ANNO LXXV - N. 2 APRILE - GIUGNO 2023 RASSEGNA AV V O C AT U R A DELLO STATO PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO COMITATO SCIENTIfICO: Presidente: Michele Dipace. Componenti: Franco Coppi -Natalino Irti -Eugenio Picozza - Franco Gaetano Scoca. DIRETTORE RESPONSABILE: Giuseppe Fiengo - CONDIRETTORI: Maurizio Borgo, Stefano Varone. COMITATO DI REDAZIONE: Giacomo Aiello -Lorenzo D’Ascia -Gianni De Bellis -Wally Ferrante -Sergio Fiorentino -Paolo Gentili -Maria Vittoria Lumetti -Francesco Meloncelli -Marina Russo. CORRISPONDENTI DELLE AVVOCATURE DISTRETTUALI: Andrea Michele Caridi -Stefano Maria Cerillo Pierfrancesco La Spina -Marco Meloni -Maria Assunta Mercati -Alfonso Mezzotero -Riccardo Montagnoli -Domenico Mutino -Nicola Parri -Adele Quattrone -Antonino Ripepi -Piero Vitullo. HANNO COLLABORATO INOLTRE AL PRESENTE fASCICOLO: Ennio Antonio Apicella, Sara Cardarelli, Paolo Del Vecchio, Massimo Di Benedetto, Michele Gerardo, Leonello Mariani, Melvio Maugeri, Gaetana Natale, Gabriella Palmieri Sandulli, Carmela Pluchino, Valeria Romano, Mariarita Romeo, Antonio Trimboli. E-mail Giuseppe fiengo rassegna@avvocaturastato.it maurizio.borgo@avvocaturastato.it stefano.varone@avvocaturastato.it ABBONAMENTO ANNUO ..............................................................................€ 40,00 UN NUMERO .............................................................................................. € 12,00 Per abbonamenti ed acquisti inviare copia della quietanza di versamento di bonifico bancario o postale a favore della Tesoreria dello Stato specificando codice IBAN: IT 42Q 01000 03245 348 0 10 2368 05, causale di versamento, indirizzo ove effettuare la spedizione, codice fiscale del versante. I destinatari della rivista sono pregati di comunicare eventuali variazioni di indirizzo AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO RASSEGNA -Via dei Portoghesi, 12, 00186 Roma E-mail: rassegna@avvocaturastato.it - Sito www.avvocaturastato.it Stampato in Italia - Printed in Italy Autorizzazione Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 indice -sommario TEMI ISTITUZIONALI Intervento dell’Avvocato Generale dello Stato in occasione della cerimonia di presentazione della “Relazione sull’attività della Giustizia Amministrativa” anno 2023. Inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2024 . . . . Intervento dell’Avvocato Generale dello Stato in occasione della cerimonia di inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2024 del T.a.r. Lazio. . . . . . Intervento dell’Avvocato Generale Aggiunto in occasione della cerimonia di inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2024 presso la Corte di appello di Roma. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Carmela Pluchino, Relazione annuale dell’Avvocatura dello Stato sul contenzioso antimafia. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ennio Antonio Apicella, Riforme legislative ed efficienza del processo, Intervento introduttivo al Convegno annuale di studi organizzato dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Catanzaro, 23 giugno 2023 . . . . . . . D.P.C.M. 22 dicembre 2023 recante “Autorizzazione all’Avvocatura dello Stato ad assumete la rappresentanza e la difesa della società Giubileo 2025 S.p.A. nei giudizi attivi e passivi avanti le autorità giudiziarie, i collegi arbitrali, le giurisdizoni amministrative e speciali”, Circolare A.G. prot. 100597 del 12 febbraio 2024 n. 12 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . CONTENZIOSO NAZIONALE Antonino Ripepi, Gli automatismi sanzionatori nella più recente giurisprudenza di legittimità. Disamina di Corte Costituzionale, 9 novembre 2023, n. 201 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Antonio Trimboli, Atto di disobbedienza o affermazione della propria funzione nomofilattica? La soluzione offerta dalle Sezioni Unite 28 marzo 2024 n. 78 al quesito posto dalla ordinanza della Sezione IV del 2 luglio 2023 n. 30386 in tema di appello promosso avverso sentenza di condanna dell’imputato anche ai fini civili con reato prescritto nelle more del giudizio di gravame . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Paolo Del Vecchio, Investimenti nel servizio di distribuzione del gas e prerogative regolatorie di ARERA alla luce degli orientamenti recenti del giudice amministrativo (T.a.r. Lombardia, sentt. 23 maggio 2023 nn. 1228, 1229,1230, 1231) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Wally ferrante, Interdittiva antimafia e contraddittorio procedimentale dopo la novella del 2021 (Cons. St., Sez. III, sent. 15 febbraio 2024 n. 1517) . . I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO Giacomo Aiello, Provvedimento di rigetto dell’istanza d’iscrizione nelle White lists prefettizie ex art. 1, comma 52 bis l. n. 190/12 e conseguenze in tema di revoca delle concessioni di sovvenzioni, finanziamenti e contributi pubblici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 1 ›› 4 ›› 8 ›› 13 ›› 46 ›› 58 ›› 59 ›› 70 ›› 81 ›› 100 ›› 111 Massimo Di Benedetto, Quesito in materia di successione nel tempo delle norme (Regolamenti UE nn. 2023/461 e 2023/467 pubblicati nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Melvio Maugeri, Esercizio di pubblici poteri: sull’immunità degli Stati rispetto alla giurisdizione esercitata dai Giudici stranieri . . . . . . . . . . . Antonio Trimboli, Estensione del principio di retroattività della lex mitior agli illeciti amministrativi. Limiti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Valeria Romano, Alloggio di servizio dell’Arma dei Carabinieri: qualificazione come “casa familiare”, separazione personale dei coniugi ed effetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Valeria Romano, Alloggio di servizio del Ministero della Difesa: separazione personale dei coniugi, soggetto tenuto alla corresponsione del “canone” per l’occupazione “sine titulo” dell’alloggio, procedura di recupero coattivo dell’immobile. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . LEGISLAZIONE ED ATTUALITà Gaetana Natale, Il processo di digitalizzazione e i suoi riflessi nel diritto. L’evoluzione della digitalizzazione dei contratti pubblici: cosa cambia dal 1 gennaio 2024 con il nuovo Codice dei Contratti Pubblici D.lgs. 36/2023? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Gaetana Natale, Sara Cardarelli, La dimensione giuridica dell’istruzione e del merito: i principi basilari per lo sviluppo dell’Italia . . . . . . . . . . . Gaetana Natale, La complessità degli accertamenti psico-attitudinali nei concorsi pubblici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . CONTRIBUTI DI DOTTRINA Michele Gerardo, I principi e le responsabilità del nuovo Codice dei contratti pubblici. Tecniche rivolte a vincere la c.d. “paura della firma” . . Antonino Ripepi, L’interpretazione al crocevia tra diritto e musica. Un processo circolare. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Mariarita Romeo, Qualità della normazione e comprensibilità delle leggi ................................................... pag. 121 ›› 125 ›› 129 ›› 134 ›› 148 ›› 173 ›› 196 ›› 204 ›› 209 ›› 224 ›› 234 TEMIISTITUZIONALI PRESENTAZIONE DELLA RELAZIONE SULL’ATTIVITÀ DELLA GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER L’ANNO 2023 INAUGURAZIONE ANNO GIUDIZIARIO 2024 Intervento dell’Avvocato Generale dello Stato Avv. Gabriella Palmieri Sandulli Signor Presidente della Repubblica, Autorità, Signor Presidente del Consiglio di Stato, Signor Presidente Aggiunto, Signor Segretario Generale, sono onorata di prendere la parola in questa solenne Cerimonia per portare il saluto dell’Istituto che ho il privilegio di dirigere, nel segno della consolidata reciproca collaborazione istituzionale, della quale ringrazio Lei, Signor Presidente, tutti i Magistrati e il Personale amministrativo. * Sinergia e proficuo scambio tra tutti i protagonisti del processo amministrativo hanno contribuito all’elaborazione di soluzioni condivise che, tenendo conto dell’interesse di tutte le parti del giudizio, costituiscono presupposto essenziale per una sempre più efficiente amministrazione della giustizia. Nel 2023, infatti, è stato sottoscritto il Protocollo d’intesa sullo svolgimento delle udienze e delle camere di consiglio “in presenza”, presso il Consiglio di Stato e il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione siciliana, nella fase di superamento dello stato di emergenza epidemiologica, per elaborare “…le migliori pratiche e…soluzioni organizzative…”; ed è stato anche possibile affrontare le sfide poste dall’attuazione del PNRR in tema di effettiva realizzazione dei programmi previsti, compresi i delicati interventi del Commissario Straordinario per il Giubileo 2025. Con lo spirito collaborativo proprio dell’Avvocatura dello Stato auspico si possa proseguire in questo percorso. RASSeGNA AvvoCAtURA deLLo StAto -N. 2/2023 * L’attività dell’Avvocatura dello Stato si svolge in misura rilevantissima dinanzi alla Magistratura amministrativa. Il numero di nuovi contenziosi che, per l’anno 2023, la vedono coinvolta, dinanzi al Consiglio di Stato, come appellante o come resistente supera, infatti, i 5700 affari (sostanzialmente analogo a quello del 2022). L’Avvocatura dello Stato offre un utile contributo sia nello svolgimento dell’attività strettamente giurisdizionale, nella quale si esprime la sua missione istituzionale, sia nei settori di natura organizzativa, collaterali, ma non meno importanti, come il costante contributo fornito nel progetto che ha portato alla nascita e al consolidamento dell’efficienza del processo amministrativo telematico. Se nel 2023 i depositi al giudice amministrativo, in tutta Italia, ammontavano a circa 90 mila, con un aumento, nel quinquennio, di più del 40 per cento (nel 2018 erano 63 mila), oltre 11.000 sono stati i depositi effettuati dinanzi al Consiglio di Stato (come già nel 2022). In coerenza con l’attenzione verso le nuove tecnologie (la giustizia amministrativa è stata il primo plesso giurisdizionale nazionale ad applicare modalità esclusivamente telematiche dal 2018) e, come ricordato da Lei, Signor Presidente nella Sua Relazione odierna, nella prospettiva dell’utilizzo degli algoritmi e dell’intelligenza artificiale, il Consiglio di Stato ha reso nel tempo (già nel 2019 alcune sentenze gemelle n. 8472, 8473 e 8474; e n. 2270), sottolineando gli indiscutibili vantaggi derivanti dall’automazione del processo decisionale amministrativo mediante utilizzo di procedure gestite da un sistema informatico per mezzo di algoritmi, in conformità ai canoni di efficienza ed economicità dell’azione amministrativa; affrontando, poi, anche il profilo della trasparenza algoritmica, enunciando importanti principi in tema di utilizzo di algoritmi come strumento per automatizzare il procedimento amministrativo e, nello stesso tempo, tutelare i cittadini e il diritto a conoscere la base algoritmica (sentenza n. 881/20); delineando il concetto di algoritmo (sentenza n. 7891/21); e tenendo conto della differenza tra utilizzazione -da parte del sistema di machine learning -dell’algoritmo tradizionale, che applica software e parametri preimpostati ai fini della decisione, e i sistemi veri e propri di intelligenza artificiale, in cui è l’algoritmo a elaborare costantemente nuovi criteri di interferenza fra i dati che determinano la decisione secondo un processo automatico. * Per ragioni di brevità, citerò solo alcune (tra le tante) rilevanti sentenze rese dal Consiglio di Stato nell’ultimo anno. La sentenza n. 10187, la prima resa nella materia di “congelamento” dei beni degli oligarchi russi in conseguenza dell’invasione dell’Ucraina e che ha affermato importanti principi di diritto, quali la non necessità dell’avviso ex teMI IStItUzIoNALI art. 7 L. n. 241/1990 e la rilevanza del criterio di appartenenza sostanziale del bene e/o delle risorse economiche “congelate”, sulla base delle c.d. fonti aperte. In tema di esercizio dei poteri speciali di cui al d.l. n. 21/2012, del c.d. “golden power”, da parte del Governo a tutela delle attività economiche di rilevanza strategica, le sentenze n. 289 e n. 6575 (quest’ultima relativa alla vicenda della partecipazione azionaria di vivendi in tIM). Con la prima, che opera una dettagliata ricostruzione del sistema, è stato significativamente affermato che “l’apprezzamento della strategicità di un’operazione in relazione all’interesse nazionale da parte del Consiglio dei Ministri ha tratti altamente discrezionali, posto che lo stesso concetto di interesse nazionale non è … un dato oggettivo preesistente in natura, bensì … la risultante di valutazioni ed opzioni politiche”. * È continuato anche nell’anno appena trascorso l’impegno innanzi alle giurisdizioni sovranazionali. Un processo di osmosi con la giurisdizione europea come dimostrano le regole dettate in tema di limiti dimensionali degli atti processuali. In questo delicato compito il Consiglio di Stato ha continuato a svolgere un importante ruolo di indirizzo, essendo, peraltro, giudice di ultima istanza. Nel 2023, infatti, i Giudici amministrativi hanno proposto 16 domande pregiudiziali alla Corte di giustizia dell’Unione europea, di cui 11 provenienti dal Consiglio di Stato e riguardanti delicate tematiche, come la questione dello status dei magistrati onorari, la compatibilità della disciplina sull’incameramento della cauzione provvisoria quale conseguenza automatica dell’esclusione di un operatore economico, il mercato dell’energia e le fonti di finanziamento delle Autorità di regolazione. Proprio nel meccanismo del rinvio pregiudiziale si evidenzia la collaborazione istituzionale tra il Consiglio di Stato e l’Avvocatura dello Stato, che già presente (nella maggior parte dei casi) nei giudizi nazionali a quibus,è chiamata a rappresentare le ragioni del Governo italiano anche innanzi alla Corte di giustizia, per poi, (a valle), a rappresentarne gli esiti e le conseguenze alla ripresa del giudizio dinnanzi al giudice nazionale. Un circuito virtuoso dunque. * Concludo questo mio intervento confermando che l’Avvocatura dello Stato continuerà con il massimo impegno a svolgere gli importanti compiti ad essa assegnati. Grazie per l’attenzione. Roma, 5 febbraio 2024 Palazzo Spada RASSeGNA AvvoCAtURA deLLo StAto -N. 2/2023 CERIMONIA DI INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO 2024 DEL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO Intervento dell’Avvocato Generale dello Stato Avv. Gabriella Palmieri Sandulli Signor Presidente, Signori Magistrati, Autorità, Colleghi Avvocati, Gentili Ospiti, 1. Con grande piacere, anche quest’anno, prendo la parola in questa Cerimonia per portare il saluto dell’Istituto che ho l’alto onore di dirigere. Questa partecipazione è divenuta ormai una significativa consuetudine di proficuo scambio e confronto tra l’Avvocatura, del Foro libero e Pubblica - unitariamente intesa - e la Magistratura amministrativa. 2. Nella Sua Relazione, Signor Presidente, Lei ha ricordato l’attività svolta e i risultati raggiunti non solo nell’anno appena trascorso, ma anche in quelli trascorsi dall’inizio del Suo mandato presidenziale; attività e risultati frutto, ancora una volta, del grandissimo impegno profuso dai Magistrati e da tutto il Personale amministrativo, ai quali va, dunque, il più vivo ringraziamento. L’intensa attività giurisdizionale del t.a.r. Lazio vede nell’Avvocatura dello Stato, quale difensore istituzionale delle pubbliche Amministrazioni, il principale interlocutore. Alcuni dati numerici ne sono un’evidente rappresentazione: nel 2023 sono stati impiantati in Avvocatura Generale oltre 14.000 nuovi affari di competenza delle Sezioni romane del t.a.r. Lazio e sono stati effettuati oltre 30.000 depositi, a conferma della consistente mole e dell’aumento del contenzioso segnalato anche da Lei, Signor Presidente, nella Sua Relazione. 3. Il t.a.r. del Lazio è, d’altronde, un organo giudiziario che costituisce un unicum nel panorama sia nazionale che europeo, concentrando in sé le competenze di t.a.r. regionale e di t.a.r centrale in quanto decide sugli atti dei Ministri e del Governo, sull’esercizio di poteri fondamentali dello Stato, come, ad esempio, quelli speciali di cui al d.l. n. 21/2012, del cd. “golden power”, a tutela delle attività economiche di rilevanza strategica; degli organi a rilevanza costituzionale, come il CSM; delle Autorità indipendenti, ed è considerato il giudice naturale del mercato, incidendo nei più rilevanti settori della vita economica del Paese. Prosegue, infatti, da un lato, il notevole impegno che deriva dall’attuazione del PNRR che ha un impatto incisivo sulla giustizia amministrativa, sia in termini di organizzazione e smaltimento dell’arretrato, sia in termini di gestione di un complesso contenzioso che vede coinvolti interessi pubblici e privati. teMI IStItUzIoNALI A ciò si aggiunge, dall’altro, il delicato contenzioso connesso all’evento giubilare che interesserà, nel 2025, la città di Roma. Segnalo, pertanto, le decisioni che hanno riguardato i provvedimenti relativi alla complessiva attuazione del Piano di gestione dei rifiuti di Roma capitale approvato dal Commissario straordinario per il Giubileo del 2025 e, in particolare, il bando di gara per la realizzazione dell’impianto di termovalorizzazione. I contenziosi sono stati definiti in primo grado con le sentenze nn. 12165 e 12198, pubblicate il 19 luglio 2023, che hanno rigettato i vari ricorsi, ritendo infondate, in linea con le difese dell’Avvocatura dello Stato, tutte le censure addotte. In particolare, con la sentenza n. 12165 del 2023, è stato respinto anche il motivo con il quale i ricorrenti lamentavano la violazione dei criteri di priorità nella gestione dei rifiuti, previsti dall’art. 179 d.lgs. n. 152 del 2006, da valutarsi tenendo conto del “complesso delle normative e degli atti di pianificazione della gestione dell’intero ciclo dei rifiuti non, atomisticamente, in funzione di uno specifico atto di pianificazione”. 4. Rilevante è il contenzioso relativo ai provvedimenti delle Autorità amministrative indipendenti, quali tra le altre, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato che esercita un’attività sia di public enforcement del diritto della concorrenza, sia di tutela dei consumatori. Numerose pronunce hanno confermato le sanzioni irrogate dall’AGCM nei confronti di vari operatori economici del settore delle informazioni digitali, del settore bancario o dei fornitori di servizi essenziali a seguito della liberalizzazione dei relativi mercati (come energia e gas), in ragione della notevole asimmetria informativa tra professionista e consumatore a cui deve fare, secondo la disciplina del Codice del consumo, da controbilanciamento un atteggiamento particolarmente accorto del primo. Rilevantissimo è anche il contenzioso che coinvolge l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni e, in particolare, ricordo, fra i tanti, quello relativo ai provvedimenti con i quali si richiedono ai fornitori di servizi di intermediazione on line e di motori di ricerca on line stabiliti in altro paese europeo, ma operanti in Italia, specifici oneri amministrativi e patrimoniali, consistenti, rispettivamente, nell'iscrizione in un registro comportante la trasmissione di rilevanti informazioni sulla propria organizzazione e nella corresponsione di un contributo economico, e la cui mancata osservanza è presidiata da sanzioni amministrative pecuniarie; nel quale il t.a.r. del Lazio ha proposto una questione interpretativa pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea. Il t.a.r. del Lazio concentra su di sé anche le controversie relative alla giustizia sportiva all’esito dei gradi di giudizio propri di tale ordinamento. Notevole impatto hanno avuto, ad esempio, le pronunce in materia di ammissione ai campionati di calcio, nonché le sentenze non definitive, nn. 17923 e 17925 del 2023, di rimessione in Corte costituzionale della questione relativa RASSeGNA AvvoCAtURA deLLo StAto -N. 2/2023 ai limiti al rinnovo dei mandati degli organi del Comitato olimpico nazionale italiano (CoNI) e paralimpico (CIP) e delle federazioni sportive nazionali e paralimpiche, questione definita dalla Corte con la sentenza n. 184 del 2023, di cui segnalo il punto 6.5 del Considerato in diritto (1). 5. L’evoluzione del quadro normativo interno è sempre più influenzato e compenetrato con l’ordinamento eurounitario, come Lei, Signor Presidente, ha rilevato nella Sua Relazione. Il t.a.r. del Lazio nel 2023, ha sollevato, pur non essendo giudice di ultima istanza, cinque questioni pregiudiziali dinnanzi alla Corte di giustizia. oltre a quella supra ricordata, meritano di essere segnalate, per il significativo impatto sull’esercizio delle prerogative proprie dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, le ordinanze relative alle cause C-510/23 e C-511/23, dove è stata posta la questione pregiudiziale -di grande rilievo ordinamentale -sulla compatibilità con l’ordinamento Ue di una norma nazionale, per come interpretata nel diritto vivente, che impone all’Autorità garante della concorrenza e del mercato un termine decadenziale di novanta giorni decorrente dal momento in cui l’Autorità ha conoscenza degli elementi essenziali della violazione -per l’avvio del procedimento istruttorio volto all’accertamento di una pratica commerciale scorretta (2). Inoltre, l’ordinanza relativa alla causa C-483/23, in tema di interpretazione del regolamento Ue 269/2014, con particolare riferimento alla disposizione di cui all’art. 2.1 sul delicato tema del “congelamento” dei beni appartenenti a soggetti legati alle attività belliche della Federazione Russa a danno dell’Ucraina (3). (1) Punto 6.5. del Considerato in diritto:“Accertata la legittimità del fine perseguito, occorre verificare se la norma censurata abbia introdotto, fra le diverse misure idonee a soddisfarlo, la meno restrittiva degli interessi coinvolti, fra i quali, in particolare, l’interesse delle federazioni sportive e delle discipline sportive associate a regolare autonomamente la propria organizzazione e i meccanismi di copertura delle cariche elettive, il diritto di candidarsi di chi ha già svolto tre mandati e la libera scelta dei componenti dell’assemblea elettiva. L’esito di tale verifica è negativo, poiché il divieto definitivo introdotto dalla norma censurata risulta eccessivo rispetto alla finalità pur legittimamente perseguita, come emerge con immediata evidenza dalle stesse concrete vicende oggetto dei giudizi a quibus. Più in generale, è la drasticità di una misura quale il divieto definitivo e irreversibile di ricoprire cariche direttive di un’associazione privata (le strutture territoriali delle federazioni sportive e delle discipline sportive associate, nel caso della norma censurata) per avere già ricoperto in passato le medesime cariche per un determinato periodo, che si risolve in una compressione oltre il necessario degli interessi indicati, determinandone il contrasto con il principio di proporzionalità. L’obiettivo perseguito dalla norma, di favorire il ricambio e limitare rendite di posizione, può infatti -e dunque deve -essere perseguito in modi che limitino nei termini di quanto strettamente necessario il sacrificio dell’interesse dell’aspirante candidato che abbia in precedenza rivestito cariche direttive”. (2) Conclusa la fase scritta c’è termine fino all’8 aprile (27 marzo + 10 giorni) per presentare istanza di fissazione dell’udienza dibattimentale. (3) Anche per questa causa pregiudiziale, conclusa la fase scritta c’è termine fino all’8 aprile (27 marzo + 10 giorni) per presentare istanza di fissazione dell’udienza dibattimentale. teMI IStItUzIoNALI 6. Come ha ricordato nella Sua Relazione, la prima cerimonia di inaugurazione della Sua Presidenza è stata celebrata il 21 febbraio 2020, epoca prepandemica, era il secondo anno che l’Avvocatura, anche dello Stato, prendeva la parola in tale occasione, che si avviava a diventare una significativa consuetudine di scambio e confronto tra le Avvocature e la Magistratura amministrativa; e si consolidava proprio a partire dal 2020, con l’invito rivolto alle stesse dal