbligato per la pena pecuniaria, non risulta direttamente derivante da alcuna delle direttive della legge delega già citata che, infatti, non hanno riguardato la posizione della parte civile, sì da dovere indurre a ritenere che, quindi, la sua ragione sia esattamente da rinvenirsi nel collegamento con ambiti diversi, oggetto di specifica regolamentazione. ed un tale collegamento è stato individuato, dalla già ricordata Relazione illustrativa al decreto legislativo, proprio con la disciplina della impugnazione ai soli effetti civili, essendosi chiarita la funzione della necessaria specificazione, nell’atto di costituzione, delle ragioni della domanda «agli effetti civili» in correlazione con la mutata attribuzione della decisione di detta impugnazione al giudice o alla sezione civile competente cui il giudizio deve essere rinviato in prosecuzione. Se, dunque, in altri termini, il giudizio è sempre quello iniziale che prosegue, senza soluzione di continuità, dalla sede penale a quella civile, il possibile epilogo decisorio oggi rappresentato, in caso di impugnazione residuata per i soli effetti civili, dall’art. 573, comma RASSeGNA AVVoCAtURA DeLLo StAto -N. 1/2023 1-bis, cit., dovrà essere contemplato dalla parte civile sin dal momento dell’atto di costituzione e a tale epilogo la stessa dovrà dunque far fronte strutturando le ragioni della domanda in necessaria sintonia con i requisiti richiesti dal rito civile. Ciò significa, allora, che, se nella vigenza del precedente tenore della norma, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, era del tutto sufficiente, ad integrare la causa petendi cui si riferisce l’art. 78, comma 1, lett. d) cit., il mero richiamo al capo d’imputazione descrittivo del fatto allorquando il nesso tra il reato contestato e la pretesa risarcitoria azionata risultasse con immediatezza (tra le altre, Sez. 2, n. 23940 del 15/07/2020, Rosati, Rv.279490-01; Sez. 6, n. 32705 del 17/04/2014, Coccia, Rv. 260325-01; Sez. 5, n. 22034 del 07/03/2013, Boscolo, Rv. 256500-01), ciò non può più bastare a fronte della nuova disciplina. Sarà infatti necessaria una precisa determinazione della causa petendi similmente «alle forme prescritte per la domanda proposta nel giudizio civile», come già affermato da una sola iniziale pronuncia di questa Corte, poi rimasta superata dalle pronunce appena ricordate, e che ora, per effetto del mutato quadro, riprende evidentemente vigore; cosicchè, ai fini dell’ammissibilità della costituzione, non sarà più sufficiente «fare riferimento all’avvenuta commissione di un reato bensì sarà necessario richiamare le ragioni in forza delle quali si pretende che dal reato siano scaturite conseguenze pregiudizievoli nonchè il titolo che legittima a far valere la pretesa » (Sez. 2, n. 8723 del 07/05/1996, Schiavo, Rv. 205872-01). In altre parole, dunque, sarà necessario che le ragioni della domanda vengano illustrate secondo gli stilemi dell’atto di citazione nel processo civile, ovvero, secondo quanto prevede oggi l’art. 163, comma 3, n. 4, c.p.c. con «l’esposizione in modo chiaro e specifico» delle stesse (alla stregua del testo attualmente risultante a seguito delle modifiche apportate dall’art. 3, comma 12, lett. a), n. 2, D.Lgs. n. 10 ottobre 2022 n. 149, decorrenti dal 28 febbraio 2023 ed applicabili ai procedimenti instaurati successivamente alla data del 29 dicembre 2022 per effetto dell’art. 35, comma 1, di detto decreto, come modificato dall’art. 1, comma 380, lett. a), L. 29 dicembre 2022, n. 197, con le quali si è inserito appunto l’inciso «in modo chiaro e specifico»). Non, dunque, in un mero “aggiustamento cosmetico” si è risolta la specificazione inserita nell’art. 78 cit., bensì nella necessaria proiezione, sul piano della domanda di parte civile, della mutata regolamentazione della impugnazione della sentenza agli effetti civili. e tutto ciò è stato appunto riassunto dalla Relazione illustrativa menzionata laddove, come già ricordato in principio, si è fatto riferimento all’onere del danneggiato di prevedere l’eventualità del rinvio di cui all’art. 573 comma 1 bis sin dal momento della costituzione di parte civile. È inoltre bene aggiungere che la nuova disciplina non può non incidere, sia pure non direttamente come nel caso della parte civile, anche sull’impugnazione, effettuata sempre ai soli effetti civili, dall’imputato, atteso che le stesse ragioni che richiedono alla parte civile di impostare l’atto di costituzione già considerando un possibile epilogo decisorio in sede civile finiscono inevitabilmente per trasmettersi, in una strategia processuale necessariamente contrassegnata dal contraddittorio, anche al titolare di interessi contrastanti con l’accoglimento della pretesa civile. 3. Gli esiti dell’analisi delle nuove norme sin qui condotta consente dunque di rispondere al quesito posto. Riprendendo le mosse dai principi già affermati da questa Corte in ordine ai termini di operatività, in caso di modifiche delle norme processuali, del principio tempus regit actum ove, come nella specie, difettino disposizioni che regolino il passaggio da vecchia a nuova norma, CoNteNZIoSo NAZIoNALe l’aspetto di maggior criticità, già considerato dalle sentenze dell’uno e dell’altro orientamento citate dalla ordinanza rimettente, è rappresentato dalla corretta individuazione dell’actus al quale, per l’applicabilità del canone ricordato, occorre fare riferimento; ciò in particolare laddove si consideri che, naturalmente, il processo non è un fenomeno isolato ed istantaneo, ma si compone di una serie concatenata di atti che si sviluppano nel tempo posti in essere da soggetti distinti, e dalla compresenza di norme regolatrici aventi contenuto e finalità molto diverse tra di loro. Ne consegue che il principio regolatore deve essere necessariamente modulato in relazione alla variegata tipologia degli atti processuali ed alla differente situazione sulla quale essi incidono e che occorre di volta in volta governare. Appare dunque indispensabile ricordare come le Sezioni Unite abbiano avvertito che «per actus non può intendersi l’intero processo, che è concatenazione di atti -e di fasi tutti tra loro legati dal perseguimento del fine ultimo dell’accertamento definitivo dei fatti; una tale concatenazione comporterebbe la conseguenza che il processo ‘continuerebbe ad essere regolato sempre e soltanto dalle norme vigenti al momento della sua instaurazione’, il che contrasterebbe con l’immediata operatività del novum prescritta dall’art. 11, comma 1, prel.» (Sez. U, Lista, cit.). e d’altra parte, come segnalato anche dalla dottrina, ove, invece, per actus si considerasse il singolo atto via via compiuto, il principio comporterebbe che, in tutti i processi ancora in corso, ai nuovi atti dovrebbero essere applicate immediatamente, sempre e comunque, le nuove norme, con conseguente rischio, tuttavia, di trascurare aspettative consolidatesi in ragione di atti precedenti strettamente collegati a quello atomisticamente considerato. È questa, del resto, la ragione per cui possibili limiti o mitigazioni rispetto ad un’assolutizzazione delle regole meramente desumibili dal brocardo tempus regit actum sono stati ricavati dalla Corte costituzionale non solo dal principio di “ragionevolezza” (Corte Cost., ord. n. 560 del 2000), ma anche dall’esigenza di tutela dell’ “affidamento” che il singolo dovrebbe poter nutrire nella stabilità di un determinato quadro normativo: affidamento che, almeno quando si trovi, a sua volta, «qualificato dal suo intimo legame con l’effettività del diritto di difesa», riceve, anch’esso, il riconoscimento di principio «costituzionalmente protetto» (Corte Cost., sent. n. 394 del 2002). Del resto, sul richiamo all’«affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica», in quanto costituente «elemento fondamentale e indispensabile dello Stato di diritto», sempre la Corte costituzionale ha avuto modo di far leva più volte, anche per risolvere questioni attinenti alla successione di leggi in materia diversa da quella processuale penale. Ad esempio, ha ribadito che la tutela dell’affidamento non comporta che, nel nostro sistema costituzionale, sia assolutamente interdetto al legislatore di emanare disposizioni le quali modifichino sfavorevolmente la disciplina dei rapporti di durata, e ciò «anche se il loro oggetto sia costituito dai diritti soggettivi perfetti, salvo, qualora si tratti di disposizioni retroattive, il limite costituzionale della materia penale (art. 25, comma 2, Cost.)». Con non minor nettezza si è tuttavia sottolineato che dette disposizioni, «al pari di qualsiasi precetto legislativo, non possono trasmodare in un regolamento irrazionale e arbitrariamente incidere sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti, frustrando così anche l’affidamento del cittadino nella sicurezza pubblica [recte: giuridica]» (Corte Cost., sent. n. 16 del 2017 e sent. n. 822 del 1988). Nè, più in generale, possono trascurarsi i riferimenti, talora evidenziati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, alla “accessibilità” ed alla “prevedibilità” come connotati essenziali del diritto penale, in una prospettiva che guarda non soltanto allo ius scriptum, ma altresì al “diritto RASSeGNA AVVoCAtURA DeLLo StAto -N. 1/2023 vivente” espresso dalla giurisprudenza (ex plurimis, Corte eDU, 14/04/2015, Contrada c. Italia). In definitiva, nella operazione di individuazione di quale norma, tra quelle succedutesi, vada applicata all’atto o alla sequenza di atti da disciplinare, possono venire in rilevo plurime istanze di rilievo costituzionale la cui composizione e armonizzazione è affidata ad un ricorso, equilibrato, attento, e ragionevole, da parte dell’interprete, ai criteri appena sopra ricordati. Del resto, quello appena richiamato è anche lo sfondo tenuto ben presente dalla decisione, più volte richiamata, delle Sez. U, Lista allorquando è stato necessario in particolare regolare, in via interpretativa, la applicabilità della norma di cui all’art. 9 L. 20 febbraio 2006, n. 46, soppressiva della facoltà di appello della parte civile, ex art. 577 c.p.p., agli atti di impugnazione pendenti al momento dell’entrata in vigore della nuova disposizione. Anche in quell’occasione le Sezioni Unite, interrogandosi su quale fosse l’actus cui fare in concreto riferimento per l’individuazione della disciplina applicabile in materia di impugnazione della parte civile, ebbero, a ben vedere, a ritenere insoddisfacente il mero richiamo alla regola tempus regit actum, che avrebbe portato ad «esiti irragionevoli» (in particolare con riferimento all’aleatorietà affidata alla tempestività o meno del deposito della sentenza da impugnare o agli adempimenti di cancelleria o ancora alla iniziativa più o meno tempestiva della parte interessata) ed optarono per ancorare il regime delle impugnazioni non alla disciplina vigente al momento della loro presentazione ma a quella in essere all’atto della pronuncia della sentenza; e ciò fecero facendo richiamo, al riguardo, proprio «all’esigenza di tutela del- l’affidamento maturato dalla parte in relazione alla fissità del quadro normativo», sottolineando che «tale affidamento come valore essenziale della giurisdizione che va ad integrarsi con l’altro, di rango costituzionale, della parità delle armi, soddisfa l’esigenza di assicurare ai protagonisti del processo la certezza delle regole processuali e dei diritti eventualmente già maturati senza il timore che tali diritti, pur non ancora esercitati, subiscano l’incidenza di mutamenti legislativi, improvvisi e non sempre coerenti col sistema, che vanno a depauperare o disarticolare posizioni processuali già acquisite». 3.1. tali principi, dunque, non possono non valere anche in una situazione, come quella di specie, parimenti connotata, in ragione di quanto sopra precisato, dalla intervenuta variazione di aspetti che, pur legati formalmente alla sola fase decisoria dell’impugnazione, finiscono, tuttavia, per riverberarsi sugli atti indirettamente, ma logicamente, propedeutici alla impugnazione stessa mutandone imprevedibilmente i connotati in maniera tale da lasciare “indifesa” la parte che tali atti abbia già svolto secondo quanto prescritto dalla normativa pregressa anche nella costante interpretazione, sopra ricordata, della Corte. e ciò anche non considerando il requisito della “chiarezza e specificità” della redazione delle ragioni della domanda nell’atto di citazione ex art. 360 c.p.c. come introdotto dalla L. n. 149 del 2022 cit., cui dovrebbe essere omologato il requisito della causa petendi nell’atto di costituzione di parte civile, posto che, come già ricordato sopra, per volontà del legislatore tali caratteristiche sarebbero richieste, secondo quanto disposto dalla L. n. 197 del 2022 per i soli procedimenti civili instaurati successivamente alla data del 28 febbraio 2023, continuando, per i procedimenti pendenti a tale data, ad applicarsi le disposizioni anteriormente vigenti: già la sola necessità sostanziale di adozione, nell’atto di costituzione di parte civile, del testo dell’art. 360 c.p.c. nella versione anteriore alle modifiche suddette, non potrebbe non riverberarsi sulle legittime aspettative della parte civile che abbia presentato l’impugnazione prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2022. 3.2. Il necessario rispetto delle ragioni di affidamento dell’impugnante nella non variazione CoNteNZIoSo NAZIoNALe del quadro di sistema coesistente al momento dell’impugnazione, ragioni evidentemente dirimenti anche nel caso di specie, deve dunque indurre inevitabilmente ad individuare nel momento del deposito dell’atto di costituzione di parte civile lo spartiacque di delimitazione tra impugnazioni soggette al regime previgente e impugnazioni assoggettate, invece, alla nuova normativa. e ciò per le ragioni che sopra si sono precisate. 3.3. Non pare infine ostativo alla conclusione qui prescelta neppure l’art. 34, comma 1, lett. g), del D.Lgs. n. 150 del 2022, con cui si è eliminato, nell’art. 601, comma 1, c.p.p., l’obbligo, per il presidente del collegio, di ordinare la citazione dell’imputato non appellante quando l’appello sia proposto per i soli interessi civili (norma che, pur in assenza di esplicitazioni sul punto nella Relazione allo schema di decreto legislativo, parrebbe essere conseguente alla stessa introduzione dell’art. 573, comma 1-bis, cit.); se infatti si ritenga che, anche con riguardo ad essa, difetti una specifica norma transitoria ove si reputi inapplicabile l’art. 94 D.Lgs. n. 150 del 2022, (che avrebbe infatti prorogato, per le impugnazioni proposte entro il 30 giugno 2023, l’applicazione delle norme “emergenziali” Covid con stretto riferimento alla sola disciplina dell’udienza camerale cartolare), dovrebbe anche per essa, proprio in quanto collegata al nuovo comma 1-bis, operare il medesimo momento temporale di delimitazione rappresentato dall’atto di costituzione di parte civile. 4. Nessuno dei due orientamenti in contrasto può, dunque, essere condiviso: non, anzitutto, quello dell’immediata applicabilità della nuova norma a tutte le impugnazioni comunque pervenute alla Corte d’appello e alla Corte di cassazione successivamente all’entrata in vigore della stessa, essendosi essenzialmente trascurato, nell’analisi della nuova disciplina, il decisivo segno di cambiamento rappresentato dall’attribuzione della decisione sull’impugnazione non più al giudice penale bensì al giudice di appello civile o alla sezione civile della Corte di cassazione e la incidenza di detto novum sulle ragioni di affidamento dell’impugnante originate dall’assetto precedente. Il significato della innovazione rispetto al precedente assetto, rappresentata dal combinato disposto degli artt. 78 e 573, comma 1-bis, cit., non può essere “vanificato” neppure argomentando sulla base della considerazione, sostanzialmente presente in tutte le pronunce rappresentative di detto indirizzo, per cui, già a decorrere dalla pronuncia della Corte Cost., n. 182 del 2021, l’accertamento dell’illecito che sarebbe richiesto al giudice, anche in sede penale, ai fini delle statuizioni sul risarcimento dei danni, avrebbe sempre natura civilistica; più in particolare, affermandosi che il giudice penale dell’impugnazione sarebbe chiamato ad accertare solo la fattispecie aquiliana, senza alcun riferimento a profili inerenti alla responsabilità penale dell’imputato, detto orientamento ha richiamato, come si è visto, quelle pronunce secondo cui il giudice penale dovrebbe comunque utilizzare il giudizio della probabilità prevalente in luogo di quella fissata dall’art. 533, comma 1, c.p.p., facendo utilizzazione della “lettura” dell’art. 578 c.p.p. operata dalla suddetta pronuncia della Corte costituzionale (Sez. 4, n. 37193 del 15/09/2022, Ciccarelli, Rv. 283739-01 e Sez. 2, n. 11808 del 14/01/2022, Restaino, Rv. 283377). Dunque, si è aggiunto, la prosecuzione in sede civile del giudizio non comporterebbe, rispetto al passato, alcuna modificazione nell’applicazione delle regole processuali e probatorie con conseguente insussistenza di un “affidamento” da tutelare e immediata applicabilità della nuova disposizione di cui all’art. 573, comma 1-bis, cit. Va tuttavia osservato che, nella impostazione della sentenza n. 182 del 2021 della Corte costituzionale, il “contenimento” dell’accertamento del danno all’interno della responsabilità RASSeGNA AVVoCAtURA DeLLo StAto -N. 1/2023 da atto illecito ex art. 2043 c.c., con le conseguenze processuali e probatorie da esso derivanti, è disceso dalla necessità di non violare il diritto dell’imputato alla presunzione di innocenza tutte le volte in cui la responsabilità penale di quest’ultimo non possa più formare oggetto di accertamento; ma un tale presupposto, invocato non a caso con riguardo ad intervenuta estinzione del reato per amnistia o prescrizione (come è infatti delle sentenze di Sez. 4, n. 37193 del 15/09/2022, Ciccarelli, cit. e Sez. 2, n. 11808 del 14/01/2022, Restaino, cit.) o ad ipotesi in qualche modo a questa equiparabili (come quella dell'impugnazione di parte civile ai soli effetti civili con conseguente passaggio in giudicato della eventuale assoluzione ai fini penali, tanto che proprio a quest’ultima hanno avuto riguardo alcune delle pronunce di cui all’indirizzo in esame), non pare potere valere nel caso di specie; ivi, infatti, passata in giudicato la sentenza di condanna, l’impugnazione ha avuto riguardo ai soli aspetti civili, ben potendo l’accertamento del danno, proprio perchè ormai accertata la responsabilità penale, estendersi all’ambito del reato. Se anche, dunque, si guardasse alle ipotesi per le quali le coordinate dell’attuale giudizio di responsabilità potrebbero già coincidere, per effetto della citata lettura costituzionale, con quelle introdotte dagli artt. 78 e 573, comma 1-bis cit., non per questo perderebbe di valore l’esigenza di assicurare, nelle altre ipotesi, la tutela dell’affidamento della parte impugnante; e poichè evidenti ragioni di certezza anche del diritto processuale impongono l’adozione, sia pure in via interpretativa, di una regola “transitoria” di carattere generale, si dovrebbe comunque sempre pervenire alla conclusione che individua nella presentazione dell’atto di costituzione di parte civile il momento discriminante tra applicazione delle norme previgenti e applicazione di quelle nuove. Del resto, mentre il ricorso alla qui prescelta regola nei casi ricadenti nella ratio della sentenza della Corte costituzionale comporterebbe un “eccesso” di garanzia, al più non dovuto ma certo non lesivo dei diritti difensivi, viceversa, l’applicazione immediata delle nuove norme ai casi diversi da quelli si tradurrebbe, come visto, in una lesione dell’aspettativa della parte impugnante a non vedere variato il quadro normativo preesistente che affonda le proprie radici in un quadro di carattere anche costituzionale. In definitiva, l’operazione di graduazione, appena vista, dei costi e dei benefici relativi, ove si tratti di dettare regole di transizione da un sistema all’altro necessariamente uniformi, non potrebbe evidentemente prescindere dall’osservanza del criterio di proporzionalità o ragionevolezza, insito nell’art. 3 Cost. e certamente applicabile anche in tal caso. Nè a conclusioni diverse possono condurre la ritenuta possibilità di modificare la domanda in sede di giudizio di rinvio civile, possibilità che, mutuata dalla lettura giurisprudenziale in particolare dell’art. 622 c.p.p., non è invece esperibile con riferimento al nuovo art. 573, comma 1-bis, introduttivo non già, come visto, di un giudizio autonomo rispetto al primo ma di una prosecuzione sempre del medesimo originario giudizio. Così come non appaiono conducenti i richiami a precedenti pronunce delle Sezioni Unite onde individuare già in esse i prodromi del principio dell’immediata applicabilità della nuova norma. Non pertinente appare, infatti, il richiamo anzitutto alla sentenza di Sez. U, n. 11586 del 30/09/2021, dep. 2022, D., Rv. 282808-01, affermativa dell’applicabilità, anche ai giudizi relativi a sentenze pronunciate prima della entrata in vigore della L. 23 giugno 2017, n. 103, del nuovo comma 3-bis dell’art. 603 c.p.p., stante la diversità dell’actus colà considerato (ovvero la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale), non inserito, come nella specie, in una sequenza iniziata già in precedenza e non scindibile in singoli momenti. CoNteNZIoSo NAZIoNALe Neppure rilevante appare la decisione di Sez. U, n. 3464 del 30/11/2017, Matrone, Rv. 275201, implicitamente affermativa dell’applicabilità, in un procedimento iniziato nel 2016, della nuova ipotesi di annullamento senza rinvio di cui all’art. 620, comma 1, lett. l), c.p.p., introdotta con la L. n. 103 del 2017 in un momento temporale successivo, anche in tal caso essendosi evidentemente in presenza di un atto (la decisione di annullamento senza rinvio anzichè di annullamento con rinvio) privo di effetti pregiudizievoli sulle legittime aspettative dell’impugnante, con piana applicazione del principio di cui all’art. 11 preleggi. Da ultimo, neppure la pronuncia di Sez. U, n. 13539 del 30/01/2020, Perroni, Rv. 270270, appare probante nel senso invocato dall’indirizzo esaminato, posto che l’applicabilità dell’art. 578-bis c.p.p. alle sentenze pronunciate prima dell’entrata in vigore di tale norma, introdotta dall’art. 6, comma 4, del D.Lgs. n. 1 marzo 2018, n. 21, è stata chiaramente determinata proprio dalla linea di continuità della disposizione, pur formalmente nuova, rispetto alla possibilità di operare, anche in precedenza, la confisca edilizia pur in presenza di intervenuta prescrizione del reato alla luce della costante interpretazione dell’art. 44 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (cfr. Sez. 3, n. 21910 del 07/04/2022, Licata, Rv. 28332502). 4.1. Neppure può essere seguito l’orientamento della applicabilità della norma alle sole impugnazioni relative alle sentenze pronunciate o depositate dopo la data del 30 dicembre 2022, seppur fondato su un’impostazione preoccupata, in linea con la limitazione del principio del tempus regit actum, di non arrecare lesioni alle legittime aspettative della parte impugnante. tale indirizzo appare, infatti, avere limitato impropriamente in tal modo l’ambito di applicazione del principio di affidamento dell’impugnante senza, anch’esso, considerare il riflesso della sequenza impugnatoria sui collegati requisiti di redazione dell’atto di costituzione di parte civile, in una necessaria visuale di complessiva considerazione dell’actus interessato e finendo per arrestarsi, anch’esso, su una linea di cesura tra giudizio di impugnazione instaurato dinanzi al giudice penale e giudizio proseguito dinanzi al giudice civile smentita dalla lettera e dalla ratio della nuova norma. 5. Va conseguentemente affermato il seguente principio di diritto: “l’art. 573, comma 1bis, c.p.p., introdotto dall’art. 33 del D.Lgs. n. 10 ottobre 2022, n. 150, si applica alle impugnazioni per i soli interessi civili proposte relativamente ai giudizi nei quali la costituzione di parte civile sia intervenuta in epoca successiva al 30 dicembre 2022, quale data di entrata in vigore della citata disposizione”. 6. Venendosi dunque ad esaminare l’unico motivo di ricorso, con cui si lamenta che il giudice di appello abbia fatto luogo alla compensazione per intero tra le parti delle spese di lite a fronte della ritenuta parziale soccombenza della parte civile derivata dalla liquidazione dei danni in misura inferiore a quella richiesta, va anzitutto chiarito che l’impugnazione svolta nella specie deve ritenersi rientrare tra quelle svolte “per i soli interessi civili”, con conseguente rilevanza della questione posta dalla Sezione rimettente. Infatti, pur venendo nella specie dedotta, oltre alla mancanza di motivazione, la violazione di legge processuale formalmente di natura penale, ovvero, in particolare, dell’art. 541 c.p.p., la stessa appare riguardare indubitabilmente i soli effetti civili della sentenza impugnata, derivando la regolamentazione delle spese in oggetto proprio dalla intervenuta costituzione di parte civile e, dunque, dalla responsabilità per i danni civili arrecati. Del resto, è evidente come nella nozione di “interessi civili” impiegata dall’art. 573 c.p.p. e che giustifica in astratto, ove non siano più residuate questioni di natura penale, l’applicazione della nuova norma del comma 1-bis, non rientrino anche le questioni processuali che, RASSeGNA AVVoCAtURA DeLLo StAto -N. 1/2023 pur presidiate (posto che l’azione viene esercitata nell’ambito del processo penale) anche da norme di rito penale, trovano la propria causa, come nell’ipotesi in esame, nella domanda di parte civile esercitata per il ristoro dei danni subiti. In altri termini, affinchè l’impugnazione sia svolta “per i soli interessi civili”, la stessa deve riguardare capi della decisione di contenuto extrapenale, ossia concernenti, fondamentalmente, la richiesta di risarcimento dei danni, le spese sostenute dalla parte civile e i danni conseguenti a lite temeraria. e non pare dubbio che, nella fattispecie in esame, proprio uno di detti capi sia stato attinto dall’impugnazione della parte civile. 7. Una volta dunque ritenuta la rilevanza della questione dedotta, e atteso che, in forza del principio di diritto appena affermato sopra e, dunque, della inapplicabilità all’impugnazione de qua, relativa a procedimento nel quale l’atto di costituzione di parte civile è intervenuto anteriormente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 130 del 2022, dell’art. 573, comma 1-bis, c.p.p., la censura svolta con il ricorso deve essere decisa dalla Corte di cassazione penale, va osservato che il motivo di ricorso è fondato. Va infatti sottolineato che, come già affermato da queste Sezioni Unite, il parziale accoglimento dell’impugnazione dell’imputato non elimina la affermazione di responsabilità, sicchè è consentita la condanna dello stesso alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel giudizio di impugnazione, in base alla decisiva circostanza della mancata esclusione del diritto della parte civile, salvo che il giudice non ritenga di disporne, per giusti motivi, la compensazione totale o parziale, sulla base di un potere discrezionale attribuito dalla legge e il cui esercizio non è censurabile in sede di legittimità, se congruamente motivato (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207946-01); successivamente, e analogamente, si è poi confermato che la violazione del principio della soccombenza, in ordine al regolamento delle spese da parte del giudice di merito, deve ravvisarsi soltanto nell’ipotesi in cui l’imputato sia totalmente vittorioso, nel senso che egli sia assolto con formula preclusiva dell’azione civile, mentre è legittima la condanna dell’imputato al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile quando la responsabilità sia stata confermata, pur in presenza di un accoglimento del- l’impugnazione sotto altri profili (tra le altre, Sez. 4, n. 25846 del 15/03/2018, Santoro, Rv. 273079; Sez. 5, n. 6419 del 19/11/2014, Arrigone, Rv. 262685). Risulta dunque non legittima, sulla base di tali principi, la decisione della Corte territoriale che, per il solo fatto, espressamente enunciato, della riduzione dell’entità del risarcimento dei danni conseguita alla operata riqualificazione giuridica dei reati ritenuti in sede di giudizio di primo grado, ha disposto la compensazione integrale delle spese di lite tra le parti. Infatti, considerato che, come già affermato da questa Corte, la riqualificazione dei reati, ricondotti peraltro a quelli già originariamente contestati, non fa venir meno il diritto alla restituzione e al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita, purchè il fatto sia rimasto qualificato quale illecito penale anche al momento della pronuncia delle sentenze di primo e secondo grado (Sez. 6, n. 27087 del 19/04/2017, Fiorenza, Rv. 27040001), tale operata compensazione, anche in forma solo parziale, non può trovare comunque giustificazione. 8. Ne consegue, in applicazione dell’art. 620, lett. l), c.p.p., applicabile anche ove si tratti di annullamento ai soli effettivi civili, come evidenziato dal fatto che l’art. 622 c.p.p. prescrive il rinvio per la decisione al giudice civile competente in grado di appello solo “ove occorra”, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla disposta compensazione tra le parti delle spese di parte civile relative ai giudizi di primo e di secondo grado, CoNteNZIoSo NAZIoNALe conseguendo la liquidazione delle stesse in favore della stessa parte civile in complessivi euro ottomilacinquecento oltre accessori di legge. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla disposta compensazione tra le parti delle spese di parte civile relative ai giudizi di primo e di secondo grado, spese che liquida in complessivi euro ottomilacinquecento, oltre accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell’art. 52 D.Lgs. n. 196 del 2003 in quanto imposto dalla legge. Così deciso in Roma, il 25 maggio 2023. PaReRidelComitatoConsultivo Rimborso spese legali sostenute dal pubblico dipendente ai sensi dell’art. 18 d.l. n. 67/1997, conv. l. n. 135/1997. Corretta definizione degli ambiti applicativi della disposizione Parere del 12/10/2023-634820, al 10673/2014, V.a.G. enrico de GioVanni Codesta Avvocatura distrettuale ha chiesto, in relazione all’oggetto, a questo Generale Ufficio un parere “sulla questione di massima e sulla concedibilità o meno del rimborso richiesto all’esito del riesame” riferendo quanto segue. Nel caso di specie al richiedente il rimborso, dipendente dell’Amministrazione della difesa, era stato contestato il reato di truffa ai danni dell’Amministrazione per essersi assentato durante l’orario di servizio per motivi privati senza permesso e senza annotazione dell’uscita; l’archiviazione è stata disposta dal G.I.P. poiché non sussistevano elementi di prova idonei a sostenere l’accusa in giudizio. Codesta Avvocatura aveva negato le rimborsabilità delle spese legali e deve ora esaminare la richiesta di riesame dell’istante, che ha di recente sollecitato l’evasione del parere. Nella richiesta di parere diretta a questo G.U. si osservava che al fine di ravvisare o escludere la sussistenza della connessione con il servizio, secondo l’impotazione prevalentemente seguita, deve farsi riferimento alla condotta accertata all’esito del procedimento penale ex post e non all’imputazione formulata dal PM, che darebbe luogo ad un giudizio prognostico ed astratto (ex ante); nel caso di specie, tuttavia, non risulta positivamente accertata (nemmeno allo stadio embrionale, atteso che si tratta di procedimento definito con l’archiviazione) alcuna condotta, essendo stati ritenuti insufficienti gli elementi di prova raccolti a sostenere accusa in giudizio. Ai fini della concessione del rimborso, pertanto, prosegue codesta Avvocatura, pare porsi il problema, di ordine generale, della sussistenza del requisito rASSeGNA AVVoCATUrA deLLo STATo -N. 1/2023 della c.d. connessione teleologica nelle ipotesi in cui sia assente l’accertamento della condotta da parte del giudice; ovvero se ai fini del rimborso sia necessario il positivo accertamento della sussistenza di una condotta del richiedente tesa al perseguimento dei fini dell’Amministrazione o se, piuttosto, tale sussistenza debba presumersi in assenza di elementi che consentano di escluderla, atteso che si tratta di contestazione di reati che presuppongono, in qualche misura, il rapporto di servizio con l’Amministrazione. *** Tanto premesso si osserva quanto segue. Viene chiesto il riesame di un parere negativo espresso da codesta Avvocatura, in relazione alla richiesta di rimborso di spese legali di un dipendente dell’Amministrazione della difesa; nel parere si era ritenuto che il criterio per la valutazione circa l’esistenza o meno della riconducibilità della condotta che ha dato luogo al giudizio “all’esercizio delle attribuzioni affidate al dipendente” andasse rinvenuto nell’accertamento del “nesso di strumentalità tra l’adempimento del dovere e il compimento dell’atto, nel senso che il dipendente non avrebbe assolto ai suoi compiti se non ponendo in essere quella determinata condotta” (così efficacemente la sentenza del Consiglio di Stato n. 1914/08 citata nell’originario parere di codesta Avvocatura distrettuale); poiché nel caso di specie non si era verificata la presunta azione illecita, veniva esclusa la rimborsabilità non sussistendo esercizio di attribuzioni affidate al dipendente. . Si osserva al riguardo che il descritto criterio è pienamente idoneo a consentire l’espressione dell’avviso dell’Avvocatura laddove la decisione assolutoria abbia accertato l’effettivo e positivo svolgersi di comportamento attivo, inteso come azione realmente posta in essere dal dipendente legata da nesso di strumentalità con l’adempimento del dovere e risultata, poi, tale da non determinare alcuna responsabilità penale, civile o amministrativa. Considerazioni in parte diverse devono farsi qualora la decisione accerti che quella condotta non è avvenuta; in tali casi si ritiene che si debba valutare se la condotta astrattamente ipotizzata nell’imputazione (o in atto di citazione ecc.) sia considerata, ove accertata nel giudizio, come produttrice di responsabilità (penale, civile o amministrativa) proprio in quanto posta in essere da un pubblico dipendente in relazione a circostanze inerenti la prestazione del servizio o addirittura in violazione dei propri doveri. Le spese legali, in questo caso, sono destinate a compensare difese professionali intese a far affermare l’inesistenza fattuale della condotta dell’agente e quindi, in altri termini, l’inesistenza di comportamenti posti in essere in contrasto con gli obblighi di servizio gravanti sul dipendente pubblico o comunque connessi con la prestazione del servizio medesimo. Si ritiene che la ratio dell’art. 18 1. 135/97 sia quella di tenere indenne dalle spese legali i dipendenti pubblici che hanno tenuto un comportamento PArerI deL CoMITATo CoNSULTIVo rispettoso degli obblighi su di essi gravanti in relazione alla prestazione del servizio (come peraltro chiarito della stessa relazione illustrativa ai d.d.l.): non si vede, quindi, come possa escludersi dalla rimborsabilità l’ipotesi in cui un dipendente pubblico abbia subito un giudizio proprio in conseguenza della sua qualità di pubblico dipendente e abbia visto riconosciuto in giudizio l’inesistenza di presunte condotte contrarie ai citati obblighi. In altri termini, laddove una decisione abbia accertato che il dipendente non ha posto in essere la condotta indicata nell’imputazione o nella citazione e che dunque non vi è azione che si ponga al di fuori dell’espletamento del servizio o che persegua fini egoistici, per il semplice motivo che non sussiste affatto l’azione stessa, ai fini del rimborso assume rilievo il contesto delle circostanze di fatto che hanno determinato l’iniziativa processuale: si ritiene che laddove il fatto imputato al dipendente sia da ricondurre a circostanze inerenti la prestazione del servizio, sarebbe iniquo e contrario, allo spirito dell’art. 18 citato esporre il dipendente ad una spesa legale che egli non ha in alcun modo cagionato con una propria condotta; solo ove l’azione contestata al dipendente fosse stata accertata essa avrebbe troncato il nesso funzionale con la prestazione del servizio, ma non essendosi essa verificata non sembra sia intervenuto alcun elemento ostativo alla concessione del rimborso richiesto. Né a tale lettura della norma sembra ostare la natura di stretta interpretazione della stessa, giacché non si tratta qui di un’applicazione analogica o estensiva della disposizione di cui all’art. 18, bensì della corretta definizione dei suoi ambiti applicativi, nei quali il caso di specie rientra. Va pertanto affermata la rimborsabilità, in via generale ed astratta, delle spese legali sostenute da un pubblico dipendente del quale venga esclusa la responsabilità e che sia stato tratto a giudizio in relazione a fatti asseritaniente posti in essere in violazione degli obblighi su di esso gravanti in relazione alla qualifica rivestita o comunque in relazione a circostanze inerenti la prestazione del servizio e che risulti non aver tenuto la condotta ipotizzata, non essendo necessario ai fini della concessione del rimborso il positivo accertamento della sussistenza di una condotta del richiedente tesa al perseguimento dei fini dell’Amministrazione. Va peraltro precisato che, come riaffermato di recente dal Comitato Consultivo (nella seduta del 19 luglio 2022) la valutazione della condotta va effettuata “ex post”, cioè sulla base di quanto accertato nella decisione che ha definito il giudizio (che nella fattispecie ha escluso la sussistenza della condotta illecita). Nel caso di specie, pertanto, le spese legali appaiono rimborsabili nei limiti che codesta Avvocatura riterrà congrui nel riscontro che vorrà fornire all’Amministrazione Sul presente parere si è espresso in conformità il Comitato Consultivo in- data 12 ottobre 2023. rASSeGNA AVVoCATUrA deLLo STATo -N. 1/2023 in tema di tutela ambientale dell’ecosistema marino e di quello lagunare. ambito di applicazione dell’art. 109, d.lgs. 152/2006 (t.u.a.), del d.m. 173/2016 Parere del 04/11/2022-699738, al 14275/2021, aVV. luiGi Simeoli, aVV. daVide di GiorGio Codesta Avvocatura distrettuale ha richiesto un parere in merito all’interpretazione dell’art. 109 del d.lgs. 152/2006 (di seguito per brevità T.U.A.) al fine di stabilire se la norma in questione possa essere applicata anche all’ambito lagunare. recita il testo dell’articolo in questione: “1. al fine della tutela dell’ambiente marino e in conformità alle disposizioni delle convenzioni internazionali vigenti in materia, è consentita l’immersione deliberata in mare da navi ovvero aeromobili e da strutture ubicate nelle acque del mare o in ambiti ad esso contigui, quali spiagge, lagune e stagni salmastri e terrapieni costieri, dei materiali seguenti: a) materiali di escavo di fondali marini o salmastri o di terreni litoranei emersi; b) inerti, materiali geologici inorganici e manufatti al solo fine di utilizzo, ove ne sia dimostrata la compatibilità e l’innocuità ambientale; c) materiale organico e inorganico di origine marina o salmastra, prodotto durante l’attività di pesca effettuata in mare o laguna o stagni salmastri”. Punto controverso, evidenziato nella richiesta cui si riscontra, è la portata significativa da attribuire alla locuzione “mare” come utilizzata nella citata disposizione. Se, infatti, da un lato un’interpretazione letterale della disposizione sembrerebbe escludere le lagune dall’ambito di applicazione della stessa; dall’altro lato, una lettura di natura teleologica potrebbe condurre all’applicazione del predetto art. 109 anche al caso di specie. Mentre codesta Avvocatura distrettuale mostra di propendere per la seconda interpretazione (essendosi in tal senso espressa con nota prot. n. 12072/2020 del 22 settembre 2020 diretta alla direzione Marittima di Trieste), diversamente, la direzione Generale per il Mare e le Coste del Ministero della Transizione ecologica, con nota prot. del 28 maggio 2020, forniva il proprio parere alla regione Friuli-Venezia Giulia sul suddetto articolo 109, prediligendo il primo - e più letterale - degli orientamenti prospettati. Viene pertanto chiesto a questa Avvocatura Generale dello Stato di esprimersi al riguardo. *** Preliminarmente va evidenziato che non si sono rinvenuti precedenti giurisprudenziali in grado di chiarire la portata finalistica della disposizione in commento. PArerI deL CoMITATo CoNSULTIVo da un lato è fuor di dubbio che una lettura dell’art. 109 del T.U.A. fondata esclusivamente sul criterio letterale non potrebbe che condurre all’esclusione dei bacini lagunari, dalla nozione di mare, come intese dalla disposizione normativa; ciò proprio in quanto le lagune appaiono menzionate successivamente tra gli “ambiti ad esso (al mare ndr) contigui”. Sotto altro profilo gli elementi, opportunamente evidenziati da codesta Avvocatura distrettuale, a supporto di una interpretazione sistematica e finalistica non possono essere privati di una loro intrinseca rilevanza; ciò, posto che lo stesso Testo Unico all’art. 109 evidenzia come la disposizione è dettata al fine di tutelare l’ambiente marino. A ciò si aggiunga che, recentemente, la tutela dell’ambiente e della biodiversità ha ricevuto copertura costituzionale. Il novellato art. 9 della carta fondamentale, al terzo comma recita: “(La repubblica, n.d.r.) Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”. *** Posto dunque che, data la rilevanza della normativa di tutela ambientale, non è possibile per l’interprete limitarsi ad una interpretazione puramente letterale, ad avviso di questa Avvocatura Generale la questione de qua deve trovare adeguata soluzione solo in forza di una lettura sistematica e finalistica che tenga in debito conto il quadro sovranazionale di riferimento, cioè interpretando la disposizione conformemente alla normativa internazionale ed al diritto dell’Unione europea. Ai sensi di quanto disposto, in via generale, dall’articolo 2 del T.U.A., infatti, « 2. Per le finalità di cui al comma 1, il presente decreto provvede al riordino, al coordinamento e all’integrazione delle disposizioni legislative nelle materie di cui all’articolo 1, in conformità ai principi e criteri direttivi di cui ai commi 8 e 9 dell’articolo 1 della legge 15 dicembre 2004, n. 308, e nel rispetto degli obblighi internazionali, dell’ordinamento comunitario, delle attribuzioni delle regioni e degli enti locali». *** Se dunque la risoluzione della questione prospettata passa attraverso una lettura sistematica delle norme interessate, occorre tuttavia necessariamente partire dal dato letterale della norma dell’art. 109 del T.U.A. La norma, al dichiarato fine di tutelare l’ambiente marino, disciplina la possibilità di immersione deliberata in mare di a) materiali di escavo di fondali marini o salmastri o di terreni litoranei emersi; b) inerti, materiali geologici inorganici e manufatti al solo fine di utilizzo, ove ne sia dimostrata la compatibilità e l’innocuità ambientale; c) materiale organico e inorganico di origine marina o salmastra, prodotto durante l’attività di pesca effettuata in mare o laguna o stagni salmastri. Il decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio n. rASSeGNA AVVoCATUrA deLLo STATo -N. 1/2023 173/2016, contenente il “regolamento recante modalità e criteri tecnici per l’autorizzazione all’immersione in mare dei materiali di escavo di fondali marini”, nel quadro dell’attività definitoria dell’art. 2, definisce immersione deliberata in mare la: “deposizione di materiali di cui all’articolo 1 in aree ubicate ad una distanza dalla costa superiore a 3 (tre) miglia nautiche o oltre la batimetrica dei 200 (duecento) metri”. La porzione di mare, quale corpo recettore dell’immersione deliberata, soggetta ad autorizzazione, è, dunque, quella che abbia una profondità ragguardevole (200 m), ovvero che abbia una distanza di circa 5,5 Km dalla costa. Ciò, naturalmente, non significa che ad una distanza o ad una profondità inferiore l’immersione non sia soggetta ad autorizzazione, bensì che nelle porzioni di mare che si trovino a minore distanza dalla costa o avente una minore profondità, l’immersione deliberata non è consentita, salvo, con le autorizzazioni prescritte dalla norma, che il materiale escavato sia utilizzato ai fini di ripascimento ovvero ai fini dell’immersione in ambienti conterminati. La definizione del concetto di mare, e quindi di ambiente marino, quale risulta dalle norme attuative non può ricomprendere l’ambiente lagunare che, come è noto, presenta morfologia e profondità notevolmente inferiori. del resto, la ratio della norma è quella di impedire l’immersione di “sostanze inquinanti”, di origine naturale o antropica, esogene che non rientrino nella composizione della matrice di interesse (o sia presente in essa in concentrazione nettamente superiore ai valori naturali) e che abbia un effetto ritenuto dannoso sull’ambiente marino. Posta la ontologica diversità tra mare e laguna, ai fini che ci occupano, più che stressare la terminologia del legislatore allo scopo di ricomprendere nel concetto di ambiente marino anche quello lagunare, occorre a questo punto verificare fattualmente se la ratio ed i contenuti applicativi delle norme di cui si discorre possa trovare applicazione anche all’ambiente lagunare, ovvero, in altri termini, se l’ambiente lagunare possa, in qualche modo e “di fatto” essere assimilato all’ambiente marino. Sotto il profilo demaniale e giuridico la Legge 5 marzo 1963 n. 366, rubricata “nuove norme relative alle lagune di Venezia e marano-Grado”, all’art. 30 estende le sue disposizioni anche al caso della laguna di Marano-Grado, e precisa che “la laguna di marano-Grado è costituita dal bacino demaniale marittimo d’acqua salsa che si estende dalla foce del Tagliamento alla foce del canale Primero ed è compresa fra il mare e la terraferma”. In applicazione a tali disposizioni (in particolare degli artt. 2 e 30), l’allora Ministero dei Lavori Pubblici (oggi Ministero delle Infrastrutture della Mobilità Sostenibili) con proprio decreto 23 giugno 1966 n. 1330, aveva approvato la delimitazione della laguna di Marano-Grado. PArerI deL CoMITATo CoNSULTIVo Come precisato da ISPrA, si tratta, quindi, di una laguna di circa 32 Km, con una larghezza media di 5 km. La sua estensione è di circa 16.000 ettari, seconda solo alla laguna di Venezia (50.000 ettari). Nella laguna di Marano Grado sfociano inoltre alcuni corsi d’acqua provenienti dalla pianura friulana di cui i principali sono lo Stella, il Corno, l’Aussa e il Natissa. Nel complesso adducono acqua dolce con una portata media di circa 100 m3/sec. La laguna è quindi protetta dal mare (moto ondoso) da un cordone litoraneo ove oggi sono presenti 5 bocche di comunicazione (Lignano, S. Andrea, Porto Buso, Grado e Primero) che consentono il transito delle correnti di marea verso i canali interni e i bassi fondali ove l’acqua di mare si mescola con le acque dolci di origine fluviale. Ne discende quindi che l’ambiente lagunare è un’ambiente ibrido, naturalmente instabile, con un gradiente di salinità che tendenzialmente decresce dalle bocche verso le propaggini più interne dei canali. Per tali motivi, in relazione alla finalità della direttiva Quadro Acque, i corpi idrici lagunari vengono definiti come acque di transizione (e quindi non marino-costiere), dotati di standard specifici di qualità ambientale (art. 2 dIreTTIVA 2000/60/Ce). dai chiarimenti richiesti ad ISPrA, con riguardo agli allegati tecnici del citato d.M. 173/2016, è emerso che la specificità dell’ambiente lagunare si riflette anche sulla questione riguardante la gestione dei sedimenti provenienti dal dragaggio dei canali lagunari nell’ambito del medesimo ambiente lagunare. Ciò in quanto la procedura prevista dal d.M. 173/2016 è stata predisposta ai fini della tutela dell’ambiente marino in attuazione a quanto previsto dall’art. 109, c. 2, del d.lgs. 152/06 e s.m.i. In altri termini, i criteri e i parametri fissati dall’allegato tecnico al citato d.M. sono stati individuati proprio con la finalità di tutelare l’ambiente marino e non il diverso ambiente lagunare. La metodologia prevista dall’allegato tecnico al d.M. 173 non sarebbe dunque applicabile sic et simpliciter al caso dei sedimenti lagunari, occorrendo un attento lavoro per derivare criteri, parametri e classi di qualità strettamente compatibili con l’ambiente lagunare. Anche l’ulteriore ed interessante spunto, fornito da codesta Avvocatura distrettuale, non sembra dirimente allo scopo di ricomprendere nell’ambito dell’Ambiente marino la laguna di Marano Grado. Come ricordato da codesta distrettuale, l’art. 1 del d.M. 15 luglio 2016, n. 173, contenente la definizione dell’ambito di applicazione e le esclusioni, prevede che rASSeGNA AVVoCATUrA deLLo STATo -N. 1/2023 “al fine della tutela dell’ambiente marino, il presente regolamento determina: a) ... ... ... ; b) i criteri omogenei per tutto il territorio nazionale, per l’utilizzo di tali materiali ai fini di ripascimento o all’interno di ambienti conterminati ai quali le regioni conformano le modalità di caratterizzazione, classificazione ed accettabilità dei materiali in funzione del raggiungimento o mantenimento degli obiettivi di qualità ambientale dei corpi idrici marino costieri e di transizione; ... ... ... ... ... ...”. Quanto all’espressione “ambiente conterminato”, richiamato nelle norme dell’art. 1, c. 1, lett. b, nonché dall’art. 2, c. 1, lett. c, e da ultimo l’art. 5, c. 1), l’allegato tecnico al d.M. 173/2016 contribuisce a fornire utili indicazioni ai paragrafi 3.1.3 e 3.2.3 - volte a determinare l’esatta portata del concetto. In particolare, il paragrafo 3.1.3 chiarisce che gli ambienti conterminati sono strutture portuali, distinguendole per tipologia in base al grado di emersione rispetto al corpo idrico circostante, nelle quali depositare il materiale dragato quando quest’ultimo non abbia le caratteristiche qualitative per essere immerso in mare o per essere riutilizzato per ripascimento di litorali: “Gli ambienti conterminati si distinguono in strutture portuali completamente sommerse (tra cui l’attività di capping), parzialmente sommerse (vasche di colmata, banchine portuali, bacini costieri e darsene) e strutture emerse (bacini costieri demaniali completamente emersi nei quali il materiale dragato è trasportato a destinazione finale tramite mezzi navali)”. I citati paragrafi 3.1.3 e 3.2.3 forniscono inoltre precise indicazioni progettuali da rispettare per evitare che la collocazione del materiale in tali “strutture di contenimento a diverso grado di permeabilità”, possa determinare la diffusione di contaminanti all’esterno dell’ambiente conterminato stesso. A tale riguardo la norma prescrive che tale opzione di gestione del materiale dragato debba essere accompagnata da idonee attività di monitoraggio, così come previsto dal successivo paragrafo 3.5.5. Ne discende che l’ambiente conterminato cui si riferisce il d.M. 173/2016 è di fatto una struttura portuale da progettare e realizzare adeguatamente, anche in base alle caratteristiche e alla quantità dei materiali di dragaggio da gestire, e come tale non può essere confusa con un ambiente naturale quale quello lagunare, in genere molto più vasto e con una sua peculiare connotazione geografica, morfologica ed ambientale. Anche il riferimento ai corpi idrici di transizione, di cui si vuole assicurare il raggiungimento o mantenimento degli obiettivi di qualità ambientale, sembra da porsi in relazione con le operazioni di riaperture delle foci fluviali ostruite, come si ricava dalle definizioni contenute nell’art. 2 lett. e) del d.M. che chiarisce: PArerI deL CoMITATo CoNSULTIVo “e) escavo di fondali marini: dragaggio di sedimenti marini per il mantenimento, il miglioramento o il ripristino delle funzionalità di bacini portuali, della riapertura di foci fluviali parzialmente o totalmente ostruite per la realizzazione di infrastrutture in ambito portuale o costiero o per il prelievo di sabbie ai fini di ripascimento”. Anche il precedente giurisprudenziale citato da codesta distrettuale (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 45844 del 2019) non appare dirimente, ai fini che ci occupano, dal momento che in esso si distingueva, sulla base della quantità di materiale escavato, lo “spostamento” di sedimenti in ambito portuale, di cui al combinato disposto degli artt. 1 comma 2 lett. a) e 2 lett. f) del d.M. 173/2016, descrittivo di un’attività connotata dal ridotto impatto ambientale che ne giustifica l’esclusione dal regime autorizzatorio di cui all’art. 109 comma 2 d.lgs. 152/06, dal vero e proprio escavo di fondali marini. Posto che la specificità dell’ambiente lagunare sembrerebbe comportare la inapplicabilità delle norme dettate a tutela del mare propriamente detto quanto all’escavo dei fondali, alla movimentazione di essi ed alla immersione, deve essere verificato se la mancata applicazione della norma dell’art. 109 T.U.A. alla movimentazione dei sedimenti in ambiente lagunare determini un vuoto di tutela, ovvero se vi siano disposizioni normative che regolano la fattispecie. Come riferisce codesta distrettuale, i dragaggi all’interno della Laguna, trovano una computa disciplina nell’art. 49 delle Norme Tecniche di attuazione del Piano di Tutela delle Acque adottato dalla regione Friuli-Venezia Giulia che così dispone: “art. 49 dragaggi interessanti i corpi idrici delle acque di transizione 1. le operazioni di dragaggio nella laguna di marano e Grado sono attuate preferibilmente mediante la movimentazione dei sedimenti, sulla base di un progetto che prevede la ricollocazione degli stessi all’interno dell’ambiente lagunare, secondo le modalità di cui ai commi successivi, ai fini di contrastare la tendenza alla perdita di sedimento dell’ambiente lagunare, di limitare l’erosione dei fondali e di ricostituire habitat tipici della laguna. 2. le operazioni di movimentazione sono effettuate nel rispetto delle disposizioni dell’articolo 185, comma 3, del decreto legislativo 152/2006, come successivamente modificato ed integrato, e quindi a condizione che: a) i sedimenti da dragare, in base alle analisi, siano classificati come non pericolosi, ai sensi della decisione 2000/532/ce della commissione del 3 maggio 2000 e successive modificazioni; b) il riutilizzo del materiale dragato non peggiori lo stato di qualità (stato ecologico e stato chimico) delle acque del sito individuato per la deposizione del materiale stesso, nel rispetto della direttiva 2000/60/ce; c) la destinazione dei sedimenti dragati non sia in contrasto con le disposizioni in materia di tutela della salute ed in particolare con la direttiva rASSeGNA AVVoCATUrA deLLo STATo -N. 1/2023 91/492/cee del consiglio, del 15 luglio 1991, che stabilisce le norme sanitarie applicabili alla produzione e commercializzazione dei molluschi bivalvi vivi; d) la destinazione dei sedimenti dragati rispetti le disposizioni relative alla tutela delle specie e degli habitat presenti nei siti della rete natura 2000 istituiti ai sensi delle direttive 92/43/cee e 2009/147/ce e del dPr 357/1997; in particolare: -la zona umida delle Foci dello Stella, ai sensi della convenzione di ramsar; -il Sito di interesse comunitario (Sic) nonché la Zona di Protezione Speciale (ZPS) ai sensi della direttiva 92/43/cee (Habitat) e del decreto del Presidente della repubblica 8 settembre 1997, n. 357; -le riserve naturali regionali della Valle cavanata, della Valle canal novo e delle Foci dello Stella. e) i materiali dragati devono avere caratteristiche chimico-fisiche ed eco- tossicologiche compatibili con i sedimenti del sito di destinazione; f) la destinazione dei materiali dragati non incida sui siti oggetto di concessione in essere per l’acquacoltura; g) la destinazione dei materiali dragati non incida sulle praterie di fanerogame, a meno che le praterie interessino direttamente le vie navigabili. le analisi chimiche ed eco tossicologiche devono essere effettuate con riferimento ai siti interessati da ogni singolo intervento di dragaggio. 3. i materiali risultanti dai dragaggi possono essere spostati all’interno delle acque superficiali o nell’ambito delle pertinenze idrauliche della laguna, nel rispetto delle condizioni di cui al comma 2, e, altresì, ai fini della formazione o del ripascimento di velme, della costruzione di barene, nonché del recupero morfologico o del ripascimento di barene esistenti. 4. le operazioni di dragaggio attuate mediante movimentazione di sedimenti nell’ambito di fondali interessanti le altre acque di transizione, diverse dalla laguna di marano e Grado, seguono le modalità di cui al comma 2”. Posto che il dragaggio all’interno della laguna è disciplinata dalla disposizione regionale sopra riportata, si pone la questione della natura del Piano di Tutela delle Acque e del nesso che la norma regionale ha con la normativa di tutela ambientale che, nel riparto delle competenze, è affidata allo Stato (art. 117, comma 2, lettera s), Cost.). Sul punto, proprio con riguardo al Piano di Tutela delle Acque del Friuli- Venezia Giulia, è intervenuta la Corte costituzionale che ha rammentato: “l’art. 121 del d.lgs. n. 152 del 2006 disciplina il piano regionale di tutela delle acque, il quale si aggiunge al piano di bacino distrettuale (art. 65) e al piano di gestione (art. 117). il piano delle acque è approvato all’esito di un complesso procedimento, articolato nelle seguenti fasi: «le autorità di bacino, nel contesto delle attività di pianificazione o mediante appositi atti di indirizzo e coordinamento, sentiti le province e gli enti di governo dell’ambito, PArerI deL CoMITATo CoNSULTIVo definiscono gli obiettivi su scala di distretto cui devono attenersi i piani di tutela delle acque, nonché le priorità degli interventi»; «le regioni, sentite le province e previa adozione delle eventuali misure di salvaguardia, adottano il Piano di tutela delle acque e lo trasmettono al ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare nonché alle competenti autorità di bacino, per le verifiche di competenza» (comma 2); «le autorità di bacino verificano la conformità del piano agli atti di pianificazione o agli atti di indirizzo e coordinamento di cui al comma 2, esprimendo parere vincolante»; le regioni approvano il Piano di tutela «entro i successivi sei mesi» (comma 5). Questa procedura, che vede l’intervento delle regioni sia nella fase del- l’adozione del piano sia in quella della sua approvazione definitiva, è interamente disciplinata nel codice dell’ambiente, sull’assunto della sua inerenza alla competenza legislativa statale in materia di «tutela dell’ambiente». Questo assunto non è stato smentito dalla giurisprudenza costituzionale, che ha ricondotto a tale materia la normativa sulle acque, in quanto preordinata segnatamente alla loro tutela (in questo senso, sentenze n. 229 del 2017 e n. 86 del 2014), osservando in particolare che «[i]l riparto delle competenze [...] dipende proprio dalla [...] distinzione tra uso delle acque minerali e termali, di competenza regionale residuale, e tutela ambientale delle stesse acque, che è di competenza esclusiva statale, ai sensi del vigente art. 117, comma secondo, lettera s), della costituzione» (sentenza n. 1 del 2010). (cfr. corte costituzionale sentenza 21 giugno 2019, n. 153 - sottolineato aggiunto). L’adozione del PTA della regione Friuli-Venezia Giulia è stato, quindi, oggetto di controllo dello Stato centrale (il piano è stato trasmesso al ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare nonché alle competenti autorità di bacino, per le verifiche di competenza); quest’ultimo non risulta avervi mosso rilievi. Non può, dunque, sostenersi che la normativa regionale, assentita dai competenti organi dell’Amministrazione centrale, prescrivendo un sistema di controlli diversi da quelli previsti dall’art. 109 del T.U.A., abbia determinato un abbassamento della tutela che imponga, per rispettare il precetto costituzionale dell’art. 9 Cost., l’applicazione della normativa statuale afferente alla immersione deliberata in mare. dall’esame delle norme sopra citate emerge, al contrario, che la diversa disciplina della immersione deliberata in mare (art. 109 T.U.A.) e dei dragaggi interessanti i corpi idrici delle acque di transizione (art. 49 delle Norme attuative del PTA) risponde alla ratio di una tutela necessariamente differenziata di due ambienti naturali (quello marino e quello lagunare) morfologicamente diversi, la tutela dei cui ecosistemi richiede misure specifiche. Ciò è testimoniato dal fatto che la norma del PTA, nel consentire i dragaggi all’interno della laguna, prevede non solo che la movimentazione è consentita nei soli casi in cui i sedimenti dragati non siano da considerare rifiuti o siano pericolosi per la salute umana, ma anche a condizione che i sedimenti rASSeGNA AVVoCATUrA deLLo STATo -N. 1/2023 dragati non alterino gli habitat lagunari (cfr. lett. d), e), f), g) dell’ art. 49 delle Norme Tecniche di attuazione del Piano di Tutela delle Acque). Conclusivamente, in considerazione delle fonti eurounitarie e domestiche sopra citate, questa Avvocatura Generale ritiene più coerente con il quadro normativo generale in tema di tutela ambientale, propendere per un’interpretazione dell’art. 109 TUA nel senso che, ai fini delle attività ivi previste e delle autorizzazioni amministrative ad esse propedeutiche, alla nozione di mare non possa essere ricompreso l’ambiente lagunare che, nel caso di specie, trova specifica regolamentazione del Piano di Tutela delle Acque del Friuli Venezia Giulia, adottata -come detto -con il preventivo coinvolgimento dell’allora ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare (oggi miTe) nonché della competente autorità di bacino. Sul presente parere è stato sentito il Comitato Consultivo di questa Avvocatura che si è espresso in conformità nella seduta del 25 ottobre 2022. PArerI deL CoMITATo CoNSULTIVo sui requisiti per il riconoscimento delle “Fondazioni di partecipazione” tra i soggetti collettivi di cui all’articolo 13 della legge n. 349/1986 Parere del 06/04/2023-248858, al 9245/2023, aVV. domenico maimone Con la nota in riscontro codesto Ministero, ripercorsi i profili di individuazione delle associazioni di protezione ambientale previste dall’art. 13, comma 1, della legge 8 luglio 1986, n. 349 e richiamato altresì il parere di questo Generale Ufficio prot. n. 316095P del 11 ottobre 2011, chiede, “allo scopo di ridurre le incertezze interpretative e di conferire maggiore prevedibilità alle decisioni” da assumere in ordine al riconoscimento di nuove associazioni di protezione ambientale, ovvero al mantenimento nell’elenco ministeriale dei soggetti collettivi già riconosciuti, se il parere reso dalla Scrivente, peraltro anteriore all’introduzione del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117 recante il “codice del Terzo settore”, stante il tempo trascorso, possa essere aggiornato sì da comprendere oggi anche istituzioni di nuova formazione come le Fondazioni di partecipazione (d’ora in avanti anche F.d.p.). Nell’approcciare la trattazione del tema sottoposto non può che muoversi dalla disamina del dato normativo. L’art. 13 della legge n. 349/1986 prevede che le associazioni di protezione ambientale a carattere nazionale ovvero presenti in almeno 5 regioni sono individuate con decreto del Ministro dell’ambiente sulla base delle finalità programmatiche e dell’ordinamento democratico previsti dallo statuto, nonché della continuità dell’azione e della sua rilevanza esterna. L’individuazione e la conseguente iscrizione nell’apposito elenco delle associazioni di protezione ambientale consentono a questo tipo di enti collettivi di “intervenire nei giudizi per danno ambientale e ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l’annullamento di atti illegittimi” (art. 18, comma 5). Come chiarito dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza n. 6 del 20 febbraio 2020, la legittimazione processuale delle associazioni -si trattava, nella fattispecie decisa, di associazioni consumeristiche non integra un fenomeno di sostituzione processuale ex art. 81 cod. proc. civ. perché, per effetto della c.d. soggettivizzazione in capo a loro degli interessi adespoti, le associazioni, quando fanno valere in giudizio interessi diffusi come quelli ambientali -, agiscono a tutela di situazioni giuridiche proprie e non altrui. Nel parere a suo tempo reso, la Scrivente ha osservato come la necessità del modello associativo previsto nel codice civile risieda nella strumentalità del modello stesso alla tutela degli interessi diffusi, di talché «la scelta compiuta dal legislatore con la norma in esame si è basata sull’esigenza di indi rASSeGNA AVVoCATUrA deLLo STATo -N. 1/2023 viduare con il necessario rigore, con apposito atto amministrativo, i soggetti che offrano garanzie adeguate in merito alla capacità di interpretare e difendere, similmente agli enti pubblici a ciò istituzionalmente predisposti, l’interesse generale alla tutela dell’ambiente. [...] l’opzione è stata compiuta a favore di soggetti organizzati, o di “organizational plaintiff”, aventi una adeguata base associativa che faccia presumere per un verso l’esistenza di un adeguato controllo sociale sulla propria attività, a garanzia di una autentica e genuina rappresentanza dei pubblici e generali interessi, e per un altro verso il possesso di una sufficiente incisività, efficacia e continuità della propria azione» (pag. 5). «Questa ratio legis [soggiunge il parere] si esprime chiaramente attraverso la disposizione del citato art. 13, comma 1, della 1. 349/86, che riserva il riconoscimento alle “associazioni” e cioè agli enti morali definiti dagli artt. 14 e ss. del codice civile che perseguono finalità altruistiche di carattere culturale, scientifico, sociale e simili attraverso una struttura fondata prevalentemente sulla componente personale. il riferimento alle “associazioni” si giustifica razionalmente con l’intento del legislatore di recepire i risultati del dibattito che si è innanzi sintetizzato, in base ai quali la legittimazione ad agire in giudizio a tutela di interessi generali, riferibili indifferenziatamente ad una pluralità di cittadini, può essere attribuita ai soli enti che -attraverso una struttura organizzativa fondata soprattutto sul contributo operativo ed ideologico dei suoi componenti -rivelino la capacità di individuare, rappresentare e difendere in modo fedele ed efficace, le esigenze e i bisogni della collettività nella materia in esame» (pag. 6). Il parere si sofferma, altresì, sulla considerazione che la necessità di dotarsi di un “ordinamento interno democratico” fa ulteriormente propendere per la conclusione che gli organismi di cui all’art. 13 non possano che essere delle associazioni, nelle quali l’effettiva rappresentatività del sodalizio implica logicamente l’esistenza di un organismo a base prevalentemente personale, qual è l’associazione. Per le medesime ragioni, nel parere si tende ad escludere che nel novero degli enti iscrivibili nell’apposito elenco possano essere ricompresi fondazioni, fondi patrimoniali e simili, ancorché deputati a perseguire finalità non egoistiche o non lucrative nel settore ambientale. La più recente diffusione nel panorama degli enti collettivi della figura della “Fondazione di partecipazione”, quale nuovo possibile strumento di operatività nel settore della tutela ambientale, unitamente all’evoluzione del panorama giurisprudenziale sul tema degli enti legittimati (1), impone, come (1) Sul punto, cfr. A.P. n. 6 del 20 febbraio 2020 cit.: «2.3 in relazione a tale aspetto, è ben noto l’orientamento giurisprudenziale secondo cui l’iscrizione nell’elenco di cui all’art. 13 della legge 349/86 PArerI deL CoMITATo CoNSULTIVo proposto nella richiesta di parere, una rinnovata riflessione tesa a verificare la compatibilità dei nuovi modelli collettivi emersi nella prassi con la previsione dell’art. 13 della legge n. 349/1986. In tal senso l’interprete è chiamato a farsi carico di verificare la possibilità di far confluire nella nozione di associazione di protezione ambientale nuove forme aggregative che hanno avuto nel tempo diffusione sul piano sociale ovvero un riconoscimento sul piano normativo, sebbene in altri ambiti dell’ordinamento, anche considerando che la legge n. 349/1986 non poteva conoscere né prevedere la successiva diffusione di enti caratterizzati da elementi trasversali rispetto ai due tradizionali modelli di riferimento degli enti collettivi senza finalità di lucro: associazione e fondazione. In effetti, la netta distinzione tra fondazioni ed associazioni, così come derivante dall’impostazione tradizionale degli articoli 14 e ss. del codice civile, sta subendo una progressiva erosione proprio a fronte di una sempre più frequente tendenza a creare enti “ibridi” al fine di venire incontro alle esigenze concrete che di volta in volta si presentano (2). In altri termini, la dinamicità del modello collettivo cui si è assistito negli ultimi anni è espressione della avvertita esigenza di adeguare lo strumento al perseguimento delle nuove esigenze emergenti a livello sociale. non determina un rigido automatismo, potendo il giudice, all’esito di una verifica della concreta rappresentatività, ammettere all’esercizio dell’azione anche associazioni non iscritte, secondo il criterio del c.d. “doppio binario” che distingue tra la legittimazione ex lege delle associazioni di protezione ambientale di livello nazionale riconosciute (che non necessita di verifica) e la legittimazione delle altre associazioni (tra le tante, cons. Stato, sez. iV, 2 ottobre 2006, n. 5760; sez. Vi, 13 settembre 2010, n. 6554). Quest’ultima deve essere accertata in ciascuno dei casi concreti con riguardo alla sussistenza di tre presupposti: gli organismi devono perseguire statutariamente in modo non occasionale obiettivi di tutela ambientale, devono possedere un adeguato grado di rappresentatività e stabilità e devono avere un’area di afferenza ricollegabile alla zona in cui è situato il bene a fruizione collettiva che si assume leso (ex plurimis, cons. Stato, iV, 16 febbraio 2010, n. 885)». Annota la medesima pronuncia che «5.2.2 Questi interventi normativi non devono essere letti nel senso di previsioni che scindono, in via straordinaria, la legittimazione, dalla lesione di una situazione giuridica, ma quale emersione positiva dell’esigenza di protezione giuridica di interessi diffusi, secondo lo schema già delineato in via generale dalla giurisprudenza, e in linea con il ruolo che l’art. 2 cost. assegna alle formazioni sociali, oltre che con la più attenta ed evoluta impostazione del principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118 cost. [...] 