Presidente del Consiglio di Stato alla analoga Cerimonia, a conferma di quello spirito di collaborazione istituzionale che sussiste e deve esserci tra il Giudice amministrativo e gli Avvocati. era anche l’occasione per rinnovare a lei, Signor Presidente, a nome dell’Avvocatura dello Stato e mio personale, le più sincere congratulazioni per la prestigiosa nomina che rappresentava l’alto riconoscimento delle Sue elevatissime doti professionali e umane. A distanza di quattro anni quelle congratulazioni si sono confermate quello che volevano rappresentare quando sono state formulate: non un esercizio di stile e di protocollo, ma la configurazione di quella che sarebbe stata la cifra della Sua Presidenza del t.a.r. Lazio, il t.a.r. più importante d’Italia per qualità e quantità del contenzioso trattato. Una Presidenza caratterizzata da grande equilibrio e sobrietà, da un dialogo costante e costruttivo con gli Avvocati, dalla sapienza nella gestione delle questioni più delicate. A cominciare dall’emergenza epidemiologica, che, come Lei ha ricordato nella Sua Relazione, ha costretto a misurarsi non solo con nuove modalità organizzative sia processuali sia logistiche, ma anche con la necessità di un diverso approccio concettuale nella trattazione da remoto delle cause. Lei, Signor Presidente, con la Sua elevata dimensione istituzionale, è riuscito a superare anche i momenti più complessi e a risolvere le questioni più difficili e sempre con la consapevolezza di perseguire la migliore soluzione nell’interesse pubblico. Grazie, quindi, Signor Presidente, a nome dell’Avvocatura dello Stato e mio personale, per l’alta opera che ella ha svolto con sapienza, equilibrio e senso delle Istituzioni e che continuerà proficuamente a svolgere, a beneficio di tutti gli operatori del diritto e dei cittadini. Considero un privilegio aver potuto condividere in chiave di leale collaborazione istituzionale gli anni della Sua Presidenza. Grazie per l’attenzione. Roma, 8 marzo 2024 RASSeGNA AvvoCAtURA deLLo StAto -N. 2/2023 CERIMONIA DI INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO 2024 PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI ROMA Intervento dell’Avvocato Generale Aggiunto Avv. Leonello Mariani Signor Presidente, signor Procuratore Generale, signori Magistrati, signori Avvocati, Autorità tutte, Signore e Signori, è con molto piacere -e di tanto ringrazio Lei, signor Presidente -che l’Avvocatura dello Stato riprende la consuetudine di intervenire a questa solenne cerimonia porgendovi, nell’occasione, il saluto dell’Avvocato Generale, avv. Gabriella Palmieri Sandulli, di tutti gli avvocati e procuratori dello Stato e mio personale. Ho ascoltato con grande interesse la relazione del Presidente della Corte dalla quale emerge nitidamente il quadro dello stato dell’amministrazione della giustizia in questo importante distretto, quadro che, nonostante le innegabili difficoltà connesse all’entrata in vigore della riforma della giustizia, è caratterizzato da importanti risultati, raggiunti con encomiabile impegno e dedizione da parte di tutti: magistrati, avvocati e personale amministrativo. • I decreti-legislativi n. 149 e n. 150 del 2022, che quella riforma hanno attuato, hanno tra l’altro opportunamente recepito le innovazioni procedimentali ed organizzative a suo tempo introdotte, in via d’urgenza, per contrastare la diffusione del coronavirus e contenerne gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria. Ex malo bonum, dicevano gli antichi. Si è trattato, in effetti, di una vicenda emblematica di come, sotto la spinta incalzante di un’emergenza sanitaria e sociale senza pari, il progresso tecnologico e, in particolare, quello informatico, abbia consentito di mutare rapidamente -ma sarebbe meglio dire, di rivoluzionare -, in molti casi in meglio, consolidati stili di vita e di lavoro. e, ovviamente, neppure il sistema processuale e giudiziario poteva rimanerne immune al punto che si suole ormai discorrere, anche nel linguaggio legislativo, di “giustizia digitale”. Non è questa la sede per affrontare funditus un tema così ampio e complesso: e, tuttavia, consentitemi di svolgere alcune brevi osservazioni al riguardo. • Fisiologicamente, la giustizia digitale trova espressione nella disciplina delle “comunicazioni”, delle “notificazioni” e dei “depositi”, decisamente orientata -dopo l’entrata in vigore della riforma -nel senso dell’obbligatorietà dell’adempimento telematico, con un’operatività residuale e marginale delle ormai antiche, e in prospettiva desuete, forme “analogiche”. teMI IStItUzIoNALI In linea con la delega legislativa, e al pari di quanto già previsto per le “comunicazioni”, la notifica telematica rappresenta oggi la “regola”, cui è possibile derogare soltanto nei casi, limitati e marginali, in cui il destinatario sia “legittimamente” privo di “domicilio digitale” ovvero si verifichino malfunzionamenti di sistema. In tale ambito la riforma pone tuttavia alcuni delicati problemi. • Ad esempio, in materia civile, quanto al perfezionamento della notificazione telematica si è recepito il principio di “scissione soggettiva” di produzione degli effetti, acquisito ormai da tempo al sistema processuale, disponendo che essa si intende perfezionata, per il notificante, nel momento in cui è generata la “ricevuta di accettazione” e, per il destinatario, quando è generata la “ricevuta di avvenuta consegna”. ebbene, l’anticipazione degli effetti della notifica nel momento in cui viene generato il messaggio di “avvenuta accettazione” garantisce il raggiungimento dell’obiettivo perseguito dal legislatore quando la notifica telematica è compiuta direttamente dall’avvocato. Ma quid iuris nei casi residuali in cui l’ordinamento processuale prevede ancora che all’adempimento provveda l’ufficiale giudiziario? In questi casi, l’art. 149-bis, comma 3, cod. proc. civ. prevede che la notifica “si intende perfezionata nel momento in cui il gestore rende disponibile il documento informatico nella casella di posta elettronica certificata del destinatario”. Si tratta, all’evidenza, di una disposizione che nega tutela al notificante e rischia di porsi in contrasto con i principi enunciati dalla Consulta nella sentenza n. 477 del 2002 sulle notifiche postali. di qui, la necessità di un intervento “correttivo”, che -in considerazione della menzionata giurisprudenza costituzionale -dovrebbe estendere anche a questa ipotesi il principio di “scissione soggettiva” degli effetti, individuando il momento perfezionativo della notifica -per il richiedente -in una data diversa da quella indicata dalla norma e, segnatamente, in quella, antecedente, di presentazione dell’istanza all’ufficiale giudiziario, così com’è del resto già previsto in ambito “analogico” dall’art. 149, comma 3, cod. proc. civ. • Ulteriori problemi ermeneutici pongono poi quelle norme che hanno rimodulato la stessa attività d’udienza, codificando alcune novità procedimentali inaugurate durante la pandemia e, quindi, consentendo al giudice di disporre che essa si svolga “da remoto” oppure mediante deposito di “note scritte”. Il codice non ha delimitato la tipologia delle udienze suscettibili di svolgimento con le modalità sopra descritte, rimettendosi in sostanza alla valutazione discrezionale del giudice, al quale è “imposta” la celebrazione dell’udienza “in presenza” soltanto quando sia richiesta la presenza di soggetti diversi da difensori, parti, P.M. ed ausiliari. tuttavia, l’udienza “cartolare” merita, a mio avviso, un’applicazione molto parca, limitata alle sole udienze destinate a formalità procedimentali di RASSeGNA AvvoCAtURA deLLo StAto -N. 2/2023 scarsa incidenza sulle dinamiche effettive del contraddittorio e sulla formazione del convincimento del giudice. L’udienza “da remoto” invece è tecnologicamente più innovativa e consente di proiettare nella nuova dimensione “digitale” i tradizionali principi processuali di oralità ed immediatezza. Si tratta, quindi, di una modalità procedimentale che può risultare preferibile alla presenza “fisica” in aula, non soltanto nei casi in cui le parti siano effettivamente impossibilitate a recarsi presso gli uffici giudiziari, ma, più in generale, tutte le volte -e l’esperienza giudiziaria e forense dimostra che sono veramente tante -in cui la presenza, per così dire “corporea”, dei difensori non sia essenziale ai fini del contraddittorio, soprattutto se, come di regola accade, la difesa è già stata compiutamente svolta per iscritto. • tuttavia, l’attuazione di tali “innovazioni” dipende -a monte -dal delicato problema relativo alla “sindacabilità” dei provvedimenti adottati in materia dal giudice. difatti, la determinazione concernente lo svolgimento dell’udienza “in presenza”, “da remoto” o mediante deposito di “note scritte” sembrerebbe prima facie -ampiamente discrezionale, dato che i relativi decreti -come noto - non sono impugnabili. Peraltro, sebbene la legge non lo imponga, appare comunque doverosa una “motivazione” da parte del giudice, almeno nei casi in cui si discosti dalla volontà delle parti. In altri termini, se una parte richiedesse espressamente la trattazione “da remoto”, anziché “in presenza”, rappresentando concrete esigenze di opportunità o necessità, il giudice -in assenza di ragioni contrarie -dovrebbe in linea di principio accogliere l’istanza, pena la possibile nullità del diniego per violazione del contraddittorio e lesione del diritto di difesa. Allo stesso modo, per il caso inverso, in cui, per ragioni comprovate ed obiettive, si richieda la fissazione dell’udienza “in presenza”. • Come si evince dalla normativa esaminata, la “rivoluzione digitale” -in ambito civile -è ormai in fase avanzata; per contro, in ambito penale, si registrano ostacoli maggiori, stante l’innegabile delicatezza degli interessi in gioco. Storicamente, uno dei primi innesti della telematica nel processo penale si è avuto in occasione del processo per la “strage di Capaci”, in relazione al quale fu avvertita la necessità di garantire, mediante il cd. “esame a distanza”, la sicurezza di coloro che erano stati ammessi a programmi o a misure di protezione. Ma a parte tale istituto, la spinta verso la “digitalizzazione” del processo penale è stata decisamente più graduale, almeno fino a quando non è intervenuta l’emergenza sanitaria, che ha posto esigenze sino ad allora inimmaginabili di “digitalizzazione”, al fine di consentire lo svolgimento del processo nel rispetto delle previsioni sul distanziamento sociale. Per questo verso si è trattato, nella sostanza, di una sorta di “prova gene teMI IStItUzIoNALI rale” della riforma “Cartabia”, con la quale il legislatore ha ormai inteso superare la tradizionale modalità di redazione, trasmissione e conservazione degli atti in forma “cartacea”. In questa prospettiva, si stabilisce che gli atti siano redatti nella forma del “documento informatico” nativo e non più -come in precedenza -in originale “analogico” scansionato. Il documento, inoltre, deve essere sottoscritto con “firma digitale”. Ma se, da un lato, tale modalità di sottoscrizione contribuisce alla maggiore efficienza del processo, dall’altro, disvela problematiche inedite. Ne è un esempio il fatto che la firma digitale opera sulla base di un certificato, che ha validità triennale, ma che potrebbe anche essere revocato o sospeso prima di tale termine. Si tratta di un aspetto tutt’altro che meramente tecnico, dato che, in questo ambito, la normativa processuale penale si intreccia con quella del CAd, il cui art. 24, comma 4-bis, stabilisce che, quando il certificato elettronico è revocato, scaduto o sospeso, la firma digitale eventualmente apposta equivale a “mancata sottoscrizione”. Né tale vizio potrebbe ritenersi “sanato” dall’avvenuto deposito telematico dell’atto -non più corredato da una sottoscrizione valida -oppure dalla sua notifica a mezzo PeC, dato che è lo stesso codice a richiamare -tanto per i depositi (art. 111-bis) quanto per le notifiche (art. 148) -il rispetto della normativa in tema di “documenti informatici” (cfr. Cass. pen., n. 45316/23). Si tratta di problemi che forse non sono stati ancora adeguatamente soppesati, ma che arrecano un grave vulnus al regime di validità degli atti. di qui, l’esigenza di un’interpretazione “teleologica”, che salvaguardi la “tutela dei diritti”. La “nullità” per omessa sottoscrizione “a penna” -in effetti -era posta a presidio di ineludibili diritti fondamentali, la cui violazione viene appunto sanzionata con l’invalidità dell’atto. diversamente, ricondurre al regime delle “nullità” anche il documento informatico firmato validamente -ma che vede poi scadere, o revocare o sospendere il certificato di firma -non corrisponde affatto alle menzionate esigenze di tutela, dando anzi luogo ad un “diniego di giustizia”. In quest’ottica, si potrebbe quindi argomentare dal “principio della certezza del compimento dell’atto” per affermare che la validità della sottoscrizione “digitale” dovrebbe sempre essere valutata al momento della sua “apposizione”, restando -di conseguenza -irrilevanti tutte le vicende successive relative alla sorte dei certificati. • da ultimo, le innovazioni legislative sommariamente passate in rassegna se, da un lato, comportano -sia in ambito civile che penale -una innegabile semplificazione degli adempimenti processuali; allo stesso tempo, pongono un ulteriore problema: quello relativo alla “garanzia” e “sicurezza” dei dati. In ambito processuale, la sicurezza dei dati non è soltanto protezione tecnica RASSeGNA AvvoCAtURA deLLo StAto -N. 2/2023 per così dire “esterna” e, quindi, “cybersecurity”, volta a prevenire “attacchi” digitali da parte degli “hacker”, ma rappresenta una delle condizioni per garantire la stessa attuazione dei diritti fondamentali delle parti processuali. Per questo motivo, la previsione dell’osservanza di misure tecniche “adeguate” rappresenta un fil rouge dell’intera riforma “Cartabia”, che rinvia costantemente alla normativa tecnica predisposta dal Ministero della Giustizia, recentemente intervenuto con il decreto ministeriale n. 217 del 2023, in vigore dal 14 gennaio. In effetti, tale decreto individua le numerose regole tecniche per espletare gli adempimenti processuali connessi alla “digitalizzazione”. Il giurista, pertanto, non può fare a meno di interrogarsi su quali potrebbero essere le conseguenze della loro violazione. Pur trattandosi di un tema indubbiamente complesso che non può essere affrontato in questa sede, si auspica comunque che, in applicazione del principio di tassatività delle nullità -nei casi in cui la riforma non abbia espressamente stabilito un’ipotesi di invalidità -, si privilegi la “conservazione” dell’atto, al fine di evitare che meri “formalismi” possano in concreto pregiudicare gli obiettivi di “celerità, efficienza ed efficacia” perseguiti dal legislatore. È evidente che, in tale prospettiva, il raggiungimento degli obiettivi stabiliti dalla riforma presuppone -anzi, impone -un deciso cambio di mentalità da parte di tutti gli operatori -in primis, da parte dei giudici e dei difensori -, i quali debbono essere in grado -e, ancor prima, porsi nella condizione -di cogliere gli innegabili portati positivi delle illustrate novità tecnologiche e processuali. • In questo quadro l’Avvocatura dello Stato è pronta, quale difensore pubblico, a fare la sua parte. Il nuovo Regolamento di organizzazione adottato con il d.P.C.M. n. 210 del 2023 ed entrato in vigore lo scorso 12 gennaio, ha infatti ridisegnato -anche presso il mio Istituto -la figura del “Responsabile per la transizione digitale”. Auspico, quindi, che tale “ufficio” possa essere lo strumento per potenziare ulteriormente il contributo che l’Avvocatura dello Stato ha fornito in questi anni allo sviluppo della “giustizia digitale”, non solo in ambito civile e penale, ma anche presso le giurisdizioni “speciali”. La “trasversalità” dell’attività difensiva demandata all’Istituto rappresenta, infatti, una preziosa risorsa per individuare soluzioni uniformi e coerenti nel- l’ambito dei diversi processi giurisdizionali telematici e per garantire un’effettiva circolazione delle best practices sperimentate presso i vari plessi giudiziari. Con queste considerazioni e questo auspicio concludo, dunque, il mio intervento, ringraziando Lei, Signor Presidente, e tutti i presenti per avermi ascoltato e formulando l’augurio di un sereno e proficuo lavoro nell’anno giudiziario a venire. Roma, 27 gennaio 2024 temi iStituzionali AvvocAturA dello StAto relazione annuale sul contenzioso antimafia - 2022(*) Sommario: 1. orientamenti giurisprudenziali -2. Pronunce della Corte Costituzionale -3. Questioni di massima e modifiche normative -4. Contenziosi del Comitato di Coordinamento per l’alta Sorveglianza delle infrastrutture e degli insediamenti Prioritari (CCaSiiP) e Struttura di missione antimafia Sisma 2016 -5. Scioglimenti dei Comuni per mafia -6. annotazioni delle interdittive antimafia nel Casellario informatico dell’aNaC -7. Dati relativi ai contenziosi in materia di antimafia 2022. 1. orientamenti giurisprudenziali. di seguito si segnalano alcune pronunce di interesse pubblicate nel 2022, rese in giudizi riguardanti provvedimenti antimafia. il consiglio di Stato, nella sentenza 20 giugno 2022, n. 5024, con riferimento alla rilevanza dei legami familiari e dei procedimenti penali, ha statuito che “Non dev’essere provata, infatti, la regia familiare, ma l’intensità dei rapporti familiari … e ciò anche in relazione al contesto socio ambientale di riferimento in cui la stessa struttura organizzativa delle consorterie mafiose ha tradizionalmente una base familiare. Detta intensità non va vista unicamente rispetto alla prospettiva del vincolo di sangue o di coniugio, non intendendosi certo ‘far scontare ai figli le colpe dei padri’, né porre limiti al naturale affetto coniugale, ma anche e soprattutto come accettazione cosciente e consapevole di una logica, quella mafiosa, che può essere veicolata dai legami di sangue per condivisione o anche per mera accettazione. Non è quindi necessario provare che le attività siano direttamente o indirettamente gestite dal congiunto mafioso, ma è sufficiente che i legami familiari -che nel caso di specie divengono un vero e proprio contesto familiare -siano tali da far presumere che la regia sia familiare, clanistica, che, in altri termini, il legame familiare possa costituire la porta d’accesso del contagio e della deviazione della società dai fini che le sarebbero naturalmente propri. E ciò vieppiù a dirsi in un contesto territoriale pervaso dal controllo dei clan, come fatto palese, peraltro, dallo scioglimento del Comune di -omissis- proprio per tale causale. 10.7. La circostanza poi che il padre del sig. -omissis-sia in custodia cautelare non esclude certo la regia familiare, essendo ben noto che i capi mafia possono esercitare poteri e influenze anche da dietro le mura delle carceri, come peraltro fatto palese dalla stessa interlocuzione intercorsa tra i due circa l’apertura del ristorante -omissis-. (*) Relazione a cuRa dell’avvocato dello Stato caRmela Pluchino, RefeRente dell’avvocatuRa dello Stato PeR il contenzioSo antimafia. RaSSegna avvocatuRa dello Stato -n. 2/2023 11. rileva inoltre -ad ulteriore integrazione del significativo quadro indiziario -la valenza sintomatica del rinvio a giudizio del signor -omissis- per violazione dell’articolo 12 quinquies della legge 356 del 1992 con l’aggravante del metodo mafioso di cui all’articolo 7 della legge 203 del 1991. Deve, invero, rilevarsi che, ai sensi dell’art. 84, comma 4, lett. a), del d.lgs. n. 159 del 2011, le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa che danno luogo all’adozione dell’informazione antimafia interdittiva, di cui al comma 3, sono desunte, fra l’altro, «dai provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il giudizio, ovvero che recano una condanna anche non definitiva per taluni dei delitti di cui agli articoli 353, 353-bis, 629, 640-bis, 644, 648-bis, 648-ter del codice penale, dei delitti di cui all’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale e di cui all’articolo 12-quinquies del d.l. 8 giugno 1992, n. 306 convertito, con modificazioni, dalla l. 7 agosto 1992, n. 356». rispetto ai suddetti titoli di reato, richiamati nell’art. 84, comma 4, lett. a), del d.lgs. n. 159 del 2011, il legislatore ha, dunque, inteso operare una selezione a monte delle condotte che riflettono in sé il pericolo di infiltrazione mafiosa, in quanto si tratta di fattispecie che destano maggiore allarme sociale, intorno alle quali con maggiore regolarità statistica gravita il mondo della criminalità organizzata di stampo mafioso. D’altro canto, l’ipotesi d’accusa per il delitto di cui all’art. 12 quinquies della legge 356 del 1992 (rientrante già di per sé nell’elenco dei c.d. delitti spia) con l’aggravante del metodo mafioso di cui all’articolo 7 della legge 203 del 1991, siccome posta a base del decreto che dispone il giudizio, vale a concretare quel qualificato fattore indiziante che accredita la sussistenza del pericolo di un condizionamento mafioso delle imprese che subiscono l’influenza di un imputato per fatti commessi in contiguità con ambienti della criminalità organizzata. E ciò in considerazione del fatto che il suddetto provvedimento è stato emesso a conclusione delle indagini preliminari ed esprime in sé, in una necessaria valutazione di sintesi, la prognosi più prossima sull’attitudine dimostrativa dei risultati investigativi acquisiti. Trattasi di un catalogo di reati che, nella valutazione ex ante fattane dal legislatore, integrano una 'spia' di per sé sola sufficiente ad imporre, nella logica anticipata e preventiva che permea la materia delle informative antimafia, l’effetto interdittivo nei rapporti con la pubblica amministrazione. Pertanto, il Prefetto -ove abbia contezza della commissione di taluni dei delitti menzionati nell’art. 84, comma 4, lett. a), e sino a quando non sia emessa una sentenza assolutoria -può limitarsi ad 'attestare' la sussistenza del rischio infiltrativo siccome desunto dalla mera ricognizione della vicenda penale nei termini e nei limiti in cui è contemplata dalla disposizione più volte richiamata (devono esserci, cioè, almeno provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il giudizio, ovvero che recano una condanna anche non definitiva) temi iStituzionali (Consiglio di Stato, sez. iii, 27 novembre 2018, n. 6707; 28 ottobre 2016, n. 4555)”. con la sentenza 30 giugno 2022, n. 5462 il consiglio di Stato, con riferimento alla rilevanza dei legami familiari, ha statuito nel senso che segue: “il punto di approdo dell’elaborazione giurisprudenziale di cui si è dato conto può essere, dunque, sintetizzato nel principio secondo cui i legami familiari non sono sufficienti a denotare il pericolo di condizionamento mafioso, se non si colorino di ulteriori connotati -di cui è onere dell’amministrazione dare conto nel contesto motivazionale del provvedimento interdittivo, fermo restando che grava sull’impresa dimostrare la legittima provenienza delle sue risorse economiche -atti ad attribuire ad essi valore sintomatico di un collegamento che vada oltre il mero e passivo dato genealogico, ma si traduca nella volontaria condivisione di aspetti importanti di vita quotidiana ovvero, nelle ipotesi di maggiore evidenza dell’influenza mafiosa, nella sussistenza di cointeressenze economiche e commistioni imprenditoriali. Tali ulteriori elementi qualificanti tuttavia, per consentire di fondarvi il ragionamento logico-presuntivo che mette capo alla valutazione di permeabilità criminale dell’impresa, devono essere dotati di sufficienti requisiti di certezza storico-fattuale, mentre la catena deduttiva che di essi si alimenta per approdare alla conclusione interdittiva deve ispirarsi a canoni di logica e verosimiglianza, la cui corretta applicazione spetta in ultima analisi al giudice, nella eventuale sede contenziosa, verificare. 12.2. Di contro, nessun elemento risulta allegato che suffraghi, nell’attualità, anche la condivisione di aspetti della vita quotidiana ovvero forme di cointeressenze economiche o comunque collegamenti, anche dettati da frequentazione, tali da far supporre una comunanza di attività di guisa che le emergenze processuali non evidenziano elementi valutativi idonei a far trasmodare il mero rapporto di parentela -peraltro suffragato da un vincolo nemmeno così intenso - agli effetti della prevenzione antimafia”. nella sentenza 7 marzo 2022, n. 1622 il consiglio di Stato ha tracciato le coordinate interpretative degli artt. 84, 85 e 91 del codice Antimafia, affermando quanto segue: “La vicenda si iscrive nel tracciato delle seguenti disposizioni di legge: -l’art. 85, comma 3, del codice antimafia, il quale prevede che “l’informazione antimafia deve riferirsi anche ai familiari conviventi di maggiore età dei soggetti di cui ai commi 1, 2, 2-bis, 2-ter e 2quater”, in coerenza con il quadro normativo introdotto con la legge 19 marzo 1990, n. 55; l’art. 91, comma 5, del codice antimafia, ai sensi del quale “il Prefetto competente estende gli accertamenti pure ai soggetti che risultano poter determinare in qualsiasi modo le scelte o gli indirizzi del- l’impresa”; -l’art. 84, comma 4 lett. a), per il quale il Prefetto desume il RaSSegna avvocatuRa dello Stato -n. 2/2023 tentativo di infiltrazione mafiosa, tra gli altri, “dai provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il giudizio, ovvero che recano una condanna anche non definitiva per taluni dei delitti di cui agli articoli 353, 353 bis, 603 bis, 629, 640 bis, 644, 648 bis, 648 ter del codice penale, dei delitti di cui all’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale e di cui all’articolo 12-quinquies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356”. 8.2. il combinato disposto delle disposizioni sopra citate stabilisce una presunzione di possibile ingerenza nella gestione dell’impresa da parte di soggetti legati da particolari rapporti di familiarità con coloro che ne hanno la formale titolarità. alla stregua di tale criterio presuntivo, la prognosi di pericolo che il Prefetto è chiamato a formulare deve essere calibrata principalmente: a) sulla intensità del vincolo familiare tra il titolare dell’impresa e i soggetti che risultano comunque in grado di incidere sulle scelte della stessa; b) sulla gravità degli indizi di contiguità criminale riferentisi al familiare controindicato ai fini antimafia. 8.3. il quadro regolativo si completa con le indicazioni fornite dalla giurisprudenza di questa sezione (v., ex multis, Cons. Stato, sez. iii, n. 4431/2019 e n. 803/2019), la quale si è già fatta carico di precisare che tanto il contesto ambientale e parentale nel quale opera l’impresa attinta da informativa, quanto la sua struttura organizzativa, possono rilevare quali elementi sintomatici accessori, in grado di denotare, in concorso con altri, il possibile rischio di infiltrazione o di condizionamento mafioso. Nell’ambito di questa giurisprudenza, per quanto qui rileva, si è ulteriormente precisato che: --l’amministrazione può dare rilievo anche ai rapporti di parentela tra titolari e familiari che siano soggetti affiliati, organici o contigui a contesti malavitosi laddove tali rapporti, per loro natura, intensità, o per altre caratteristiche concrete, lascino ritenere, secondo criteri di verosimiglianza, che l’impresa ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla criminalità organizzata; --tale influenza può essere desunta dalla doverosa constatazione che l’organizzazione mafiosa tende a strutturarsi secondo un modello “clanico”, che si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della famiglia, sicché in una famiglia mafiosa anche il soggetto che non sia attinto da pregiudizio mafioso può subire, nolente, l’influenza, diretta o indiretta, del capofamiglia e dell’associazione; --a comprovare la verosimiglianza di tale pericolo assumono rilevanza da un lato, sia circostanze obiettive, come la convivenza, la cointeressenza di interessi economici, il coinvolgimento nei medesimi fatti che pur non abbiano dato luogo a condanne; sia le peculiari realtà locali, ben potendo l’ammini temi iStituzionali strazione evidenziare come sia stata accertata l’esistenza su un’area più o meno estesa del controllo di una “famiglia” e del sostanziale coinvolgimento dei suoi componenti; --il riferimento ai vincoli familiari con soggetti controindicati, doverosamente rilevato nei provvedimenti prefettizi, non esprime, dunque, alcuna presunzione tesa ad affermare che il legame parentale implica necessariamente la sussistenza del pericolo di infiltrazione mafiosa, ma vale a descrivere la situazione, concreta ed attuale, nella quale l’impresa si trova ad operare; --la rilevanza sintomatica di tali legami può risultare ulteriormente corroborata, oltre che dai caratteri ad essa intrinseci o estrinseci sin qui riepilogati, anche dal fatto che la parte ricorrente, una volta messa a conoscenza della misura interdittiva, non abbia dato prova di alcuna sua scelta di allontanarsi o di emanciparsi dal contesto familiare di riferimento, dovendosi al riguardo ulteriormente precisare che il Prefetto può anche tenere conto dei concreti e documentati elementi forniti dall’interessato, dai quali si possa desumere che la sua attività lavorativa sia cominciata e proseguita sulla base di risorse ‘lecitamente acquisite’, comunque non riferibili a contesti caratterizzati dalla illegalità (essendo un onere per l’interessato medesimo il dar conto di tali elementi, sulla base del principio che tiene conto della ‘vicinanza alla fonte della prova’). 8.4. Quanto alle valutazioni indiziarie ritraibili dalla composizione della compagine imprenditoriale, la giurisprudenza di questa sezione ha già affermato, tra l’altro, che la circostanza della natura individuale dell’impresa non può essere svalutata a dato di valenza meramente formale, essendo essa valutabile in relazione ai caratteri del contesto criminale di matrice mafiosa nel quale essa opera, per come delineato dalle risultanze istruttorie. 9. Nel caso di specie, gli elementi di contestualizzazione della relazione parentale emergono effettivamente dal testo dell’atto impugnato in primo grado e pongono capo ad una trama di inferenze presuntive niente affatto opache o irrilevanti ai fini preventivi. 9.1. È innanzitutto innegabile la valenza sintomatica e latamente condizionante del rapporto di convivenza, stanti le implicazioni solidali che impegnano reciprocamente sotto i plurimi profili della convivenza quotidiana, della condivisione dei mezzi materiali e di un progetto di vita comune, cui conseguono obblighi di fattiva e reciproca assistenza. È riconosciuta, d’altra parte, la valenza sintomatica del rapporto parentale sopra indicato che “per la sua natura, intensità o per altre caratteristiche concrete lasci ritenere per la logica del più probabile che non che l’impresa abbia una regia familiare” (Cons. St., sez. iii, n. 1743/2016). 9.2. La naturale e logica carica inferenziale degli elementi caratterizzanti, come vincolo strettamente solidale e potenzialmente condizionante, il rapporto di convivenza, può al più essere attenuata da argomenti di senso RaSSegna avvocatuRa dello Stato -n. 2/2023 contrario (nel caso in esame del tutto assenti), riferiti ad un allentamento dell’unione, quantomeno di fatto. 9.3. D’altra parte, se tra gli elementi indiziari di rilievo ai fini della prevenzione antimafia è pacificamente inclusa la frequentazione di soggetti controindicati o malavitosi, non si vede come si possa negare rilevanza, a fortiori, alla contiguità che si instaura in un regime di vita caratterizzato da una consuetudine stretta e quotidiana, oltre che da cointeressenze affettive così nitide come quelle proprie di una convivenza (specie quando vi siano figli comuni). 9.4. La giurisprudenza di questa stessa Sezione (sentenza n. 8489/2021) fornisce indiretta conferma di quanto sopra, laddove riconosce che se il mero legame di parentela non è sufficiente a contaminare con i sospetti di contiguità alla criminalità organizzata, va tuttavia considerato che il giudizio è diverso qualora ai legami familiari corrisponda anche la condivisione di aspetti della vita quotidiana (e non vi sia alcun segno di allontanamento dai condizionamenti della famiglia, ovvero di scelta di uno stile di vita e di valori alternativi): tali considerazioni rilevano anche nel caso di convivenza. 9.5. Ciò chiarito, mette conto considerare che, nel caso di specie, sul conto della signora -omissis-rileva il dato informativo che la indica come soggetto già rinviato a giudizio per gravi reati sintomatici a fini antimafia. La gravità delle vicende penali che coinvolgono la donna si salda a quella delle vicende che hanno interessato il padre convivente dell’appellato: e la relazione di convivenza tra i tre si somma alla continuità dell’attività di impresa tramandata dal padre al figlio, quali circostanze che concorrono a rendere ancora più significativo e pregnante il corredo delle controindicazioni antimafia poste a base dell’atto prefettizio. 9.6. Gli stessi elementi, lungi dall’essere stati considerati in modo atomistico e avulso da elementi di contorno, sono stati inquadrati nel contesto socio-ambientale di riferimento dell’impresa, notoriamente caratterizzato dalla pervasiva presenza di organizzazioni camorristiche e certamente assumibile quale dato inferenziale o presuntivo della sussistenza del pericolo di condizionamento, anche se non di vera e propria infiltrazione mafiosa. in siffatti contesti criminosi, infatti, il legame di parentela deve ritenersi di per sé rilevante ove si consideri la funzione ed il valore altamente simbolico e vincolante che il c.d. “vincolo di sangue” assume nella cultura della camorra e nella struttura clanica di queste famiglie, le quali attraverso matrimoni e “comparati” costituiscono o consolidano alleanze, intensificando in tal modo la propria egemonia sul territorio di riferimento. Si è già detto, nella disamina di fattispecie simili, che “tale influenza può essere desunta non dalla considerazione che il parente di un mafioso sia anch’egli mafioso, ma per la doverosa considerazione che la complessa organizzazione della mafia ha una struttura clanica, sicché anche il soggetto temi iStituzionali che non sia attinto da un pregiudizio mafioso può subire nolente l’influenza del capofamiglia” (Cons. St., sez. iii, n. 1743/2016). 9.7. La parte appellata, d’altra parte, non ha allegato alcun elemento atto a depotenziare la pregnanza dei suddetti legami parentali, sotto il profilo della loro attualità, concretezza e consistenza, il che apre il campo ad ovvie e del tutto ragionevoli inferenze presuntive che dagli stessi è lecito trarre in considerazione sia del carattere primario dei vincoli familiari considerati; sia della loro pluralità e convergenza su un unico nucleo ristretto. 10. Non è idoneo ad intaccare tale valutazione neppure il rilievo che a carico dell’appellato non sono evidenziati pregiudizi, dal momento che, per un verso, è noto che le organizzazioni mafiose tendono a preporre alle imprese soggetti incensurati in modo da “schermare” l’infiltrazione; per altro verso, è lo stesso art. 91, comma 5, del d.lgs. n. 159/2011 a prevedere che “il Prefetto competente estende gli accertamenti pure ai soggetti che risultano poter determinare in qualsiasi modo le scelte e gli indirizzi dell’impresa” e che ai sensi dell’art. 85, comma 3, “gli accertamenti antimafia si estendono anche ai familiari conviventi di maggiore età”. È, del resto, pacificamente riconosciuto che il Prefetto non indaga l’appartenenza, organica o esterna, dell’imprenditore all’associazione mafiosa, ma valuta la sussistenza del pericolo che l’impresa possa subire un condizionamento mafioso, diventando strumento, anche indiretto, dell’organizzazione criminale per il perseguimento dei suoi scopi illeciti. Ed a questo proposito deve tenersi conto del fatto che gli scopi della associazione mafiosa comprendono anche attività collaterali quali la “ripulitura”, il riciclaggio dei proventi illegali ed il controllo del territorio di riferimento della cosca, attuato anche attraverso il condizionamento, diretto o indiretto, delle svariate intraprese economiche che in esso si insediano o intendono insediarsi. rispetto a questi scopi, spesso attuati attraverso una pluralità di imprese satellitari alla cosca, non è di decisiva rilevanza la mole delle singole e strumentali attività di impresa, potendo tutte cumulativamente concorrere agli scopi di fiancheggiamento innanzi menzionati. 11. Dunque, anche la configurazione strettamente individuale dell’impresa non indebolisce, ma semmai rafforza l’ordine di considerazioni sin qui tracciato, in quanto evidenzia una sua maggiore esposizione al rischio di condizionamento (v. Cons. Stato, sez. iii, n. 4740/2012 e sez. Vi, n. 5879/2010), proprio per il fatto che l’organizzazione è minimamente strutturata, risponde ad una singola figura apicale dominante (strettamente contigua a soggetti controindicati), al cui potere di indirizzo non si contrappone alcun elemento di bilanciamento; ed opera in una piccola dimensione territoriale caratterizzata dalla forte pervasività della forza intimidatrice mafiosa. Si tratta di considerazioni anche queste munite di un sostrato “fattuale” (la dimensione dell’impresa, il quadro socio-territoriale nel quale essa opera, RaSSegna avvocatuRa dello Stato -n. 2/2023 gli elementi sintomatici della sua vicinanza ad epicentri malavitosi) -oltre che rappresentative delle peculiarità sociologiche sussistenti ed astraibili dal tracciato criminale di riferimento -che si prestano ad essere integrate ed orientate da valutazioni presuntive che concorrono a delineare in termini sufficientemente puntuali e aderenti al “reale” la peculiare situazione ambientale nella quale l’impresa è attiva ed a fondare una legittima ipotesi prognostica sulla dinamica relazionale nella quale la stessa, del tutto verosimilmente, si trova ad operare. … Del resto, come noto, la valutazione di verosimiglianza e il giudizio probabilistico sono strumenti tipici della logica indiziaria propria delle misure di prevenzione antimafia, notoriamente avulsa, come ripetutamente sottolineato dalla giurisprudenza anche costituzionale, dall’aspirazione ad attingere le certezze tipiche dell’accertamento della responsabilità penale. … D’altra parte, per la consolidata giurisprudenza non è sufficiente il mero decorso del tempo ai fini del superamento del pericolo di permeabilità mafiosa, ma occorre il sopraggiungere anche di fatti positivi (il cui onere di allegazione non può che ricadere sull’interessato), idonei a dar conto di un nuovo e consolidato operare dei soggetti cui veniva ricollegato il pericolo, che persuasivamente giustifichi lo scostamento dalla situazione rilevata in precedenza. Le dette coordinate ermeneutiche, riferentisi a ipotesi di reiterazione di provvedimento interdittivo, risultano pienamente applicabili anche ad ipotesi come quella in esame, in cui, invece, fatti asseritamente “risalenti” sono impiegati per la prima volta dall’autorità accertante”. il consiglio di Stato Sez. iii, 21 ottobre 2022, n. 9021 in merito ai presupposti delle misure del controllo giudiziario e dell’interdittiva ha chiarito che “non sono coincidenti, né vi è alcun automatismo di implicazioni valutative tra lo scrutinio svolto, rispettivamente, dall’amministrazione e dal giudice penale, poiché la prima esprime un giudizio statico o retrospettivo su un fenomeno infiltrativo già compiutosi, mentre il secondo effettua una prognosi sulla capacità dell’impresa di emendarsi e di reinserirsi nel circuito dell’economia legale. Ne consegue che l’esito favorevole del controllo a richiesta non rileva in modo diretto nel procedimento amministrativo, il quale riguarda gli elementi esistenti al momento della emanazione dell’interdittiva e, dunque, ciò che solo può ammettersi è che alla positiva conclusione del controllo faccia seguito un procedimento di riesame dell’interdittiva già adottata, nelle forme dell’autotutela revocatoria o di un aggiornamento ai sensi dell’art. 91, comma, 5 D.Lgs. n. 159 del 2011, riesame sul quale l’esito positivo del controllo non svolge comunque alcun effetto automatico”. il consiglio di Stato Sez. iii, 20 ottobre 2022, n. 8926 in tema di revoca delle misure interdittive, ha statuito che “non è sufficiente il mero decorso temi iStituzionali del tempo ai fini del superamento del pericolo di permeabilità mafiosa, ma occorre il sopraggiungere anche di fatti positivi, idonei a dar conto di un nuovo e consolidato operare dei soggetti cui veniva ricollegato il pericolo, che persuasivamente giustifichi lo scostamento dalla situazione rilevata in precedenza. Le dette coordinate ermeneutiche, riferentisi a ipotesi di reiterazione di provvedimento interdittivo, appaiono pienamente applicabili anche ad ipotesi, in cui, invece, fatti asseritamente “risalenti” sono impiegati per la prima volta dall’autorità accertante”. con la sentenza 26 settembre 2022, n. 8296, con riferimento all’informazione interdittiva antimafia, resa ai sensi dell’art. 91, comma 7-bis, del d.lgs. n. 159 del 2011, emessa dall’autorità Prefettizia, ha evidenziato che “gli elementi di fatto valorizzati dal provvedimento Prefettizio -informazione interdittiva antimafia -devono essere valutati non atomisticamente, bensì in chiave unitaria, secondo il canone inferenziale, che è alla base della teoria della prova indiziaria, al fine di valutare l’esistenza o meno di un pericolo di una permeabilità dell’impresa a possibili tentativi di infiltrazione da parte della criminalità organizzata”. ed ancora, il consiglio di Stato Sez. iii, 29 agosto 2022, n. 7516 ha affermato: “La misura interdittiva antimafia, essendo il potere esercitato espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata, non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certi sull’esistenza della contiguità del- l’impresa con organizzazione malavitose, e quindi del condizionamento in atto dell’attività di impresa, ma può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti elementi del pericolo che possa verificarsi il tentativo di ingerenza nell’attività imprenditoriale della criminalità organizzata; in particolare, non è necessario un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare l’appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo camorristico o mafioso, potendo l’interdittiva fondarsi su fatti e vicende aventi un valore sintomatico e indiziario e con l’ausilio di indagini che possono risalire ad eventi verificatosi a distanza di tempo”. il consiglio di Stato Sez. iii, 28 giugno 2022, n. 5375, in tema di impugnazione delle misure interdittive, ha anche chiarito che “il giudice amministrativo è chiamato a valutare la gravità del quadro indiziario, posto a base della valutazione prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, e il suo sindacato sull’esercizio del potere prefettizio, con un pieno accesso ai fatti rivelatori del pericolo, consente non solo di sindacare l’esistenza o meno di questi fatti, che devono essere gravi, precisi e concordanti, ma di apprezzare RaSSegna avvocatuRa dello Stato -n. 2/2023 la ragionevolezza e la proporzionalità della prognosi inferenziale che l’autorità amministrativa trae da quei fatti secondo un criterio che, necessariamente, è probabilistico per la natura preventiva, e non sanzionatoria, della misura in esame. il sindacato per eccesso di potere sui vizi della motivazione del provvedimento amministrativo, anche quando questo rimandi per relationem agli atti istruttori, scongiura il rischio che la valutazione del Prefetto divenga, appunto, una “pena del sospetto” e che la portata della discrezionalità amministrativa in questa materia, necessaria per ponderare l’esistenza del pericolo infiltrativo in concreto, sconfini nel puro arbitrio”. il consiglio di Stato Sez. iii, 4 aprile 2022, n. 2465 ha statuito che il condizionamento mafioso, ai sensi dell’art. 91, comma 6, del d.lgs. n. 159 del 2011,“si può desumere anche dalla presenza di un solo dipendente “infiltrato”, del quale la mafia si serva per controllare o guidare dall’esterno l’impresa, ciò che può risultare da atti investigativi (intercettazioni), frequentazioni, ed altri elementi sintomatici, nonché dalla assunzione o dalla presenza di dipendenti aventi precedenti legati alla criminalità organizzata, pur quando non emergano specifici riscontri oggettivi sull’influenza delle scelte dell’impresa”. ed ancora, che “in tema di valutazione del rischio mafioso, non è il dato in sé che un’impresa possa avere alle proprie dipendenze soggetti controindicati a rilevare, quanto piuttosto che la presenza degli stessi possa essere ritenuta indicativa, alla luce di un quadro indiziario complessivo, del potere della criminalità organizzata di incidere sulle politiche di assunzione dell’impresa”. Si segnala anche corte di cassazione Penale, Sez. v, 22 dicembre 2022, n. 48913, che si è pronunciata sui presupposti per l’applicazione del controllo giudiziario su richiesta volontaria (art. 34 bis del d.lgs. n. 159/2011) di un’impresa destinataria di informazione interdittiva antimafia impugnata innanzi al giudice amministrativo (che, nel frattempo, abbia adottato il modello 231 e nominato un organismo di vigilanza). Premesso che il ricorso per cassazione avverso il provvedimento della corte d’appello che, in sede di impugnazione, decide sulla ammissione al controllo giudiziario ex art. 34-bis, comma 6, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, è ammissibile solo per violazione di legge, essendo, in tal caso, applicabili i limiti di deducibilità di cui agli artt. 10, comma 3, e 27 del medesimo decreto (si veda, sul punto, cass., Sez. 5, n. 34856 del 6 novembre 2020, Rv. 279982), la corte ha richiamato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui «ai fini dell’applicazione del controllo giudiziario su richiesta volontaria di un’impresa destinataria di informazione interdittiva antimafia impugnata dinanzi al giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 34-bis del d.lgs. 16 settembre 2011, n. 159, il tribunale competente in tema di misure di prevenzione è tenuto a ve temi iStituzionali rificare sia il carattere occasionale della agevolazione, che il libero svolgimento dell’attività economica può determinare nei soggetti di cui al comma 1 della medesima disposizione, sia la concreta possibilità dell’impresa stessa di riallinearsi con il contesto economico sano, affrancandosi dal condizionamento delle infiltrazioni mafiose». tale orientamento è stato ribadito da una recente pronuncia, nella quale si è evidenziato come «in tema di misure di prevenzione, ai fini dell’ammissione alla misura del controllo giudiziario, ai sensi dell’art. 34-bis, comma 6, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, richiesta dall’impresa destinataria dell’informazione antimafia interdittiva che abbia impugnato detto provvedimento, il tribunale sia tenuto a valutare, in termini prognostici -sulla base del dato patologico acquisito dall’accertamento amministrativo con l’informazione antimafia interdittiva -se il richiesto intervento giudiziale di “bonifica aziendale” risulti possibile, in quanto l’agevolazione dei soggetti di cui all’art. 34, comma 1, d.lgs. cit., debba ritenersi occasionale, escludendo tale evenienza, pertanto, nel caso di cronicità dell’infiltrazione mafiosa». il presupposto indefettibile per l’applicazione del controllo giudiziario su richiesta volontaria di un’impresa destinataria di informazione interdittiva antimafia impugnata dinanzi al giudice amministrativo è, dunque, la natura occasionale dell’agevolazione mafiosa, prevista dall’art. 34 bis, co. 1, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, che non può configurarsi nel caso della cronicità del- l’infiltrazione mafiosa. ciò premesso, il collegio ha ritenuto che la corte territoriale abbia fatto buon governo di tali principi, evidenziando «il completo asservimento della società ricorrente alla finalità di controllo degli appalti comunali perseguiti dall’associazione a delinquere di stampo mafioso, egemone in quel territorio, asservimento che oggettivamente qualifica in termini di cronicità l’infiltrazione mafiosa, rendendo sul punto una motivazione congrua che, certo, non può definirsi apparente o errata dal punto di vista giuridico … ne risente anche l’ulteriore profilo “prognostico”, su cui la Corte territoriale del pari si sofferma, evidenziando come sia proprio il contesto criminale di riferimento, dal quale la società appellante ha ricavato vantaggi e favori, dunque la cronicità dell’infiltrazione mafiosa, a non consentire di attribuire rilievo per il futuro alle misure adottate dalla società, che, nella prospettiva del ricorrente, renderebbero l’impresa impermeabile dai condizionamenti mafiosi». Sotto questo profilo -ha concluso la corte -«la decisione assunta appare conforme all’orientamento giurisprudenziale, secondo cui la verifica dell’occasionalità dell’infiltrazione mafiosa, non deve essere finalizzata ad acquisire un dato statico, consistente nella cristallizzazione della realtà preesistente, ma deve essere funzionale a un giudizio prognostico circa l’emendabilità della situazione rilevata, proprio in relazione al contesto criminale di riferimento, RaSSegna avvocatuRa dello Stato -n. 2/2023 mediante gli strumenti di controllo previsti dall’art. 34-bis, commi 2 e 3, del d.lgs. n. 159 del 2011». 