8 [...] deve quindi ritenersi che un’associazione di utenti o consumatori, iscritta nello speciale elenco previsto dal codice del consumo oppure che sia munita dei requisiti individuati dalla giurisprudenza per riconoscere la legittimazione delle associazioni non iscritte, sia abilitata a ricorrere dinanzi al giudice amministrativo in sede di giurisdizione di legittimità. la legittimazione, in altri termini, si ricava o dal riconoscimento del legislatore quale deriva dall’iscrizione negli speciali elenchi o dal possesso dei requisiti a tal fine individuati dalla giurisprudenza. una volta “legittimata” l’associazione è abilitata a esperire tutte le azioni eventualmente indicate nel disposto del legislativo e comunque l’azione generale di annullamento in sede di giurisdizione amministrativa di legittimità ». (2) Appare significativa, in tal senso, la recente previsione dell’art. 42-bis c.c. (come introdotto dall’art. 98 del d.lgs. 3 luglio 2017 n. 117) circa la possibilità di operare “reciproche trasformazioni, fusioni o scissioni” per le associazioni riconosciute e non riconosciute e per le fondazioni. rASSeGNA AVVoCATUrA deLLo STATo -N. 1/2023 In tal senso, si usa convenzionalmente designare con il sintagma Fondazione di partecipazione una struttura organizzativa meta-individuale a rilievo reale, connotata da tratti morfologici ricorrenti, ed in quanto tali ritenuti identificanti, ma priva di un referente normativo dedicato e puntuale. e tuttavia, l’art. 12 c.c. (attualmente abrogato ma sostanzialmente riprodotto nell’art. 1 comma 1 del d.P.r. 361/2000) sancisce la possibilità di riconoscere la personalità giuridica non solo ad associazioni e fondazioni, ma anche ad “altre istituzioni di carattere privato”. L’aggettivo “altre” farebbe sottintendere dunque la possibilità che, accanto alle figure giuridiche tipiche (associazione e fondazione), possano essere create anche figure giuridiche atipiche, tra le quali può senz’altro annoverarsi anche la Fondazione di Partecipazione. La F.d.p. trova un’ulteriore legittimazione codicistica nell’art. 1332 c.c. La figura è caratterizzata, infatti, dal fatto di essere un patrimonio di destinazione a struttura aperta con la conseguenza che il suo atto costitutivo si configurerà come un contratto che può ricevere l’adesione di altre parti oltre a quelle originarie (3). Le Fondazioni di partecipazione possono essere create per svolgere diverse tipologie di attività: dal volontariato, alla valorizzazione di territori e beni culturali; dalla gestione di musei e biblioteche, allo sviluppo di attività teatrali e cinematografiche. Sempre senza fine di lucro e sempre nell’ottica del pubblico interesse. Il fenomeno si è affermato e diffuso sul piano dell’esperienza pratica, cui ha poi fatto seguito, tuttavia, un significativo, seppur settoriale, riconoscimento normativo, come appunto quello individuato da codesto Ministero nel decreto legislativo n. 117/2017, cfr. artt. 4, 8, 11, 20, 21 e 23 (codice del terzo settore) ovvero, con specifico riferimento ad alcune fondazioni a partecipazione pubblica/ privata, nel decreto legislativo n. 29 giugno 1996, n. 367 (art. 10) in materia di fondazioni liriche, nonché negli artt. 16 e 17, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 4 maggio 2001, n. 207 in tema trasformazione delle IPAB in fondazioni, ovvero nell’art. 2, comma 3, d.P.r. 24 maggio 2001, n. 254 dedicato alle Fondazioni universitarie. esperienze organizzative analoghe a quella della Fondazione di partecipazione ritornano dunque in una pluralità di istituti sorti per effetto di leggi di settore, tutti caratterizzati, in vario modo, da un organo di amministrazione su base associativa o assemblearmente nominato. Secondo l’interpretazione dominante, la Fondazione di partecipazione è una istituzione di diritto privato, che costituisce un nuovo modello di gestione di iniziative nel campo culturale, ambientale e, in generale, no-profit, senza (3) art. 1332 c.c. “Adesione di altre parti al contratto”: «Se ad un contratto possono aderire altre parti e non sono determinate le modalità dell’adesione, questa deve essere diretta all’organo che sia stato costituito per l’attuazione del contratto o, in mancanza di esso, a tutti i contraenti originari». PArerI deL CoMITATo CoNSULTIVo scopo di lucro ed al quale si può aderire apportando denaro, beni materiali o immateriali, professionalità o servizi. Un ente non lucrativo che nasce come reazione alla inadeguatezza del modello codicistico di fondazione tradizionalmente connotata dal distacco dell’ente dal fondatore, da una dotazione patrimoniale iniziale autosufficiente al perseguimento dello scopo e dalla posizione servente dell’organo amministrativo. La prassi, attraverso questo istituto, ha invero superato sia il dogma dell’unico fondatore, sia quello del distacco del fondatore dalle vicende e dalle sorti dell’ente, in favore di una sempre maggiore possibilità di interferenza rispetto ai procedimenti attuativi finalizzati al raggiungimento dello scopo per cui la fondazione è stata costituita. Ciò, in effetti, permette di garantire ai conferenti il controllo circa la reale destinazione del proprio contributo allo scopo perseguito. I caratteri salienti della nuova figura sono quindi: a. la pluralità di fondatori o comunque dei partecipanti all’iniziativa mediante un apporto di qualsiasi natura purché utile al raggiungimento degli scopi; il requisito si traduce nella prassi nella libertà di iscrizione per tutti coloro che intendono partecipare alla vita della Fondazione, apportandovi il loro contributo economico e/o d’opera e condividendone la finalità; b. il principio di tendenziale partecipazione attiva alla gestione dell’ente da parte di tutti i fondatori o partecipanti all’ente, principio che conforma l’organizzazione dell’ente stesso e le sue regole di azione in senso democratico, testimoniato dalla presenza di una componente personale effettivamente e dialetticamente capace di incidere sulla vita dell’ente; in altri termini, l’ente è sovente organizzato in una pluralità di organi al fine di consentire una partecipazione quanto più attiva possibile di tutti gli aderenti alla fase gestionale con attribuzione ai partecipanti alla Fondazione del diritto di voto nelle assemblee deliberative; c. la formazione progressiva del patrimonio, per cui la dotazione patrimoniale iniziale non è definitiva, ma strutturalmente aperta ad incrementi per effetto della adesione successiva da parte di soggetti, ulteriori rispetto ai fondatori, che condividano i medesimi obiettivi. Ne consegue che caratteristica fondamentale della fondazione di partecipazione, tale da distanziarla dal modello codicistico della Fondazione tradizionale è proprio la struttura dell’ente che deve essere tale da garantire la possibilità di partecipazione dei conferenti ai processi attuativi dello scopo al cui conseguimento gli apporti da ciascuno effettuati sono destinati. Questa struttura aperta permette, da un lato, una fattiva collaborazione all’interno dello stesso istituto di soggetti privati e pubblici e, dall’altro, l’aggregarsi di privati cittadini che diventano ‘soci’ della Fondazione e come tali sono dalla stessa considerati. Questa partecipazione potrebbe essere definita come una sorta di “azionariato diffuso” in ambito culturale, ambientale, sociale, che garantisce diritti e stabilità. rASSeGNA AVVoCATUrA deLLo STATo -N. 1/2023 diversificate possono essere le forme di partecipazione alla fondazione. Secondo una interpretazione abbastanza diffusa si distinguono: i “fondatori/ promotori”, cioè quei soggetti che hanno costituito la fondazione; i “nuovi fondatori”, altrimenti detti “partecipanti fondatori”, cioè quei soggetti che vengono ammessi a fare parte della fondazione in un momento successivo e ciò in base ad una esplicita previsione dell’Atto costitutivo e/o dello Statuto; gli aderenti (o “partecipanti”) che, condividendo le finalità e gli scopi della F.d.p., contribuiscono operativamente alla vita della medesima mediante contributi in danaro corrisposti una tantum o periodicamente; i sostenitori, che scelgono di sostenere la F.d.p. attraverso contribuzioni di tipo non finanziario come, per esempio, la prestazione di una attività, anche professionale, un apporto di lavoro volontario. Al di là delle diverse denominazioni e classificazioni rimane comunque il fatto che, proprio la presenza di numerose categorie di ‘soci’, garantisce l’aspetto associativo della F.d.p. Nella F.d.p. possono confluire persone fisiche o giuridiche, sia pubbliche che private, in qualità di fondatori o aderenti. essa rappresenta dunque uno degli strumenti più adatti per consentire ad un ente pubblico di perseguire uno scopo di pubblica utilità, usufruendo anche dell’apporto dei privati. Non a caso il settore in cui tale figura giuridica ha trovato maggiore applicazione è quello dei beni culturali e museali laddove molto spesso la Pubblica Amministrazione ha il potere ma non i mezzi sufficienti per intervenire. Generalmente, il patrimonio dell’ente è costituito da due elementi distinti. Il Fondo Patrimoniale, che è intangibile e comprende lo stesso Fondo di dotazione (conferimento in denaro, beni immobili e/o mobili o altri conferimenti utilizzabili per il conseguimento dello scopo/i della fondazione effettuati dai Fondatori -Promotori o Nuovi -e dagli Aderenti); i beni immobili e/o mobili (che fossero pervenuti o dovessero pervenire a qualsiasi titolo alla fondazione, compresi quelli dalla stessa acquisiti se ed in quanto previsto dal proprio statuto); i contributi ricevuti dalle istituzioni nazionali, transnazionali, da enti pubblici o privati (se elargiti con espressa destinazione all’incremento del patrimonio della fondazione); la parte di rendite non utilizzata, destinata all’incremento del Fondo patrimoniale con delibera del Consiglio Generale. Il Fondo di Gestione che, invece, può essere utilizzato e che viene, quindi, usato per la gestione della fondazione e per la sua attività corrente. di esso fanno parte: le rendite ed i proventi derivanti dalle attività della fondazione e dal suo patrimonio; dai contributi volontari dei fondatori (promotori e nuovi), degli aderenti e dei sostenitori; le donazioni o disposizioni testamentarie non espressamente destinate al Fondo di dotazione; i contributi pubblici; i proventi derivanti da tutte le attività della fondazione, tanto istituzionali, quanto accessorie e strumentali. PArerI deL CoMITATo CoNSULTIVo L’interesse per questo nuovo schema organizzativo e la ragione della sua recente diffusione traggono allora origine proprio dalla adozione di modelli più attuali, strumentali a consentire ai fondatori e in generale ai “conferenti” di partecipare alla fase attuativa del programma fondazionale, da cui anche la genesi del nome. Pure nella variabilità degli schemi organizzativi in concreto adottati -proprio per la sua atipicità la F.d.p. presenta una elasticità ed una duttilità che consentono di adeguarne la struttura allo scopo e alla composizione individuati nella singola fattispecie -il dato comune sembra pertanto rappresentato, nelle esperienze più frequenti, dalla attribuzione statutaria delle funzioni di governo dell’ente ad un organismo che opera con metodo assembleare, mentre agli amministratori sono assegnate solo mansioni esecutive. Pur non essendoci coincidenza tra le varie denominazioni usate nella prassi per indicare gli organi delle Fondazioni di partecipazione, si possono comunque individuare, ai fini che qui interessano, le figure maggiormente ricorrenti, di seguito riportate. Il consiglio Generale, o consiglio di indirizzo, che ha il compito di assumere le decisioni essenziali per la vita della Fondazione. esso è composto da un numero variabile di membri, seppure ad esso debbano necessariamente partecipare tanto i fondatori (promotori e nuovi), quanto gli aderenti. Il consiglio di amministrazione, o consiglio di Gestione, che, in genere, ha il compito di gestire ed amministrare la fondazione nell’ambito di quanto determinato ed indicato dal Consiglio Generale. È composto, anch’esso, da un numero variabile di membri, comunque tutti nominati dal Consiglio Generale, ed è presieduto dal Presidente della Fondazione. L’assemblea di Partecipazione,o collegio dei Partecipanti, è un organo, a cui partecipano gli aderenti e i sostenitori, privo di poteri di gestione e con finalità esclusivamente consultiva e di impulso. Il Presidente che presiede il Consiglio Generale, il Consiglio di Amministrazione e assume la rappresentanza legale dell’ente. In questo nuovo schema negoziale v’è, pertanto: il perseguimento di uno scopo generalmente di utilità sociale e comunque non lucrativo; il vincolo di destinazione del patrimonio al perseguimento dello scopo; una articolazione dell’organizzazione atta a garantire la partecipazione dei conferenti in funzione attuativa e di controllo nel rispetto del vincolo di destinazione del patrimonio; la necessaria apertura della struttura organizzativa al reclutamento di coloro che effettuano, anche in tempi successivi, apporti patrimoniali funzionali al perseguimento dello scopo; la tendenziale adozione di un sistema decisionale a maggioranza all’interno dell’organo di indirizzo. Tanto premesso, pur dovendosi riconoscere che il nuovo modello organizzativo oggetto di illustrazione presenta caratteristiche che tendono ad rASSeGNA AVVoCATUrA deLLo STATo -N. 1/2023 allontanarlo dallo schema della fondazione tradizionale avvicinandolo a quello dell’associazione, deve tuttavia confermarsi nella sua impostazione generale quanto affermato nel precedente parere prot. 316095/2011 circa l’impossibilità di immaginare enti diversi dalle associazioni da includere nel novero di quelli individuati dal Ministero ai sensi degli artt. 13 e 18 della legge n. 349/1986. Va infatti considerato, ancorché lo stesso parere avverta, nel propendere per la soluzione più rigorosa, che «ciò non significa tuttavia che la norma debba essere applicata in termini formalistici, attribuendo rilevanza decisiva ed assorbente al “nomen juris” del soggetto che richieda il riconoscimento » (pag. 8), che l’interprete, nel valutare la platea dei soggetti collettivi richiedenti il riconoscimento, può prescindere dal riferimento terminologico alla “associazione” contenuto nella norma, ma non già dall’esaminare l’aspetto sostanziale dell’istituto, cioè l’esistenza, all’interno dell’ente interessato ad essere individuato ai sensi dell’art. 13, di una struttura a base partecipativa personale preponderante. e l’aspetto della preponderanza è proprio ciò che sembra difettare nelle fondazioni di partecipazione, ove al più si assiste ad un’equi-ordinazione della componente personale rispetto a quella patrimoniale; ciò che rende la proposta opzione ermeneutica concretamente non percorribile. dunque, il dato letterale dell’art. 13 della l. n. 349/1986 va considerato ancora oggi insuperabile nel limitare l’individuazione ministeriale colà prevista alle sole associazioni di protezione ambientale, con esclusione quindi della riconoscibilità, in via interpretativa, di soggetti collettivi che, come le fondazioni di partecipazione, pur presentando, in misura maggiore o minore, profili associativi, non sono associazioni in senso stretto e proprio. In definitiva, se le fondazioni di partecipazione non possono, de iure condito e sulla base dell’interpretazione letterale della norma -la quale, com’è noto, costituisce il primo e principale canone ermeneutico ex art. 12, comma 1, disp. prel. cod. civ. -, rientrare tra le associazioni di protezione ambientale di cui all’art. 13 1. 8 luglio 1986, n. 349, tuttavia, gli elementi di carattere lato sensu associativo che innegabilmente ne caratterizzano la struttura, potranno essere eventualmente valorizzati, de jure condendo, al fine dell’inclusione, per via normativa, (anche) di tali soggetti nel novero di quelli di cui alla disposizione citata. In altri termini, se, avuto riguardo all’inequivoco dato positivo, non è attualmente possibile prescindere, sul piano interpretativo, dalla necessità che gli enti richiedenti il riconoscimento ministeriale siano costituiti in forma di associazione secondo il modello legale tipico del codice civile, gli elementi sopra evidenziati potrebbero indurre, sul piano legislativo, ad estendere la riconoscibilità anche ad enti collettivi che, come le fondazioni di partecipazione, sono caratterizzati dalla presenza, accanto a quella patrimoniale, di una signi PArerI deL CoMITATo CoNSULTIVo ficativa componente personale, meritevoli anch’essi, nell’ottica della migliore tutela degli interessi ambientali, di inclusione -alle condizioni ivi previste nell’elenco di cui all’art. 13 della l. n. 349/1986. Il parere è stato sottoposto all’esame del Comitato Consultivo che si è espresso in conformità nella seduta del 22 marzo 2023. rASSeGNA AVVoCATUrA deLLo STATo -N. 1/2023 Cessione pro soluto e in blocco di crediti derivanti da operazioni di finanziamento rimborsati mediante cessione del quinto dello stipendio; cessione effettuata nel contesto di una operazione di c.d. cartolarizzazione ai sensi degli artt. 1 e 4 l. 30 aprile 1999 n. 130, dell’art. 58 d.lgs. n. 385 del 1° settembre 1993 (il “testo unico Bancario”) Parere del 08/06/2023-385621, al 4197/2020, ProcuraTore dello STaTo Valeria romano 1. il quesito. Si riscontra la nota emarginata con la quale codesto Comando ha chiesto alla Scrivente di esprimersi in ordine all’opponibilità all’Amministrazione in indirizzo di una cessione di crediti derivanti da contratti di finanziamento rimborsati mediante cessione del quinto dello stipendio effettuata all’interno di un’operazione di cartolarizzazione posta in essere ai sensi degli articoli 1 e 4 della legge del 30 aprile 1999, n. 130 e dell’articolo 58 del decreto legislativo n. 385 del 1° settembre 1993 (il “Testo Unico Bancario”). Più in particolare l’Amministrazione in indirizzo ha rappresentato -in fatto - le seguenti circostanze. La r. S.r.l. (nella qualità di cessionaria) ha concluso, nell’ambito di un’operazione di cartolarizzazione ai sensi della citata legge 30 aprile 1999, n. 130, due contratti di cessione -di tenore sostanzialmente analogo -rispettivamente con le società P. e d.F. S.p.A. in forza dei quali ha acquistato -pro saluto ed in blocco nei termini e alle condizioni ivi specificati -i crediti pecuniari (per capitale e interessi anche di mora, maturati e maturandi) rivenienti da finanziamenti concessi dalle predette Società a dipendenti dell’Amministrazione in indirizzo e destinati ad essere rimborsati mediante cessione del quinto degli emolumenti stipendiali mensili ai sensi del d.P.r 5 gennaio 1950, n. 180 recante “approvazione del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti dalle Pubbliche amministrazioni”. In relazione al predetto contesto fattuale, l’Amministrazione in indirizzo ha dunque chiesto alla Scrivente di chiarire se sia o meno fondata la richiesta, alla stessa pervenuta dalla r. S.r.l., di “recepire l’avvenuta cessione per i contratti segnalati, e conseguentemente variare il beneficiario dei versamenti mensili da eseguirsi in esecuzione dei medesimi contratti in favore di r. Srl” e non più in favore delle Società cedenti. Sulla questione la Scrivente ha ritenuto opportuno tentare una previa interlocuzione con il Ministero dell’economia e delle Finanze e con il Ministero per la Pubblica Amministrazione che -tuttavia -non hanno fatto pervenire alcun riscontro, sicché non resta che affrontare il quesito che si sostanzia -in estrema PArerI deL CoMITATo CoNSULTIVo sintesi -nella richiesta di individuare, a valle dell’operazione negoziale descritta, quale sia il soggetto legittimato a ricevere, con effetto liberatorio per l’Amministrazione solvens, le somme trattenute alla fonte dalla P.A. datrice di lavoro sui ratei mensili di stipendio percepiti dai dipendenti cedenti. 2. le tesi prospettate. In proposito, l’Amministrazione in indirizzo mostra di ritenere non suscettibile di positivo apprezzamento la richiesta formulata dalla società r. s.r.l., all’uopo richiamando il parere reso dalla scrivente Avvocatura Generale in data 15 settembre 2011 (AL 32631/2011), a mente del quale le cessioni di crediti derivanti da operazioni di finanziamento rimborsate mediante cessioni del quinto o delegazioni di pagamento, pur non essendo precluse dall’art. 42 del d.P.r. 5 gennaio 1950, n. 180, possono considerarsi opponibili all’Amministrazione a condizione che sussistano i seguenti requisiti oggettivi e soggettivi: -le cessioni devono risultare da atto pubblico o scrittura privata autenticata da notaio, ai sensi dell’art. 69 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440; -il cessionario deve essere in possesso dei requisiti di cui all’art. 15 del d.P.r. n. 180/1950, che prevede che siano ammessi “a concedere prestiti agli impiegati e salariati dello Stato [...] verso cessione di quote di stipendio o salario, soltanto gli istituti di credito e di previdenza costituiti tra impiegati e salariati delle pubbliche amministrazioni, l’istituto nazionale delle assicurazioni, le società di assicurazioni legalmente esercenti, gli istituti e le società esercenti il credito, escluse quelle costituite in nome collettivo e in accomandita semplice, le casse di riparmio e i monti di credito su pegno”; -nel caso in cui il cedente dei crediti sia una società sottoposta a procedure concorsuali è, inoltre, necessario che il liquidatore/curatore fallimentare rilasci l’attestazione della legittimità degli atti di cessione in ottemperanza alle vigenti norme in materia fallimentare. Alla luce del parere innanzi richiamato, l’Amministrazione in indirizzo rilevato, da un lato, che “la r. s.r.l., non rientra in alcuna delle fattispecie disciplinate dal sopra citato art. 15 del d.P.r. 180/1950” e, dall’altro, che “la r. s.r.l. ha omesso di produrre la necessaria attestazione del liquidatore/curatore fallimentare, con riferimento alla legittimità degli atti di cessione in ottemperanza alle vigenti norme in materia fallimentare” ha ritenuto di dover continuare a versare le quote trattenute sui ratei mensili degli stipendi percepiti dai dipendenti direttamente alle Società di finanziamento che hanno partecipato alla descritta operazione di cartolarizzazione. Sul fronte opposto, la società r. s.r.l ha evidenziato -nel carteggio intrattenuto con l’Amministrazione in indirizzo -di ritenersi soggetto legittimato ad incamerare le quote degli emolumenti spettanti ai dipendenti. La posizione della Società risulta argomentata sulla scorta dei motivi che -di seguito -si sintetizzano: rASSeGNA AVVoCATUrA deLLo STATo -N. 1/2023 -le cessioni in blocco dei crediti intervenute tra le società P. e d.F. S.p.A e la società r. s.r.l. devono essere contestualizzate nell’ambito di operazioni di cartolarizzazione poste in essere secondo le norme della legge 30 aprile 1999, n. 130 recante “disposizioni sulla cartolarizzazione dei crediti” sicché, in forza della disciplina ivi recata, ai fini dell’opponibilità della cessione dei crediti derivanti dai contratti di finanziamento contro cessione del quinto, è richiesta la sola pubblicazione dell’avvenuta operazione nel registro delle imprese e nella Gazzetta Ufficiale della repubblica Italiana, adempimenti che risultano realizzati nel caso di specie (avviso pubblicato sulla G.U. del 11 dicembre 2018 foglio delle inserzioni n. 143). -l’art. 15 del d.P.r. n. 180/1950, sulla scorta del quale l’Amministrazione ha ritenuto di non poter effettuare il versamento delle quote trattenute sui ratei mensili in favore della r. srl, non si applica nel caso in esame relativo a cessioni dei crediti vantati dalle Società finanziatrici nei confronti di dipendenti in contesti di operazioni di c.d. cartolarizzazione ai sensi degli articoli 1 e 4 della legge 30 aprile 1999, n. 130. -Si precisa ulteriormente che le Società cedenti non risultano sottoposte ad alcuna procedura concorsuale evidenziandosi altresì che le cessioni dei crediti intervenute inter partes rientrano tra le operazioni inerenti un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis L.F. effettuate previo ottenimento delle autorizzazioni previste dal medesimo accordo e dalla legge. 3. la struttura dell’operazione. Constatata la diversa interpretazione giuridica della medesima operazione negoziale da parte dell’Amministrazione e della Società cessionaria, la Scrivente ritiene -in primis -necessario meglio analizzare l’operazione di cui trattasi onde sussumerne con maggiore precisione i singoli segmenti nelle pertinenti categorie giuridiche. In tale ottica, pare opportuno preliminarmente mettere in evidenza la distinzione e non sovrapponibilità tra l’operazione di cessione del quinto dello stipendio, quale strumento di rimborso dei finanziamenti concessi ai dipendenti dalle Società finanziatrici, e le successive cessioni dei crediti vantati dalle Società erogatrici di detti finanziamenti in favore della r. s.r.l. operate ai sensi della legge 30 aprile 1999, n. 130. Seguendo tale impostazione di metodo e procedendo ad una analisi partita dei singoli segmenti dell’operazione negoziale in esame, va evidenziato che, sotto il profilo logico e cronologico, le prime fattispecie contrattuali che vengono in rilievo nel caso in esame sono i contratti di finanziamento conclusi dai dipendenti con le società P. e d.F. S.p.A da rimborsare mediante la cessione del quinto dello stipendio. 3.1. i contratti di finanziamento contro cessione del quinto. Come noto, i contratti di finanziamento contro cessione del quinto dello PArerI deL CoMITATo CoNSULTIVo stipendio o della pensione (conosciuti anche come “CQS/CQP” Sa1ary-backed loans or pension-backed loans), erogabili da banche e intermediari finanziari ex art. 106 del decreto legislativo l° settembre 1993, n. 385 (T.U.B.), sono stati introdotti nel nostro ordinamento con il già richiamato d.P.r. 5 gennaio 1950, n. 180, al fine di agevolare l’accesso al credito dei dipendenti statali. detti contratti si iscrivono -come altresì noto -nell’ampio genus dei contratti di credito al consumo cc.dd. non finalizzati, essendo caratterizzati dalla circostanza che il finanziamento viene erogato in favore di un soggetto per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale da questi esercitata. Il contratto di cessione del quinto dello stipendio, quale contratto costituente una specificazione della disciplina sulla cessione del credito dettata dagli artt. 1260 e ss. cod. civ., comporta la cessione parziale (riguardando solo una frazione del credito complessivo che il lavoratore vanta nei confronti del solvens) di un credito di natura lavoristica (retributiva o pensionistica) e futuro, che sorge solo nel momento in cui matura il diritto a percepire il relativo rateo mensile. Sotto il profilo economico, l’elemento caratterizzante di tali contratti di finanziamento è -nell’ottica del soggetto erogatore del finanziamento -il contenuto livello di rischiosità creditizia dell’operazione in ragione delle peculiari modalità del rimborso, che si realizza per mezzo di trattenute alla fonte sui ratei mensili di stipendio o pensione spettanti al debitore ed erogati da soggetti terzi, in misura predeterminata e continuativa, sebbene non eccedente il quinto degli emolumenti mensili; nonché l’obbligatorietà della presenza di polizze assicurative per il rischio di premorienza e di perdita di impiego. Sotto il profilo giuridico, per effetto del congegno della cessione del quinto, il lavoratore cedente modifica dal punto di vista soggettivo il rapporto obbligatorio con il datore di lavoro ceduto sostituendo a sé un soggetto terzo, il finanziatore cessionario. Il datore di lavoro è conseguentemente obbligato, una volta perfezionatosi il contratto di finanziamento con cessione del quinto dello stipendio, a trattenere la rata indicata nel contratto stesso dalla busta paga del dipendente e a versarla al soggetto erogante il finanziamento. Sul piano operativo, infine, l’operazione di rimborso del contratto di finanziamento mediante la cessione del quinto dello stipendio è regolata dall’art. 1, comma 3, del d.P.r. 5 gennaio 1950, n. 180, a mente del quale “le cessioni degli stipendi, salari, pensioni ed altri emolumenti di cui al presente testo unico hanno effetto dal momento della loro notifica nei confronti dei debitori ceduti”, con la precisazione che detta notifica costituisce l’Amministrazione -dalla quale il cedente dipende -debitrice ceduta per le quote di stipendio o di salario destinate al rimborso del finanziamento, trovando quindi applicazione l’art. 69 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, a mente del quale “le cessioni, le delegazioni, le costituzioni di pegno, i pignoramenti, i sequestri e le opposizioni relative a somme dovute dallo Stato nei casi in cui sono ammesse rASSeGNA AVVoCATUrA deLLo STATo -N. 1/2023 dalle leggi, debbono essere notificate all’amministrazione centrale ovvero all’ente, ufficio o funzionario cui spetta ordinare il pagamento”. Nella prassi contrattuale accade -come si è verificato nel caso di specie -che i crediti vantati dalle società erogatrici dei finanziamenti contro cessione del quinto “CQS/CQP” siano periodicamente e sistematicamente ceduti pro soluto a terzi (c.d. originate-to-distribute, oTd) attraverso operazioni c.d. di cartolarizzazione ai sensi degli articoli 1 e 4 della legge 30 aprile 1999, n. 130. detto ultimo profilo, estraneo all’oggetto del parere della scrivente Avvocatura Generale in data 15 settembre 2011 (AL 32631/2011), non risulta -invero essere stato analizzato dall’Amministrazione in indirizzo nelle riflessioni dalla stessa spese al fine di individuare il soggetto nei cui confronti versare le somme trattenute alla fonte sui ratei mensili di stipendio o pensione percepiti dai lavoratori. ed invero, l’Amministrazione ha ritenuto di poter riscontrare negativamente la richiesta pervenuta dalla società r. s.r.l sulla scorta della disciplina di cui al d.P.r. n. 180/1950, che -tuttavia -trova applicazione esclusivamente con riguardo al segmento dell’operazione rappresentato dai contratti di finanziamenti contro cessione del quinto conclusi dai dipendenti con le Società erogatrici del finanziamento e non alle diverse e successive cessioni dei crediti vantati dalle Società finanziatrici operate in contesti di operazioni di c.d. cartolarizzazione ai sensi degli articoli 1 e 4 della legge 30 aprile 1999, n. 130, cui non si applica -come meglio si dirà infra -neppure l’art. 69 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440 pure richiamato dall’Amministrazione in indirizzo per opporsi alla richiesta della società r. s.r.l. Sulla disciplina delle operazioni di cartolarizzazione dei crediti occorre soffermarsi perché detto aspetto differenzia -come detto -il caso qui in esame da quello già esaminato dalla Scrivente con il parere reso in data 15 settembre 2011. 3.2. la cessione dei crediti derivanti da contratti di finanziamenti contro cessione del quinto effettuata nel contesto di una operazione di c.d. cartolarizzazione. Nell’ottica innanzi esposta occorre qui rammentare che la l. n. 130 del 1999 ha dato vita ad una disciplina generale ed organica in materia di operazioni di cartolarizzazione dei crediti. Tale “tecnica finanziaria” è suscettibile di articolarsi nella pluralità di passaggi di seguito riportati. Un soggetto (c.d. originator) (1) cede, a titolo oneroso, uno o più crediti pecuniari -esistenti ovvero futuri (v. art. 1 L. n. 130 del 1999) (2) -a una società (1) Nel caso in esame le società P. e d.F. S.p.A (2) Nel nostro caso il quantum erogato a titolo di finanziamenti, ai dipendenti che si sono impegnati a rimborsare il credito attraverso la cessione del quinto. PArerI deL CoMITATo CoNSULTIVo all’uopo costituita (c.d. special purpose vehicle SPV) (3). Quest’ultimo soggetto, al fine di rinvenire la provvista necessaria all’acquisto dei crediti (cfr. art. 5, comma 1°, l. n. 130 del 1999), emette titoli (c.d. securities) qualificati dalla legge come strumenti finanziari (cfr. art. 2, comma 1°, l. n. 130 del 1999) da collocare presso investitori. Per espressa disposizione di legge (art. 3, comma 2), i crediti che formano oggetto di ciascuna operazione di cartolarizzazione costituiscono un vero e proprio “patrimonio separato”, ad ogni effetto, rispetto a quello della società veicolo ed aggredibile solo dai portatori dei titoli. Tale patrimonio, infatti, secondo quanto espressamente previsto dall’art. 1, comma 1, lett. b), della legge è a destinazione vincolata, in via esclusiva, al soddisfacimento dei diritti incorporati nei titoli emessi per finanziare l’acquisto dei crediti, nonché al pagamento dei costi dell’operazione. La tecnica finanziaria in parola può prevedere il coinvolgimento di un soggetto (c.d. servicer) preposto, da un lato, alla gestione dei crediti sottostanti ai titoli emessi dalla società veicolo e alla verifica del corretto svolgimento dell’operazione (attività di servicing) e, dall’altro, alla esecuzione dei servizi di cassa e pagamento in favore dei prenditori dei titoli (c.d. servizio di cash management) (4). Per quel che in questa sede rileva, a differenza della cessione di crediti lavoristici di cui al punto 3.1., nella quale la Pubblica Amministrazione riveste la qualità di debitore ceduto destinatario della notifica del contratto di cessione ex art. 69 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, per le cessioni di crediti dalle società finanziatrici alle società veicolo effettuate nell’ambito di operazioni di cartolarizzazione non è necessaria la notifica del contratto di cessione ai fini della opponibilità ai debitori ceduti. L’art. 4 della l. n. 130 del 1999 -che richiama a sua volta i commi secondo, terzo e quarto dell’art. 58 del T.U.B. prevede, infatti, che l’iscrizione nel registro delle imprese e la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’estratto della cessione valgano come notifica al debitore ceduto. dunque, il meccanismo pubblicitario crea in capo al debitore una conoscenza legale della cessione attraverso una forma di pubblicità “erga omnes” della cessione che produce i medesimi effetti indicati all’art. 1264 c.c. (così l’art. 58, comma 4, T.U.B.). Tanto vale -come confermato dalla deliberazione n. 34/2020 della Corte dei conti, Sez. controllo Sicilia (all. 1) -anche nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni perché l’art. 4, comma 4-bis, della citata l. n. 130/1999 afferma che “alle cessioni effettuate nell’ambito di operazioni di cartolarizzazione non si applicano gli articoli 69 e 70 del regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440, nonché le altre disposizioni che richiedano formalità diverse rispetto a quelle di cui alla presente legge”. (3) Nella fattispecie in esame la società r. s.r.l. (4) Nel caso in esame detto ruolo sembra -sulla scorta della documentazione in possesso -essere stato attribuito alla società C. S.p.a. rASSeGNA AVVoCATUrA deLLo STATo -N. 1/2023 Ciò premesso sul piano dell’analisi degli istituti giuridici in rilievo, occorre fare applicazione delle coordinate teoriche tracciate al caso di specie. 4. analisi del caso di specie. Nel caso di specie pare indubbio che le operazioni di cessione di credito tra le Società finanziatrici e la r. S.r.l. rientrano tra quelle c.d. di “cartolarizzazione” soggette alla disciplina speciale dettata dall’art. 4, co. 4-bis, l. n. 130 del 1999 (introdotto dall’art. 12 d.l. n. 145 del 2013 conv. in l. n. 9 del 2014) in base “alla quale sono escluse tutte le formalità previste per la cessione dei crediti verso la P.a. e a questa non è consentito negare l’adesione” (così Cons. Stato, Sez. III, sentenze 24 settembre 2020, n. 5562 e n. 5561). risulta inoltre che la r. S.r.l. è abilitata al compimento di attività di cartolarizzazione e che la stessa ha provveduto -oltre che alle formalità previste dalla l. n. 130 del 1999 (pubblicazione sulla G.U. delle informazioni finalizzate alla opponibilità delle operazioni) -anche (evidentemente ad abundantiam, in difetto di un preciso obbligo ex lege) alla notifica dell’atto di cessione all’Amministrazione in indirizzo. Tanto premesso, e venendo al quesito formulato, occorre individuare quale sia -nel caso in esame -il soggetto legittimato a ricevere le somme trattenute alla fonte dalla P.A. datrice di lavoro sui ratei mensili di stipendio dei propri dipendenti. Sul punto, alla luce di quanto innanzi esposto circa la disciplina della notifica della cessione dei crediti in blocco, non pare possano residuare profili di incertezza sull’avvenuta modifica della titolarità attiva della posta creditoria trasferita dalle Società finanziatrici alla Società veicolo, che -dunque -può essere considerata, avendo adempiuto alle formalità richieste dalla disciplina di settore, il soggetto legittimato all’incameramento dei ratei trattenuti. A supporto della conclusione circa la legittimazione della r. s.r.l. a ricevere il pagamento, può essere richiamata la decisione n. 6816 del 27 marzo 2018 del Collegio di coordinamento dell’Arbitro Bancario (all. 2) e le successive decisioni dell’Arbitro intervenute con riguardo a casi di contratti di finanziamento rimborsabili mediante cessione del quinto dello stipendio e successiva cessione del credito pari alla somma finanziata attraverso operazioni di cartolarizzazione (all. 3). Nei casi analizzati dall’Arbitro la questione riguardava -più nel dettaglio -se a fronte dell’estinzione -successivamente alla cartolarizzazione -del finanziamento rimborsabile mediante cessione del quinto dello stipendio da parte del lavoratore, il soggetto finanziato potesse convenire innanzi all’ABF -per chiedere la restituzione dei costi c.d. recurring -la banca mutuante (originator) o la società veicolo (SPV) cessionaria del credito. L’Arbitro -analizzata la disciplina della cartolarizzazione -ha concluso per la legittimazione passiva della seconda sull’assunto che la società veicolo -in quanto titolare delle poste attive cedute in blocco -è l’accipiens PArerI deL CoMITATo CoNSULTIVo delle somme delle quali si richiede il recupero in ragione dell’intervenuta estinzione anticipata del finanziamento. Passando dal piano dell’individuazione del soggetto astrattamente legittimato a richiedere i pagamenti alle condizioni -in concreto -per far valere la pretesa all’incasso, va rilevato che il problema pratico, venuto talvolta al vaglio della giurisprudenza di legittimità, risiede nella circostanza per cui gli estratti di cessione pubblicati in Gazzetta Ufficiale riportano solo criteri generali con cui identificare i singoli crediti ceduti (che, del resto, vengono ceduti in blocco): questo perché l’art. 58, comma 2, T.U.B. non impone che un contenuto informativo minimo, con la conseguenza che quanto pubblicato nella Gazzetta può lasciare incertezze sui crediti inclusi/esclusi dall’ambito della cessione tanto da porre il debitore ceduto in una situazione in cui l’adempimento dell’obbligazione risulta notevolmente aggravato. Anche nel caso in esame dalla lettura dell’avviso pubblicato sulla G.U. dell’11 dicembre 2018 foglio delle inserzioni n. 143 (all. 4) si ricava solo una generica individuazione dei crediti oggetto di cessione: a pagina 36 si legge infatti -che i crediti oggetto della operazione di cartolarizzazione sono quelli “concessi a titolo di finanziamento contro cessione del quinto e/o assistito, da delegazione di pagamento”. In proposito, la produzione giurisprudenziale -dalla quale a fortiori è possibile trarre una conferma sulla legittimazione in astratto della società veicolo - sembra connotata dalla coesistenza di due diversi indirizzi. In base ad una tesi più “elastica” in tema di cessione in blocco dei crediti da parte di una banca o società finanziatrice, ai sensi dell’art. 58 del d.lgs. n. 385 del 1993 sarebbe sufficiente, a dimostrare la titolarità del credito in capo al cessionario, la produzione dell’avviso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale recante l’indicazione, per categorie, dei rapporti ceduti in blocco, senza che occorra una specifica enumerazione di ciascuno di essi (Cass. ord. n. 31188 del 2017). Un orientamento più rigoroso ha, invece, negato la legittimazione attiva della società veicolo ad agire in sede monitoria per la riscossione dei crediti oggetto di cessione sulla scorta della sola produzione in giudizio degli avvisi pubblicati sulla Gazzetta ufficiale sottolineando che la società veicolo, ove intenda ricevere direttamente il pagamento dei crediti ceduti, deve fornire la prova documentale della legittimazione ricavabile -in ultima analisi -dalla lettura dell’atto di cessione e non dalla mera pubblicazione dell’avviso della cessione sulla Gazzetta Ufficiale (Cass. 2 marzo 2016, n. 411, Cass., ordinanza 5 novembre 2020, n. 24798; di recente Cass. civ., Sez. VI -1, ord. 1 febbraio 2023, n. 3072 nonché -con riguardo alla legittimazione alla proposizione del ricorso per cassazione - Cass., Sez. Unite n. 11650/2006). La Scrivente ritiene che tra i due orientamenti debba essere preferito il secondo. rASSeGNA AVVoCATUrA deLLo STATo -N. 1/2023 La descritta operazione di cessione di crediti derivanti da contratti di finanziamento rimborsati mediante cessione del quinto dello stipendio effettuata all’interno di un’operazione di cartolarizzazione comporta -come evidente una maggiore articolazione strutturale del momento solutorio per l’Amministrazione ceduta. ed infatti, la sopravvenienza (potenzialmente indeterminata in base alle vicende circolatorie del credito) di altri soggetti titolari delle poste attive comporta naturaliter una crescente gravosità delle attività necessarie all’Amministrazione per liberarsi dagli obblighi solutori sulla stessa gravanti da controbilanciarsi -in base al noto principio di buona fede -attraverso una puntuale comunicazione da parte della società veicolo recante la precisa elencazione dei crediti che compongono il blocco, quale condizione per ottenere il versamento delle somme trattenute sugli emolumenti del personale dall’Amministrazione in indirizzo. Tanto pare avvalorato dalla giurisprudenza di legittimità e, in particolare, dalla recente sentenza della Cassazione, Sez. I, 13 settembre 2021, n. 24640 (all. 5). La citata pronunzia si sofferma -infatti -sulla maggior gravosità del momento solutorio per il debitore (nel caso deciso: l’INPS) nell’ambito di un’operazione di cessione “in blocco” che può -oltre che comportare un fisiologico ritardo nel pagamento qualora il cessionario non collabori secondo correttezza e buona fede -anche giustificare, dal punto di vista causale, la stipulazione di contratti-quadro o normativi tra il debitore ceduto ed il cessionario finalizzati a disciplinare le modalità esecutive dei pagamenti. 5. Conclusioni. dalla ricostruzione degli istituti in rilievo nonché dalla giurisprudenza citata ed allegata al presente parere, pare potersi ricavare che la legittimazione a ricevere le somme trattenute alla fonte dalla P.A. datrice di lavoro sui ratei mensili di stipendio percepiti dai dipendenti spetti alla società veicolo r. s.r.l., a condizione, però, che la stessa fornisca all’Amministrazione puntuale indicazione e dimostrazione dell’effettiva afferenza di ciascuna posta attiva ai crediti che compongono il “blocco”. Il presente parere è stato esaminato nella seduta del giorno 5 giugno 2023 del Comitato consultivo dell’Avvocatura dello Stato il quale si è espresso in conformità. Si allega: (omissis) PArerI deL CoMITATo CoNSULTIVo Convenzione-quadro stipulata dalla Consip s.p.a. per la fornitura di carburante mediante “buoni acquisto”. Possibilità per le amministrazioni dello stato di avviare una procedura autonoma di scelta del contraente Parere del 12/06/2023-390100, al 11007/2023, aVV. emanuele Feola Con la nota in riscontro, codesta Amministrazione ha chiesto il parere della Scrivente in merito ai requisiti in presenza dei quali è possibile derogare all’obbligo, previsto per le Amministrazioni dello Stato, di aderire alla convenzione- quadro stipulata dalla Consip S.p.A. per la fornitura di carburante mediante “buoni acquisto”, denominata “carburanti rete -Buoni acquisto 2”. In particolare, nella richiesta di parere, sono state rappresentate le seguenti circostanze di fatto: a) la suddetta convenzione-quadro non prevede la possibilità di rinnovare i“buoni acquisto” all’approssimarsi della scadenza dei medesimi, né alcuna forma di rimborso, sia pure parziale, per eventuali cedole non fruite nei tempi contrattualmente previsti; b) l’inserimento di una clausola che preveda la possibilità di rinnovo oppure di rimborso dei “buoni acquisto” in scadenza rappresenterebbe quindi per la Forza Armata un fondamentale strumento di flessibilità, in funzione delle peculiari esigenze operative che la stessa si trova quotidianamente a dover soddisfare, in cui variazioni impreviste delle attività pianificate, potrebbero determinare l’inutilizzo di una parte dei buoni acquistati mediante la con- venzione-quadro stipulata dalla Consip. Pertanto, con la nota in riscontro, si è chiesto alla Scrivente di chiarire se, in considerazione delle menzionate circostanze di fatto, codesta Amministrazione possa procedere all’aggiudicazione della fornitura in esame senza fare ricorso alla suddetta convenzione-quadro. Al fine di rendere il parere richiesto, appare opportuno ricostruire -sia pure sinteticamente -la normativa concernente l’obbligo per le Amministrazioni pubbliche di avvalersi delle convenzioni-quadro stipulate dalla Consip S.p.A. L’art. 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, e s.m.i., dispone che “1. il ministero del tesoro, del bilancio e della programmazone economica, nel rispetto della vigente normativa in materia di scelta del contraente, stipula, anche avvalendosi di società di consulenza specializzate, selezionate anche in deroga alla normativa di contabilità pubblica, con procedure competitive tra primarie società nazionali ed estere, convenzioni con le quali l’impresa prescelta si impegna ad accettare, sino a concorrenza della quantità massima complessiva stabilita dalla convenzione ed ai prezzi e condizioni ivi previsti, rASSeGNA AVVoCATUrA deLLo STATo -N. 1/2023 ordinativi di fornitura di beni e servizi deliberati dalle amministrazioni dello Stato anche con il ricorso alla locazione finanziaria [...] 3. le amministrazioni pubbliche possono ricorrere alle convenzioni stipulate ai sensi del comma 1, ovvero ne utilizzano i parametri di prezzo-qualità, come limiti massimi, per l’acquisto di beni e servizi comparabili oggetto delle stesse, anche utilizzando procedure telematiche per l’acquisizione di beni e servizi ai sensi del decreto del Presidente della repubblica 4 aprile 2002, n. 101. la stipulazione di un contratto in violazione del presente comma è causa di responsabilità amministrativa; ai fini della determinazione del danno erariale si tiene anche conto della differenza tra il prezzo previsto nelle convenzioni e quello indicato nel contratto. 3-bis. i provvedimenti con cui le amministrazioni pubbliche deliberano di procedere in modo autonomo a singoli acquisti di beni e servizi sono trasmessi alle strutture e agli uffici preposti al controllo di gestione, per l’esercizio delle funzioni di sorveglianza e di controllo [...] il dipendente che ha sottoscritto il contratto allega allo stesso una apposita dichiarazione con la quale attesta, ai sensi e per gli effetti degli articoli 47 e seguenti del decreto del Presidente della repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, e successive modifiche, il rispetto delle disposizioni contenute nel comma 3”. L’art. 58 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, ha precisato che “ai sensi di quanto previsto dall’articolo 26, comma 3, della legge 23 dicembre 1999, n. 488, per pubbliche amministrazioni si intendono quelle definite dall’articolo 1 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29” e che “le convenzioni di cui al citato articolo 26 sono stipulate dalla concessionaria servizi informatici pubblici (conSiP) Spa”. dalle disposizioni sopra trascritte si evince, quindi, l’obbligo per le Amministrazioni pubbliche indicate dall’art. 1 del decreto-legislativo n. 29 del 1993 (oggi sostituito dall’art. 1 del decreto-legislativo n. 165 del 2001) di avvalersi delle convenzioni stipulate dalla Consip S.p.A. oppure -in alternativa -di utilizzarne i parametri di prezzo-qualità, come limiti massimi, qualora procedano all’acquisto di beni e servizi comparabili a quelli che costituiscono l’oggetto delle citate convenzioni. Tuttavia, nel caso delle Amministrazioni pubbliche statali, l’obbligo in questione è ancor più stringente, dato che, in presenza di una convenzione stipulata dalla Consip S.p.A., tali amministrazioni sono tenute -in linea di principio - ad utilizzarla, senza poter ricorrere a strumenti alternativi. difatti, l’articolo 1, comma 449, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e s.m.i., dispone che “nel rispetto del sistema delle convenzioni di cui agli articoli 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, e successive modificazioni, e 58 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, tutte le amministrazioni statali centrali e periferiche, ivi compresi gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado, le istituzioni educative e le istituzioni universitarie, nonché gli enti nazionali PArerI deL CoMITATo CoNSULTIVo di previdenza e assistenza sociale pubblici e le agenzie fiscali di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, sono tenute ad approvviggionarsi utilizzando le convenzioni-quadro”. Le disposizioni menzionate, che prevedono l’obbligo di avvalersi delle convenzioni stipulate dalla Consip S.p.A., costituiscono norme imperative e la violazione delle medesime implica conseguenze sul piano civilistico, disciplinare e contabile. In particolare, l’articolo 1, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, stabilisce che “Successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, i contratti stipulati in violazione dell’articolo 26, comma 3 della legge 23 dicembre 1999, n. 488 ed i contratti stipulati in violazione degli obblighi di approvviggionarsi attraverso gli strumenti di acquisto messi a disposizione da consip S.p.a. sono nulli, costituiscono illecito disciplinare e sono causa di responsabilità amministrativa. ai fini della determinazione del danno erariale si tiene anche conto della differenza tra il prezzo, ove indicato, dei detti strumenti di acquisto e quello indicato nel contratto”. Peraltro, il medesimo articolo introduce una prima eccezione alla menzionata regola generale, disponendo che essa “non si applica alle amministrazioni dello Stato quando il contratto sia stato stipulato ad un prezzo più basso di quello derivante dal rispetto dei parametri di qualità e di prezzo degli strumenti di acquisto messi a disposizione da consip S.p.a, ed a condizione che tra l’amministrazione interessata e l’impresa non siano insorte contestazioni sulla esecuzione di eventuali contratti stipulati in precedenza”. Il contenuto dell’eccezione de qua è ulteriormente precisato dalla circolare del Ministero dell’economia e delle Finanze del 25 agosto 2015. La suddetta circolare ha chiarito che le Amministrazioni statali sono tenute, nei casi in cui stipulino contratti senza utilizzare gli strumenti di acquisto centralizzati messi a disposizione dalla Consip S.p.A., “a fornire ai competenti uffici di controllo di regolarità amministrativa e contabile adeguata indicazione dei concreti motivi per i quali si è proceduto in deroga agli obblighi sopra richiamati. in particolare, ai fini della prova dell’osservanza dei benchmark di qualità e prezzo messi a disposizione da consip, occorrerà operare un raffronto tra fattori di comparazione omogenei (es. tra prezzi della convenzione consip di durata settennale e prezzi relativi al contratto stipulato al di fuori degli strumenti di acquisto centralizzati di pari durata settennale), tenendo in particolare attenzione, per la verifica dell’omogeneità degli strumenti, le prestazioni contrattuali principali e le caratteristiche essenziali dell’oggetto delle stesse”. Peraltro, su tale aspetto, è da ultimo intervenuto lo stesso legislatore adottando una disciplina speciale per talune categorie merceologiche, che includono anche quella dei “carburanti”, oggetto del presente parere. rASSeGNA AVVoCATUrA deLLo STATo -N. 1/2023 Nel dettaglio, l’articolo 3-quater, comma 1, del decreto-legge 18 novembre 2022, n. 176, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 gennaio 2023, n. 6, ha modificato l’articolo 1, comma 7, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, precisando che: “le amministrazioni pubbliche [...] relativamente alle seguenti categorie merceologiche: [...] carburanti rete e carburanti extra-rete [...] sono tenute ad approvvigionarsi attraverso le convenzioni o gli accordi quadro messi a disposizione da consp S.p.a. e dalle centrali di committenza regionali di riferimento [...] ovvero ad esperire proprie autonome procedure nel rispetto della normativa vigente, utilizzando i sistemi telematici di negoziazione messi a disposizione dai soggetti sopra indicati”. Tuttavia, “È fatta salva la possibilità di procedere ad affidamenti, nelle indicate categorie merceologiche, anche al di fuori delle predette modalità, a condizione che gli stessi conseguano ad approvvigionamenti da altre centrali di committenza o a procedure di evidenza pubblica, e prevedano corrispettivi inferiori almeno del [...] 2 per cento per le categorie merceologiche carburanti extra-rete, carburanti rete, energia elettrica, gas e combustibili per il riscaldamento rispetto ai migliori corrispettivi indicati nelle convenzioni e accordi quadro messi a disposizione da Consip S.p.A. e dalle centrali di committenza regionali” (enfasi aggiunte). Qualora l’Amministrazione si avvalga di tale possibilità, essa è comunque tenuta -ai sensi del medesimo comma 7 -a trasmettere i contratti stipulati al- l’Autorità Nazionale Anticorruzione e ad inserire nel testo dei medesimi “una condizione risolutiva con possibilità per il contraente di adeguamento ai migliori corrispettivi nel caso di intervenuta disponibilità di convenzioni consip e delle centrali di committenza regionali che prevedano condizioni di maggior vantaggio economico in percentuale superiore al 10 per cento rispetto ai contratti già stipulati”. In altri termini, con riferimento ai “carburanti” il legislatore ha reso ancor più stringente l’obbligo di avvalersi degli strumenti negoziali messi a disposizione dalla Consip, stabilendo che una deroga a tale obbligo è ammessa esclusivamente se eventuali approvvigionamenti da altre centrali di committenza oppure l’esperimento di altre procedure di evidenza pubblica consentano all’Amministrazione di pagare al fornitore un corrispettivo inferiore di almeno il 2% rispetto ai migliori corrispettivi indicati nelle convenzioni-quadro messe a disposizione dalla Consip S.p.A. Inoltre, resta fermo l’obbligo di trasmettere il contratto all’ANAC e di inserire nel medesimo una condizione risolutiva per il caso in cui sopravvenga una convenzione Consip che sia maggiormente conveniente per l’Amministrazione (sia pure in percentuale superiore al 10% rispetto al corrispettivo previsto nei contratti già stipulati), con possibilità per l’operatore economico di evitare lo scioglimento del contratto adeguando il prezzo ai “migliori corrispettivi” offerti dagli strumenti negoziali stipulati dalla Consip S.p.A. PArerI deL CoMITATo CoNSULTIVo Una seconda eccezione alla regola generale relativa all’utilizzo delle convenzioni- quadro stipulate dalla Consip S.p.A. è stata poi introdotta dall’articolo 1, comma 510, della legge 28 dicembre 2015, n. 208. Tale norma prevede che “le amministrazioni pubbliche obbligate ad approvvigionarsi attraverso le convenzioni di cui all’articolo 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, stipulate da consip S.p.a. [...] possono procedere ad acquisiti autonomi esclusivamente a seguito di apposita autorizzazione specificamente motivata resa dall’organo di vertice amministrativo e trasmessa al competente ufficio della corte dei conti, qualora il bene o il servizio oggetto di convenzione non sia idoneo al soddisfacimento dello specifico fabbisogno dell’amministrazione per mancanza di caratteristiche essenziali ” (enfasi aggiunte). dunque, l’Amministrazione ha sempre la possibilità di derogare all’obbligo di avvalersi delle convenzioni Consip, qualora il “bene” offerto in tali convenzioni sia privo delle “caratteristiche essenziali”, necessarie a consentire “il soddisfacimento dello specifico fabbisogno dell’amministrazione”. Ai sensi dell’articolo 1, comma 507, della medesima legge n. 208 del 2015, tali nozioni sono state definite dal Ministro dell’economia e delle Finanze con il decreto del 13 febbraio 2023, pubblicato nella G.U. Serie generale n. 75 del 29 marzo 2023, intitolato “definizione delle caratteristiche essenziali delle prestazioni principali costituenti oggetto delle convenzioni stipulate da consip”. In particolare, l’articolo 1, comma 1, del decreto prevede che “le caratteristiche essenziali delle prestazioni principali oggetto delle convenzioni di cui all’art. 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, sono definite nell’allegato che costituisce parte integrante del presente decreto”. ebbene, l’Allegato richiamato nella disposizione appena trascritta prevede -con riferimento ai “carburanti extra-rete”, ma applicabile per analogia anche ai c.d. “carburanti rete” -che le caratteristiche essenziali della prestazione offerta dall’operatore economico attengono: 1) alla “tipologia del prodotto fornito”; 2) al “tempo di consegna”; 3) al “cluster del volume di consegna”; 4) e al c.d. “ordinativo minimo”. ricostruito in questi termini il contesto normativo di riferimento, si ritiene quindi che -nel caso sottoposto all’esame della Scrivente -non sia possibile giustificare l’eventuale deroga all’obbligo di avvalersi della convenzione Consip denominata “carburanti rete -Buoni acquisto 2”, applicando l’articolo 1, comma 510, della legge n. 208 del 2015. difatti, nel definire le “caratteristiche essenziali” della prestazione principale, la cui assenza può giustificare la deroga all’obbligo di avvalersi delle convenzioni-quadro stipulate dalla Consip S.p.A., il menzionato decreto del rASSeGNA AVVoCATUrA deLLo STATo -N. 1/2023 Ministro dell’economia e delle Finanze fa riferimento esclusivamente alle caratteristiche qualitative e quantitative del prodotto (nella specie, il carburante), senza prendere in considerazione le modalità di pagamento del prezzo, tra le quali è possibile annoverare -a titolo esemplificativo -anche la remunerazione del medesimo mediante l’acquisto di “buoni benzina”. Pertanto, codesta Amministrazione potrà derogare all’obbligo in esame esclusivamente alle condizioni previste dall’articolo 3-quater, comma 1, del decreto-legge 18 novembre 2022, n. 176, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 gennaio 2023, n. 6, il quale -nel modificare l’articolo 1, comma 7, del decreto-legge n. 95 del 2012 -ha previsto, con riferimento ai carburanti, la possibilità di non avvalersi delle “convenzioni consip” qualora l’approvvigionamento da altre centrali di committenza oppure l’esperimento di altre procedure di evidenza pubblica consentano all’Amministrazione di pagare al fornitore un corrispettivo inferiore di almeno il 2% rispetto ai migliori corrispettivi indicati nelle convenzioni-quadro stipulate dalla Consip S.p.A. Naturalmente, nel caso in cui codesta Amministrazione si avvalga della possibilità sopra menzionata, resta fermo l’obbligo: 1) di trasmettere il contratto all’ANAC; 2) e di inserire nel medesimo una condizione risolutiva, con possibilità per il contraente privato di adeguamento ai migliori corrispettivi, nel caso di intervenuta disponibilità di una convenzione-quadro Consip, che preveda “condizioni di maggior vantaggio economico in percentuale superiore al 10 per cento” rispetto al contratto già stipulato. La questione è stata sottoposta all’esame del Comitato Consultivo del- l’Avvocatura dello Stato, che si è espresso in conformità nella seduta del 5 giugno 2023. PArerI deL CoMITATo CoNSULTIVo determinazione del valore di lite in caso di ricorso avverso un avviso di accertamento contenente il contestuale provvedimento di irrogazione della sanzione ex art. 17 comma 1 d.lgs. n. 472/1997 Parere del 26/06/2023-423394, al 48511/2022, aVV. STeFano lorenZo ViTale Con le note che si riscontrano codesto Ministero chiede alla Scrivente un parere in ordine alle modalità di calcolo del contributo unificato dovuto con riferimento ai giudizi tributari aventi ad oggetto l’impugnazione dell’avviso di accertamento e del contestuale provvedimento di irrogazione delle sanzioni adottato ex art. 17 d.lgs. n. 472/1997. In particolare, si pone il problema se, ai fini della determinazione del valore della causa, debba considerarsi l’importo delle sanzioni adottate. Sul puntò non constano precedenti di legittimità (1) e codesta Amministrazione rappresenta che l’orientamento dei giudici tributari di merito è sul punto non univoco sebbene stia prevalendo l’interpretazione secondo cui il valore della causa dovrebbe essere determinato solo dall’importo del tributo, senza inclusione delle sanzioni. Sebbene codesto Ufficio abbia in precedenza seguito la prima impostazione (direttiva n. 3/FGT del 30 ottobre 2017), ritiene ora che il secondo orientamento sia maggiormente condivisibile. La Scrivente osserva che le disposizioni rilevanti ai fini della risoluzione del quesito di diritto sono le seguenti: -art. 17, comma 1, d.lgs. n. 472/1997:“in deroga alle previsioni del- l’art. 16, le sanzioni collegate al tributo cui si riferiscono sono irrogate, senza previa contestazione e con l’osservanza, in quanto compatibili, delle disposizioni che regolano il procedimento di accertamento del tributo medesimo, con atto contestuale all’avviso di accertamento o di rettifica, motivato a pena di nullità”. -art. 14, comma 3-bis, d.P.R. n. 115/2002:“nei processi tributari, il valore della lite, determinato, per ciascun atto impugnato anche in appello, ai sensi del comma 2 dell’articolo 12 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, e successive modificazioni, deve risultare da apposita dichiarazione resa dalla parte nelle conclusioni del ricorso, anche nell’ipotesi di prenotazione a debito”. -art. 12, comma 2, d.lgs. n. 546/1992:“Per le controversie di valore fino a tremila euro le parti possono stare in giudizio senza assistenza tecnica. (1) In letteratura la rilevanza del tema veniva segnalata da G.F. LoVeTere, contributo unificato: il rebus della contestualità nell’irrogazione delle sanzioni, in Fisco, 2013, 29 - parte 1, p. 4471. rASSeGNA AVVoCATUrA deLLo STATo -N. 1/2023 Per valore della lite si intende l’importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l’atto impugnato; in caso di controversie relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste”. Le difficoltà interpretative che si pongono in ordine alla determinazione del valore della lite derivano da un non perfetto coordinamento normativo tra le tre disposizioni, oggetto peraltro di novelle nel corso del tempo, e da un dato letterale delle medesime non univoco. Come noto, il d.lgs. n. 472/1997 disciplina tre distinti procedimenti mediante i quali possono essere irrogate le sanzioni tributarie: un procedimento autonomo di irrogazione delle sanzioni non collegate al tributo (art. 16); un procedimento di irrogazione delle sanzioni collegate al tributo cui le violazioni si riferiscono (art. 17, commi 1-2); ed un procedimento di irrogazione immediata con diretta iscrizione a ruolo per omesso e ritardato versamento dei tributi (art. 17, comma 3). Il procedimento di cui all’art. 17, commi 1-2, che qui interessa configura il procedimento che, a seguito della novella apportata dal d.L. n. 98/2011, deve essere obbligatoriamente seguito laddove si tratti di sanzioni “collegate al tributo”. In tal caso, l’irrogazione della sanzione avviene con “atto contestuale” a quello di accertamento o di rettifica e senza preventiva contestazione degli addebiti. Tanto premesso, ai fini della determinazione della misura del contributo unificato dovuto a fronte di un ricorso con cui si impugnino congiuntamente tali due provvedimenti contestuali -quello di accertamento o rettifica del tributo e quello di irrogazione delle sanzioni -, deve aversi riguardo al combinato disposto degli artt. 14, comma 3-bis, d.P.r. n. 115/2002 e 12, comma 2, d.lgs. n. 546/1992. L’art. 14, comma 3-bis, cit. rinvia per la determinazione del valore di lite a quanto previsto dall’art. 12, comma 2, cit., con la significativa precisazione, inserita dal d.lgs. n. 156/2015, che il valore della lite deve essere individuato “per ciascun atto impugnato”. A sua volta, l’art. 12 comma 2, cit. prevede che il valore della lite corrisponde all’importo del tributo “al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l’atto impugnato” e che “in caso di controversie relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste”. L’art. 12, comma 2, cit., pertanto, disciplina due fattispecie: i) l’ipotesi di impugnazione dell’unico atto che determini il tributo dovuto e irroghi anche le sanzioni (la disposizione parla di sanzioni “irrogate con l’atto impugnato”), e in tal caso il valore della lite si determina al netto delle sanzioni; ii) l’ipotesi in cui oggetto di controversia siano solo provvedimenti sanzionatori, e in tal caso il valore è rappresentato dalla somma di queste. PArerI deL CoMITATo CoNSULTIVo ritiene la Scrivente che l’avviso di accertamento o di rettifica e il “contestuale” provvedimento di irrogazione delle sanzioni collegate al tributo, di cui all'art. 17, comma 1, d.lgs. n. 472/1997, rappresentino, dal punto di vista sostanziale e ai fini di cui all’art. 12, comma 2, cit., un unico atto. difatti, come riferisce codesta Amministrazione e come emerge dal “diritto vivente”, i due provvedimenti sono formati all’esito di procedimenti tra loro strettamente connessi oggettivamente e soggettivamente: il destinatario è di regola il medesimo e il provvedimento sanzionatorio trova il proprio presupposto in quello di accertamento o rettifica. I due provvedimenti sono altresì formati in momenti tra loro coevi, assumono il medesimo numero di protocollo e sono comunicati al contribuente congiuntamente. Ai fini di cui all’art. 12, comma 2, cit., si può pertanto ritenere che i due provvedimenti integrino un atto plurimo dal punto di vista oggettivo, ossia un unico atto articolantesi in due distinti -seppur collegati e contestuali -provvedimenti (i.e. di accertamento/rettifica e sanzionatorio). La stretta connessione tra i due provvedimenti oggetto dell’atto è peraltro confermata dalla giurisprudenza di legittimità che pacificamente afferma che “in tema di sanzioni amministrative tributarie, nel caso in cui la sanzione, collegata al tributo cui si riferisce, sia irrogata -ai sensi del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 17 (irrogazione immediata) -con atto contestuale all’avviso di accertamento o di rettifica, essa è da intendersi motivata per relationem alla pretesa fiscale che sia definita nei suoi elementi essenziali, sì da giustificare la sanzione per essa irrogata e contenuta nel medesimo atto” (Cass. civile sez. trib., 4 maggio 2021, n. 11610). Un ausilio interpretativo può anche ricavarsi dalle modalità di calcolo del valore della controversia previste da alcune disposizioni legislative in materia di condono. In particolare, la L. n. 289/2002 (cui fa rinvio anche la più recente L. 130/2022, art. 5), nel prevedere una forma di definizione agevolata della lite cui il contribuente può accedere pagando un importo parametrato al valore del giudizio pendente, ha stabilito (art. 16, co. 3, lett. c) che per valore della lite, da assumere a base del calcolo per la definizione, si intende “l’importo dell’imposta che ha formato oggetto di contestazione in primo grado, al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni collegate al tributo, anche se irrogate con separato provvedimento; in caso di liti relative alla irrogazione di sanzioni non collegate al tributo, delle stesse si tiene conto ai fini del valore della lite, il valore della lite è determinato con riferimento a ciascun atto introduttivo del giudizio, indipendentemente dal numero di soggetti interessati e dai tributi in esso indicati”. Alla luce di quanto esposto, ritiene la Scrivente che ai fini dell’interpretazione degli artt. 14, co. 3-bis, e 12, comma 2, cit., in punto di determinazione del contributo unificato, il provvedimento impositivo e il contestuale provvedimento sanzionatorio adottato ex art. 17 d.lgs. n. 472/1997 debbano consi rASSeGNA AVVoCATUrA deLLo STATo -N. 1/2023 derarsi un unico atto con conseguente determinazione del valore della lite al netto delle sanzioni irrogate. In ordine al presente parere è stato sentito il Comitato Consultivo del- l’Avvocatura dello Stato il quale, nella seduta del 5 giugno 2023, si è espresso in senso conforme. Nei sensi sopra esposti è reso il parere della Scrivente e si rimane a disposizione per ogni chiarimento possa occorrere. LegIsLazIoneedattuaLItà Il partenariato pubblico-privato nel nuovo codice dei contratti pubblici. Prime impressioni Alberto Giovannini* SommarIo: 1. Premessa -2. Il contesto generale: la formazione di una cultura del partenariato pubblico privato -3. Il codice e la costruzione della fattispecie -4. Il finanziamento e le ragioni di attrattività del PPP - 5. La fase esecutiva e la lezione della pandemia. 