2. Pronunce della Corte Costituzionale. con sentenza n. 180/2022 la corte costituzionale ha dichiarato inammissibili, per richiesta di intervento manipolativo implicante scelte discrezionali affidate al legislatore, le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal t.a.r. calabria, sez. di reggio calabria, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 4 e 24 cost. -dell’art. 92 del d.lgs. n. 159 del 2011, nella parte in cui non prevede il potere del prefetto di escludere le decadenze e i divieti stabiliti dal comma 5 dell’art. 67 del medesimo d.lgs., quando valuti che, in conseguenza degli stessi, verrebbero a mancare i mezzi di sostentamento all’interessato e alla sua famiglia. la consulta ha statuito che le misure di prevenzione personali e l’informazione antimafia costituiscono misure anticipatorie in funzione di difesa della legalità e da esse conseguono i medesimi effetti interdittivi; rispetto ad un’esigenza di primario rilievo, qual è la garanzia di sostentamento dell’interessato e della sua famiglia, non trova pertanto alcuna giustificazione la differente disciplina dei poteri attribuiti al giudice e al prefetto. tuttavia l’estensione della deroga prevista per il giudice dal citato art. 67, comma 5, al procedimento amministrativo, comportando il trasferimento del relativo potere ad una diversa autorità, determinerebbe l’innesto, nel sistema vigente, di un istituto inedito, con attribuzione al prefetto di nuovi, specifici poteri istruttori, e richiederebbe scelte riservate alla discrezionalità legislativa, alla quale parimenti appartiene la possibilità di utilizzare al medesimo scopo gli strumenti del controllo giudiziario e delle misure di prevenzione collaborativa, innovandoli ulteriormente. la necessità di accordare tutela alle esigenze di sostentamento del soggetto colpito da interdittiva deve trovare soddisfazione in tempi rapidi attraverso un intervento legislativo non più procrastinabile (Precedenti: S. 118/2022 - mass. 44817; S. 22/2022). in particolare, il giudice delle leggi ha statuito nel senso che segue: “in definitiva, il decreto-legge n. 152 del 2021, come convertito, ha introdotto la possibilità, per l’impresa sospettata di agevolazione mafiosa solo occasionale, di evitare l’informazione e i suoi effetti interdittivi, e di continuare ad operare, sia pur risultando sottoposta a vigilanza e assumendo l’impegno di adoperarsi per una bonifica, sì da superare gli elementi di “compromissione” riscontrati. Queste misure di prevenzione, da adottarsi in via amministrativa dal prefetto, risultano per certi profili simili a quelle che l’autorità giudiziaria può disporre con il controllo giudiziario di cui all’art. 34-bis cod. antimafia. La significativa innovazione recata dalla riforma, con il nuovo strumento di cui all’art. 94-bis, consiste proprio nella possibilità di anticipare alla fase ammi temi iStituzionali nistrativa quelle misure di bonifica dell’impresa (cosiddette di self cleaning) ricomprese nell’ambito dell’istituto del controllo giudiziario, e disposte, appunto, in sede giurisdizionale. Ebbene, per quanto si tratti di novità di sicuro rilievo, né la previsione che ha introdotto il contraddittorio necessario, né quella che consente le misure amministrative preventive di collaborazione, possono trovare applicazione, ratione temporis, nel giudizio principale, quest’ultimo avendo ad oggetto una informazione antimafia adottata nella vigenza delle precedenti regole. Sicché, non è prospettabile la restituzione degli atti al giudice a quo, affinché proceda ad una nuova valutazione dei requisiti di rilevanza e non manifesta infondatezza delle sollevate questioni (da ultimo, sentenze n. 91, n. 54 e n. 27 del 2022). il dubbio, che potrebbe astrattamente porsi con riferimento all’applicabilità delle nuove misure preventive di collaborazione ad un’impresa già attinta da informazione antimafia, è eliminato in radice dalla norma transitoria di cui all’art. 49, comma 2, del decreto-legge n. 152 del 2021, come convertito, ove si prevede che l’art. 94-bis cod. antimafia si applichi «anche ai procedimenti amministrativi per i quali, alla data di entrata in vigore del presente decreto, è stato effettuato l’accesso alla banca dati nazionale unica della documentazione antimafia e non è stata ancora rilasciata l’informazione antimafia». Nel presente caso, l’informazione antimafia è stata già adottata, sicché il prefetto non avrebbe modo di ricorrere alle nuove misure collaborative. È, inoltre, del tutto ipotetica e solo eventuale la possibilità che, una volta decorso il periodo di validità dell’informazione antimafia subita dall’impresa ricorrente, il prefetto, chiamato a riconsiderare le circostanze di fatto, possa, a questo punto, applicare le nuove misure collaborative (ove, ovviamente, ritenga che l’agevolazione sia solo occasionale). analogamente, è a dirsi della possibilità che -nel corso della rinnovata valutazione, condotta al fine di verificare se sussistano elementi diversi rispetto a quelli che avevano portato alla prima informazione -l’interessato abbia accesso al contraddittorio con il prefetto, ai sensi del nuovo art. 92-bis cod. antimafia. Le innovazioni legislative in parola, peraltro, non si muovono nella direzione proposta dal rimettente (sentenza n. 125 del 2018), non contenendo alcun riferimento alle esigenze che ispirano l’art. 67, comma 5, cod. antimafia (norma assunta a tertium comparationis nell’ordinanza di rimessione), cioè la tutela di bisogni primari di sostentamento economico della persona attinta da una misura di prevenzione e della sua famiglia. al contrario, la novella in esame, e specificamente quella concernente le misure amministrative di prevenzione collaborativa, pur essendo indirizzata a consentire l’eventuale prosecuzione delle attività imprenditoriali, è prevalentemente guidata da esigenze di tutela della sicurezza pubblica: giacché il presupposto per la sua applica RaSSegna avvocatuRa dello Stato -n. 2/2023 zione, analogamente a quanto previsto per l’applicazione del controllo giudiziario ai sensi dell’art. 34-bis cod. antimafia, è il carattere solo occasionale dell’agevolazione cui sono riconducibili i tentativi di infiltrazione mafiosa, non già la condizione di bisogno delle persone interessate (tanto che la parte costituita ha significativamente chiesto che le questioni di legittimità costituzionale siano estese alla nuova disciplina). 1. -Passando al merito, è bene chiarire che il nucleo delle censure articolate dal rimettente ruota intorno all’asserita violazione dell’art. 3, primo comma, Cost., mentre il richiamo operato ai parametri di cui agli artt. 4 e 24 Cost. assume un ruolo puramente ancillare rispetto alla doglianza principale. Quanto a quest’ultima, l’ordinanza di rimessione coglie un aspetto realmente critico della disciplina, in ordine al quale questa stessa Corte, nella sentenza n. 57 del 2020, ha auspicato «una rimeditazione da parte del legislatore». Non è, del resto, implausibile il confronto che il giudice rimettente propone tra la differente disciplina dei poteri attribuiti al giudice delle misure di prevenzione, e quelli conferiti al prefetto nell’ambito dell’informazione antimafia. Ben vero che si tratta di contesti normativi non del tutto sovrapponibili: da una parte, una misura di prevenzione, adottata con provvedimento definitivo di un giudice che, nell’ambito di un giudizio, ha accertato la pericolosità sociale della persona; dall’altra, una misura amministrativa, caratterizzata dalla massima anticipazione della soglia di prevenzione, adottata nei confronti di un’impresa che si sospetta intrattenere (o che, secondo la giurisprudenza amministrativa, addirittura si teme possa intrattenere) rapporti con la criminalità organizzata. Tali elementi di differenziazione non possono tuttavia considerarsi a tal punto significativi da richiedere necessariamente un diverso regime giuridico quanto ad una esigenza di primario rilievo, quale è, nell’un caso e nell’altro, la garanzia di sostentamento del soggetto colpito dall’una e dall’altra misura, e della sua famiglia. Va anzitutto osservato che in entrambi i casi si è in presenza di misure anticipatorie in funzione di difesa della legalità. Quanto all’informazione antimafia, ciò è argomentato, sia dalla giurisprudenza amministrativa -che esclude in materia logiche sanzionatorie e ragiona di un provvedimento con natura «cautelare e preventiva» (Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenza 6 aprile 2018, n. 3 e, tra le più recenti, sezione terza, sentenza 4 gennaio 2022, n. 21) -sia dalla stessa giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 118 del 2022, n. 178 del 2021 e n. 57 del 2020). Quanto alle misure di prevenzione personali, questa Corte ha avuto modo di chiarire che, pur fondate su elementi tali da far ritenere la sussistenza di pregresse attività criminose, esse non manifestano carattere sanzionatorio- punitivo ed hanno «chiara finalità preventiva», essendo intese a temi iStituzionali ridurre il rischio che il soggetto, limitato nella sua libertà di movimento e sottoposto a vigilanza in base alle prescrizioni indicate all’art. 8 cod. antimafia, commetta ulteriori reati. Si tratta, insomma, di strumenti deputati al «controllo, per il futuro, della pericolosità sociale del soggetto interessato: non già [alla] punizione per ciò che questi ha compiuto nel passato» (sentenza n. 24 del 2019). alle limitazioni e agli strumenti di vigilanza imposti dal decreto che abbia in via definitiva applicato la misura di prevenzione (quelli che delineano il contenuto tipico della misura), l’art. 67 cod. antimafia aggiunge ulteriori effetti pregiudizievoli, «gravemente “inabilitanti”» (sentenza n. 93 del 2010), il cui obiettivo è di contrastare l’attività economica dei soggetti colpiti «tramite, in particolare, il reimpiego del danaro proveniente da attività criminosa» (sentenza n. 510 del 2000). Si tratta dei medesimi effetti (e, invero, potenzialmente degli unici effetti, a differenza di quel che accade per le misure di prevenzione, da cui ne derivano altri, diversi) che conseguono all’informazione antimafia. Come già detto, tale ultimo provvedimento, infatti, può basarsi, sia sulla sussistenza di una delle cause di decadenza previste dall’art. 67 cod. antimafia (dunque, in ipotesi, proprio su una misura di prevenzione applicata con provvedimento definitivo), sia sulla sussistenza «di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa» (art. 84, comma 3, cod. antimafia), desumibili da una serie di elementi indicati negli artt. 84, comma 4, e 91, comma 6, cod. antimafia. il provvedimento potrebbe essere assunto in presenza di situazioni non necessariamente già vagliate dalla magistratura, e da cui non sono dunque già scaturite ulteriori conseguenze a carico dei soggetti interessati. La ratio dell’informazione antimafia, in funzione di «massima anticipazione della soglia di prevenzione» (tra le più recenti, Consiglio di Stato, sezione prima, sentenza 18 giugno 2021, n. 1060), è del resto quella di apprestare la «salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della Pubblica amministrazione » (in questo senso la già citata sentenza del Consiglio di Stato, adunanza plenaria, n. 3 del 2018, e la sentenza della sezione terza, 3 maggio 2016, n. 1743). in tale contesto, tuttavia, solo nei confronti del soggetto attinto da misura di prevenzione e non in riferimento a quello colpito da interdittiva gli interessi di rilievo pubblicistico in tal modo perseguiti sono destinati a cedere il passo all’insopprimibile esigenza di non mettere a rischio la possibilità del soggetto di sostentare sé stesso e la propria famiglia. Vien così da rilevare che proprio nell’ambito di un procedimento finalizzato al rilascio dell’informazione interdittiva -fondato sulla rilevazione di elementi di pericolo non necessariamente già passati al vaglio della magistratura, e relativo ad attività economiche operanti spesso in un’area contigua, RaSSegna avvocatuRa dello Stato -n. 2/2023 o addirittura solo potenzialmente contigua, alla criminalità organizzata -il legislatore dovrebbe, a fortiori, consentire la valutazione dell’effetto prodotto dalle interdizioni sul sostentamento dei soggetti interessati. La limitata durata temporale dell’interdittiva, prevista dall’art. 86, comma 2, cod. antimafia, non parrebbe, d’altra parte, elemento sufficiente a giustificare la deteriore disciplina riservata a coloro che siano raggiunti da tale provvedimento (analogamente, già sentenza n. 57 del 2020). Non erra, a tal proposito, il rimettente quando osserva che dodici mesi di interruzione dell’attività imprenditoriale potrebbero determinare conseguenze irrimediabili sulla sua sopravvivenza. ancora, non appare misura idonea a scongiurare un contrasto con il principio di uguaglianza l’applicazione del controllo giudiziario (e, dopo l’entrata in vigore del d.l. n. 152 del 2021, come convertito, delle richiamate misure di prevenzione amministrativa collaborativa, comunque non applicabili, ratione temporis, al caso di specie), che pure risponde all’apprezzabile finalità di contemperare le esigenze di difesa sociale e di tutela della concorrenza con l’interesse alla continuità aziendale. infatti, non diversamente da quanto è stato ultimamente previsto ai fini dell’applicazione delle misure di prevenzione amministrativa collaborativa, anche per poter accedere al controllo giudiziario non assume rilievo decisivo la condizione economica dell’interessato, quanto il grado di pericolosità dell’infiltrazione mafiosa, ovvero la «bonificabilità», in termini prognostici, dell’impresa (Corte di cassazione, sezione sesta penale, sentenze 13 maggio -15 giugno 2021, n. 23330 e sezione seconda penale, 28 gennaio - 5 marzo 2021, n. 9122). 2. -alla luce di tali considerazioni, non è dubbio che l’ordinanza di rimessione sottolinei correttamente l’esistenza di una ingiustificata disparità di trattamento, che necessita di un rimedio. a questo scopo, tuttavia, e allo stato, non appare strumento idoneo la pronuncia di accoglimento delineata nell’ordinanza di rimessione, che chiede di trasporre, nella disciplina relativa alla informazione interdittiva, la deroga attualmente prevista dall’art. 67, comma 5, cod. antimafia con riferimento alle sole misure di prevenzione personali. 2.1. -in primo luogo, occorre considerare che, secondo la prospettazione del rimettente, una pronuncia di tal fatta avrebbe l’effetto di attribuire all’autorità prefettizia, nell’ambito del procedimento che conduce al rilascio dell’informazione antimafia, un potere valutativo -quello finalizzato a verificare se, per effetto delle decadenze e dei divieti di cui all’art. 67 cod. antimafia, vengano meno i mezzi di sostentamento all’interessato e alla sua famiglia -che attualmente il codice affida, invece, all’apprezzamento del- l’autorità giudiziaria, nel contesto del procedimento e delle garanzie proprie di un giudizio. Non solo si tratterebbe, quindi, di estendere la disciplina derogatoria in temi iStituzionali questione dal settore delle misure di prevenzione a quello dell’informazione antimafia, ma, altresì, di attribuirne l’applicazione ad un’autorità diversa, trasferendola dall’autorità giudiziaria a quella amministrativa. Da questo punto di vista, è richiesta una pronuncia connotata da un «cospicuo tasso di manipolatività» (sentenze n. 80 e n. 21 del 2020, n. 219 del 2019 e n. 23 del 2016; in termini, ordinanze n. 126 del 2019 e n. 12 del 2017), che determinerebbe l’innesto, nel sistema vigente, di un istituto inedito, e che presupporrebbe, oltretutto, l’attribuzione all’autorità prefettizia di nuovi, specifici poteri istruttori, allo stato inesistenti. 2.2. -in secondo luogo, l’informazione antimafia, sebbene comporti accertamenti su persone fisiche (indicate all’art. 85 cod. antimafia), mira a verificare la sussistenza di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare l’attività di «società o imprese» (art. 84, comma 3, cod. antimafia) cui tali soggetti siano collegati. il provvedimento in questione riguarda, dunque, gli operatori economici, che siano persone giuridiche o imprese individuali, come recentemente sottolineato dallo stesso rimettente (Tar Calabria, sentenze 10 maggio 2022, n. 781 e 3 gennaio 2022, n. 2). 2.3. il caso da cui originano le presenti questioni di legittimità costituzionale concerne specificamente una impresa individuale e, benché ciò non sia del tutto esplicitato nell’ordinanza di rimessione, le censure sollevate dal rimettente risultano ritagliate su tale specifica situazione. Del resto, proprio per effetto del rapporto di sostanziale immedesimazione che nella fattispecie in esame sussiste tra imprenditore e impresa, stride con il principio di uguaglianza la circostanza che il prefetto non possa valutare, come invece può fare il giudice nei confronti del soggetto prevenuto, l’incidenza degli effetti interdittivi sulle capacità di sostentamento dell’«interessato» e della sua «famiglia». in definitiva, è particolarmente in ipotesi di questo genere, appunto di sostanziale sovrapposizione fra persona e attività economica, che emerge la disparità di trattamento lamentata dal giudice a quo. Tuttavia, a ben vedere, anche una pronuncia di illegittimità costituzionale che ritagli il dispositivo di accoglimento sulla specifica situazione del giudizio a quo presenterebbe delicate implicazioni. Dovrebbe invero essere frutto di scelta discrezionale, come tale anch’essa spettante al legislatore, riservare, nell’ambito dell’informazione interdittiva, alla sola peculiare fattispecie del- l’impresa individuale l’applicabilità di una deroga quale quella prevista dal- l’art. 67, comma 5, cod. antimafia, oppure, eventualmente, ampliarne i destinatari, coinvolgendo ulteriori soggetti economici (ad esempio le società di persone, o addirittura anche quelle di capitali), risultando altresì necessario precisare, in tali ultime ipotesi, quale o quali soggetti, collegati all’impresa, dovrebbero essere oggetto di considerazione. 2.4. -in terzo luogo, vi è da considerare che le misure di prevenzione personali hanno, come accennato, un proprio e tradizionale contenuto tipico RaSSegna avvocatuRa dello Stato -n. 2/2023 delineato all’art. 8 cod. antimafia -cui i divieti e le preclusioni elencati all’art. 67 cod. antimafia si aggiungono in via accessoria. invece, le misure interdittive antimafia (laddove non si basino a loro volta su provvedimenti dell’autorità giudiziaria, già produttivi di conseguenze autonome) esauriscono i propri effetti pregiudizievoli proprio nei divieti e nelle decadenze di ordine economico previste dal medesimo articolo, sicché l’eventuale inibizione in toto della loro applicazione, sia pur in nome di fondamentali esigenze quali quelle rappresentate dal giudice a quo, significherebbe privarle di oggetto e, perciò, di qualunque utilità, frustrando gli obbiettivi cui esse mirano. Per scongiurare un simile paradossale effetto, bisognerebbe almeno ritenere che l’art. 67, comma 5, cod. antimafia non richiede di escludere “in blocco” tutte le decadenze e i divieti in esso richiamati, ma solo quelli essenziali a dare continuità all’attività economica da cui il soggetto, e la sua famiglia, traggano alimento. interpretazione, peraltro, non del tutto piana, non impedita dalla lettera della disposizione in questione, e tuttavia nemmeno facilitata dall’inesistenza di una significativa giurisprudenza in materia: ciò che, insieme al richiesto trasferimento del potere valutativo in merito dal giudice al prefetto, accentua ulteriormente il carattere manipolativo della pronuncia prospettata dal rimettente, che, anche da questo punto di vista, chiama in causa scelte spettanti alla discrezionalità legislativa. 2.5. infine, appartiene allo stesso modo alla discrezionalità legislativa decidere se e come utilizzare allo scopo invocato dal giudice a quo, innovandoli ulteriormente, alcuni utili strumenti, quali il controllo giudiziario o le misure amministrative di prevenzione collaborativa (già di recente oggetto di modifiche), al fine di meglio contemperare l’interesse pubblico alla sicurezza e la generale libertà del mercato, da una parte, e il diritto della persona a veder garantiti i propri mezzi di sostentamento, dall’altra: inserendo esplicitamente, tra le valutazioni che tali misure consentono, la possibilità di decidere selettive deroghe agli effetti interdittivi e alle decadenze di cui all’art. 67 cod. antimafia, proprio in vista di assicurare alle persone coinvolte i necessari mezzi di sostentamento economico. 3. -in definitiva, come si vede, non può essere una pronuncia di questa Corte, allo stato, a farsi carico -allo scopo di sanare l’accertato vulnus al principio di uguaglianza -dei complessi profili fin qui segnalati. Per queste ragioni, le questioni di legittimità costituzionale devono essere dichiarate inammissibili. Pure, deve trovare soddisfazione in tempi rapidi la necessità di accordare tutela alle esigenze di sostentamento dei soggetti che subiscono, insieme alle loro famiglie, a causa delle inibizioni all’attività economica, gli effetti del- l’informazione interdittiva. Del resto, a fortiori in contesti interessati da reali o potenziali infiltrazioni criminali, la possibilità di trarre sostentamento da attività economiche che temi iStituzionali potrebbero risultare legali e “sane” (ovvero essere rese tali anche perché opportunamente “controllate”) costituisce non solo oggetto di un diritto individuale costituzionalmente tutelato, ma anche interesse pubblico essenziale, proprio in nome della difesa della legalità e della necessaria sottrazione di spazi di intervento e di influenza alla criminalità organizzata. Si è già ricordato che nella sentenza n. 57 del 2020 questa Corte aveva sottolineato come l’omessa previsione, in capo al prefetto, della possibilità di esercitare, adottando l’informazione interdittiva, i poteri attribuiti al giudice dall’art. 67, comma 5, cod. antimafia, nel caso di adozione delle misure di prevenzione, «merita[sse] indubbiamente una rimeditazione da parte del legislatore». Questa rimeditazione, tuttavia, non risulta finora avvenuta. Per tale ragione, in considerazione del rilievo dei diritti costituzionali interessati dalle odierne questioni, questa Corte non può conclusivamente esimersi dal segnalare che un ulteriore protrarsi dell’inerzia legislativa non sarebbe tollerabile (analogamente, sentenza n. 22 del 2022) e la indurrebbe, ove nuovamente investita, a provvedere direttamente, nonostante le difficoltà qui descritte”. 