1. Premessa. È già stato affermato che con il nuovo codice (d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36) si è perseguito l’obiettivo di “cambiare il paradigma” (1) rispetto al passato, al fine di superare una visione del diritto pubblico dei contratti quale limite, contenimento -spesso quasi irragionevole -per la discrezionalità dell’Amministrazione, erigendo, invece, il public procurement a strumento di progresso economico e sociale, nella consapevolezza che questo costituisce uno dei principali mezzi di politica economica per il rilancio dell’economia nazionale ed europea, in particolare dopo la contrazione causata dalla pandemia e dalla guerra. Che il nuovo codice comporti una vera e propria “rivoluzione” nel settore delle commesse pubbliche (2), pare affermazione ancora prematura, (*) Avvocato dello Stato. Testo dell’intervento svolto al convegno “Il codice dei contratti pubblici (prime impressioni)”, organizzato dalla Società Italiana Avvocati Amministrativisti, tenutosi presso il T.a.r. Calabria, Catanzaro, in data 13 luglio 2023. (1) CArbone L., “La scommessa del “codice dei contratti pubblici” e il suo futuro”, relazione introduttiva al Convegno dell’Istituto Jemolo “Il nuovo codice degli appalti -La scommessa di un cambio di paradigma: dal codice guardiano al codice volano?”, Avvocatura dello Stato, 27 gennaio 2023. (2) CArIngeLLA F., “Il nuovo Codice dei contratti pubblici: riforma o rivoluzione?”, relazione al convegno sul “nuovo codice dei contratti pubblici”, organizzato dall’AIgA, Cagliari, 9-10 giugno 2023. rASSegnA AVVoCAturA deLLo StAto -n. 1/2023 considerato che non sarebbe la prima volta che il law in action si discosta dal law in book. È, però, certamente vero che con questo testo normativo si supera quella visione, un po’ “provinciale” e non del tutto conforme all’impostazione pur propria dell’unione europea, del principio di concorrenza inteso quale “fine” dell’ordinamento, riconducendolo, più prosaicamente, a “mezzo”, strumento per il perseguimento della finalità, unica ed effettiva, dell’Amministrazione in questo settore che, come oggi ricorda l’art. 1 del codice, consiste nell’“affidamento del contratto e della sua esecuzione con la massima tempestività e il migliore rapporto possibile tra qualità e prezzo”. Il nuovo codice va, quindi, salutato positivamente, proprio per il cambiamento di prospettiva che consente (rectius, impone) agli apparati pubblici chiamati alla sua applicazione, ma merita di essere apprezzato anche perché, a fronte di un susseguirsi continuo, frenetico e spesso contraddittorio di interventi normativi nella materia de qua, mira a “consolidare” l’esistente e a strutturarlo con una organicità che prima non era mai stata neanche tentata nel settore. È, quindi, un codice abbastanza “maturo” e, nonostante la ristrettezza dei tempi in cui è stato redatto, non certamente “frettoloso”. di questa maturità è indice quel particolare schema di contratto pubblico rappresentato dal partenariato pubblico privato (PPP), che costituisce un punto di osservazione privilegiato sotto plurimi profili (3). In primo luogo, questo modulo contrattuale diviene, su sollecitazione europea, uno strumento imprescindibile -e, conseguentemente, uno degli strumenti principali -per perseguire quell’obiettivo di rilancio dell’economia cui si accennava poc’anzi, anche per l’“effetto leva” che tale tipologia di operazione negoziale consente sul mercato, rientrando certamente fra quei modelli (3) Su tale modello contrattuale la dottrina è piuttosto nutrita. Fra i contributi più interessanti, senza pretesa alcuna di esaustività, si segnalano: CArteI g.F. -rICChI M. (a cura di), “Finanza di progetto e partenariato pubblico-privato”, napoli, 2015; ChItI M.P. (a cura di), “Il partenariato pubblico- privato: concessioni, finanza di progetto, società miste, fondazioni”, napoli, 2009; ConteSSA C., “PPPC: modello generale”, in SAnduLLI M.A., de nICtoLIS r. (diretto da), Trattato sui contratti pubblici, tomo V, 2019; dI CrIStInA F., “Il Partenariato pubblico-privato quale «archetipo generale»”, in Giorn. dir. amm., 4/2016, pp. 482 ss.; dI gIoVAnnI A., “Il contratto di partenariato pubblico-privato tra sussidiarietà e solidarietà”, torino, 2012; FAntInI S., “Il partenariato pubblico-privato, con particolare riguardo al project financing ed al contratto di disponibilità”, in www.giustizia-amministrativa.it, 2012; LICAtA g.F., “Partenariati e innovazione”, in www.giustamm.it, 1/2017; nICoLAI M. -tortoreLLA W. (a cura di), “Partenariato Pubblico-privato e Project Finance. Nuove regole giuridiche, finanziarie e contabili”, rimini, 2019; rICChI M., “L’architettura dei Contratti di Concessione e di PPP nel Nuovo Codice dei Contratti Pubblici D.Lgs. 50/2016, relazione tenuta il 15 marzo 2016, in occasione del Seminario SVImEZ su La nuova legge sugli appalti. aperture al diritto della concorrenza e opportunità per il mezzogiorno”; trAVI A., “Il partenariato pubblico-privato: i confini incerti di una categoria”, in CAFAgno M. -botto A. -FIdone g. -bottIno g. (a cura di), “Negoziazioni Pubbliche -Scritti su concessioni e partenariati pubblico-privati”, Milano, 2013; VICIConte g., “I contratti di partenariato e la locazione finanziaria (artt. 179-182, 187)”, in CLArICh M. (a cura di), Commentario al codice dei contratti pubblici, 2019. LegISLAzIone ed AttuALItà efficienti di allocazione e gestione delle risorse pubbliche alla cui applicazione il Pnrr chiama tutte le Amministrazioni (4). In tal senso era orientata la stessa legge delega (l. 78/2022), che indicava quale criterio la “razionalizzazione, semplificazione […] ed estensione delle forme di partenariato pubblico-privato, […], anche al fine di rendere tali procedure effettivamente attrattive per gli investitori professionali, oltre che per gli operatori del mercato delle opere pubbliche e dell’erogazione dei servizi resi in concessione, […]” (lett. aa)), nell’ottica del rilancio di detto strumento (5), vero e proprio “volano per la ripresa economica” (6). In secondo luogo, il partenariato pubblico privato è, allo stato, nell’ambito del codice l’operazione contrattuale più complessa e tecnicamente difficile da porre in essere da parte delle pubbliche Amministrazioni ed è, quindi, una delle principali e più interessanti sfide che si prospettano per l’immediato futuro, imponendo la compartecipazione di professionisti di diversa estrazione (giuristi, economisti, ingegneri e tecnici vari). di questo il codice è ben consapevole e proprio per tale motivo prevede una ampia congerie di misure atte a garantire la corretta definizione, a monte, degli atti di gara e la corretta gestione, a valle, del rapporto contrattuale. In terzo luogo, -ed è il motivo sicuramente più affascinante -il partenariato pubblico privato dà la stura alla concreta affermazione di un modello di pubblica Amministrazione assai lontano da quello tradizionale, imponendo una sempre più ampia compartecipazione del privato e della società alla definizione, alla realizzazione e alla cura degli interessi generali, nel- l’ottica della reciproca fiducia, come oggi ricorda l’art. 2 del codice. Vengono così ad essere concretizzati il principio costituzionale di sussidiarietà orizzontale (art. 118 Cost.) (7) e, con riferimento almeno al tipo del “Parte (4) Piano nazionale di ripresa e resilienza, pp. 248 e 249. Sul punto, cfr. anche AddeSSo C., “Strumenti di attuazione del PNrr e di rafforzamento della capacità amministrativa: il partenariato pubblico-privato e l’in house”, relazione in occasione del convegno “5a rassegna di diritto pubblico dell’economia”, Varese 17 e 18 giugno 2022. (5) Cfr., in termini, anche la relazione di accompagnamento al codice, p. 219. (6) Cfr. già Cons. St., Adunanza della Commissione speciale, 29 marzo 2017 n. 775, “Parere sullo schema di linee guida recanti “monitoraggio delle amministrazioni aggiudicatrici sull’attività dell’operatore economico nei contratti di partenariato pubblico privato”. (7) Sul principio di sussidiarietà orizzontale, senza alcuna pretesa di esaustività, si veda, in particolare: ArenA g., “Il principio di sussidiarietà orizzontale nell’art. 118, u.c. della Costituzione”, in “Studi in onore di G. Berti”, vol. I, napoli, 2005; benVenutI F., “Il nuovo cittadino”, Padova, 1994; bertI g., “Sussidiarietà e organizzazione dinamica”, in “Jus”, 2004, pp. 171 ss.; CASSeSe S., “L’aquila e le mosche. Principio di sussidiarietà e diritti amministrativi nell’area europea”, in Foro it., 5/1995, c. 373 ss.; CeruLLI IreLLI V., “Sussidiarietà (dir. amm.)”, in Enc. giur., Agg. XII, roma, 2004; donAtI d. -PACI A. (a cura di), “Sussidiarietà e concorrenza. Una nuova prospettiva per gestione dei beni comuni”, bologna, 2010; FroSInI t.e., “Profili costituzionali della sussidiarietà in senso orizzontale”, in riv. giur. mezzogiorno, 1/2000; MASSA PInto I., “Il principio di sussidiarietà. Profili storici e costituzionali”, napoli, 2003; PAStorI g., “amministrazione pubblica e sussidiarietà orizzontale”, in “Studi in onore di Giorgio Berti”, Milano, 2005, pp. 1749 ss.; reSCIgno g.u., “Principio di sussidiarietà oriz rASSegnA AVVoCAturA deLLo StAto -n. 1/2023 nariato sociale” (8), oggi codificato all’art. 201, quella “demarchia” all’epoca quasi utopicamente delineata da benvenuti (9). Ciò, sul piano procedimentale, si traduce in un ampio spazio riconosciuto a moduli di confronto diffuso, e con gli operatori economici (si veda, in particolare, l’art. 183, comma 7, a mente del quale, fermi l’oggetto della concessione, i criteri di aggiudicazione e i requisiti minimi, “l’ente concedente può condurre liberamente negoziazioni con i candidati e gli offerenti”, negoziazioni “condotte di regola attraverso un dialogo competitivo ai sensi dell’articolo 74”, nonché chiaramente la finanza di progetto), e con la società territoriale di riferimento (le opere indicate, difatti, come obbligatoriamente soggette a dibattito pubblico dalla tabella 1 di cui all’allegato I.6 al codice si prestano, per la gran parte, ad essere oggetto di contratti di PPP). 2. Il contesto generale: la formazione di una cultura del partenariato pubblico privato. Prima di confrontarsi con le novità apportate dal novello codice, è necessario delineare il contesto in cui questo viene ad inserirsi, in quanto, come segnalato in apertura, l’applicazione concreta di un istituto non sempre corrisponde alla previsione astratta dello stesso. A tal fine, in primo luogo, occorre rilevare che il mercato del PPP oggi ha un valore certamente importante, ma ancora assolutamente insufficiente, specie se raffrontato con quello degli appalti, per come segnalato, in particolare, dal d.I.P.e. (dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica della Presidenza del Consiglio dei Ministri), nella relazione sull’attività svolta nel 2021 (10). Sulla base dei dati forniti dall’e.P.e.C. (Centro europeo di consulenza per i partenariati pubblico-privato presso la b.e.I.), che tiene conto, però, dei soli PPP di valore superiore ai dieci milioni di euro, il mercato delle operazioni di partenariato, nel 2021, in europa ha fatto registrare un valore aggregato di otto miliardi di euro con un calo del 13% rispetto al 2020 (9,2 miliardi euro), per un numero di operazioni pari a quaranta. Fra queste, l’operazione di PPP più rilevante sul piano economico è italiana ed è rappresentata dalla realizzazione dell’Autostrada Pedemontana Lombarda per un valore di 2,1 miliardi di euro. In Italia, al d.I.P.e. -che conosce, però, solo le operazioni che allo stesso zontale e diritti sociali”, in Dir. pubbl., 2002, pp. 5 ss.; SICo L., “Principio di sussidiarietà (diritto comunitario)”, in Enc dir., Agg. V, Milano, 2001, pp. 1062 ss. (8) Su cui, cfr. de nICtoLIS r., “Il baratto amministrativo (o partenariato sociale)”, in www.giustizia- amministrativa.it, 2018; cfr. anche berrettInI A., “La co-progettazione alla luce del Codice del terzo settore”, in Federalismi.it, n. 27 del 19 ottobre 2022. (9) Il riferimento è ovviamente a benVenutI F., “Il nuovo cittadino”, cit. (10) https://www.programmazioneeconomica.gov.it/homeppp/. Allo stato non è ancora stata pubblicata la relazione per l’anno 2022 e non si rinvengono dati più aggiornati. LegISLAzIone ed AttuALItà sono state comunicate -risultano aggiudicati venti PPP (registrati) per un valore di circa 402,8 milioni di euro, cui si aggiungerebbero ulteriori trentuno progetti per un ulteriore valore stimato di circa 500 milioni di euro (per operazioni non registrate). Si tratta di un dato sicuramente importante -pari, in totale, ad oltre tre miliardi di euro, stimati, come detto, di gran lunga in difetto -, ma pur sempre estremamente lontano dal valore complessivo del mercato degli appalti che, secondo la relazione sull’attività svolta nel 2022 presentata dall’A.n.A.C. al Parlamento l’8 giugno 2023, risulta, invece, pari a circa 290 miliardi di euro (a fronte dei 208 dell’anno precedente, con un incremento di circa il 39% e del 56% rispetto al 2020) (11). Il d.I.P.e. individua due principali cause che spiegherebbero il non adeguato sviluppo del PPP in Italia, ossia, da un lato, l’incertezza e l’eccessiva lunghezza dei processi autorizzativi, incertezza che è “tecnica (continua revisione e aggiornamento delle normative costruttive, tecnico-realizzative, impiantistiche, antisismiche), amministrativa (procedure, norme e regolamenti attuativi in continuo mutamento) ed economico- finanziaria (per citarne alcuni: stanziamenti erogati in parte, decaduti, non utilizzati interamente, nonché tagli di bilancio o riallocazioni di risorse)”; dall’altro, la “sovente carente e inadeguata definizione delle clausole contrattuali”, oltre che “la difficoltà di indicare in maniera puntuale gli obblighi e le responsabilità delle parti, che aumenta il rischio di contenziosi e scoraggia gli investitori”. A queste cause si aggiunge quello che è certamente il maggiore ostacolo alla diffusione di questo modello contrattuale, ossia l’assenza, allo stato, di una vera e propria “cultura del PPP”, che passa necessariamente attraverso una diversa formazione dei funzionari delle stazioni appaltanti e, quindi, in una qualificazione delle stesse stazioni, come suggerito anche dalla Corte dei conti europea già nella relazione speciale n. 9/2018, “Partenariati pubblico- privato nell’UE: carenze diffuse e benefici limitati” (12). occorrono, dunque, stazioni appaltanti qualificate -e in tale direzione va appunto il nuovo codice, che espressamente prevede, all’art. 174, comma 5, che questi tipi di contratti “possono essere stipulati solo da enti concedenti qualificati ai sensi dell’articolo 63” (13) -, ma, affinché queste siano in grado di (11) https://www.anticorruzione.it/-/relazione-annuale-2023. (12) https://www.eca.europa.eu/it/publications?did=45153. Insistevano sul punto anche le Linee guida n. 9, recanti: “monitoraggio delle amministrazioni aggiudicatrici sull’attività dell’operatore economico nei contratti di partenariato pubblico-privato”, approvate dal Consiglio dell’Autorità con delibera 28 marzo 2018, n. 318 e depositate presso la Segreteria del Consiglio in data 6 aprile 2018. (13) Ai sensi dell’art. 3, comma 5 dell’Allegato II.4, è richiesta “almeno una qualificazione di livello L2” e deve essere garantita “la presenza di almeno un soggetto con esperienza di tre anni nella gestione di piani economici e finanziari e dei rischi”. rASSegnA AVVoCAturA deLLo StAto -n. 1/2023 gestire operazioni contrattuali così complesse come quelle di PPP, è necessaria altresì una vera e propria compartecipazione delle migliori risorse nazionali. All’uopo, già prima del nuovo codice, il legislatore era intervenuto articolando una serie di uffici a livello centrale chiamati funzionalmente ad assistere tutte le pubbliche Amministrazioni, centrali e locali, nel percorso prodromico alla stipulazione di un contratto di PPP e, poi, in fase di esecuzione dello stesso. da parte l’attività consultiva generale di competenza dell’A.n.A.C., accanto al già citato d.I.P.e. (in cui è confluita la precedente unità tecnica Finanza di Progetto)(14), che ha, fra gli altri, il compito di curare la promozione e la diffusione di modelli di PPP, di assicurare il supporto gratuito alle pubbliche Amministrazioni, nonché di predisporre la raccolta dei dati e il monitoraggio delle operazioni de quibus ai fini della stima dell’impatto sul bilancio pubblico, occorre ricordare il ruolo assegnato al dipartimento della ragioneria generale dello Stato, che, oltre a gestire insieme al primo il “Portale per il monitoraggio delle operazioni di Partenariato Pubblico privato” (oggi art. 175, commi 6 e 7), di concerto con il d.I.P.e. rende il parere preventivo, obbligatorio e non vincolante, per i “progetti di interesse statale o finanziati con contributo a carico dello Stato, per i quali non sia prevista l’espressione del CIPESS, […] il cui ammontare dei lavori o dei servizi sia di importo pari o superiore a 50 milioni di euro e inferiore a 250 milioni di euro” (art. 175). Per i “progetti di interesse statale oppure di progetti finanziati con contributo a carico dello Stato, per i quali non sia già previsto che si esprima il CIPESS […] di importo pari o superiore a 250 milioni di euro”, invece, il nuovo codice prevede il parere, preventivo ed obbligatorio (15), di due altri organi pubblici, ovverossia lo stesso C.I.P.e.S.S. (Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile) e il n.A.r.S. (nucleo di consulenza per l’attuazione delle linee guida per la regolazione dei servizi di pubblica utilità) (16), organismo, quest’ultimo, cui compete anche, ai (14) Cfr. art. 1, comma 589, l. 28 dicembre 2015, n. 208, recante la Legge di stabilità per il 2016. (15) Si segnala la diversità di formulazione del primo alinea del comma 3 dell’art. 175 rispetto a quella del terzo alinea, nel quale si fa espresso riferimento all’applicazione della formula del “silenzio assenso” di cui all’art. 16, comma 2 l.p.a., in caso di mancato riscontro alla richiesta di parere da parte del d.I.P.e. e della r.g.S. In verità, trattandosi quest’ultima di previsione generale, l’eventuale esclusione della sua applicazione per l’ipotesi di cui al primo alinea -pur in astratto ragionevole -non può essere argomentata sulla base del mero dato testuale e, conseguentemente, deve ritenersi che anche in questo caso possa formarsi il silenzio assenso. (16) organismo tecnico di consulenza e supporto alle attività del C.I.P.e.S.S., coordinato dal d.I.P.e. e composto da rappresentanti delle seguenti amministrazioni: Ministero dell’economia e delle finanze; Ministero delle infrastrutture e dei trasporti; Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica; Ministero delle imprese e del made in Italy; Ministro delegato per gli affari europei, il sud, le politiche di coesione e il Pnrr; Ministro delegato per gli affari regionali e le autonomie; Ministro delegato per la pubblica amministrazione; Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di trento e bolzano. LegISLAzIone ed AttuALItà sensi dell’art. 192, comma 3, di pronunciarsi sulla revisione contrattuale “nei casi di opere di interesse statale ovvero finanziate con contributo a carico dello Stato”, intervenendo nella formazione del parere adottato di concerto sempre dal d.I.P.e. e dalla r.g.S. Peraltro, la ragioneria generale dello Stato si era già fatta promotrice, nella vigenza del precedente codice, di una salutare iniziativa di soft regulation, in affiancamento a quella già svolta dall’AnAC in materia, mercé la redazione di uno schema di “contratto standard per l’affidamento della progettazione, costruzione e gestione di opere pubbliche a diretto utilizzo della pubblica amministrazione da realizzare in partenariato pubblico-privato”, con annessa “Guida alla redazione” (2021) (17). oggi, con disposizione innovativa nel contesto del codice (ma che traduce una prassi che, come detto, già ha iniziato a formarsi negli anni precedenti), si prevede espressamente che dell’ausilio fornito da tali organi “specializzati”, mercé richiesta del parere preventivo siccome sovra delineato, possano avvalersi anche le regioni e gli enti locali, “quando la complessità dell’operazione contrattuale lo richieda” (art. 175, comma 4), con una quanto mai opportuna condivisione delle esperienze nel settore pubblico. 3. Il codice e la costruzione della fattispecie. In questo, che è, dunque, il contesto generale, si inserisce il nuovo codice, che ha, in primo luogo, certamente il merito di dare una struttura finalmente compiuta all’istituto del partenariato pubblico privato, eletto a schema generale di contratto pubblico, del tutto alternativo all’appalto e a cui viene ricondotto, anche sul piano topografico, il contratto di concessione. Il libro IV del codice si apre, difatti, con la definizione generale del partenariato pubblico-privato, “operazione economica” che si sviluppa in un rapporto contrattuale di lungo periodo, nel quale “la copertura dei fabbisogni finanziari connessi alla realizzazione del progetto proviene in misura significativa da risorse reperite dalla parte privata”, su cui deve essere allocato il rischio operativo e cui “spetta il compito di realizzare e gestire il progetto, mentre alla parte pubblica quello di definire gli obiettivi e di verificarne l’attuazione” (art. 174). Il legislatore, con una scelta non proprio felice, ripropone, poi, a livello normativo la categorizzazione, di ascendenza europea, fra partenariato pubblico- privato di tipo contrattuale -l’unico disciplinato dal codice -e PPP di tipo istituzionale, così traducendo sul piano del diritto positivo una distinzione di natura prettamente dottrinale e dalla portata più propriamente descrittiva. Con la nozione di PPP di tipo istituzionale si fa, infatti, riferimento, come noto, (17) Cfr., sul punto, anche il parere reso dal Consiglio di Stato, sez. I, 28 aprile 2020, n. 823, ai sensi dell’art. 17, comma 25, lett. c), l. 15 maggio 1997. rASSegnA AVVoCAturA deLLo StAto -n. 1/2023 alla “creazione di un ente partecipato congiuntamente dalla parte privata e da quella pubblica” e, quindi, ad un fenomeno non rientrante nell’ambito del codice e di cui si occupa -senza, peraltro, che tale definizione ivi ricorra -, in particolare, il testo unico in materia di società a partecipazione pubblica (d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175). Ciò che in questa sede interessa è, quindi, esclusivamente il PPP di tipo contrattuale, genus cui il codice -sulla falsariga, in verità, di quanto già proposto dal precedente -riconduce i vari tipi della concessione (che del PPP costituisce in un certo qual modo il paradigma) (18), della locazione finanziaria (c.d. leasing in costruendo) (19) e del contratto di disponibilità (20), “nonché gli altri contratti stipulati dalla pubblica amministrazione con operatori economici privati che abbiano i contenuti di cui al comma 1 e siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela”. Al di là della superfluità del riferimento agli “interessi meritevoli di tutela”, che, ai sensi dell’art. 1322 c.c., devono comunque sorreggere la causa di qualsiasi contratto atipico, ivi certamente compresi quelli che hanno come parte una pubblica Amministrazione (e ciò anzi vale a fortiori per quest’ultima, venendo in rilievo anche l’interesse pubblico sotteso a detti negozi giuridici), si tratta di norma che, -pur non essendo innovativa rispetto al passato codice (art. 180, ult. co., d.lgs. 50/2016) -ha il merito di ribadire il principio di autonomia contrattuale, che oggi è stato positivizzato nell’art. 8 del codice. ed è principio particolarmente rilevante nell’ambito in esame, se sol si pensa che, ancor prima della espressa previsione in tal senso, già la dottrina e la giurisprudenza (21) avevano ricondotto al modello del PPP i contratti, appunto atipici, di rendimento energetico (energy performance contract -ePC), prima inseriti nel d.lgs. 50/2016 dal “decreto semplificazioni” (d.l. 76/2020) e oggi previsti dall’art. 200 del codice. La scelta operata, sul piano generale, dal codice dei contratti -sviluppando quanto in nuce delineato già nel precedente codice del 2016 -di eleggere a vero e unico modello alternativo all’appalto il partenariato pubblico (18) La bibliografia sul contratto di concessione è estremamente ampia. Sia sufficiente, ai fini del presente scritto, il rinvio a greCo g., “Concessioni di lavori e servizi. Profili generali” in SAnduLLI M.A., de nICtoLIS r. (diretto da), Trattato sui contratti pubblici, tomo V, 2019 e a botto A., CAStro- VInCI zennA S., “I principi e le procedure (artt. 164-173)”, in CLArICh M. (a cura di), Commentario al codice dei contratti pubblici, cit. (19) Su cui si vedano, in particolare, CIntIoLI F., “PPPC tipizzati. Locazione finanziaria”, in SAnduLLI M.A., de nICtoLIS r. (diretto da), Trattato sui contratti pubblici, tomo V, cit.; VICIConte g., “I contratti di partenariato e la locazione finanziaria (artt. 179-182, 187)”, in CLArICh M. (a cura di), Commentario al codice dei contratti pubblici, cit. (20) Per tale modulo contrattuale valga il rinvio a gIoVAnnInI A., “Il contratto di disponibilità, la sussidiarietà, il baratto amministrativo e la cessione di immobili (artt. 188-191)”, in CLArICh M. (a cura di), Commentario al codice dei contratti pubblici, cit.; ConteSSA C., “Gli altri PPPC tipizzati”, in SAnduLLI M.A., de nICtoLIS r. (diretto da), Trattato sui contratti pubblici, tomo V, cit. (21) Cfr., Cons. St., sez. V, 21 febbraio 2020, n. 1327. LegISLAzIone ed AttuALItà privato (di tipo contrattuale), anche a livello di struttura dello stesso codice, è particolarmente meritoria, in quanto rappresenta un tentativo di categorizzazione, di costruzione delle fattispecie, che va oltre le indicazioni europee. Con una vera e propria “fuga in avanti” (22), il legislatore nazionale cioè positivizza la figura del PPP, sconosciuta invece al diritto positivo europeo (23), ove pure questo rintraccia le proprie origini (24). non pare, difatti, superfluo ricordare che la direttiva 2014/23/ue (così come la direttiva 2014/24/ue), di cui anche questo codice ovviamente costituisce attuazione, è dedicata alle concessioni e non fa alcun cenno al PPP. Si tratta di impostazione da valutare positivamente e che il legislatore dovrebbe adottare più spesso, in quanto consente, in primis, di dare contenuto alla terminologia quasi sempre troppo generica utilizzata nella regolamentazione europea (ma ciò è inevitabile, stante la necessità di garantire la ricezione della disciplina in tutti gli Stati dell’unione) e, in secondo luogo, di offrire una struttura concettuale, ancor prima che strettamente giuridica, agli istituti che nella stessa vanno formandosi. Proprio per questo, non può che confessarsi una qual certa perplessità dinnanzi alla definizione generale del PPP come “operazione economica”, con espressione dal contenuto giuridico pressoché nullo e che si spiega solo perché il legislatore ha voluto dettare una qualificazione non generale, ma generalissima della figura, alla stessa appunto avendo voluto ricondurre anche il PPP di tipo istituzionale (25). un maggior rigore definitorio sarebbe, dunque, stato preferibile, senza che per questo risultasse tradito il criterio di cui alla lettera a) della legge delega, che imponeva il “perseguimento di obiettivi di stretta aderenza alle direttive europee […]”. Con il nuovo codice deve ritenersi ormai cristallizzata la alternatività fra partenariato pubblico privato e appalto (26), sulla scorta dell’insegnamento europeo (27): il discrimen fra le due fattispecie negoziali è rappre (22) In tal senso, cfr. VICIConte g., “I contratti di partenariato e la locazione finanziaria (artt. 179-182, 187)”, in CLArICh M. (a cura di), Commentario al codice dei contratti pubblici, cit., 1183. (23) Se non a fini contabili; cfr. regolamento (ue) n. 549/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2013, relativo al Sistema europeo dei conti nazionali e regionali nell’unione europea testo rilevante ai fini del See. (24) “Libro Verde relativo ai partenariati pubblico-privati ed al diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni”, CoM (2004). (25) nella consapevolezza che “la nozione di partenariato ha una duplice dimensione, negoziale ed economica, in quanto costituisce un fenomeno economico-finanziario che trova disciplina giuridica nel relativo contratto” (Cons. St., parere della Commissione speciale, n. 855 del 21 marzo 2016). (26) Questo lo specifica anche il codice, là dove, all’art. 175, comma 2, ultimo alinea, impone all’Amministrazione di valutare la opportunità di ricorrere a tale modulo anziché a quello dell’appalto. (27) Corte di giustizia u.e., 15 ottobre 2009, sentenza C-196/08, acoset S.p.a., § 39; cfr., da ultimo, Corte di giustizia u.e., sez. VIII, 10 novembre 2022, sentenza C-486/2021, Sharengo, che afferma che la concessione di servizi si distingue da un appalto pubblico per l’attribuzione al concessionario del rASSegnA AVVoCAturA deLLo StAto -n. 1/2023 sentato dalla sussistenza o meno di un “rischio operativo” in capo all’operatore economico. non rileva, invece, necessariamente la struttura del contratto, trilaterale o bilaterale, atteso che il codice fuga ogni dubbio circa la possibilità che anche le c.d. opere fredde, ossia quelle per le quali il privato che le realizza e gestisce fornisce direttamente servizi alla pubblica Amministrazione e trae la propria remunerazione solo da pagamenti effettuati dalla stessa (ospedali, carceri, scuole et similia) (28), possano essere oggetto di un contratto di PPP. nel contratto di appalto, come noto, il rischio per il privato è solo di costruzione, ossia il rischio imprenditoriale derivante dalla errata valutazione dei costi di costruzione rispetto al corrispettivo che si percepirà a seguito del- l’esecuzione dell’opera. Il rischio operativo si ricollega, invece, ai sensi dell’art. 177, dettato in materia di concessioni, alla realizzazione dei lavori o alla gestione dei servizi e comprende un rischio dal lato della domanda, da intendersi come “domanda effettiva di lavori o servizi che sono oggetto del contratto”, o dal lato dell’offerta, ossia “in particolare il rischio che la fornitura di servizi non corrisponda al livello qualitativo e quantitativo dedotto in contratto”, cui è da ricondurre anche il rischio di disponibilità (29), o da entrambi (comma 1). Affinché un contratto sia qualificabile come PPP il rischio rilevante è solo “quello che deriva da fattori eccezionali non prevedibili e non imputabili alle parti”, mentre “non rilevano rischi connessi a cattiva gestione, a inadempimenti contrattuali dell’operatore economico o a cause di forza maggiore” (così testualmente il comma 3 che riproduce pedissequamente il considerando n. 20 della direttiva). Il legislatore, assai opportunamente, si discosta dalla scelta effettuata con il codice del 2016, là dove si dettava una tassonomia estremamente analitica dei rischi allocabili in capo alle parti dei contratti di partenariato (già in sede definitoria; cfr. art. 3, d.lgs. 50/2016), abbozzandone invece solo i tratti generali -conformemente alla direttiva n. 23 -e demandandone la specificazione ad atti amministrativi generali, come bandi-tipo, capitolati-tipo ovvero contratti- tipo redatti dall’A.n.A.C. (art. 222; cfr., con particolare riferimento al PPP, l’art. 197 in tema di contratto di disponibilità), ovvero alla prassi ammi diritto, eventualmente accompagnato da un prezzo, di gestire i servizi oggetto della concessione: “costituisce una «concessione di servizi» l’operazione mediante la quale un’amministrazione aggiudicatrice intende affidare la creazione e la gestione di un servizio di noleggio e condivisione di veicoli elettrici a un operatore economico il cui contributo finanziario sia prevalentemente destinato all’acquisto di tali veicoli, e nella quale gli introiti di detto operatore economico proverranno principalmente dalle tariffe pagate dagli utenti del servizio in parola, dal momento che caratteristiche del genere sono tali da dimostrare che il rischio legato alla gestione dei servizi oggetto della concessione è stato trasferito a detto operatore economico”. (28) Cfr. relazione di accompagnamento, p. 211. (29) Cfr. già Cons. St., Comm. spec., n. 855/2016. LegISLAzIone ed AttuALItà nistrativa (cui oggi sarà da ricondurre, ad esempio, l’elaborazione della c.d. “matrice dei rischi”) (30). La corretta allocazione dei rischi è indispensabile per qualificare il contratto come concessione (e, quindi, PPP) e questa passa necessariamente dalla attenta definizione del piano economico finanziario (P.e.F.), strumento indispensabile per verificare la concreta capacità del concorrente di eseguire correttamente la prestazione per l’intero arco temporale prescelto attraverso la responsabile prospettazione di un equilibrio economico-finanziario del contratto stesso (31), “intendendosi per tale la contemporanea presenza delle condizioni di convenienza economica e sostenibilità finanziaria”. L’equilibrio economico-finanziario sussiste, ai sensi dell’art. 177, comma 5, “quando i ricavi attesi del progetto sono in grado di coprire i costi operativi e i costi di investimento, di remunerare e rimborsare il capitale di debito e di remunerare il capitale di rischio”. 4. Il finanziamento e le ragioni di attrattività del PPP. Proprio la corretta distinzione fra PPP e appalto è indispensabile al fine di garantire -e questo è uno dei principali motivi di attrattività del primo -la possibilità per le pubbliche Amministrazioni di contabilizzare l’operazione fuori bilancio (off balance) e, quindi, di non creare debito pubblico, in conformità alla funzione precipua di tale modulo contrattuale, diretto a garantire, come sovra ricordato, il finanziamento di un’opera o di un servizio pubblico da parte del privato (32). A tal fine, il nuovo codice, superando l’impostazione precedente, maggiormente attenta ad un profilo quantitativo, piuttosto che qualitativo, non pone alcun limite fisso al valore dell’eventuale contributo pubblico previsto quale parte del corrispettivo contrattuale e si limita a rinviare alla disciplina dettata dalle decisioni Eurostat (33), valorizzando così anche le finalità sociali perseguite (c.d. value for society), nonché le esigenze di tutela della piccola e media impresa. nel caso in cui i criteri ivi previsti siano violati dalle operazioni contrattuali (30) Cfr. Linee guida A.n.A.C. n. 9, cit. (31) Cfr., fra le più recenti, Cons. St., sez. IV, 23 febbraio 2023, n. 1867; Id., sez. V, 30 gennaio 2023, n. 1042. (32) Cfr., Cons. St., sez. V, 13 aprile 2022, n. 2809. (33) L’art. 177, comma 7, diversamente dal precedente art. 180, comma 6 (che disponeva che il contributo pubblico non potesse superare il “quarantanove per cento del costo dell’investimento complessivo”), infatti, rinvia tout court ai contenuti delle decisioni eurostat, prevedendo solo che “in ogni caso, l’eventuale riconoscimento di un contributo pubblico, in misura superiore alla percentuale indicata nelle decisioni Eurostat e calcolato secondo le modalità ivi previste, non ne consente la contabilizzazione fuori bilancio”. Su questo, cfr. anche la circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 10 luglio 2019, con la quale si definiscono i criteri per la comunicazione di informazioni relative al partenariato pubblico privato ai sensi dell’art. 44, comma 1 bis del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248. rASSegnA AVVoCAturA deLLo StAto -n. 1/2023 poste concretamente in essere, occorre procedere alla riqualificazione del rapporto negoziale come fonte di indebitamento (34), riqualificazione e non nullità del contratto, come in passato invece erroneamente sostenuto da una certa giurisprudenza (35) e come, invece, oggi chiarito anche dall’art. 177, comma 6. Al riguardo, non pare superfluo sottolineare come, sulla base dei rilievi formulati dall’I.S.t.A.t., incaricato di compilare ed inviare ad Eurostat il “questionario sulle tabelle relative alla notifica della procedura per i disavanzi eccessivi”, la cui tabella 11 è appunto relativa ai PPP, nel 2022 ben l’87% dei contratti di PPP è stato riclassificato on-balance sheet, in ragione del mancato trasferimento dei rischi al soggetto privato, e tale percentuale sale addirittura al 100% per i contratti di ePC. tanto valga ad evidenziare, ancora una volta, la complessità per le pubbliche Amministrazioni di disegnare contratti quali quelli di specie. Proprio alla natura (anche) di strumento di finanziamento di questi contratti, si ricollega, poi, l’istituto della finanza di progetto (36). Il codice, in primo luogo, precisa definitivamente che questa non è un tipo di contratto di partenariato pubblico privato (come erroneamente veniva indicato dall’art. 180, comma 8 del vecchio codice), ma una particolare e articolata procedura bifasica -di scelta del progetto e di affidamento del contratto, e oggi di tutti i contratti di PPP (art. 198, comma 1) -, che si connota per la peculiarità di essere avviata (solo) su iniziativa degli operatori economici privati (essendo stata espunta la modalità ad iniziativa pubblica, ritenuta condivisibilmente del tutto superflua) e di operare sia in relazione a progetti già presenti nel (nuovo) programma triennale delle esigenze pubbliche (cfr. art. 175, comma 1), sia per iniziative ivi non previste. Come chiarito dalla stessa relazione di accompagnamento allo schema definitivo del codice, pertanto, “non si tratta di due tipi contrattuali diversi, come nella struttura dell’impianto codicistico del 2016. È il medesimo contratto di concessione che può essere finanziato, sia in ‘corporate financing’, sia in ‘project financing’ ”(p. 203). Con riferimento alla prima fase, di scelta del promotore di una procedura di finanza di progetto, è pacifico che non si tratti di “un modulo di confronto concorrenziale sottoposto al principio delle procedure di evidenza pubblica, quanto piuttosto [di] uno strumento tramite il quale l’amministrazione defini (34) Corte dei conti, delibera n. 15/SezAut/2017/QMIg del 13-23 giugno 2017. (35) t.a.r. Sardegna, sez. I, 10 marzo 2011, n. 213, secondo cui un contratto di concessione posto in essere senza una efficace allocazione dei rischi in violazione dei principi comunitari sarebbe nullo per illiceità della causa ai sensi dell’art. 1344 c.c. (contratto in frode alla legge), in quanto utilizzato allo scopo di conseguire un risultato precluso dall’ordinamento. (36) Su cui cfr. MALInConICo C., “Finanza di progetto”, in SAnduLLI M.A., de nICtoLIS r. (diretto da), Trattato sui contratti pubblici, tomo V, cit.; nonché rAgAneLLI b., “La finanza di progetto”, in CLArICh M. (a cura di), Commentario al codice dei contratti pubblici, cit. LegISLAzIone ed AttuALItà sce di concerto con il privato un obiettivo di interesse pubblico da realizzare” (37), tanto che l’Amministrazione può sempre decidere di non dare corso alla procedura di gara per l’affidamento del contratto (38). In secondo luogo, occorre segnalare il criticabile arretramento compiuto dal legislatore rispetto al testo proposto dalla Commissione, con particolare riferimento alla soluzione da questa indicata con riferimento ad uno dei principali problemi che affligge il modulo della finanza di progetto, costituito dalla previsione del diritto di prelazione a favore del promotore, spesso di ostacolo, nella pratica, alla partecipazione di altri operatori alla seconda fase della procedura. La Commissione, per ovviare a tale effetto, aveva inserito, quale alternativa al diritto di prelazione, la possibilità di riconoscere al promotore un punteggio premiale (c.d. sistema alla cilena), da riferirsi anche al valore innovativo del progetto stesso, nella consapevolezza che nessuna opzione è comunque priva di difetti, atteso che anche questa, pur incentivando la partecipazione e la qualità progettuale, comporterebbe inevitabilmente un generale aumento dei costi (cfr. pag. 231-232 della relazione) (39). Sarebbe stato certamente preferibile consentire alla stazione appaltante la ponderazione fra detti interessi in concreto, avuto riguardo alle peculiarità dell’opera oggetto del progetto, piuttosto che escludere ex lege la stessa possibilità di ricorrere a tale modalità alternativa di valorizzazione della posizione del promotore. Pare, invece, condivisibile la scelta del legislatore di prevedere l’obbligo di costituzione di una società di scopo (e la nuova denominazione rispetto a quella di società di progetto ha il dichiarato fine di ricondurre la finanza di progetto al modello europeo dello special purpose vehicle) solo per gli affidamenti di lavori sovra soglia e non, invece, quale regola generale, come originariamente proposto dalla Commissione, così lasciando una maggiore libertà alle stazioni appaltanti e agli stessi operatori economici, cui, d’altra parte, oggi l’art. 198, comma 2 riconosce sempre il diritto di “avvalersi, anche al di fuori della finanza di progetto, della facoltà di costituire una società di scopo”. (37) Cfr., da ultimo, Cons. St., sez. V, ord. 7 giugno 2023, n. 5615, con cui è stata rimessa alla Corte di giustizia ue la seguente questione pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 tFue: “se l’art. 183, comma 15, del d.lgs. n. 50 del 2016 è contrario al diritto UE e in particolare ai principi di pubblicità, imparzialità e non discriminazione contenuti sia nel Trattato che nei principi UE, propri di tutte le procedure comparative, laddove interpretato così da consentire trattamenti discriminatori in una procedura di attribuzione del diritto di prelazione, senza predefinizione dei criteri e comunque senza comunicazione dei medesimi a tutti i concorrenti ma solo ad alcuni di essi, quanto meno al decorso dei tre mesi di urgenza previsti da tale articolo”. detta problematica è oggi venuta meno, in quanto il termine di novanta giorni previsto dall’art. 193, comma 2 -che, in verità, nel progetto originario era stato sostituito dal- l’avverbio “tempestivamente” - non è più indicato come perentorio. (38) Cfr., ex multis, Cons. St., sez. III, 19 settembre 2022, n. 8072; si veda anche t.a.r. Calabria, Catanzaro, 14 luglio 2022, n. 1312. (39) Cfr. anche il comunicato del Presidente dell’A.n.A.C. del 12 gennaio 2022, sull’indagine conoscitiva svolta sulle procedure di project financing nei servizi. rASSegnA AVVoCAturA deLLo StAto -n. 1/2023 5. La fase esecutiva e la lezione della pandemia. In questa breve panoramica, inevitabilmente incompleta, merita un cenno la disciplina dettata dal codice in materia di esecuzione dei contratti di partenariato (40), di cui al titolo III della parte II del libro de quo, dedicata alle concessioni, ma applicabile a tutti i PPP ex art. 174, comma 3. Ciò per due principali motivi: da un lato, questi contratti -come ci ricorda anche l’art. 178 -costituiscono rapporti di durata, spesso molto ampi nel tempo, in quanto devono remunerare gli investimenti, effettuati e da effettuare, dall’aggiudicatario; dall’altro, per la particolare attenzione che negli ultimi anni, a causa del fenomeno pandemico e dalla guerra, è stata tributata, dalla dottrina e dalla giurisprudenza, proprio alla fase esecutiva dei contratti, anche pubblici. In primo luogo, occorre rilevare che, in ossequio al criterio di cui alla lett. ff) della legge delega, il codice ha sancito il divieto di proroga dei contratti di PPP, salvo nel caso di revisione degli stessi (art. 178, comma 5; su cui infra). non è stata, invece, prevista la proroga c.d. tecnica (ad eccezione per l’ipotesi, speciale, delle concessioni autostradali), diversamente da quanto disposto dall’art. 120, comma 11 per gli appalti. Attese la auto-conclusività del libro IV del codice, l’assenza di rinvii interni e la natura eccezionale di tale tipo di proroga (41), si dovrebbe, dunque, ritenere che oggi -diversamente dal passato -sia preclusa alle Amministrazioni la facoltà di disporre la proroga c.d. tecnica dei contratti finanche “nei casi eccezionali nei quali risultino oggettivi e insuperabili ritardi nella conclusione della procedura di affidamento del contratto”. tale soluzione, imposta dalla legge delega, si spiega proprio con la durata tendenzialmente lunga del contratto -che deve essere chiaramente predefinita ex art. 178, comma 1 -, che dovrebbe consentire alle Amministrazioni di predisporre per tempo l’avvio di una nuova procedura ad evidenza pubblica per l’aggiudicazione del contratto per il periodo successivo alla scadenza. La prassi consentirà di verificare quanto tale proposito potrà essere in concreto soddisfatto, ma non si può che avanzare qualche dubbio sull’opportunità di una sì rigida preclusione. In secondo luogo, con il codice si è persa l’occasione di dare un contenuto concreto alla disposizione di cui all’art. 175 del codice previgente, oggi tra (40) Sull’esecuzione dei contratti di concessione (e, quindi, dei contratti di PPP), con riferimento al previgente codice, cfr., per tutti, urbAno g., “L’esecuzione delle concessioni (artt. 174-178)”, in CLArICh M. (a cura di), Commentario al codice dei contratti pubblici, 2019, oltre che SCIAudone F., “Esecuzione. modifica dei contratti durante il periodo di efficacia”, in SAnduLLI M.A., de nICtoLIS r. (diretto da), Trattato sui contratti pubblici, tomo V, cit. In generale, cfr. anche zoPPoLAto M., CoMPAronI A., “revisione dei prezzi trattato sui contratti pubblici”, in SAnduLLI M.A., de nICtoLIS r. (diretto da), Trattato sui contratti pubblici, tomo IV, 2019. (41) Cfr., fra le tante, Cons. St., sez. V, 23 settembre 2019, n. 6326. LegISLAzIone ed AttuALItà dotta, pur con qualche modifica -più terminologica, che di sostanza -nell’art. 189, disciplinante la modifica del contratto durante il periodo di efficacia. La disposizione sconta, evidentemente, una eccessiva “fedeltà” al contenuto della direttiva n. 23 (art. 43), frutto forse di una lettura anch’essa eccessivamente rigida del criterio di delega sovra richiamato. La estrema genericità della terminologia adoperata nel diritto positivo europeo, come sovra rilevato, necessita di essere colmata attraverso il rinvio alle categorie tradizionali nazionali, senza che per questo ne sia tradita l’origine, così da cercare di quanto meno ostacolare quella eclissi del diritto (civile) o, comunque, quella crisi della fattispecie da più parti denunciate (42). Ciò vale, in particolar modo, per il concetto di “natura generale della concessione” che assume valenza di limite generale per le ipotesi di modifica disciplinate dal comma 2 dell’art. 189, oltre che per quelle di cui al comma 1, lett. a) e c). né nel codice, né nella presupposta direttiva n. 2014/23/ue si rinviene una definizione della “natura generale” del contratto, né la stessa risulta specificamente affrontata dalla giurisprudenza nazionale -e ciò si spiega perché, come rilevato anche nella relazione di accompagnamento, tale previsione ha avuto nella prassi scarsissima applicazione. Inoltre, di assai difficile definizione risulta il rapporto fra tale concetto e quello di “modifica sostanziale” del contratto (rilevante ai sensi del comma 1, lett. e)), specie oggi che il comma 4 dell’art. 189, quasi filosoficamente, afferma che una modifica sarebbe da ritenersi tale “se la natura della concessione muta nella sua essenza rispetto a quella inizialmente conclusa”. Se è vero che tale previsione è comunque preferibile a quella della direttiva, che tautologicamente dispone che la modifica è da considerarsi sostanziale se “muta sostanzialmente la natura della concessione rispetto a quella inizialmente conclusa”, forse avrebbe meritato di essere conservato, almeno in parte qua, lo sforzo qualificatorio effettuato dal precedente art. 175, comma 7, che definiva “sostanziale” la modifica che “altera considerevolmente gli elementi essenziali del contratto”, così richiamando categorie un po’ più note al nostro ordinamento. Con maggior rigore dogmatico, si potrebbe tentare di ricondurre la nozione di “natura generale” del contratto a quella, ben conosciuta, di causa, funzione del contratto; sicché si avrebbe incisione sulla stessa allorché, ad esempio, le modifiche comportino un sostanziale svuotamento del rischio operativo sotteso alla originaria concessione, sì da trasformarla in un appalto, ovvero allorquando si inseriscano nell’oggetto del contratto una serie di prestazioni allo stesso totalmente estranee (43). (42) Il riferimento è, ovviamente, a CAStronoVo C., Eclissi del diritto civile, 2015 e a IrtI n., Crisi della fattispecie, in riv. Dir. Proc., 2014, 1, 36 ss. rASSegnA AVVoCAturA deLLo StAto -n. 1/2023 Particolare ipotesi di modifica del contratto -senza che, però, di tale rapporto si curi il legislatore nazionale, in assenza di indicazioni da parte della direttiva -è la revisione, disciplinata oggi da una disposizione autonoma (art. 192), diversamente rispetto al codice precedente, che alla stessa riservava solo un limitatissimo spazio (artt. 165, comma 6 e 182, comma 3). L’origine di tale scelta, innovativa, è chiaramente da rinvenirsi nelle ben note problematiche sorte con riferimento a tutti i contratti di durata e, quindi, anche per quelli pubblici, nel periodo pandemico, che hanno imposto una rinnovata riflessione circa la necessaria previsione in via generale di rimedi manutentivi del rapporto sinallagmatico a fronte di sopravvenienze non previste e non prevedibili al momento della stipulazione (44). A tale esigenza rispondono oggi, in via generale, la innovativa previsione del principio di “conservazione dell’equilibrio contrattuale”, cristallizzato all’art. 9 del codice, nonché la disposizione di cui all’art. 60, che ripropone (45) l’obbligo di inserimento di clausole di revisione prezzi in tutti i contratti pubblici, sulla falsariga delle clausole di hardship note al commercio internazionale, che si attivano automaticamente al ricorrere dei presupposti ivi previsti (e che, a quanto consta, dovrebbero ritenersi vincolanti sia nell’an che nel quantum). La medesima ratio è, come si è detto, sottesa alla disposizione, speciale per i contratti di PPP, di cui all’art. 192, che sancisce il diritto dei concessionari -ma si deve ritenere che sia diritto proprio anche della stazione appaltante di chiedere la revisione degli stessi in caso di “eventi sopravvenuti straordinari e imprevedibili, ivi compreso il mutamento della normativa o della regolazione (43) Cfr., delibera A.n.A.C. n. 758 del 30 settembre 2020: “la natura generale di una concessione di lavori avente ad oggetto la realizzazione di una specifica opera (palasport), deve ritenersi mutata ove, durante l’efficacia della concessione si intendano realizzare opere supplementari di diverso oggetto (come parcheggi e percorsi ciclopedonali), serventi anche ulteriori impianti rispetto a quelli originari (una più ampia area sportiva) e funzionali ad una differente esigenza pubblica (il miglioramento della viabilità locale)”. (44) Sul punto, si rammenta che già, nelle Linee guida A.n.A.C. n. 9 del 28 marzo 2018, rubricate “monitoraggio delle amministrazioni aggiudicatrici sull’attività dell’operatore economico nei contratti di partenariato pubblico privato”, le epidemie ed i contagi erano espressamente indicati come eventi di forza maggiore suscettibili di determinare la revisione del P.e.F. (§ 3.3). nel periodo pandemico, spicca una previsione, pur eccezionale, quale quella di cui all’art. 28 bis del d.l. 34/2020, convertito con l. 77/2020, che impone l’avvio “automatico” della procedura di revisione per le concessioni per la somministrazione di alimenti e bevande tramite distributori automatici collocati presso gli istituti scolastici e università e gli uffici pubblici rimasti chiusi durante l’emergenza al superamento di una determinata soglia di riduzione del fatturato. In generale, non si può non richiamare la relazione tematica n. 56 dell’8 luglio 2020, redatta dall’ufficio del massimario della Corte di Cassazione e specificamente dedicata alle “Novità normative sostanziali del diritto “emergenziale” anti-Covid 19 in ambito contrattuale e concorsuale”, che, pur non occupandosi di contratti pubblici, detta principi di valenza generale. (45) Cfr., in origine, art. 6, comma 4, l. 537/1993; poi, art. 115 d.lgs. 163/2006; più di recente, art. 29, comma 1, lett. a), d.l. 4/2022, convertito in l. 25/2022. Sul punto, si veda, da ultimo, Cons. St., sez. V, 6 settembre 2022, n. 7756. LegISLAzIone ed AttuALItà di riferimento, purché non imputabili al concessionario, che incidano in modo significativo sull’equilibrio economico-finanziario”. Anche in questo caso non può che censurarsi la scarsa definizione dei concetti di “natura generale” del contratto e di “modifica sostanziale”, ergendosi questi, anche per la revisione, a confini di legittimità (in questo caso, però, unici; cfr. art. 192, comma 2). Meritoria è, invece, la ripulitura lessicale operata con l’art. 190, che ha opportunamente espunto, anche con riguardo ai contratti di concessione (e, quindi, di PPP), il tralatizio riferimento alla revoca del contratto, ancora presente nell’art. 176 del vecchio codice. Conformemente a quanto già disposto per l’appalto, è stato, infatti, previsto, in luogo del potere autoritativo, pubblicistico, di revoca, il diritto potestativo, di natura privatistica, di recesso, cui oggi è appunto dedicato l’art. 190, commi da 4 a 7. Ciò consente di abbandonare, definitivamente, la lettura tradizionale pubblicistica della concessione -che ancora una parte della dottrina e della giurisprudenza propugnava, anche nella vigenza del codice del 2016 -, per abbracciarne una qualificazione come vero e proprio contratto, al pari di quello di appalto. Si tratta, peraltro, di ripulitura lessicale che è, al contempo, anche contenutistica, in quanto, superando il testo dell’art. 44 della direttiva, che fa riferimento alla nozione, genericissima, di termination of concessions, il legislatore ha appunto ricondotto le diverse ipotesi previste dalla stessa direttiva agli istituti, ben noti al nostro codice civile, del recesso e della risoluzione. Proprio dalla disciplina della risoluzione recata dal nuovo art. 190, peraltro, emerge, ancora una volta, il favor che il legislatore tributa ai contratti di partenariato. Al fine, infatti, di favorirne la finanziabilità, si prevede una ipotesi di modifica del contratto di concessione a parte subiecti, ulteriore rispetto a quelle di cui all’art. 189 sovra richiamate (e non contemplata nella direttiva), che consente il c.d. step in-right, ossia il subentro di altro operatore economico, indicato dagli enti finanziatori, prima di addivenire alla risoluzione del contratto per inadempimento dell’originario aggiudicatario (cfr. art. 190, comma 3, che riproduce la previsione di cui all’art. 176, comma 8 del precedente codice, ma ampliando il termine nel quale l’ente finanziatore deve operare tale indicazione e specificando il procedimento con cui il subentro avviene). Le disposizioni da ultimo richiamate si inscrivono, dunque, nell’alveo di quella impostazione che si è avuto modo di valutare positivamente e che il legislatore dovrebbe avere il coraggio di adottare più spesso. In tale direzione, di conseguenza, non può che essere l’auspicio. rASSegnA AVVoCAturA deLLo StAto -n. 1/2023 artificial Intelligence and privacy rights Gaetana Natale* today is it possible to compromise rule of technology with the rule of law to protect fundamental rights? Artificial Intelligence has the immense potential to benefit our way of living, but it’s already undeniable it creates new risks of extensive and serious damages. damages creates by AI can arise in the context of contractual relationships or regardless of any previous relationship with the injured party. It is arguable conventional tort law and contractual liability system can always ensure adequate distribution of risks and fair compensation of damages. these new challenges have pushed european Institution to undertake several initiatives aimed for the harmonization of the rules on AI including an civil liability. three steps are important: 1) raise awareness on how AI operates and the challenges it presents to conventional tort law and contractual liability system; 2) Analyze and compare national and eu rules already in place pertaining to the matter; 3) Provide Knowledge of eu legislation being prepared. In the first stage it is important to understand how algorithm operate in machine learning to compromise, trade off rule of technology with rule of law. What is an algorithm? If this than that: a process or set of rules to be followed in calculations or other problem-solving operations, or performing computation especially by a computer “a basic algorithm for division”, a step by step procedure for solving a problem or accomplishing some end. etimology: alteration of middle english algorisme, from old French & Medieval Latin algorismus, from Arabic al.khwarizmi flourished a.d. 825 Islamic mathematician. the basic concept to understand is: The inference. Algorithm operates with “inference” and not on the base of principle of causality. the perception of mind is a rational act of the mind and it is simply application of the principle (*) Avvocato dello Stato, dottore di ricerca in Comparazione e diritto civile, Consigliere giuridico del garante per la tutela dei dati personali. Relazione presentata dall’Autrice nel corso del seminario organizzato dalla Rete Europea di Formazione Giudiziaria (REFG) che opera con il sostegno finanziario del programma Giustizia dell’Unione europea. Il seminario sul tema “Civil liability due to artificial intelligence” rientra nell’ambito del “Progetto di giustizia civile”. L’evento si è svolto il 25 e 26 maggio 2023 presso la sede di Roma del- l’EJTN. LegISLAzIone ed AttuALItà of causality with the methods of induction. here, there is even some kind of vague relevance to our everyday life, but once more the crucial point regards the conception of the world, the applicability of the principle of causality, the idea of knowableness. rather, one can characterize the true state of the thing a lot better in this way, since all experiments are subject to the law of quantum mechanics from this matter follows that, by quantum mechanics is established permanently the invalidity of the principle of causality. In the Cambridge Dictionary we found this definition of artificial Intelligence: “the study of how to produce machines that have some of the qualities that the human mind has, such as the ability to understand language, NPL Natural Processing Language, recognize pictures, solve problems and learn”. Indeed AI is a result in global level of high performance computing, machine learning, deep learning, Internet of thing, blockchain dapps, blockchain protocols, the technology stack as a connection of users, content, data, app, services, criptocarrency, open internet/platforms, logical layer, infrastructure connectivity, nanotechnology, according to scheme input/output/response prediction. data Mining, in others words data is value, data driven economy an information, feature extraction, annotation, validation, information became Knowledge and knowledge became prediction. to understand IA is important to study some mathematics theories as bayesian statistics, Markov Chain, turing test, Asimov Law, Moore Law, theory of Shannon, Logical Complex of godel, theory of Arrow, gray Code. Entranglement or a spooky action at distance as A. einstein writed are concepts that AI can not understand. “one day the machines will be able to solve all problems, but none of them can deliver us one” (Albert einstein). “The measure of intelligence is the ability to change”. Can we compromise this mathematical concept, trade off the rule of technology with the rule of law to protect human rights? Yes. It is possible if the algorithm are created without bias and discrimination (Loomis case, Compass case, Cambridge analytica, Conseil of State 25 november 2021 n. 7891) according to some important principles or model rule, general clauses as accountability and privacy by design and default art. 25 gdPr to avoid black box (zuboff surveillance capitalism, micro-targeting, social scoring) and to create AI trustworthy based on transparency, no discrimination, right to explanation pursuant to 22 gdPR, or explainibility of algoritms logic, human in the loop, human in command, control in rolling review. Article 22 gdPr: “automated individual decision-making, including profiling” “1. The data subject shall have the right not to be subject to a decision rASSegnA AVVoCAturA deLLo StAto -n. 1/2023 based solely on automated processing, including profiling, which produces legal effects concerning him or her or similarly affects him or her. 2. Paragraph 1 shall not apply if the decision: a) is necessary for entering into, or performance of, a contract between the data subject and a data controller; b) is authorised by Union or member State law to which the controller is subject and which also lays down suitable measures to safeguard the data subject’s rights and freedom and legitimate interests; or c) is based on the data subjec’s explicit consent”. Mumford: “The technology is a form of order”. Article 25 gdPr “data protection by design and by default” “1. Taking into account the state of the art, the cost of implementation and the nature, scope, context and purposes of processing as well as the risks of varying likehood, and severity for rights and freedoms of natural persons by the processing, the controller shall, both at the time of the determination of the means for processing and at the time of the processing itself, implement appropriate technical and organisational measures, such as pseudonymisation, which are designed to implement data-protection principles, such as data minimisation, in an effective manner and to integrate the necessary safeguards into the processing in order to meet the requirements of this regulation and protect the rights of data subjects. 2. The controller shall implement appropriate technical and organisational measures for ensuring that, by default, only personal data which are necessary for each specific purpose of the processing are processed. That obligation applies to the amount of personal data collected, the extent of their processing, the period of their storage and their accessibility. In particular , such measures shall ensure that by default personal data are not made accessible without the individual’s intervention to an indefinite number of natural persons. 3. an approved certification mechanism pursuant to article 42 may be used as an element to demonstrate compliance with the requirements set out in paragraphs 1 and 2 of this article”. the first problem is: Who must certificate the security of aI devices? Independent authority or the same producer? the liability, strict liability, product liability and pre-emption doctrine is regulated with the risk assessment. today he have in progress a lot of european Regulations: data act, digital service act, digital Market act (with a combination antritrust rule of abuse of dominant position), digital governance act. In Proposal for a Regulation of the european Parliament and of the Council laying down harmonised rules on artificial Intelligence of 21 LegISLAzIone ed AttuALItà april 2021, approved the last May 11 (including aI generative, before not inserted), the Commission puts forward the proposed regulatory framework on Artificial Intelligence with the following specific objectives: 1) ensure that AI systems placed on the union market and used are safe and respect existing law on fundamental rights and union values; 2) enhance governance and effective enforcement of existing law on fundamental rights and safety requirements applicable to AI systems; 3) Facilitate the development of a single market for lawful, safe and trustworthy AI applications and prevent market fragmentation. the legal basis for the proposal is in the first place Article 114 of the treaty on the Functioning of the european union (tFue), which provides for the adoption of measures to ensure the establishment and functioning of the internal market, subsidiarity (for non-exclusive competence) and proportionality. It is crucial that strict liability became “accountability”, as a preemptive remedy. not only rules, but “digital due procedure” as well to avoid data tracing and data scraping. It is crucial the time of regulations: the technology is faster than law. the regulation follows a risk-base approach differentiating between uses of AI that create: a) an unacceptable risk; b) a high risk; c) Low or minimal risk. the list of prohibited practices in title II comprises all those AI systems whose use is considered unacceptable as contravening union values, for instance by violating fundamental rights. the prohibitions covers practices that have a significant potential to manipulate persons through subliminal techniques beyond their consciousness or exploit vulnerabilities of specific vulnerable groups such as children or person with disabilities in order to materially distort their behaviour in a manner that is likely to cause them or another per- son psychological or physical harm. the brain enhancement, neurolaw, be- cause in this case algorithm is not a mere tool, but can change human behavior. other manipulative or exploitative practices affecting adults that might be facilitated by AI systems could be covered by existing data protection, consumer protection and digital service legislation that guarantee that natural person are properly informed and have free choise not to be subject to profiling or other practices that might affect their behavoiur. the proposal also prohibits Aibased social scoring for general purposes done by public authorities. Finally, the use of “real time” remote biometric identification systems in publicly accessible spaces for the purpose of law enforcement is also prohibited unless certain limited exceptions apply. rASSegnA AVVoCAturA deLLo StAto -n. 1/2023 Fundamental rights the use of AI with its specific characteristics (e.g. opacity, complexity, dependency on data, autonomous behaviour) can adversely affect a number of fundamental rights enshrined in the eu Charter of Fundamental rights (“the Charter”). this proposal seeks to ensure a high level of protection for those fundamental rights and aims to address various sources of risks through a clearly defined risk-based approach. With a set of requirements for trustworthy AI and proportionate obligations on all value chain participants, the proposal will enhance and promote the protection of the rights protected by the Charter: the right to human dignity (Article 1), respect for private life and protection of personal data (Article 7 and 8), non-discrimination (Art. 21) and equality between women and men (Art. 23). It aims to prevent a chilling effect on the rights to freedom of expression (Art. 11) and freedom of assembly (Art. 12) to ensure protection pf the right to an effective remedy and to a fair trial, the rights of defence and the presumption of innocence (Artt. 47 and 48) as well as the general principle of good administration. Furthermore, as applicable in certain domains, the proposal will positively affect the rights of a number of special groups, such as the workers’rights to fair and just working conditions (Art. 31), a high level of consumer protection (Art. 28), the rights of the child (Art. 24) and the integration of persons with disabilities (Art. 26). the right to a high level of environmental protection and the improvement of the quality of the environment (Art. 37) is also relevant, including in relation to the health and safety of people. the obligations for ex ante testing, risk management and human oversight will also facilitate the respect of other fundamental rights by minimising the risk of erroneous or biased AI-assisted decisions in critical areas such as education and training, employment, important services, law enforcement and the judiciary. In case infringements of fundamental rights still happen, effective redress for affected persons will be made possible by ensuring transparency and traceability of the AI systems coupled with strong ex post controls. this proposal imposes some restrictions on the freedom to conduct business (Art. 16) and the freedom of art and science (Art. 13) to ensure compliance with overriding reasons of public interest such as health, safety, consumer protection and the protection of other fundamental rights (“responsible innovation”) when high-risk AI technology is developed and used. those restrictions are proportionate and limited to the minimum necessary to prevent and mitigate serious safety risks and likely infringements of fundamental rights. the increased transparency obligations will also not disproportionately affect the right to protection of intellectual property (Art. 17), since they will be limited only to the minimum necessary information for individuals to exer LegISLAzIone ed AttuALItà cise their right to an effective remedy and to the necessary transparency towards supervision and enforcement authorities, in line with their mandates. Any disclosure of information will be carried out in compliance with relevant legislation in the field, including directive 2016/943 on the protection of undisclosed know-how and business information (trade secrets) against their unlawful acquisition, use and disclosure. When public authorities and notified bodies need to be given access to confidential information or source code to examine compliance with substantial obligations, they are placed under binding confidentiality obligations. What exactly are the dangers posed by AI? Italian case of Chat gPt: on March 31 Italian Authority has stopped it to not respect privacy law and gdPr, after there is a agreement for implementation of precautional measures to protect personal data. Italy’data regulator issued a temporary emercency decision, demanding openAI stop using the personal information of millions of Italians that’s included in its training data. According to regulator, openAI doesn’t have the legal right to use people’s personal information in Chatgpt. In response, openAI has stopped people in Italy from accessing its chatbot while it provides responses to the officials, who are investigating further. the action is the first taken against ChatgPt by a western regulator and highlights privacy tensions around the creation of giant generative AI models, which are often trained on vast swathes of internet data. Just as artists and media companies have complained that generative AI developers have used their work without permission, the data regulator is now saying the same for people’s personal information. Similar decisions could follow all across europe. In the days since Italy announced its probe, data regulators in France, germany and Ireland have contacted the garante to ask for more information on its findings. “If the business model has just been to scrape the internet for whatever you could find, then there might be a really significant issue here”, says tobias Judin, the head of international at norway’s data protection authority, which is monitoring developments. Judin adds that if a model is built on data that may be unlawfully collected, it raises questions about whether anyone can use the tools legally. europe’s gdPr rules, which cover the way organizations collect, store and use people’s personal data, protect the data of more than 400 million people across the continent. this personal data can be anything from a person’s name to their IP address -if it can be used to identify someone, it can count as their personal information. unlike the patchwork of state-level privacy rules in the united States, gdPr’s protections apply if people’s information is freely available online. rASSegnA AVVoCAturA deLLo StAto -n. 1/2023 In short: Just because someone’s information is public doesn’t mean you can vacuum it up and do anything you want with it. Italy’s garante believes ChatgPt has four problems under gdPr: 1) openAI doesn’t have age controls to stop people of 13 from using the text generation system; 2) it can provide information about people that isn’t accurate; 3) and people haven’t been told their data was collected. Perhaps most importantly, its fourth argument claims there is “no legal basis” for collecting people’s personal information in the massive swells of data used to train ChatgPt. “the Italians have called their bluff”, says Lilian edwards, a professor of law, innovation and society at a newcastle university in the uK. “It did seem pretty evident in the eu that was a breach of data protection law”. broadly speaking, for a company to collect and use peple’s information under gdPr, they must rely on one of six legal justifications, ranging from someone giving their permission to the information being required as a part of a contract. In this instance , there are essentially two options: getting people’s consent -which openAI didn’t do -or arguing it has “legitimate interests” to use people’s data, which is very hard to do. this defense is “inadequate”. openAI’s privacy policy doesn’t directly mention its legal reasons for using people’s personal information in training data, but says it relies upon “legitimate interests” when it “develops” its services. the Federal trade Commission should open an investigation and order openAI to halt the release of gPt models until necessary safeguards are established. these safeguards should be based on the guidance for AI products the FtC has previously established and emerging norms for the governance of AI. Marc rorenberg and Merve hickok reminded the Commission that they previously declared that AI products should be “transparent, explainable, fair and empirically sound while fostering accountability”. on April 4, 2023 President biden, meeting with his top science advisors, explained the need to address the potential risks of AI to society, economy and national security. he called for “responsible innovation and appropriate guardrails to protect america’s rights and safety, and protecting their privacy, and to address the bias and disinformation”. he said “tech companies have a responsibility to make sure their products are safe before making them public”. A recent letter calling for a moratorium on AI development blends real threats with speculation. but concern is growing among experts. In late March, more than 1,000 technology leaders, researchers and other pundits working in and around artificial intelligence signed an open letter warning that AI technologies present “profound risks to society and humanity”. LegISLAzIone ed AttuALItà the group, which included elon Musk, tesla’s chief executive and the owner of twitter, urged AI labs to halt development of their most powerful systems for six months so that they could better understand the dangers behind the technology. “Powerful AI systems should be developed only once we are confident that their effects will be positive and their risks will be manageable”, the letter said. the letter, with now has over 27,000 signatures, was brief. Its language was broad. the letter represented a growing concern among AI experts that the latest systems, most notably gPt-4, the technology introduced by the San Francisco start-up open AI, could cause harm to society. they believed future systems will be even more dangerous. Some of the risks have arrived. others will not for months or years. Still others are purely hypothetical. “our ability to understand what could go wrong with very powerful AI systems is very weak”, said Yoshua bengio, a professor and AI researcher at the university of Montreal . “So we need to be very careful”. Why are they worried? dr. bengio is perhaps the most important person to have signed the letter. Working with two other academics -geoffrey hinton, until recently a researcher at google and Yann LeCun, now chief AI scientist at Meta, the owner of Facebook -dr. bengio spent the past four decades developing the technology that drives systems like gPt-4. In 2018, the researchers received the turing Award, often called “the nobel Prize of computing”, for their work on neural networks (brain imaging and brain enhancement) . A neural network is a mathematical system that learns skills analyzing data. About five years ago, companies like google, Microsoft and open AI began building neural networks that learned from huge amounts of digital text called large language models or L.L.M.s. by pinpointing patterns in that text, L.L.M.s. learn to generate text on their own, including blog posts, poems and computer programs. they can even carry on a conversation. this technology can help computer programmers, writers and other workers generate ideas and do things more quickly. but dr. bengio and other experts also warned that L.L.M.s can learn unwanted and unexpected behavoiurs. these systems can generate untruthful, biased and otherwise toxic information. Systems like gPt-4 get fact wrong and make up information, pollution information , “filter bubbles” a phenomenon called “hallucination”. Companies are working on these problems. but experts like dr. bengio worry that as researchers make these systems more powerful, they will introduce new risks. rASSegnA AVVoCAturA deLLo StAto -n. 1/2023 short-term Risk: disinformation because these systems deliver information with what seems like complete confidence, it can be a struggle to separate truth from fiction when using them. experts are concerned that people will rely on these systems for medical ad- vice, emotional support and the raw information they use to make decisions. “There is no guarantee that these systems will be correct on any task you give them”, said Subbarao Kambhampati, a professor of computer science at Arizona State university. experts are also worried that people will misuse these systems to spread disinformation. because they can converse in humanlike ways, they can be surprisingly persuasive. “We now have systems that can interact with us through natural language processing and we can’t distinguish the real from the fake”, dr. bengio said. Medium-term Risk; Job loss. experts are worried that the new AI could be job killers. right now, technologies like gPt-4 tend to complement human workers. but open AI acknowledges that they could replace some workers, including people who moderate content on the internet. they cannot yet duplicate the work of lawyers, accountants or doctors. but they could replace paralegals, personal assistant and traslators. A paper written by open AI researchers estimated that 80 percent of the uS work force could have at least 10 percent of their work tasks affected by LLMs and that 19 percent of workers might see at least 50 percent of their tasks impacted. Long-term Risk: Loss of Control Some people who signed the letter also believe artificial intelligence could slip outside our control or destroy humanity. but many experts say that is wildly overblown. the letter was written by a group from the Future of Life Institute, an organization dedicated to exploring existential risk to humanity. they warn that because AI systems often learn unexpected behaboiur from the vast amounts of data they analyze, they could pose serious , unexpected problems. they worry that as companies plug LLMs into other internet services, these systems could gain unanticipated powers, because they could write their own computer code. they say developers will create new risks if they allow powerful aI systems to run their own code. “If you look at a straightforward extrapolation of where we are now to three years from now, things are pretty weird”, said Anthony Aguirre, a theoretical cosmologist and physicist at the university of California, Santa Cruz and co-founder of the Future of Life Institute. “If you take a less probable scenario-where things really take off, where LegISLAzIone ed AttuALItà there is no real governance, where these systems turn out to be more powerful than we thought they would be-then things get really, really crazy” he said. dr. etzioni said talk of existential risk was hypothetical. but he said other risks-most notably disinformation- were no longer speculation. “Now we have some real problems”, he said. “They are bona fide. they require some responsible reaction. they may require regulation and legislation. this is the problem: which type of regulation? self-regulation, coregulation, etero-regulation with a strong public control? Functional or structural regulation based on the purpose of benefit? gdPR is not enough today to regulate the complexity of aI, “spontanesus intelligence” out of human control. It is important to introduce sandbox method regulation with empiric approach to achieve flexible regulation called “future proof”. not stopping technologic progress, but it is important to introduce adequate regulation. on 18th April in Spain it is created eCAt european Centre Alghoritm transparency to control enforcement of rules digital Services Act. but there are others important problems that needs a solution: 1) the problem of relation between europe and uSA: Shrems Case. 2) the problem of governance, compliance, execution, inspection and public- private enforcement. 3) the problem of one Stop Shop and consistency cooperation and amicable settlement. 4) the problems of liability of gatekeepers and “notice and take down” in three different activities: mere conduit, caching, hosting. 5) the problem of validation and certification of AI devices. the Proposal for a directive of the european Parliament and of Council an adapting non-contractual civil liability rules to artificial intelligence (aI Liability directive) Brussels, 28 september 2022 is important to consider the impact assessment on the initiative on civil liability for damages caused by AI. AlthoughAI-enabled products/services are expected to be safer than traditional ones, accident will still occur. Current liability rules, in particular national rules based on fault, are not adapted to handle compensation claims for harm caused by AI-enabled product/services. under such rules, victims need to prove a wrongful action/omission of a person that caused the damage. the specific characteristics of AI , including autonomy and opacity (the so-called “black box” effect) make it difficult or prohibitively expensive to identify the liable person and prove the requirements for a successful liability claim. the Commission wants to avoid that victims of harm caused by AI, eg citizens, rASSegnA AVVoCAturA deLLo StAto -n. 1/2023 business, are less protected than victims of traditional technologies. Such lack of compensation can affect their trust in AI and ultimately the uptake of AI enabled products/services. It is uncertain how national liability rules can be applied to the specificities of AI. In addition, faced with a result, which is unjust for the victim, courts may apply existing rules on an ad hoc basis in a way to come to a just result. this will cause legal uncertainty. As a result, business will have difficulties to predict how the existing liability rules will be applied in case damage occurs. they will thus have difficulties to assess and insure their liability exposure. this impact is magnified in case of businesses active across borders as the uncertainty will cover different jurisdictions. It is also expected that, if the eu does not act, Member States will adapt their national liability rules to the challenges of AI. this will result in further fragmentation and increase costs for businesses active across borders. the initiative delivers on the Commission’s priority for the digital transition. the overarching objective is to promote the rollout of trustworthy AI to harvest the full benefits of AI. therefore the AI White Paper aims at creating an ecosystem of trust to promote the uptake of AI. the liability initiative is the necessary corollary of safety rules adapted to AI and complements thus the AI Act. the AI initiative will: -ensure that victims ofAI-enabled product/services are equally protected as victims of traditional technologies. -reduce legal uncertainty regarding the liability exposure of business developing or using AI. -Prevent the emergence of fragmented AI-specific adaptations of national civil liability-rules. the proposal has three important items: 1) to alleviate the burden of proof; 2) Minimum harmonisation of strict liability; 3) Mandatory insurance is needed as well. LegISLAzIone ed AttuALItà the fundamental rights of the person in the digital horizon. Law and technology: a possible combination? Gaetana Natale* “magna pars est profectus velle proficere” Lucius Annaeus Seneca the challenges thrown down by unstoppable scientific and technical progress engage every branch of knowledge, especially the law, which is responsible for the inalienable functions of regulation and protection. Specifically, legal systems that give a central role to the person and his dignity are called upon to meet two opposing requirements: on the one hand, to ensure the protection of fundamental rights, and on the other, to allow the development of technology and science (1). In this regard, the european economic and Social Committee has identified privacy (2) as one of the eleven areas destined to be changed/deleted using artificial intelligence. the possibility of monitoring tastes, preferences or habits, of controlling a person's movements, and even of learning about the most intimate aspects of his or her private life (3), makes it imperative to devise instruments that give the holder a power of control over his or her data. thus, it is undeniable that the legal horizon of the digital revolution opens new scenarios in terms of fundamental rights, destined to change depending on the frame of reference. Indeed, as far as the right to privacy is concerned, it is now anachronistic to identify it with the absolute right to privacy (“right to be let alone”) (4), meant as a categorical prohibition to (*) Avvocato dello Stato, dottore di ricerca in Comparazione e diritto civile, Consigliere giuridico del garante per la tutela dei dati personali. Il presente articolo è la relazione presentata dall’autrice nel corso dell’incontro di studio tenutosi presso l’avvocatura Generale dello Stato in data 7 giugno 2023 con la Loyola University di Chicago. (1) Consider the Italian legal system, in which the rights of the human person are defined as inviolable by article 2 of the Constitution, qualified as a general clause for the protection of the person and his or her interests. given their universality, they find expression in important international and eu documents, such as the universal declaration of human rights (1950) and the nice Charter (2000), in which the protection of man and his dignity, operates expressly as a limit both with regard to those who hold power and with regard to relations between private individuals. P. StAnzIone, manuale di diritto privato, turin, 2021. (2) CeSe, document C-288, 31 August 2017. “AI poses challenges for society”: ethics; security; privacy; transparency and accountability; labour; education and skills; (dis)equality and inclusivity; legislative and regulatory arrangements; governance and democracy; warfare; superintelligence. (3) hence the gradual emergence of a tendency towards a surveilled society where all the social relations that take place online are naturally traceable. S. zuboFF, Surveillance Capitalism. The future of humanity in the age of new powers, rome, 2019. (4) S. WArren, L. brAndeIS, The right to privacy, in Harvard Law review, 5, 1890. rASSegnA AVVoCAturA deLLo StAto -n. 1/2023 collect information, since now data is an unavoidable component of social life. on the contrary, it should be declined in terms of the right to procedural lordship, i.e. as the possibility to directly control the way information is collected and circulated, as well as the right to interrupt the processing if the person considers that it is damaging to his or her interests (“right to exit”). Moreover, it goes without saying that the relationship between rights and new technologies is of constant complementarity and integration. In the view of the multidisciplinary nature of subject, after briefly outlining the state of the art, and analysing the main regulatory sources in the eu sphere, we will dwell on the main critical issues related to the use of artificial intelligence for the fundamental rights of the person, not without attempting to outline methods and tools useful in regulating the complex and constantly evolving relationship between man and machine. Technical hints: aI and big data. Prodromal to all questions concerning the new technologies’ legal aspects is the understanding - at least in broad terms - of the phenomenon. defining the technology that is looming on the horizon, is already a difficult operation in itself for the jurist, first of all because he is a neophyte in the technological field, and then for the presence of a mare magnum of notions. usually the definition of A.I. refers to the idea of human intelligence, which includes the ability to learn and extract, to reason and use language, to predict, to decide with varying degrees of autonomy (5). In fact, already in 1950, Alan turing, considered the founding father of computer science, stated “the idea behind digital computers may be explained by saying that these machines are intended to carry out any operations which could be done by a human computer” (6). In other words, if the process is qualified as intelligent when performed by a human being, then it can also be qualified as intelligent when performed by a machine. on the regulatory level, however, we would like to point out the formula contained in Article 3 no. 1 of the european Commission’s proposal for a regulation on artificial intelligence, whereby “artificial intelligence system means software that is developed with one or more of the techniques and approaches listed in Annex I and can, for a given set of human-defined objectives, generate outputs such as content, predictions, recommendations, or decisions influencing the environments they interact with” (7). (5) thus b. MArChettI, voice Digital administration, in Enciclopedia del diritto, Milan, 2022. (6) A. turIng, Computering machinery and intelligence, in 59 mind, 1950, 436. (7) Proposal for a regulation of the european Parliament and of the Council laying down harmonised rules on artificial intelligence and amending certain union legislative acts, 21 April 2021, CoM (2021) 206 final, available online at the following link: https://eur-lex.europa.eu/legalcontent/ IT/TXT/?uri=CELEX%3a52021PC0206. For a more precise definition see the one formulated LegISLAzIone ed AttuALItà With regard to operation, these machines are based on algorithms, i.e. ordered sequences of actions that, given certain input data (input), arrive at producing the desired end result (output), which constitutes the solution to the problem for which the algorithm was constructed. While this statement can be applied to any intelligent system, the phenomenon, as mentioned earlier, must necessarily be understood in plural terms, moving from the simplest expert systems, to gradually more refined devices, even capable of autonomous learning. In more detail, the following classifications are proposed (8): a) model-based algorithms: they work according to hard rules, i.e. defined and unambiguous instructions provided by experts in a given field which, when executed, lead to a certain and defined result; b) machine learning (ML) algorithms: starting from structured and categorised data, the systems learn how to classify new data according to type; they are optimised by human feedback, which indicates incorrect and correct classifications; c) deep learning (dL) algorithms: like the former are characterised by the ability to learn autonomously from experience and to develop their own logic to arrive at the final result, but by exploiting neural networks they are able to process unstructured data. unlike the latter, training by a developer is not necessary. briefly, there are at least two critical issues that the most sophisticated algorithms present, which are relevant from both an engineering and a legal point of view. the first, located in the learning phase, concerns the large amount of data (big data) required for the machines to provide reliable results (at least 100 million data points for dL systems). the second relates to its defect of explainability, since it is not possible to know the process by which the system, given certain inputs, arrives at certain outputs (black boxes) (9). Indeed, once the training phase is over, the algorithm develops, with experience, autonomous decision logics, which the programmer is neither able to predetermine or predict. It should not be forgotten that such results may be correct, incorrect and even discriminatory (bias). hence the well-known difficulty of using these intelligent systems to assist or even replace humans in public decision-making processes, considering the high level of guarantees provided by national legal systems and european and international law (10). by the high Level expert group on Artificial Intelligence appointed by the european Commission in the document on a definition of aI: main Capabilities and Disciplines, brussels, April 2019, available at the following link: https://digital-strategy.ec.europa.eu/en/library/definition-artificial-intelligencemain- capabilities-and-scientific-disciplines. (8) https://www.ionos.com/digitalguide/online-marketing/search-engine-marketing/deeplearning- vs-machine-learning/. (9) For all, compare F. PASQuALe, The black box society, 2016. rASSegnA AVVoCAturA deLLo StAto -n. 1/2023 Legal aspects: data protection in the system of international and Community law sources. It emerged from this concise discussion that in the age of artificial intelligence, data are essential resources for economic, social and technological development, representing the raw material on which technology feeds (11). In this regard, the economist reported: “data will be (and perhaps already are) the oil of the future” (12). this statement aptly describes the phenomenon if one considers that the predictive capacity of algorithms, besides being used to pursue general interests, can also be employed to maximise the profit of private powers. In concrete terms, these machines predict consumption and market trends, the wear and tear of infrastructures, diagnoses and cures, disasters and political decisions, even electoral results. of course, there is often a cost to this: economic exploitation and commodification of personal data. this mechanism needs to be regulated, as data is not just an input, from which a machine proceeds to arrive at a certain result, but encompasses a universe of information of an individual's life, which it detects as an object to be protected. the protection of personal data is first and foremost a principle that has multiple normative foundations in international, supranational and domestic law. Proceeding by hierarchy, significant is the wording of Article 8 of the european Convention on human rights (eChr), which, in recognising the right of every person to respect for his or her private and family life, home and correspondence, represents the parameter on the basis of which the Strasbourg Court ascertains possible violations of the right to privacy (13). other normative references are Article 12 of the universal declaration of human rights, which states: “no one shall be subjected to arbitrary interference with his privacy, family, home or correspondence, nor to attacks upon his honour and reputation. everyone has the right to the protection of the law against such interference or attacks” and Article 17 of the International Covenant on Civil and Political rights, which incorporates it verbatim. (10) on this subject the literature is endless. Ex plurimis, e. PICozzA, artificial intelligence and law. Politica, diritto amministrativo, and artificial intelligence, in Giur. It., 2019, no. 7; C. CASonAto, Costituzione e intelligenza artificiale: un’agenda per il prossimo futuro, in Biolaw Journal, 2019, no. 2; F. donAtI, Intelligenza artificiale e giustizia, in riv. aIC, 2020, no. 415. (11) M. CASteLLS, The rise of the Network society, oxford, 2000. (12) The world’s most valuable resource is no longer oil but data. The data economy demands a new approach to antitrust rules, in the Economist, 6 May 2017. (13) In Sidabras v. Lithuania, the eChr gave a very broad interpretation of the right to privacy under Article 8 of the eChr. the Strasbourg judges held, in fact, that the protection provided by this article extends to encompass the right of each person to develop social relations free from all forms of discrimination or social stigmatisation, thus also allowing him or her the full enjoyment of his or her private life. the Court, therefore, considered the overall place of the person in society, stating that full respect for privacy is a condition for equality and the enjoyment of fundamental rights, such as the right to work. LegISLAzIone ed AttuALItà the european union, in addition to Article 16 teu, inserts the right to the protection of personal data in Article 8 of the Charter of nice (CdFue), making it a fundamental right that binds not only the eu institutions, but extends to all member states, pursuant to Article 51 of the same Charter. In particular, it represents a specific declination of the right to respect for private and family life referred to in Article 7 of the same document and already provided for in Article 8 of the eChr. Precisely, the provision establishes: “1. everyone has the right to the protection of personal data concerning him or her. 2. Such data shall be processed fairly, for specified purposes and on the basis of the consent of the person concerned or some other legitimate basis laid down by law. every person shall have the right of access to the data collected concerning him or her and the right to have them rectified. 3. Compliance with these rules shall be subject to control by an independent authority”. What emerges from all these sources is a common conception of privacy that does not coincide with the traditional concept of the right to anonymity or to be let alone, but rather with the idea that everyone should have the right to control his or her own personal information, as a prerequisite for the exercise of many other rights of freedom, especially of a cyber nature (14). the european union, in its aim to assert a european “digital sovereignty”, envisages the construction of a majestic regulatory framework, essentially based on four pillars: a) protection and enhancement of personal data: the former covered by regulation (eu) 2016/679 “on the protection of individuals with regard to the processing of personal data and on the free movement of such data” (better known as gdPr); the latter by the Data act, the Data Governance act and the proposed regulation on the european health data space; b) digital services and the digital market: the subject of the digital Services act and the Digital markets act; c) digital identity: the 2014 e-IdAS regulation is to be revised in this respect; d) Artificial Intelligence: a proposal for a european regulation laying down harmonised rules on artificial intelligence (Artificial Intelligence Act) (14) reference is made to the doctrine of cyber-freedom, a theory that was put forward in 1981 and had its ideological matrix in the conception of a new liberalism. It was originally distinguished into positive and negative freedom. negative freedom of information technology expresses “the right not to place in the public domain certain information of a personal, private, confidential nature (qualifications that may not coincide with each other in certain cases); positive freedom of information technology, on the other hand, expresses the faculty to exercise a right of control over data concerning one's own person that have escaped the circle of privacy because they have become input elements of an electronic programme; and therefore positive freedom of information technology, or the recognised subjective right, to know, correct, remove or add data in an electronic personal file”. thus V. FroSInI, La protezione della riservatezza nella società informatica, in n. MAtteuCCi (ed.), Privacy and data banks, bologna, 1981, 37 ff. (later included in vol. Id., Informatica diritto e società, 2nd ed., Milan 1992, 173 ff.). rASSegnA AVVoCAturA deLLo StAto -n. 1/2023 and amending certain pieces of union legislation is in the process of being adopted. The GDPr: regulation (EU) 2016/679. In order to understand the transformation of privacy in the age of AI, it is necessary to start by analysing the gdPr regulation (15). According to Article 2, it also applies to the processing of personal data carried out in whole or in part by artificial intelligence (16). Article 1, in defining object and pur- pose, states: “this regulation lays down rules relating to the protection of individuals with regard to the processing of personal data, and rules relating to the free movement of such data”. Already the first provision shows how the right to privacy is not protected absolutely, but must be combined with the need for free movement of data. Indeed, the purpose of the regulation is not only to guarantee the protection of personal data, but also to promote the development of the digital Single Market (17). to increase citizens' trust in the use of new digital services, a trustworthy digital environment must be created, in which the identity of the data controller, the procedures and the levels of protection are known. the regulation focuses on the principles of accountability and compliance, as set out in Article 5(2) (“the controller shall be responsible for, and be able to demonstrate compliance with, paragraph 1 (“accountability”)”). these are primarily incumbent on the data controller, who is called upon to choose the most appropriate measures to prevent risks, to take the necessary decisions and to prove that they are adequate, on pain of liability under Article 24. the gdPr’s approach is based on risk assessment (risk based), a para- meter against which the degree of accountability of the data controller or processor is measured. obviously, the controller is bound by specific principles set out in the regulation: in particular, privacy by design and by default and Data Protection Impact assessment. the principle of privacy by design, referred to in Article 25(1) of regulation (eu) 2016/679, provides that, taking into account the state of the art and the costs of implementation, as well as the nature, scope, context and purposes of the processing, as well as the risks (15) https://protezionedatipersonali.it/privacy-by-design-e-by-default. (16) Art. 2 “Material scope” “this regulation applies to the processing of personal data wholly or partly by automated means and to the processing other than by automated means of personal data which form part of a filing system or are intended to form part of a filing system”. See g. FInoCChIAro, XVIII lezione: intelligenza artificiale, privacy e data protection, in u. ruFFoLo (ed.), XXVI Lezioni di diritto dell'intelligenza artificiale, turin, 2021, 331 ff. (17) recital 7 “those developments require a strong and more coherent data protection framework in the union, backed by strong enforcement, given the importance of creating the trust that will allow the digital economy to develop across the internal market. natural persons should have control of their own personal data. Legal and practical certainty for natural persons, economic operators and public authorities should be enhanced”. LegISLAzIone ed AttuALItà having different probability and severity for the rights and freedoms of natural persons constituted by the processing, the controller must implement, both when determining the means of processing and at the time of the processing itself, “appropriate technical and organisational measures, such as pseudonymisation” (referred to in Art. 4(1)(5)), designed to implement effectively the principles of data protection, such as data minimisation, and to incorporate in the processing the necessary safeguards to meet the requirements of the regulation and to protect the rights of data subjects. Linked to this criterion is the principle of privacy by default, which is enshrined in the second paragraph of Article 25 of regulation (eu) 2016/679: the data controller must implement “appropriate technical and organisational measures to ensure that only the personal data necessary for each specific purpose of the processing are processed by default”. the individual is protected in a strengthened way since the provision establishes access to an indefinite number of natural persons by machines (without the intervention of the natural person) and provides that the obligation is calibrated on aspects such as the amount of data, the scope of processing, the retention period and accessibility. Also interesting is Article 35 of reg. (eu) 2016/679, concerning the so-called Data Protection Impact assessment: when a type of processing, involving in particular the use of new technologies, taking into account the nature, subject matter, context and purpose of the processing, may present a high risk for the rights and freedoms of natural persons, the data controller shall carry out, before processing, “an assessment of the impact of the intended processing on the protection of personal data” (18). despite its complexity -173 recitals and 99 articles -and its proactive and flexible approach to the subject of personal data protection, the gdPr cannot be considered a self-sufficient and immutable body of legislation. the drafters themselves are aware of these qualities, and in Articles 12(8) and 43 (8) they empower the european Commission to adopt delegated acts and implementing acts to lay down technical standards concerning certification mechanisms and data protection seals and marks, and delegate to the Member States the adoption of more specific rules to adapt the application of the regulation. Furthermore, Article 97 provides for a review of the gdPr every four years, allowing the Commission the possibility of proposing amendments to the regulation, taking into account “in particular developments in information technology and progress in the information society”. Proposed regulation on aI. As much as the tools and principles provided by the gdPr lend them (18) https://protezionedatipersonali.it/privacy-by-design-e-by-default. rASSegnA AVVoCAturA deLLo StAto -n. 1/2023 selves to extensive application in today's “data-driven society”, there is an urgent need to develop models for regulating new technologies. Self-regulation? homogenous or sector-specific regulation? Whereas in the united States there has been a move towards a self-regulatory model, while in China there has been specific and detailed regulation, the european legislator has opted for a horizontal approach, with rules applicable to each sector (health, financial, etc.). the proposal for a regulation of the european Parliament and of the Council laying down harmonised rules on artificial intelligence (Artificial Intelligence Act) aims to ensure that AI systems placed on the eu market are safe and ethical, comply with existing fundamental rights legislation, and respect eu values through a proportionate risk-based approach. AI systems are classified according to the risk they present into three categories: a) AI with unacceptable risk; b) AI with high risk; c) AI with low or minimal risk. Firstly, systems that present an unacceptable risk are banned. these include “real-time” remote biometric identification systems in publicly accessible spaces (19). Instead, for low-risk AI systems, certain transparency obligations are laid down and codes of conduct are encouraged. For instance, for AI systems intended to interact with individuals, it is required that they must be informed of the interaction with an AI system; for so-called “deep fake”, systems that generate or manipulate images or audio or video content that closely resemble existing persons, objects, places or other entities or events and that could appear falsely authentic or true, it is required that users disclose that the content has been artificially generated or manipulated. Finally, the obligations for the adoption of high-risk AI systems are listed in detail. In particular, it is stipulated that such systems are subject to an ex ante conformity assessment procedure, which concludes with the affixing of the Ce mark. In addition, high-risk AI systems must be designed and developed in such a way to guarantee, by means of automatic event logging and throughout their life cycle, the traceability of their operation, which must be sufficiently transparent to enable users to interpret their output and use it appropriately. It is clear that the proposed new regulation borrows its main axes from the gdPr: from the risk-based approach, to the duties of transparency towards users, to certifications and codes of conduct. Furthermore, the unavoidable incidence point for both subjects is not marginal: the processing of personal data is functional to feeding artificial intelligence systems with a view to their automatic learning. It is evident, therefore, how errors or mistakes in the processing of data functional to the feeding of the machine are reflected in as many (19) this is the only system whose prohibition has exceptions, pursuant to Article 9 of the gdPr, in cases of searching for victims of crime, threats to life or terrorist acts, or searching for persons guilty of serious criminal offences. In these cases, the use of the system may be permitted, subject to authorisation by a judicial authority or independent administrative authority. LegISLAzIone ed AttuALItà distortions of the algorithmic process (20). So there is an objective need to avoid the emergence of antinomies between the different disciplines mentioned, in order to make the regulation of the matter as a whole more organic and effective. Law and technology: a possible combination? In a climate of general mistrust towards technological and scientific progress, the european union's attempt to regulate the artificial intelligence phenomenon is certainly to be welcomed, although aware that the speed at which artificial intelligence is progressing and the complexity of the issues carries the risk of making any regulation immediately obsolete. If law and technology travel at two different speeds, perhaps it would be appropriate to adapt legal instruments to the speed of the latter? Perhaps by opting for soft law instruments rather than hard law ones? Perhaps by preferring general rather than detailed legislation? one thing is certain: the transnationality of the phenomenon requires that all questions will be answered at a global level. (20) C. utz et al., (Un)informed Consent: Studying GDPr Consent Notices in the Field, in aCm SIGSaC Conference on Computer and Communications Security, november 11-15, 2019, London, united Kingdom, ACM, new York, nY, uSA. rASSegnA AVVoCAturA deLLo StAto -n. 1/2023 amministrare per processi. Il PnRR, il PIao e il Business Process Reengineering nelle Pubbliche amministrazioni: un’occasione da non perdere Antonino Ripepi* SommarIo: 1. La reingegnerizzazione dei processi nelle Pubbliche amministrazioni: lineamenti teorici -2. Non solo teoria del management pubblico: il CCNL 31 marzo 1999 e l’introduzione di sistemi premianti -3. BPr e amministrazioni. Il ruolo del dirigente -4. Il trust management -5. Un’occasione da non perdere per la reingegnerizzazione dei processi: il PNrr e il PIao - 6. Conclusioni. 1. La reingegnerizzazione dei processi nelle Pubbliche amministrazioni: lineamenti teorici. L’art. 6 d.Lgs. n. 165/2001 stabilisce che, nelle amministrazioni pubbliche, l’organizzazione e la disciplina degli uffici, nonché la consistenza e la variazione delle dotazioni organiche, siano determinate sulla base della verifica dei fabbisogni effettivi e in funzione delle finalità di accrescimento dell’efficienza, della razionalizzazione del costo del lavoro, del contenimento della spesa complessiva per il personale e della migliore utilizzazione delle risorse umane. La ridefinizione degli uffici e delle dotazioni organiche deve essere valutata periodicamente e comunque a scadenza triennale, nonché, ove risulti necessario, a seguito di riordino, fusione, trasformazione o trasferimento di funzioni, adottando allo scopo gli atti previsti dal proprio ordinamento e, nel caso di variazioni alle dotazioni organiche già determinate, con l’approvazione dell’organo di vertice di ciascun ente. La riorganizzazione in esame deve avvenire in coerenza con la programmazione triennale del fabbisogno di personale e con gli strumenti di programmazione economico-finanziaria pluriennale. In questo contesto sistematico, le Pubbliche Amministrazioni moderne, anche a seguito della diffusione delle dottrine del management pubblico a far data dagli anni ’80 del secolo scorso, si indirizzano sempre più verso logiche di processo e non di mero procedimento. Infatti, mentre il tradizionale procedimento amministrativo, di cui alla L. n. 241/1990, è prescritto da una norma ed è “preordinato per adempiere schematicamente a una serie di azioni predefinite che obbediscono alla legge” (1), il processo è un concetto di derivazione economico-aziendali(*) Procuratore dello Stato -Avvocatura distrettuale di reggio Calabria, referente distrettuale per la “rassegna dell’Avvocatura dello Stato”. (1) In tali termini, A. LIPPI -M. MorISI, Scienza dell’amministrazione, Il Mulino, 2005, p. 91. gli Autori illustrano ampiamente come il procedimento sia tradizionalmente osservato dalla prospettiva esterna della legge, superiore rispetto agli individui e agli uffici coinvolti nell’azione amministrativa. LegISLAzIone ed AttuALItà stica, “strumento gestionale che dà rilievo alla persona, vista nelle sue relazioni all’interno di un gruppo e in grado di far circolare le informazioni in modo fluido” (2). Il processo, dunque, configura un concetto più ampio rispetto al procedimento amministrativo e alla contigua nozione di “procedura”, la quale condivide con il procedimento l’idea della rigida predeterminazione delle azioni (3). La nozione può essere ulteriormente precisata attraverso la distinzione rispetto al “progetto”: quest’ultimo è un evento produttivo unico, con data di inizio e fine, laddove il processo è un evento ripetitivo e standardizzato, connotato da uno o più fornitori e da uno o più clienti interni alla stessa Amministrazione (4). Attraverso il processo, infatti, si assiste all’inserimento di un input, ossia di un variegato materiale di immissione (politiche pubbliche, finanziamenti, stimoli esterni), all’interno di un processo di attuazione (throughput) (5), che conduce al risultato tangibile e concreto, in termini di atti, servizi, prodotti (6) (output). Proprio in virtù di tali caratteristiche, l’implementazione di una mentalità per processi incide necessariamente sulle strutture dell’organizzazione amministrativa e rende necessario un costante lavoro di sperimentazione di profili organizzativi innovativi e valutazione degli effetti delle novità introdotte in concreto. tradizionalmente, infatti, si tendeva a formalizzare rigidamente la struttura organizzativa in funzione di riduzione dell’incertezza e delle minacce provenienti dal mondo esterno (7). tuttavia, con il passare del tempo, la dottrina di settore ha preso consapevolezza dell’esistenza di strutture di potere infor (2) e. LeonArdI, Disegnare i processi. Il metodo Zoom Up. La persona e il gruppo. La comunicazione interna, FrancoAngeli, 2012, p. 15. L’Autrice evidenzia, altresì, la distinzione tra funzione e processo: mentre la prima è un insieme di uomini e mezzi necessari per lo svolgimento di attività della stessa natura, i processi mettono in relazione funzioni e mezzi di aree diverse per conseguire obiettivi comuni (p. 17). (3) A. LIPPI - M. MorISI, op. cit., p. 92. (4) A. gAndoLFI -F. FrIgo MoSCA -r. bortoLetto, Il process mapping in pratica. Descrivere i processi in modo intuitivo. Individuare le lacune, inefficienze, doppioni. Formalizzare le procedure, FrancoAngeli, 2014, p. 14. (5) A. LIPPI - M. MorISI, op. cit., p. 89. (6) È interessante, peraltro, osservare come non tutti gli studiosi siano concordi circa la completa equiparazione tra P.A. e aziende private, in quanto la prima è preordinata al conseguimento di fini pubblici (ad esempio V. bonAnno e S. FAbIAno, nel corso delle rispettive lezioni tenute al Corso di formazione “Co.A 6 -Sessione ordinaria”). tale non completa equiparabilità rende la “traslazione” delle impostazioni teoriche e dei conseguenti modelli adottati nell’ambito privato particolarmente complessa e oggetto, dunque, di continui approfondimenti. (7) A. CoStAnzo, organizzazione e scienza dell’amministrazione negli enti pubblici con approfondimenti per INPS e enti locali, edizioni eL, p. 11. L’Autore evidenzia come tale antica concezione sia stata scardinata dalla teoria dei sistemi, la quale può “favorire la costituzione di gruppi di lavoro e di linee di processo responsabili di obiettivi consensualmente definiti o comunque condivisi” (p. 12). rASSegnA AVVoCAturA deLLo StAto -n. 1/2023 male affiancate all’organigramma formalizzato (8), connotate da figure quali i leaders, i gatekeepers -ossia detentori di una risorsa pregiata e strategica, usata per accrescere il potere personale -e i relais, coloro che sono in grado di mediare con altre organizzazioni. d’altronde, la coesistenza di ruoli informali e ruoli formalizzati all’interno dei gruppi è stata individuata anche dai sociologi generali (9) e dai sociologi dell’organizzazione (10). ebbene, in una struttura pubblica sempre più caratterizzata da “legami deboli” (11), in cui i rapporti di dipendenza dati dall’autorità si interrompono o funzionano in modo intermittente, una mentalità per processi può condurre al superamento delle rigidità della burocrazia meccanica, caratterizzata da gerarchia, accentramento decisionale, mansioni molto specializzate, strutture “lunghe” e difficoltà comunicative, con tutte le consequenziali inefficienze (12). La logica di processo, infatti, impone di adottare una lean organization, ossia una struttura piatta e flessibile (13), in cui la catena gerarchica si riduce a un rapporto diretto tra vertice decisionale e operatori e i gruppi di lavoro sono polarizzati intorno a singoli progetti, dei quali occorre garantire la qualità, l’efficienza, l’efficacia e la competitività (14). In tali strutture, che la dottrina definisce adhocratiche (15), l’orientamento al prodotto o al servizio finale fa sì che acquisisca rilievo determinante il reticolo di relazioni interpersonali sussistenti tra gli attori coinvolti. gli attori di processo, infatti, devono scambiarsi informazioni e coordinare gli sforzi personali in vista del perseguimento di obiettivi in favore del c.d. cliente di processo (16). 2. Non solo teoria del management pubblico: il CCNL 31 marzo 1999 e l’introduzione di sistemi premianti. d’altronde, l’orientamento alle logiche di processo e al prodotto finale, piuttosto che al mero adempimento e alla logica burocratica, non è rimasto cristallizzato unicamente negli scritti teorici di management citati, ma ha ricevuto consacrazione giuridica nel CCnL 31 marzo 1999. (8) A. LIPPI - M. MorISI, op. cit., p. 48. (9) F. FerrArottI, manuale di sociologia, Laterza editore, 1992, pp. 66 ss. (10) M. CrozIer, Il fenomeno burocratico, Milano, etAS, 1969. (11) espressione di K. WeICK, Educational organizations as loosely coupled systems, in administrative science quarterly, 21, 1976, pp. 1-19. (12) A. LIPPI - M. MorISI, op. cit., p. 58. (13) La dottrina discute anche di “azienda corta”: A. CoStAnzo, op. cit., p. 305. (14) Sono i concetti alla base di Lean management. Cose mai dette, A. PAYAro, esculapio editrice, 2017, pp. 2 ss. (15) Il termine, coniato da A. toFFLer nel suo Future Shock del 1970, è etimologicamente legato all’espressione latina ad hoc e identifica organizzazioni estemporanee, rapsodiche, funzionalizzate a un singolo obiettivo e destinate a sciogliersi dopo il suo raggiungimento. (16) e. LeonArdI, op. cit., p. 33. LegISLAzIone ed AttuALItà esso, infatti, ha inteso superare la vetusta logica del “mansionario”, in virtù della quale il dipendente si limitava allo svolgimento pedissequo di attività specifiche individuate dal contratto di lavoro individuale, peraltro interpretate spesso in modo restrittivo, al fine di ricercare una flessibilità interna del lavoro pubblico. In tale ottica, il CCnL citato ha introdotto quattro ampie categorie professionali, all’interno di ognuna delle quali ha definito delle declaratorie e dei profili professionali, imponendo, peraltro, che lo sviluppo della retribuzione sia correlato alle competenze professionali del lavoratore. Ciò implica “una forte autonomia organizzativa in tema di definizione del sistema dei ruoli professionali e descrizione del contenuto della prestazione lavorativa” (17) e consente l’arricchimento professionale dei lavoratori sia in termini orizzontali, attraverso la definizione di profili che contengano all’interno un’ampia gamma di mansioni tra loro equivalenti, che in termini verticali, individuando percorsi di sviluppo professionale funzionali a premiare il merito. Questa impostazione è stata autorevolmente confermata dalla giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, che ha statuito la correttezza del- l’esercizio del potere privatistico della P.A. nell’esercizio dello ius variandi, purché nell’ambito del profilo professionale esigibile (18). Inoltre, anche l’ArAn, nell’orientamento applicativo CFL95, ha affermato che “3.3. Condizione necessaria e sufficiente affinché le mansioni possano essere considerate equivalenti è la mera previsione in tal senso da parte della contrattazione collettiva (…) 3.4. Tale nozione di equivalenza in senso formale, mutuata dalle diverse norme contrattuali del pubblico impiego, comporta che tutte le mansioni ascrivibili a ciascuna categoria, in quanto professionalmente equivalenti, sono esigibili e l’assegnazione di mansioni equivalenti costituisce atto di esercizio del potere determinativo dell’oggetto del contratto di lavoro” (19) (enfasi aggiunta). Successivamente, l’evoluzione normativa, in sinergia con le disposizioni del CCnL, ha delineato un sistema organizzativo sempre più orientato al risultato, introducendo riconoscimenti e gratificazioni economiche precedute da valutazioni meritocratiche (20) operate, tra l’altro, mediante il paradigma della flessibilità operativa e dell’orientamento alla soddisfazione dell’utenza (17) r. gIoVAnnettI, I profili professionali negli enti locali: un possibile modello di descrizione del lavoro, in https://net.cisl.it/~cisluniversita.lecce/FoV3-0008318B/FoV30006BCFa/Profili%20professionali% 20e%20descrizione%20del%20lavoro.PDF?Plugin=Block, p. 2. (18) Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, 12 febbraio 2021, sent. n. 3666. (19) In https://www.aranagenzia.it/component/content/article/7662-funzioni-locali-emergenzacovid- 19/10878-cfl95.html. (20) M.g. bAgnAto, Il sistema di valutazione della prestazione come leva di sviluppo, in A. PI- StonI (a cura di), Corporate performance management, hoepli, 2009, pp. 178-188. rASSegnA AVVoCAturA deLLo StAto -n. 1/2023 ed affidate ad organi terzi (nuclei/organismi indipendenti di valutazione) nel- l’ambito del sistema di valutazione della performance, introdotto dal d.Lgs. n. 150/2009 e implementato dal d.Lgs. n. 74/2017. tra l’altro, anche gli artt. 14 e 17 funzioni centrali 2019-2021, nonché gli artt. 14 e 15 CCnL funzioni locali 2019-2021 (21), ancorano le progressioni all’interno dell’area e tra le aree alla pregressa valutazione positiva della performance, attribuendo rilevanza, altresì, all’esperienza maturata e alle competenze acquisite a seguito di percorsi formativi. Questo impone il transito da strutture burocratiche e rigide a logiche di processo, non più rinviabili in una Pubblica Amministrazione che voglia definirsi al passo con i tempi. L’organizzazione moderna, infatti, richiede non soltanto una lean production, ma anche flessibilità e integrazione organizzativa, connotata dalla “focalizzazione sulla minimizzazione dello spreco delle risorse produttive di fatica umana” (22), spreco che, invece, rischia di essere favorito da approcci rigidi e poco tesi alla condivisione dell’obiettivo finale. 3. BPr e amministrazioni. Il ruolo del dirigente. Le conseguenze pratiche di tale impostazione teorica devono essere contestualizzate in un assetto magmatico e complesso quale le moderne Amministrazioni, istituzionalmente chiamate a potenziare le proprie capacità progettuali a seguito delle innovazioni del Pnrr e all’organizzazione efficiente delle risorse, umane e strumentali, già in forza all’Amministrazione o di prossima acquisizione. In tale quadro, risulta centrale il ruolo del dirigente (o, negli enti locali, del Segretario comunale e, laddove presente, del city manager), oggi tenuto a recitare non solo il tradizionale ruolo di “garante della legalità”, ma anche appunto -di “facilitatore di processi” (23), esercitando la propria leadership allo scopo di motivare e aggregare gli attori dell’organizzazione comunale intorno ai processi che caratterizzano la vita quotidiana dell’ente. È necessario che si attui nella pratica quotidiana quella che gli studiosi del management pubblico definiscono learning organization, ossia la struttura che “organizza il processo di acquisizione e sviluppo delle competenze, facendolo passare da fatto individuale a fatto collettivo (sistematico) spontaneamente organizzato” (24) (enfasi aggiunta). (21) P. MoneA -g. PIzzIConI (a cura di), Il nuovo CCNL Funzioni locali. Commento alla nuova disciplina per il personale del comparto, Maggioli, 2023. (22) L. CInQuInI -A. QuAgLI, organizzazione snella e apprendimento, in A. CoStAnzo, op. cit., p. 205. (23) g. gAbrIeLLI, Comunicazione organizzativa e vantaggio competitivo, in A. CoStAnzo, op. cit., p. 201. (24) Ibidem. LegISLAzIone ed AttuALItà Il dirigente, infatti, riveste un ruolo strategico nel favorire il c.d. apprendimento organizzativo (25), nel quale le conoscenze non sono gelosamente e rigidamente custodite dai rispettivi detentori, ma circolano in una logica di collaborazione, dialogo e conseguente benessere organizzativo (26), concetto che, lungi dall’essere meramente teorico (27), è stato reso prescrittivo dall’art. 7, c. 1, d.Lgs. n. 165/2001 e ricondotto alla responsabilità del dirigente pubblico (28). Questi, dunque, deve avere la capacità di diagnosticare lo stato dei processi negli enti in cui opera e, in caso di necessità, reingegnerizzare i medesimi. Il riferimento teorico concerne il Business Process reengineering (bPr), ossia l’intervento organizzativo sui processi che non rispondono più alle necessità della struttura (29). Come sopra accennato, costituisce un prius logico rispetto alla reingegnerizzazione dei processi la capacità di analizzare lo stato degli stessi in rapporto alle dotazioni di personale, agli inquadramenti contrattuali dei dipendenti effettivamente in servizio e alle loro effettive attitudini e sfere di conoscenze e competenze, non sempre coerenti rispetto alle attività in concreto loro affidate. Il fine è quello di diagnosticare lo stato dei processi negli enti in cui si opera e, in caso di necessità, adottare i provvedimenti più opportuni e tempestivi per garantire un accettabile standard di erogazione di servizi pubblici tanto in settori di rilievo quotidiano quanto in eventuali nuove attività. La riprogettazione radicale può transitare attraverso varie esperienze, tra cui la concezione delle attività dell’ente in parallelo anziché in sequenza, la ricomposizione di attività frammentate tra più uffici con possibili conflitti di competenza facilmente evitabili, l’eliminazione di attività non produttive di valore pubblico, la categorizzazione e differenziazione dei flussi nei processi (30) e, infine, il Business reengineering, consistente in un “intervento radicale su un flusso di compiti/attività che, ponendo al centro l’esigenza del cliente, (25) S. bArILe -M. CALAbreSe -F. IAndoLo -n. gIudICe, L’apprendimento organizzativo: un’analisi dello sviluppo paradigmatico, in Esperienze d’impresa, n. 1/2013, FrancoAngeli, pp. 131. (26) o. IPPoLItI, Il concetto di salute/benessere organizzativo, in AA.VV., Il benessere, il clima e la cultura delle organizzazioni, 2012, disponibile in https://www.cnr.it/sites/default/files/public/media/benessere- org/Il-benessere-il-clima-e-la-cultura-delle-organizzazioni.pdf, pp. 19 ss. (27) S. gIuFFrIdA, Il concetto di clima organizzativo, in AA.VV., Il benessere, il clima e la cultura delle organizzazioni cit., pp. 31 ss. (28) negli enti locali di piccole dimensioni, invece, ci si dovrebbe riferire ai responsabili di servizio, coordinati dal Segretario comunale. (29) S. FrASCherI, Business Process reengineering, una guida pratica per mappare e reingegnerizzare i processi aziendali, FrancoAngeli, 2020. (30) g. LAzzI, reingegnerizzazione dei processi, Contributo al libro “Sistemi Informativi per la Pubblica amministrazione: tecnologie, metodologie, studi di caso”, 1999, disponibile in https://www.unica.it/UserFiles/File/Direzioni/Diruma/progetto_aurora/Lazzi.pdf, pp. 19-20. rASSegnA AVVoCAturA deLLo StAto -n. 1/2023 corrisponde a un processo aziendale, per poi responsabilizzare uno specifico team su tale processo” (31). 4. Il trust management. Il Business Process reengineering si colloca in un contesto di incertezza, connotato da “non-linearità, discontinuità e … mutevolezza” (32), in cui gli interlocutori con i quali le organizzazioni (non solo pubbliche) devono interagire sono aumentati e i rapporti risultano sempre meno regolamentati da sistemi normativi certi e condivisi e “sempre più lasciati alla capacità degli attori di costruire legami e di esercitare influenze” (33). Per superare l’incertezza, appare indispensabile far leva su una forma di capitale di tipo relazionale (34): la fiducia (35). essa può essere definita alla stregua di un meccanismo di controllo di tipo alternativo alle formalizzazioni legali proprie delle strutture gerarchiche, particolarmente efficace nelle strutture a rete (36), in quanto è moltiplicatore delle alternative possibili (37), consentendo l’apertura verso il nuovo. tra le variabili organizzative che contribuiscono a creare fiducia, nell’ottica del c.d. trust management (38), parte della dottrina ha individuato la cooperazione, intesa quale iniziativa comune per il cui esito sono necessarie le azioni di tutti gli attori coinvolti, e in cui un’azione necessaria di almeno uno di essi non sia controllabile dagli altri (39). Altra variabile è costituita dalla comunicazione, legata alla fiducia in modo bidirezionale nella misura in cui aumenta la qualità e quantità delle interazioni. uno stile comunicativo trasparente, infatti, allinea le percezioni e le aspettative delle parti, riducendo i margini di interpretazione soggettiva e aumentando la probabilità che le attese nei confronti dell’altro siano realistiche e vengano soddisfatte (40). (31) A. CoStAnzo, op. cit., p. 310. (32) F. d’egIdIo, Il capitale umano e il contributo del bilancio dell’intangibile, in r. PAnzArAnI (a cura di), Gestione e sviluppo del capitale umano, FrancoAngeli, 2004, p. 29. (33) M.L. FArneSe -C. bArberI, Costruire fiducia nelle organizzazioni. Una risorsa che genera valore, FrancoAngeli, 2010, p. 71. (34) A. MuttI, Capitale sociale e sviluppo. La fiducia come risorsa, Il Mulino, 1998. (35) e. roCCo FrAenKeL hAeberLe, L’organizzazione della fiducia. Negoziazione e comunicazione mediata da computer, Carocci, 2001. (36) W.e. Creed -r.e. MILeS, Trust in organizations: a conceptual framework linking organizational forms, managerial philosophies, and the opportunity costs of control, in r.M. KrAMer -t.r. tYLer, Trust in organizations: frontiers of theory and research, Sage, thousand oaks, 1996, p. 30. (37) S. CAStALdo, Fiducia e relazioni di mercato, Il Mulino, 2002, p. 40. (38) Id., Trust management, in r. FIoCCA (a cura di), rileggere l’impresa, rizzoli, 2007, pp. 2748. (39) b. WILLIAMS, Strutture formali e realtà sociale, in d. gAMbettA (a cura di), Le strategie della fiducia. Indagini sulla razionalità della cooperazione, einaudi, 1989, p. 10. (40) M.L. FArneSe - C. bArberI, op. cit., pp. 89-90. LegISLAzIone ed AttuALItà La fiducia, a sua volta, influenza positivamente gli aspetti della vita lavorativa che presuppongono reciprocità negli scambi: il grado di impegno manifestato nell’attività lavorativa e la condivisione e sviluppo delle conoscenze. Circa quest’ultimo aspetto, si è scritto che l’apprendimento umano è basato su affermazioni verbali o scritte di altri, e ciò che si apprende è influenzato in modo significativo dal grado in cui si crede alle fonti informative in assenza di un riscontro indipendente (41). Pertanto, senza la fiducia, le iniziative di sviluppo della conoscenza sono destinate a fallire (42). Per tutte queste ragioni, è necessario implementare la fiducia in ambito organizzativo, promuovendo un mercato della conoscenza in cui la fiducia sia visibile, diffusa e la credibilità dell’impegno parta dal vertice, ossia dai livelli superiori di management, definendo norme e valori dell’intera struttura (43) e favorendo processi di condivisione del potere e del controllo attraverso il meccanismo della delega, espressivo di stima e fiducia nei confronti dei collaboratori (44). La fiducia, dunque, diviene competenza organizzativa, ossia la capacità dell’individuo di leggere e decodificare i processi che caratterizzano il contesto nel quale opera e il proprio rapporto con esso, e di comprendere e sottoporre a verificare le strategie che guidano il suo modo di entrare in relazione con il proprio ambiente di interazione (45). 5. Un’occasione da non perdere per la reingegnerizzazione dei processi: il PNrr e il PIao. La crisi pandemica da Covid-19 ha reso evidente la necessità di poter fare affidamento su istituzioni forti e servizi pubblici efficienti, soprattutto a seguito dell’avvento del next generation eu, il quale non dovrebbe risolversi in “un’iniezione di steroidi alla domanda aggregata”, ma dovrebbe costituire “un’occasione per costruire nuove basi di crescita e sviluppo economico e sociale”, attraverso l’elaborazione di un piano di riforme combinato ad un sistema di monitoraggio non più solo finalizzato a certificare la spesa effettuata, ma incentrato sul valore pubblico generato (46). È in questo quadro che si inserisce l’introduzione del Piano Integrato di Attività e di organizzazione (PIAo), da parte dell’art. 6 d.L. 9 giugno (41) J.b. rotter, a new scale for the measurement of interpersonal trust, in Journal of Personality, 35, p. 651. (42) t. dAVenPort -L. PruSAK, Working knowledge: how organizations manage what they know, trad. it. Il sapere al lavoro. Come le aziende possono generare, codificare e trasferire conoscenza, etas, 2000, pp. 43-44. (43) Ibidem. (44) M.L. FArneSe - C. bArberI, op. cit., p. 134. (45) Ivi, p. 136. (46) e. deIddA gAgLIArdo -r. SAPorIto, Il Piao come strumento di programmazione integrata per la creazione di Valore pubblico, in rivista italiana di public management, Vol. 4, n. 2/2021, p. 198. rASSegnA AVVoCAturA deLLo StAto -n. 1/2023 2021, n. 80, conv. in legge 6 agosto 2021, n. 113, quale strumento di pianificazione finalizzato a integrare i singoli strumenti di programmazione previsti dalla normativa previgente in tema di performance, anticorruzione, fabbisogno di personale, digitalizzazione, parità di genere e lavoro agile (47). La cifra comune, nonché la finalità generale prevista dal legislatore, è quella di “assicurare la qualità e la trasparenza dell’attività amministrativa e migliorare la qualità dei servizi ai cittadini e alle imprese e procedere alla costante e progressiva semplificazione e reingegnerizzazione dei processi”, così statuendo un esplicito riferimento alle teorie manageriali precedentemente esaminate (48). In breve, il PIAo non può e non deve trasformarsi in un mero adempimento formale e burocratico, a pena di smarrire la vocazione per la quale è stato introdotto nel nostro ordinamento e tradire le istanze di semplificazione (49), ma deve agire da strumento generatore di valore pubblico. Con tale locuzione, le Linee guida 1/2017 del dipartimento della Funzione Pubblica si riferiscono al livello complessivo di benessere economico, sociale, ambientale e sanitario dei cittadini creato da un ente per il suo pubblico. Secondo uno dei più importanti studiosi della materia, “un ente genera Valore Pubblico atteso pianificando, nella prima sottosezione del PIAo, strategie capaci di produrre impatti sulle diverse dimensioni di benessere di cittadini e imprese, migliorativi rispetto alle condizioni di partenza” (50). La scelta delle strategie deve essere preceduta da un’analisi del contesto esterno e interno all’ente, già ritenuta indispensabile in riferimento alla stesura dei singoli Piani previgenti rispetto al PIAo (con particolare riferimento ai Piani anticorruzione e della performance). Il valore pubblico viene misurato attraverso indicatori di impatto; quelli riferibili al benessere di cittadini e imprese possono essere misurati anche tramite gli indicatori di benessere equo (47) Più analiticamente, risultano coinvolti dal processo riformatore: Piano della Performance (d.Lgs. n. 150/2009); Piano esecutivo di gestione degli enti locali (art. 169 d.Lgs. n. 267/2000); Piano triennale per l’informatica nella P.A. (d.Lgs. n. 82/2005); Piani di razionalizzazione (L. n. 244/2007); Piano triennale delle azioni concrete per l’efficienza delle PP.AA. (L. n. 56/2019); Piani triennali di razionalizzazione e riqualificazione della spesa (d.L. n. 98/2011); Piano triennale per la prevenzione della corruzione e della trasparenza (L. n. 190/2012); Piano triennale dei Fabbisogni (d.Lgs. n. 165/2001); Piano delle Azioni Positive (d.Lgs. n. 198/2006); Piano organizzativo del Lavoro Agile (d.L. n. 34/2020). (48) Sul PIAo in generale si v. A. bIAnCo, PIao. Piano integrato di attività e organizzazione. Contenuti e criticità, CeL editrice, 2022; L. tAMASSIA -A.M. SAVAzzI, Il Piano Integrato di attività e organizzazione. Una guida normativa, organizzativa, metodologica ed operativa per gli enti locali, IlSole24oreProfessional, 2022; P. MorIgI -F. FortI, Il Piano Integrato di attività e organizzazione, Maggioli, 2022. (49) A. CorrAdo, La difficile strada della semplificazione imboccata dal PIao, in federalismi.it, n. 27/2022, p. 187. (50) e. deIddA gAgLIArdo - r. SAPorIto, op. cit., p. 212. LegISLAzIone ed AttuALItà e Sostenibile Istat-Cnel e/o mediante i Sustainable Development Goals del- l’Agenda onu 2030. Le sottosezioni del PIAo dovrebbero essere improntate, per tutte le argomentazioni svolte in premessa, alla logica di processo. In particolare, con riferimento alla sottosezione “Performance”, gli obiettivi operativi possono acquisire rilevanza trasversale, con riferimento alla digitalizzazione, alla parità di genere, alla semplificazione, all’efficienza e alla piena accessibilità del- l’amministrazione. nella sottosezione “Anticorruzione e trasparenza”, l’analisi di contesto è seguita dall’identificazione, analisi e ponderazione del rischio, cui segue il trattamento del medesimo; la logica di processo ha ormai informato anche tale settore, come dimostra l’importanza attribuita alla mappatura dei processi e la correlazione tra obiettivi della performance e misure anticorruzione (51). La logica di processo si evidenzia in modo peculiare nelle sottosezioni “Struttura organizzativa”, “organizzazione del lavoro agile” e “Piano triennale dei Fabbisogni del Personale”. L’organigramma e il funzionigramma, infatti, lungi dal rappresentare meri schemi astratti e rigidi, dovrebbero fornire ai decisori politici un importante strumento per conseguire finalità di interesse generale e, con esse, valore pubblico. In generale, è bene evitare sia organizzazioni “orizzontali”, caratterizzate da difficoltà di coordinamento nella misura in cui sussistono numerose strutture dello stesso livello, sia organizzazioni connotate da eccessiva parcellizzazione e frammentazione (52). Come già evidenziato, la logica di processo impone di adottare una lean organization, ove i gruppi di lavoro siano focalizzati su singoli progetti. Circa il lavoro agile, esso rappresenta un prezioso strumento di ripensamento intelligente delle modalità di lavoro in grado di innescare un profondo cambiamento culturale e di promuovere un processo di innovazione nell’organizzazione del lavoro e nel funzionamento delle pubbliche amministrazioni e dei servizi ai cittadini (53). La logica di processo promuove una nuova visione dell’organizzazione del lavoro volta a stimolare l’autonomia, la responsabilità e la motivazione dei lavoratori, in un’ottica di incremento della produttività e del benessere organizzativo, e consolida le competenze manageriali nell’organizzazione del lavoro per obiettivi svolto dai collaboratori e nella concomitante valutazione step-by-step di tali obiettivi. Pertanto, è indi (51) raccomandata già in tempi anteriori all’introduzione del PIAo: V. SArCone, La pianificazione delle misure di prevenzione della corruzione e il coordinamento con la valutazione della performance, in Legislazione anticorruzione e responsabilità nella pubblica amministrazione, giuffré, 2019. (52) e. deIddA gAgLIArdo - r. SAPorIto, op. cit., p. 225. (53) n. de PISAPIA -M. VIgnoLI, Smart working mind. Strategie e opportunità del lavoro agile, Il Mulino, 2021; g. gAMbIrASIo -S. greCo, Gestire un team a distanza. Tecniche, strumenti e metodi per il lavoro agile, FrancoAngeli, 2021. rASSegnA AVVoCAturA deLLo StAto -n. 1/2023 spensabile che tale sottosezione venga adeguatamente valorizzata all’atto della redazione del PIAo, prevedendo opportune misure quali la redazione di un regolamento per il lavoro agile. Infine, anche il fabbisogno del personale è ormai sganciato dalla vetusta prospettiva della pianta organica (concetto ormai inesistente sotto il profilo giuridico) ed è improntato alla dinamica programmatoria che pervade le Pubbliche Amministrazioni (54). La pianificazione in questione non può limitarsi a individuare nuove figure da assumere in modo da rispettare i vincoli di spesa per il personale che il legislatore ha imposto ai vari plessi amministrativi, ma deve selezionare le professionalità adeguate a fronteggiare le sfide del Pnrr, di cui spesso gli enti sono privi (si pensi alla necessità di utilizzo di piattaforme informatiche di rilevante complessità; conoscenza di una vasta normativa settoriale; abilità nella rendicontazione; ecc.). 