3. Questioni di massima e modifiche normative. in sede di applicazione della disciplina dettata dal codice antimafia e dei recenti orientamenti giurisprudenziali sono emerse alcune problematiche di interesse, che di seguito si ritiene utile evidenziare. l’art. 92, comma 2 bis del d.lgs. 159/2011 prevede quanto segue: “il prefetto, nel caso in cui, sulla base degli esiti delle verifiche disposte ai sensi del comma 2, ritenga sussistenti i presupposti per l’adozione dell’informazione antimafia interdittiva ovvero per procedere all’applicazione delle misure di cui all’articolo 94-bis, (…) ne dà tempestiva comunicazione al soggetto interessato, indicando gli elementi sintomatici dei tentativi di infiltrazione mafiosa. (…) in ogni caso, non possono formare oggetto della comunicazione di cui al presente comma elementi informativi il cui disvelamento sia idoneo a pregiudicare procedimenti amministrativi o attività processuali in corso, ovvero l’esito di altri accertamenti finalizzati alla prevenzione delle infiltrazioni mafiose”. la norma, pertanto, prevede la mera comunicazione degli elementi sintomatici dei tentativi di infiltrazione mafiosa, indicando altresì i limiti entro cui possono essere comunicati i succitati elementi sintomatici. il d.m. 16 marzo 2022, concernente la “Disciplina delle categorie di documenti sottratti al diritto di accesso ai documenti amministrativi, in attuazione dell’art. 24, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241, come modificato dall’articolo 16 della legge 11 febbraio 2005, n. 15”, all’art. 3, comma 1 indica le categorie di documenti inaccessibili per motivi di ordine e sicurezza pubblica, ovvero ai fini di prevenzione e repressione della criminalità sottratti all’accesso ed, alla lett. e), specifica che rimangono esclusi “i docu RaSSegna avvocatuRa dello Stato -n. 2/2023 menti istruttori inerenti ai procedimenti relativi al rilascio della documentazione antimafia, nonché i documenti, comunque prodotti o acquisiti, la cui conoscenza può pregiudicare l’attività di prevenzione delle infiltrazioni della criminalità organizzata, e i provvedimenti prefettizi in materia di antimafia”. ciò premesso, si è posto il problema dei limiti dell’accesso nei casi in cui il procedimento di rilascio delle informazioni antimafia risulti in fase istruttoria, in assenza di una specifica disposizione normativa al riguardo, che sarebbe auspicabile. Si è ragionevolmente ritenuto -da parte di alcune Prefetture -che, in tali casi, avendo la Prefettura comunicato “gli elementi sintomatici dei tentativi di infiltrazione mafiosa”, nei limiti previsti dalla normativa, in piena aderenza a quanto prescritto dall’art. 92, comma 2 bis del d.lgs. 159/2011, non sussistono i presupposti di legge per accogliere la richiesta di accesso, potendo il relativo diritto essere esercitato, nei limiti di legge, in un momento successivo, ove il procedimento di rilascio si concluda sfavorevolmente per la società interessata. non risultano allo stato pronunce su tale aspetto. altra questione emersa riguarda l’applicabilità dell’art. 35-bis comma 3 del d.lgs. n. 159/2011 nel caso di sequestro preventivo disposto ai sensi dell’art. 321 c.p.p., con particolare riferimento alla sospensione degli effetti delle certificazioni antimafia interdittive. l’art. 35-bis -responsabilità nella gestione e controlli della pubblica amministrazione, al comma 3, dispone quanto segue: “al fine di consentire la prosecuzione dell’attività dell’impresa sequestrata o confiscata, dalla data di nomina dell’amministratore giudiziario e fino all’eventuale provvedimento di dissequestro dell’azienda o di revoca della confisca della stessa, o fino alla data di destinazione dell’azienda, disposta ai sensi dell’articolo 48, sono sospesi gli effetti della pregressa documentazione antimafia interdittiva, nonché le procedure pendenti preordinate al conseguimento dei medesimi effetti”. la norma in questione è collocata sistematicamente nel libro i -Le misure di prevenzione, capo i -L’amministrazione dei beni sequestrati e confiscati, titolo iii -L’amministrazione, la gestione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati. occorre anche considerare che -ai sensi dell’art. 104-bis disp. att. c.p.p. -amministrazione dei beni sottoposti a sequestro e confisca. Tutela dei terzi nel giudizio:“1. in tutti i casi in cui il sequestro preventivo o la confisca abbiano per oggetto aziende, società ovvero beni di cui sia necessario assicurare l’amministrazione, esclusi quelli destinati ad affluire nel Fondo unico giustizia, di cui all’articolo 61, comma 23, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, l’autorità giudiziaria nomina un amministratore giudiziario scelto nell’albo di cui all’articolo 35 del codice di cui al decreto legislativo 6 set temi iStituzionali tembre 2011, n. 159, e successive modificazioni. Con decreto motivato del- l’autorità giudiziaria la custodia dei beni suddetti può tuttavia essere affidata a soggetti diversi da quelli indicati al periodo precedente. 1-bis. Si applicano le disposizioni di cui al Libro i, titolo iii, del codice di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, e successive modificazioni nella parte in cui recano la disciplina della nomina e revoca dell’amministratore, dei compiti, degli obblighi dello stesso e della gestione dei beni. in caso di sequestro disposto ai sensi dell’articolo 321, comma 2, del codice o di confisca ai fini della tutela dei terzi e nei rapporti con la procedura di liquidazione giudiziaria si applicano, altresì, le disposizioni di cui al titolo iV del Libro i del citato decreto legislativo […]”. dal combinato disposto degli artt. 321 c.p.p. e 104 bis disp. att. c.p.p. si evince che la nomina dell’amministratore giudiziario è finalizzata alla prosecuzione dell’attività aziendale, al fine di consentire l’amministrazione dinamica dell’azienda e non la semplice custodia dei beni sequestrati. d’altra parte, a fronte delle innumerevoli tipologie di sequestri si è avvertita l’esigenza di unificare il più possibile la disciplina concernente la gestione dei beni sequestrati, individuando nel codice antimafia il corpus normativo di riferimento. Questa tendenza unificante del legislatore è stata confermata dagli interventi di cui alla legge n. 161/2017, al d.lgs. n. 21/2018, al d.lgs. n. 13/2019 e al d.lgs. n. 150/2022, che hanno interessato l’art. 104 bis disp. att. c.p.p. tuttavia, il comma 1-bis dell’art. 104-bis disp. att. c.p.p., nel prevedere l’applicazione delle disposizioni di cui al libro i, titolo iii, del d.lgs. n. 159/2011, la limita alla “parte in cui recano la disciplina della nomina e revoca dell’amministratore, dei compiti, degli obblighi dello stesso e della gestione”, non includendo espressamente l’art. 35 bis, rientrante nel capo i “L’amministrazione dei beni sequestrati e confiscati”. il carattere speciale di tale ultima previsione nonché il contesto normativo di riferimento, inducono a ritenere non estensibile -in assenza di una espressa previsione -l’applicazione dell’art. 35-bis anche al sequestro preventivo, che peraltro è ispirato da una diversa ratio, attinente al “pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati”. alla luce delle considerazioni che precedono non si ritiene, dunque, che nei casi di sequestro preventivo ex art. 321 c.p.p. si determini la sospensione degli effetti delle certificazioni antimafia interdittive adottate o delle procedure pendenti a ciò preordinate. tali considerazioni hanno ricevuto l’avallo della giurisprudenza amministrativa. il t.a.r. lazio -sez. latina, con la sentenza n. 650/2023, ha al riguardo statuito quanto segue: “Con il provvedimento n. -omissis-impugnato la Prefettura ha rigettato l’istanza ritenendo non estensibile il disposto dell’art. 35-bis comma 3 del D.lgs. 159/2011 al sequestro preventivo, essendo quest’ultimo RaSSegna avvocatuRa dello Stato -n. 2/2023 ispirato a diversa ratio legis in quanto finalizzato ad impedire che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravarne le conseguenze o agevolare la commissione di altri illeciti e facendo, altresì, presente la perduranza degli effetti dell’interdittiva del 6 ottobre 2020, in quanto confermata dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 491 del 16 gennaio 2023. 10. Ciò posto, deve in primo lungo escludersi la fondatezza del primo motivo di censura. 10.1. Sostiene, in proposito, la ricorrente che -in disparte l’insussistenza di ogni possibilità di sottoposizione al pericolo infiltrativo in ragione della sottoposizione della società alla misura cautelare del sequestro preventivo dal combinato disposto dell’art. 104-bis delle disp. att. al c.p.p., dell’art. 321 c.p.p. e dell’art. 35-bis comma 3 D.lgs. n. 159/2011 emergerebbe l’automatica perdita di efficacia della misura interdittiva, cosicché la Prefettura, in difetto di ulteriori elementi eventualmente sopravvenuti, sarebbe tenuta a disporre la propria reiscrizione nella white list. 10.2. La tesi non può essere condivisa. 10.3. occorre premettere che l’art. 104-bis disp. att. al c.p.p. prevede, al comma 1, che «in tutti i casi in cui il sequestro preventivo o la confisca abbiano per oggetto aziende, società ovvero beni di cui sia necessario assicurare l’amministrazione, (…) l’autorità giudiziaria nomina un amministratore giudiziario scelto nell’albo di cui all’articolo 35 del codice di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, e successive modificazioni»; mentre al comma 1-bis dispone che «Si applicano le disposizioni di cui al Libro i, titolo iii, del codice di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, e successive modificazioni nella parte in cui recano la disciplina della nomina e revoca dell’amministratore, dei compiti, degli obblighi dello stesso e della gestione dei beni. in caso di sequestro disposto ai sensi dell’articolo 321, comma 2, del codice o di confisca ai fini della tutela dei terzi e nei rapporti con la procedura di liquidazione giudiziaria si applicano, altresì, le disposizioni di cui al titolo iV del Libro i del citato decreto legislativo». 10.4. L’art. 35-bis del D.lgs. 159/2011 dispone, al comma 3, che «al fine di consentire la prosecuzione dell’attività dell’impresa sequestrata o confiscata, dalla data di nomina dell’amministratore giudiziario e fino all’eventuale provvedimento di dissequestro dell’azienda o di revoca della confisca della stessa, o fino alla data di destinazione dell’azienda, disposta ai sensi dell’articolo 48, sono sospesi gli effetti della pregressa documentazione antimafia interdittiva, nonché le procedure pendenti preordinate al conseguimento dei medesimi effetti». 10.5. Le disposizioni di attuazione al c.p.p. richiamano, pertanto, le disposizioni del “Codice antimafia” esclusivamente per quanto riguarda la disciplina della nomina e revoca dell’amministratore, dei compiti, degli obblighi dello stesso e della gestione dei beni. temi iStituzionali 10.5.1. Tra queste, ad avviso del Collegio, non può ricomprendersi la speciale previsione di cui all’art. 35-bis comma 3 del D.lgs. citato, essendo interdetta una interpretazione analogica o estensiva della stessa. Sul punto deve, infatti, richiamarsi quanto affermato dalla giurisprudenza, secondo cui la disposizione in argomento, che per la sua natura eccezionale deve essere interpretata secondo «canoni di rigorosa tassatività» (...), «… regolamenta una peculiare ipotesi di sospensione degli effetti dell’interdittiva antimafia conseguente all’adozione di un provvedimento di sequestro o di confisca di natura prevenzionale, sull’evidente presupposto che la sotto- posizione dell’impresa all’invasivo monitoraggio di un organo statuale integri una condizione sufficiente per neutralizzare il rilevato pericolo di ingerenza della criminalità organizzata nella gestione della stessa» (Tar Calabria, sez. staccata di reggio Calabria, 11 ottobre 2021 n. 780). 10.5.2. Non possono, peraltro, condurre a differenti conclusioni le pur articolate tesi sostenute da parte ricorrente in merito alla collocazione della norma nel “capo” richiamato dal c.p.p. nonché a proposito dell’affermata affinità “teleologico-funzionale” tra i due sistemi normativi, non potendosi fondatamente ritenere che il riferimento operato dall’art. 104-bis disp. att. c.p.p. alla disciplina del Libro i, Titolo iii del Codice possa, per quanto detto in ordine alla natura della disposizione, essere esteso in via analogica a tutte le disposizioni inerenti il regime giuridico dell’amministrazione giudiziale, in applicazione del noto principio secondo il quale ubi lex voluit, dixit; parimenti ininfluenti devono ritenersi le considerazioni dalla stessa spiegate in merito alla correlazione del sequestro disposto dal GiP del Tribunale di Latina con reati fiscali, dovendo l’analisi dell’applicabilità della disposizione invocata essere condotta in via generale ed astratta, prescindendo dunque dalle peculiarità del singolo caso. 10.5.3. La riferita eccezionalità della disposizione in argomento, e la sua conseguente inapplicabilità a casi non espressamente previsti, tra cui il sequestro preventivo ex art. 321 c.p.p. -privano, dunque, di condivisibilità la censura veicolata con il motivo all’esame, così che gli argomenti motivazionali spiegati dalla Prefettura a supporto del diniego impugnato devono ritenersi esenti dalle censure mosse”. 4. Contenziosi del Comitato di Coordinamento per l’alta Sorveglianza delle infrastrutture e degli insediamenti Prioritari (CCaSiiP) e Struttura di missione antimafia Sisma 2016. il comitato di coordinamento per l’alta Sorveglianza delle infrastrutture e degli insediamenti Prioritari (ccaSiiP) costituisce lo snodo centrale del sistema di monitoraggio antimafia nel settore delle infrastrutture e degli insediamenti prioritari. il contenzioso registrato in questi ultimi anni ha riguardato essenzialmente RaSSegna avvocatuRa dello Stato -n. 2/2023 la Struttura di missione antimafia Sisma 2016, istituita (cfr. art. 30 del d.l. n. 189 del 17 ottobre 2016, conv. dalla l. n. 229 del 15 dicembre 2016) per garantire la legalità delle attività di ricostruzione nei territori del centro italia colpiti dal sisma del 2016, con il compito di verificare la documentazione antimafia degli operatori economici impegnati nei lavori. al riguardo è richiesta alle imprese interessate l’iscrizione nell’apposita “anagrafe antimafia degli esecutori”, un elenco gestito dalla Struttura di missione in raccordo con le Prefetture delle Province interessate dal Sisma. la Struttura svolge attività di prevenzione e di contrasto alle infiltrazioni della criminalità organizzata nei lavori, nella gestione dei servizi e nel reperimento delle forniture necessarie alla ricostruzione dei comuni del centro italia colpiti dagli eventi sismici del 2016. nel 2022 risultano essere stati instaurati innanzi al t.a.r. lazio n. 5 contenziosi e la Struttura ha affrontato, tra le altre, le problematiche inerenti all’istituto della “prevenzione collaborativa”. in particolare, uno dei contenziosi instaurati si è concluso con la sentenza n. 3402/2023 resa in materia di accesso ai documenti che ha respinto il ricorso, motivando nel senso che segue: “La ricorrente ha dunque impugnato il parziale diniego di accesso, evidenziando come la documentazione ostesa fosse talmente piena di “omissis” da impedire il diritto di difesa in vista della successiva audizione, oltre che priva di motivazione. Si è costituito il ministro dell’interno, deducendo che il nulla osta all’ostensibilità degli atti era stato tempestivamente richiesto agli Uffici interessati, i quali tuttavia lo avevano negato, autorizzando solo l’invio della documentazione con gli “omissis” necessari ai sensi di quanto disposto dall’art. 3 lett. c) del Dm 13 marzo 2022, che vieta l’ostensione dei documenti istruttori inerenti ai procedimenti relativi al rilascio della documentazione antimafia quando sussiste il rischio di pregiudicare l’attività di prevenzione delle infiltrazioni della criminalità organizzata. Quanto ai dedotti profili di mancanza di motivazione, l’amministrazione ha rappresentato che una motivazione più dettagliata avrebbe frustrato l’esigenza di segretezza posta a tutela dei superiori interessi pubblici, che impongono di mantenere, in questa fase nel procedimento, i documenti endoprocedimentali integralmente o parzialmente inaccessibili. infine, il ministero ha evidenziato che nella comunicazione ex art. 92 comma 2 bis del D.Lgs. 159/2011, inviata alla società in data 18 ottobre 2022, erano stati esaustivamente indicati gli elementi informativi che avevano indotto l’amministrazione a ritenere persistente il rischio di infiltrazione mafiosa, considerato che la società era già risultata destinataria di un’interdittiva nell’anno 2016. … a fondamento delle proprie statuizioni l’amministrazione ha invocato il combinato disposto degli articoli 92 comma 2-bis del D.Lgs. 159/2011 e dell’art. 3 lett. c) del Dm 13 marzo 2022. il comma 2-bis dell’art. 92 cit. pre temi iStituzionali vede che “il prefetto, nel caso in cui, sulla base degli esiti delle verifiche disposte ai sensi del comma 2, ritenga sussistenti i presupposti per l’adozione dell’informazione antimafia interdittiva ovvero per procedere all’applicazione delle misure di cui all’articolo 94-bis, e non ricorrano particolari esigenze di celerità del procedimento, ne dà tempestiva comunicazione al soggetto interessato, indicando gli elementi sintomatici dei tentativi di infiltrazione mafiosa. Con tale comunicazione è assegnato un termine non superiore a venti giorni per presentare osservazioni scritte, eventualmente corredate da documenti, nonché per richiedere l’audizione, da effettuare secondo le modalità previste dall’articolo 93, commi 7, 8 e 9. in ogni caso, non possono formare oggetto della comunicazione di cui al presente comma elementi informativi il cui disvelamento sia idoneo a pregiudicare procedimenti amministrativi o attività processuali in corso, ovvero l’esito di altri accertamenti finalizzati alla prevenzione delle infiltrazioni mafiose. La predetta comunicazione sospende, con decorrenza dalla relativa data di invio, il termine di cui all’articolo 92, comma 2. La procedura del contraddittorio si conclude entro sessanta giorni dalla data di ricezione della predetta comunicazione”. ai sensi dell’art. 3 lettera “c” del Dm 13 marzo 2022 sono sottratti all’accesso, tra gli altri, “i documenti istruttori inerenti ai procedimenti relativi al rilascio della documentazione antimafia, nonché i documenti, comunque prodotti o acquisiti, la cui conoscenza può pregiudicare l’attività di prevenzione delle infiltrazioni della criminalità organizzata, e i provvedimenti prefettizi in materia di antimafia”. Posta la sopra indicata cornice normativa, rileva il Collegio che, con comunicazione ai sensi dell’art. 92 comma 2-bis del D.Lgs. nr. 159/2011, inviata alla società in data 18 ottobre 2022, sono stati esposti gli elementi ostativi emersi nel corso dell’istruttoria, individuati dall’amministrazione nei seguenti fatti, ritenuti indice di possibile condizionamento mafioso: … Emerge pertanto dagli atti che l’amministrazione ha comunicato alla società ricorrente specifici e dettagliati elementi ritenuti sintomatici del rischio di infiltrazione mafiosa, assegnando un termine per controdedurre, in vista della seguente audizione, conformemente a quanto previsto dall’art. 92 comma 2-bis del D.Lgs. nr. 159/2011. in adempimento della medesima disposizione normativa, la richiesta di accesso agli atti proposta dalla ricorrente -tesa in sostanza a conoscere gli esiti degli approfondimenti info-investigativi relativi alla riscontrata contiguità tra la -omissis--omissis-srl e la -omissis--omissis-srl, ovvero agli elementi di criticità riscontrati a carico di -omissis--non è stata accolta, in quanto l’amministrazione ha ritenuto che gli atti richiesti integrassero proprio quegli elementi informativi il cui disvelamento può essere potenzialmente idoneo a pregiudicare procedimenti amministrativi o attività processuali in corso, ovvero l’esito di altri accertamenti finalizzati alla prevenzione delle infiltrazioni mafiose. RaSSegna avvocatuRa dello Stato -n. 2/2023 Tale valutazione appare al Collegio esente dai vizi dedotti dalla ricorrente. risulterebbe infatti contraddittorio consentire, per il tramite di una richiesta di accesso, la conoscenza di quelle informazioni che il Legislatore ha inteso espressamente esentare dall’obbligo generalizzato di esibizione, durante la peculiare fase istruttoria che contraddistingue il procedimento relativo all’emanazione dell’interdittiva antimafia. Trattasi, all’evidenza, di un procedimento complesso, nel quale le legittime esigenze cognitive e partecipative dell’operatore economico sono state compendiate mediante il peculiare meccanismo di cui all’art. 92 comma 2-bis cit., norma che si colora di elementi di spiccata specialità nel prevedere la possibilità di comunicare, nel corso del procedimento, solo gli elementi sintomatici dei tentativi di infiltrazione mafiosa, vietando espressamente la diffusione degli ulteriori elementi informativi indicati dalla disposizione. Ciò appare del resto coerente con la peculiare tipologia di istruttoria che connota il procedimento finalizzato all’emanazione dei provvedimenti antimafia, che si pongono su di un piano di anticipazione della soglia di difesa sociale e sono finalizzati ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alla criminalità organizzata. Per tale motivo, si tratta di provvedimenti ispirati a una logica di massima anticipazione dell’azione di prevenzione, sorretta da elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti elementi di pericolo di dette evenienze e quindi il tentativo d’ingerenza della criminalità organizzata, purché di tali aspetti si dia adeguato conto nella motivazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria svolta. in tale ambito, tuttavia, le legittime facoltà partecipative dell’operatore privato non vengono obliterate, ma subiscono alcune limitazioni funzionali al corretto ed efficacie svolgimento dell’istruttoria, che potrebbe essere compromesso dal disvelamento di tutti gli elementi info-investigativi in possesso dell’amministrazione, che risultano, durante la fase procedimentale, ancora al vaglio delle autorità preposte. in tale quadro, l’art. 92 cit. rappresenta un giusto contemperamento tra le legittime aspettative di accesso alle informazioni sintomatiche di rischio di infiltrazione mafiosa e le esigenze di segretezza necessarie a non compromettere l’esito delle verifiche; di qui l’obbligo per l’amministrazione di comunicare i soli elementi sintomatici del tentativo di infiltrazione mafiosa, assegnando un termine per presentare osservazioni scritte, fatta eccezione per gli elementi informativi il cui disvelamento sia idoneo a pregiudicare procedimenti amministrativi o attività processuali in corso, ovvero l’esito di altri accertamenti finalizzati alla prevenzione delle infiltrazioni mafiose. Tale esenzione ha l’evidente finalità di mantenere il riserbo sull’attività istruttoria condotta dall’amministrazione, fino a che l’azione di accertamento non sia stata conclusa mediante emanazione del provvedimento finale e mira ad evitare un pregiudizio per l’azione amministrativa, potendo la conoscenza temi iStituzionali degli elementi info-investigativi ostacolare o rendere più difficoltoso l’accertamento della condizione di permeabilità oggetto di indagine da parte delle forze di polizia. Questa limitazione, peraltro, non sacrifica in misura irragionevole i diritti dell’operatore economico, in quanto è temporalmente limitata al periodo di svolgimento dell’istruttoria, venendo automaticamente meno con l’emanazione del provvedimento conclusivo, momento in cui il diritto di accesso si riespande nella consueta massima ampiezza. Per la medesima ragione, non può pretendersi un onere motivazionale particolarmente approfondito da parte dell’amministrazione, che pregiudicherebbe la riservatezza degli elementi info-investigativi ancora al vaglio delle autorità preposte, sia nel procedimento in corso di svolgimento, sia in quelli eventualmente connessi. Né può ravvisarsi, come sostenuto dalla ricorrente, alcuna violazione della normativa sovranazionale ed, in specie, dell’art. 1 e dell’art. 6 della CEDU, ovvero dell’art. 41 della Carta di Nizza. Quanto alle prime due disposizioni, si rileva che i diritti partecipativi dell’interessato non risultano compromessi, attesa l’esaustiva rappresentazione degli elementi ostativi emersi nel corso dell’istruttoria e l’assegnazione di un congruo termine per controdedurre, prima dell’emanazione del provvedimento conclusivo. Quanto all’art. 41 della Carta di Nizza, è opportuno richiamare quanto ripetutamente affermato dalla giurisprudenza comunitaria in relazione al contenuto del “diritto ad una buona amministrazione”: questo non è violato ogni qualvolta il destinatario del provvedimento “sia messo in condizione di far conoscere utilmente il proprio punto di vista sugli elementi presi in considerazione” (cfr. Corte Giust. causa C-135/1992; causa C-49/1988), “facendo conoscere la propria opinione su tutti gli elementi di fatto e di diritto rilevanti” (Trib. UE causa T-450/1993). Com’è stato ampiamente evidenziato, la ricorrente è stata sufficientemente edotta degli elementi indiziari emersi nel corso dell’istruttoria e messa in condizione di controdedurre, sia mediante memorie, sia in sede di audizione. all’esito di tali sub-fasi, sarà pertanto onere dell’amministrazione concludere il procedimento con un provvedimento correttamente motivato, in ordine a tutti gli elementi di fatto e di diritto emersi nel corso dell’istruttoria, ivi comprese le memorie difensive partecipate dalla ricorrente, che avrà modo di impugnare il provvedimento dinanzi ad un’autorità giurisdizionale terza ed imparziale, facendo peraltro valere il proprio diritto all’ostensione degli atti ritenuti necessari alla propria difesa”. 5. Scioglimenti dei Comuni per mafia. con riferimento ai contenziosi riguardanti gli scioglimenti dei comuni per mafia, nell’anno 2022 ne risultano n. 18. RaSSegna avvocatuRa dello Stato -n. 2/2023 dalla relazione del ministro dell’interno sulle attività delle commissioni per la gestione degli enti sciolti per mafia (anno 2022) emerge che nell’anno di riferimento sono stati 36 i comuni interessati complessivamente da gestioni commissariali straordinarie. gli scioglimenti di consigli comunali disposti nel 2022 sono stati n. 11, di cui 4 in campania, 3 in calabria, 2 nel lazio e 2 in Puglia. con la sentenza n. 66/2022 del t.a.r. lazio, confermata all’esito del giudizio d’appello, con riferimento ad un caso di scioglimento di comune per mafia, dopo essere stata disposta l’estromissione della convenuta Presidenza della Repubblica, in quanto “relativamente agli atti adottati nella forma del decreto del Presidente della repubblica nell’esercizio di un potere neutrale di garanzia e controllo di rilievo costituzionale su atti di altri organi o autorità, la legittimazione passiva deve infatti riconoscersi non già al Presidente della repubblica, bensì all’autorità alla quale l’atto è ascrivibile nella sostanza, cui spetta la qualifica di autorità emanante. all’esercizio di un simile potere di controllo neutrale deve appunto ricondursi anche l’adozione dei decreti che dispongono lo scioglimento di organi comunali e la nomina di una Commissione Straordinaria ai sensi dell’art. 143 TUEL, rispetto ai quali la legittimazione passiva deve, dunque, essere attribuita unicamente alla Presidenza del Consiglio dei ministri ed al ministero dell’interno (Tar Lazio, Sez. i, 1 giugno 2020 n. 5843; 26 novembre 2019, n. 13536; 22 febbraio 2019, n. 2386 e 16 febbraio 2017, n. 2485)”, si è statuito quanto segue: “Con riferimento al quadro così descritto le contestazioni contenute nel ricorso si palesano inidonee a confutare le valutazioni operate dall’amministrazione, poiché non elidono gli elementi sostanziali che emergono da quanto riportato, incentrandosi sull’ipotetico diverso significato o l’irrilevanza di alcune circostanze che però non possono essere riguardate singolarmente, ma devono essere apprezzate con riferimento al contesto delineato. Deve anche aggiungersi che nelle relazioni poste a fondamento del provvedimento di scioglimento non sono stati solo gli aspetti di rilevanza penale ad essere stati stigmatizzati, ma anche la tendenza dell’attività degli organi politici a non porre in essere ciò che era loro compito nel dare luogo ad un’opera di vigilanza e controllo dell’apparato burocratico, al fine di evitare ingerenze da parte della criminalità organizzata (nel medesimo senso T.a.r. Lazio, sez. i, sentenza n. 10049/2017). alla luce delle considerazioni sopra riportate il provvedimento di scioglimento in esame deve ritenersi pienamente legittimo, nel rispetto dei principi affermati dalla giurisprudenza in materia e sopra richiamati, essendo stata correttamente evidenziata la presenza di contatti ripetuti e collegati alle scelte gestorie dell’amministrazione comunale degli organi di vertice politico-amministrativo con soggetti appartenenti alla criminalità locale, e la completa inadeguatezza dello stesso vertice politico-amministrativo a svolgere i propri temi iStituzionali compiti di vigilanza e di verifica nei confronti della burocrazia e dei gestori di pubblici servizi del Comune, che impongono l’esigenza di intervenire ed apprestare tutte le misure e le risorse necessarie per una effettiva e sostanziale cura e difesa dell’interesse pubblico dalla compromissione derivante da ingerenze estranee riconducibili all’influenza ed all’ascendente esercitati da gruppi di criminalità organizzata (Cons. Stato, Sez. iii, 6 marzo 2012, n. 1266). Sulla base delle circostanze sopra riportate risulta esaustivamente argomentata, e ampiamente supportata dagli elementi emersi nel corso del procedimento, la valutazione della permeabilità dell’attività dell’ente rispetto a possibili ingerenze e pressioni da parte della criminalità organizzata specificamente individuata, senza che emerga alcun vizio logico o incongruità di tale valutazione, come, peraltro, accertato anche nel parallelo giudizio di incandidabilità innanzi al Tribunale di avellino, conclusosi con l’ordinanza n. -omissis-, prodotta dall’amministrazione. Tutti questi elementi, considerati nel loro insieme e inseriti nello sfondo di riferimento, devono ritenersi pienamente integranti i presupposti di concretezza, univocità e rilevanza richiesti dall’art. 143 del d.lgs. n. 267/2000 ai fini dello scioglimento del Consiglio comunale, allo scopo di evitare anche solo il rischio di infiltrazione da parte della malavita organizzata già presente sul territorio. Tale conclusione esonera il Collegio dall’esaminare le contestazioni avverso gli altri specifici episodi individuati nella relazione prefettizia come ulteriori sintomi della vicinanza dell’apparato amministrativo alla criminalità organizzata, la cui eventuale fondatezza non determinerebbe la caducazione dell’atto (cfr., in fattispecie similare, Tar Lazio roma, sez. i, 10 gennaio 2019, n. 338)”. al riguardo giova evidenziare che, alla stregua del costante orientamento giurisprudenziale, per l’apparato probatorio preordinato a confermare la ricorrenza del condizionamento di tipo mafioso sull’ente è sufficiente l’evidenziazione di eventi, anche di semplice pericolo o di natura meramente indiziaria, che facciano apparire plausibile l’assoggettamento dell’amministrazione comunale alle ingerenze di associazioni di stampo mafioso (ex multis, t.a.r. per il lazio -Roma, Sez. i, sentenza 16 novembre 2020, n. 11940; t.a.r. per il lazio -Roma, Sezione i, sentenza 18 giugno 2019, n. 7862; c.d.S., Sez. iii, sentenza 10 gennaio 2018 n. 96). ed invero, il giudizio prognostico di verosimiglianza fondato attendibilmente sulla logica del “più probabile che non” è applicabile anche allo scioglimento del consiglio comunale, che ha funzione anticipatoria e non sanzionatoria (cfr. ex multis, consiglio di Stato, Sezione iii, sentenza 18 luglio 2019, n. 5077; id., sentenza 11 settembre 2017, n. 4285; id., sentenza 20 gennaio 2016, n. 196; id. sentenza 20 gennaio 2016, n. 197). RaSSegna avvocatuRa dello Stato -n. 2/2023 È stato anche precisato che «con la norma di cui all’art. 143 cit., la finalità perseguita dal legislatore è quella di offrire uno strumento di tutela avanzata, in particolari situazioni ambientali, nei confronti del controllo e dell’ingerenza delle organizzazioni criminali sull’azione amministrativa degli enti locali, in presenza anche di situazioni estranee all’area propria dell’intervento penalistico o preventivo (Cons. Stato, Sez. iii, 23 marzo 14, n. 2038), nell’evidente necessità di evitare, con immediatezza, che l’amministrazione locale rimanga permeabile all’influenza della criminalità organizzata per l’intera durata del suo mandato elettorale, … senza che per questo debba individuarsi un atteggiamento punitivo o sanzionatorio nei confronti dei singoli amministratori eletti» (da ultimo, consiglio di Stato, Sezione iii, sentenza 16 dicembre 2021, n. 8408). 6. annotazione delle interdittive antimafia nel casellario informatico del- l’anac. l’impianto del casellario informatico detenuto dall’autorità nazionale anticorruzione si basa sull’acquisizione sistematica delle informazioni inerenti il comportamento tenuto dagli operatori economici in fase di gara o nel corso dell’esecuzione del contratto, di cui le annotazioni riportate nel casellario sono il riflesso. ciò per consentire alle stazioni appaltanti di definire il giudizio prognostico sull’affidabilità degli operatori economici concorrenti ad un affidamento. le informazioni antimafia interdittive sono comunicate all’anac, ai sensi dell’art. 91, co. 7-bis, del d.lgs. n. 159/2011, ai fini dell’inserimento nel casellario informatico. l’annotazione dell’interdittiva antimafia rappresenta una misura anticipata a protezione degli appalti pubblici e, più in generale, dell’attività della pubblica amministrazione, diretta a prevenire ogni possibile inquinamento da operazioni poste in essere da organizzazioni mafiose. l’annotazione è inserita nel casellario informatico con funzione di “pubblicità- notizia”, diretta ad informare tutte le amministrazioni aggiudicatrici circa la notizia ostativa alla partecipazione alle procedure di gara ovvero finalizzata alla risoluzione dei contratti in essere. nel corso dell’anno 2022 sono state iscritte nel casellario n. 1.129 annotazioni relative ai provvedimenti antimafia interdittivi. tali annotazioni hanno riguardato anche le misure previste dall’art. 32, co. 10, del decreto-legge n. 90/2014, disposizione che consente di adottare le misure straordinarie di commissariamento anche nei casi in cui sia stata emessa dal Prefetto un’informazione antimafia interdittiva. a tale riguardo l’autorità ha ritenuto di integrare le annotazioni, nei confronti dell’operatore economico interdetto, con la notizia dell’adozione del provvedimento prefettizio, in merito al suo commissariamento, ai sensi del temi iStituzionali l’art. 32, comma 1, lettera b), del decreto-legge n. 90/2014, al fine di assicurare la conoscibilità del provvedimento prefettizio alle amministrazioni aggiudicatrici di contratti pubblici e a tutti gli altri soggetti indicati nell’art. 3, comma 1, lettera b) del d.P.R. n. 207/2010. nel corso del 2022 le integrazioni alle annotazioni riguardanti le informazioni relative ai commissariamenti ex art. 32, co. 10, del decreto-legge n. 90/2014 sono state pari a 14, corrispondenti al numero di operatori economici destinatari delle previste misure di gestione straordinaria. Per quanto concerne l’istituto del “controllo giudiziario delle aziende”, introdotto dall’art. 34-bis del d.lgs. n. 159/2011, l’anac ha ritenuto che, qualora l’impresa, già destinataria di un’interdittiva antimafia, sia successivamente soggetta all’applicazione del controllo giudiziario, non debba procedersi all’oscuramento dell’annotazione, bensì debba disporsi la sola integrazione della notizia nel casellario informatico degli operatori economici. ciò in quanto l’applicazione del controllo ex art. 34-bis non rimuove il provvedimento prefettizio, ma ne sospende l’efficacia nei limiti temporali stabiliti dal provvedimento del giudice penale. Per le società destinatarie di interdittiva antimafia, successivamente assoggettate all’applicazione di detta misura del controllo giudiziario, su istanza del medesimo operatore economico, l’autorità ha dunque proceduto, per i n. 46 casi comunicati, all’integrazione dell’annotazione con specifico riferimento all’applicazione della misura in argomento. l’interdittiva antimafia, quale provvedimento amministrativo, può essere impugnato dall’impresa destinataria dinanzi al giudice amministrativo; in tali casi l’autorità è tenuta ad integrare l’annotazione richiamando le pronunce del t.a.r. e del consiglio di Stato. l’annotazione può essere integrata anche dalle successive notizie trasmesse dalla stessa Prefettura che ha adottato il provvedimento interdittivo antimafia, qualora accerti che non sussistono le cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’art. 67 del d.lgs. n. 159/2011, né elementi che facciano ritenere sussistente il pericolo di infiltrazione mafiosa, ai sensi degli artt. 84 e 91 del codice antimafia. 7. Dati relativi ai contenziosi in materia di antimafia 2022. Si allegano di seguito i dati relativi ai contenziosi antimafia, distinti per sedi dell’avvocatura e riguardanti l’anno 2022. RaSSegna avvocatuRa dello Stato -n. 2/2023 contenziosi Antimafia Anno 2022 certIFIcAZIoNe ANtIMAFIA distrettuale nr. affari Roma 256 ancona 1 Bari 13 Bologna 35 Brescia 6 cagliari 2 catanissetta 4 catania 8 catanzaro 56 firenze 10 genova 5 l’aquila 4 lecce 9 messina 0 milano 11 napoli 66 Palermo 51 Perugia 4 Potenza 15 torino 23 trento 0 trieste 0 venezia 6 Salerno 2 campobasso 0 Reggio calabria 16 totale 603 temi iStituzionali contenziosi Antimafia Anno 2022 ScIoGlIMeNto deI coMuNI Per INFIltrAZIoNI MAFIoSe distrettuale nr. affari Roma 12 ancona 0 Bari 0 Bologna 0 Brescia 0 cagliari 0 catanissetta 1 catania 1 catanzaro 0 firenze 0 genova 0 l’aquila 0 lecce 1 messina 0 milano 0 napoli 1 Palermo 1 Perugia 0 Potenza 0 torino 0 trento 0 trieste 0 venezia 0 Salerno 0 campobasso 0 Reggio calabria 1 totale 18 RaSSegna avvocatuRa dello Stato -n. 2/2023 riforme legislative ed efficienza del processo (*) Avv. Ennio Antonio Apicella Avvocato distrettuale dello Stato di Catanzaro 1.-l’argomento delle riforme processuali è oggi di strettissima attualità, a seguito dell’ormai piena entrata in vigore del “pacchetto” cartabia (1), che introduce notevoli modifiche nell’impianto dei codici di rito civile e penale, con molte e rilevanti innovazioni, accolte dagli operatori del settore quando con scetticismo e scarso entusiasmo, quando con critiche aspre e serrate. Per queste ragioni e, soprattutto, per il notevole impatto della novella su fondamentali istituti processuali, sono fiorite numerose iniziative di studio e riflessione sulle novità legislative di fine 2022. il convegno di oggi, tuttavia, presenta un tratto peculiare e, consentitemi, per quanto ci risulta, al momento unico anche nel panorama nazionale. la nostra iniziativa, infatti, propone una lettura trasversale delle riforme legislative, recenti e meno recenti, che riguardano i giudizi dinanzi al giudice ordinario e amministrativo, nella chiave unica dell’efficienza del processo. con l’organizzazione di questo secondo convegno annuale, l’avvocatura dello Stato di catanzaro ha inteso stimolare il dibattito giuridico nella nostra realtà territoriale, promuovendo il confronto tra competenze ed esperienze diverse, tutte appartenenti al “sistema giustizia”, ed assicurando così continuità all’iniziativa dello scorso anno in tema di legislazione antimafia. 2.-il processo è un “cantiere aperto”. forse sarebbe meglio dire un “cantiere eterno”. gli ultimi trenta anni hanno visto succedersi ripetute riforme del processo civile e di quello penale, quasi tutte all’insegna del recupero di efficienza, declinata soprattutto sotto il profilo della ragionevole durata, anche in riferimento alle indicazioni della corte europea dei diritti dell’uomo. le medesime ragioni di fondo muovono il più recente “pacchetto Cartabia”, attuativo del Piano nazionale di ripresa e resilienza, che collega il valore (*) Intervento introduttivo al convegno di studi organizzato dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, Catanzaro, 23 giugno 2023. Nel corso del convegno sono emerse alcune considerazioni sullo stato dell’attività giudiziaria in Italia, che si ritiene opportuno condividere con i colleghi dell’Avvocatura dello Stato e gli altri lettori della Rassegna. (1) legge delega 26 novembre 2021 n. 206; d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 149, attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata. temi iStituzionali dell’efficienza all’effettività della tutela ed assume come obiettivo fondamentale la riduzione dei tempi dei giudizi. il Piano afferma che tutti gli interventi programmati in materia di giustizia convergono al comune scopo di riportare il processo italiano a un modello di efficienza e competitività e dichiara che l’efficienza dell’amministrazione della giustizia rappresenta un valore in sé, radicato nella cultura costituzionale europea, che richiede di assicurare “rimedi giurisdizionali effettivi” per la tutela dei diritti, specie dei soggetti più deboli. l’efficienza del settore giustizia è condizione indispensabile per lo sviluppo economico e per un corretto funzionamento del mercato. esiste una stretta e naturale compenetrazione tra giustizia ed economia: qualsiasi progetto di investimento, per essere reputato credibile, deve potersi innestare in un’economia tutelata, e comunque non rallentata, da un eventuale procedimento giudiziario, così come deve essere posto al riparo da possibili infiltrazioni criminali. nonostante queste affermazioni di principio, ampiamente condivisibili, il P.n.r.r. individua come problema fondamentale da aggredire solo i tempi di celebrazione dei processi, rilevando che l’eccessiva durata incide negativamente sulla percezione della qualità della giustizia e ne offusca il valore, secondo la nota massima per cui “giustizia ritardata è giustizia denegata”. emerge nelle linee di intervento programmate dal Piano una forte spinta verso la produttività del magistrato, ma essa è perseguita esclusivamente attraverso la ricerca della riduzione dei tempi processuali e risulta completamente sganciata da qualsiasi interesse per la qualità del “prodotto”, che appare invece imprescindibile. Questa idea sembra riecheggiare quella aziendalizzazione delle funzioni pubbliche che notevoli guasti ha già cagionato in altri settori cruciali per lo sviluppo del Paese e per la sicurezza sociale, primo fra tutti la sanità pubblica. a me pare, invece, che il canone di efficienza processuale possa, e debba, essere declinato non solo nella ragionevole durata dei processi (come peraltro ci impongono la costituzione e il diritto internazionale), ma ancor prima nella certezza delle situazioni giuridiche, intesa soprattutto come prevedibilità della decisione giudiziale e, dunque, delle conseguenze dei comportamenti umani. ciò comporta anzitutto stabilità degli orientamenti giurisprudenziali e uniformità delle decisioni, ma significa anche riduzione dei margini di discrezionalità del giudice, non sempre adeguatamente esercitata e che comunque costituisce possibile fonte di dannose incertezze. la creatività interpretativa esprime una netta disarmonia con i criteri dettati dall’art. 12 disp. prel. c.c. (interpretazione letterale, analogia legis, analogia iuris), nonché, nelle sue espressioni più esasperate (c.d. creazionismo giudiziario), con gli stessi orizzonti tracciati dall’art. 101 cost.: sog RaSSegna avvocatuRa dello Stato -n. 2/2023 gezione del giudice alla legge e collegamento con la sovranità popolare (2). in proposito, mi piace qui ricordare il monito del Presidente della Repubblica in occasione della recente inaugurazione a castel capuano della terza sede della Scuola superiore della magistratura: “l’uniformità delle decisioni non rappresenta un limite all’attività decisionale, ma ne costituisce un punto di approdo, giacché è diretta a promuovere la prevedibilità delle decisioni e, dunque, la loro comprensibilità. a questi necessari requisiti contribuisce anche l’uso di un linguaggio consono e misurato” (3). Secondo l’alto magistero, dunque, la prevedibilità delle decisioni è lo strumento per assicurarne la comprensibilità. Si tratta di garantire la credibilità e, dunque, l’affidabilità della funzione giustizia, temi sui quali già il Presidente della Repubblica aveva richiamato l’attenzione degli “operatori” della giustizia (magistrati e avvocati) nel messaggio indirizzato al Parlamento nel giorno del Suo secondo giuramento (4). l’esigenza, del resto, è pienamente avvertita dalla magistratura più accorta e autorevole. il già Primo Presidente della corte suprema, Pietro curzio, proprio a proposito del rapporto tra giudice e precedente, rileva: “quanto più aumentano articolazione e disordine del quadro normativo, tanto più si percepisce l’esigenza di una giurisprudenza che sia in grado di ricucire le maglie della rete, di ridurre le aporie, di dare senso e coerenza al sistema. in analoga misura, più aumenta il soggettivismo dei giudici, il loro proporsi come monadi autoreferenziali, tanto più è sentita l’esigenza di una risposta convergente e coerente alla domanda di giustizia. E se questo è vero in generale, lo è ancor di più con riferimento alle regole processuali. il processo è il luogo in cui più che mai deve essere garantita l’esigenza di certezza e stabilità delle regole del gioco” (5). 3.-È allora necessario riflettere, senza pretesa di anticipare le conclusioni del convegno, sul fatto che gran parte delle riforme del processo civile degli ultimi trenta anni si siano risolte esclusivamente in una rilevante compressione dei diritti processuali delle parti, soprattutto attraverso un irrigidimento del sistema delle preclusioni. mi riferisco ai plurimi sbarramenti preclusivi dell’art. 183 c.p.c. quanto alle allegazioni dei fatti e alle istanze istruttorie, che condizionano pesante (2) l. longhi, riflessioni sulla certezza dei diritti, in Nomos, Quadrimestrale di teoria generale, diritto pubblico comparato e storia costituzionale, 3-2017. (3) napoli, 15 maggio 2023. (4) “La magistratura e l’avvocatura sono chiamate ad assicurare che il processo riformatore si realizzi, facendo recuperare appieno prestigio e credibilità alla funzione giustizia, allineandola agli standard europei”. (5) così, P. cuRzio, il giudice e il precedente, in Questione giustizia, 4/2018, 41. temi iStituzionali mente il diritto di difesa e risultano accettabili solo se inseriti nell’ambito di un procedimento giudiziario efficiente, e non solo sotto il profilo della durata; ma penso anche al famigerato procedimento sommario degli artt. 702-bis ss. c.p.c., oggi abrogati, che rendeva particolarmente gravosa la posizione del convenuto, consentendo fissazioni di udienze con termini a difesa molto ravvicinati, ma che nessun beneficio ha recato in termini di ragionevole durata del processo. la compressione del diritto di difesa, così operata, suscita forti dubbi sulla razionalità del sistema e, di conseguenza, sulla sua conformità alla carta fondamentale, essendo rimasta del tutto sganciata da qualsivoglia efficienza nella erogazione del “servizio giustizia”, e ciò non solo in ordine alla durata del procedimento, ma anche riguardo ai profili della prevedibilità e qualità della decisione. dunque, a preclusioni sempre più rigide non ha corrisposto nessuna o, nella migliore delle ipotesi, scarsissima efficienza processuale. Senza alcuna pretesa di completezza, attesa la complessità della problematica, altro tema “capitale” del processo civile, sempre nella chiave di lettura odierna, mi pare quello della perdita della collegialità. anche in questo caso, il sostanziale abbandono della collegialità in primo grado ci è stato somministrato dal legislatore come misura di efficientamento e semplificazione ma, mentre nessun risultato ha prodotto in termini di abbreviazione dei tempi processuali, esso costituisce una delle ragioni -secondo me, la principale -del progressivo scadimento del livello qualitativo delle decisioni, sottratte al necessario confronto tra le diverse esperienze e competenze che convergono nel collegio. non è un caso che la qualità delle decisioni della corte d’appello, dove la collegialità è stata conservata, appare molto più elevata, anche in presenza di carichi di lavoro poderosi. uno sguardo fugace al processo penale, purtroppo, non pare più incoraggiante, quanto all’efficienza del rito. anche di recente la procedura penale è stata caratterizzata, da un lato, da interventi palesemente contrastanti con il canone di efficienza, quale la sospensione della prescrizione del reato dopo la sentenza di primo grado, che oggettivamente favorisce un allungamento dei tempi di definizione del giudizio complessivamente considerati; dall’altro, da più recenti misure draconiane, quale l’improcedibilità per decorso del tempo, che costituisce un rimedio all’inefficienza del sistema piuttosto ipocrita, soprattutto nei confronti della vittima del reato. anche altri istituti del processo penale con finalità deflattiva sono stati costruiti senza una adeguata considerazione del principio di efficienza. mentre nella messa alla prova, il giudizio si risolve in una mera verifica circa la congruità e l’adeguatezza del programma sottoposto al giudice e, suc RaSSegna avvocatuRa dello Stato -n. 2/2023 cessivamente, nella valutazione sul comportamento serbato dall’imputato nello svolgimento del programma (che, se positiva, sfocia in una sentenza di non doversi procedere), la definizione per particolare tenuità costituisce un vero e proprio esito del processo e richiede la verifica di plurime circostanze ostative e l’esercizio dell’ordinaria discrezionalità del giudice sulla significatività del fatto. Sarebbe stato forse preferibile realizzare le finalità deflattive attraverso una fase filtro meramente formale, priva di verifiche soggettive e imperniata sui profili quali/quantitativi dell’imputazione. non abbiamo ancora dati attendibili sull’istituto di nuovo conio, e di derivazione comunitaria, della giustizia riparativa e, dunque sull’efficacia della mediazione, su base volontaria, tra autore del reato e persona offesa, che mira a realizzare l’improcedibilità dell’azione penale attraverso la remissione tacita della querela e funge, al tempo stesso, da elemento moderatore della pena, o da condicio iuris per la sospensione condizionale. 