6. Conclusioni. In definitiva, le moderne Pubbliche Amministrazioni, attraverso lo strumento del PIAo, possono e devono uniformarsi con successo a logiche di processo al fine di curare al meglio l’interesse pubblico e garantire la soddisfazione del cittadino, valore di primaria importanza in un contesto istituzionale caratterizzato dall’attuazione del Pnrr e dalla correlata, necessaria progettualità. Il PIAo non deve diventare il “piano dei piani” (55), espressione di una concezione adempimentale e burocratica, ma, se inteso in modo corretto, può divenire la guida strategica dell’ente (nel dialogo con il duP, il bilancio e tutti gli altri strumenti di programmazione) nel quadro dell’attuazione del Business Process reengineering nelle Pubbliche Amministrazioni. Attraverso il Piano Integrato di Attività e organizzazione sarà possibile, dunque, agevolare il transito culturale e concreto verso la c.d. amministrazione per processi, reso necessario non solo dalle elaborazioni degli studiosi del management pubblico, ma anche del quadro normativo vigente, come si è detto in sede di esame del CCnL del 31 marzo 1999. tale processo di cambiamento potrà e dovrà essere presidiato dal ruolo centrale del moderno dirigente pubblico, chiamato a esercitare la propria leadership in un contesto, quello della società moderna, irto di difficoltà e incertezze (56), in cui il vecchio approccio burocratico, formalista e adempimentale risulta perdente. Il dirigente (o il Segretario Comunale) è chiamato a trasmettere -non a (54) A.M. SAVAzzI, Il fabbisogno di personale negli enti locali. Guida pratica alla redazione del piano triennale e alla sua attuazione, halley, 2022. (55) Ivi, p. 204. (56) K. WeICK, Enactment processes in organizations, in b.M. StAW -g. SALAnCIK (a cura di), New directions in organizational behaviour, Chicago, 1977, pp. 267-300. LegISLAzIone ed AttuALItà imporre -questa nuova forma mentis ai propri collaboratori e, per raggiungere lo scopo, un potente fattore di coesione è rappresentato dalla fiducia. essa, intesa quale competenza organizzativa, può favorire logiche di apprendimento (57) e una nuova cultura organizzativa (58), che traduca in pratica quel benessere organizzativo che è stato di recente positivizzato dal nostro ordinamento giuridico e senza il quale la reale interiorizzazione delle logiche di processo sarà difficilmente ipotizzabile. (57) M.L. FArneSe - C. bArberI, op. cit., p. 138. (58) r. d’AMICo, Il manager pubblico nell’ente locale: cultura organizzativa e nuovi contenuti della professionalità del dirigente, FrancoAngeli, 2001. Contributididottrina Efficienza del processo e strumenti alternativi di risoluzione delle controversie Michele Gerardo* Sommario: 1. aspetti generali. i due aspetti dell’efficienza: definizione del processo entro un termine ragionevole ed altresì in modo “giusto” -2. Cause della inefficienza del processo civile -3. meccanismi di recupero della efficienza del processo civile -4. Strumenti preventivi ed alternativi di risoluzione delle controversie -5. Strumenti preventivi di risoluzione delle controversie -6. Strumenti alternativi di risoluzione delle controversie -7. Gli strumenti preventivi ed alternativi di risoluzione delle controversie quali meccanismi di recupero della efficienza del processo civile -8. modifiche, con la c.d. riforma Cartabia, in materia di mediazione, di negoziazione assistita e di arbitrato - 9. Considerazioni finali. 1. aspetti generali. i due aspetti dell’efficienza: definizione del processo entro un termine ragionevole ed altresì in modo “giusto”. L’efficienza delle strutture amministrative -e quindi anche della struttura amministrativa che garantisce l’espletamento dell’attività giurisdizionale -è quella relazione tra risorse (umane, finanziarie e strumentali) impiegate e risultati conseguiti ex post. È la misura del raggiungimento del massimo dei prodotti all’utenza (output), data una certa quantità di risorse impiegate. Declinata nel processo, l’efficienza consiste -in primo luogo ed essenzialmente -nella definizione del processo entro termini ragionevoli. L’effi (*) Avvocato dello Stato. Relazione predisposta dall’Autore in occasione del Convegno “Riforme legislative ed efficienza del processo. Giusto processo e tutela dei diritti di individui e imprese” tenutosi presso la Prefettura di Catanzaro (23 giugno 2023). Secondo convegno annuale di studi organizzato dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Catanzaro in collaborazione con Prefettura di Catanzaro, Corte di Appello di Catanzaro, Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, Ordine Distrettuale Avvocati Catanzaro. RASSEGnA AVVoCATURA DELLo STATo -n. 1/2023 cienza, con riguardo all’attività giurisdizionale, implica anche la definizione del processo in modo “giusto”, nel rispetto delle regole processuali e sostanziali: il processo è giusto quando rispetta le regole prefissate e quando le regole prefissate consentono di perseguire la decisione (di merito) giusta. Tanto in ossequio ai principi costituzionali (art. 111, comma 2, Cost.) ed internazionali (art. 6, comma 1, Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata con L. 4 agosto 1955, n. 848). Le considerazioni svolte nella presente analisi riguardano specificamente il processo civile. a) Con riguardo al primo aspetto dell’efficienza -ossia la definizione del processo entro un termine ragionevole -deve rilevarsi che, da un cinquantennio, la giustizia civile in Italia versa in uno stato di grave crisi a causa dell’eccessiva ed intollerabile durata dei processi. Ancora nel 2000 si registrava dalla Banca d’Italia, nella Relazione economica per l’anno 2000 -che “L’italia è il Paese dell’Unione Europea in cui i procedimenti civili, considerando i tre gradi di giudizio, hanno maggiore durata (in media 116 mesi, il 68% in più rispetto alla media UE)”. Secondo un recente rapporto della Commissione europea per l’efficacia della giustizia (CEPEJ), nel biennio 2017-18 il numero dei procedimenti civili pendenti si è ridotto e la durata media è scesa; tuttavia, la giustizia civile italiana resta tra le più lente d’Europa: siamo ancora gli ultimi in terzo grado di giudizio e siamo diventati penultimi sia in primo che in secondo grado, rispettivamente davanti a Malta e alla Grecia. La conclusione della esposta rilevazione è evidente: il processo civile italiano non è efficiente sotto il profilo della sua definizione entro un termine ragionevole. Tanto alla luce della valutazione legale circa la durata ragionevole del processo fissata dall’art. 2, comma 2 bis, L. 24 marzo 2001, n. 89 (c.d. legge Pinto, sulla previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole di durata del processo), secondo cui si considera rispettato il termine ragionevole se il processo non eccede la durata di tre anni in primo grado, di due anni in secondo grado, di un anno nel giudizio di legittimità. La inefficienza coinvolge il complesso degli Uffici giudiziari, tenendo conto della media dei tempi dei giudizi. Vi sono, tuttavia, significative diversificazioni in ordine ai tempi del processo tra Uffici giudiziari. Difatti, il Giudice di Pace ed il Tribunale riescono a smaltire -grosso modo -il loro carico di lavoro in termini ragionevoli; la Corte di Appello supera i limiti della Legge Pinto circa la ragionevole durata del processo; analogo discorso vale per la Cassazione, atteso l’imbuto che si crea tra la presentazione del ricorso e la fissazione della data per la decisione. Tanto emerge dalle annuali relazioni sull’amministrazione della giustizia del Primo Presidente della Corte di Cassazione sull’andamento della giustizia in occasione dell’inaugurazione del- l’anno giudiziario. ConTRIBUTI DI DoTTRInA La crisi del processo genera ulteriore contenzioso gravante sulle Corti di Appello con significativo aggravio degli oneri per il bilancio statale, che deve far fronte a crescenti costi per il pagamento dell’indennizzo per la riparazione della ingiusta durata del processo disciplinata dalla citata L. n. 89/2001. L’inefficienza del nostro sistema giudiziario scoraggia gli investimenti, aumenta il costo del credito, genera sfiducia nelle funzioni dello Stato e stimola sistemi criminali alternativi di composizione delle liti. La preoccupazione di ogni governo, nelle ultime legislature, è stata quella di proporre “novelle” processuali mirate a modificare singoli aspetti -di volta in volta individuati come critici del processo civile. Anche il governo Draghi (2021-2022) si è posto l’obiettivo di semplificare il processo civile e, con decreto del Ministro della giustizia del marzo del 2021, è stata costituita una Commissione, presieduta dal prof. Francesco Paolo Luiso, con il compito di redigere un articolato per la riforma della giustizia civile; l’obiettivo concreto è triplice: ridurre i tempi dei processi, rafforzare il principio della ragionevole durata, migliorare l’efficienza dell’apparato amministrativo. La Commissione nel giugno del 2021 ha presentato le sue proposte, confluite nella L. 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata. La delega è stata attuata con l’emanazione del D.L.vo 10 ottobre 2022, n. 149 (c.d. riforma Cartabia). Con la novella di cui al D.L.vo n. 149/2022 -ultima in ordine di tempo -viene operata una ampia modifica del codice di procedura civile, oltre che delle leggi complementari. b) Con riguardo al secondo aspetto dell’efficienza -ossia la definizione del processo in modo “giusto”, nel rispetto delle regole processuali e sostanziali -deve rilevarsi che, diversamente dal primo aspetto, le performance sono soddisfacenti. Un indice presuntivo della giustizia della sentenza è costituito dalla circostanza che, in sede di impugnazione, la decisione resiste alle critiche mosse. Dalla relazione del Primo Presidente della Corte di Cassazione per l’anno 2023 si rileva, per l’anno 2022 con riguardo ai ricorsi per cassazione, che “la percentuale di: -accoglimento è pari al 27,8% (di cui 22,4% con rinvio, 1,7% senza rinvio, 3,7% senza rinvio con decisione nel merito) -rigetto è pari al 27,3% -inammissibilità è pari al 27,3% -estinzione è pari al 15,6%”, rilevandosi altresì che “nel settore tributario si nota una incidenza degli accoglimenti decisamente superiore rispetto alla media generale (35,4% nel 2022 rispetto al dato generale pari al 27,8%)”. Da tale significativo campione emerge che quasi i tre quarti delle sentenze resistono alle critiche che vengono mosse da chi le impugna. Circostanza questa sintomatica della “bontà” della sentenza. RASSEGnA AVVoCATURA DELLo STATo -n. 1/2023 2. Cause della inefficienza del processo civile. Da una piana disamina del sistema si può ricavare che le cause della dilatazione della durata del processo sono principalmente ascrivili a: -aumento progressivo del numero dei processi, con forte accelerazione a seguito dell’introduzione del cd. processo del lavoro -per le controversie di lavoro e previdenziali -a metà degli anni ’70 del secolo trascorso. Tanto a fronte di un organico della magistratura che non è variato in modo proporzionalmente conseguenziale. nella citata Relazione del Primo Presidente della Corte di cassazione per il 2023 si rileva che “Dal rapporto della CEPEJ (Commissione europea per l’efficienza della giustizia) del 2022 (su dati 2020) si desume che nei 47 paesi europei che aderiscono al Consiglio d’Europa, in media vi sono 22,2 giudici togati ogni 100.000 abitanti, mentre in italia sono solo 11,9. Particolarmente indicativo è il confronto con la Germania dove operano 25 giudici togati ogni 100.000 abitanti, numero quindi più che doppio rispetto all’italia”; - effetto cumulativo dell’arretrato; -riduzione del contenzioso affidato a giudici onorari. nel primo cinquantennio del ‘900 la maggior parte del contenzioso -con punte anche dell’80% -era assorbito dal Giudice Conciliatore ed i tempi del processo del giudice togato erano ragionevoli; -vuoti nell’organico della magistratura. nella relazione del Primo Presidente della Corte di Cassazione per l’anno 2023 si rileva che “risultano vacanti negli uffici giudiziari 1.458 posti, a fronte di un organico complessivo ripartito tra gli uffici giudiziari pari a 10.588 unità; la percentuale di scopertura è quindi del 13,7%, distribuita quasi egualmente tra magistrati addetti agli uffici giudicanti (13,68%) e requirenti (14,20%), in crescita rispetto alla situazione al 31 dicembre 2021 che registrava complessivamente 1.338 posti vacanti, pari al 12,72%”. Più accentuati deficit si hanno con riguardo alla magistratura onoraria. Dalla citata Relazione 2023 emerge che “al termine del 2022 risultano presenti in servizio 1.658 vice procuratori onorari, a fronte dei 1.687 registrati al 31 dicembre 2021, e 2.962 tra giudici di pace e giudici onorari (accomunati nell’unica figura del giudice onorario di pace a seguito della riforma della magistratura onoraria attuata con il d.lgs. 13 luglio 2017, n. 116) a fronte di 3.088 al 31 dicembre 2021 (fonte CSm); dati che vanno considerati tenendo presente l’entità delle scoperture dei posti in organico (ad esempio, 23% per i giudici onorari di tribunale, giudici di pace e vice procuratori onorari; 24% per i giudici ausiliari di Corte di appello (fonte CSm -Viii Commissione)”; -svolgimento di attività extragiudiziarie. I giudici ordinari sono impegnati in un numero elevato di attività sociali, politiche ed economiche (quali la partecipazione ad attività di concorsi nella qualità di commissari, incarichi di insegnamento universitario) che esulano dalla loro attività giudiziaria; -tendenza a più elevati tassi di litigiosità: crisi dei tradizionali apparati ConTRIBUTI DI DoTTRInA di mediazione e composizione dei conflitti (famiglia, istituzioni religiose e politico- sindacali); complessità, instabilità e spesso inconoscibilità della legge; -condotta di una certa parte del ceto forense che, con vari cavilli legali, allunga la durata del processo; - inefficace controllo sulla produttività dell’attività dei magistrati. 3. meccanismi di recupero della efficienza del processo civile. Al fine di recuperare l’efficienza del processo civile occorre incidere sulle cause della dilatazione della durata del processo. Vi sono vari tentativi in tal senso che -invero in modo lieve -nell’ultimo decennio stanno invertendo la rotta. L’ultima novella, la riforma Cartabia, tra l’altro, ha ampliato la competenza dei giudici onorari, in modo da ridurre il carico dei giudici togati. Vogliamo riferirci alla modifica dell’art. 7 c.p.c. Il nuovo testo dell’art. 7, commi 1 e 2 c.p.c. -all’esito della modifica di cui al comma 1 dell’art. 3 D.L.vo n. 149/2022 - così dispone: -il giudice di pace è competente per le cause relative a beni mobili di valore non superiore a diecimila euro -in luogo del vecchio limite di cinquemila euro -quando dalla legge non sono attribuite alla competenza di altro giudice; -il giudice di pace è altresì competente per le cause di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e di natanti, purché il valore della controversia non superi venticinquemila euro (in luogo del vecchio limite di ventimila euro). nella medesima ottica funzionano gli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie. All’evidenza, se tali strumenti funzionano, si riduce il contenzioso sottoposto all’esame dell’autorità giurisdizionale. 4. Strumenti preventivi ed alternativi di risoluzione delle controversie. Il giudizio civile -ogni giudizio -ha un costo per le finanze della collettività, attiva una macchina complessa, comporta per chi è parte di esso un impegno di tempo e di risorse economiche. Sicché, da sempre, per chi intende far valere in giudizio le proprie ragioni, l’ordinamento offre dei meccanismi miranti al soddisfacimento stragiudiziale delle pretese. Con tali meccanismi si può conseguire giustizia in tempi inferiori a quelli della giurisdizione, con risparmio di spesa. Vengono in rilievo gli strumenti preventivi oppure alternativi alla giurisdizione. a) Sono numerosi gli strumenti preventivi alla giurisdizione. Il più importante è costituito dal tentativo di conciliazione. Questo abbraccia, tra l’altro, la mediazione (facoltativa ed obbligatoria) e la procedura di negoziazione assistita, integranti la cd. giustizia complementare. nella mediazione interviene un terzo imparziale rispetto alle parti, il me RASSEGnA AVVoCATURA DELLo STATo -n. 1/2023 diatore, il quale svolge una attività finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, anche con formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa; ove l’attività riesca si ha la conciliazione, ossia la composizione di una controversia a seguito dello svolgimento della mediazione (art. 1 D.L.vo 4 marzo 2010, n. 28, disciplinante la mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali). nella procedura di negoziazione assistita, invece, non interviene un terzo, ma sono le parti -assistite obbligatoriamente dagli avvocati -a tentare la definizione bonaria della controversia. Difatti, la convenzione di negoziazione assistita da avvocati è un accordo mediante il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia tramite l’assistenza di avvocati iscritti all’albo (art. 2 D.L. 12 settembre 2014, n. 132, conv. L. 10 novembre 2014, n. 162, recante misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile). b) Strumento alternativo alla giurisdizione è l’arbitrato. 5. Strumenti preventivi di risoluzione delle controversie. Il più importante strumento preventivo è senz’altro il tentativo di conciliazione, che può essere previsto in via obbligatoria o in via facoltativa. Tentativo di conciliazione obbligatorio. In via obbligatoria costituisce una condizione di procedibilità della domanda giudiziaria, ossia la domanda non può essere esaminata nel merito se prima non si esperisce il detto tentativo. Questo strumento può essere previsto solo dalla legge ordinaria e non da una fonte secondaria, venendo in rilievo un limite all’esercizio del diritto di azione ex art. 24 Cost. Va rispettato il giusto equilibrio tra l’interesse a ridurre il contenzioso e la tutela delle situazioni protette, sicché, ad esempio, la durata di un filtro preventivo per espletare la conciliazione deve essere ragionevole. Forme generali sono: a) la mediazione obbligatoria ex art. 5 D.L.vo n. 28/2010 per le controversie nelle materie indicate nel comma 1 della disposizione. Tanto secondo il procedimento delineato dagli artt. 3-15 del D.L.vo citato; b) la procedura di negoziazione assistita da uno o più avvocati obbligatoria ex art. 3 D.L. n. 132/2014, conv. L. n. 162/2014, per le controversie nelle materie indicate nel comma 1 della disposizione, ossia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti e per la domanda di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti cinquantamila euro (con l’eccezione delle controversie concernenti obbligazioni contrattuali derivanti da contratti conclusi tra professionisti e consumatori). Il relativo procedimento è delineato dagli artt. 2-11 del D.L. citato. ConTRIBUTI DI DoTTRInA Abbiamo inoltre: c) tentativo obbligatorio di conciliazione delle controversie in materia di comunicazioni fra utenti o categorie di utenti ed un soggetto autorizzato o destinatario di licenze oppure tra soggetti autorizzati o destinatari di licenze tra loro. Per le predette controversie non si può proporre ricorso in sede giurisdizionale fino a che non sia stato esperito un tentativo obbligatorio di conciliazione, da ultimare entro trenta giorni dalla proposizione dell’istanza all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCoM). Tale tentativo di conciliazione è gestito dall’AGCoM a mezzo dei Comitati regionali per le comunicazioni (Co.re.com), considerati funzionalmente organi dell’Autorità, ai quali sono state delegate funzioni conciliative. I termini per agire in sede giurisdizionale sono sospesi fino alla scadenza del termine per la conclusione del procedimento di conciliazione. L’AGCoM individua le controversie oggetto di conciliazione obbligatoria e le modalità della procedura (art. 1, comma 11, L. 31 luglio 1997, n. 249); d) procedure di conciliazione (oltreché di arbitrato) in contraddittorio presso l’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (ARERA) nei casi di controversie in materia di servizi di pubblica utilità, insorte tra utenti e soggetti esercenti il servizio. Tali controversie possono essere rimesse in prima istanza alle commissioni arbitrali e conciliative istituite presso le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura (art. 2, comma 24, lett. b, L. 14 novembre 1995, n. 481). I criteri, le condizioni, i termini e le modalità per l’esperimento delle procedure in esame sono fissati con regolamento. Se l’apparato organizzativo che gestisce la procedura di conciliazione è inefficiente, la previsione in via obbligatoria di questo strumento preventivo si risolve unicamente in un ostacolo all’accesso alla giustizia, con il fine malizioso di dissuadere l’interessato a tutelare dinanzi al giudice le proprie ragioni. Tentativo di conciliazione facoltativo. a) la mediazione facoltativa ex art. 2 D.L.vo n. 28/2010 attivabile da chiunque “per la conciliazione di una controversia civile e commerciale vertente su diritti disponibili, secondo le disposizioni del presente decreto”. Questo strumento è stato poco utilizzato dagli interessati. Dalla citata relazione sull’amministrazione della giustizia del Primo Presidente della Corte di Cassazione per il 2023 risulta che “Nel primo semestre del 2022 le iscrizioni di mediazioni sono state 85.269, di cui 16.107 hanno riguardato mediazioni volontarie”; b) la procedura di negoziazione assistita da uno o più avvocati facoltativa ex art. 2 D.L. n. 132/2014, conv. L. n. 162/2014 al fine di tentare di risolvere in via amichevole qualsivoglia controversia su diritti disponibili inter partes; c) controversie afferenti ai rapporti di lavoro. All’uopo l’art. 31, comma 9, L. 4 novembre 2010, n. 183 statuisce: “Le disposizioni degli articoli 410, RASSEGnA AVVoCATURA DELLo STATo -n. 1/2023 411, 412, 412-ter e 412-quater del codice di procedura civile si applicano anche alle controversie di cui all’articolo 63, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165”. Si è quindi omogeneizzata la disciplina tra lavoro privato e lavoro pubblico, con l’applicazione dello stesso modello di conciliazione facoltativo previsto nel codice di rito civile. La forma ordinaria del tentativo di conciliazione è regolata negli artt. 410-411 c.p.c. Il raggiunto accordo in sede conciliativa, su istanza di parte, può essere dichiarato esecutivo con decreto del giudice, accertata la regolarità formale del verbale di conciliazione (art. 411, ultimo comma c.p.c.). Il predetto verbale, riconducibile alla tipologia dei titoli esecutivi stragiudiziali (ex art. 474 c.p.c.), è suscettibile di esecuzione forzata ma non di attuazione nelle forme del giudizio di ottemperanza. Ed infatti l’azione di ottemperanza (art. 112, comma 2, lett.c, c.p.a.) è configurabile per le “sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse equiparati del giudice ordinario”, laddove è evidente che il verbale in esame non è equiparabile a sentenza avendo un contenuto sostanzialmente transattivo. Vi sono altre due forme di tentativo di conciliazione nelle materie del lavoro, pubblico o privato: quello svolto presso le sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative (art. 412 ter c.p.c.) e quello proposto innanzi al collegio di conciliazione costituito secondo quanto previsto dalle disposizioni contenute nell’art. 412 quater c.p.c.; d) controversie tra imprese e consumatori e utenti. All’uopo la risoluzione alternativa delle controversie, incidenti in ambiti anche di pertinenza della P.A. laddove le imprese siano esercenti di servizi pubblici, può essere affidata a commissioni arbitrali e conciliative costituite su impulso delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura (art. 2, comma 2, lett. g, L. 29 dicembre 1993, n. 580); e) controversie relative ad obbligazioni contrattuali derivanti da un contratto di vendita o di servizi, tra il professionista ed il consumatore. La risoluzione delle dette controversie può essere altresì affidata agli organismi ADR -alternative Dispute resolution, secondo la disciplina del Codice del consumo (artt. 141- 141 decies D.L.vo 6 settembre 2005, n. 206); f) controversie tra i soggetti nei cui confronti la Commissione nazionale per le società e la Borsa (ConSoB) esercita la propria attività di vigilanza, i consulenti finanziari autonomi, le società di consulenza finanziaria da una parte e, dall’altra, gli investitori diversi dai clienti professionali (art. 32 ter D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, il cui comma 2 precisa che la Consob determina, con proprio regolamento, i criteri di svolgimento delle procedure di risoluzione delle controversie nonché i criteri di composizione dell’organo decidente, in modo che risulti assicurata l’imparzialità dello stesso e la rappresentatività dei soggetti interessati); ConTRIBUTI DI DoTTRInA g) controversie tra i clienti e le banche e gli altri intermediari in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari coinvolte in procedure di conciliazione (ed arbitrato) ex art. 128 bis D.L.vo 1 settembre 1993, n. 385. 6. Strumenti alternativi di risoluzione delle controversie. Il più importante strumento alternativo è l’arbitrato. Con esso si dà vita consensualmente - ad una giustizia privata alternativa a quella istituzionale. L’arbitrato -previsto e disciplinato nel codice di procedura civile -è un giudizio privato attivabile quando le parti sono d’accordo in tal senso e la lite verte su diritti disponibili. Due sono, quindi, i requisiti per l’ammissibilità dell’arbitrato: accordo delle parti, diritti disponibili. Con la previsione costituzionale secondo cui “Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi” (art. 24, comma 1, Cost.), vi è la libertà di tutti di accedere agli organi giurisdizionali. Sicché l’arbitrato non può essere previsto -da una fonte unilaterale -come obbligatorio. E difatti le previsioni nella legislazione del passato che prevedevano ipotesi di arbitrato obbligatorio sono state eliminate: o per dichiarazione di incostituzionalità o per abrogazione legislativa. L’accordo delle parti deve rivestire la forma scritta sotto pena di nullità, giusta previsione dell’art. 807 c.p.c. oggetto del giudizio arbitrale possono essere solo situazioni giuridiche soggettive nella titolarità delle parti, secondo il principio generale della disponibilità delle proprie -solo delle proprie, come evidenziato nell’art. 24 Cost. -situazioni giuridiche soggettive. Tanto è precisato dell’art. 806 c.p.c. secondo cui “Le parti possono far decidere da arbitri le controversie tra di loro insorte che non abbiano per oggetto diritti indisponibili, salvo espresso divieto di legge. Le controversie di cui all’articolo 409 possono essere decise da arbitri solo se previsto dalla legge o nei contratti o accordi collettivi di lavoro”. L’arbitrato è possibile, quindi, solo se la controversia verte su diritti soggettivi disponibili. Tipologie di arbitrato. L’arbitrato può essere rituale oppure irrituale. L’arbitrato è rituale quando la definizione avviene all’esito di un procedimento paragiurisdizionale con una decisione (lodo) che ha l’efficacia di sentenza del giudice competente. Tanto è enunciato dall’art. 824 bis c.p.c. statuente che “Salvo quanto disposto dall’articolo 825, il lodo ha dalla data della sua ultima sottoscrizione gli effetti della sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria”. Tuttavia, ex art. 825 c.p.c., ove si voglia mettere in esecuzione il lodo, l’efficacia di sentenza consegue non al momento dell’ultima sottoscrizione, ma al momento dell’exequatur -ossia della delibazione, del controllo della mera regolarità formale - da parte dell’A.G.o. Diversamente l’arbitrato è irrituale e vale quale definizione negoziale di una lite inter partes con valore, a seconda del contenuto della definizione, di transazione e/o riconoscimento del debito e/o rinunce. Sul punto vi è la disciplina del RASSEGnA AVVoCATURA DELLo STATo -n. 1/2023 l’art. 808 ter c.p.c. secondo cui “1. Le parti possono, con disposizione espressa per iscritto, stabilire che, in deroga a quanto disposto dall’articolo 824-bis, la controversia sia definita dagli arbitri mediante determinazione contrattuale. altrimenti si applicano le disposizioni del presente titolo. 2. il lodo contrattuale è annullabile dal giudice competente secondo le disposizioni del libro i. […]”. arbitrato nelle controversie sui rapporti di lavoro. Le controversie sui rapporti di lavoro -sia quelle ex art. 409 c.p.c., che quelle di cui all’art. 63, comma 1, T.U.P.I. relative al pubblico impiego privatizzato (giusta l’art. 31, comma 9, L. n. 183/2010) -“possono essere decise da arbitri solo se previsto dalla legge o nei contratti o accordi collettivi di lavoro” (art. 806, comma 2, c.p.c.). Per queste controversie sono previste quattro diverse ipotesi arbitrali: a) art. 412 c.p.c.: in qualunque fase del tentativo di conciliazione, o al suo termine in caso di mancata riuscita, le parti possono indicare la soluzione, anche parziale, sulla quale concordano, riconoscendo, quando è possibile, il credito che spetta al lavoratore, e possono accordarsi per la risoluzione della lite, affidando alla commissione di conciliazione il mandato a risolvere in via arbitrale la controversia; b) art. 412 ter c.p.c.: l’arbitrato, nelle materie di cui all’art. 409 c.p.c., può essere svolto altresì presso le sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative; c) art. 412 quater c.p.c.: ferma restando la facoltà di ciascuna delle parti di adire l’autorità giudiziaria e di avvalersi delle procedure di conciliazione e di arbitrato previste dalla legge, le controversie di cui all’art. 409 c.p.c. possono essere altresì proposte innanzi al collegio di arbitrato irrituale costituito secondo quanto previsto nella stessa disposizione; d) art. 31, comma 12, L. n. 183/2010: gli organi di certificazione di cui all’art. 76 D.L.vo 10 settembre 2003, n. 276 possono istituire camere arbitrali per la definizione, ai sensi del- l’art. 808 ter c.p.c., delle controversie nelle materie di cui all’art. 409 c.p.c. e all’art. 63, comma 1, D.L.vo 30 marzo 2001 (c.d. T.U.P.I.); si applica, in quanto compatibile, l’art. 412, commi terzo e quarto, c.p.c. Tutte e quattro le tipologie ora descritte integrano arbitrati irrituali. In conseguenza del carattere irrituale, il lodo non produce gli effetti della sentenza e può acquistare efficacia di titolo esecutivo stragiudiziale, in quanto ha natura di determinazione contrattuale. accordo bonario per i lavori e accordo bonario per i servizi e le forniture. Alle condizioni indicate dalla legge, la procedura di accordo bonario costituisce una condizione di procedibilità dell’azione in via giurisdizionale. La procedura di accordo bonario è una procedura di tipo arbitrale (artt. 210-211 D.L.vo 31 marzo 2023, n. 36 recante il Codice dei contratti pubblici). arbitrato e collegio consultivo tecnico nelle controversie inerenti l’esecuzione dei contratti pubblici. Le controversie su diritti soggettivi, derivanti dall’esecuzione dei contratti ConTRIBUTI DI DoTTRInA pubblici relativi a lavori, servizi, forniture, concorsi di progettazione e di idee, comprese quelle conseguenti al mancato raggiungimento dell’accordo bonario possono essere deferite ad arbitri (art. 213 D.L.vo n. 36/2023) oppure decise da un collegio consultivo tecnico con determinazioni aventi natura di lodo contrattuale ai sensi dell’art. 808 ter c.p.c. (art. 215 D.L.vo n. 36/2023). 7. Gli strumenti preventivi ed alternativi di risoluzione delle controversie quali meccanismi di recupero della efficienza del processo civile. Intuitivamente gli strumenti preventivi ed alternativi di risoluzione delle controversie, se funzionano -rectius: se conducono alla risoluzione della controversia -costituiscono delle tecniche di recupero della efficienza del processo civile, atteso che il loro successo riduce il contenzioso sottoposto all’esame dell’autorità giurisdizionale. Diversamente, se non funzionano (e il discorso vale in particolare per il tentativo di conciliazione), si risolvono in un differimento di accesso alla giustizia, o peggio in una tecnica defatigante che, a volte, spinge il soggetto a rinunciare a qualsiasi azione giudiziaria. Il sistema dovrebbe, quindi, incentivare tali tecniche con la implementazione della specifica professionalità e della idonea preparazione degli operatori. Questo aspetto è fondamentale per la riuscita degli istituti in esame. Ciò non è sfuggito al legislatore della riforma Cartabia, il quale -con l’inserimento dell’art. 5 quinquies D.L.vo n. 28/2010 -prevede, per gli stessi magistrati, la necessità di curare la formazione e l’aggiornamento in materia di mediazione con la frequentazione di seminari e corsi, organizzati dalla Scuola superiore della magistratura, anche attraverso le strutture didattiche di formazione decentrata; rileva inoltre, ai fini della valutazione della professionalità ex art. 11 D.L.vo 5 aprile 2006, n. 160, la frequentazione di seminari e corsi in materia, il numero e la qualità degli affari definiti con ordinanza di mediazione o mediante accordi conciliativi costituenti, rispettivamente, indicatori di impegno, capacità e laboriosità del magistrato. È previsto infine -altro tassello per la costruzione di una “cultura” della mediazione -che “il capo dell’ufficio giudiziario può promuovere, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, progetti di collaborazione con università, ordini degli avvocati, organismi di mediazione, enti di formazione e altri enti e associazioni professionali e di categoria, nel rispetto della reciproca autonomia, per favorire il ricorso alla mediazione demandata e la formazione in materia di mediazione” (comma 4 dell’art. 5 quinquies cit.). Va rilevato che la funzionalità di queste tecniche stragiudiziali alla riduzione del contenzioso sottoposto alla cognizione dell’autorità giurisdizionale, e quindi al recupero dell’efficienza, vale soprattutto per l’arbitrato, un po’ meno per il tentativo di conciliazione. È difficile, infatti, che la parte che ha subito un torto sia disposta a conciliare, rectius: rinunciare ad una parte della pretesa (di solito la proposta del conciliatore è diretta a pervenire ad una de RASSEGnA AVVoCATURA DELLo STATo -n. 1/2023 finizione transattiva della vicenda). All’evidenza tale parte, se concilia, lo fa per ragioni pratiche: evitare le lungaggini (e l’alea) di un giudizio. 8. modifiche, con la c.d. riforma Cartabia, in materia di mediazione, di negoziazione assistita e di arbitrato. Le tecniche alternative di risoluzione delle controversie -con l’ultima novella del processo civile -sono state potenziate, sul presupposto che le stesse sono funzionali all’esigenza di efficienza del processo. Il rapporto tra tecniche stragiudiziali e attività giurisdizionale è in un certo senso un rapporto tra vasi comunicanti. All’aumento con successo delle prime consegue una riduzione del carico della seconda. In primo luogo, il D.L.vo n. 149/2022 interviene estendendo, a mezzo dell’art. 7, l’ambito operato dai meccanismi preventivi, in funzione deflattiva del contenzioso. modifiche al decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 sulla mediazione. Il D.L.vo 4 marzo 2010, n. 28 sulla mediazione viene ampiamente modificato, per lo più allo scopo manutentivo e di restyling. Tra le novità rilevanti va evidenziato che aumentano le materie in cui la mediazione è obbligatoria, rectius: costituisce una condizione di procedibilità dell’azione. novellando l’art. 5 del decreto -oltre alle controversie in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari -ora la mediazione obbligatoria è prevista altresì per le controversie in materia di “associazione in partecipazione, consorzio, franchising, opera, rete, somministrazione, società di persone e subfornitura”. È stata altresì prevista la mediazione demandata dal giudice, integrante condizione di procedibilità della domanda giudiziale: giusta l’art. 5 quater del decreto, il giudice, anche in sede di giudizio di appello, fino al momento della precisazione delle conclusioni, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione, il comportamento delle parti e ogni altra circostanza, può disporre, con ordinanza motivata, l’esperimento di un procedimento di mediazione. È esaltata, come evidenziato innanzi, l’esigenza di una specifica formazione nella materia della mediazione (art. 5 quinquies del decreto). In ordine alla durata del procedimento di mediazione era originariamente previsto il termine di tre mesi; novellando l’art. 6 del decreto si ammette che il termine è “prorogabile di ulteriori tre mesi dopo la sua instaurazione e prima della sua scadenza con accordo scritto delle parti”. È consentita la mediazione in modalità telematica, secondo la disciplina del nuovo art. 8 bis. ConTRIBUTI DI DoTTRInA Al fine di incentivare la mediazione -invero in modo dolcemente coartato -il legislatore usa il bastone e la carota. Il bastone è costituito dalle conseguenze spiacevoli nel caso di mancata partecipazione al procedimento di mediazione. Il nuovo art. 12 bis fissa il catalogo delle conseguenze processuali della mancata partecipazione al procedimento di mediazione, così enunciando: “1. Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al primo incontro del procedimento di mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile. 2. Quando la mediazione costituisce condizione di procedibilità, il giudice condanna la parte costituita che non ha partecipato al primo incontro senza giustificato motivo al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al doppio del contributo unificato dovuto per il giudizio. 3. Nei casi di cui al comma 2, con il provvedimento che definisce il giudizio, il giudice, se richiesto, può altresì condannare la parte soccombente che non ha partecipato alla mediazione al pagamento in favore della controparte di una somma equitativamente determinata in misura non superiore nel massimo alle spese del giudizio maturate dopo la conclusione del procedimento di mediazione. 4. Quando provvede ai sensi del comma 2, il giudice trasmette copia del provvedimento adottato nei confronti di una delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, al pubblico ministero presso la sezione giurisdizionale della Corte dei conti, e copia del provvedimento adottato nei confronti di uno dei soggetti vigilati all’autorità di vigilanza competente”. La carota è costituita dai benefici descritti negli artt. 17 (esenzioni tributarie) e 20 (credito d’imposta) del D.L.vo n. 28/2010, novellati con il D.L.vo n. 149/2022. Con la novella si ampliano tali benefici: oltre a confermare che “Tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento di mediazione sono esenti dall’imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura” (art. 17, comma 1), si prevede che “il verbale contenente l’accordo di conciliazione è esente dall’imposta di registro entro il limite di valore di centomila euro, altrimenti l’imposta è dovuta per la parte eccedente” (art. 17, comma 2), aumentando l’esenzione rispetto alla vecchia soglia di 50.000 euro. Inoltre si aumenta il credito d’imposta disciplinato nel citato art. 20. Ulteriore tessera incentivante la mediazione è l’introduzione delle disposizioni sul patrocinio a spese dello Stato alla parte non abbiente per l’assistenza dell’avvocato nel procedimento di mediazione (artt. 15 bis, art. 15 undecies D.L.vo n. 28/2010). Al fine di favorire, oltre all’accesso alla mediazione, anche la fruttuosità del meccanismo è previsto tuttavia che il beneficio spetta solo “se è raggiunto l’accordo di conciliazione” (art. 15 bis). L’impostazione finalistica della novella della disciplina della mediazione è riconosciuta nella relazione del Primo Presidente della Corte di Cassazione RASSEGnA AVVoCATURA DELLo STATo -n. 1/2023 sull’andamento della giustizia in occasione dell’inaugurazione anno giudiziario 2023: “Per favorire la mediazione, la riforma del 2022 ha previsto alcuni incentivi fiscali sotto forma di credito di imposta, se le parti raggiungono un accordo, e di esenzione dall’imposta di registro nonché modalità di ricorso al gratuito patrocinio (tema su cui già era già intervenuta la Corte costituzionale con la sentenza n. 10 del 2022)”. modifiche al D.L. 12 settembre 2014, n. 132, conv. L. 10 novembre 2014, n. 162 sulla negoziazione assistita. Le modifiche vengono operate con l’art. 9 del D.L.vo n. 149/2022. nella citata relazione del Primo Presidente della Corte di Cassazione per l’anno 2023 si rileva che la negoziazione assistita “non ha avuto ampia applicazione, probabilmente per la rigidità del procedimento”. Al fine di incentivare la diffusione dell’istituto, tra le materie che non possono costituire oggetto di negoziazione assistita non rientrano più le controversie in materia di lavoro, nelle quali si potrà ricorrere alla negoziazione assistita, senza che ciò costituisca condizione di procedibilità della domanda giudiziale. Si prevede, inoltre, la possibilità dello svolgimento della negoziazione assistita in modalità telematica. Come è noto, la negoziazione assistita può essere facoltativa ed obbligatoria. È obbligatoria per importanti controversie: “Chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti deve, tramite il suo avvocato, invitare l’altra parte a stipulare una convenzione di negoziazione assistita. allo stesso modo deve procedere, fuori dei casi previsti dal periodo precedente e dall’articolo 5, comma 1-bis, del decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28, chi intende proporre in giudizio una domanda di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti cinquantamila euro. L’esperimento del procedimento di negoziazione assistita è condizione di procedibilità della domanda giudiziale” (art. 3, comma 1, D.L. n. 132/2014). innovazioni nel giudizio arbitrale. Infine, sono state apportate importanti innovazioni al giudizio arbitrale nel solco dell’orientamento legislativo dell’ultimo quarantennio -a partire dalla L. 9 febbraio 1983, n. 28 -mirante ad assimilare quanto più possibile il giudizio arbitrale a quello giurisdizionale. Si richiamano, in particolare, tre aspetti: -“La domanda di arbitrato produce gli effetti sostanziali della domanda giudiziale” (art. 816 bis.1 c.p.c.); -possibilità della adozione di provvedimenti cautelari: “Le parti, anche mediante rinvio a regolamenti arbitrali, possono attribuire agli arbitri il potere di concedere misure cautelari con la convenzione di arbitrato o con atto scritto anteriore all’instaurazione del giudizio arbitrale. La competenza cau ConTRIBUTI DI DoTTRInA telare attribuita agli arbitri è esclusiva” (art. 818 comma 1). In questa evenienza “Contro il provvedimento degli arbitri che concede o nega una misura cautelare è ammesso reclamo a norma dell’articolo 669-terdecies davanti alla corte di appello, nel cui distretto è la sede dell’arbitrato, per i motivi di cui all’articolo 829, primo comma, in quanto compatibili, e per contrarietà al- l’ordine pubblico” (art. 818 bis c.p.c.). L’art. 818 ter c.p.c. regola l’attuazione della misura cautelare: “L’attuazione delle misure cautelari concesse dagli arbitri è disciplinata dall’articolo 669-duodecies e si svolge sotto il controllo del tribunale nel cui circondario è la sede dell’arbitrato o, se la sede dell’arbitrato non è in italia, il tribunale del luogo in cui la misura cautelare deve essere attuata, resta salvo il disposto degli articoli 677 e seguenti in ordine all’esecuzione dei sequestri concessi dagli arbitri. Competente è il tribunale previsto dal primo comma”; -translatio iudicii tra giudizio arbitrale e giudizio ordinario, disciplinata dall’art. 819 quater c.p.c.: “il processo instaurato davanti al giudice continua davanti agli arbitri se una delle parti procede a norma dell’articolo 810 entro tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza con cui è negata la competenza in ragione di una convenzione di arbitrato o dell’ordinanza di regolamento. il processo instaurato davanti agli arbitri continua davanti al giudice competente se la riassunzione della causa ai sensi del- l’articolo 125 delle disposizioni di attuazione del presente codice avviene entro tre mesi dal passaggio in giudicato del lodo che declina la competenza arbitrale sulla lite o dalla pubblicazione della sentenza o dell’ordinanza che definisce la sua impugnazione. Le prove raccolte nel processo davanti al giudice o all’arbitro dichiarati non competenti possono essere valutate come argomenti di prova nel processo riassunto ai sensi del presente articolo. L’inosservanza dei termini fissati per la riassunzione ai sensi del presente articolo comporta l’estinzione del processo. Si applicano gli articoli 307, quarto comma, e 310 ”. 9. Considerazioni finali. Quali le conclusioni sulla bontà della riforma dei meccanismi stragiudiziali al fine del recupero della efficienza del processo civile? Globalmente, è una onesta e buona novella. La riforma non contiene stravolgimenti nella disciplina del processo, operando interventi di manutenzione ordinaria e, a tratti, di manutenzione straordinaria. Il limite vero, tuttavia, è che essa è in continuità con la politica di deflazione del contenzioso dell’ultimo ventennio, finalizzata alla spasmodica ricerca della ragionevole durata del processo tramite la previsione di condizioni di procedibilità ed il progressivo aumento dell’entità del contributo unificato delle spese di giustizia. Autorevole giurista ben sintetizza tale situazione parlando di “processo sotto l’incubo della ragionevole durata”. RASSEGnA AVVoCATURA DELLo STATo -n. 1/2023 Una politica deflattiva, fatta con tali mezzi, a giudizio dello scrivente, integra, in sostanza, un vulnus del diritto di azione. Il legislatore nazionale dell’ultimo ventennio, a prescindere dal clima politico, punta a conseguire la riduzione del contenzioso creando reticolati e barriere protettive rispetto alla cittadella giudiziaria: condizioni di procedibilità -quali la mediazione obbligatoria (riguardante le cause più rilevanti) e la negoziazione assistita obbligatoria (riguardante residualmente tutte le controversie di valore piccolo e medio) -ed elevati costi del processo. Questi strumenti contribuiscono in misura inadeguata a deflazionare il contenzioso, come registrato nelle periodiche Relazioni del Primo Presidente della Corte di Cassazione all’inaugurazione dell’anno giudiziario e risultante dalle varie statistiche pubblicate. nella relazione del Primo Presidente della Corte di Cassazione per l’anno 2023 si rileva che “Nei casi in cui la mediazione è obbligatoria, tuttavia, si segnala che al numero delle iscrizioni non corrisponde un prevalente numero di accordi raggiunti, mentre quando la mediazione è delegata dal giudice, anche se ancora in misura limitata, si riscontra la volontà delle parti di cercare di raggiungere l’accordo”. In termini di efficienza/ economicità lo strumento è virtuoso se conduce in prevalenza a definizioni bonarie (ossia: quando almeno il 51 % dei procedimenti preventivi conduce alla definizione bonaria). Circostanza che non ricorre nella prassi, sicché il meccanismo in esame viene visto come un paletto per ostacolare la vista del giudice. Il costo del processo è notevole, tenuto conto della disciplina del contributo unificato delle spese di lite, che è in periodico aumento. Ciò emerge da una rapida scorsa dell’art. 13 D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), che indica gli importi del detto contributo. L’effetto convergente dei due fattori, in uno ai costi dell’avvocato difensore, è che i soggetti vengono controstimolati ad agire dinanzi al giudice a tutela dei propri diritti. E ciò in misura proporzionale al valore della lite: più il valore della lite è basso, meno si è stimolati ad agire in giudizio, considerate le barriere della mediazione obbligatoria e/o negoziazione assistita obbligatoria, attesi i costi del processo ed il compenso da pagare al proprio avvocato (il tutto corroborato da misure del tipo ex art. 91, ultimo comma c.p.c. secondo cui “Nelle cause previste dall’articolo 82, primo comma, [cause il cui valore non eccede euro 1.100] le spese, competenze ed onorari liquidati dal giudice non possono superare il valore della domanda”). Si assiste ad un paradosso nell’epoca contemporanea: il catalogo dei diritti, formalmente, è in continuo aumento -vi è anche chi provocatoriamente parla di “troppi diritti” -per effetto dell’evoluzione normativa (interna, del- l’Unione Europea, internazionale), delle statuizioni della Corte costituzionale e della Corte di cassazione (es. la categoria del danno parentale) e del benessere. Tuttavia, gli strumenti per azionarli sono, di fatto, limitati. E lo sono in ConTRIBUTI DI DoTTRInA modo proporzionale allo status economico del soggetto di diritto ed al valore della lite. Per chi non ha adeguate disponibilità economiche è stretta, di fatto, la via di accesso alla giustizia. Tanto non si verifica per chi ha redditi adeguati. All’evidenza, per il grande imprenditore che deve attivare un contenzioso con il committente per un appalto di notevole entità, l’ostacolo di filtri o costi del contributo unificato o spese legali è marginale. Anzi, sovente l’esemplificato grande imprenditore, pagando, attiva procedimenti alternativi di giustizia, quali gli arbitrati. In altre parole: gli strumenti preventivi ed alternativi di risoluzione delle controversie possono pure condurre ad una riduzione del carico di lavoro degli uffici giudiziari (in questa ottica, ed in termini assoluti, anche la definizione del solo 10% delle mediazioni e negoziazioni assistite attivate è un successo), ma a costi non ragionevoli, atteso che viene -surrettiziamente -leso il diritto di azione, che pure ha tutela costituzionale (artt. 24, comma 1, e 113 Cost.). I meccanismi preventivi ed i costi del processo -con effetto di controstimolo all’azione -non sono stati incisi dalla riforma Cartabia. Anzi, si è avuto un aumento di tali tecniche (si è visto innanzi che sono aumentate le materie nelle quali opera la mediazione obbligatoria). De iure condendo, occorrerebbe ridurre detti ostacoli o -almeno con riguardo alle condizioni di procedibilità -metterli in condizione di funzionare in modo efficiente. Vuol dirsi che una ragionevole tecnica per conseguire l’efficienza del processo potrebbe essere quella di ridurre il carico del contributo unificato delle spese di giudizio, in uno alla applicazione rigida del principio della soccombenza nel carico delle spese di lite. A quest’ultimo proposito, va rilevato che troppe volte i giudici non rispettano il principio di soccombenza, disponendo -senza che sussistano gravi ed eccezionali ragioni ex art. 92 c.p.c. -la compensazione delle spese di lite. Difatti è frequente leggere nelle sentenze che “Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio”; tanto in modo apodittico senza poi motivare sulle specifiche ragioni, contro prescrizioni, anche chiare, che impongono tale motivazione. Ciò con un doppio danno. In primo luogo si elimina la funzione di igiene processuale garantita dalla regola della soccombenza: il rischio di essere responsabile per le spese scoraggerebbe molte persone, che non hanno reale probabilità di successo, dall’agire in giudizio. In secondo luogo non viene garantita la piena ed effettiva tutela delle situazioni protette alla parte che ha ragione, la quale deve sopportare le c.d. spese legali anticipate. Ulteriore ragionevole tecnica potrebbe essere quella di eliminare le condizioni di procedibilità, ed in specie mediazione e negoziazione assistita obbligatoria, prevedendo solo meccanismi (preventivi od alternativi) facoltativi. Ciò spronerebbe ancor di più alla creazione di organismi conciliativi competitivi ed altamente professionali. Difatti, in presenza di una giustizia “privata” RASSEGnA AVVoCATURA DELLo STATo -n. 1/2023 efficiente, il cittadino -a fronte delle lungaggini e dei costi della giustizia spontaneamente si rivolgerebbe ad organismi privati per conseguire la tutela del bene della vita. A ciò consigliato anche dal difensore che, all’atto del conferimento dell’incarico, è tenuto ad informare l’assistito della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione e delle agevolazioni fiscali (art. 4, comma 2, D.L.vo n. 28/2010) e della convenzione di negoziazione assistita (art. 2, comma 7, D.L. n. 132/2014, conv. L. n. 162/2014). In alternativa, occorrerebbe almeno ridurre l’ambito della obbligatorietà della mediazione e della negoziazione assistita. ConTRIBUTI DI DoTTRInA La responsabilità medica alla prova dell’ai Gaetana Natale* Federico D’Orazio** Sommario: 1. L’intelligenza artificiale e le sfide per il giurista -2. Le principali applicazioni dell’intelligenza artificiale in medicina -3. La disciplina euro-unitaria sui dispositivi medici -4. Le più recenti proposte legislative dell’Unione Europea in materia di intelligenza artificiale -5. alcune riflessioni in tema di ai e responsabilità medica -5.1. La responsabilità dell’operatore sanitario -5.2. La responsabilità della struttura ospedaliera -5.3. La responsabilità del produttore. 1. L’intelligenza artificiale e le sfide per il giurista. Marcel Proust affermava che “la maggior parte di quello che i medici sanno è insegnato loro dai malati”. Ma cosa direbbe oggi Marcel Proust se si confrontasse con gli algoritmi c.d. di rinforzo, con il machine learning o con i computer neuromorifici? negli ultimi decenni si è assistito a una radicale crescita dell’impiego di sistemi di Intelligenza Artificiale (AI) nei più diversi settori (1). Tra questi, l’ambito medico e sanitario rappresenta certamente uno dei terreni che si è rivelato particolarmente fertile per l’applicazione dei sistemi di AI. (*) Avvocato dello Stato, assegnato alla V sezione dell’Avvocatura Generale dello Stato preposta alla difesa tecnica del Ministero della Salute; dottore di ricerca in Comparazione e diritto civile, professore a contratto di Diritto sanitario nei Master Daosan; Consigliere giuridico del Garante per la tutela dei dati personali. (**) Dottorando di ricerca presso la Scuola Superiore Sant’Anna (Pisa), ammesso alla pratica forense presso l’Avvocatura dello Stato. L’articolo costituisce lo sviluppo e l’approfondimento scientifico della relazione “ai and medical responsability; the evolutionary Shift from Strict Liability to accountability. Current regulatory Framework and Unresolved issues in the field of intelligent medical Devices” presentata dall’avv. dello Stato Gaetana Natale al Simposio internazionale “il futuro è qui: scienza e medicina cambiano. Come cambierà il medico?”. Convegno tenutosi a Salerno il 21 ottobre 2023 in occasione della XXii edizione de Le Giornate della Scuola medica Salernitana. (1) Il sistema di AI più noto al pubblico è ChatGPT di open ai, un servizio di modelli linguistici di grandi dimensioni. La parabola di questa Intelligenza Artificiale è testimone della rapidità dell’evoluzione tecnologica: da più parti è stato infatti rilevato un calo delle performance di ChatGPT negli aggiornamenti del sistema e il superamento dello stesso da parte di altre AI. Si veda in materia G. BECCARIA, medicina, il ‘Nobel’per l’informatica LeCun: “ChatGpt è superato, ecco l’a.i. di domani”, in la repubblica, 20 settembre 2023 ( ultimo accesso 20.09.2023); P. BEnAnTI, ChatGPT è cambiato ma in peggio, disponibile all’indirizzo di rete (ultimo accesso 20.09.2023). Quest’ultimo, in particolare, analizza le metriche di valutazione dell’AI osservando come il loro cambiamento può determinare una diversità di comportamento del modello. Le nuove ricerche sono oggi indirizzate verso la creazione di sistemi di calcolo neuromorfici in grado di apprendere e adattarsi in corso d’opera senza richiedere una fase di apprendimento dei dati, oppure dei c.d. biocomputer che tentano di riprodurre le connessioni neurali tipiche del cervello umano. Per RASSEGnA AVVoCATURA DELLo STATo -n. 1/2023 Come spesso accade, a fronte dell’evoluzione tecnologica emergono questioni etiche e giuridiche che necessitano di una adeguata risposta (2), in primo luogo dal punto di vista regolatorio, così che le potenzialità delle nuove tecnologie possano svilupparsi senza pregiudicare la tutela dei diritti fondamentali della persona e dei postulati dello Stato democratico. Con particolare riguardo alle applicazioni dell’AI in medicina, con elevato grado di approssimazione, possono individuarsi tre principali sfide che si pongono all’attenzione del giurista (3): i) assicurare la qualità dei dati di addestramento degli algoritmi di modo tale che essi non riflettano i vizi o i pregiudizi delle informazioni immesse nel sistema di AI (4); ii) garantire la tutela del paziente e dei suoi dati personali nel rispetto della disciplina sul consenso informato; iii) predisporre un adeguato regime di responsabilità per i danni prodotti da decisioni mediche che siano state influenzate dall’impiego di sistemi di AI, oppure che siano state portate a compimento mediante gli stessi. L’obiettivo di questo contributo è soffermarsi, in particolare, sulla terza questione menzionata, ovvero quella riguardante l’incidenza dell’applicazione in ambito sanitario dell’AI sulla disciplina della responsabilità medica. A tale scopo, dopo aver analizzato le principali applicazioni dell’AI in medicina e le innovazioni da esse derivanti nell’ambito della diagnosi e del trattamento delle patologie (paragrafo 2), si concentrerà l’attenzione dapprima sulla disciplina europea dei dispositivi medici (paragrafo 3) e, successivamente, sulle più recenti proposte legislative avanzate a livello dell’Unione Europea per la regolazione dell’Intelligenza Artificiale (paragrafo 4). In questo modo, si ritiene di poter individuare alcuni dei principali ele alcuni spunti v. gli indirizzi di rete e (ultimo accesso 20.09.2023). nell’ambito di questo settore della ricerca scientifica si parla ormai anche di “computer liquido a DnA”: . (2) In dottrina è stato osservato come l’avanzare delle nuove tecnologie possa causare una “disruption” della regolazione giuridica esistente di determinati fenomeni: R. BRownSwoRD et al., Law, regulation and Technology: The Field, Frame, and Focal Questions, in R. BRownSwoRD et al. (eds.), oxford Handbook of Law, regulation and Technology, oUP, 2017, pp. 3 ss. (3) Per una più ampia riflessione sulle sfide per il giurista poste dall’AI si rinvia a G. nATALE, intelligenza artificiale, neuroscienze, algoritmi: le sfide future per il giurista. L’uomo e la macchina, in rassegna avvocatura dello Stato, 2020, n. 4, pp. 249 ss. (4) Per un approfondimento del tema v. G. RESTA, Governare l’innovazione tecnologica: decisioni algoritmiche, diritti digitali e principio di uguaglianza, in Politica del diritto, 2019, n. 2, pp. 199 ss.; A. GERyBAITE, S. PALMIERI, F. VIGnA, Equality in Healthcare ai: Did anyone mention Data Quality?, in BioLaw Journal -rivista di BioDiritto, 2022, n. 4, pp. 385 ss.; G. RE FERRÈ, Data donation and data altruism to face algorithmic bias for an inclusive digital healthcare, in BioLaw Journal -rivista di Bio- Diritto, 2023, n. 1, pp. 115 ss. Sul problema delle bias traslazionali e di contesto nel settore medico v. G. CoMAnDé, intelligenza artificiale e responsabilità tra liability e accountability. il carattere trasformativo dell’ia e il problema della responsabilità, in analisi Giuridica dell’Economia, 2019, n. 1, pp. 181 ss. ConTRIBUTI DI DoTTRInA menti utili a tratteggiare il quadro regolatorio in materia di responsabilità per danno prodotto da sistemi di AI (paragrafo 5). 