4.-i ripetuti interventi riformatori degli ultimi trenta anni, dunque, oltre a non aver saputo affrontare risolutivamente il problema della durata del processo, non hanno fornito nessun contributo specifico sui temi della stabilità degli orientamenti giurisprudenziali e della uniformità delle decisioni, elementi imprescindibili per raggiungere un grado di certezza delle situazioni giuridiche che sia accettabile per individui e operatori economici e non dissuada gli investitori stranieri dall’operare nel nostro Paese (6). come ha, da tempo, argomentato la migliore dottrina, è nell’esperienza giuridica, nel momento in cui l’astratto incontra il concreto che devono realizzarsi prevedibilità e certezza del diritto. la certezza si configura come prevedibilità in relazione alla decisione, ovvero come possibilità di effettiva previsione della valutazione delle conseguenze giuridiche delle proprie azioni ed è legata alle modalità attraverso le quali i giudici decidono il caso (7). in (6) l’operatore economico vede aggiungersi al rischio di impresa insito nella natura dell’attività esercitata un’alea ulteriore alla quale non è culturalmente preparato, quella di decisioni giudiziali del tutto imponderabili e incontrollabili (al netto dell’esperimento dei mezzi di impugnazione), perché slegate da criteri interpretativi certi, necessari al corretto funzionamento dell’economia di mercato e dei meccanismi di creazione e (re-)distribuzione della ricchezza ad essa correlati. va da sé che il disorientamento provato dall’attore economico di fronte alla giustizia risulta viepiù acuito e aggravato nel caso del comune cittadino (nelle vesti, a seconda dei casi, di consumatore, utente, contribuente, contraente debole), spesso sprovvisto degli strumenti economici e culturali necessari per poter avere un accesso pieno ed effettivo alla tutela dei propri diritti. così, l. longhi, riflessioni, cit. (7) f. caRnelutti, Nuove riflessioni intorno alla certezza del diritto, in Discorsi intorno al diritto, vol. ii, Padova, 1953, 158, diversamente da f. loPez de oñate, La certezza del diritto, milano, 1968, 50, secondo il quale la certezza si realizza nel momento in cui il diritto introduce le norme nella vita sociale, qualificando i comportamenti possibili e facendo «sapere a ciascuno ciò che egli può volere» ed è, dunque, legata alla comprensione e conoscibilità della disposizione. Su questi problemi, più di recente, c. caRia, Certezza del diritto e prevedibilità. Una riflessione sul tema, in Diritto @ Storia, rivista internazionale di scienze giuridiche e tradizione romana, 2016, quaderno n. 14. temi iStituzionali tal senso, la certezza del diritto trova il proprio ambito di elezione nell’esercizio della funzione giurisdizionale, che consiste proprio nell’affermare con certezza il diritto nei casi controversi o, se si preferisce, nel ripristinare il valore della certezza allorché sia insorta una controversia (8). non meno importante è il profilo della stabilità ed uniformità degli orientamenti applicativi per la pubblica amministrazione, poiché la giurisprudenza orienta l’azione amministrativa. ma vi è di più. come accennavo, sono rimasti del tutto in ombra, nelle varie stagioni riformatrici, il tema della semplicità delle regole processuali e quello, davvero cruciale, del rapporto inscindibile tra produttività del giudice e qualità della decisione, intesa come capacità di assicurare una risposta alta e adeguata, come ha molto opportunamente rilevato la Presidente della corte d’appello di catanzaro nella relazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2023: “si pensi al salto di qualità che può rappresentare un archivio di giurisprudenza locale, cui tutti gli operatori possano attingere; alla conoscenza e consapevolezza da parte del singolo magistrato dell’esito dei suoi provvedimenti nei successivi gradi di giudizio; a format condivisi per i provvedimenti seriali”. dunque, stabilità e uniformità degli orientamenti giurisprudenziali in funzione di certezza del diritto, conoscenza e consapevolezza dell’esito dei provvedimenti nei successivi gradi di giudizio, qualità delle decisioni, sono, e devono essere, tutte componenti imprescindibili del canone di efficienza processuale. come ha da tempo segnalato la migliore dottrina, l’efficienza del processo appare sempre più condicio sine qua non dell’effettività della tutela (9). in questo senso, un ruolo importante possono giocare i capi degli uffici, ai quali il Piano nazionale di ripesa e resilienza affida il compito di verificare che i ruoli e i carichi di lavoro garantiscano funzionalità ed efficienza dell’ufficio, e quello di monitorare pendenze e sopravvenienze allo scopo di accertarne tempestivamente le cause ed eliminarne gli effetti. a me pare, tuttavia, che il ruolo decisivo che i dirigenti degli uffici giudiziari possono svolgere, proprio in funzione dell’efficienza del sistema, vada ben oltre e debba essere quello di promuovere e incoraggiare, con autorevolezza e prestigio, l’uniformità degli orientamenti, quantomeno all’interno dei singoli uffici giudiziari, con una preziosa opera di riduzione delle distorsioni alle quali oggi ancora siamo costretti ad assistere. mi riferisco a divergenze interpretative anche rilevanti e all’adozione di provvedimenti anche antitetici, su identiche questioni, da parte di giudici appartenenti al medesimo ufficio, che difficilmente possono essere comprese da (8) ancora l. longhi, ibidem. (9) m. luciani, Garanzie ed efficienza nella tutela giurisdizionale, in rivista aiC, 4/2014. RaSSegna avvocatuRa dello Stato -n. 2/2023 chi attende risposte in termini di giustizia sostanziale e che alimentano un facile clima di sfiducia e di ostilità nei confronti del sistema giudiziario. troppo debole e comunque troppo spesso trascurata è la previsione del- l’ordinamento giudiziario (10) che attribuisce ai presidenti di sezione il compito di curare lo scambio di informazioni sulle esperienze giurisprudenziali all’interno della sezione. mi pare che la mancanza di una indicazione stringente in tal senso sia davvero la lacuna più grave del P.n.r.r., ma ritengo allo stesso tempo che questo sia davvero il risultato minimo che il “servizio giustizia” debba assicurare ai suoi utenti, proprio in una prospettiva di affidabilità e credibilità. 5.-Sensibilmente diversa appare la vicenda del processo amministrativo. da un lato, il vasto strumentario a disposizione del giudice esprime appieno la modernità del codice del 2010 ed è stato via via irrobustito dalle successive novelle, anche recenti. mi riferisco soprattutto al rito abbreviato -in questo caso, veramente abbreviato -in alcune materie sensibili, o super-sensibili (in specie gli appalti pubblici, ma non soltanto) ed alla decisione in forma semplificata, che il giudice amministrativo utilizza ampiamente, specialmente per la soluzione di questioni pregiudiziali, ma anche al più recente divieto di cancellazione della causa dal ruolo e, ancora, all’espressa previsione di ragioni eccezionali per il rinvio della trattazione che, molto opportunamente, viene interpretata in maniera rigorosa. dall’altro, sul piano culturale, il giudice amministrativo -anche in virtù della oggettiva, minore complessità del rito e dei tratti tipici del proprio sindacato, pur sempre mediato dagli atti in cui si svolge la funzione amministrativa -ha saputo cogliere pienamente la sfida dell’efficienza, anche riguardo ai tempi di conseguimento della decisione, che accentuano il tratto della specificità da sempre caratteristico della tutela giurisdizionale amministrativa. alcune peculiarità del processo amministrativo possono sembrare un paradosso, se lette alla luce del principio di efficienza ed in parallelo con la disciplina del processo civile. da un lato, l’inesistenza (o la minima applicazione (11)) delle preclusioni nella “fase” introduttiva del processo e la loro sostanziale operatività solo nella “fase” decisoria, a ridosso dell’udienza di discussione. dall’altro, la piena applicazione il principio di collegialità decisoria, con l’esclusione dei provvedimenti provvisori presidenziali nei casi di estrema gravità e urgenza e del procedimento monitorio, che sfocia comunque in decisione collegiale nel caso di opposizione (ed in disparte i provvedimenti istruttori). (10) art. 47-quater. (11) art. 15, comma 3, c.p.a. temi iStituzionali com’è evidente, dunque, la compressione dei diritti processuali delle parti (ossia, preclusioni rigide ed anticipate) ed il disinteresse per la qualità della decisione (perdita della collegialità), non costituiscono la tecnica normativa per rendere efficiente, o anche solo maggiormente efficiente, il processo. non si vuole, certo, qui sostenere una semplicistica “transumanza” dinanzi al giudice civile degli istituti processuali tipici del giudice amministrativo, preclusa dalla profonda diversità dei caratteri delle rispettive cognizioni e, soprattutto, dalla diversa consistenza degli accertamenti di fatto che i due plessi giurisdizionali sono chiamati a compiere (12), ma piuttosto auspicare la generalizzazione di una maggiore sensibilità sui temi dell’efficienza processuale, declinata in quelle componenti essenziali che ho appena ricordato. naturalmente, il problema della discrezionalità si pone anche nel processo amministrativo, e forse anche in misura maggiore rispetto al processo civile (13). tuttavia, la discrezionalità del giudice amministrativo appare esercitata in maniera più ponderata, probabilmente perché la valutazione collegiale è in grado di temperarne le asperità. infine, l’ultimo paradosso, o simil-paradosso del rito amministrativo. un processo le cui regole affondano nella tradizionale capacità creativa del giudice amministrativo, che il codice non è riuscito ad imbrigliare, appare oggi in grado di assicurare non solo l’adeguamento alle mutevoli esigenze economiche e sociali, ma persino un accettabile grado di uniformità e stabilità degli orientamenti interpretativi e, così, una maggiore affidabilità del “sistema”. 6.-c’è, poi, il tema della digitalizzazione, che pure è essenziale per l’efficienza del processo e per la certezza del diritto (14). anche sotto questo profilo, profonde differenze segnano l’esperienza dinanzi al giudice ordinario e amministrativo. Prescindendo dal processo penale, nel quale si compiono ancora timidamente i primi passi, nel processo civile la digitalizzazione paga un prezzo altissimo alla complessità del rito. Senza alcuna pretesa di completezza, appaiono in generale troppo laboriosi gli adempimenti materiali che gravano sulle parti e, soprattutto, emerge una eccessiva discrezionalità delle cancellerie, se non dei singoli addetti a cia (12) anche se alcuni meccanismi “acceleratori”e“semplificatori” del processo amministrativo potrebbero essere utilmente mutuati nel processo civile. (13) tanto da far assimilare il giudice amministrativo ad un interprete senza spartito: f. Saitta, interprete senza spartito? Saggio critico sulla discrezionalità del giudice amministrativo, napoli, 2023. (14) come accorta dottrina ha segnalato da oltre un ventennio: m. coSSutta, meccanizzare il giudizio per conseguire certezza del diritto, in L’ircocervo. rivista elettronica italiana di metodologia giuridica, teoria generale del diritto e dottrina dello Stato, 2002. RaSSegna avvocatuRa dello Stato -n. 2/2023 scuna cancelleria, riguardo ad attività similari svolte in uffici giudiziari diversi, che troppo spesso vengono trattate secondo criteri o, peggio, secondo prassi differenti. Si avverte la necessità di ruolo più incisivo del ministero al fine di uniformare le attività dei singoli uffici giudiziari. Queste difficoltà, purtroppo, onerano i difensori di una serie di adempimenti materiali ripetitivi e reiterati, che rischiano di essere più impegnativi e dispendiosi in termini di tempo della stessa redazione degli atti defensionali. ancora una volta, profondamente diversa è la situazione del processo amministrativo telematico, nel quale gli adempimenti a carico delle parti sono molto semplificati e l’interlocuzione con le segreterie degli uffici, se necessaria, è estremamente più fluida. nel processo amministrativo, soprattutto, la piattaforma telematica consente ai magistrati del collegio di conoscere in tempo reale se la decisione è stata impugnata e di acquisirne consapevolmente l’esito. ma, in questa sede, preme soprattutto evidenziare la mancanza di uniformità delle regole tecniche tra i diversi ordini di giurisdizione, che sia in grado di semplificare effettivamente le attività defensionali. l’attuale babele delle regole tecniche costituisce una oggettiva complicazione per i professionisti, alla quale sarebbe necessario porre urgente rimedio. la diversità nella regolazione tecnica di fenomeni processuali similari risale probabilmente alle distinte competenze amministrative che presiedono all’organizzazione delle diverse attività giurisdizionali e sono ripartite tra i plessi della giustizia amministrativa e contabile, il ministero della giustizia (per i processi dinanzi al giudice ordinario) e il ministero dell’economia (per il processo tributario). tali distinte competenze, tuttavia, non devono impedire -se non l’unicità di gestione, quantomeno -l’istituzione di un meccanismo destinato ad uniformare le specifiche tecniche che non sono condizionate dalla diversità delle regole di esercizio della giurisdizione. ferme restando le peculiarità delle regole collegate alla diversità delle discipline processuali, gli adempimenti con finalità strumentali (per tutti, l’accesso al fascicolo telematico e le modalità di deposito degli atti) dovrebbero poter essere eseguiti in maniera uniforme, in unico sistema e con identità di “ambiente” informatico, semmai anche mediante interoperabilità tra i diversi plessi giurisdizionali. manca nel programma di oggi una relazione specifica sulla digitalizzazione, ma esigenze di ragionevole durata dell’evento ci hanno costretto a sacrificare questo, pur importante, profilo dell’efficienza processuale. 7.-abbiamo invece voluto prevedere uno specifico spazio sull’intelligenza artificiale e sul contributo che ne può derivare all’incremento dell’efficienza processuale. temi iStituzionali l’applicazione dell’intelligenza artificiale al processo è ancora piena di incognite: vi sono gli entusiasti, che prevedono l’imminente scomparsa di gran parte dei giudici e avvocati, e vi sono gli scettici, che pensano che l’attività giurisdizionale sia qualcosa di così intrinsecamente umano che non potrà mai essere sostituita da algoritmi e modelli matematici. Probabilmente nessuna delle due tendenze è giusta, anche se sappiamo che in alcuni Paesi l’intelligenza artificiale è già stata utilizzata per redigere le sentenze e che, in altri, le controversie di minore entità sono direttamente decise mediante algoritmi. la comparsa dell’intelligenza artificiale vanta il merito indubbio di farci riflettere sull’incidenza del “fattore umano” nella funzione giurisdizionale, sulla possibilità che questo fattore possa essere emulato da una macchina e, quindi, su quanto ciò possa costituire un prezioso strumento a supporto del- l’attività del giudice e dell’avvocato, pur non potendo mai diventarne un sostituto, come “agente decisionale”. certamente il grado di compenetrazione tra questa tecnologia e il sistema giudiziario sarà alto. non solo avvocati e magistrati potranno disporre di una grande quantità di documentazione e di dati legali (ossia di precedenti), ma soprattutto, attraverso la comprensione e l’elaborazione di questa mole di dati, nei prossimi anni l’intelligenza artificiale sarà in grado di rispondere a domande sempre più complesse. lo sviluppo di questo settore dovrà ovviamente seguire regole etiche: va gestito il rischio che l’intelligenza artificiale generi documenti falsi o fuorvianti, come è già accaduto, o realizzi contenuti violando la proprietà intellettuale, con conseguenti profili risarcitori. in proposito, bisognerà definire se obbligato al risarcimento del danno sia, e fino a che punto, l’utilizzatore, il gestore, o il proprietario della piattaforma. la scelta del tema, dunque, non è casuale, anche perché sull’uso del- l’intelligenza artificiale nei sistemi giudiziari si va verso la formazione di principi etici condivisi a livello europeo, essendo già presente, sin dalla fine del 2018, una «Carta etica europea sull’uso dell’intelligenza artificiale nei sistemi giudiziari», mentre risale all’aprile del 2021 una proposta di regolamento presentata dalla commissione europea nell’ambito della strategia europea per l’i.a., con l’obiettivo di favorire la ricerca e lo sviluppo industriale nel rispetto dei diritti fondamentali degli individui e della sicurezza dei sistemi. mi sembra di poter affermare che, nel futuro prossimo, pur mantenendo ben saldo il controllo umano sulle decisioni, l’intelligenza artificiale cambierà completamente l’approccio a importanti questioni giuridiche, sostanziali e processuali. Soprattutto, l’intelligenza artificiale sarà in grado di fornire un contributo determinante alla certezza del diritto proprio sotto il profilo della prevedibilità delle decisioni, e dunque attraverso l’uniformità e la stabilità RaSSegna avvocatuRa dello Stato -n. 2/2023 degli orientamenti, ma anche della riduzione della discrezionalità del giudice, del “soggettivismo”, per dirla con il presidente curzio. 8.-Su tutti questi temi, che probabilmente avrebbero richiesto uno spazio di approfondimento ben più ampio di quello possibile nella giornata odierna, abbiamo sollecitato le riflessioni di autorevoli relatori. anche il convegno di quest’anno è stato pensato con il taglio caratteristico di molte iniziative delle istituzioni europee, prevedendo la presenza di numerose relazioni, di durata necessariamente contenuta e su argomenti specifici, anche in considerazione dell’uditorio particolarmente specializzato che siamo riusciti a convenire anche in questa occasione. ciò consente di acquisire il valore aggiunto di prospettive visuali differenti, proprie delle diverse esperienze e competenze dei singoli relatori con riferimento al processo civile, penale e amministrativo. mi piace altresì sottolineare che anche nel convegno di quest’anno, pur incentrato su temi squisitamente processuali, abbiamo voluto mantenere uno dei tratti salienti delle nostre iniziative di studio, quello di assicurare visibilità alla prospettiva dell’amministrazione. ho già detto del ruolo fondamentale che possono svolgere i capi degli uffici giudiziari per l’aumentare l’efficienza del sistema. oggi il Presidente del tribunale di frosinone, che svolge funzioni amministrative oltre che giurisdizionali, porterà la prospettiva del dirigente dell’ufficio, al quale compete assicurarne l’ordinario funzionamento proprio nell’ottica dell’efficienza e della funzionalità. dopo aver ascoltato la posizione della più autorevole associazione imprenditoriale del nostro Paese sui profili più generali dei temi in discussione, abbiamo anche previsto l’intervento di un imprenditore, in grado di riferirci cosa significhi un processo efficiente per una impresa. ciò soprattutto al fine di scongiurare ogni autoreferenzialità nell’affrontare le delicate questioni che oggi ci occupano, dando voce alle aspettative degli utenti finali del “servizio giustizia”. le conclusioni di questo convegno di studi non potevano che essere affidate a Bruno Sassani, che ringrazio per la graditissima presenza e che considero uno dei miei due maestri (15). al professore Bruno Sassani devo essere grato, dobbiamo tutti essere particolarmente grati per averci insegnato, oltre venti anni fa, a ragionare in termini di efficienza del processo e di confronto tra sistemi processuali affini, come quelli civile e amministrativo. 9.-anche questo secondo convegno di studi è stato ideato e attuato nel segno di una fattiva collaborazione istituzionale, alla quale l’avvocatura dello Stato di catanzaro ispira costantemente la propria attività. (15) unitamente al compianto antonio Romano tassone. temi iStituzionali collaborazione istituzionale per la quale devo davvero sinceramente ringraziare il Prefetto di catanzaro, che ci ospita in questa prestigiosa Sala del tricolore che restituisce, anche plasticamente, la dimensione istituzionale della nostra iniziativa, la Presidente della corte d’appello e il Presidente del tribunale amministrativo regionale, anche per il loro incoraggiamento a sostenere il peso organizzativo di un evento complesso come questo, così come il presidente del consiglio distrettuale dell’ordine degli avvocati, che ha voluto confermare la piena collaborazione all’iniziativa. Ringrazio per la presenza tutte le numerose autorità intervenute. un vivo ringraziamento va altresì agli enti che hanno inteso patrocinare questa iniziativa, ritenendola meritevole di particolare attenzione tra le tante: unindustria calabria e la Banca montepaone con la sua fondazione, ente del terzo settore. 10.