2. Le principali applicazioni dell’intelligenza artificiale in medicina. Le applicazioni dell’Intelligenza Artificiale in medicina sono al giorno d’oggi molto numerose ed involgono differenti ambiti della materia (5). Uno dei settori in cui le potenzialità dell’AI sono più facilmente riscontrabili è quello della diagnosi delle malattie. Tra le diverse applicazioni innovative merita soffermarsi, in primo luogo, sui sistemi algoritmici in grado di diagnosticare la presenza di patologie nei pazienti sulla base dell’analisi di esami di diagnostica per immagini. Tra i casi più significativi vi è quello riguardante lo sviluppo dell’algoritmo “DLAD” (Deep Learning based automatic Detection), avvenuto nel 2018, che ha permesso ai ricercatori del Seoul National University Hospital and College of medicine di elaborare un sistema intelligente in grado di analizzare le radiografie del torace e di rilevare la crescita anormale delle cellule (6). L’algoritmo si è dunque dimostrato utile nella rilevazione di patologie, come il cancro ai polmoni, sulla base di scansioni TC. Altri algoritmi di AI, come quello elaborato da arterys inc., che ha ottenuto l’approvazione della Food and Drug administration (FDA) statunitense (7) nel 2022, sono invece in grado di rilevare lesioni cancerogene nel fegato oltre che nei polmoni. Tra i sistemi di AI impiegati per la diagnosi dei tumori possono inoltre ricordarsi l’algoritmo “LynA” (Lymph Node assistant) creato nel 2018 dai ricercatori di Google ai Healthcare per l’identificazione di tumori metastatici al seno attraverso l’analisi delle biopsie dei linfonodi (8), nonché le applicazioni di AI volte a diagnosticare tumori della pelle e a permetterne una classi (5) Per una panomarica introduttiva v. A.M. RAhMAnI et al., machine Learning (mL) in medicine: review, applications, and Challenges, in mathematics, 2021, n. 9, pp. 2970 ss. (6) J.G. nAM et al., Development and Validation of Deep Learning-based automatic Detection algorithm for malignant Pulmonary Nodules on Chest radiographs, in radiology, 2019, vol. 290, pp. 218 ss. (7) I primi dispositivi medici basati su sistemi di AI che sono stati approvati dalla FDA risalgono al 1995, ma il loro numero è cresciuto radicalmente negli ultimi dieci anni. L’intera lista dei dispositivi medici che impiegano l’AI approvati dalla FDA è disponibile al sito di rete (ultimo accesso 05.09.2023). (8) Per uno studio delle applicazioni dell’IA per la classificazione dei tumori al seno v. T.E. MA- ThEw, an improvised random Forest model for Breast Cancer Classification, in NeuroQuantology, 2022, vol. 20, n. 5, pp. 713 ss. Google, grazie ai ricercatori di Google Deepmind, ha inoltre prodotto un algoritmo chiamato “Alpha- Missense” per la previsione delle malattie genetiche e della dannosità delle mutazioni nei geni umani. Si veda al riguardo: ; (ultimo accesso 23.10.23). RASSEGnA AVVoCATURA DELLo STATo -n. 1/2023 ficazione (9). nell’ambito della diagnosi di malattie cardiache e della valutazione del rischio di morte cardiaca improvvisa, spiccano per innovatività l’algoritmo sviluppato da anumana in collaborazione con Pfizer per la diagnosi della amiloidosi cardiaca e quello di aliveCor per l’identificazione delle fibrillazioni atriali (approvato dalla FDA già nel 2014) (10). In termini generali, quel che appare sorprendente è che, secondo uno studio del 2019, l’Intelligenza Artificiale potrebbe essere in grado di riconoscere le malattie sulla base di diagnostica per immagini con la stessa efficacia del personale medico (11). In particolare, sulla base del confronto tra le prestazioni dell’AI e quelle degli operatori sanitari nel rilevare le malattie utilizzando studi condotti tra il 2012 e il 2019, la ricerca sostiene che le prestazioni diagnostiche sono risultate equivalenti e che l’utilizzo di tecnologie di deep learning potrebbe rendere ancora più efficiente l’identificazione delle malattie da parte dell’AI nei prossimi anni. Al di fuori delle applicazioni per la diagnosi delle patologie, l’AI ha trovato recente utilizzazione anche per la creazione e la produzione di nuovi farmaci (12). Le aziende farmaceutiche Exscientia e Sumitomo Dainippon hanno ad esempio prodotto con l’ausilio dell’AI un farmaco per il trattamento del disturbo ossessivo compulsivo che si trova al momento in fase di sperimentazione clinica in Giappone. Il farmaco è stato sviluppato in un solo anno, contro i cinque anni di cui generalmente necessitano simili progetti. Pur dovendosi ancora valutare a pieno l’efficacia clinica del medicinale, la rapidità con cui è stato realizzato appare sintomo dei vantaggi che possono derivare dall’impiego di sistemi di AI per la creazione di farmaci. Conclusioni di questo tipo trovano conferma in altri casi simili: il farmaco “InS018_055” per la cura della fibrosi polmonare idiopatica, di proprietà della (9) K. DAS et al., machine Learning and its application in Skin Cancer, in international Journal of Environment research and Public Health, 2021, pp. 1 ss. (10) Merita sottolineare che l’elencazione qui proposta è meramente esemplificativa dal momento che le applicazioni dell’AI per la diagnosi delle malattie sono oggi innumerevoli. Si consideri, ad esempio, che la FDA statunitense ha approvato anche un algoritmo impiegato per la diagnosi della retinopatia diabetica (si tratta dell’algoritmo “IDx” della Digital Diagnostics inc.) oppure che ulteriori innovative applicazioni dell’AI permettono oggi di aiutare i medici nell’identificazione della tipologia di tumore durante un intervento chirurgico: C. VERMEULEn et al., Ultra-fast deep-learned CNS tumour classification during surgery, in Nature, 11 ottobre 2023. (11) X. LIU et al., a comparison of deep learning performance against health-care professionals in detecting diseases from imaging: a systematic review and meta-analysis, in Lancet Digital Health, 2019, n. 1, pp. 271 ss. In un recente caso italiano, tramite l’impiego di sistemi di AI è stata rilevata in una paziente una dissezione coronarica che non era emersa nell’analisi della diagnostica per immagini compiuta dal personale sanitario. La notizia è stata riportata dal giornale il mattino. L’articolo è disponibile all’indirizzo di rete (ultimo accesso 23.10.2023). (12) Per un’ampia analisi si veda J. KRAUS, Can artificial intelligence revolutionize drug discovery?, in ai & Society, 2020, vol. 35, pp. 501 ss. ConTRIBUTI DI DoTTRInA società biotecnologica di hong Kong insilico medicine, è stato interamente progettato dall’AI in tempi rapidissimi ed è stato recentemente autorizzato per la sperimentazione umana (corrispondente alla fase II della sperimentazione clinica). Secondo i risultati di un recente studio, i sistemi di AI sarebbero inoltre in grado di favorire la creazione di nuovi antibiotici. Grazie all’AI, è stato infatti possibile riportare in vita le molecole di proteine estinte, prodotte da ominidi dei tempi di neanderthal; le proteine delle specie estinte potrebbero essere una risorsa non sfruttata per lo sviluppo di antibiotici (13). L’importanza della scoperta si comprende agevolmente se solo si considera che la produzione di antibiotici ha subito un forte rallentamento negli ultimi decenni, mentre il numero di batteri a loro resistenti è in aumento. Un altro ambito applicativo molto importante è poi quello della valutazione delle interazioni tra i farmaci. numerosi algoritmi sono infatti impiegati per valutare le interazioni tra medicinali a partire dalle cartelle cliniche elettroniche o dalle segnalazioni di eventi avversi da parte di pazienti, oppure ancora dai database dell’oMS. In altri casi, gli algoritmi per la valutazione dell’interazione tra farmaci è stata posta ad oggetto di ricerche universitarie in materia di terapie antitumorali. Una analisi condotta dai ricercatori della Vanderbilt University ha studiato, ad esempio, come ottimizzare la terapia di combinazione per il tumore del polmone non a piccole cellule e per il melanoma servendosi dell’algoritmo “MuSyC” (multi-dimensional synergy of combinations) (14). Inoltre, grazie all’impiego di sistemi di AI, è stato possibile permettere a persone paralizzate di riacquistare la capacità di parola o di camminare: se in un caso una donna paralizzata a causa di in ictus ha potuto ricominciare a comunicare attraverso un avatar digitale comandato con il pensiero che riproduce -si tratta, dunque di un’interfaccia in grado di tradurre i segnali dell’attività cerebrale in parole ed espressioni (15) -, in un altro caso la creazione di una interfaccia cervello-spina dorsale ha permesso a una persona paralizzata di ricominciare a camminare (16). Risultati significativi sono stati ottenuti anche nel contrasto alla diffusione del Covid-19 e nel campo della psicologia. Per quanto riguarda il primo profilo, merita evidenziare che l’AI è stata utilmente utilizzata per predire, iden (13) J. MAASCh et al., molecular de-extinction of ancient antimicrobial peptides enabled by ma- chine learning, in Cell Host & microbe, 2023, vol. 31, pp. 1260 ss. (14) Si consulti al riguardo l’indirizzo di rete (ultimo accesso 31.08.22). (15) S. AMBRoGIo et al., an analog-ai chip for energy-efficient speech recognition and transcription, in Nature, 24 August 2023, vol. 620, pp. 768 ss. (16) h. LoRACh et al., Walking naturally after spinal cord injury using a brain-spine interface, in Nature, 1 June 2023, vol. 618, pp. 126 ss. RASSEGnA AVVoCATURA DELLo STATo -n. 1/2023 tificare e tracciare la diffusione del Covid-19, nonché per lo sviluppo di alcune cure e vaccini (17). Con riferimento invece alle applicazioni dell’AI in psicologia, si osserva una sempre più ampia diffusione di programmi per la diagnosi di disturbi psicologici e per il supporto dello psicologo nell’individuazione del trattamento più consono del paziente. Tra questi, possono menzionarsi in questa sede il programma “Mser-Diagno” che utilizza il mental Status Examination record (MSER) per valutare lo stato psichico del paziente e produrre un report narrativo, sulla cui base viene fornita un’indicazione diagnostica e di trattamento, nonché le chatbox “Eliza” e “woebot” (18). In particolare, Eliza rappresenta la prima AI pensata per la pratica psicologica; essa fu sviluppata nel 1966 da Joseph weizenbaum del massachusetts institute of Technology con l’obiettivo di creare un sistema che simulasse un terapeuta e fosse in grado di instaurare legame empatico con il paziente. In uno studio del 2013 è stato operato un confronto tra Eliza e uno psicoterapeuta di formazione cognitivo-comportamentale (19): una paziente ha partecipato a due brevi sessioni consecutive della durata di 15 minuti, di cui la prima svolta con la chatbox Eliza e la seconda con lo psicoterapeuta di persona. L’indagine svolta andava a indagare aspetti sia relativi alla performance, quali ad esempio l’efficienza della discussione e il corretto approccio al problema portato dalla paziente, sia la qualità della relazione terapeutica. Per altro verso, Woebot costituisce una delle ultime chatbox ideate per l’applicazione nel campo della psicologia. È un programma del 2017 sviluppato dall’Università di Stanford che, utilizzando una matrice cognitivo-comportamentale, offre un supporto personalizzato per coloro che soffrono di depressione o ansia. In particolare, Woebot utilizza la c.d. sentiment analysis, un processo di calcolo che analizza e cataloga le emozioni del paziente, nonché la emotion detection che permette di individuare le emozioni all’interno del testo prodotto dai pazienti con risultati molto efficaci. Le applicazioni dell’AI nel campo della psicologia inducono a riflettere (17) Per un approfondimento di come i sistemi di IA siano stati impiegati nella lotta contro il Covid-19 v. T. ALAFIF et al., machine and Deep Learning towards CoViD-19 Diagnosis and Treatment: Survey, Challenges, and Future Directions, in international Journal of Environmental research and Public Health, 2021, pp. 1 ss.; n. TAyARAnI, applications of artificial intelligence in Battling against Covid-19: a Literature review, in Chaos, Solitons & Fractals, 2021, vol. 142, pp. 1 ss. (18) Altri programmi che fanno uso dell’IA in psicologia sono, ad esempio, il programma “Sciroppo”, un sistema di supporto alle decisioni sul percorso psicoterapeutico da adottare per il paziente i cui dati anamnestici vengono valutati dal sistema; il programma “Sexpert” per la diagnosi e il trattamento di disturbi di natura sessuale; il programma “Espdq-C” per la rilevazione di disturbi della personalità. (19) I.A. CRISTEA, M. SUCALA, D. DAVID, Can you tell the difference? Comparing face-to-face versus computer-based interventions. The “Eliza” effect in Psychotherapy, in Journal of Cognitive and Behavioral Psychotherapies, 2013, vol. 13, n. 2, pp. 291 ss. ConTRIBUTI DI DoTTRInA sulla concreta possibilità che i sistemi di AI possano sostituirsi allo psicoterapeuta o, in termini più generali, al personale medico con esiti non del tutto prevedibili. In effetti, secondo i risultati di un report commissionato dallo Steering Committee for Human rights in the fields of Biomedicine and Health del Consiglio d’Europa i sistemi di AI sarebbero potenzialmente in grado di alterare il rapporto medico-paziente (20). Ancora una volta si tratterà dunque di indirizzare l’innovazione tecnologica in una direzione che sia rispettosa dei diritti e della dignità del paziente. Al riguardo, merita riprendere le considerazioni dello Steering Committee, affidate ai concluding remarks del report: “The degree to which AI systems inhibit ‘good’ medical practice hinges upon the model of service. If AI is used solely to complement the expertise of health professionals bound by the fiduciary obligations of the doctor-patient relationship, the impact of AI on the trustworthiness and human quality of clinical encounters may prove to be minimal. At the same time, if AI is used to heavily augment or replace human clinical expertise, its impact on the caring relationship is more difficult to predict. It is entirely possible that new, broadly accepted norms ‘good’ care will emerge through greater reliance on AI systems, with clinicians spending more time face-to-face with patients and relying heavily on automated recommendations” (21). 3. La disciplina euro-unitaria sui dispositivi medici. Le innovazioni ottenute in campo sanitario grazie all’applicazione dei sistemi di AI impongono di valutare se tali sistemi possano essere assoggettati alla regolamentazione europea dei dispositivi medici. A tale scopo, una ricognizione degli atti legislativi applicabili in materia di dispositivi medici a livello europeo (22) deve necessariamente prendere in considerazione il Regolamento (UE) 2017/745 relativo ai dispositivi medici (23), il Regolamento (UE) n. 536/2014 sulla sperimentazione clinica di medicinali per uso umano (24), e il Regolamento (CE) n. 726/2004 che istituisce procedure co (20) B. MITTELSTADT, The impact of artificial intelligence on The Doctor-Patient relationship, December 2021 (Report commissioned by the Steering Committee for human Rights in the fields of Biomedicine and health (CDBIo), Council of Europe). (21) B. MITTELSTADT, The impact of artificial intelligence on The Doctor-Patient relationship, cit., p. 64. (22) Per un’analisi della normativa europea in materia di dispositivi medici v. F.C. LA VATTIATA, ai-based medical devices: the applicable law in the European Union, in BioLaw Journal -rivista di BioDiritto, 2022, n. 4, pp. 411 ss. (23) Regolamento (UE) 2017/745 del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 aprile 2017 relativo ai dispositivi medici, che modifica la direttiva 2001/83/CE, il regolamento (CE) n. 178/2002 e il regolamento (CE) n. 1223/2009 e che abroga le direttive 90/385/CEE e 93/42/CEE del Consiglio. (24) Regolamento (UE) n. 536/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 aprile 2014 sulla sperimentazione clinica di medicinali per uso umano e che abroga la direttiva 2001/20/CE. RASSEGnA AVVoCATURA DELLo STATo -n. 1/2023 munitarie per l’autorizzazione e la sorveglianza di medicinali per uso umano e veterinario (25). Con riferimento al primo atto normativo menzionato, merita evidenziare che il Regolamento (UE) 2017/745 relativo ai dispositivi medici, entrato in vigore il 26 maggio 2021, ha sostituito le precedenti Direttive n. 93/42 e n. 90/385, conservandone tuttavia la disciplina integrata di nuove disposizioni (26). In particolare, sono stati ampliati i controlli sulla sicurezza e sulla efficacia dei dispositivi, è stata prevista la rimozione del meccanismo che permetteva di accelerare la commercializzazione di prodotti equivalenti ad altri già esistenti sul mercato, ed è stato posto l’obbligo di effettuare controlli successivi (clinical follow-up) alla commercializzazione per tutti i dispositivi medici. Tanto premesso, la questione circa la configurabilità dei sistemi di AI applicati in medicina alla stregua di dispositivi medici non può evidentemente prescindere, in primo luogo, dalla definizione di dispositivo medico contenuta nel Regolamento in esame. Ai sensi dell’art. 2(1) del Regolamento, costituisce un dispositivo medico qualunque strumento, apparecchio o software “destinato dal fabbricante a essere impiegato sull’uomo, da solo o in combinazione, per una o più delle [...] destinazioni d’uso mediche” specificamente contemplate dal Regolamento, che includono “diagnosi, prevenzione, monitoraggio, previsione, prognosi, trattamento o attenuazione di malattie” (27). Alla luce della vigente definizione, la possibilità di definire uno strumento di intelligenza artificiale quale dispositivo medico dipende pertanto dalla sussistenza di due elementi: da un alto, il perseguimento di uno degli obiettivi medici individuati dall’art. 2(1) e, dall’altro, l’intento del fabbricante di produrre un dispositivo da impiegarsi per fini medici (28). La disciplina contenuta nel Regolamento 2017/745 viene altresì in rilievo per l’individuazione degli obblighi posti in capo al fabbricante del dispositivo medico, i quali espressamente contemplati all’art. 10, riguardano la garanzia della sicurezza del dispositivo, i benefici clinici derivanti dal suo impiego e la qualità del prodotto messo in commercio. (25) Regolamento (CE) n. 726/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 31 marzo 2004 che istituisce procedure comunitarie per l’autorizzazione e la sorveglianza dei medicinali per uso umano e veterinario, e che istituisce l’agenzia europea per i medicinali. (26) Per l’analisi dei profili innovativi della nuova disciplina europea sui dispositivi medici v. n. MARTELLI et al., New regulation for medical Devices: What is Changing?, in Cardiovascular and interventional radiology, 2019, vol. 42, pp. 1272 ss. (27) Art. 2(1), Reg. (UE) 2017/745. (28) In questo senso si erano già espresse le linee guida emanate dalla Commissione europea con riferimento alle direttive precedenti: European Commission, Guidelines on the qualification and classification of stan alone software used in healtcare within the regulatory framework of medical devices (MEDDEV 2.1/6), July 2016. ConTRIBUTI DI DoTTRInA nell’impostazione di tale disciplina assumono ruolo centrale -anche al fine di verificare che il fabbricante adempia agli obblighi prescritti e, dunque, che il prodotto sia conforme alle esigenze di sicurezza ed efficacia del dispositivo medico -le valutazioni e le indagini cliniche di cui esso è oggetto: per limitarsi ad alcuni esempi, può segnalarsi la disposizione dell’art. 61, che fa obbligo al fabbricante di precisare e motivare il “livello di evidenze cliniche necessario a dimostrare il rispetto dei pertinenti requisiti generali di sicurezza e prestazione”, e prescrive inoltre, che “[t]ale livello di evidenze cliniche dev’essere appropriato in considerazione delle caratteristiche del dispositivo e della sua destinazione d’uso”. Di conseguenza il fabbricante è tenuto ad aggiornare periodicamente le valutazioni cliniche, affinché sia garantita la continuativa efficacia del dispositivo medico rendendo disponibili i risultati delle indagini in appositi report. Egualmente rilevante è l’art. 62, che disciplina le indagini cliniche e ne predispone i requisiti procedurali: finalità principale di tali indagini è quella di accertare che il dispositivo sia idoneo a svolgere una delle funzioni mediche rientranti nell’ambito di applicazione del Regolamento, di riscontrare la sussistenza di benefici clinici conseguenti all’utilizzazione di tale dispositivo, di verificarne la sicurezza, di individuare eventuali effetti collaterali del suo impiego e di valutare se questi costituiscano rischi accettabili nel confronto con i benefici attesi. Per quanto riguarda, in secondo luogo, la normativa sulla sperimentazione clinica di medicinali per uso umano contenuta nel Regolamento (UE) n. 536/2014, va sottolineata la limitata rilevanza per i sistemi di AI utilizzati in campo medico. Le relative disposizioni non sono infatti applicabili ai dispositivi medici elaborati grazie all’impiego di sistemi di AI, salvo i casi in cui il prodotto sanitario risulti da una combinazione dei dispositivi medici con prodotti farmaceutici sottoposti alla normativa in esame (29). In termini diversi viene in gioco il Regolamento (CE) n. 726/2004 che ha istituito l’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) con lo scopo di promuovere uno standard di eccellenza nella valutazione e supervisione dei medicinali. L’attività dell’Agenzia, com’è noto, consiste principalmente nel prestare assistenza agli Stati Membri e alle Istituzioni dell’UE mediante pareri scientifici e tecnici sulla qualità, sulla sicurezza e sulla efficacia dei medicinali. Inoltre, l’EMA coordina la definizione di linee guida per il rilascio delle autorizzazioni di immissione nel mercato di medicine destinate ad uso umano, e presiede alle attività di sorveglianza e controllo dei medicinali dopo la loro commercializzazione. nel caso di prodotti composti da dispositivi medici fondati sull’uso combinato di sistemi di AI e di medicinali, l’EMA è pertanto responsabile per la (29) F.C. LA VATTIATA, ai-based medical devices: the applicable law in the European Union, cit., pp. 423-424. RASSEGnA AVVoCATURA DELLo STATo -n. 1/2023 valutazione della qualità, efficacia e sicurezza dei prodotti oggetto delle domande di autorizzazione per l’immissione nel mercato. In particolare, nelle diverse ipotesi in cui il dispositivo medico basato su sistemi di AI richiede un trattamento medicinale di carattere meramente ancillare, l’EMA sarà chiamata ad emettere un parere sulla qualità e sulla sicurezza della sostanza medicinale ancillare. 4. Le più recenti proposte legislative dell’Unione Europea in materia di intelligenza artificiale. Tra le iniziative legislative dell’Unione Europea in materia di AI riveste un ruolo di primo piano la Proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce regole armonizzate sull’intelligenza artificiale (Legge sull’intelligenza artificiale) del 21 aprile 2021 (30). La Proposta suddetta si pone due obiettivi principali: da un lato affrontare i rischi riguardanti alcune specifiche applicazioni dell’Intelligenza Artificiale e, dall’altro, promuovere lo sviluppo di questo tipo di tecnologia (31). In questa prospettiva, com’è noto, la regolamentazione proposta con l’ai act si fonda sull’individuazione di differenti livelli di rischio che vengono associati al tipo di sistema di AI impiegato (“risk-based approach”). Gli snodi centrali della proposta regolatoria vertono sulla predisposizione di una definizione ampia di Intelligenza Artificiale (32) come tale idonea a contenere anche i futuri sviluppi della tecnologia; sulla configurazione di una regolamentazione incentrata sui casi di c.d. alto rischio; sul divieto di utilizzazione di alcuni tipi di AI specificamente individuati per ragioni di tutela di diritti e libertà fondamentali; e sull’individuazione di requisiti minimi di trasparenza applicabili in tutti i casi di impiego di sistemi di AI. nell’analisi della disciplina contenuta nell’ai act, che intende coprire sia le fasi di sviluppo e di commercializzazione dei sistemi di AI sia quella di concreta applicazione degli stessi, due principali questioni vengono in rilievo: da un lato, la definizione del rapporto della normativa proposta con gli altri atti (30) Proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce regole armonizzate sull’intelligenza artificiale (Legge sull’Intelligenza Artificiale) e modifica alcuni atti legislativi dell’Unione, Bruxelles, 21.4.2021 (CoM(2021) 206 final). (31) Si veda sul punto la relazione introduttiva della Proposta (punto n. 1.1., riguardante “Motivi e obiettivi della proposta”). (32) Si tratta di una scelta che è stata criticata da una parte della dottrina, la quale ritiene che, a fronte dell’impossibilità di fornire una definizione di AI in grado di coprirne tutte le presenti e future applicazioni, sarebbe più opportuno provvedere alla sua disciplina mediante una regolamentazione per settori piuttosto che di tipo unitaria. In questo senso v. A. BERToLInI, artificial intelligence Does Not Exist! Defying The Technology-Neutrality Narrative in The regulation of Civil Liability for advanced Technologies, in Europa e diritto privato, 2022, n. 2, pp. 369 ss.; ID., ai & Civil Liability, in A. BERToLInI, R. CARLI, R. LIMonGELLI e L. SPoSInI, regulating advanced Technologies: Policy Papers of the Jean monnet Centre of Excellence on the regulation of robotics and ai - EUra, 2022, pp. 39 e ss. ConTRIBUTI DI DoTTRInA legislativi vigenti in materie, come quella dei dispositivi medici, in cui l’AI trova frequente applicazione; dall’altro, la necessità di individuare il livello di rischio da attribuirsi ai sistemi di AI impiegati in ambito sanitario. Con riferimento alla prima questione, può osservarsi come la stessa Proposta di Regolamento provveda a disciplinare il rapporto tra le proprie disposizioni e quelle di altre fonti del diritto dell’UE. Alla nuova normativa viene infatti attribuita una “natura orizzontale” che richiede “un’assoluta coerenza con la normativa vigente dell’Unione applicabile ai settori nei quali i sistemi di AI ad alto rischio sono già utilizzati o saranno probabilmente utilizzati in un prossimo futuro” (33). Con particolare riguardo ai dispositivi medici, oggetto dei Regolamenti sopra richiamati, i requisiti imposti dall’artificial intelligence act per l’impiego di sistemi di AI ad alto rischio sono pertanto destinati ad aggiungersi a quelli già previsti dalla disciplina settoriale di riferimento. L’inclusione dei sistemi di AI impiegati in ambito sanitario nel campo applicativo delle previsioni contenute nella Proposta presuppone che la rischiosità propria di tali sistemi integri il carattere di “alto rischio” a cui fanno riferimento le definizioni introdotte dalla normativa. Ai fini della classificazione nella categoria caratterizzata da “alto rischio”, l’art. 6, par. 1, della Proposta richiede che siano “soddisfatte entrambe le condizioni seguenti: a) il sistema di AI è destinato a essere utilizzato come componente di sicurezza di un prodotto, o è esso stesso un prodotto, disciplinato dalla normativa di armonizzazione elencata nell’allegato II; b) il prodotto, il cui componente di sicurezza è il sistema di AI, o il sistema di AI stesso in quanto prodotto è soggetto a una valutazione della conformità da parte di terzi ai fini dell’immissione sul mercato o della messa in servizio di tale prodotto ai sensi della normativa di armonizzazione dell’Unione elencata nell’allegato II” (34). Considerato che l’allegato II della Proposta, al punto n. 11 della sezione A), include espressamente il Regolamento (UE) 745/2017 sui dispositivi medici nell’elenco della normativa di armonizzazione dell’Unione, e che, sulla base delle regole di classificazione contenute nel Capo III dell’Allegato VII al Reg. UE 745/2017, i dispositivi medici che impiegano l’AI rientrano, nella maggior parte dei casi, in una classe di rischio per la quale è prevista la valutazione di conformità dell’organismo notificato (35), appare ragionevole con (33) Proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce regole armonizzate sull’intelligenza artificiale, CoM(2021) 206 final, cit., punto n. 1.2. della “Relazione”. (34) Art. 6(1), Proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce regole armonizzate sull’intelligenza artificiale, CoM(2021) 206 final, cit. Il paragrafo 2 della disposizione stabilisce inoltre: “oltre ai sistemi di AI ad alto rischio di cui al paragrafo 1, sono considerati ad alto rischio anche i sistemi di AI di cui all’allegato III”. (35) Ai sensi del Regolamento (UE) 745/2017, i dispositivi medici sono classificati mediante sud RASSEGnA AVVoCATURA DELLo STATo -n. 1/2023 cludere che tali sistemi rappresenterranno, il più delle volte, sistemi “ad alto rischio” ai sensi dell’ai act. Questa circostanza risulta peraltro coerente con l’impostazione della Proposta che già al considerando n. 28 sottolinea che “[i] sistemi di AI ad alto rischio potrebbero avere ripercussioni negative per la salute e la sicurezza delle persone” (36) e che “nel settore sanitario, in cui la posta in gioco per la vita e la salute è particolarmente elevata, è opportuno che i sistemi diagnostici e i sistemi di sostegno delle decisioni dell’uomo, sempre più sofisticati, siano affidabili e accurati”. Venendo ora alla questione della responsabilità per danno causato da sistemi di AI, è da rilevare che la Proposta finora analizzata non si occupa direttamente della materia. Una prima iniziativa delle Istituzioni dell’Unione per la promozione di un regolamento in materia di responsabilità civile per danni da AI si è sostanziata nella Risoluzione del Parlamento europeo del 20 ottobre 2020 (37); benché precedenti interventi in materia avessero avuto luogo con la Risoluzione del Parlamento europeo del 16 febbraio 2017 recante raccomandazioni alla Commissione concernenti norme di diritto civile sulla robotica (38). nella documentazione prodotta in risposta alla Risoluzione del 2020, la Commissione ha individuato fin da principio nella Direttiva sulla responsabilità dei danni da prodotto il parametro di riferimento per la disciplina della materia, proponendosi di valutare, mediante apposita consultazione, se la revisione o la modifica di alcune parti della Direttiva potesse consentirne l’estensione applicativa ai casi di danno prodotto dall’impiego di si- divisione in quattro classi di rischio: I, IIa, IIb, e III. Sulla base di tale distinzione, l’art. 52 del Regolamento predispone una procedura di valutazione della conformità del dispositivo medico che varia in funzione della classe di rischio assegnata. L’unica ipotesi in cui non è richiesto l’intervento dell’organismo notificato è quella riguardante i dispositivi medici che rientrano nella classe di rischio I e che presentano determinate caratteristiche: non sono sterili; non svolgono funzioni di misura; e non costituiscono strumenti chirurgici riutilizzabili. In questo solo caso, il Regolamento pone in capo al fabbricante l’obbligo di redigere una dichiarazione di conformità, senza che siano coinvolti soggetti terzi nella procedura. (36) Merita sottolineare che le preoccupazioni circa i possibili effetti dell’AI sulla tutela dei diritti fondamentali della persona ha recentemente indotto autorevoli esponenti dell’accademia a proporre alle Istituzioni europee di includere una valutazione di impatto sui diritti fondamentali nell’ambito della regolamentazione dell’AI. Si consulti al riguardo l’indirizzo di rete . (37) Risoluzione del 20 ottobre 2020 recante raccomandazioni alla Commissione su un regime di responsabilità civile per l’intelligenza artificiale, 2020/2014(InL). Per un esame dei contenuti della normativa proposta v. A. BERToLInI, artificial intelligence Does Not Exist! Defying The Technology-Neutrality Narrative in The regulation of Civil Liability for advanced Technologies, cit., pp. 384 ss. (38) Per la ricostruzione della genesi del quadro giuridico europeo in materia di responsabilità civile per danni da AI v. D. ChIAPPInI, intelligenza artificiale e responsabilità civile: nuovi orizzonti di regolamentazione alla luce dell’artificial intelligence act dell’Unione europea, in rivista italiana di informatica e diritto, 2022, n. 2, pp. 95 ss. ConTRIBUTI DI DoTTRInA stemi di AI. In particolare, la Risoluzione richiamata, pur riconoscendo la necessità di alcune modifiche (in primo luogo delle definizioni di “prodotto” e di “produttore”), ha sottolineato che la Direttiva sulla responsabilità per danno da prodotto difettoso (che, com’è noto, ha introdotto un regime di responsabilità oggettiva del produttore per i danni causati dai difetti del prodotto) e i regimi nazionali di responsabilità per colpa apparivano idonei, in linea di principio, a costituire il fulcro della legislazione per la disciplina del maggior numero di casi di danno causato dall’AI (39). nell’abbracciare questa prospettiva, il Parlamento europeo ha ritenuto, pertanto, di non seguire la diversa via, pur prospettata da una parte della dottrina a proposito dei criteri di imputazione dei danni causati da sistemi di AI, che vedrebbe attribuita a tali sistemi una vera e propria personalità giuridica (40). L’esame della Risoluzione del 2020 deve essere compiuto tenendo in considerazione quanto oggi previsto nel testo della Proposta di Regolamento del 21 aprile 2021, che getta le basi del sistema della responsabilità civile nel- l’ambito dell’AI. In particolare, la Proposta viene in rilievo per la definizione di Intelligenza Artificiale, per la categorizzazione dei sistemi che se ne avvalgono e per l’individuazione delle pratiche vietate. Peraltro, la Risoluzione del 2020 e l’ai act condividono la particolare attenzione posta sull’esigenza di individuare il rischio legato all’utilizzo dei sistemi di AI e di predisporre una corretta allocazione della responsabilità tra i diversi soggetti che intervengono nel ciclo di vita di un algoritmo (fabbricante, utilizzatore, destinatario del trattamento, ecc.) (41). La Proposta di regolamento allegata alla Risoluzione del 2020, strutturata in ventiquattro considerando, cinque capi e quindici articoli, proponeva alla Commissione l’adozione di un regime di responsabilità oggettiva per i sistemi ad alto rischio e un regime di responsabilità per colpa per gli altri sistemi. nel caso di sistemi ad alto rischio la previsione attorno alla quale si imperniava il regime di responsabilità extracontrattuale era quella che individuava il soggetto responsabile per i danni causati da un sistema di AI nell’operatore. Dal punto di vista dell’elemento soggettivo, come anticipato, (39) Al riguardo, si veda, ad esempio, il Considerando n. 9 della Proposta di Regolamento sulla responsabilità per i funzionamento dei sistemi di intelligenza artificiale allegata alla Risoluzione in esame. (40) Per alcune riflessioni sul tema v. G. TADDEI ELMI, S. MARChIAFAVA, A. UnFER, responsabilità civile e Personalità giuridica della intelligenza artificiale, in i-lex, 2021, n. 2, pp. 100 ss., nonché L. ARnAUDo, R. PARDoLESi, Ecce robot. Sulla responsabilità dei sistemi adulti di intelligenza artificiale, in Danno e responsabilità, 2023, n. 4, pp. 409 ss. (41) In questa prospettiva, v. D. ChIAPPInI, intelligenza artificiale e responsabilità civile: nuovi orizzonti di regolamentazione alla luce dell’artificial intelligence act dell’Unione europea, cit., p. 100. RASSEGnA AVVoCATURA DELLo STATo -n. 1/2023 veniva sancita l’applicazione del criterio della responsabilità oggettiva (42). La responsabilità degli operatori di sistemi di AI ad alto rischio era pertanto esclusa solamente nelle ipotesi in cui il danno fosse dovuto a cause di forza maggiore, non essendo sufficiente la prova dell’aver agito con la dovuta diligenza (43). nel caso di sistemi di AI connotati da rischio minore, in virtù del regime di responsabilità per colpa, l’operatore era invece esonerato dall’obbligo di risarcimento mediante la dimostrazione della non imputabilità del danno alla sua condotta oppure dell’avere agito con la dovuta diligenza (44). La responsabilità era inoltre esclusa quando il sistema di AI, nonostante fossero state adottate tutte le misure necessarie per evitarne l’attivazione, si fosse attivato senza che l’operatore ne fosse a conoscenza. Successivamente alla Risoluzione del 2020, due ulteriori proposte legislative sono state avanzate nel 2022 dalle Istituzioni europee sul tema della responsabilità civile: la Proposta di Direttiva sulla responsabilità per danno da prodotti difettosi (45) e la Proposta di Direttiva sulla responsabilità extracontrattuale da intelligenza artificiale (46). Mentre la prima Proposta risponde alla menzionata necessità di un adeguamento della vigente Direttiva sulla responsabilità per danni da prodotto difettoso, la seconda si occupa specificamente della questione in esame. Essa si pone come obiettivi principali quelli di fornire strumenti giuridici idonei a garantire ai cittadini europei il diritto al risarcimento dei danni causati da sistemi di AI ad alto rischio. In questa prospettiva, la regolamentazione proposta si occupa di agevolare l’identificazione dei soggetti potenzialmente responsabili del danno eventualmente subito, nonché la dimostrazione dei fatti posti a fondamento della domanda risarcitoria. Al riguardo, è disposizione rilevante l’articolo 3(1), che attribuisce a un organo giurisdizionale il potere di ordinare la divulgazione di elementi di prova in relazione a specifici sistemi di AI ad alto rischio la cui operatività si presume abbia cagionato un danno. Inoltre, al paragrafo 5 dello stesso articolo 3, viene introdotta una pre (42) V. l’art. 4 della Proposta di Regolamento allegata alla Risoluzione del 2020, rubricato “Responsabilità oggettiva per i sistemi di AI ad alto rischio”. Si tratta di una scelta che ha trovato conferma al punto n. 146 della Risoluzione del Parlamento europeo del 3 maggio 2022 sull’intelligenza artificiale in un’era digitale, 2020/2266(InI). (43) Art. 4, par. 3, della Proposta di Regolamento allegata alla Risoluzione del 2020. (44) La disciplina del regime di responsabilità per i danni causati dagli “altri sistemi di AI” è contenuta nell’art. 8 della Proposta di Regolamento sulla responsabilità per i funzionamento dei sistemi di intelligenza artificiale. (45) Proposta di Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla responsabilità per danno da prodotti difettosi, CoM(2022) 495 final. (46) Proposta di Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla responsabilità extracontrattuale da intelligenza artificiale, CoM(2022) 496 final. ConTRIBUTI DI DoTTRInA sunzione di non conformità della condotta del convenuto all’obbligo di diligenza previsto in capo allo stesso. Si tratta di uno strumento procedurale che, oltre ad essere bilanciato dal diritto del convenuto di confutare quanto acquisito dal giudice in via presuntiva, è applicabile nei soli casi in cui il convenuto non si conformi alla richiesta di divulgazione o di conservazione degli elementi di prova (di cui all’art. 3, par. 1 e 2). nell’impostazione della Proposta di Direttiva in esame, la responsabilità è attribuita sulla base della sussistenza della colpa, ricavabile dalla non conformità della condotta a un obbligo di diligenza previsto a norma del diritto unionale oppure nazionale. Per quanto riguarda poi il nesso causale tra la violazione dell’obbligo di diligenza e l’output prodotto dal sistema di AI, o la mancata produzione di un output da parte del sistema di AI che ha cagionato un danno, la normativa proposta stabilisce, all’articolo 4(1), una presunzione relativa di causalità per superare le difficoltà in cui il danneggiato potrebbe incorrere nella difficoltosa dimostrazione di tale nesso. In virtù della regola per cui la colpa del convenuto deve pur sempre essere dimostrata in giudizio dall’attore, la presunzione di causalità è da applicarsi solo quando si può ritenere probabile che la colpa in questione abbia influenzato l’output del sistema di AI o la sua mancata produzione sulla base di una attenta valutazione delle circostanze del caso concreto. Inoltre, in caso di sistemi di AI ad alto rischio, l’articolo 4(4) prevede come eccezione all’applicabilità della presunzione di causalità il caso in cui il convenuto dimostri che l’attore può ragionevolmente accedere a elementi di prova sufficienti per dimostrare il nesso causale (47). nel caso in cui il danno sia invece causato da sistemi di AI non appartenenti alla categoria “ad alto rischio”, l’articolo 4(5) rimette l’applicazione della presunzione di causalità al prudente apprezzamento del giudice: essa sarà applicabile solo quando l’organo giurisdizionale ritenga eccessivamente difficile per l’attore la dimostrazione della sussistenza del nesso causale. Tali difficoltà devono essere valutate alla luce delle caratteristiche degli specifici sistemi di AI coinvolti, con attenzione alla loro eventuale autonomia o particolare opacità, che potrebbero rendere nel caso concreto estremamente difficile la spiegazione del funzionamento interno del sistema di AI, nonché la dimostrazione relativa al nesso di causalità. Anche in questo caso, il convenuto può offrire elementi utili a ribaltare la presunzione di causalità di cui all’art. 4(1) (48). (47) Si tratta di una previsione che sembra voler incentivare il rispetto degli obblighi di divulgazione e di trasparenza imposti in capo a coloro che producono o impiegano sistemi di AI ad alto rischio. (48) Art. 4(7) della Proposta di Direttiva. RASSEGnA AVVoCATURA DELLo STATo -n. 1/2023 5. alcune riflessioni in tema di ia e responsabilità medica. Come evidenziato nei precedenti paragrafi di questo contributo (49), l’AI sta assumendo un ruolo di primaria importanza in ambito sanitario, consentendo, tra le diverse applicazioni, di migliorare la rapidità e l’efficacia della diagnosi delle patologie (50) e del trattamento delle stesse. Alla luce di un progresso tecnologico di tale portata, sorge l’interrogativo circa l’adeguatezza di una normativa -quella della responsabilità medica concepita in un contesto in cui non poteva compiutamente tenersi conto delle evoluzioni tecnologiche che sarebbero intervenute (51). In assenza di precise indicazioni legislative, la dottrina che si è occupata del tema della responsabilità civile per danni causati dall’impiego dell’AI ha avanzato diverse ipotesi ricostruttive, tra loro spesso confliggenti. I punti nodali della riflessione in materia vertono sul regime di responsabilità dell’operatore sanitario, della struttura ospedaliera e del fabbricante del sistema di AI difettoso. 5.1. La responsabilità dell’operatore sanitario. Secondo un primo orientamento, l’impiego dell’AI andrebbe considerato come fattore neutrale rispetto alla qualificazione della natura della prestazione sanitaria: essa, nell’impostazione tradizionale, rientra tra le prestazioni di mezzi. In caso di inadempimento, la responsabilità è parametrata sul criterio della colpa, da valutarsi secondo il canone della diligenza professionale ex art. 1176, co. 2, c.c. e secondo le linee guida e le buone pratiche clinico-assistenziali di cui all’art. 5 della legge Gelli-Bianco (52). Una parte della dottrina ritiene, inoltre, non corretta l’istituzione di un’automatica correlazione tra il carattere di complessità ed innovatività dei sistemi di AI impiegati in medicina e l’applicazione della limitazione della responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave prevista dall’art. 2236 c.c. per il caso di prestazioni implicanti «problemi tecnici di speciale difficoltà»: la ricorrenza di tale presupposto deve essere infatti effettivamente riscontrata nel caso concreto (53). (49) Si rinvia al riguardo a quanto osservato nel paragrafo n. 2. (50) Si consideri, per esempio, il caso di un paziente che, pur essendosi sottoposto a visite mediche con diciassette specialisti, è riuscito a ottenere la diagnosi della propria patologia grazie a ChatGPT. La storia è ricostruita all’indirizzo di rete (ultimo accesso 15.09.2023). (51) Si pensi ad esempio alle pratiche di telemedicina, che pongono particolari e specifiche questioni in tema di responsabilità medica. Si veda sul punto l’indirizzo web (ultimo accesso 20.09.2023). (52) M. FACCIoLI, intelligenza artificiale e responsabilità sanitaria, in Nuova giurisprudenza civile commentata, 2023, n. 3, pp. 735 ss. ConTRIBUTI DI DoTTRInA nell’ambito di un regime di responsabilità per colpa, il medico non risponderebbe pertanto del malfunzionamento di un sistema di AI, ma verrebbero ad esso imputati i soli danni causati da un suo negligente e scorretto utilizzo del sistema. Una diversa parte delle dottrina ha ritenuto imputabili all’operatore i danni causati dal sistema di AI in applicazione, per estensione analogica, delle forme speciali di responsabilità extracontrattuale previste dal c.c. In particolare, tra le altre, sono state avanzate interpretazioni incentrate ora sull’art. 2048, co. 2 (responsabilità del precettore per le azioni dell’allievo), ora sull’art. 2049 (preponente-preposto), oppure sull’art. 2052 c.c. (proprietario- animale) (54). nell’elaborazione dottrinale, non è infine mancato chi ha proposto di guardare alla indicazione algoritmica di un trattamento sanitario come a una linea guida medica o a una buona pratica assistenziale (55). Accogliendo questa impostazione, dalla conformità del trattamento sanitario alle indicazioni diagnostiche e terapeutiche elaborate dall’algoritmo discenderebbe l’esclusione della punibilità del medico ovvero la riduzione dell’ammontare del danno risarcibile al paziente (56). 5.2. La responsabilità della struttura ospedaliera. nell’indagine volta a individuare i soggetti imputabili per i danni derivanti dall’impiego di AI in ambito medico, deve certamente prendersi in considerazione anche la struttura sanitaria. Essa è infatti responsabile non solo in via indiretta per le condotte del proprio personale medico, ma anche, in via diretta, in caso di inadempimento dell’obbligo di predisporre un contesto organizzativo di livello adeguato alle esigenze di cura e di trattamento degli assistiti. Considerati gli obblighi di manutenzione e di verifica della strumentazione posti in capo agli enti ospedalieri, potrebbe argomentarsi che eventuali danni causati da sistemi di AI malfunzionanti che sarebbero stati evitabili alla luce di un corretto adempimento di tali obblighi determini l’insorgenza di una responsabilità della struttura sanitaria per difetto di organizzazione (57). Il regime di responsabilità sarà in questo caso di tipo oggettivo (con il limite del (53) G. VoTAno, intelligenza artificiale in ambito sanitaria: il problema della responsabilità civile, in Danno e responsabilità, 2022, n. 6, pp. 675 ss.; M. FACCIoLI, intelligenza artificiale e responsabilità sanitaria, cit., p. 736. (54) Per una panoramica v. M. FACCIoLI, intelligenza artificiale e responsabilità sanitaria, cit., p. 737. (55) A.G. GRASSo, Diagnosi algoritmica errata e responsabilità medica, in rivista di diritto civile, 2023, n. 2, pp. 341 ss. (56) A.G. GRASSo, Diagnosi algoritmica errata e responsabilità medica, cit., p. 346. (57) G. VoTAno, intelligenza artificiale in ambito sanitario: il problema della responsabilità civile, cit., p. 674. RASSEGnA AVVoCATURA DELLo STATo -n. 1/2023 l’impossibilità sopravvenuta non imputabile), dovendosi inquadrare i doveri organizzativi dell’ospedale nell’ambito delle obbligazioni di risultato (58). Per altro verso, sembra potersi affermare che la struttura ospedaliera non possa essere chiamata a rispondere dei danni causati da sistemi di AI che presentino vizi di fabbricazione non rilevabili da parte dell’ente nosocomiale neppure a seguito di diligenti controlli. 5.3. La responsabilità del produttore. Come si ricava da quanto osservato finora, il fabbricante può essere chiamato a rispondere dei danni cagionati da malfunzionamenti dei sistemi di IA (59), anche non riconducibili alla negligenza del personale medico oppure a un deficit organizzativo della struttura sanitaria. Ai fini dell’affermazione della responsabilità civile del produttore di un sistema di AI difettoso, la normativa di riferimento è notoriamente costituita dalla disciplina europea sulla responsabilità del produttore (Dir. n. 374/1985 CEE), recepita in Italia agli artt. 114-127 cod. cons. Come rilevato in precedenza, l’applicazione di tale normativa ai sistemi di IA si caratterizza per alcune criticità. È stata sottolineata da più parti, ad esempio, l’incertezza riguardante la riconducibilità dei dispositivi di AI alla nozione di “prodotto” e del software a quella di “componente” ai sensi dell’art. 115 cod. cons. Inoltre, come anticipato, l’opacità dell’AI può rendere particolarmente difficoltosa la dimostrazione della sussistenza del difetto (60) e del nesso causale ex art. 120 cod. cons. non è un caso che le Istituzioni europee abbiano presentato la nuova Proposta di Direttiva sulla responsabilità per danno da prodotti difettosi. Questa, oltre a modificare le nozioni di prodotto e di componente, da un lato stabilisce una serie di articolati meccanismi presuntivi in favore del danneggiato, dal- l’altro mantiene l’esimente del rischio da sviluppo (c.d. state of the art defence) così da non disincentivare lo sviluppo scientifico e tecnologico. Ma è davvero questa la metodologia regolatoria da seguire per regolare un fenomeno così complesso come quello dei sistemi di intelligenza artificiale? La responsabilità del produttore e la c.d. pre-emption doctrine sembrano non cogliere la disarticolazione di un fenomeno che sfugge alla norma giuridica per la velocità inafferrabile dello sviluppo tecnologico. In data 12 settembre 2023 più di 100 professori europei (supportati da (58) In questo senso v. M. FACCIoLI, intelligenza artificiale e responsabilità sanitaria, cit., p. 738 ss. (59) Sul tema v. G.F. SIMonInI, La responsabilità del fabbricante nei prodotti con sistemi di intelligenza artificiale, in Danno e responsabilità, 2023, n. 4, pp. 435 ss. (60) G.F. SIMonInI, La responsabilità del fabbricante nei prodotti con sistemi di intelligenza artificiale, cit., pp. 446 ss. ConTRIBUTI DI DoTTRInA Brussels Privacy hub) hanno chiesto alle istituzioni europee di includere il c.d. FRIA ( “Fundamental right impact assessment”) nel futuro regolamento AI “for ensuring 1) clear parameters about assessment of the impact of ai on Fundamental right”; 2) transparency about the results of the impact assessment through public meaningful summaries; 3) participation of affected end-users, especially if a position of vulnerability; 4) involvement of independent public authorities in the impact assessment process and/or auditing mechanisms”. La valutazione di impatto sui diritti fondamentali deve, però, coniugarsi con la nuova tecnica del c.d. Foresight, ossia la tecnica di anticipazione degli scenari futuri come aiuto del pensiero proattivo. il Foresight implica la necessità di un approccio anticipante, proattività e anticipazione di scenari futuri possibili e probabili. Se Goleman parlava di intelligenza emotiva e Gardner anticipava la teoria delle c.d. “intelligenze multiple”, l’approccio basato sul Foresight segna oggi il passaggio evolutivo necessario nella regolazione che supera la stessa tecnica del sandbox, ossia della norma sperimentale. La storia del Foresight nasce nel 1944/45 per assicurare la pace nell’era atomica. Le figure più significative erano il generale henry “hap” Arnold, padre fondatore della US Air Force, Theodor von Kàrmàn, il precursore del volo supersonico, ipersonico e spaziale, Vannevar Bush, l’iniziatore del progetto Manhattan. Il loro contributo (su tutti i dossier ricordiamo “Toward new Horizons” e“Science, the Endless Frontier”) hanno cambiato il modo di fare scienza nella Difesa e nel Governo. Le famose parole del Generale Arnold “Le mie menti più brillanti possono arrivare al futuro per prima”, segnano la metodologia anticipante e proattiva che può aiutare il regolatore a segnare la direzione verso cui far evolvere i sistemi di intelligenza artificiale. La tecnica del foresight sta a significare la “capacità di prevedere scenari futuri”: si pensi al net-assessment, incorporata nel thinkthank interno al Pentagono che durante la Guerra Fredda ha giocato un ruolo chiave nello studio delle trattative strategiche e delle scelte chiave per poter vincere senza combattere. Il c.d. Foresight implica, in altri termini, una strategia “anticipante”, il c.d. pre-emptive remedy, con un approccio multidisciplinare, incorporando elementi di sociologia, psicologia, economia e diritto. La parola d’ordine oggi è per lo studio e la regolazione dell’intelligenza artificiale “contaminazione” delle discipline, ossia trasversalità delle competenze: i botanici affermano che il genio è nell’ibridazione e nell’errore creativo. RASSEGnA AVVoCATURA DELLo STATo -n. 1/2023 La sentenza della Corte di Giustizia “Schrems” II , ossia la sentenza che ha invalidato la decisione di “adeguatezza” della Commissione Europea per il trasferimento dei dati personali verso gli Stati Uniti, ha colto di sorpresa gran parte degli operatori e ha posto un problema concreto ed urgente nei confronti del quale “il sistema tradizionale di compliance”, basato su un approccio reattivo, non ha potuto fare nulla di diverso se non correre ai ripari in maniera disarticolata. Tre regolatori hanno cominciato ad operare in una nuova direzione: l’European Data Protection Supervisor, il CnIL in Francia (Commission national de l’informatique e des Libertès) e l’ICo (Information Commissioner’s office) in Inghilterra con i loro laboratori di innovazione per anticipare scenari futuri. Approccio anticipante di tipo “funzionale” e non “categoriale”, tenendo presente che i sistemi di Intelligenza Artificiale sono caratterizzati da questi elementi: volatility, ambiguity, (c.d. black box, oscurità degli algoritmi), complexity e uncertainity. Richard Slaughter distingue tre tipi di tecnica foresight: 1) pragmatic foresight; 2) progressive foresight; 3) civilisation foresight. Tale tassonomia vede una sua correlazione con il c.d. “atlante dei futuri potenziali” teorizzato da henchey e con i modelli di “coni di futuro” teorizzati da Bancock e Bazold, ossia i futuri possibili, i futuri plausibili e i futuri probabili. Tali teorie dovranno considerare che la regolazione dell’AI in medicina non potrà essere simile alla regolazione dell’AI prevista per altri settori (come ad esempio quello finanziario delle criptocurrency o della giustizia predittiva), dovrà avere una sua conformazione specifica basata sulle c.d. “norme prudenziali”, in quanto l’atto medico necessita di una sua peculiare disciplina investendo l’interesse primario della tutela della salute umana. Tale regolazione dovrà costituire la sintesi tra la c.d. umanizzazione delle cure e le nuove tecnologie incorporante la c.d. algoretica di cui parla il prof. Benanti. Dovrà essere una regolazione “future proof”, a prova di futuro, flessibile e versatile pronta ad adattarsi ad una realtà dinamica in continuo divenire basata non sul concetto di “strict liability”, ma di “accountability” volta a creare un rapporto medico-paziente “trustworthy” degno di fiducia. Profetiche risultano oggi le parole di Rita Levi Montalcini la quale affermava “Qualunque decisione tu abbia preso per il tuo futuro, sei autorizzato, direi incoragiato, a sottoporla ad un continuo esame, pronto a cambiarla, se non risponde più ai tuoi desideri”. ConTRIBUTI DI DoTTRInA bibliografia ALAFIF T. et al., machine and Deep Learning towards CoViD-19 Diagnosis and Treatment: Survey, Challenges, and Future Directions, in international Journal of Environmental research and Public Health, 2021, pp. 1 ss. AMBRoGIo S. et al., an analog-ai chip for energy-efficient speech recognition and transcription, in Nature, 24 August 2023, vol. 620, pp. 768 ss. ARnAUDo L., PARDoLESI R., Ecce Robot. Sulla responsabilità dei sistemi adulti di intelligenza artificiale, in Danno e responsabilità, 2023, n. 4, pp. 409 ss. 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ConTRIBUTI DI DoTTRInA La stabile messa a libro paga dell’agente pubblico e il contrastato rapporto tra corruzione per l’esercizio della funzione e corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio Nicoletta Ortu* Sommario: 1. La corruzione per l’esercizio della funzione e le criticità sul piano applicativo -2. La corruzione per l’esercizio della funzione e il dibattuto rapporto con la corruzione c.d. propria -2.1 i delitti di corruzione nella giurisprudenza anteriore alla riforma del 2012: il passaggio dall’atto alla funzione -3. L’introduzione del delitto di corruzione per l’esercizio della funzione ex art. 318 c.p. -3.1 La corruzione per l’esercizio della funzione nella giurisprudenza successiva alla riforma del 2012 -3.2 Le ricadute dell’incremento sanzionatorio della corruzione “funzionale” ad opera della L. n. 3 del 2019 sul sistema della corruzione -4. il rimodulato discrimen tra corruzione per l’esercizio della funzione e corruzione propria. 1. La corruzione per l’esercizio della funzione e le criticità sul piano applicativo. Come noto, la legge n. 190 del 2012 ha profondamente innovato il sistema dei delitti di corruzione, cercando di trovare una soluzione normativa alla trasformazione empirico-criminologica del fenomeno corruttivo in senso “sistemico”, pervasivo, tanto più “inafferrabile” quanto più svincolato dall’emanazione di un atto determinato -sia esso conforme o contrario ai doveri dell’ufficio. All’indomani della novella è soprattutto risultato necessario sciogliere la questione circa la riconducibilità dei casi di “stabile messa al libro paga” del- l’agente pubblico nell’alveo della corruzione “funzionale” ex art. 318 c.p. piuttosto che in quello della fattispecie più grave di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio ex art. 319 c.p. L’effetto principale della riforma, infatti -lungi dall’esplicarsi soltanto sul piano della formulazione delle fattispecie incriminatrici preesistenti -si è prodotto sul piano sistematico tramite la modifica del modello di tutela prescelto per il contrasto dei fenomeni corruttivi: da un modello di tipo “mercantile- retributivo” si è passati al “modello clientelare”, con relativa e coerente rimodulazione del sottosistema dei delitti di corruzione. Pertanto, mentre secondo lo schema previgente il fulcro dell’intero sistema -e della costruzione delle due fattispecie principali -era rappresentato dalla compravendita illecita di un atto amministrativo conforme (art. 318 c.p.) o contrario ai doveri d’ufficio (art. 319 c.p.), oggi, per quanto attiene alla corruzione c.d. impropria, la tutela penale si radica nella mera infedeltà del soggetto pubblico e postula (*) Dottore di ricerca presso la Sapienza, Università di Roma; già praticante forense presso l’Avvocatura Generale dello Stato (AVV. STATo CARLo MARIA PISAnA). RASSEGnA AVVoCATURA DELLo STATo -n. 1/2023 l’esclusione del momento sinallagmatico tra la dazione (o promessa) e uno specifico atto d’ufficio (1). Il mutamento di paradigma in questione ha comportato che, per la figura di reato centrale -di cui all’art. 318 c.p. -non si richiami più né ad un singolo atto, né ad una pluralità di atti determinati o determinabili, facendo sì che, di conseguenza, la portata offensiva del reato resti tutta incentrata su di un accordo corruttivo che risulti privo di un contenuto precisamente determinato. Circostanza, questa, che sembrerebbe configurare la messa in pericolo del corretto svolgimento della funzione amministrativa in termini soltanto eventuali. Ebbene, in questo rimodulato assetto normativo, sembra che il legislatore abbia optato per l’omologazione del fenomeno di “stabile messa a libro paga” dell’agente pubblico, insieme a quello di corruzione per semplice “asservimento della funzione pubblica agli interessi del privato”, a quello preesistente di corruzione per un atto conforme ai doveri dell’ufficio, unificando, nella nuova versione della disposizione, oltre alle fattispecie concrete precedentemente già ricomprese nell’ambito della corruzione c.d. impropria, una serie di ipotesi relative ai casi in cui il pubblico ufficiale si metta a disposizione del privato corruttore in violazione dei doveri di imparzialità, onestà e trasparenza previsti dalla legge (2). La corruzione per l’esercizio della funzione, infatti, va a sanzionare tutti gli accordi tra pubblico dipendente e privato corruttore il cui oggetto sia rappresentato dalla remunerazione di una serie generica di servigi da parte del primo in favore del secondo; quindi, in sostanza, dalla messa a disposizione dell’agente pubblico, il quale, dietro compenso, si impegni ad esercitare la propria funzione in modo conforme agli interessi del privato, per necessità anche future. Ed è proprio in questo che si sostanzia la c.d. “stabile messa a libro paga” del pubblico agente, nata dalla prassi, che la giurisprudenza prima, e il legislatore poi, hanno recepito scardinando la previgente simmetria sistematica tra le due principali figure di reato incentrata sull’atto amministrativo -conforme (art. 318 c.p.) o contrario ai doveri dell’ufficio (art. 319 c.p.). La riformulazione dell’art. 318 c.p. ha preso quindi atto del processo di (1) Cfr. n. oRTU, Gli accordi illeciti nel sistema della corruzione, in Cass. Pen. XII, 2022; G. STAMPAnonI BASSI, Le corruzioni nel codice penale, in STAMPAnonI BASSI (a cura di), La corruzione, le corruzioni, wolters Kluwer, 2022, pp. 9 ss.; L. SCoLLo, La corruzione senza accordo: notazioni in tema di elementi costitutivi, in Sistema Penale, 2021, p. 25; M. GAMBARDELLA, Condotte economiche e responsabilità penale, Giappichelli, 2020, pp. 451 ss.; M. GAMBARDELLA, il nodo della “stabile messa a libro paga dell’agente pubblico” in tema di corruzione, in Penale Diritto e Procedura, 2020; M. GAMBARDELLA, Dall’atto alla funzione pubblica: la metamorfosi legislativa della corruzione “impropria”, in arch. Pen., 2013; M. GAMBARDELLA, Le recenti riforme in materia di corruzione: un sistema da rifondare, in M. D’ALBERTI (a cura di), Combattere la corruzione. analisi e proposte, Rubbettino, 2016. (2) Cfr. M. GAMBARDELLA, il nodo della “stabile messa a libro paga dell’agente pubblico” in tema di corruzione, cit. ConTRIBUTI DI DoTTRInA “smaterializzazione” dell’elemento dell’atto d’ufficio, cercando di tradurlo, sul piano normativo, in modo da riuscire, allo stesso tempo, a delimitare con maggiore precisione i confini tra le due figure criminose (3). obiettivo che, tuttavia, osservando gli approdi del diritto vivente, non sembra stato del tutto raggiunto. Proprio il requisito dell’atto d’ufficio, in effetti, nella vigenza della precedente versione della norma ha dato luogo a non poche incertezze e complicanze sul piano applicativo, rendendo spesso poco agevole l’utilizzo dello strumento penale in presenza di corruzioni più marcatamente “sistemiche”, nelle quali, pur prescindendosi dalla compravendita di un atto determinato, la gravità del fatto risultasse particolarmente elevata a causa della generalizzata “svendita” della funzione, con messa a libro paga del pubblico agente ad opera del corruttore (4). Di lì il ripensamento dell’impalcatura complessiva, che ha cercato di tamponare già sul piano legislativo la deviazione applicativa della previgente fattispecie, fornendo una risposta penale -alla luce di quanto emerso dalla realtà criminologica -attagliata alla propensione del fenomeno corruttivo a farsi “sistemico”, attraverso fatti illeciti non solo capaci di diffondersi in modo capillare all’interno dell’azione dei poteri pubblici (la c.d. “corruzione regolarizzata e istituzionalizzata”) (5), ma capace di generare una relazione stabile nel tempo di interessenza d’interesse fra soggetti privati, pubblici e politici, anche attraverso la creazione di reti di complicità fra corruttori, corrotti ed eventuali terzi intermediari (6), i quali costituiscono quello che è stato definito come «mondo di mezzo» nell’omonima recente vicenda giudiziaria romana (7). Il problema principale riscontrato in sede applicativa, in seguito alla riforma, deriva proprio dalla operata revisione del sistema: di fronte ai fatti estremamente gravi di cui si è detto (anche più gravi dei casi in cui ci si trovi in presenza della compravendita di un singolo atto contrario ai doveri d’ufficio) -capaci di provocare ricadute assai più dannose nel lungo periodo -è stata (3) Cfr. P. SEVERIno, La nuova legge anticorruzione, in Dir. pen. proc., 2013, p. 8. (4) Cfr. F. CInGARI, repressione e prevenzione della corruzione pubblica, Giappichelli, 2012, pp. 104 ss.; M. GAMBARDELLA, il nodo della “stabile messa a libro paga dell’agente pubblico” in tema di corruzione, cit. (5) Cfr. G. FoRTI, il diritto penale e il problema della corruzione, dieci anni dopo, in AA.VV., il prezzo della tangente, a cura di G. FoRTI, VITA e PEnSIERo, 2003, pp. 73 ss.; P. DAVIGo, G. MAnnozzI, La corruzione in italia, Laterza, 2007, pp. 272 ss.; A. SPEnA, il «turpe mercato». Teoria e riforma dei delitti di corruzione pubblica, Giuffrè, 2003, pp. 578 ss. (6) Cfr. n. oRTU, Gli accordi illeciti nel sistema della corruzione, cit.; G. STAMPAnonI BASSI, Le corruzioni nel codice penale, cit., pp. 9 ss.; M. GAMBARDELLA, Condotte economiche e responsabilità penale, cit., pp. 451 ss.; M. GAMBARDELLA, il nodo della “stabile messa a libro paga dell’agente pubblico” in tema di corruzione, cit. (7) Ci si riferisce alla vicenda altresì nota col nome di “Mafia Capitale”, conclusasi di recente con la sent. Cass. Sez. VI, 12 giugno 2020 (ud. 22 ottobre 2019), n. 18125 (Presidente Fidelbo, Relatori Di Stefano, Silvestri). RASSEGnA AVVoCATURA DELLo STATo -n. 1/2023 predisposta una figura di reato più mite rispetto a quella di corruzione c.d. propria, generando il paradosso secondo cui fattispecie massimamente offensive come la remunerazione privata sine die del pubblico agente siano sanzionate meno gravemente della mercificazione isolata di un atto contrario ai doveri d’ufficio. È ormai acclarato, infatti, che la corruzione “sistemica” generi effetti di lungo periodo estremamente negativi che non compaiono tra le poste di bilancio (la c.d. “cifra oscura” della corruzione) (8), ma -estendendosi ben oltre la lesione degli interessi tradizionalmente propri della P.A. -contribuiscono ad alimentare un generalizzato senso di sfiducia e insoddisfazione verso le istituzioni, premiando gli imprenditori intranei agli accordi corruttivi, distorcendo la competizione a vantaggio delle parti di tali patti, fino a tradursi in un danno su vasta scala per l’intera economia nazionale, scoraggiando gli investimenti produttivi nel Paese, anche a livello internazionale (9). La giurisprudenza ha quindi reagito, come si dirà, cercando di applicare, se necessario anche estensivamente, l’art. 319 c.p. ogniqualvolta l’episodio corruttivo sia caratterizzato da una particolare gravità, relegando talvolta l’art. 318 c.p. ad un utilizzo residuale, laddove il fatto commesso non risulti particolarmente preoccupante. Da ultimo, sebbene l’incremento sanzionatorio operato dalla legge n. 3 del 2019 abbia cercato di ridurre il divario tra le due figure di corruzione, resta ancora da vedere se tale manovra sia di fatto riuscita almeno ad arginare il problema. 2. La corruzione per l’esercizio della funzione e il dibattuto rapporto con la corruzione c.d. propria. In via preliminare all’analisi operata dalla giurisprudenza dei rapporti tra le due fattispecie di corruzione, occorre svolgere alcune considerazioni di ordine sistematico. Come noto, l’art. 319 c.p. (10) non è stato modificato nei propri elementi costitutivi dalle riforme avvicendatesi nel tempo, le quali hanno inciso unicamente sul piano sanzionatorio. Risulta quindi pacifico che il delitto in questione continui a sanzionare le fattispecie di corruzione propria -caratterizzata (8) Cfr. A. VAnnUCCI, La corruzione in italia: cause, dimensioni, effetti, in La legge anticorruzione, B.B. MATTARELLA, M.PELISSERo (a cura), Giappichelli, 2013, pp. 28 ss. (9) Cfr. M. GAMBARDELLA, Condotte economiche e responsabilità penale, cit., pp. 451 ss. (10) Ai sensi del quale «il pubblico ufficiale, che, per omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato un atto del suo ufficio, ovvero per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri di ufficio, riceve, per sé o per un terzo, denaro od altra utilità, o ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da sei a dieci anni». Il trattamento sanzionatorio previsto per tale figura di reato è stato innalzato dall’art. 1 della l. 6 novembre 2012, n. 190 e, da ultimo, dall’art. 1, comma 1, lett. f) della L. 27 maggio 2015, n. 69. ConTRIBUTI DI DoTTRInA dal requisito dell’atto contrario ai doveri d’ufficio e, di conseguenza, da uno schema più marcatamente mercantilistico-sinallagmatico -sia antecedente che susseguente. Dal punto di vista intertemporale, si può pertanto affermare che il novellato art. 318 c.p. rappresenta una «norma sincronicamente generale» rispetto alla coesistente norma speciale espressa dall’art. 319 c.p. (11). Tale è, tra l’altro, l’approdo della giurisprudenza maggioritaria, la quale non manca di mettere in luce come l’art. 319 c.p., richiedendo un elemento aggiuntivo (la pattuizione di un atto contrario ai doveri d’ufficio, appunto) sia legato all’articolo precedente da un rapporto di «specialità unilaterale per specificazione »; riferendosi invece, quest’ultima disposizione, ad una più generica condotta di “messa a disposizione” della funzione pubblica (12). Di conseguenza, guardando al dato testuale, sembrerebbe che le ipotesi di “messa a libro paga” del pubblico agente ricadano oggi nella più mite figura di corruzione “funzionale” ex art. 318 c.p., mentre per la configurabilità della più grave fattispecie prevista dall’art. 319 c.p. sarà necessario provare l’esistenza di un atto determinato contrario ai doveri d’ufficio quale oggetto del mercimonio (13). Svolte queste premesse, resta da chiarire il rapporto intercorrente sul piano pratico, in termini di diritto vivente, tra la figura corruttiva per atto contrario ai doveri d’ufficio ex art. 319 c.p. e la corruzione per l’esercizio della funzione ex art. 318 c.p. 2.1 i delitti di corruzione nella giurisprudenza anteriore alla riforma del 2012: il passaggio dall’atto alla funzione. Ancor prima della riforma del 2012, la giurisprudenza non ha mancato di manifestare una propensione verso la valorizzazione della figura di corruzione propria prevista all’art. 319 c.p., a scapito del più mite delitto di corruzione impropria ex art. 318 c.p., operando in via di prassi quella progressiva smaterializzazione dell’elemento dell’atto d’ufficio che ha portato alla corrente riformulazione dell’art. 318 c.p. ad opera della legge n. 190 del 2012 (14). In un contesto in cui era da tempo evidente che ormai la corruzione, da fenomeno episodico, stesse assumendo le sembianze di un fenomeno sempre (11) Cfr. M. GAMBARDELLA, Profili di diritto intertemporale della nuova corruzione per l’esercizio della funzione, in Cass. pen., 2013, pp. 3866 ss. (12) Così Cass., sez. VI, 25 settembre 2014, n. 49226, in C.E.D. Cass., n. 261354. Cfr. M. GAMBARDELLA, il nodo della “stabile messa a libro paga dell’agente pubblico” in tema di corruzione, cit.; M. GAMBARDELLA, Condotte economiche e responsabilità penale, cit., pp. 451 ss. (13) Cfr. M. GAMBARDELLA, il nodo della “stabile messa a libro paga dell’agente pubblico” in tema di corruzione, cit.; G. STAMPAnonI BASSI, Le corruzioni nel codice penale, cit., pp. 9 ss. (14) Cfr. P. SEVERIno, La nuova legge anticorruzione, in Dir. pen. proc., 2013, p. 8. RASSEGnA AVVoCATURA DELLo STATo -n. 1/2023 più sistemico, la giurisprudenza, per reprimere efficacemente tali ipotesi di corruzione “istituzionalizzata” ha offerto una lettura estensiva della nozione di “atto contrario ai doveri d’ufficio” che caratterizza come elemento costitutivo il delitto di corruzione propria, proponendo un tendenziale superamento del riferimento ad un atto determinato come oggetto del patto corruttivo (15). Due i punti cardine di siffatto superamento del requisito dell’atto: quello della “competenza” e quello della “contrarietà ai doveri d’ufficio” (16). Sotto il profilo della competenza, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che non fosse il fatto che l’atto -conforme o contrario ai doveri d’ufficio -risultasse ricompreso nell’ambito delle mansioni specifiche del pubblico agente ad essere determinante; bensì che fosse necessario e sufficiente, per integrare il requisito, che si trattasse «di un atto rientrante nelle competenze dell’ufficio cui il soggetto appartiene ed in relazione al quale egli eserciti, o possa esercitare, una qualche forma di ingerenza, sia pure di mero fatto», con la precisazione che l’attività amministrativa oggetto del pactum sceleris potesse ben essere individuata soltanto nel genere di atti da compiere; di conseguenza, l’elemento oggettivo dell’“atto” poteva considerarsi soddisfatto ogniqualvolta le condotte del privato e dell’intraneus, nelle quali si sostanzia il fatto criminoso, fossero individuabili anche esclusivamente nel genus, «in ragione della competenza o della concreta sfera di intervento di quest’ultimo» (17). Per quanto invece attiene al profilo della contrarietà ai doveri d’ufficio, le decisioni giurisprudenziali hanno riconosciuto in modo consistente che tale nozione potesse attenere alla «condotta complessiva» dell’intraneus, la quale avrebbe ben potuto porsi in contrasto ai compiti istituzionali del soggetto agente mediante il compimento di atti «formalmente regolari», sorretti però da una finalità diversa da quella di pubblico interesse, perché emanati sul presupposto di un accordo illecito con il privato. In tutti questi casi -è stato ritenuto dalla Suprema Corte -la valutazione circa la contrarietà o conformità del comportamento del pubblico agente avrebbe dovuto riposare sul «servizio reso al privato» nel suo complesso, anziché sugli specifici atti singolarmente presi, così che, nonostante i singoli atti si presentassero conformi a requisiti e presupposti legali, «l’asservimento costante della funzione, per denaro, agli interessi privati» sarebbe valso di per sé ad integrare il delitto di cui all’art. 319 c.p. (18). (15) Cfr. G. FIDELBo, La corruzione “funzionale” e il contrastato rapporto con la corruzione propria, in G. FIDELBo (a cura di), il contrasto ai fenomeni corruttivi dalla “spazzacorrotti” alla riforma dell’abuso d’ufficio, Giappichelli, 2020, pp. 27 ss. (16) Cfr. ivi. (17) Così, Cass., Sez. VI, 14 luglio 1993, n. 2390, in C.E.D. Cass. n. 195523; Cass., Sez. VI, 16 maggio 2012, n. 30058, in C.E.D. Cass., 253216. Cfr. G. FIDELBo, La corruzione “funzionale” e il contrastato rapporto con la corruzione propria, in Giustizia insieme, 2020, pp. 3-4. ConTRIBUTI DI DoTTRInA Da ciò si evince che, secondo la giurisprudenza nettamente prevalente, la contrarietà ai doveri d’ufficio non dovesse essere ricostruita come una caratteristica intrinseca del singolo atto (come farebbe pensare il dato testuale) bensì quale connotazione della funzione complessivamente esercitata in violazione dei doveri previsti dalla legge in capo al pubblico agente; ponendo, di conseguenza, quali beni tutelati dai delitti de quibus -accanto ai canonici principi di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione previsti dalla Costituzione -la tutela dell’imparzialità e della fedeltà, alle quali l’attività degli agenti pubblici è per legge informata (19). Invero, la Corte ha ricostruito la nozione di “atto” secondo una accezione ampia: questo, anziché essere inteso in senso meramente formale come atto amministrativo, doveva piuttosto essere interpretato come comprensivo di ogni comportamento posto in essere dal pubblico agente nello svolgimento della propria funzione; cosicché il requisito richiesto dalla norma potesse ritenersi integrato anche da un comportamento materiale che fosse «esplicazione di poteri-doveri inerenti alla funzione concretamente esercitata» (20). Secondo questo orientamento, pertanto, ai fini dell’integrazione del delitto di cui all’art. 319 c.p., sarebbe risultata sufficiente la semplice individuabilità del genus di atti che il pubblico agente fosse chiamato a compiere in adempimento all’accordo corruttivo, purché connesso alla concreta sfera di competenza e di intervento del soggetto pubblico, così da consentire a tale patto di (eventualmente) tradursi in una pluralità di specifici atti non preventivamente determinati o programmati, appartenenti al genus (21). Tuttavia, il superamento della necessità di identificare uno specifico atto, inteso in senso formale, contrario ai doveri d’ufficio, trovava un temperamento nella esigenza di rinvenire comunque, dalla condotta del soggetto pubblico, «un atteggiamento diretto in concreto a vanificare la funzione demandatagli, poiché solo in tal modo può ritenersi integrata la violazione dei doveri di fedeltà, di imparzialità e di perseguimento esclusivo degli interessi pubblici che sullo stesso incombono» (22). Una siffatta interpretazione estensiva della nozione di “atto” ha consentito (18) Così Cass., Sez. VI, 12 gennaio 1990, n. 7259, in Cass. pen., 1992, p. 944.; Cass., Sez. VI, 29 gennaio 2003, ivi, 2004, p. 2300. Cfr. G. FIDELBo, La corruzione “funzionale” e il contrastato rapporto con la corruzione propria, cit., p. 4. (19) Cfr. G. FIDELBo, La corruzione “funzionale” e il contrastato rapporto con la corruzione propria, cit., p. 4; G. STAMPAnonI BASSI, Le corruzioni nel codice penale, cit., pp. 9 ss.; M. GAMBARDELLA, Condotte economiche e responsabilità penale, cit., pp. 451 ss. (20) Così Cass., Sez. II, 25 novembre 2015, n. 47471; Cass., Sez. VI, 28 febbraio 2017, n. 17586, in C.E.D. Cass., n. 269830. Cfr. M. GAMBARDELLA, il nodo della “stabile messa a libro paga dell’agente pubblico” in tema di corruzione, cit. (21) Così, Cass., Sez. VI, 16 maggio 2012, n. 30058; Cass., Sez. VI, 2 ottobre 2006, n. 2818. (22) ibidem; Cass., Sez. VI, 24 febbraio 2007, n. 21192, in C.E.D. Cass. n. 236624; Cass., Sez. VI, 16 gennaio 2008, n. 20046, ivi, n. 241184; Cass., Sez. VI, 15 maggio 2008, n. 34417, ivi, n. 241081. RASSEGnA AVVoCATURA DELLo STATo -n. 1/2023 di ritenere integrato il delitto di corruzione propria ex art. 319 c.p. anche nei casi in cui la dazione o la promessa di denaro o utilità da parte del privato ad un pubblico agente fossero finalizzate al compimento di «atti futuri, imprecisati ed eventuali», volti a «realizzare una sorta di fidelizzazione del soggetto corrotto agli interessi privati di cui il corruttore era portatore» (23). Simili orientamenti evidenziano come sia stato proprio il diritto vivente ad avviare quella transizione dall’atto alla funzione che verrà recepita e codificata nel 2012 dal legislatore, e che ha condotto all’odierna versione delle fattispecie incriminatrici di corruzione. Si può osservare, pertanto, come, alla luce della rilettura “adeguatrice” offertane dalla citata giurisprudenza, la corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio di cui all’art. 319 c.p. andasse ad occupare un ambito più ampio di quello risultante da una interpretazione letterale della disposizione: ai casi tipici di compravendita di un atto formale contrario ai doveri dell’ufficio sono state accostate ipotesi di asservimento della funzione pubblica ad interessi privati, di vera e propria “messa a libro paga” dell’intraneus da parte del corruttore, in vista della futura necessità dei suoi favori, le quali, prescindendo dall’atto, si sostanziano in una serie di attività non esattamente previste ma prevedibili (24); così da aggiornare in via di prassi applicativa la portata della norma alla evoluzione ed alla reale complessità del fenomeno (25). Questo orientamento giurisprudenziale è stato però aspramente criticato dalla dottrina, la quale non ha mancato di censurare l’arbitrario abbandono della necessaria individuazione di un atto specifico voluta dal testo dell’art. 319 c.p., definendo una siffatta interpretazione come analogica piuttosto che estensiva, quindi contraria ai principi informatori della materia penale (26). Il passaggio dall’atto alla funzione operato dalla giurisprudenza, spostando progressivamente il baricentro dello strumento penale verso la protezione dei doveri di fedeltà e imparzialità, ha infatti anticipato contra legem la soglia di (23) Cfr. G. FIDELBo, La corruzione “funzionale” e il contrastato rapporto con la corruzione propria, cit., p. 4. (24) Cass., Sez. VI, 4 maggio 2006, in Cass. pen., 2006, p. 3578. (25) Invero, il concetto di “contrarietà ai doveri d’ufficio” è stato esteso dalla Corte fino a ricomprendervi, come forma di mercimonio della pubblica funzione, anche la «violazione dei doveri generici che disciplinano l’attività amministrativa», ogniqualvolta questi fossero espressione di una più ampia situazione di asservimento; in questo senso v. G. FIDELBo, La corruzione “funzionale” e il contrastato rapporto con la corruzione propria, cit., p. 5. (26) Così, ex multis, V. MAnES, L’atto di ufficio nelle fattispecie di corruzione, in riv. it. dir. proc. pen., 2000, p. 925. Come è stato affermato da T. PADoVAnI, metamorfosi e trasfigurazione. La disciplina nuova dei delitti di concussione e corruzione, in arch. pen., 2012, p. 785, «non v’è dubbio che, sul piano della c.d. meritevolezza di pena, simili condotte di mercimonio invocassero ed evocassero una sanzione penale, per ragioni sin troppo evidenti; ma è altrettanto fuor di dubbio che, sul piano del rispetto del principio di legalità, la dilatazione ermeneutica prospettata dalla giurisprudenza risultasse assai discutibile ». ConTRIBUTI DI DoTTRInA tutela ad uno stadio di pericolo, «pericolo il cui sostrato è poi, in realtà, costituito dal sospetto che, dietro l’asservimento della funzione, conclamato dalla dazione di danaro, si celi un atto, o una serie di atti, rimasti semplicemente non identificati» (27). In un contesto di ormai piena consapevolezza della trasformazione dei fenomeni corruttivi in senso sistemico, e dell’insufficienza delle norme penali vigenti (l’art. 318 c.p. in particolare) a garantire una efficace risposta repressiva e deterrente, nemmeno le posizioni critiche della dottrina sono valse a far arrestare la lettura “estensiva” della fattispecie di corruzione propria da parte della giurisprudenza di legittimità. Il fenomeno di cui si parla, infatti, aveva già da tempo perso quel carattere episodico-pulviscolare che originariamente gli era proprio per assumere una portata più ampia, grazie al coinvolgimento nell’accordo corruttivo di più centri di potere, spesso rappresentati da esponenti della politica, dell’alta burocrazia, persino della criminalità organizzata; un fenomeno incentrato principalmente sulla funzione, caratterizzato da schemi di funzionamento maggiormente elaborati (si pensi, ad esempio, alle figure di intermediari, facilitatori, faccendieri) e da “metodi di pagamento” inediti, quali la garanzia di futuro sostegno politico, elettorale o finanziario, in luogo della consueta tangente (28). In un panorama di tale complessità, la giurisprudenza ha cercato di sopperire in via di fatto alle lacune della legge penale nel fornire una risposta adeguata al mutato fenomeno corruttivo, svalutando, da una parte, il ruolo dell’atto nei delitti di corruzione, e, dall’altra, estendendo l’applicazione del delitto di concussione, nella forma di elaborazione giurisprudenziale rappresentata dalla c.d. “concussione ambientale” (29). 3. L’introduzione del delitto di corruzione per l’esercizio della funzione ex art. 318 c.p. Come si è avuto modo di osservare, la legge n. 190 del 2012 è intervenuta proprio allo scopo di porre rimedio, sul piano normativo, all’interpretazione oltremodo estensiva (se non addirittura analogica, secondo l’opinione di gran parte della dottrina) operata dalla giurisprudenza fino a quel momento. La riforma si è concretata, come si è detto, in un duplice intervento: da una parte è (27) T. PADoVAnI, metamorfosi e trasfigurazione, cit., p. 785. (28) Cfr. G. FIDELBo, La corruzione “funzionale” e il contrastato rapporto con la corruzione propria, cit., p. 6; n. oRTU, Gli accordi illeciti nel sistema della corruzione, cit.; G. STAMPAnonI BASSI, Le corruzioni nel codice penale, cit., pp. 9 ss.; M. GAMBARDELLA, Condotte economiche e responsabilità penale, cit., pp. 451 ss. (29) Cfr. ivi. Sul tema dell’inadeguatezza della previgente disciplina codicistica a reprimere il fenomeno corruttivo nei suoi reali contorni si veda S. SEMInARA, Gli interessi tutelati nei reati di corruzione, in riv. it. dir. proc. pen., 1993, pp. 951 ss. RASSEGnA AVVoCATURA DELLo STATo -n. 1/2023 stata messa mano al rapporto dei reati di corruzione con quello di concussione, tramite l’introduzione, all’art. 319-quater c.p. dell’inedito delitto di induzione indebita a dare o promettere utilità; dall’altra è stato modificato direttamente il sistema dei delitti corruttivi tramutando l’originaria figura di corruzione per un atto dell’ufficio ex art. 318 c.p. nel nuovo delitto di corruzione per l’esercizio della funzione. Con particolare riferimento al secondo intervento, nonostante la previsione di una forma di corruzione testualmente incentrata sull’esercizio della funzione sembri aver recepito quell’approdo giurisprudenziale teso al disancoraggio della tipicità dal rigido requisito dell’atto, il legislatore è in realtà intervenuto in modifica dell’art. 318 c.p. (corruzione c.d. impropria) anziché sul più grave delitto di corruzione propria ex art. 319 c.p., sul quale la giurisprudenza precedente aveva fondato una efficace risposta repressiva ai fatti più gravi di asservimento della funzione. Una figura di corruzione incentrata sulla funzione, d’altronde, era stata elaborata in via giurisprudenziale proprio per sopperire alla lacuna della legge penale nel contrasto dei fenomeni più gravi di “messa al libro paga” del- l’agente pubblico che in cambio “vendesse” la funzione agli interessi del privato, incardinando però la tutela nell’ambito dell’art. 319 c.p.: una condotta di stabile asservimento era ritenuta sempre contraria ai doveri d’ufficio, come richiesto dalla norma in questione (30). La scelta del legislatore del 2012 di ricomprendere tali ipotesi nella fattispecie più mite di corruzione impropria ex art. 318 c.p. ha, di conseguenza, avuto l’effetto di prevedere, per gli episodi maggiormente preoccupanti, una pena inferiore a quella individuata ad opera della giurisprudenza ante-riforma sulla base dell’art. 319 c.p.; circostanza, questa, che non ha mancato di destare critiche e perplessità. Un primo nodo da sciogliere, all’indomani della riforma, è stato quello di comprendere se la rimodulata fattispecie di cui all’art. 318 c.p. non introducesse un’ipotesi di corruzione funzionale limitata ai casi in cui l’accordo corruttivo avesse ad oggetto la funzione complessivamente esercitata in conformità ai doveri dell’ufficio. Una tale visione restrittiva, tuttavia, è stata fin da subito esclusa dalla dottrina, in quanto ritenuta irrazionale, totalmente inadeguata a garantire un sufficiente livello di tutela contro gli episodi di corruzione “sistemica” ed incoerente rispetto agli obiettivi propugnati dalla riforma di rafforzamento dello strumento penale (31). Se da una parte il legislatore ha cercato di tipizzare specificamente una figura di corruzione funzionale svincolata dall’atto, senza lasciarla oggetto di (30) Cfr. G. FIDELBo, La corruzione “funzionale” e il contrastato rapporto con la corruzione propria, cit., p. 6; G. STAMPAnonI BASSI, Le corruzioni nel codice penale, cit., pp. 9 ss.; M. GAMBARDELLA, Condotte economiche e responsabilità penale, cit., pp. 451 ss. (31) Cfr. G. FIDELBo, La corruzione “funzionale” e il contrastato rapporto con la corruzione propria, cit., p. 7.; A. GARGAnI, La riformulazione dell’art. 318 c.p.: la corruzione per l’esercizio della funzione, in Leg. pen., 2013, p. 618. ConTRIBUTI DI DoTTRInA una elaborazione di matrice giurisprudenziale, dall’altra la giurisprudenza di legittimità successiva alla riforma non sembra aver affatto rinnegato l’orientamento preesistente che riconduceva gli episodi più gravi di asservimento della funzione nell’alveo dell’art. 319 c.p., così da consentire l’applicazione di un margine edittale più elevato. Si è trattato quindi di delimitare confini e rapporti tra le due figure di corruzione previsti agli artt. 318 e 319 c.p., cercando di comprendere se ogni forma di corruzione funzionale, senza individuazione di specifici atti, possa ricadere nell’ambito applicativo dell’art. 318 c.p., oppure se, nonostante l’introduzione di una specifica fattispecie in tal senso, non risulti più ragionevole ricomprendere ancora talune ipotesi particolarmente gravi nell’ambito dell’art. 319 c.p., pur in assenza di un atto determinato contrario ai doveri d’ufficio. Il nodo da sciogliere risiede, in particolare, nella disciplina da riservare ai casi di stabile e duratura (o addirittura sine die) messa a “libro paga” del pubblico agente, nei quali l’oggetto del pactum sceleris consiste in un generalizzato asservimento della funzione agli interessi privati, qualora non sia individuabile uno specifico atto contrario ai doveri d’ufficio (32). 3.1 La corruzione per l’esercizio della funzione nella giurisprudenza successiva alla riforma del 2012. Il panorama giurisprudenziale immediatamente successivo alla riforma del 2012 registra, già nelle sue prime pronunce, un contrasto di orientamenti nella VI sezione penale della Corte di Cassazione, che la dottrina non ha mancato di rilevare. Un primo indirizzo, per lungo tempo maggioritario, è caratterizzato dalla marcata tendenza alla valorizzazione, sul piano applicativo dell’art. 319 c.p. (a scapito della neo-introdotta fattispecie di cui all’art. 318 c.p.), riconducendovi tutti quei casi in cui decisiva non risulta tanto l’individuazione di un atto determinato contrario ai doveri d’ufficio, quanto la «contaminazione privata del potere pubblico», riscontrabile quando la pubblica funzione risulti inquinata dall’interesse privato che l’accordo corruttivo è volto a soddisfare, andando il requisito della contrarietà ai doveri d’ufficio a coincidere con la violazione di principi di trasparenza, imparzialità e non venalità ai quali l’attività pubblica è informata (33). Secondo questo orientamento, peraltro, ricondurre lo stabile e duraturo asservimento del pubblico ufficiale agli interessi personali di privati, «attra (32) Cfr. G. FIDELBo, La corruzione “funzionale” e il contrastato rapporto con la corruzione propria, cit., p. 7; M. GAMBARDELLA, il nodo della “stabile messa a libro paga dell’agente pubblico” in tema di corruzione, cit. (33) Cfr. M. GAMBARDELLA, il nodo della “stabile messa a libro paga dell’agente pubblico” in tema di corruzione, cit.; F. PALAzzo, Le norme penali contro la corruzione tra presupposti criminologici e finalità etico-sociali, in Cass. pen., 2015, pp. 3396 ss. RASSEGnA AVVoCATURA DELLo STATo -n. 1/2023 verso il sistematico ricorso ad atti contrari ai doveri di ufficio, anche se non predefiniti, né specificamente individuabili ex post, ovvero mediante l’omissione o il ritardo di atti dovuti» nell’ambito applicativo della corruzione propria ex art. 319 c.p. -anziché nel più mite reato di corruzione funzionale di cui all’art. 318 c.p. (il quale invece ricorre, quando il pactum sceleris abbia ad oggetto il compimento di atti dell’ufficio) -si presenta come la soluzione maggiormente rispettosa dei principi costituzionali di proporzionalità della pena (art. 27 Cost.), offensività e ragionevolezza (art. 3 Cost.), poiché garantisce una graduazione della risposta punitiva attagliata alla effettiva gravità del fatto (34). Al contrario, sempre secondo l’opinione maggioritaria, una disciplina normativa che punisca il mercimonio di un singolo atto, anche se contrario ai doveri dell’ufficio, assai più aspramente rispetto ad una condotta di sistematica e duratura “messa a libro paga” del pubblico agente, che “svenda” l’intera sua funzione all’interesse privato per il proprio tornaconto personale risulterebbe censurabile proprio sotto il profilo dei fondamentali principi costituzionali poc’anzi indicati (35). Appare infatti fuori discussione che una siffatta ipotesi di asservimento sistematico, costante, metodico della intera funzione incarni il massimo grado di offensività e di «disvalore giuridico e sociale» (36). Di conseguenza, tali pronunce hanno riconosciuto sufficiente, ai fini del- l’integrazione del delitto di cui all’art. 319 c.p., una condotta complessivamente tesa «a vanificare, concretamente, la pubblica funzione, violando i doveri di fedeltà, di imparzialità e di perseguimento esclusivo degli interessi pubblici», pur in mancanza dell’individuazione di uno specifico atto contrario ai doveri dell’ufficio come oggetto dell’accordo corruttivo (37). Il presente orientamento, inoltre, riconduce nella sfera dell’art. 319 c.p. anche le ipotesi in cui il soggetto pubblico, in esecuzione dell’accordo corrut (34) Così, Cass., Sez. VI, 11 febbraio 2016, n. 8211, Ferrante, in C.E.D. Cass., n. 266510; Cass., Sez. VI, 23 settembre 2014, n. 6056, Staffieri, ivi, n. 262333; Cfr. G. FIDELBo, La corruzione “funzionale” e il contrastato rapporto con la corruzione propria, cit., p. 8; Cfr. M. GAMBARDELLA, il nodo della “stabile messa a libro paga dell’agente pubblico” in tema di corruzione, cit. (35) Così Cass., Sez. VI, 15 ottobre 2013, n. 9883, in C.E.D. Cass., n. 258521; Cass., Sez. II, 25 novembre 2015, ivi, n. 47471. Cfr. G. FIDELBo, La corruzione “funzionale” e il contrastato rapporto con la corruzione propria, cit., p. 8.; M. GAMBARDELLA, Condotte economiche e responsabilità penale, cit., pp. 479-484. La circostanza che il sistema dei rapporti tra le due fattispecie delineato dalla riforma del 2012 sia censurabile alla luce dei principi costituzionali di proporzionalità della pena, offensività e ragionevolezza appare ancora più discutibile se si pensa che la presente disciplina normativa sia stata introdotta per recepire legislativamente una fattispecie corruttiva funzionale di elaborazione giurisprudenziale, nata in risposta alla concreta realtà criminologica del fenomeno; e per armonizzare le norme incriminatrici in materia, agevolandone al contempo l’accertamento sul piano processuale. (36) Così Cass., Sez. VI, 15 ottobre 2013, n. 9883, cit. Cfr. M. GAMBARDELLA, il nodo della “stabile messa a libro paga dell’agente pubblico” in tema di corruzione, cit. (37) Così Cass., Sez. VI, 23 febbraio 2016, n. 15959, in C.E.D. Cass., n. 266735; Cass., Sez. VI, 11 febbraio 2016, n. 8211, ivi, n. 266510. Cfr. G. FIDELBo, La corruzione “funzionale” e il contrastato rapporto con la corruzione propria, cit., p. 8. ConTRIBUTI DI DoTTRInA tivo, agisca in conformità ai doveri dell’ufficio, nell’esercizio di un potere discrezionale: si afferma, quindi, che l’attività discrezionale svolta in funzione di un interesse non istituzionale valga di per sé ad integrare il requisito della contrarietà ai doveri dell’ufficio, anche se l’esercizio della stessa si traduca nel compimento di atti formalmente legittimi (38). La presenza di uno stabile rapporto di asservimento della funzione agli interessi del privato, che si realizzi mediante il compimento di atti legittimi, sembra far cadere del tutto l’obiezione di chi mette l’accento sulla diversa natura, di danno o di pericolo, delle due fattispecie corruttive, dal momento che -come è stato affermato -«l’effettivo esercizio di poteri pubblici nel contesto di una logica globalmente orientata alla realizzazione di interessi diversi da quelli istituzionali, salvo i casi limite di attività rigorosamente predeterminata nell’an, nel quando e nel quomodo, determina con immediatezza un pregiudizio per l’imparzialità ed il buon andamento dell’amministrazione, perché implica l’impiego di strumenti e funzioni pubblicistiche al di fuori dei presupposti per i quali i medesimi sono stati prefigurati, e, quindi, si traduce in un “attuale” ed ingiustificato trattamento di privilegio in favore del beneficiario dell’azione indebitamente orientata» (39). Si ritiene pertanto integrato il delitto di corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio ex art. 319 c.p. «quando lo stabile asservimento del pubblico ufficiale si sia anche tradotto nel compimento, a vantaggio del privato, di uno o più atti formalmente legittimi, ma non rigorosamente predeterminati nell’an, nel quando o nel quomodo» (40). Può quindi evidentemente ritenersi che la giurisprudenza in esame offra (38) Così Cass., Sez. VI, 24 gennaio 2017, n. 3606, in C.E.D. Cass., n. 269347; Cass., Sez. VI, 5 aprile 2018, n. 29267, ivi, n. 273448; Cass., Sez. VI, 19 aprile 2018, n. 51946, ivi, n. 274507. (39) Cass., Sez. VI, 20 ottobre 2016, n. 3606/2017, in C.E.D. Cass., n. 269347. (40) ivi; in senso conforme si veda Cass., Sez. VI, 15 settembre 2017, n. 46492, ivi, n. 271383; Cass. Pen, Sez. VI, 29267/2018. nell’ambito di questo orientamento che favorisce una lettura estensiva dell’art. 319 c.p., si inserisce la sentenza Cass., sez. VI, 15 settembre 2017, n. 46492, in C.E.D. Cass., n. 271383, nella quale la Corte ha confermato l’integrazione del delitto di corruzione propria in presenza della condotta di un primario ospedaliero che aveva accettato denaro da parte di un rappresentante farmaceutico in cambio dell’impegno a prescrivere il farmaco antitumorale promosso da quest’ultimo a tutti i pazienti oncologici. La Corte ha pertanto affermato che, in questo caso, il comportamento abdicativo del medico (che ricopre una funzione di pubblico ufficiale) rispetto al dovere di una corretta comparazione degli interessi rilevanti ai fini della prescrizione di un determinato farmaco, integri di per sé una condotta omissiva rilevante ai sensi dell’art. 319 c.p. Di conseguenza, anche qualora l’esito concretamente raggiunto risulti ex post coincidente con l’interesse pubblico, la condotta del primario ospedaliero, impegnatosi alla sistematica della terapia farmacologica “nexavar” (antitumorale), in adempimento ad un accordo corruttivo (quindi per mere finalità di profitto indebito), configurerà comunque il delitto di corruzione propria di cui all’art. 319 c.p. Infatti, solo una ponderata comparazione di rischi e benefici prevedibili, inserita nel quadro clinico concreto del singolo paziente, può giustificare la prescrizione di un qualsivoglia farmaco, se non si vuole incorrere in un inammissibile automatismo della prescrizione di terapie farmacologiche, da una parte, e una illecita condotta abdicativa da parte del medico delle sue funzioni, dall’altra. Cfr. M. GAMBARDELLA, il nodo della “stabile messa a libro paga dell’agente pubblico” in tema di corruzione, cit. Per un excursus della giurisprudenza sul punto cfr. anche G. STAMPAnonI BASSI, Le corruzioni nel codice penale, cit., pp. 9 ss. RASSEGnA AVVoCATURA DELLo STATo -n. 1/2023 una lettura del sistema delle due norme incriminatrici analoga a quella elaborata prima della riforma del 2012 -incentrata sulla violazione dei doveri di fedeltà, imparzialità e perseguimento esclusivo degli interessi istituzionali, con relativa svalutazione del requisito rappresentato dall’atto -che, di conseguenza, si sostanzia in una lettura estensiva dell’art. 319 c.p., relegando la fattispecie di corruzione funzionale ex art. 318 c.p. ad un’applicazione assai marginale, praticamente limitata alle sole corruzioni nelle quali la funzione è esercitata in conformità ai doveri dell’ufficio. D’altro canto, un orientamento inizialmente minoritario (41) -che si va progressivamente affermando, soprattutto in tempi più recenti (42) -ricostruisce in maniera diversa l’ambito applicativo dell’art. 318 c.p. e, di conseguenza, il rapporto tra le due figure: «lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi, realizzato attraverso l’impegno permanente compiere od omettere una serie indeterminata di atti ricollegabili alla funzione esercitata, integra il reato di cui all’art. 318 c. p. e non il più grave reato di corruzione propria di cui all’art. 319 c. p., salvo che la messa a disposizione della funzione abbia prodotto il compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio, poiché, in tal caso, si determina una progressione criminosa nel cui ambito le singole dazioni eventualmente effettuate si atteggiano a momenti esecutivi di un unico reato di corruzione propria a consumazione permanente» (43). Si può notare che, stando a questo orientamento, l’art. 318 c.p., lungi dal costituire la disciplina esclusiva per le ipotesi di corruzione funzionale, trovi specificamente applicazione in tutti quei casi in cui la finalità dell’accordo corruttivo (all’interno del quale il mercimonio della funzione si inserisce) non sia nota, oppure questo abbia per oggetto il compimento di atti conformi ai doveri dell’ufficio (44). Residua quindi un margine di applicazione del delitto di corruzione propria di cui all’art. 319 c.p., «quando la vendita della funzione (41) orientamento formatosi da principio soprattutto in relazione al caso “MoSE”. (42) Da ultimo Cass., Sez. VI, sent. del 18 gennaio 2021, n. 1863. (43) Cass., Sez. VI, 25 settembre 2014, n. 49226, in C.E.D. Cass., n. 261352; interpretazione condivisa anche da Cass., Sez. VI, 27 novembre 2015, n. 3043, in C.E.D. Cass., n. 265619 nei seguenti termini: «in tema di corruzione, l’art. 318 c.p. (nel testo introdotto dalla legge 6 novembre 2012 n. 190) ha natura di reato eventualmente permanente se le dazioni indebite sono plurime e trovano una loro ragione giustificatrice nel fattore unificante dell’asservimento della funzione pubblica». In senso conforme v. Cass., Sez. VI, 7 luglio 2016, n. 40237, in C.E.D. Cass., n. 267634 (secondo la quale lo stabile asservimento del pubblico funzionario ad interessi personali di terzi, con compimento sia di atti contrari, sia di atti conformi ai doveri d’ufficio, configuri l’unico reato, a consumazione permanente, di cui all’art. 319 c.p., rimanendo assorbita la più mite fattispecie di corruzione funzionale ex art. 318 c.p.); Cass., Sez. VI, 19 settembre 2019, n. 45184, Cass., Sez. VI, 11 dicembre 2018, n. 4486, Cass. pen., 2019, p. 3495; Cass. Sez. VI, 20 aprile 2019, n. 32401, in C.E.D. Cass., n. 276801; Cass., Sez. VI, 13 febbraio 2019, n. 13406, ivi, n. 275428; Cass., Sez. VI, 6 novembre 2019 (ud. 19 settembre 2019), n. 45184. (44) Cass., Sez. VI, 27 novembre 2015, n. 3043, in CED Cass., n. 265619. Cfr. M. GAMBARDELLA, il nodo della “stabile messa a libro paga dell’agente pubblico” in tema di corruzione, cit. ConTRIBUTI DI DoTTRInA sia connotata da uno o più atti contrari ai doveri d’ufficio, accompagnate da indebite dazioni di denaro o prestazioni d’utilità, sia antecedenti che susseguenti rispetto all’atto tipico, il quale finisce semplicemente per evidenziare il punto più alto di contrarietà ai doveri di correttezza che si impongono al pubblico agente» (45). In tal senso è stato peraltro affermato -nell’ambito di un episodio di c.d. “compravendita dei senatori” (dazione di ingenti somme di denaro in favore di un senatore «volta a costituire un mandato imperativo contrario ai doveri di ufficio, in funzione di voti contrari alle proposte della maggioranza di governo ») -che «l’ipotesi della corruzione propria, di cui all’art. 319 c.p., pur in presenza del mercimonio della funzione, discende comunque non dal mero riscontro di questa, ma dalla deduzione del perseguimento degli interessi del privato corruttore, attraverso atti contrari ai doveri di ufficio, connotati, pur a fronte di atti di natura discrezionale e formalmente legittimi, da quell’interesse. Per contro ricorre l’ipotesi di cui all’art. 318 c.p., in presenza della remunerazione del munus publicum, allorché non sia specificamente individuata la categoria degli atti di riferimento ovvero quando non possa prospettarsi la deduzione della specifica violazione dei doveri di ufficio nel compimento degli atti inerenti all’esercizio della funzione» (46). Il discrimen tra le due figure corruttive, che giustifica il diverso trattamento sanzionatorio, è pertanto individuato, da questo secondo filone giuri (45) Cass., Sez. VI, 27 novembre 2015, n. 3043, in C.E.D. Cass., n. 265619. (46) Cass., Sez. VI, 11 settembre 2018 (ud. 2 luglio 2018), n. 40347, ove la Corte, nel dichiarare la prescrizione del reato nel caso di specie, ha escluso che la vicenda oggetto della pronuncia possa essere qualificata come corruzione propria, non risultando tale fattispecie incriminatrice compatibile «con la sfera di libertà del parlamentare, ben diversa da quella di chi svolge attività amministrativa in senso stretto: con riguardo allo svolgimento dell’attività tipica del parlamentare, infatti, non è ravvisabile un riferimento al bene del buon andamento e dell’imparzialità», essendo egli «libero, del resto, di esprimere nel modo che preferisce l’interesse della Nazione, quand’anche si risolva ad assecondare liberamente intendimenti altrui». Tale affermazione, secondo la Corte, è valida «non solo per il passaggio del parlamentare da uno schieramento all’altro, che è di per sé consentito proprio dalla mancanza di un vincolo di mandato, costituente dato strutturale che segna la piena autonomia del parlamentare, ma anche per ogni altro tipo di pattuizione nella quale sia dedotto l’esercizio delle funzioni, giacché da tale pattuizione non potrà mai discendere la violazione di doveri specificamente e riconoscibilmente correlati a quell’esercizio. Si intende rimarcare come anche nei casi di mercimonio e asservimento delle funzioni, ritenuti idonei ad integrare il delitto di corruzione propria, la giurisprudenza abbia comunque fatto riferimento alla circostanza che la violazione dei doveri debba trasferirsi all’atto risultando attraverso di esso riconoscibile». Ciò, tuttavia, «non significa che la condotta di corruzione sia assorbita per intero dall’autonomia della funzione o dall’operatività dell’immunità, in quanto, come detto, essa si colloca al di fuori dell’una e dell’altra: ma l’autonomia, di cui l’immunità è espressione, influisce sulla qualificazione del suo esercizio, precludendo la possibilità di conferirle una connotazione in termini di contrarietà ai doveri» del- l’ufficio. La Corte ha affermato, di conseguenza, il principio stando al quale «nei confronti del parlamentare non è mai configurabile il reato di corruzione propria (per atto contrario ai doveri di ufficio), antecedente e/o susseguente, previsto dall’art. 319 c.p., ostandovi il combinato disposto degli artt. 64, 67 e 68 della Costituzione». RASSEGnA AVVoCATURA DELLo STATo -n. 1/2023 sprudenziale, proprio nella progressione criminosa dell’interesse tutelato sotto al profilo della gravità: mentre nella corruzione per l’esercizio della funzione ex art. 318 c.p. la dazione del privato al pubblico agente, al fine di assicurarsene i favori, pone in pericolo il corretto svolgimento della funzione pubblica, nella seconda la percezione di un’utilità indebita da parte dell’intraneus sinallagmaticamente connessa al compimento di uno o più atti individuati contrari ai doveri dell’ufficio comporta una lesione concreta dei beni giuridici protetti, così da giustificare una risposta punitiva maggiormente incisiva (47). In sostanza, il presente orientamento ritiene di far ricadere tutte le ipotesi di corruzione sistemica, caratterizzate dalla presenza di un accordo illecito tra corruttore e corrotto, che impegna quest’ultimo in modo stabile e continuativo al compimento (o all’omissione) di una serie non esattamente predeterminata di atti incardinabili nell’ambito della funzione esercitata -di volta in volta classificate dalla prassi giudiziaria precedente al 2012 come “messa a libro paga del pubblico funzionario”, “asservimento della funzione pubblica agli interessi privati” o “messa a disposizione del pubblico ufficio” -precedentemente ricondotte all’art. 319 c.p., nella nuova fattispecie di corruzione per l’esercizio della funzione di cui all’art. 318 c.p., introdotta dalla legge n. 190 del 2012 (48). 3.2 Le ricadute dell’incremento sanzionatorio della corruzione “funzionale” ad opera della L. n. 3 del 2019 sul sistema della corruzione. Come accennato, il legislatore del 2019, con la legge n. 3, è nuovamente intervenuto sui delitti di corruzione, senza tuttavia modificare in modo sostanziale l’assetto delineato dalla legge n. 190 del 2012, intervenendo sulle fattispecie incriminatrici -il linea con le recenti riforme -esclusivamente sul piano sanzionatorio. Le più recenti riforme in materia di corruzione (e delitti contro la pubblica amministrazione in generale) sono infatti accomunate dal giustificare la loro tendenza ad introdurre inasprimenti sanzionatori sulla base di una asserita esigenza di garantire una migliore repressione sul piano general-preventivo, utilizzando la pena detentiva come deterrente; tendenza che, di per sé, risulta frutto di una concezione assai riduttiva del fenomeno in oggetto, (47) Cass., Sez. VI, 25 settembre 2014, n. 49226, in C.E.D. Cass., n. 261352; Cass., Sez. VI, 11 dicembre 2018, n. 4486, in C.E.D. Cass., n. 274984; in Cass. pen., 2019, p. 3495. Visione questa, che sebbene fedele all’assetto delineato dalla riforma del 2012 -non è stata esente da critiche in dottrina perché considerata da alcuni eccessivamente formalista, fondata com’è sul criterio formale del pericolo/danno per il bene giuridico tutelato, a scapito di una attenta valutazione del concreto disvalore delle condotte, incardinata nell’ottica complessiva del sottosistema dei delitti in esame. Cfr. M. GAMBARDELLA, il nodo della “stabile messa a libro paga dell’agente pubblico” in tema di corruzione, cit.; n. oRTU, Gli accordi illeciti nel sistema della corruzione, cit. (48) Cass., Sez. VI, sent. del 18 gennaio 2021, n. 1863. Cfr. M. GAMBARDELLA, il nodo della “stabile messa a libro paga dell’agente pubblico” in tema di corruzione, cit. ConTRIBUTI DI DoTTRInA se non accompagnata di una adeguata azione sul piano amministrativo-organizzativo. Peraltro, mentre la legge del 2012, n. 190, oltre ad innalzare la pena edittale, è intervenuta anche in chiave preventiva, (con strumenti più marcatamente amministrativi) sull’organizzazione della pubblica amministrazione, in virtù di una nozione di corruzione più ampia e svincolata dal solo profilo penale; l’ultima manovra legislativa sembra condividere solo in parte tale strategia. Vengono innalzate, oltre alla pena principale del delitto ex art. 318 c.p., anche le sanzioni accessorie per i reati corruttivi, comprese le sanzioni interdittive previste dal d.lgs. n. 231 del 2001 per la responsabilità da reato degli enti, e vengono introdotte innovative misure sostanziali, investigative e processuali (49), nella consapevolezza che l’effettività della repressione di tali episodi non dipenda unicamente dal quantum di pena previsto dalla legge in risposta agli stessi. Tale consapevolezza del legislatore del 2019 si legge nella Relazione di accompagnamento al disegno di legge, la quale rimarca il fatto che una effettiva ed efficace strategia di contrasto alla corruzione «non può esaurirsi nell’inasprimento sanzionatorio, destinato a rimanere privo di effettività se non accompagnato da efficaci strumenti di prevenzione e di accertamento dei reati» (50). nonostante la pacifica presa di coscienza della insufficienza dell’incremento sanzionatorio come strumento di contrasto alla corruzione, una tale operazione sulla cornice edittale del delitto di corruzione per l’esercizio della funzione è stata giustificata dall’esigenza di armonizzare il quantum di pena (precedentemente ritenuto inadeguato) previsto per la corruzione per l’esercizio della funzione con quello delle figure di corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio ex art. 319 c.p. e di corruzione in atti giudiziari di cui all’art. 319-ter c.p., così da appianare in parte il divario di gravità tra la fattispecie generale -nella quale, come si è osservato, ricade una serie assai eterogenea di fatti concreti, connotati da un livello di offensività anche molto diverso gli uni dagli altri -e le due speciali. obiettivo che, tuttavia, non risulta del tutto riuscito, dal momento che la riforma lascia immutato -anzi sostanzialmente recepisce -l’impianto complessivo dei delitti di corruzione, e, di conseguenza, i rapporti formali tra le due principali fattispecie; assetto che vede ancora come figura più mite quella di cui all’art. 318 c.p. rispetto alla contigua corruzione propria ex art. 319 c.p. (49) Per una disamina delle misure introdotte con la legge n. 3 del 2019 cfr. M. GAMBARDELLA, il grande assente nella nuova “legge spazzacorrotti”: il microsistema delle fattispecie di corruzione, in Cass. pen., 2019, pp. 45 ss. (50) Relazione al disegno di legge n. 1189 presentato dal Ministro della Giustizia il 24 settembre 2018, recante «Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici». RASSEGnA AVVoCATURA DELLo STATo -n. 1/2023 4. il rimodulato discrimen tra corruzione per l’esercizio della funzione e corruzione propria. Se da una parte, come accennato, l’inasprimento sanzionatorio del delitto di corruzione per l’esercizio della funzione è stato sostenuto da una finalità principalmente repressiva, allo stesso può, al contempo, ricollegarsi di riflesso l’effetto sistematico di appianare il divario sanzionatorio tra le due principali fattispecie corruttive, così da condurle su livelli sanzionatori omogenei (dai 3 agli 8 anni di reclusione per la corruzione “funzionale” ex art. 318 c.p., dai 6 ai 10 per quella propria ex art. 319 c.p.), delineare confini più razionali tra le stesse, ed attenuare, in parte, la critica incentrata sull’argomento dell’eccessivo stacco, sul piano della gravità, tra le due figure, tale da rendere insufficiente quella “funzionale” prevista dall’art. 318 c.p. a reprimere gli episodi più gravi di asservimento del funzionario (51). La pena oggi prevista per il delitto in esame trova la propria giustificazione -lo si legge nella Relazione al disegno di legge -nella esigenza di «consentire l’adeguamento della risposta repressiva alla concreta portata offensiva delle condotte riconducibili a tale fattispecie di reato, suscettibili di disvalore anche molto diverso», oltre che, come si è detto, di armonizzarla -pur mantenendo «una congrua differenziazione di pene» -con quella stabilita per le due figure speciali di corruzione propria ex art. 319 c.p. e corruzione in atti giudiziari ex art. 319-ter c.p. (52). Il legislatore del 2019, peraltro, non solo prende atto della consolidata giurisprudenza che all’indomani della riformulazione dell’art. 318 c.p. ha ricondotto nell’alveo dell’art. 319 c.p. gli episodi più gravi di corruzione “funzionale” (53), ma sembrerebbe quasi “recepirla”, mettendo (51) Cfr. ibidem, p. 10. (52) Relazione al disegno di legge n. 1189 presentato dal Ministro della Giustizia il 24 settembre 2018, cit. (53) Come si legge nella Relazione al disegno di legge n. 1189 presentato dal Ministro della Giustizia il 24 settembre 2018, cit., pp. 6: «Va peraltro evidenziato che, con indirizzo interpretativo andato consolidandosi (pur se con diverse sfumature) negli anni successivi alla riforma introdotta con la legge n. 190 del 2012, la giurisprudenza tende a configurare tali più gravi condotte di mercimonio della funzione quali forme di corruzione “per un atto contrario ai doveri d’ufficio”, ai sensi dell’articolo 319 del codice penale, e non già quale corruzione per l’esercizio della funzione, ai sensi dell’articolo 318 del medesimo codice. Ciò non solo quando l’attività amministrativa si traduca in atti contrari ai doveri d’ufficio, ma anche quando essa si risolva in atti formalmente legittimi. Viene, infatti, individuato l’atto contrario ai doveri d’ufficio nello “stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi, attraverso il sistematico ricorso ad atti contrari ai doveri di ufficio non predefiniti, né specificamente individuabili ex post, ovvero mediante l’omissione o il ritardo di atti dovuti” (Corte di cassazione, sezione Vi, sentenza n. 15959 del 23 febbraio 2016, rv. 266735), ma anche nel caso di “stabile asservimento del pubblico ufficiale a interessi personali di terzi, che si traduca in atti, che, pur formalmente legittimi, in quanto discrezionali e non rigorosamente predeterminati nell’an, nel quando o nel quomodo, si conformino all’obiettivo di realizzare l’interesse del privato nel contesto di una logica globalmente orientata alla realizzazione di interessi diversi da quelli istituzionali” (Corte di cassazione, sezione Vi, sentenza n. 3606 del 20 ottobre 2016, rv. 269347). Secondo la Suprema Corte, “un siffatto esercizio di pubblici poteri determina con immediatezza un pregiudizio per l’imparzialità ed il buon andamento ConTRIBUTI DI DoTTRInA in risalto la capacità della fattispecie di cui all’art. 318 c.p. di alleggerire l’onere probatorio rispetto a quello richiesto dall’art. 319 c.p., agevolandone l’accertamento e, quindi, l’utilizzo, ogniqualvolta il rapporto di corrispettività con l’emanazione di uno specifico atto d’ufficio non sia riscontrabile (54). nonché delineando, al contempo, un rapporto più equilibrato tra le due principali figure di corruzione, che scongiuri il rischio, spesso manifestatosi, di un’applicazione eccessivamente marginale dell’art. 318 c.p. (relegato da parte della giurisprudenza agli episodi corruttivi riferibili ad attività conformi ai doveri dell’ufficio) (55). Ed invero, la riforma del 2012 ha rivoluzionato il rapporto intercorrente tra le due fattispecie corruttive, che da rapporto di alterità (o, se si vuole, “specialità reciproca”), imperniato sulla conformità/contrarietà dell’atto ai doveri d’ufficio, si presenta ora come relazione di genere a specie (56), che conferisce alla norma generale rappresentata dall’art. 318 c.p. una posizione centrale nel sistema dei delitti di corruzione; centralità che appare maggiormente giustificata dopo l’inasprimento sanzionatorio introdotto dalla legge n. 3 del 2019, il quale, avendo ridotto lo scarto con la contigua fattispecie di corruzione propria dell’amministrazione, perché implica l’impiego di strumenti e funzioni pubblicistiche al di fuori dei presupposti per i quali i medesimi sono stati prefigurati, e, quindi, si traduce in un ‘attuale’ed ingiustificato trattamento di privilegio in favore del beneficiario dell’azione indebitamente orientata” (in tal senso, in motivazione, si confronti anche la più recente sentenza: Corte di cassazione, sezione Vi, n. 46492 del 15 settembre 2017, rv. 271383). L’atto contrario ai doveri d’ufficio o, più specificamente, l’omissione di un atto dell’ufficio è quindi individuato nel comportamento abdicativo del pubblico ufficiale di fronte al dovere di una corretta comparazione degli interessi rilevanti, anche quando l’esito raggiunto risulti coincidere ex post con l’interesse pubblico». (54) Invero -si legge nella Relazione -«se una risposta punitiva adeguata si vuole comunque assicurare al mercimonio del munus publicum, pur se sganciata da una riconoscibile logica di formale sinallagmaticità con un determinato o determinabile atto dell’ufficio, facendola rifluire nell’alveo “naturale” della corruzione per l’esercizio della funzione, di cui all’articolo 318 c.p. (con il conseguente alleggerimento dell’onere probatorio del reato in sede processuale e maggiore effettività dell’azione penale), sembra necessario estendere la cornice edittale prevista per tale delitto, aumentandone la pena sia nel minimo che nel massimo». Inoltre, nella medesima Relazione, è specificato che: «La prova del più grave delitto di cui all’articolo 319 del codice penale […] può tuttavia essere impervia e l’accertamento della responsabilità penale molto difficoltoso. La configurabilità del delitto di cui all’articolo 319 del codice penale presuppone, infatti, l’accertamento non solo della sinallagmaticità tra dazione (o promessa di dazione) e l’atto (o gli atti) dell’ufficio, ma anche la prova dell’effettiva deviazione del- l’esercizio della discrezionalità amministrativa dal modello procedimentale che la disciplina, quanto meno nella forma della rinunzia a priori a un’equanime comparazione degli interessi in gioco. il che, nel caso di attività amministrativa ad alto tasso di discrezionalità e tanto più a fronte di atti formalmente legittimi e finanche conformi all’interesse stesso della pubblica amministrazione, può essere molto difficile da accertare» (Relazione al disegno di legge n. 1189 presentato dal Ministro della Giustizia il 24 settembre 2018, cit., p. 7). (55) Cfr. G. FIDELBo, La corruzione “funzionale” e il contrastato rapporto con la corruzione propria, cit., p. 10. (56) Cfr., ex multis, M. RoMAno, i delitti contro la pubblica amministrazione. i delitti dei pubblici ufficiali, artt. 314-335-bis, cit., p. 154.; F. VIGAnò, La riforma dei delitti di corruzione, in Libro dell’anno del diritto, Treccani, Roma, 2013, p. 154. RASSEGnA AVVoCATURA DELLo STATo -n. 1/2023 -ritenuto eccessivo ed “aggirato” dalla giurisprudenza, mediante l’interpretazione estensiva dell’art. 319 c.p. -sembra almeno in parte aver restituito “dignità applicativa” al reato di corruzione per l’esercizio della funzione di cui all’art. 318 c.p. (57). È stato infatti osservato che «il riallineamento sanzionatorio è un riconoscimento, da parte del legislatore, della reale portata offensiva delle condotte riconducibili al fenomeno della corruzione per l’esercizio della funzione e, nello stesso tempo, una legittimazione della centralità di tale figura, pur nella consapevolezza che l’art. 318 c.p. non può coprire l’intera area della vendita della funzione, desumibile dal fatto, oggettivo, che la corruzione propria resta ancora punita più gravemente» (58). Può quindi desumersi che i fenomeni di c.d. “messa a libro paga” del- l’agente pubblico -o “asservimento della funzione”, che dir si voglia -possano ricondursi ad entrambe le fattispecie corruttive di cui agli artt. 318 e 319 c.p., in relazione al livello di determinatezza che il pactum sceleris (in particolare, l’atto d’ufficio oggetto del patto) di volta in volta presenta, vero elemento di discrimine tra le due figure. Ciò in adesione all’orientamento giurisprudenziale per lungo tempo minoritario che proprio nel “grado di determinatezza” del- l’accordo corruttivo ha ravvisato la linea di demarcazione tra i due reati in oggetto, affermando che l’ambito dell’art. 318 c.p. non possa costituire il referente normativo per ogni ipotesi di vendita della funzione, ma solo per quegli episodi in cui «il finalismo del suo mercimonio» non sia ancora definito, consentendo l’applicazione dell’art. 319 c.p. nei casi in cui la «vendita della funzione sia connotata da uno o più atti contrari ai doveri di ufficio» (59). Dopo tutto, il concetto di asservimento della funzione descrive un fenomeno empirico multiforme, che sfugge ad una apposita descrizione legislativa e che, a seconda delle modalità concrete in cui si verifica, ben può rientrare nell’ambito corruzione per l’esercizio della funzione, ovvero in quello della corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio (60). Sembra, pertanto, ragionevole affermare che, nell’assetto vigente -risultante dagli interventi legislativi avvicendatesi fino al 2019 -il discrimen tra i due delitti debba rinvenirsi sotto al profilo del “grado di determinazione del- l’atto d’ufficio”, quindi dell’oggetto dell’accordo illecito: se oggetto del mercimonio è il generico asservimento della funzione ad interessi non istituzionali, (57) Cfr. G. FIDELBo, La corruzione “funzionale” e il contrastato rapporto con la corruzione propria, cit., pp. 10-11; Relazione al disegno di legge n. 1189 presentato dal Ministro della Giustizia il 24 settembre 2018, cit., p. 7. (58) Cfr. G. FIDELBo, La corruzione “funzionale” e il contrastato rapporto con la corruzione propria, cit., p. 11. (59) Sez. VI, 25 settembre 2014, n. 47271, Chisso, cit. (60) Cfr. n. oRTU, Gli accordi illeciti nel sistema della corruzione, cit.; M. RoMAno, i delitti contro la pubblica amministrazione, cit., p. 167. ConTRIBUTI DI DoTTRInA senza che siano individuati atti specifici, il fatto ricadrà nella fattispecie prevista dall’art. 318 c.p.; se, invece, nel patto di asservimento del pubblico funzionario è previsto che questi compia atti contrari ai doveri d’ufficio determinati anche solo per genere -in adempimento dello stesso, allora sarà consentito applicare il più grave reato di cui all’art. 319 c.p. (61). La più recente giurisprudenza richiamata, peraltro, ha tentato di giustificare la minore gravità della corruzione per l’esercizio per la funzione rispetto alla corruzione propria ex art. 319 c.p. sulla base della circostanza che, nella prima figura, in assenza di atti determinati o determinabili come oggetto del patto, questo sia finalizzato genericamente a precostituire condizioni favorevoli nei rapporti con il soggetto pubblico (la c.d. “corruzione a futura memoria”); mentre nella corruzione propria, rientrando nell’accordo futuri atti contrari ai doveri d’ufficio, al disvalore costituito dall’asservimento della funzione in sé si somma quello dato dall’impegno dell’agente pubblico al compimento di un abuso specifico e concreto della sua funzione, individuato attraverso un atto determinato o determinabile (62). Questa ricostruzione -nel tentativo di restituire razionalità ai rapporti tra le due fattispecie -mette in risalto la natura di reato di pericolo (peraltro eventuale) del delitto in esame, senza svuotarne completamente la portata applicativa e relegarlo ad un ambito di utilizzo marginale: scopo della norma è quello di prevenire il compimento di condotte lesive dell’imparzialità della pubblica amministrazione, punendo (anche) condotte di asservimento della funzione, prodromiche rispetto al compimento di specifici atti diretti eventualmente a favorire, in futuro, gli interessi personali del corruttore (63). L’art. 319 c.p., invece, viene ricostruito come reato di danno, in quanto colpisce quei comportamenti, messi in atto attraverso il compimento di specifici atti contrari ai doveri d’ufficio (a cui è equiparata, in termini di disvalore, (61) In tal senso si è pronunciata la dottrina formatasi sull’ambito di applicazione dell’art. 318 c.p. (e sul rapporto con l’art. 319 c.p.) anche precedente alla legge n. 3 del 2019: cfr., ex multis, S. SE- MInARA, i delitti di concussione, corruzione per l’esercizio della funzione e induzione indebita, in Speciale corruzione, in Dir. pen. proc., 2013, p. 20; A. GARGAnI, La riformulazione dell’art. 318 c.p., cit., p. 629; G. FIDELBo, La corruzione “funzionale” e il contrastato rapporto con la corruzione propria, cit., p. 11; n. ortu, Gli accordi illeciti nel sistema della corruzione, cit.; M. RoMAno, i delitti contro la pubblica amministrazione, cit., p. 167. (62) Così Cass. pen., Sez. VI, 28 novembre 2014, n. 49226; Sez. VI, 29 gennaio 2019, n. 4486; Sez. VI, 22 ottobre 2019, n. 18125/2020; Sez. VI, 29 luglio 2021, n. 29284; Sez. VI, 3 giugno 2021, n. 21724; Sez. VI, 3 maggio 2021, n. 16781; Sez. VI, 7 marzo 2022, n. 8099. Cfr. G. STAMPAnonI BASSI, Le corruzioni nel codice penale, cit., pp. 17 ss. (63) Cass. pen. Sez. VI, 02/12/2022, n. 45863 “il delitto di corruzione per l’esercizio della funzione pubblica, di cui all’art. 318 cod. pen., come novellato dalla L. 6 novembre 2012, n. 190, si differenzia da quello di corruzione propria, di cui all’art. 319 cod. pen., in quanto ha natura di reato di pericolo, sanzionando la presa in carico, da parte del pubblico funzionario, di un interesse privato dietro una dazione o promessa indebita, senza che sia necessaria l’individuazione del compimento di uno specifico atto d’ufficio”; Cfr. G. FIDELBo, La corruzione “funzionale” e il contrastato rapporto con la corruzione propria, cit., p. 12; Così Cass. Sez. VI, 11 dicembre 2018, n. 4486, cit. RASSEGnA AVVoCATURA DELLo STATo -n. 1/2023 la circostanza in cui tali atti, pur non individuati, siano comunque determinabili), che comportano di per sé una concreta lesione al bene giuridico dell’imparzialità della pubblica amministrazione, giustificando -secondo il presente orientamento - una maggiore gravità sanzionatoria (64). Sicché, se il patto corruttivo con il quale il pubblico agente vende esclusivamente la sua funzione ha ad oggetto l’impegno futuro a prendere in carico, all’occorrenza, gli interessi privati del corruttore, appare condivisibile l’orientamento secondo cui le due figure corruttive sono legate da un rapporto di “progressione criminosa” dell’interesse tutelato in termini di gravità -rispecchiata dalla crescente risposta punitiva -da uno stadio di pericolo, dato dal generico asservimento della funzione pubblica, ad uno stadio di lesione, rappresentata dall’individuazione di un atto contrario ai doveri dell’ufficio e dalla distorsione del potere pubblico nelle sue finalità che esso esprime (65). Pertanto, dato che, secondo questa visione giurisprudenziale “razionalizzatrice” dell’assetto normativo, la linea di demarcazione tra le due figure nonché l’elemento che conferisce loro un diverso livello di disvalore -risiede nel “grado di determinatezza” dell’oggetto dell’accordo corruttivo, un momento complesso, in sede di applicazione, sarà rappresentato -non tanto dalla dimostrazione della pattuizione di un atto determinato ovvero della sua totale assenza, bensì -dall’accertamento, da condurre caso per caso, circa la sussistenza o meno di uno o più atti determinabili ma non (ancora) individuati. Un tale accertamento dovrà essere condotto mettendo al centro dell’esame l’accordo corruttivo, in quanto si ritiene che la determinabilità dell’atto non potrà che emergere dalla determinatezza stessa del patto, nonché dalla condotta concretamente posta in essere dal pubblico agente nell’esercizio della sua funzione: il pactum sceleris dovrà quindi essere interpretato al fine di verificare la possibilità di ricavare, nell’ambito del suo oggetto, l’individuazione, anche (64) Cfr. ibidem. Come recentemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, l’elemento distintivo della fattispecie di corruzione per l’esercizio della funzione rispetto a quella per un atto contrario ai doveri d’ufficio «resta pertanto segnato dalla progressione criminosa dell’interesse protetto in termini di gravità (che giustifica la diversa risposta punitiva) da una situazione di pericolo (il generico asservimento della funzione) ad una fattispecie di danno, in cui si realizza la massima offensività del reato (con l’individuazione di un atto contrario ai doveri d’ufficio)». Mentre nel primo caso la dazione indebita, condizionando la fedeltà ed imparzialità del pubblico ufficiale che si mette genericamente a disposizione del privato, pone in pericolo il corretto svolgimento della pubblica funzione; nell’altro la prestazione del privato, essendo sinallagmaticamente connessa con il compimento di uno specifico atto contrario ai doveri d’ufficio, comporta una concreta lesione del bene giuridico protetto, meritando di conseguenza una pena più severa. Così Cass., Sez. VI, 2 giugno 2020 (ud. 22 ottobre 2019), n. 18125; Cass., Sez. VI, sent. del 18 gennaio 2021, n. 1863. (65) Così da ultimo Cass. pen., Sez. VI, 24/05/2023, n. 22390 “Lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi, con episodi sia di atti contrari ai doveri d'ufficio che di atti conformi o non contrari a tali doveri, configura un unico reato permanente, previsto dall’art. 319 cod. pen., in cui è assorbita la meno grave fattispecie di cui all’art. 318 stesso codice”; Sez. VI, 3 maggio 2021, n. 16781; Sez. VI, 7 marzo 2022, n. 8099. Cfr. G. STAMPAnonI BASSI, Le corruzioni nel codice penale, cit., pp. 20-21; n. oRTU, Gli accordi illeciti nel sistema della corruzione, cit. ConTRIBUTI DI DoTTRInA potenziale, di un atto amministrativo contrario ai doveri dell’ufficio, e solo in questo caso il fatto integrerà il delitto di corruzione propria di cui all’art. 319 c.p. (66). Particolari difficoltà applicative saranno riscontrabili, di conseguenza, ogniqualvolta l’oggetto dell’accordo non risulti con chiarezza: in tal caso, al fine di verificare il “peso” che ha avuto l’interesse privato nella decisione del- l’intraneus -soprattutto nell’esercizio di attività discrezionale -«potranno soccorrere nell’accertamento il tipo di funzione e la ricostruzione ex post (anche in base all’atto che sia stato poi eventualmente compiuto) della situazione ex ante, quale si presentava ai due al momento del patto»; tuttavia, «ove non si raggiunga la prova dell’espresso o tacito ruolo che avrebbe dovuto svolgere l’interesse privato, dovrà concludersi -in dubio pro reo -per la meno grave corruzione ex art. 318 c.p.» (67). (66) Cfr. G. FIDELBo, La corruzione “funzionale” e il contrastato rapporto con la corruzione propria, cit., p. 13; G. STAMPAnonI BASSI, Le corruzioni nel codice penale, cit., pp. 19 ss.; n. oRTU, Gli accordi illeciti nel sistema della corruzione, cit. (67) M. RoMAno, i delitti contro la pubblica amministrazione. i delitti dei pubblici ufficiali, artt. 314-335-bis, cit., p. 210. RASSEGnA AVVoCATURA DELLo STATo -n. 1/2023 rapporti tra procedimento penale e procedimento disciplinare: un excursus giurisprudenziale sul lavoro privato e quello alle dipendenze di Pubbliche amministrazioni Andrea Ferri* Sommario: 1. La tempestività della contestazione degli addebiti nel settore privato: le differenze significative tra il settore privato e quello pubblico -2. il lavoro pubblico e le tre discipline temporali dell’interferenza tra procedimento disciplinare e procedimento penale 3. La tempestività della contestazione degli addebiti nel settore privato: esposizione delle decisioni della Corte di Cassazione su fattispecie diverse e le oscillazioni interpretative -3.1 Commento riassuntivo delle linee tenute dalla Corte di Cassazione -4. Tempestività della contestazione degli addebiti e procedimento penale nella P.a. Dalla rigidità del T.U. 1957 n. 3 alla disciplina intertemporale con l’entrata in vigore della normativa contrattuale -4.1 La giurisprudenza dopo la legge “Brunetta” e l’articolo 55 ter del d.lgs. 165/2001 -4.2 Valutazioni critiche e conclusioni finali. 1. La tempestività della contestazione degli addebiti nel settore privato: le differenze significative tra il settore privato e quello pubblico. nel presente scritto si intendono verificare le interferenze tra procedimento disciplinare e processo penale cui sia sottoposto il dipendente, ponendo a raffronto quanto avviene nel campo del lavoro privato e quanto avveniva ed avviene nel pubblico impiego ora privatizzato, particolarmente nel campo della tempestività della contestazione degli addebiti, nonché della irrogazione della sanzione e della legittimità di un loro differimento. In materia di procedimento disciplinare permangono delle differenze significative tra il campo del lavoro pubblico e quello del lavoro privato. L’attivazione della responsabilità disciplinare è discrezionale per il lavoro privato e il principio di tempestività, che viene ricavato dall’articolo 7 dello Statuto dei lavoratori ed è in via di principio accolto dalla giurisprudenza unanime seppure con non piccole divergenze, serve a prevenire distorsioni applicative da parte del datore di lavoro (1). Viceversa l’esercizio del potere disciplinare è per il datore di lavoro pubblico un dovere indefettibile e non solo per il fatto (*) Dirigente del Ministero dell’Istruzione e del Merito presso l’Ufficio Scolastico Regionale per le Marche. (1) MALIzIA, La variabilità empirica del concetto di immediatezza nella contestazione disciplinare in argomenti di diritto del lavoro, 2009, pagg. 592-597, identifica queste possibili distorsioni nel fatto che un dilazionato esercizio del potere disciplinare potrebbe far sorgere in capo al lavoratore il ragionevole affidamento sulla definitiva decisione del datore di non perseguirlo; nella possibilità che maliziosamente il datore non contesti l’inadempimento con l’intento dissimulato di colpire altre simili infrazioni con maggiore severità; nell’intento di ostacolare la difesa del lavoratore contestandogli i fatti dopo un lungo lasso di tempo. ConTRIBUTI DI DoTTRInA che il suo ingiustificato mancato esercizio costituisce a sua volta fonte di responsabilità disciplinare (articolo 55 sexies del d.lgs. 165/2001), ma anche in considerazione del fatto che i lavoratori pubblici, sebbene il rapporto di lavoro e parte dell’organizzazione degli uffici siano stati privatizzati, perseguono scopi di interesse generale e pertanto la loro negligenza compromette detti scopi primari e non l’economia individuale del datore di lavoro, per quanto essa sia rilevante. oltre ai fini, è diversa pure la disciplina positiva dell’istituto tra i campi del pubblico e del privato. nel lavoro privato non esistono termini precisi ed univoci per l’avvio nonché per la sua conclusione, retti entrambi dal concetto elastico ed affidato alla concretizzazione giurisprudenziale della tempestività. Il lavoro privato neppure ha una disciplina univoca dei rapporti tra procedimento disciplinare e penale, nè regole sulla sospensione cautelare in pendenza del processo penale; esso al più conosce la sospensione in pendenza di procedimento disciplinare, ossia per un breve periodo volto all’accertamento dei fatti. Il lavoro pubblico ha, invece, conosciuto nel tempo tre discipline dell’interferenza tra procedimento disciplinare e procedimento penale. 2. il lavoro pubblico e le tre discipline temporali dell’interferenza tra procedimento disciplinare e procedimento penale. nel vigore del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, l’articolo 103 disponeva che il capo dell’ufficio che a norma dell’art. 100 è competente ad irrogare la censura deve compiere gli accertamenti del caso e, ove ritenga che sia da irrogare una sanzione più grave della censura, rimette gli atti all’ufficio del personale. L’ufficio del personale che abbia comunque notizia di una infrazione disciplinare commessa da un impiegato svolge gli opportuni accertamenti preliminari e, ove ritenga che il fatto sia punibile con la sanzione della censura, rimette gli atti al competente capo ufficio; negli altri casi contesta subito gli addebiti all’impiegato invitandolo a presentare le giustificazioni. L’articolo 117 prescriveva che qualora per il fatto addebitato all’impiegato sia stata iniziata azione penale il procedimento disciplinare non può essere promosso fino al termine di quello penale e, se già iniziato, deve essere sospeso. Peraltro, in pendenza di indagini penali sino a quando non sopravveniva l’azione penale, l’amministrazione poteva dare corso al procedimento ed eventualmente definirlo. A disciplinare l’ipotesi della celere definizione del procedimento prima dell’avvio del procedimento penale e di un successivo giudicato penale assolutorio il d.P.R.1957 n. 3 disponeva all’articolo 119 che il procedimento disciplinare può essere riaperto se l’impiegato cui fu inflitta la sanzione ovvero la vedova o i figli minorenni che possono avere diritto al trattamento di quiescenza adducano nuove prove tali da far ritenere che sia applicabile una sanzione minore o possa essere dichiarato il proscioglimento dall’addebito. Con la privatizzazione del pubblico impiego e la successiva stipulazione RASSEGnA AVVoCATURA DELLo STATo -n. 1/2023 dei CCnL le parti contraenti optarono per una accezione ancor più rigida del principio di pregiudizialità penale. Esemplificativamente si cita il CCnL 16 maggio 1995 (ccnl normativo 1994-1997 ed economico 1995-1999 del comparto Ministeri), ricordando che gli altri contratti divergono per aspetti solo letterali. L’articolo 25 intitolato codice disciplinare disponeva che: 6. Nel caso previsto dalla lettera “a” del comma 5, l’amministrazione inizia il procedimento disciplinare ed inoltra la denuncia penale. il procedimento disciplinare rimane tuttavia sospeso fino alla sentenza definitiva. analoga sospensione è disposta anche nel caso in cui l’obbligo della denuncia penale emerga nel corso del procedimento disciplinare già avviato. 7. al di fuori dei casi previsti nel comma 6, quando l’amministrazione venga a conoscenza dell’esistenza di un procedimento penale a carico del dipendente per i medesimi fatti oggetto di procedimento disciplinare, questo è sospeso fino alla sentenza definitiva. 8. il procedimento disciplinare sospeso ai sensi dei commi 6 e 7 è riattivato entro 180 giorni da quando l’amministrazione ha avuto notizia della sentenza definitiva. La pregiudizialità del procedimento penale rispetto a quello disciplinare era ancora più accentuata dal momento che essa veniva fatta risalire all’avvio del procedimento penale con la denuncia e sino al sopravvenire di una sentenza irrevocabile (2). La terza modalità di relazione dei rapporti tra procedimento disciplinare e procedimento penale è quella inaugurata con il d.lgs. 150/2009, c.d. legge Brunetta, che ha tra l’altro novellato l’articolo 55 del d.lgs. 165/2001 introducendo l’articolo 55 ter -rapporti fra procedimento disciplinare e procedimento penale -di cui si riporta il comma 1 ulteriormente modificato dal d.lgs. 75/2017 nella parte di interesse: il procedimento disciplinare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l’autorità giudiziaria, è proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale. Per le infrazioni per le quali è applicabile una sanzione superiore alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione fino a dieci giorni, l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari, nei casi di particolare complessità dell’accertamento del fatto addebitato al dipendente e quando all’esito dell’istruttoria non dispone di elementi sufficienti a motivare l’irrogazione della sanzione, può sospendere il procedimento disciplinare fino al termine di quello penale. Fatto salvo quanto previsto al comma 3, il procedimento disciplinare sospeso può essere riattivato qualora l’amministrazione giunga in possesso di elementi nuovi, sufficienti per concludere il procedimento, ivi incluso un provvedimento giurisdizionale non definitivo. resta in ogni caso salva la possibilità di adottare la sospensione o altri provvedimenti cautelari nei confronti del dipendente. La forte attenuazione del principio di (2) SGUEGLIA, appunti per una riflessione in tema di sospensione del procedimento disciplinare in pendenza di quello penale in Lavoro e previdenza oggi, fasc. 11, pagg. 1273-1278. ConTRIBUTI DI DoTTRInA pregiudizialità, che è oggi possibile per i soli illeciti di una certa gravità e solo purché ricorrano la particolare complessità dell’accertamento del fatto o la carenza di elementi d’accusa all’esito dell’istruttoria (3), risponde all’esigenza di assicurare che la sanzione sia irrogata nell’immediatezza del compimento dei fatti assicurandole una concreta effettività, rafforzandone il carattere generale preventivo, nella realistica presa d’atto che i tempi lunghi della vicenda penale rischiavano di minare l’effettività della sanzione. 3. La tempestività della contestazione degli addebiti nel settore privato: esposizione delle decisioni della Corte di Cassazione su fattispecie diverse e le oscillazioni interpretative. nella questione decisa dalla sentenza della Corte di cassazione del 10 settembre 2003 n. 13294 (4) veniva in questione la tempestività del licenziamento comminato per una sua eccessiva distanza temporale dalla notizia dei fatti. Il datore di lavoro, un istituto bancario, osservava che solo il 29 ottobre 1992 (il dipendente infatti aveva taciuto la relativa notizia al datore di lavoro in violazione di specifica disposizione del contratto collettivo) la Banca era venuta a sapere che il … era stato rinviato a giudizio per i reati di bancarotta fraudolenta e false comunicazioni sociali, con l’accusa di avere, nella qualità di presidente di una cooperativa e in concorso con altri, esposto nei bilanci e nelle comunicazioni sociali fatti non rispondenti al vero, effettuato sottrazioni dolose di ingenti somme di denaro e utilizzato a fini personali i fondi sociali. Il datore di lavoro negava che potessero fornire una notizia sufficientemente circostanziata da legittimare l’avvio del procedimento disciplinare i fatti anteriori alla conoscenza del rinvio a giudizio consistenti in una manifestazione di protesta nei confronti del ... compiuta davanti alla Banca da soci della cooperativa che lamentavano irregolarità contabili e la sottrazione di somme di denaro, le notizie allora comparse sulla stampa, la condanna del… a L. 300.000 di multa e un anno di reclusione per fatti attenenti ad ipotetici inadempimenti societari. non veniva ravvisato un difetto di tempestività per il fatto che l’azienda, dopo avere allontanato provvisoriamente e cautelarmente il lavoratore con nota del 29 ottobre 1992, avvalendosi dello strumento previsto dall’art. 34 del C.C.N.L., avesse poi aperto il procedimento di licenziamento e risolto il rapporto con nota del 27 aprile 1993. La difesa del (3) Sull’interpretazione dei requisiti legittimanti la sospensione vedi SoRDI, i rapporti tra procedimento penale e procedimento disciplinare nelle amministrazioni pubbliche in il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, 2010, fasc. 3/4, pagg. 606-608, che configura i rapporti tra i due requisiti di cui all’articolo 55 ter come alternativi. In realtà i due requisiti sono in un rapporto di reciproca inscindibilità dal momento che la particolare complessità dell’istruttoria non permette di acquisire elementi che supportino l’azione disciplinare e che qualora a seguito dell’esperimento dell’istruttoria non emergano univoci profili di responsabilità non potrà che farsi ricorso alla sospensione. (4) In orientamenti della giurisprudenza del lavoro, 2003, fasc. 4, pag. 910. RASSEGnA AVVoCATURA DELLo STATo -n. 1/2023 lavoratore eccepiva inoltre che il giudice di secondo grado non ha preso in considerazione che i fatti contestati erano noti fin dal 1990 (non potendosi considerare fatto nuovo il rinvio a giudizio), che il reato di cui l’attuale ricorrente era accusato non era stato commesso sul luogo di lavoro, e che il comportamento penalmente rilevante del medesimo aveva determinato solo un rinvio a giudizio, sicché non vi era una statuizione giudiziaria a suo carico, neanche non definitiva, sicché avrebbe dovuto essere mantenuta la sospensione cautelativa del lavoratore almeno fino alla sentenza di primo grado, anche perché il giudice civile non può sostituirsi al giudice penale nell’accertamento delle responsabilità penali. La Corte di Cassazione con specifico riferimento al tema qui di interesse della tardività del licenziamento rispetto alla notitia illiciti ha osservato che, poiché indubbiamente la tempestività della contestazione deve essere correlata all’epoca in cui il datore di lavoro ha acquisito un’adeguata conoscenza dei fatti (cfr. Cass. 15 ottobre 1998 n. 10204 e 1 aprile 2000 n. 3948), è determinante l’accertamento secondo cui è proprio a partire dalla notizia del decreto di rinvio a giudizio che il datore di lavoro è venuto a conoscenza delle specifiche contestazioni poste a base di detto rinvio a giudizio, relative a fatti che sicuramente non si erano precedentemente prospettati al datore di lavoro in termini di simile gravità; la Corte proseguiva affermando che “nella giurisprudenza di questa Corte, è sottolineato come, in caso di intervenuta sospensione cautelare del lavoratore sottoposto a procedimento penale, la definitiva contestazione disciplinare e il licenziamento per i relativi fatti ben possono essere differiti, in relazione alla pendenza del procedimento penale”. nella sentenza in commento emerge che il momento rilevante per la contestazione degli addebiti è stato il rinvio a giudizio non attribuendosi rilievo alla pregressa conoscenza che la Banca possedeva dei fatti che consistevano in fonti non ufficiali, atipiche quali manifestazioni di piazza contro il dipendente infedele direttore di una cooperativa edilizia e nell’avere costui riportato una condanna precedente per inadempimenti societari. L’osservazione sul valore determinante dell’avvenuto allontanamento del dipendente dal lavoro, intesa come indice inequivoco della volontà di procedere alla definizione della sanzione, acquista senso solo se si fa coincidere il dies a quo dall’effettiva conoscenza dalla richiesta di rinvio a giudizio, altrimenti se si fosse attribuito rilievo alla pregressa pur frammentaria conoscenza dei fatti che il datore di lavoro aveva avuto, anche la sospensione sarebbe stata considerata una tardiva manifestazione di volontà. La fattispecie, di cui alla sentenza dell’8 luglio 2004 n. 12649 della Cassazione (5) riguardava ancora l’intempestività di un licenziamento irrogato da Poste Italiane. Il datore di lavoro disponeva di due relazioni ispettive, circa illeciti di rilievo penale di una propria dipendente, in seguito alla cui consegna (5) In orientamenti della giurisprudenza del lavoro, 2004, fasc. 3, pag. 655. ConTRIBUTI DI DoTTRInA dava avviso all’autorità giudiziaria. L’ amministrazione, pur avendo avuto contezza della richiesta di rinvio a giudizio avvenuta il 27 gennaio 1995, aveva atteso l’esito definitivo del procedimento penale, avviato in seguito alla sua denuncia e conclusosi il 16 febbraio 1996 con una sentenza patteggiata. Diversamente da quanto avvenuto nella sentenza succitata, in quella ora in commento il datore di lavoro aveva raccolto direttamente elementi indiziari, piuttosto forti, tanto da consentire una denuncia all’autorità giudiziaria ed il susseguente rinvio a giudizio e la condanna. Sebbene a volersi seguire il dictum di Cassazione 13294/2003, il dies a quo avrebbe dovuto ravvisarsi nel rinvio a giudizio e pertanto la protratta inerzia avrebbe dovuto invalidare come intempestivo il provvedimento di licenziamento, la Cassazione nell’odierna sentenza pur dando atto che l’azienda non avesse formalmente sospeso la lavoratrice ed avesse atteso la sentenza definitiva ritiene una formalità equipollente, ai fini di mostrare il perdurante interesse di Poste Italiane ad avviare e concludere il procedimento disciplinare, l’allontanamento dalle mansioni pregresse, sebbene esso potesse costituire un semplice avvicendamento, espressione di una volontà conservativa del rapporto. Ciò che va posto in evidenza è che la Cassazione non attribuisce rilievo di dies a quo all’esito dell’attività ispettiva interna alla luce del fatto che i reati erano stati commessi in servizio ed erano consisti nell’avere indotto alcuni utenti a versare somme di danaro in eccesso, senza fare risultare la differenza in sede di riscontro di cassa. Pertanto, pur a fronte di prove nella disponibilità del datore sin dal 1994, la Corte non le ha ritenute elementi sufficienti a fondare una valutazione di non tempestività dell’avvio del procedimento disciplinare (6). La sentenza del 20 giugno 2006 n. 14103 (7) riconosce la tempestività della contestazione e del disposto licenziamento di un lavoratore da parte dell’Enel, a dispetto del licenziamento irrogato a più di 4 anni dai fatti. Avuta infatti contezza dell’arresto del dipendente l’ente ne disponeva la sospensione cautelare ed all’atto della riammissione faceva espressa riserva di avviare il procedimento disciplinare; faceva poi seguito la contestazione degli addebiti (“in ossequio alla sentenza del 15 novembre 1996, in virtù della quale il Tribunale di Latina ha riconosciuto e dichiarato le sue responsabilità per aver commesso, in regime di concorso con altro collega e con abuso delle possedute qualità e funzioni, il reato di concussione ex artt. 317 e 110 c.p.c., in danno dell’imprenditore, le comunichiamo che avendo siffatta fattispecie, gravissimo rilievo anche sul piano disciplinare, con la presente le muoviamo formale contestazione”) all’esito della quale veniva celermente concluso il procedimento, (6) Con riferimento ad un licenziamento che era stato preceduto da una lunga attività istruttoria del datore di lavoro volta ad accertare gli abusi del dipendente (consistenti nel richiedere il rimborso di pasti non connessi alla sue funzioni) vedi MALIzIA, La variabilità empirica del concetto..., cit. (7) In il foro italiano, 2007, fasc. II, parte I, pag. 48. RASSEGnA AVVoCATURA DELLo STATo -n. 1/2023 sebbene il Tribunale avesse pronunciato sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione. nella valutazione della tempestività viene attribuito rilievo alle fasi del procedimento penale cui hanno fatto tempestivamente seguito le determinazioni del datore di lavoro. La sentenza del 18 gennaio 2007 n. 1101 (8) ha confermato la tardività del licenziamento irrogato dal lavoratore a 9 anni di distanza dai fatti, disattendendo la motivazione del datore di lavoro, che pur avendo svolto in proprio un attività ispettiva che indicava come indiziata dell’illecita sottrazione di somme nell’ufficio la dipendente successivamente licenziata, non aveva avviato il procedimento disciplinare perché fidava nell’esito del giudizio penale. Le ragioni della sentenza stanno nel fatto che l’amministrazione disponesse di mezzi di prova, seppur indiziari e che la asserita decisione di attendere l’esito del giudizio penale era stata successivamente contraddetta dai fatti, in quanto contestazione e licenziamento erano stati intimati mentre ancora pendeva il primo grado di giudizio. La sentenza 4502/2008 (9) riconosce la legittimità della contestazione e del susseguente licenziamento dal momento che era la sospensione cautelare ad assumere un univoco significato di volontà di accertare l’illecito, senza che rilevasse il notevole lasso di tempo intercorso tra contestazione e licenziamento. Anche la sentenza della Cassazione 21 febbraio 2008 n. 7983 (10) verte su di una ipotesi di contestata tardività dell’illecito commesso dal lavoratore. In essa i dati di fatto, non contestati nel corso di causa, erano costituiti dalla scoperta di un misuratore manomesso, dalla dichiarazione dell’utente ai funzionari dell’Enel che la manomissione sarebbe stata opera di due dipendenti dell’ente, dal riconoscimento di uno dei due presunti responsabili in una foto di gruppo, dalla constatazione che, secondo la documentazione aziendale, nel giorno indicato dall’utente come quello della alterazione del misuratore, il dipendente dallo stesso riconosciuto si trovava in località diversa. I giudici del merito -dinnanzi alla condotta del datore di lavoro che non aveva sospeso il dipendente, né aveva avviato indagini per accertare la manomissione della strumentazione EnEL per la misurazione dei consumi elettrici né aveva adottato le formali contestazioni ed il susseguente licenziamento -ritengono comunque tempestivo l’avvio e la conclusione del procedimento disciplinare una volta appreso dell’esercizio dell’azione penale. Invero, non diversamente da quanto avvenuto nella sentenza 1101/2007, essendo il reato stato commesso in servizio, attraverso la manomissione di strumenti in dotazione alla società alla luce della mancata sospensione del lavoratore, e stante l’assenza di ogni (8) CALCATERRA, immediatezza della contestazione disciplinare ed attesa della sentenza penale in rivista italiana di diritto del lavoro, 2007, fasc. 3, pag. 687. (9) In massimario di giurisprudenza del lavoro con nota di PIzzonIA, Tipizzazioni collettive e tempestività della contestazione, 2008, fasc. 12, pag. 967. (10) In italgiure web. ConTRIBUTI DI DoTTRInA formalità che potesse rendere evidente la volontà di perseguire il dipendente disciplinarmente (la sospensione cautelare), si sarebbe potuto addivenire ad un annullamento per tardività della contestazione e più ancora per la protratta inerzia del datore nell’accertare fatti ricadenti nella sua sfera di controllo. La decisione della Corte di Cassazione è invece diversa, dal momento che si afferma che questa Corte ha ripetutamente chiarito che quando il fatto che da luogo a sanzione disciplinare abbia anche rilievo penale, il principio della immediatezza della contestazione, non pregiudicato dall’intervallo di tempo necessario all’accertamento della condotta del lavoratore ed alle adeguate valutazioni di questa, non può considerarsi violato dal datore di lavoro il quale, avendo scelto ai fini di un corretto accertamento del fatto di attendere l’esito degli accertamenti svolti in sede penale, contesti l’addebito solo quando i fatti a carico del lavoratore gli appaiano ragionevolmente sussistenti. Si colloca, quindi, nel solco della sentenza 12629/2004 e della 7983 del 2008, in entrambe le quali l’amministrazione disponeva di elementi indiziari autonomamente reperiti e, purtuttavia, non aveva ritenuto potessero costituire elementi atti a sorreggere un’autonoma contestazione dei fatti; che si attaglia perfettamente alla seconda delle due sentenze citate perché in esse il materiale istruttorio risulta connotato da una certa organicità nonché da una rilevante forza probatoria. La sentenza del 1 luglio 2010 n. 15649 (11) si trovava a valutare il comportamento ancora una volta di un dipendente di Poste italiane che, nella propria attività di servizio, aveva tenuto condotte contrarie ai doveri di ufficio di cui l’amministrazione aveva avuto diretta ed immediata contezza. Alla luce di ciò i giudici negano che la sopravvenienza dell’avvenuto esercizio dell’azione penale, cui aveva fatto seguito contestazione di addebito e susseguente licenziamento, potesse costituire un quid novi tale da far nascere da quel momento l’obbligo di una tempestiva contestazione. La sentenza si discosta dalle precedenti commentate (13294/2003, 14103/2006, 7983 del 2008) che avevano sempre riconosciuto che la conoscenza degli esiti della vicenda penale (non necessariamente coincidenti con il giudicato) costituisse il dies a quo della contestazione, anche laddove il datore disponeva di indagini interne il cui esito ben poteva concretizzare una ragionevolmente certa conoscenza dei fatti. La peculiarità della fattispecie, che giustifica l’annullamento della sanzione disciplinare, sta nel fatto che il datore di lavoro non aveva in alcun modo proceduto a condizionare la vicenda disciplinare a quella penale e ciò per due motivi: il fatto che le Poste non avessero proceduto alla denuncia penale dei fatti e che l’ipotesi di illecito disciplinare contestata, consistente in fatti di gravità tale da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro, prescindesse da un previo accertamento di fatti di reato. (11) In italgiure web. RASSEGnA AVVoCATURA DELLo STATo -n. 1/2023 La sentenza del 16 febbraio 2010 n. 3600 (12) della Corte di Cassazione richiama espressamente un consolidato indirizzo giurisprudenziale, ossia quello che considera formalità equipollente alla contestazione la sospensione cautelare del dipendente. nella sentenza 26 marzo 2010 della Cassazione (13) ricorre una fattispecie consueta a queste note; infatti il giudice d’appello osservava che correttamente era stata ritenuta la violazione del principio di tempestività della contestazione degli addebiti, tenuto conto che il datore di lavoro aveva avuto, all’esito degli accertamenti ispettivi, adeguata cognizione dei fatti, che ben poteva svolgere ulteriori accertamenti, e che, in ogni caso, il lasso di tempo trascorso fra l’accadimento dei fatti (collocabili fra il 1989 ed il 1995) e la loro contestazione (in data 6 novembre 2001), a seguito del rinvio a giudizio disposto il 17 maggio 2001, risultava oggettivamente eccessivo e tale da ledere il diritto di difesa del dipendente, esponendolo sine die all’iniziativa disciplinare del datore di lavoro; ancora si legge che tenuto conto che il datore di lavoro aveva avuto, all’esito degli accertamenti ispettivi, adeguata cognizione dei fatti, ben poteva svolgere ulteriori accertamenti, e che, in ogni caso, il lasso di tempo trascorso fra l’accadimento dei fatti (collocabili fra il 1989 ed il 1995) e la loro contestazione (in data 6 novembre 2001), a seguito del rinvio a giudizio disposto il 17 maggio 2001, risulta eccessivo. La Corte con citazione di propri precedenti conferma il difetto di tempestività della contestazione, afferma che l’aver presentato a carico di un lavoratore denuncia per un fatto penalmente rilevante connesso con la prestazione di lavoro non consente al datore di lavoro di attendere gli esiti del procedimento penale prima di procedere alla contestazione dell’addebito, dovendosi valutare la tempestività di tale contestazione in relazione al momento in cui i fatti a carico del lavoratore medesimo appaiono ragionevolmente sussistenti (v. ad es. Cass. n. 1101/2007; Cass. n. 4502/2008). il che, se conferma la relatività che riveste il criterio di immediatezza e il rilievo che assume, al riguardo, il sindacato del giudice di merito, porta, al tempo stesso, a riconoscere che un bilanciamento coerente degli interessi sottesi al procedimento di disciplina non consente di individuare nella potenziale rilevanza penale dei fatti accertati e nella conseguente denuncia all’autorità requirente circostanze di per se sole esonerative dall’obbligo di immediata contestazione, in considerazione della rilevanza che tale obbligo assume rispetto alla tutela dell’affidamento e del diritto di difesa del lavoratore incolpato, sempre che i fatti riscontrati facciano emergere, in termini di ragionevole certezza, significativi elementi di responsabilità a carico del lavoratore (14). Conclusione rafforzata dalle circostanze che il datore non (12) ibidem. (13) ibidem. (14) Per una considerazione critica della dilazione dell’avvio del procedimento vedi LIMA, il prin ConTRIBUTI DI DoTTRInA aveva né contestato gli addebiti, né proceduto ad ulteriori indagini, successive a quelle che avevano determinato la proposizione della denuncia. La soluzione che la Corte avrebbe considerato corretta sarebbe consistita nell’immediata contestazione degli addebiti poiché tale atto eminentemente garantistico, non determina alcuna “valutazione anticipata di responsabilità”, ma risulta, in realtà, essenzialmente funzionale alla puntualizzazione dell’addebito e alla sua ricostruzione e valutazione in contraddittorio con l’interessato, nè preclude al datore di lavoro di sospendere il procedimento disciplinare in pendenza dell’accertamento penale, ove in tal senso consigliano le necessità dell’istruttoria già avviata. La ratio di questo procedere viene fatta consistere nel rispetto della regola della buona fede e correttezza nell’attuazione del rapporto di lavoro, oltre che dei principi di certezza del diritto e di tutela dell’affidamento del lavoratore incolpato. non si fa specifica menzione della rinuncia implicita al potere disciplinare, che potrebbe essere palesata da una contestazione differita nel tempo, ma direttamente al riconoscimento di un immediato diritto di difesa del lavoratore. La Corte nel tratteggiare il comportamento legittimo la cui inosservanza nel caso di specie era stata sanzionata con la reiezione del ricorso, contraddittoriamente ammette con una certa libertà l’immediata sospensione del procedimento dopo le contestazioni degli addebiti; pertanto il diritto di difesa risulta sostanzialmente congelato e destinato a non avere alcuna concreta influenza sino all’esito del processo penale, che comunque assicura la presenza di un giudice terzo, maggiori garanzie nella ricerca della prova e nella sua formazione. L’esigenza di una celere definizione del procedimento attraverso il contraddittorio con l’interessato viene a collidere con la sospensione del procedimento disciplinare, successivamente alla contestazione degli addebiti che demanda del tutto legittimamente la valutazione dei comportamenti illeciti al giudice penale. Di opposto orientamento è la sentenza della Cassazione del 7 aprile n. 7951 del 2011 (15). Pur a fronte di un datore di lavoro che aveva avuto sostanziale consapevolezza della responsabilità del dipendente fin dalla trasmissione della relazione ispettiva all’autorità giudiziaria e, nonostante ciò aveva lasciato trascorrere diversi mesi anche dopo la sentenza di patteggiamento, riconosce la tempestività dell’irrogato licenziamento con motivazioni che legittimano nel modo più ampio l’attesa degli esiti penali: quando il fatto che da luogo a sanzione disciplinare abbia anche rilievo penale, il principio della immediatezza della contestazione, non pregiudicato dall’intervallo di tempo necessario all’accertamento della condotta del lavoratore ed alle adeguate valutazioni di questa, non può considerarsi violato dal datore di lavoro il cipio di immediatezza della contestazione in caso di rilevanza anche penale del fatto tra disciplina pubblicistica e privatistica in aDL, 2011, fasc. 6, pagg. 1355-1360. (15) In italgiureweb. RASSEGnA AVVoCATURA DELLo STATo -n. 1/2023 quale, avviate le proprie indagini senza pervenire ad un sicuro accertamento di colpevolezza, avendo scelto ai fini di un corretto accertamento del fatto di attendere l’esito degli accertamenti svolti in sede penale, contesti l’addebito solo quando attraverso le scelte processuali del lavoratore nel procedimento penale, conclusosi con sentenza di applicazione della pena a richiesta del- l’imputato, abbia acquisito piena consapevolezza della riferibilità dei fatti al dipendente, a nulla rilevando che tale sentenza sia priva di efficacia vincolante nel giudizio disciplinare, scaturito dai fatti ascritti, non venendo in questione il contenuto della sentenza, ma la condotta del lavoratore nel processo, quale elemento che, integrandosi con l’insieme degli indizi già acquisiti, attribuisce alla situazione complessiva la nuova caratteristica della chiarezza e della univocità. nell’iter motivazionale della sentenza non assume rilievo la circostanza che il datore non abbia fatto constare -nei modi che abbiamo visto essere frequentemente apprezzati ai fini della tempestività in altre sentenze, ossia la sospensione dal servizio, un trasferimento, ovvero espressamente riservandosi di proseguirlo -la propria volontà di coltivare il procedimento disciplinare; al contrario in essa si afferma: il comportamento del datore di lavoro che, avuto notizia di un fatto commesso dal proprio dipendente suscettibile di avere rilevanza penale, oltre che disciplinare, denunci il fatto all’autorità giudiziaria e attenda gli esiti del procedimento penale per iniziare il procedimento disciplinare non può essere interpretato come una rinuncia alla pretesa punitiva, né costituisce un serio impedimento ad una efficace e completa difesa, tenuto conto delle maggiori garanzie presenti per il lavoratore nel procedimento penale, derivanti dall’applicazione delle regole processuali e dalla terzietà del- l’organo giudicante. nella sentenza del 13 febbraio 2013 n. 3532 (16) l’avere atteso l’esito definitivo del procedimento penale a fronte di una piena confessione del lavoratore, resa agli organi interni dell’azienda per la contestazione degli addebiti, è stato ritenuto violazione dell’obbligo di tempestività dal momento che nulla poteva venire di decisivo dal procedimento penale. Anche l’avere adibito il lavoratore a mansioni diverse non comportanti maneggio di denaro è stato ritenuto indice di una volontà conservativa del rapporto, sebbene fosse rettamente da intendere come un mutamento di carattere cautelare. nella sentenza 19 giugno 2014 n. 13955 (17) ad una sospensione cautelare dal servizio intervenuta in concomitanza con l’arresto del dipendente, faceva seguito dopo 7 anni dalla contestazione degli addebiti, il licenziamento prima della definizione del processo penale. La sentenza del 21 settembre 2016 n. 18513 (18), nel giudicare rispettato (16) ibidem. (17) ibidem. (18) ibidem. ConTRIBUTI DI DoTTRInA il principio di tempestività, disattende l’eccezione di tardività che pretendeva far decorrere il dies a quo della contestazione da notizie di stampa che non riportavano l’identità della dipendente e giudica tempestivo l’avvio del procedimento, scaduti due mesi dall’acquisizione delle risultanze penali. nella sentenza 4 ottobre 2017 n. 23177 (19) della Corte di Cassazione viene ritenuta tardiva una contestazione elevata dopo il passaggio in giudicato della sentenza, sulla scorta dell’argomentazione che il datore di lavoro aveva con certezza acquisito copia della sentenza di condanna, pur senza averne formalmente appreso l’irrevocabilità, comunque oggettivamente desumibile dalla data della pubblicazione delle motivazioni, il che avveniva all’incirca un anno dopo. Il motivo di interesse sta nel fatto che, sebbene la società datrice di lavoro da lungo tempo fosse a conoscenza della pendenza di un procedimento penale, l’obbligo di attivazione del procedimento veniva così fatto discendere dall’adozione di un pronunciamento di merito del giudice penale, a prescindere dalla sua irrevocabilità. La sentenza del 20 marzo 2018 n. 6937 (20) si occupa del caso di un operaio che era stato sottoposto a custodia cautelare in carcere, senza che l’azienda procedesse ad alcuna sospensione -anzi considerando l’assenza come permesso per motivi personali -, e senza che la medesima formulasse espressa riserva di voler procedere contro il lavoratore. Sopravvenuta 6 anni dopo la condanna per spaccio di sostanze stupefacenti, l’azienda aveva immediatamente elevato contestazioni e successivamente definito il procedimento con il licenziamento. All’eccezione di tardività avanzata dal dipendente, la Cassazione rispondeva che non è, infatti, configurabile acquiescente rinuncia allo strumento disciplinare da parte datoriale, non imponendo né la legge, né il C.C.N.L. di riferimento immediatezza di reazione, pur sempre nella ragionevole plausibilità del differimento di quest’ultima, plausibilità che nella specie deriva dal dover considerare, in relazione alla condotta disciplinarmente sanzionata, ai fini della tempestività del provvedimento, il lasso di tempo intercorrente tra passaggio in giudicato della sentenza di condanna del lavoratore e reazione datoriale, essendo la condotta tipizzata, idonea a giustificare la sanzione espulsiva posta a fondamento del licenziamento. La suprema Corte apprezzava altresì la motivazione della Corte d’appello la quale osservava che l’attesa della definizione del procedimento penale era giustificata da un’esigenza di maggior favore e di garanzia per il lavoratore stesso, cui era stato consentito di difendersi compiutamente nella sede naturale prima di subire qualsiasi provvedimento disciplinare; né la sentenza si cura di giustificare l’affidamento che l’inerzia del datore avrebbe potuto determinare sulla rinuncia alla volontà di procedere disciplinarmente. Da rimarcare nella fattispecie (19) ibidem. (20) ibidem. RASSEGnA AVVoCATURA DELLo STATo -n. 1/2023 è l’assenza di ogni manifestazione esteriore che potesse essere espressiva della volontà di perseguire il lavoratore quali la sospensione cautelare, in pendenza del periodo di detenzione cautelare. 3.1 Commento riassuntivo delle linee tenute dalla Corte di Cassazione. All’esito di questo excursus giurisprudenziale emerge un unico punto fermo; l’attitudine della disposta sospensione cautelare del lavoratore a far ritenere tempestiva una contestazione pur lungamente differita nel tempo, in quanto alla sospensione viene attribuito il valore di manifestazione contraria alla rinuncia ad agire disciplinarmente. Viceversa vi è un conflitto non componibile tra le sentenze che -a dispetto della disponibilità di elementi di prova in danno del lavoratore, derivanti da accertamenti autonomamente esperiti, ovvero esperibili in relazione a fatti che ricadono nella sfera del controllo del datore di lavoro -reputano tempestiva la contestazione ed altre che propendono per l’immediato avvio delle contestazioni. In taluni casi il comportamento è ritenuto legittimo (Cassazione 12629/2004, 7983 del 2008, 13294/2003, sentenza 6937/2018) in altri di fronte ai medesimi elementi di prova si dichiara l’illegittimità per tardività del comportamento (si vedano le sentenze 1101/2007, 15649/2010, 7410/2010, 3532 /2013). Questa divergenza interpretativa trova una sua specifica origine nella conformazione discrezionale dell’azione disciplinare nel lavoro privato, e quindi nella necessità di rinvenire un dato che manifesti la permanente volontà del datore di lavoro di irrogare la sanzione e trae alimento in alcune sue manifestazioni dall’esigenza di rendere edotto il lavoratore dell’addebito, per assicurarne la tempestività della difesa; tale seconda argomentazione a supporto è in realtà contraddittoria, perché viene esternata congiuntamente alla riconosciuta facoltà del datore di lavoro di sospendere il procedimento attendendo l’esito penale, il che produce un effetto paralizzante sull’attività difensiva eventualmente svolta dal lavoratore. Un ulteriore contraddizione sta nella circostanza che, comunque, gli esiti del procedimento penale non possono che assicurare una più compiuta difesa ed un accertamento dei fatti più accurato. Inoltre, mancano nel lavoro privato regole che definiscano i rapporti tra i due giudizi, che operano su di un piano di piena autonomia reciproca. 4. Tempestività della contestazione degli addebiti e procedimento penale nella Pubblica amministrazione. Dalla rigidità del T.U. 1957 n. 3 alla disciplina intertemporale con l’entrata in vigore della normativa contrattuale. Esaminiamo ora gli orientamenti resi in materia di lavoro alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni. Se, nel vigore del testo unico del 1957, la rigidità della regola faceva si che non fosse possibile per il dipendente impugnare l’atto con il quale la P.A. disponeva la sospensione, in quanto si inseriva in funzione strumentale e preparatoria e non era idoneo a produrre lesioni di ConTRIBUTI DI DoTTRInA diritti (21); specularmente una sanzione disciplinare, a seguito di un procedimento disciplinare avviato o proseguito in pendenza dell’azione penale, era illegittima (Consiglio di Stato sezione VI 55/1999) (22). La sentenza del 28 settembre 2006 n. 21032 (23) regola essenzialmente un profilo di diritto intertemporale dal momento che riguarda un procedimento disciplinare sospeso automaticamente nel vigore dell’articolo 117 del d.P.R. 1957 n. 3 che era stato -successivamente alla contrattualizzazione del rapporto di lavoro -riaperto in pendenza del processo penale. nella fattispecie, contorto era stato il procedimento seguito dalla P.A. che aveva aperto formalmente il procedimento, non consapevole dell’obbligo di sospenderlo per effetto della sopravvenuta norma contrattuale, come le era stato ricordato dal dipendente oggetto del procedimento; contorto è pure l’argomentare della sentenza che, seppur in modo superfluo rispetto alla decisione della causa richiama la facoltà per la P.A. di differire l’avvio formale del procedimento all’esito della vicenda penale (la stessa giurisprudenza ha precisato che, qualora sia intervenuta sospensione cautelare del dipendente sottoposto a procedimento penale, ai fini della sussistenza del requisito della tempestività, la definitiva contestazione ben può essere differita all’esito del procedimento penale). La sentenza della Cassazione 21 aprile 2009 n. 9458 (24) è egualmente dedicata al medesimo profilo di diritto intertemporale. La Corte afferma che la relativa disciplina, così come stabilisce in maniera esplicita la possibilità (non più l’obbligo) di attendere l’esito del processo penale in ordine all’accertamento di fatti anche disciplinarmente rilevanti prima di avviare in ordine ad essi il procedimento disciplinare, così deve ritenersi che implicitamente consenta all’amministrazione di valutare più corretto e opportuno, nel corso di una procedura già avviata, sospenderla in attesa dell’accertamento definitivo in sede penale, con gli ampi poteri e garanzie che assistono tale accertamento. La sentenza della Cassazione n. 3697 del 17 febbraio 2010 (25) è anch’essa riferita ad una fattispecie insorta nel vigore del testo unico e definita successivamente all’entrata in vigore dell’assetto contrattuale, per cui l’amministrazione non era tenuta all’osservanza di termini perentori del procedimento disciplinare in pendenza di quello penale. Sarebbe bastata questa sola osservazione a far cadere la censura di tardività avanzata dalla parte privata: invece la Cassazione, noncurante degli aspetti di diritto transitorio che la vicenda presentava, fornisce una risposta di principio: in tale contesto, in cui la norma collettiva impone la sospensione del procedimento disciplinare in pendenza di procedimento penale, (21) In il Consiglio di Stato, fasc. 7, pag. 1208. (22) Vedi la massima in italgiure web. (23) In Lpa 2006, fasc. 6, pag. 1224, con nota di nAnnI, Tempestività e termini del procedimento disciplinare; rapporto con il processo penale e difesa del dipendente. (24) italgiure web. (25) italgiure web. RASSEGnA AVVoCATURA DELLo STATo -n. 1/2023 non è ad ipotizzarsi una violazione del principio di immediatezza della contestazione, posto che le parti collettive hanno dettato una apposita disciplina, la quale può risolversi nella necessità di attendere l’esito del procedimento penale prima di riattivare l’azione disciplinare. Torna applicabile nel caso di specie il principio di relativa immediatezza della contestazione e dell’adozione del provvedimento, posto che è proprio la normativa di garanzia a tutela del dipendente che impone una attesa prima di adottare il provvedimento disciplinare. In sostanza l’articolo 117 del d.P.R. 1957 n. 3 inibiva l’avvio dell’azione disciplinare in pendenza di un processo penale, senza che occorresse un provvedimento espresso che prendesse atto di tale impossibilità. Sopravvenuta la contrattazione collettiva ed il generalizzato obbligo di sospensione del procedimento disciplinare in pendenza del procedimento penale -che però prevedeva l’avvio formale e la susseguente sospensione formale del procedimento -la giurisprudenza ha dato continuità all’orientamento previgente in considerazione del fatto che la contestazione ed una pedissequa sospensione non potevano svolgere alcuna funzione acceleratoria visto l’obbligo di sospensione del procedimento sino alla sopravvenienza di un giudicato penale e constatato che il garantismo del processo penale andava in favore del dipendente. La sentenza della Cassazione 2 marzo 2007 n. 4932 (26) perviene a delle statuizioni completamente opposte in quanto di fronte ad un licenziamento disposto da un comune soltanto all’esito del processo penale, che aveva preso il via per effetto della denuncia e che aveva visto la partecipazione del comune al processo in qualità di parte civile, nonché la sospensione del dipendente all’esito del rinvio a giudizio ne dichiara la tardività. Ritiene infatti che se così non fosse il principio di immediatezza della contestazione subirebbe una grave deroga nell’ambito del rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni non giustificabile una volta che tale rapporto sia assoggettato in linea generale alle regole proprie dei rapporti di lavoro privati. Ancora osservava che, se si consentisse all’amministrazione di differire il formale avvio del procedimento disciplinare, dei cui fatti costitutivi abbia pregressa notizia, esso sarebbe idoneo a modificare radicalmente lo stesso potere di recesso disciplinare del datore di lavoro del quale la tempestività della contestazione è elemento costitutivo. né attribuiva carattere equipollente alla disposta sospensione, dal momento che essa non aveva fatto immediatamente seguito alla conoscenza del fatto, ma era stata la conseguenza del rinvio a giudizio in sede penale, comunque a notevole distanza dai fatti. Tale sentenza sebbene favorevolmente commentata in dottrina (27), non tiene conto che la tempestiva contestazione non avrebbe potuto in (26) DI PAoLA, Considerazioni in materia di tempestività della contestazione nel settore pubblico, con particolare riguardo al caso dell’interferenza tra procedimento disciplinare e procedimento penale. (27) SChIAVonE, rapporto tra procedimento penale e disciplinare .Un chiarimento della Cassazione in aDL 4/5, pagg. 1088-1097. ConTRIBUTI DI DoTTRInA alcun modo sortire effetti acceleratori grazie al fatto che, per espressa previsione contrattuale, il procedimento disciplinare non avrebbe potuto che essere sospeso rimanendo assoggettato ai tempi del processo penale. né va sottaciuto che un procedimento formalmente avviato e successivamente sospeso sino ad un termine incerto, rappresenta l’antitesi della tempestività che con la sentenza in commento si voleva assicurare, come se le esigenze garantistiche che in ipotesi si volevano tutelare non siano in contraddizione con una inesorabile, protratta pendenza del procedimento, cui l’amministrazione non potrebbe mettere fine ante tempus, ossia prima del processo penale. La sentenza del 20 giugno 2014 n. 14103 (28) riguarda una fattispecie maturata interamente nel vigore delle norme contrattuali che aveva visto l’InPS procedere alle contestazioni di addebito solo dopo il rinvio a giudizio del dipendente, della cui attività illecita l’Istituto aveva avuto una pregressa, non superficiale conoscenza tanto da averlo trasferito in altra unità produttiva, da averlo costituito in mora per il danno erariale arrecato all’ente, procedendo a formale contestazione solo avuta notizia del rinvio a giudizio. All’eccezione di tardività delle contestazioni i giudici replicano valorizzando la complessità dell’indagine penale in corso, che non aveva consentito all’Istituto la piena conoscenza dei fatti. Richiamano poi l’argomento che abbiamo visto nelle precedenti sentenze, ovverosia che, ai fini dell’accertamento della sussistenza del requisito della tempestività del licenziamento, in caso di intervenuta sospensione cautelare di un lavoratore sottoposto a procedimento penale, la definitiva contestazione disciplinare ed il licenziamento per i relativi fatti ben possono essere differiti in relazione alla pendenza del procedimento penale stesso; è il caso di precisare che il richiamo alla pregressa sospensione non è pertinente al caso de quo nel quale il lavoratore era stato sospeso solo a seguito delle contestazione degli addebiti, senza che ciò potesse essere addotto a surrogare l’asserita intempestività della contestazione. I giudici affermano ancora che, in tema di procedimento disciplinare a carico di pubblici dipendenti, per fatti penalmente rilevanti, non è ipotizzabile la violazione del principio di immediatezza della contestazione e dell’adozione del provvedimento disciplinare, qualora la P.a., uniformandosi alle disposizioni della contrattazione collettiva in caso di emergenza di fatti-reato, abbia atteso l’esito delle indagini e del processo, destinando il dipendente ad altre mansioni, e in seguito, avuta notizia, in via ufficiale, del rinvio a giudizio, abbia provveduto alla sospensione cautelare e, all’esito del processo penale, a nuova valutazione dei fatti ascritti al lavoratore, disponendone il licenziamento. Veniva poi richiamata a fortiori l’esigenza di tutela del segreto istruttorio; può dunque affermarsi che, in tema di procedimento disciplinare, ai fini dell’accertamento della sussistenza del (28) In Lavoro e giurisprudenza con nota di GALLo, Tempestività ed immutabilità della contestazione disciplinare in pendenza di procedimento penale. RASSEGnA AVVoCATURA DELLo STATo -n. 1/2023 requisito della tempestività della contestazione, in caso di intervenuta sospensione cautelare di un lavoratore sottoposto a procedimento penale, la contestazione disciplinare per i relativi fatti ben può essere differita dal datore di lavoro in relazione alla pendenza del procedimento penale stesso, anche in ragione delle esigenze di tutela del segreto istruttorio. Quindi tra le ragioni addotte a sostegno della tempestività del procedimento disciplinare, con continuità viene presentata quella che reputa fungibile il formale avvio del procedimento con il suo differimento all’esito del giudicato penale; ciò trova le sue essenziali ragioni nell’assenza di pregiudizio per il privato, nonché nel- l’impossibilità che il mancato tempestivo inizio del procedimento possa essere inteso come rinuncia all’esercizio dell’azione disciplinare, stante il carattere indisponibile di essa. 4.1 La giurisprudenza dopo la legge “Brunetta” e l’articolo 55 ter del d.lgs. 165/2001. La giurisprudenza ha, poi, dovuto misurarsi successivamente all’entrata in vigore del d.lgs. 150/2009, la cosiddetta legge Brunetta, con le conseguenze del superamento della pregiudiziale penale che consente all’amministrazione di procedere parallelamente ed indipendentemente dal procedimento penale, salvo che ricorrano la complessità dell’istruttoria, ovvero la mancanza di sufficienti elementi istruttori. La sospensione diventa così una mera eventualità condizionata alla ricorrenza di specifici presupposti, ma le ragioni che avevano indotto la giurisprudenza a non considerare perentorio il termine di avvio del procedimento, in caso di simultanea ricorrenza di illecito disciplinare e di un fatto di reato, non sembrerebbero poter essere intaccate perché, tra la facoltatività della sospensione, ovvero la sua obbligatorietà, e la perentorietà del termine non vi è alcuna relazione dal momento che la sospensione eventuale del procedimento disciplinare non deve intervenire entro un termine perentorio, non indicato nell’art. 55 ter comma 1. Inoltre, le ragioni sistematiche che avevano escluso la perentorietà del termine per il lavoro pubblico -ovverosia l’assenza di un pregiudizio in capo al privato, che dalla sospensione del procedimento avrebbe tratto il vantaggio di un processo con terzietà piena e maggiori garanzie nonché la tutela del segreto istruttorio -restano in piedi anche nel nuovo assetto di pregiudizialità eventuale e temperata. ovviamente, la conservazione di tale assetto riguarda i soli fatti costituenti illecito disciplinare e simultaneamente un illecito penale, che rispondano alle nuove condizioni definite dall’articolo 55 ter del d.lgs. 165/2001 (ovverosia quelle che presentano un carattere di complessità ed un peculiare livello di gravità); laddove tali circostanze non ricorrano e la P.A. resti inerte, attendendo l’esito del procedimento penale senza formalizzare l’avvio del procedimento disciplinare, dovrà considerarsi caducato l’esercizio del potere disciplinare; se così non fosse, verrebbe frustrata la ratio della ri ConTRIBUTI DI DoTTRInA forma del 2009, ossia quella di assicurare comunque, ove possibile, la definizione in via autonoma del procedimento disciplinare. nell’ipotesi in cui l’amministrazione pur al di fuori delle ipotesi di legge che legittimano la sospensione del procedimento (ossia a fronte di illeciti che si collocano al di sotto della soglia di gravità o nei quali non ricorre la complessità dell’accertamento del fatto) avvii il procedimento disciplinare nel rispetto dei termini perentori di cui all’articolo 55 ter e sospenda il medesimo in attesa degli esiti del processo penale, deve ritenersi comunque sussistere un interesse del dipendente destinatario della contestazione, poi sospesa, ad agire in giudizio, non per la tardività dell’avvio del procedimento (che in questo caso risulterebbe avviato tempestivamente) ma -decorsi i 120 giorni dalla contestazione degli addebiti -per farne accertare l’estinzione per effetto della sua mancata conclusione nel termine perentorio, come l’amministrazione avrebbe dovuto e potuto. Potrebbe anche darsi l’ipotesi che, sopravvenuto un giudicato penale sfavorevole al privato, questi, pur avendone atteso l’esito magari per anni, contesti -di fronte alla sanzione irrogatagli a seguito della riassunzione l’originaria illegittimità della sospensione; tale esito -seppur paradossale, a fronte della dimostrata esistenza dell’illecito disciplinare -deve considerarsi legittimo e possibile dal momento che l’originaria carenza dei presupposti per la sospensione non è suscettibile di sanatoria. Potrebbe anche accadere che il dipendente impugni la sospensione e chieda l’assoluzione nel merito laddove ritenga evidenti le proprie ragioni producendo in giudizio le prove materiali o gli elementi giuridici che facciano ritenere insussistente l’illecito, come tratteggiato dall’amministrazione; tali azioni presuppongono la sussistenza in capo al dipendente di una lesione immediata che ben può farsi consistere nel- l’afflittività su di un piano morale della protratta sospensione di un procedimento su di lui incombente. Veniamo ora alle pronunce giurisprudenziali della Corte di Cassazione rese con riferimento all’assetto dei rapporti tra procedimento disciplinare e penale, come definito dal d.lgs. 165/2001. La Cassazione nella sentenza 9 gennaio 2017 n. 219 (29) risolve il tipico problema di diritto intertemporale relativo alla disciplina da applicarsi per vicende che si snodino a cavallo di due differenti discipline, individuando il dies a quo per l’applicazione della nuova disciplina nel momento in cui l’amministrazione viene a conoscenza dei fatti di rilievo disciplinare e penale, piuttosto che nel momento della commissione dei fatti, sulla scorta di una circolare della Funzione Pubblica n. 14 del 2010; pertanto per i procedimenti nati nel vigore della vecchia normativa non vi era alcun obbligo di attivare immediatamente il procedimento nei nuovi termini richiesti perché per essi vigeva il principio (29) italgiureweb. RASSEGnA AVVoCATURA DELLo STATo -n. 1/2023 tempus regit actum. La Corte precisa sempre come obiter dictum la disciplina previgente, confermando gli esiti raggiunti in precedenza. nella sentenza 209/2017 si legge che nella vigenza del regime di pubblico impiego “privatizzato” la regola è costituita dalla possibilità -e non più dal- l’obbligo -di attendere l’esito del processo penale in ordine all’accertamento dei fatti prima di avviare il procedimento disciplinare, così come è facoltà dell’amministrazione sospendere il procedimento già avviato in attesa del- l’esito del giudizio penale: una volta optato per l’attesa dell’esito definitivo come è avvenuto in tal caso -la fattispecie restava regolata dalla stessa disciplina contrattuale per tutta la durata del procedimento. Si passeranno ora in esame i pronunciamenti della Cassazione nella quale essa ha fatto applicazione dell’articolo 55 ter del d.lgs. 165/2001. nella sentenza del 6 giugno 2016 n. 11594 (30) la Cassazione si occupa della tempestività dell’irrogazione di una sanzione ad un dipendente scolastico. Dalla narrazione dei fatti di causa si apprendeva che alla fine del mese di luglio 2010 il Presidente del Consiglio d’istituto aveva trasmesso all’Ufficio scolastico provinciale, un incartamento, contenente una serie di segnalazioni su comportamenti anomali attribuiti al r., costituito per lo più da testimonianze degli studenti, dichiarazioni di insegnanti e di genitori; che su richiesta del- l’amministrazione di procedere ad ulteriori accertamenti si procedeva ad una audizione ad opera del dirigente scolastico del soggetto indagato (richiesta avanzata il 3 agosto ed i cui esiti pervenivano nella disponibilità dell’UPD in data 23 agosto) il quale rispondeva ammettendo i fatti (assume il ricorrente, che tuttavia, non richiama in modo circostanziato la relativa documentazione, di aver ammesso che svolgeva le esercitazioni di laboratorio al pomeriggio invece che al mattino senza tener conto dell’orario delle lezioni, ma bilanciando il minor impegno di tempo in altre attività; che aveva acquistato le carcasse per la dissezione facendo la colletta tra gli allievi e pagandosi la benzina per arrivare fino all’allevatore; che aveva usato per il laboratorio materiale organico proveniente dagli allievi, eseguendo su studenti maggiorenni e consenzienti prelievi di sangue a tale scopo), di cui quindi l’amministrazione aveva avuto conoscenza, ma chiarendo che le circostanze addebitate erano state condivise dall’amministrazione e che a proprio avviso non costituivano illecito. La contestazione elevata dal competente UPD in data 18 novembre 2010 dopo che era stata disposta un’ispezione ad opera di un soggetto da tale ufficio designato (che la concludeva il 12 novembre 2010) consisteva nei seguenti addebiti: assunzione di iniziative didattiche altamente diseducative, oltre che in aperta violazione della normativa vigente, delle direttive del miUr, delle norme in materia di sicurezza, delle vincolanti indicazioni collegio docenti, in relazione al grave atto di crudeltà che risultava (30) ibidem. ConTRIBUTI DI DoTTRInA commesso su animali, alla presenza di minori e in assoluto spregio (anche) della sensibilità degli stessi a tale riguardo; anomalie nelle procedure di acquisto degli animali da laboratorio; gravi negligenze nell’espletamento del- l’attività didattica per avere introdotto nella scuola materiale di incerta provenienza ed effettuato prelievi di sangue agli studenti in condizioni igieniche inadeguate e con rischio, quindi, anche per la loro salute; inadeguatezza del programma da lui proposto rispetto alle reali capacità degli studenti e la sua indisponibilità al confronto con i colleghi e ii. TT. PP.; false attestazioni sulla sua presenza in servizio e le gravi irregolarità nella compilazione dei registri; autonoma articolazione dell’orario delle lezioni e ridotto espletamento del servizio, con correlato danno in ordine alla preparazione di studenti a lui affidati; omissioni di vigilanza sugli stessi, in relazione alla estemporaneità e alla mancata preventiva calendarizzazione delle ore di laboratorio effettuate con i suoi alunni, nonchè l’omessa comunicazione del- l’orario effettivo di lezione alle famiglie degli studenti minorenni; grave pregiudizio apportati al rapporto fiduciario scuola / famiglie e il pesante danno arrecato all’immagine dell’istituto. Dal raffronto tra i fatti segnalati dalla dirigenza e quelli oggetto della contestazione, nonché della successiva sanzione, emerge una sostanziale identità e si desume che, sin dalla ricezione della segnalazione del dirigente scolastico, l’UPD possedeva sufficienti elementi per dare formale avvio al procedimento anche alla luce delle dichiarazioni confessorie rese dal dipendente al dirigente scolastico. La Cassazione, sposando la motivazione della Corte d’appello -per la quale l’incartamento trasmesso alla fine del mese di luglio 2010 dal Presidente del Consiglio d’istituto all’USP di milano conteneva una serie di segnalazioni sui comportamenti anomali attribuiti al r., costituite per lo più da testimonianze di studenti, dichiarazioni di insegnanti e di genitori, relative al mancato svolgimento di ore di lezione da parte del r., nonchè alla più grave condotta di vivisezione di conigli e di utilizzazione di materiale organico proveniente dagli stessi studenti, di contenuto non sempre coincidente recante indicazione di circostanze di tempo e di luogo non sempre precise e puntuali -ritiene che una conoscenza certo non sommaria, ma discordante in taluni episodi secondari, non sia sufficiente a costituire il dies a quo per la decorrenza dei termini; l’ulteriore esperimento di mezzi istruttori (che avevano sostanzialmente confermato le informazioni di cui l’amministrazione era già a conoscenza) significa che, nel giudizio della suprema Corte, un residuo margine di incertezza su alcuni degli episodi di rilievo disciplinare o l’incertezza su alcune modalità della condotta non costituiscono ancora il requisito della conoscenza qualificata che determina la decorrenza dei termini. nella sentenza della Cassazione del 20 marzo 2017 n. 7134 (31), si esa (31) ibidem. RASSEGnA AVVoCATURA DELLo STATo -n. 1/2023 mina il caso di un datore di lavoro ricorrente contro l’annullamento di una sanzione disciplinare, determinato dal superamento dei termini massimi del procedimento disciplinare. La sentenza di merito aveva considerato valido dies a quo per l’avvio del procedimento la ricezione da parte dell’UPD di notizie su di un procedimento disciplinare avviato dalla Procura della Repubblica: gli elementi suddetti consistevano in stralci della richiesta di convalida del fermo del dipendente, nonché nella richiesta di applicazione di una misura cautelare formulata dal PM ed in tale documentazione era contenuto il capo di imputazione relativo ad un reato contro la pubblica amministrazione e quindi provvisto di evidente rilievo disciplinare. Al giudice del merito, che aveva concluso che la prima notizia dell’infrazione non dovesse necessariamente consistere in un’informazione di tale dettaglio da consentire l’avvio del procedimento disciplinare, ma di una notitia illiciti da corroborarsi attraverso specifiche indagini esperite dall’amministrazione, la Cassazione contrappone altra diversa convinzione precisando che deve trattarsi di una “notizia di infrazione” di contenuto tale da consentire all’Ufficio di dare, in modo corretto, l’avvio al procedimento disciplinare, nelle sue tre fasi fondamentali della contestazione dell’addebito, dell’istruttoria e dell’adozione della sanzione. Prosegue affermando che la contestazione degli addebiti con la quale si instaura il contraddittorio con l’incolpato deve essere fatta in tempi ravvicinati, sulla base di un’attenta valutazione sia della gravità dei fatti addebitati al dipendente -in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all’intensità dell’elemento intenzionale -sia dell’assenza o meno di precedenti illeciti commessi dal dipendente nonché della sua posizione nell’ambito dell’ambiente di lavoro. Si deve quindi trattare di un atto che abbia i requisiti del- l’immediatezza, della specificità e dell’immutabilità, pur non dovendo obbedire ai rigidi canoni che presiedono alla formulazione dell’accusa nel processo penale, data la diversità sostanziale e formale dei principi che governano la responsabilità disciplinare (nella specie: dei pubblici dipendenti) rispetto a quelli propri della responsabilità penale. Il contenuto che la contestazione degli addebiti deve possedere, ossia una puntuale valutazione degli elementi di fatto, delle precise circostanze della loro commissione, dell’intensità e della natura dell’elemento soggettivo, per essere rispondente al requisito della specificità rende necessario che l’informazione sull’illecito sia in grado di soddisfare tali requisiti. La necessità di assicurare all’amministrazione la possibilità di porre in essere una o una reazione congrua ed esemplare, anche per gli altri lavoratori esige un informazione precisa anche per far si che le stesse esigenze di certezza che sono alla base della tutela del dipendente, vengano rispettate, per irrinunciabile simmetria, anche con riguardo alla posizione dell’amministrazione. nella sentenza 1 marzo 2018 n. 4881 (32) il differimento della contesta ConTRIBUTI DI DoTTRInA zione avvenuta alla fine del 2010 degli addebiti relativi ad una condotta che aveva palesato una immediata rilevanza disciplinare e penale consistendo in plurimi fatti di peculato posti in essere in concorso con terzi in un lasso di tempo compreso tra il 2007 ed il 2010, viene giustificata con la complessità delle indagini e con la necessità di conservare il segreto istruttorio; si legge nella sentenza che: la Polizia Ferroviaria del Compartimento del Lazio ebbe a sollecitare una sospensione dei primi atti di verifica interna di Trenitalia per non pregiudicare i risultati investigativi attesi da una più ampia indagine di rilievo penale, come adempimento del generale dovere di cooperazione nei confronti degli organi dello Stato deputati alla scoperta e alla repressione dei reati, così da realizzare un interesse che è di per sé meritevole di apprezzamento secondo l’ordinamento giuridico e, nella specie, così come egualmente accertato, non in conflitto con la pienezza di esercizio del diritto di difesa del lavoratore incolpato. Ancora, la Cassazione nella sentenza 11 marzo 2018 n. 6989 (33), riconosce la tempestività di un licenziamento irrogato ad un proprio dipendente medico, per un fatto commesso nell’esercizio delle funzioni ed all’interno dei locali aziendali (la violenza sessuale su di una paziente), a dispetto della circostanza che i fatti fossero avvenuti nell’anno 2010 e contestati solo dopo la comunicazione del dispositivo e non delle motivazioni della sentenza di primo grado. Ai fini del riconoscimento della tempestività della contestazione non si attribuisce rilievo all’avvenuta sospensione cautelare facoltativa del dipendente (della quale, sulla base dei dati contenuti in sentenza non è dato conoscere la prossimità ai fatti) che pure sarebbe potuta valere come elemento in favore della tempestività della contestazione, ma si ribadisce che l’avvio del procedimento non avrebbe potuto avvenire sulla base delle sole notizie di stampa pubblicate nell’immediatezza dei fatti, né sulla base della conoscenza dell’avvenuta applicazione di una misura cautelare, tanto più che non era giunta al datore formale comunicazione di essa (34). nella sentenza del 13 maggio 2019 n. 12662 (35) la vicenda concerneva l’operato di un amministrazione locale e di un dipendente di essa sospettato (32) ibidem. (33) ibidem. (34) Tale conclusione è in sintonia con un non recente indirizzo giurisprudenziale nato nel lavoro privato ed apprezzato da CoRAzzA, Contestazione dell’addebito disciplinare e conoscenza del fatto penalmente rilevante da parte del datore di lavoro, in riDL, la quale commentando Cass. 12452/1998 condivideva che la denuncia penale non fosse idonea a una conoscenza piena del datore di lavoro degli elementi per una contestazione specifica, e come a tal fine dovesse profilarsi la concreta configurabilità della commissione del fatto tanto più in casi come quello affrontato dalla sentenza, di fatti che, provati, danno certamente luogo a responsabilità ma che non possono formare oggetto di autonomo accertamento da parte del lavoro (si trattava di una violenza in danno di una passeggera commessa su di un treno da un dipendente delle ferrovie). (35) italgiureweb. RASSEGnA AVVoCATURA DELLo STATo -n. 1/2023 di fruire indebitamente di permessi per l’assistenza alla madre, in quanto di fatto non residente con lei, ma altrove, a dispetto delle risultanze dei registri anagrafici. Dall’esame dei fatti emerge che l’amministrazione datrice di lavoro del dipendente aveva investito l’autorità giudiziaria per l’accertamento di fatti dei quali era già perfettamente al corrente, come dimostrato dalla circostanziata denuncia sporta ai Carabinieri, poi seguita da una richiesta di informazioni sugli esiti finalizzata alle decisioni disciplinari, oltre che alla Corte dei Conti. Anche in questo caso la P.A. era, sin dal momento della denuncia in possesso di solidi elementi indiziari che consistevano in dichiarazioni raccolte sul luogo di lavoro (nella sentenza si legge che dati di cui il datore di lavoro era in possesso al momento della denuncia non avrebbero potuto che essere di natura cartacea o basati, probabilmente, su voci o informazioni reperite presso il luogo di lavoro e quindi tali da rendere opportuna un’integrazione mediante indagini di polizia giudiziaria sul campo e verifiche di migliore certezza). Da tali affermazioni si ricava che la formula usata dalla Cassazione a giustificare la tempestività dell’avvio del procedimento disciplinare avvenuto due anni dopo la denuncia, ossia che il termine «non può decorrere se la notizia, per la sua genericità, non consenta la formulazione dell’incolpazione, ma richieda accertamenti di carattere preliminare, volti ad acquisire i dati necessari per circostanziare l’addebito» legittimi l’amministrazione ad agire solo dinnanzi ad una concreta prognosi di colpevolezza. 4.2 Valutazioni critiche e conclusioni finali. Sforzandoci di individuare una caratteristica comune tra le statuizioni della Cassazione relative alle fattispecie di interferenza tra illecito disciplinare e procedimento penale, relativamente al lavoro pubblico privatizzato essa è di identificare il dies a quo della decorrenza dei termini per la contestazione degli addebiti con una conoscenza piena dei fatti che possa consentire all’ufficio di dare in modo corretto avvio al procedimento disciplinare nelle sue tre fasi fondamentali della contestazione, dell’istruttoria e dell’adozione della sanzione. Considerando che -in tutte le sentenze prese in esame e relative a sospensioni del procedimento sotto il vigore del d.lgs. 150/2009 -l’amministrazione aveva pregressa conoscenza dei fatti (anteriore al formarsi del giudicato penale su di essi) e disponeva di elementi indiziari in qualche caso cospicui ed in qualche caso più labili, il punto in comune delle sentenze sta nell’individuare il dies a quo in un livello di conoscenza di fatti che possa configurare una probabile prognosi di responsabilità disciplinare in capo al dipendente. Gli itinerari argomentativi maturati prima del d.lgs. 165/2001, che ammettevano una dilazione del formale avvio del procedimento disciplinare sino alla definizione della vicenda penale con sentenza irrevocabile, in un regime di sospensione obbligatoria sin dalla denuncia dell’illecito, non vengono più riproposti. Invece viene, attraverso un’interpretazione estensiva della notizia ConTRIBUTI DI DoTTRInA dell’illecito disciplinare che costituisce il momento iniziale del decorso dei termini di decadenza per l’avvio del procedimento disciplinare, richiesto un particolare grado di dettaglio per tale segnalazione del fatto, comprensivo delle circostanze del fatto, del preciso contributo dato dal lavoratore e dell’intensità dell’elemento psicologico, che legittimano la pubblica amministrazione a differire le formali contestazioni ad un momento avanzato della vicenda penale seppure prima della formazione del giudicato. Il passaggio da una sospensione del procedimento necessitata ed anticipata al primo formarsi del procedimento penale ad una sospensione meramente eventuale e, nelle intenzioni del legislatore, circoscritta ad ipotesi di non comune verificazione, sotto la quale si era formato l’indirizzo maggioritario che ammetteva il differimento della contestazione alla conclusione della vicenda penale, non dovrebbe avere una diretta influenza sulla possibilità del differimento anche nel nuovo assetto della materia (36). Il carattere facoltativo di essa (oggetto di una scelta motivata che lo renda preferibile all’avvio immediato) non ne comporta per logica necessità il carattere recettizio e quindi l’obbligatoria comunicazione alla controparte; né deve tacersi del fatto che la mancata comunicazione della sospensione al lavoratore non gli reca alcun pregiudizio, se non privandolo della possibilità di contestare in radice l’illecito per la sua tardività ovvero per l’infondatezza nel merito, facoltà che il lavoratore potrà esercitare una volta avviato, in relazione agli esiti del processo penale, il procedimento disciplinare; il ritardo sarebbe comunque compensato dalla possibilità per il lavoratore di valersi delle acquisizioni formatesi in sede penale. Una indicazione in tal senso si rinviene nella sentenza della Cassazione del 7 giugno 2016 n. 11628 (37). In essa il privato si doleva del fatto che la sospensione del procedimento disciplinare non gli fosse mai stata comunicata e chiedeva l’annullamento della sanzione per avvenuto decorso del termine di decadenza. La risposta della Corte è stata che la normativa richiamata non prevede alcuna comunicazione al dipendente della sospensione del procedimento disciplinare, né un onere di tal genere è desumibile dalla complessiva disciplina regolante il procedimento disciplinare poiché, trattandosi di normativa procedimentale prevedente specifici termini e decadenze è di stretta interpretazione, sicché non può certamente ritenersi sussistente un onere del genere implicante, tra l’altro, la decadenza della P.a. dall’azione disciplinare. negare la natura recettizia della sospensione del procedimento, a fronte invece (36) TEnoRE in Studio sul procedimento disciplinare nel pubblico impiego, Giuffrè 2017, riconosce all’amministrazione titolare del procedimento disciplinare la scelta, sempre a fronte di fatti complessi e non accertabili in sede interna-amministrativa, di non iniziare il procedimento disciplinare con la contestazione degli addebiti… aspettando l’esito (non necessariamente del giudicato)… del giudizio penale. Esclude che tale scelta possa essere ritenuta passibile di determinare la decadenza del provvedimento. (37) ibidem. RASSEGnA AVVoCATURA DELLo STATo -n. 1/2023 della certa recettizietà dell’atto ad essa speculare, ossia la contestazione degli addebiti, è una tesi che porta delle conseguenze ulteriori. Se la sospensione, pur adottata formalmente, non deve essere notificata al dipendente, essa è totalmente inidonea ad assicurare la funzione per la quale esiste, ossia dare al dipendente notizia della pendenza di un procedimento per salvaguardarne i diritti di difesa, restando costui ignaro dell’avvio di un procedimento. Se la sospensione non deve essergli comunicata allora è breve il passo per dire che non è necessario che essa sia stata formalmente adottata, potendo essa esserlo per facta concludentia attraverso la denuncia inoltrata all’autorità giudiziaria e la richiesta di essere informati del prosieguo del procedimento penale, sebbene vi sia a carico della pubblica accusa e dei giudici un formale obbligo di comunicare all’amministrazione del dipendente l’adozione di una misura cautelare o l’avvenuto esercizio dell’azione penale. La contestazione del dipendente sul tardivo avvio del procedimento potrebbe essere differita, senza alcuna compromissione del diritto di difesa del lavoratore, ed inoltre tale soluzione è maggiormente rispettosa del segreto istruttorio che vige sia nelle indagini penali che in quelle della Procura della Corte dei Conti. Conclusivamente, nel lavoro alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni, il requisito della tempestività viene fatto consistere nell’acquisizione di una notizia di illecito che costituisca anche un reato di contenuto tale da consentite una prognosi di colpevolezza in capo al dipendente, tanto più che una contestazione assistita da un notevole dettaglio degli episodi ascritti al dipendente svolge una funzione deflattiva del contenzioso, e se non contestata in giudizio accresce la funzione general preventiva della sanzione. Laddove l’amministrazione dovesse, al contrario, agire su notizie non provviste di un adeguato grado di precisione e completezza, l’esito giudiziale di una reazione contro il provvedimento sarebbe maggiormente frequente e più spesso coronato dal successo; anticipare la contestazione degli addebiti al momento della prima conoscenza del fatto avrebbe come conseguenza che la sospensione del procedimento avverrebbe dopo la contestazione degli addebiti, così riproducendosi la situazione di lentezza ed ineffettività della reazione disciplinare all’illecito del dipendente. L’orientamento della Corte teso a differire il dies a quo per l’avvio del potere disciplinare, con la conseguente decorrenza dei termini perentori per la sua conclusione ad una pienamente circostanziata conoscenza dei fatti che costituiscono pure fattispecie di reato potrebbe indurre l’amministrazione a differire la contestazione sino alla sopravvenienza di elementi rivenienti dal procedimento penale quali l’irrogazione di misure cautelari, la richiesta o il disposto rinvio a giudizio ed a fortiori una condanna anche non definitiva, con il rischio implicito che si riproduca di fatto la situazione che vedeva l’assoluta pregiudizialità del procedimento penale rispetto a quello disciplinare cosi frustrandosi la ratio del decreto Brunetta teso ad accelerare la definizione di pro ConTRIBUTI DI DoTTRInA cedimenti disciplinari anche indipendentemente dall’iter di quello penale per ragioni di esemplarità sanzionatoria e di effettività della sanzione (una sanzione irrogata a notevole distanza dai fatti può infatti perdere di afflittività e comunque vede di molto diminuita la propria efficacia generalpreventiva). Una attenta considerazione della giurisprudenza in materia sopra analizzata consente di dire che essa si è formata su fattispecie di illeciti connessi al servizio del dipendente ma che presentavano una oggettiva complessità per il numero dei soggetti coinvolti e degli illeciti ascritti (dalla complessiva considerazione dei quali soltanto poteva emergere l’apporto individuale di ciascuno e la gravità delle specifiche condotte), la pregressa notorietà dei quali talora discendeva da notizie di stampa (per loro natura frammentarie) ovvero da fonti non ancora riscontrate (come le doglianze degli utenti del servizio); può ritenersi che l’effettivo ricorrere della complessità dei comportamenti di potenziale rilievo disciplinare giustifichi l’orientamento della corte. Eguale solidità probatoria dovranno assumere gli illeciti di potenziale rilievo disciplinare relativi a condotte extraprofessionali in quanto rispetto ad essi l’amministrazione è priva di strumenti istruttori. D’altronde come si è visto, anticipare l’avvio del procedimento al primo profilarsi di una notitia illiciti in questi casi non riuscirebbe a sortire l’effetto di una celere conclusione del procedimento disciplinare, che verrebbe sospeso frustrandosi la ratio di celerità insita nel sollecito avvio di esso. Viceversa comportamenti individuali che cadano nella diretta sfera di controllo dell’amministrazione perché commessi in servizio e che non presentino tratti di particolare complessità sono quelli in relazione ai quali dalla notitia illiciti deve scaturire il tempestivo avvio del procedimento disciplinare a pena di decadenza del provvedimento ed in relazione ai quali non può essere correttamente disposta la sospensione, ben potendo l’amministrazione acquisire tutti gli elementi per agire disciplinarmente; in tali casi la disposta sospensione può ben essere impugnata dal dipendente nel nome di un proprio interesse alla definizione del procedimento ed, ove riconosciuta illegittima determina la decadenza del procedimento disciplinare per violazione dei termini di esso (non potendo l’amministrazione essere rimessa in termini ove siano decorsi i 120 giorni dalla contestazione). La dicotomia tra fatti di complesso accertamento disciplinare e comportamenti extrafunzionali da un lato e dal- l’altro fatti connessi al servizio e di non difficile accertamento probatorio potrebbe costituire anche per il lavoro alle dipendenze di soggetti privati la summa divisio per valutare o meno la tempestività della contestazione e la successiva eventuale sospensione di esso. (*) COMUNICATO DELL’AVVOCATO GENERALE Oggi lascia il servizio, dopo trentotto anni di significativa presenza, l’Avv. Giuseppina Buongiorno, dell’Avvocatura Distrettuale di Salerno. Alla carissima Collega e Amica che ha onorato l’Istituto con la Sua professionalità, la Sua dedizione alla cura degli interessi del Paese, vanno i saluti e gli auguri più affettuosi miei e di tutti gli Avvocati e Procuratori dello Stato e del Personale dell’Avvocatura. Gabriella Palmieri Sandulli (*) E-mail Segreteria Particolare, sabato 30 settembre 2023 08:13. (*) COMUNICATO DELL’AVVOCATO GENERALE Oggi lascia il servizio, dopo quarantacinque anni di significativa presenza, l’Avv. Stefano Vivacqua, dell’Avvocatura Distrettuale di Palermo. Al carissimo Collega e Amico che ha onorato l’Istituto con la Sua professionalità, la Sua dedizione alla cura degli interessi del Paese, vanno i saluti e gli auguri più affettuosi miei e di tutti gli Avvocati e Procuratori dello Stato e del Personale dell’Avvocatura. Gabriella Palmieri Sandulli (*) E-mail Segreteria Particolare, lunedì 9 ottobre 2023 08:01. (*) COMUNICATO DELL’AVVOCATO GENERALE Oggi lascia il servizio, dopo quarantacinque anni di significativa presenza, l’Avv. Giovanna Maria Cuccia Russo, Avvocato Distrettuale di Messina. Alla carissima Collega e Amica che ha onorato l’Istituto con la Sua professionalità, la Sua dedizione alla cura degli interessi del Paese, vanno i saluti e gli auguri più affettuosi miei e di tutti gli Avvocati e Procuratori dello Stato e del Personale dell’Avvocatura. Gabriella Palmieri Sandulli (*) E-mail Segreteria Particolare, mercoledì 11 ottobre 2023 08:00. (*) COMUNICATO DELL’AVVOCATO GENERALE Oggi lascia il servizio, dopo quarantadue anni di significativa presenza, l’Avv. Ines Sisto Monterisi, Avvocato Distrettuale di Bari. Alla carissima Collega e Amica che ha onorato l’Istituto con la Sua professionalità, la Sua dedizione alla cura degli interessi del Paese, vanno i saluti e gli auguri più affettuosi miei e di tutti gli Avvocati e Procuratori dello Stato e del Personale dell’Avvocatura. Gabriella Palmieri Sandulli (*) E-mail Segreteria Particolare, venerdì 20 ottobre 2023 08:04. (*) COMUNICATO DELL’AVVOCATO GENERALE Ieri, 1° gennaio 2024, ha lasciato il servizio, dopo oltre quarantuno anni di significativa presenza, l’Avv. Filippo Patella, Avvocato Distrettuale di Reggio Calabria. Al carissimo Collega e Amico che ha onorato l’Istituto con la Sua professionalità, espressa, in particolare, nelle funzioni di Avvocato Distrettuale prima di L’Aquila e, poi, di Reggio Calabria, con la Sua preziosa collaborazione nel Consiglio degli Avvocati e Procuratori dello Stato e con la Sua dedizione alla cura degli interessi del Paese, vanno i saluti e gli auguri più affettuosi miei e di tutti gli Avvocati e Procuratori dello Stato e del Personale dell’Avvocatura. Gabriella Palmieri Sandulli (*) E-mail Segreteria Particolare, martedì 2 gennaio 2024 16:15. Finito di stampare nel mese di febbraio 2024 Stabilimenti Tipografici Carlo Colombo S.p.A. Vicolo della Guardiola n. 22 - 00186 Roma