-ora taccio, per non sottrarre altro spazio alle autorità ed agli autorevoli relatori che hanno accolto il nostro invito a far conoscere il loro pensiero ed a contribuire fattivamente a questo dibattito. Prego, dunque, il Segretario generale dell’avvocatura dello Stato, maurizio greco, di assumere la presidenza del convegno, ringraziandolo vivamente per il sostegno a questa iniziativa e la presenza personale di oggi. RaSSegna avvocatuRa dello Stato -n. 2/2023 Avvocatura Generaledello Stato CIRColARE N. 12/2024 oggetto: D.P.C.M. 22 dicembre 2023 recante “Autorizzazione all’Avvocatura dello Stato ad assumere la rappresentanza e la difesa della società Giubileo 2025 S.p.A. nei giudizi attivi e passivi avanti le autorità giudiziarie, i collegi arbitrali, le giurisdizioni amministrative e speciali”. Si comunica che con d.P.c.m. del 22 dicembre 2023, pubblicato in gazzetta ufficiale n. 29 del 5 febbraio 2024, l’avvocatura dello Stato è stata autorizzata ad assumere la rappresentanza e la difesa della società Giubileo 2025 S.p.A. nei giudizi attivi e passivi avanti le autorità giudiziarie, i collegi arbitrali, le giurisdizioni amministrative e speciali. l’avvocato geneRale gabriella PalmieRi Sandulli Contenziosonazionale Gli automatismi sanzionatori nella più recente giurisprudenza di legittimità. Disamina di Corte costituzionale, 9 novembre 2023, n. 201 Antonino Ripepi* 1. Premessa. Con la pronuncia in esame, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 74, comma 7, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, c.p. 2. Analisi delle questioni giuridiche sottese. L’esame delle questioni giuridiche affrontate dalla sentenza in commento, afferenti al problematico rapporto tra recidiva e istituti di favore per il reo, postula un necessario inquadramento della generale tematica del principio di proporzionalità e degli automatismi sanzionatori, da tempo esaminata dalla giurisprudenza costituzionale, che fa da sfondo alla sentenza che ci si appresta a commentare. Il principio di proporzionalità (1), sebbene non espressamente sancito dalla Costituzione, è recentemente divenuto oggetto di applicazione da parte (*) Procuratore dello Stato -Avvocatura Distrettuale di Reggio Calabria, Referente distrettuale per la “Rassegna dell’Avvocatura dello Stato”. (1) Su cui v. E. ADDAntE, Il principio di proporzionalità sanzionatoria in materia penale, Pisa University Press, 2020. RASSEGnA AVVoCAtURA DELLo StAto -n. 2/2023 della giurisprudenza penale e fondamento di numerose sentenze della Corte costituzionale. La proporzionalità, infatti, informa di sé le branche del diritto che implicano la relazione tra potere autoritativo e situazioni giuridiche soggettive del cittadino. In quanto tale, essa è un principio proprio del diritto amministrativo (2), ove il mezzo deve essere idoneo al perseguimento dello scopo nonché necessario, nella misura in cui non sussistano altre soluzioni meno lesive degli interessi del privato. In diritto penale, la proporzionalità implica un rapporto di ragionevolezza tra la gravità del fatto e la cornice edittale, nonché la pena applicata in concreto, avuto riguardo alla finalità rieducativa di questa ex art. 27, terzo comma Cost. Si comprende, dunque, come il rapporto di necessaria proporzionalità tra reato e pena sia indispensabile in quel ramo del diritto che incide sul bene fondamentale della libertà personale. Questa esigenza è elevata al rango di principio dall’art. 49, par. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (3). Considerato che essa ha lo stesso valore giuridico dei trattati, lo Stato italiano è tenuto al rispetto di tale principio ex artt. 11 e 117, primo comma Cost., sebbene esso non sia espressamente previsto da alcuna disposizione costituzionale. In ambito nazionale, il principio in esame è stato valorizzato dalla Corte costituzionale (sentenze n. 251 del 2012, n. 105 e n. 106 del 2014, n. 205 del 2017, n. 73 del 2020, n. 55 e n. 143 del 2021) quale parametro di costituzionalità unitamente agli affini principi di uguaglianza/ragionevolezza e rieducazione della pena (artt. 3 e 27 Cost.). Da un canto, infatti, la cornice edittale (2) S. CASSESE, Le basi costituzionali, in S. CASSESE (a cura di), Trattato di diritto amministrativo. Diritto amministrativo generale, I, Milano, 2000, pp. 195-196; V. CERULLI IRELLI, Osservazioni generali sulla legge di modifica della l. n. 241/1990 -I parte, in rivista on line www.giustamm.it; M. IMMoRDIno -A. PoLICE (a cura di), Principio di legalità e amministrazione di risultati, torino, 2004; F. PAtRonI GRIFFI, Il principio di legalità, 2019, in www.giustizia-amministrativa.it; D. SIMEoLI, Appunti sul principio di legalità amministrativa, in Questione Giustizia, 2016, 4, pp. 174-189; A. MASSERA, Principi generali dell’azione amministrativa tra ordinamento nazionale ed ordinamento comunitario, in Dir. amm., 2005, pp. 707 ss.; F. FRAnCARIo, Dalla legge sul procedimento amministrativo alla legge sul provvedimento amministrativo (sulle modifiche ed integrazioni recate dalla legge 15/2005 alla legge 241/1990), in rivista on line www.giustamm.it. (3) C. SotIS, I principi di necessità e proporzionalità della pena nel diritto dell’Unione Europea dopo Lisbona, Relazione al Convegno “Le droit pénal de l’Union européenne au lendemain du traité de Lisbonne”, Università di Paris 1 Panteheon -Sorbonne -Palais du Luxemburg, 27 e 28 gennaio 2011, in Diritto Penale Contemporaneo, 2011; G. RUGGIERo, La proporzionalità nel diritto penale. Natura e attuazione, Editoriale Scientifica, 2018; F. VIGAnò, La proporzionalità della pena tra diritto costituzionale italiano e diritto dell’Unione europea: sull’effetto diretto dell’art. 49, paragrafo 3, della Carta alla luce di una recentissima sentenza della Corte di giustizia. nota a Corte di giustizia UE, Grande Sezione, sentenza 8 marzo 2022, N.E., C-205/20, in Sistema penale, 26 aprile 2022; n. RECChIA, Il principio di proporzionalità nel diritto penale. Scelte di criminalizzazione e ingerenza nei diritti fondamentali, Giappichelli, 2020. ContEnzIoSo nAzIonALE non può essere talmente ampia da rendere il giudice legislatore del caso concreto, generando il rischio di ingiustificabili disparità di trattamento. Su questo sfondo concettuale dev’essere trattata la questione del rapporto tra automatismi sanzionatori e discrezionalità giudiziale. La locuzione automatismi sanzionatori, di origine dottrinale (4), individua un insieme eterogeneo di istituti caratterizzati dal ricorso del legislatore a presunzioni assolute. Queste ultime si differenziano dalle presunzioni semplici le quali, ammettendo la prova contraria, non pongono questioni di compatibilità con il sistema penale sostanziale e processuale. Le presunzioni assolute, peraltro, non sono in astratto incompatibili con i principi costituzionali di rieducazione della pena e consequenziale individualizzazione del trattamento sanzionatorio, imposta anche dal principio di personalità della responsabilità penale. tuttavia, devono rispondere, secondo canoni di ragionevolezza, a massime di esperienza e non a mere congetture. Un ambito tematico nel quale è possibile apprezzare la tensione dialettica tra automatismi e discrezionalità è, sicuramente, il rapporto tra la recidiva e il giudizio di bilanciamento delle circostanze. Infatti, ai sensi dell’art. 69, ultimo comma, c.p., “le disposizioni del presente articolo si applicano anche alle circostanze inerenti alla persona del colpevole, esclusi i casi previsti dall’articolo 99, quarto comma, nonché dagli articoli 111 e 112, primo comma, numero 4), per cui vi è divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle ritenute circostanze aggravanti”. L’intervento riformatore del 2005, infatti, ha inciso in modo eccessivamente severo -a giudizio di rilevante parte della dottrina -sull’istituto della recidiva e sugli effetti secondari prodotti dalla medesima, tra cui quelli inerenti al bilanciamento delle circostanze. Presto, tuttavia, la Corte costituzionale ha ritenuto opportuno erodere la discrezionalità legislativa, non esercitata in modo corretto. Segnatamente, il quarto comma dell’art. 69 c.p. è stato più volte dichiarato incostituzionale laddove impedisce la prevalenza delle attenuanti con riferimento a circostanze unificate dalla comune natura di fatti di lieve entità o ravvedimento operoso, quali gli artt. 648, secondo comma e 609-bis, terzo comma c.p., nonché l’art. 73, commi 5 e 7, d.P.R. n. 309/1990. Le argomentazioni della Corte costituzionale sono simili per tutte le fattispecie e sono incentrate sui principi di uguaglianza e proporzionalità. Qualsiasi ipotesi di automatismo, infatti, preclude la necessaria individualizzazione del trattamento sanzionatorio. Il giudice, pertanto, potrà valutare per ogni singola fattispecie concreta l’effettiva capacità a delinquere (4) G. LEo, Automatismi sanzionatori e principi costituzionali, in treccani, Libro dell’anno del Diritto 2014; G. LEo -F. VIGAnò, Politiche sanzionatorie e sindacato di proporzionalità, in Libro del- l’anno del Diritto 2018. RASSEGnA AVVoCAtURA DELLo StAto -n. 2/2023 del reo e dichiarare l’aggravante equivalente o subvalente rispetto alle citate circostanze attenuanti. nel caso di specie, il giudice a quo, nell’ambito di un procedimento penale, ha ritenuto che sussistesse la responsabilità degli imputati per il delitto di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309/1990 (“Associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope”). tuttavia, alcuni di essi sono divenuti collaboratori di giustizia e hanno reso dichiarazioni etero e autoaccusatorie, di decisiva importanza per lo sviluppo delle indagini. Pertanto, si configuravano gli estremi per l’applicazione della circostanza attenuante di cui all’art. 74, comma 7, d.P.R. n. 309/1990, che prevede una diminuzione di pena dalla metà a due terzi per chi si sia efficacemente adoperato per assicurare le prove del reato o per sottrarre all’associazione risorse decisive per la commissione dei delitti. Inoltre, si è reso necessario applicare, con riferimento ad alcuni imputati, la recidiva reiterata e infraquinquennale, in quanto «intranei a sodalizi camorristici e quindi dediti per scelta di vita a commettere gravissimi reati», ciascuno con numerosi precedenti penali espressivi sia di una accentuata colpevolezza, sia di una «tendenza a delinquere davvero incontenibile». Ad avviso del rimettente, l’attenuante di cui all’art. 74, comma 7, d.P.R. n. 309/1990 avrebbe dovuto essere considerata prevalente sulle aggravanti contestate, nonché sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, c.p. tale prevalenza sarebbe stata, però, preclusa dall’art. 69, quarto comma, c.p., con la conseguente necessità di applicare agli imputati collaboranti pene nella sostanza corrispondenti a quelle già irrogate ai coimputati non dissociatisi dal- l’associazione. ne derivava, nella prospettazione del rimettente, la non manifesta irrilevanza della questione, sollevata con riferimento ai parametri di cui agli artt. 3 e 27 Cost., relativi, rispettivamente, alla disparità di trattamento e all’asserita violazione dei principi di proporzionalità e funzione rieducativa della pena. 3. La decisione della Corte. La sentenza in esame costituisce piana applicazione (nonché conferma) dei principi sopra esposti. La Corte costituzionale, infatti, richiamando espressamente la propria precedente sentenza n. 74/2016, osserva che “si è in quell’occasione osservato che l’attenuante di cui all’art. 73, comma 7, t.u. stupefacenti «è espressione di una scelta di politica criminale di tipo premiale, volta a incentivare, mediante una sensibile diminuzione di pena, il ravvedimento post-delittuoso del reo, rispondendo, sia all’esigenza di tutela del bene giuridico, sia a quella di prevenzione e repressione dei reati in materia di stupefacenti». E si è aggiunto che il divieto assoluto di operare tale diminuzione di pena in presenza di recidiva reiterata del reo «impedisce alla disposizione premiale di pro ContEnzIoSo nAzIonALE durre pienamente i suoi effetti e così ne frustra in modo manifestamente irragionevole la ratio, perché fa venire meno quell’incentivo sul quale lo stesso legislatore aveva fatto affidamento per stimolare l’attività collaborativa ». Ciò anche considerando che la scelta di collaborare -pur non comportando necessariamente la resipiscenza del reo e potendo essere il frutto di mero calcolo -implica comunque «il distacco dell’autore del reato dal- l’ambiente criminale nel quale la sua attività in materia di stupefacenti era inserita e trovava alimento, e lo espone non di rado a pericolose ritorsioni, determinando così una situazione di fatto tale da indurre in molti casi un cambiamento di vita» (punto 5 del Considerato in diritto). tali considerazioni non possono non valere anche rispetto alla circostanza attenuante di cui all’art. 74, comma 7, t.u. stupefacenti”. Anzi, rispetto all’attenuante ora in esame, le considerazioni svolte dalla sentenza n. 74 del 2016 valgono a maggior ragione, dal momento che -come l’esperienza del contrasto alle differenti forme di criminalità organizzata nel nostro Paese ha ampiamente mostrato, dagli anni ottanta in poi -il contributo dei collaboratori di giustizia intranei ai sodalizi criminosi è di grande importanza ai fini della scoperta dell’organigramma dell’associazione e delle sue attività delittuose. ne discende la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, c.p. nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 74, comma 7, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, c.p. La pronuncia in esame, in definitiva, costituisce conferma di un filone giurisprudenziale ormai consolidato, ma sempre foriero di interessanti riflessioni sulle coordinate ermeneutiche di fondo del nostro sistema penale, nonché del ruolo sempre più pregnante della Corte costituzionale nella delineazione del medesimo. Corte Costituzionale, sentenza 9 novembre 2023 n. 201 -Pres. A.A. Barbera, Red. F. Viganò -Giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, promosso dal Giudice dell’udienza preliminare del tribunale ordinario di napoli con ordinanza del 16 dicembre 2022. (omissis) In altre parole, in assenza di una declaratoria di illegittimità costituzionale del divieto contenuto nel censurato art. 69, quarto comma, cod. pen. -che impedisce la prevalenza del- l’attenuante di cui all’art. 74, comma 7, t.u. stupefacenti sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen. -gli imputati dal giudizio a quo «subirebbero un trattamento sanzionatorio pari o addirittura peggiore rispetto ai coimputati che essi hanno contribuito in materia decisiva a far arrestare e a far condannare». RASSEGnA AVVoCAtURA DELLo StAto -n. 2/2023 Di qui la rilevanza delle questioni. 1.2.– Quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente lamenta anzitutto il contrasto della disciplina censurata con il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. 1.2.1.– L’«astratto e assoluto automatismo» insito nel divieto di prevalenza dell’attenuante della collaborazione ex art. 74, comma 7, t.u. stupefacenti sulla recidiva reiterata produrrebbe un risultato disarmonico rispetto alla ratio dell’attenuante medesima, che è quella di favorire il più possibile la dissociazione da un contesto associativo di elevata pericolosità. Da un lato, infatti, l’art. 74, comma 7, accorderebbe un «fortissimo “sconto” di pena (dalla metà a due terzi) come “ricompensa” per chi, allontanandosi dal sodalizio e mettendo, spesso, anche a rischio l’incolumità propria e dei familiari, “si sia efficacemente adoperato per assicurare le prove del reato o per sottrarre all’associazione risorse decisive per la commissione dei delitti”» e costituirebbe «un importante tassello nella lotta al narcotraffico», quale «strumento per tentare di scardinare quel patto di collaborazione e di omertà, spesso impenetrabile, che è alla base delle organizzazioni criminali, anche di quelle finalizzate allo spaccio di stupefacenti». Dall’altro lato, sarebbe «più che verosimile» che soggetti di spessore criminale tale da rivestire il ruolo di capi o promotori di un’associazione dedita al narcotraffico siano anche recidivi reiterati. Sicché l’attenuante in questione, non potendo spiegare tutta la sua valenza per i recidivi reiterati -in ragione del divieto contenuto nel censurato art. 69, quarto comma, cod. pen. perderebbe «gran parte della sua ragion d’essere, dal momento che tali soggetti non avrebbero alcun beneficio a dissociarsi, vedendo al massimo eliso l’aumento per la recidiva, sempre che ciò non avvenga già per effetto di altre attenuanti»; con conseguente «totale neutralizzazione della valenza positiva del contributo dichiarativo» degli imputati e «sostanziale “tradimento” del patto che lo Stato intende instaurare con chi si dissocia onde pervenire alla disarticolazione del sodalizio». Il rimettente richiama diffusamente, sul punto, le argomentazioni della sentenza n. 74 del 2016 di questa Corte, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, cod. pen., nella parte in cui prevedeva il divieto di prevalenza, sulla recidiva reiterata, della circostanza attenuante prevista dall’art. 73, comma 7, t.u. stupefacenti per chi si dissoci, in quel caso, da fatti di traffico di stupefacenti commessi al di fuori di un contesto associativo. Le considerazioni allora espresse da questa Corte -secondo cui la norma censurata, impedendo alla disposizione premiale di produrre pienamente i suoi effetti, ne frustrava in modo manifestamente irragionevole la ratio, perché faceva venire meno quell’incentivo (la sensibile diminuzione di pena) sul quale lo stesso legislatore aveva fatto affidamento per stimolare l’attività collaborativa -varrebbero a fortiori nel caso di specie. E invero, stante la maggiore gravità del reato associativo di cui all’art. 74 t.u. stupefacenti, rispetto al delitto di cui all’art. 73, «ancora più impellente risult[erebbe] essere l’esigenza di favorire la dissociazione di chi fa parte del sodalizio». Inoltre, poiché «il reato associativo comporta l’adesione a un pactum sceleris dal quale non ci si libera in alcuni ambienti se non a prezzo della vita», non potrebbe non riconoscersi a colui che si dissoci un “premio” «quantomeno della stessa portata». 1.2.2.– Peraltro, la circostanza che, alla luce della sentenza n. 74 del 2016, sia possibile ritenere prevalente sulla recidiva reiterata l’attenuante di cui all’art. 73, comma 7, t.u. stupefacenti, ma non quella, «in tutto analoga», di cui all’art. 74, comma 7, rivelerebbe un ulteriore profilo di irragionevolezza del censurato art. 69, quarto comma, cod. pen. 1.2.3.– L’irragionevolezza del divieto emergerebbe altresì dal raffronto con il regime ContEnzIoSo nAzIonALE della circostanza attenuante prevista per i delitti di tipo mafioso dall’art. 8 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152 (Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell’attività amministrativa), convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 1991, n. 203, poi trasfuso nell’art. 416-bis.1, terzo comma, cod. pen. Detta attenuante -caratterizzata, secondo il rimettente, dalla medesima ratio di quella che sorregge la disposizione censurata -per consolidata giurisprudenza non è soggetta al giudizio di bilanciamento tra circostanze eterogenee ed è di applicazione obbligatoria (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 25 febbraio -18 marzo 2010, n. 10713; sezione sesta penale, sentenza 13 aprile-4 luglio 2017, n. 31983), laddove la circostanza attenuante dell’art. 74, comma 7, del d.P.R. n. 309 del 1990 non solo è soggetta al giudizio di bilanciamento, ma non può neppure prevalere sulla recidiva reiterata. 1.2.4.– osserva ancora il rimettente che questa Corte, con le sentenze n. 251 del 2012, n. 105 e n. 106 del 2014, n. 205 del 2017, n. 73 del 2020, n. 55 e n. 143 del 2021, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, cod. pen., nella parte in cui prevedeva il divieto di prevalenza, sulla recidiva reiterata, di una pluralità di circostanze attenuanti, «connesse a ipotesi delittuose di lieve entità o comunque di minor rimproverabilità sotto il profilo dell’elemento soggettivo, in relazione alle quali il divieto di prevalenza si tradurrebbe nel- l’imposizione di una pena sproporzionata al recidivo reiterato». A fronte di tali declaratorie, sarebbe irragionevole la vigente disciplina che impedisce la prevalenza della diminuente di cui all’art. 74, comma 7, t.u. stupefacenti, ossia di un’attenuante a effetto speciale, che prevede una riduzione di pena di gran lunga più incisiva (dalla metà ai due terzi), rispetto ad altre circostanze a efficacia comune, il cui divieto di prevalenza è già stato ritenuto costituzionalmente illegittimo, quali quelle di cui agli artt. 89 e 116, secondo comma, cod. pen. (rispettivamente, sentenze n. 73 del 2020 e n. 55 del 2021). L’attenuante di cui all’art. 74, comma 7, non potrebbe d’altra parte essere paragonata, per ratio e valenza in termini di riduzione della pena, alle circostanze attenuanti generiche, rispetto alle quali la Corte di cassazione ha ritenuto manifestamente infondato il dubbio di illegittimità costituzionale circa il divieto di prevalenza sulla recidiva reiterata (è citata la sentenza della sezione sesta penale, 23-31 marzo 2017, n. 16487), sul rilievo che trattasi di circostanze comuni rispetto a cui il divieto non determina una manifesta sproporzione del trattamento sanzionatorio. La diminuente di cui all’art. 74, comma 7, a effetto speciale, prevedrebbe una riduzione di pena di gran lunga superiore a un terzo (dalla metà a due terzi) e avrebbe una finalità del tutto diversa e peculiare rispetto alle attenuanti generiche. 1.3.– Il rimettente ravvisa infine, nel censurato divieto di prevalenza, un vulnus al principio di proporzionalità della pena di cui all’art. 27, terzo comma, Cost., «sia sotto il profilo della sua funzione rieducativa che di quella retributiva, in quanto una pena che non tenga in debito conto della proficua collaborazione prestata per effetto di una dissociazione post-delictum, spesso sofferta, e che può esporre a gravissimi rischi personali e familiari, da un lato non può correttamente assolvere alla funzione di ristabilimento della legalità violata, dall’altro - soprattutto - non potrà mai essere sentita dal condannato come rieducatrice». Rammenta in proposito il giudice a quo che l’impossibilità di prevalenza dell’attenuante ex art. 74, comma 7, comporta l’inflizione agli imputati di «un trattamento sanzionatorio pari o addirittura peggiore rispetto ai coimputati che essi hanno contribuito in maniera decisiva a far arrestare e a far condannare e, altresì, peggiore rispetto all’ipotesi in cui non avessero “collaborato” ». 2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e di RASSEGnA AVVoCAtURA DELLo StAto -n. 2/2023 feso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate. 2.1.– L’ordinanza di rimessione sarebbe anzitutto affetta da un’«intima contraddizione»: in un contesto criminoso di «inaudita gravità, se non di natura eversiva», il giudice a quo da un lato avrebbe evidenziato l’«irriducibile tendenza a delinquere» degli imputati, e dall’altro lato avrebbe inopinatamente applicato le circostanze attenuanti generiche agli associati giudicati in separato procedimento, in tal modo «paralizzando l’aumento di pena per i recidivi giudicati separatamente con il bilanciamento d’equivalenza» e creando «una potenziale di- simmetria con gli imputati odierni quanto (a parità di posizioni e stante la collaborazione fornita) alla pena irrogabile che non si discosta da quella irrogata ai consorti non collaboranti». L’errore del rimettente nel riconoscere le attenuanti generiche -non accordabili per la mera, generica necessità di adeguare la pena all’entità del fatto (sono citate Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 18 maggio -11 ottobre 2017, n. 46568 e sezione quarta penale, sentenza 28 ottobre -1° dicembre 2020, n. 33867) -non potrebbe essere posto a fondamento della dedotta illegittimità costituzionale della norma censurata. 2.2.– Le censure del rimettente si appunterebbero, in realtà, sull’eccessiva asprezza delle pene previste dall’art. 74 t.u. stupefacenti, e solo «indirettamente e per ricaduta» riguarderebbero il divieto di prevalenza dell’attenuante di cui all’art. 74, comma 7, t.u. stupefacenti sulla recidiva reiterata; divieto, quest’ultimo, che sarebbe però del tutto ragionevole, «di fronte ad imputati avvezzi a irredimibili atti di delinquenza secondo i canoni tratteggiati dall’art. 99, quarto comma, c.p.». 2.3.– né potrebbe essere considerato irragionevole che -in forza della sentenza n. 74 del 2016 di questa Corte -sia possibile per il giudice ritenere prevalente l’attenuante prevista dall’art. 73, comma 7, t.u. stupefacenti, ma non quella contenuta nel successivo art. 74, comma 7. Le argomentazioni spese in quella pronuncia non sarebbero infatti trasponibili al caso di specie, in ragione della «gravissima pericolosità dell’associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti in carcere ad uso di detenuti» e delle «qualificate recidive tutte comprovanti uno stato di vita nel delitto irredimibile». 2.4.– né, ancora, produrrebbe alcun vulnus costituzionale la circostanza che il recidivo reiterato, per il divieto di prevalenza dell’attenuante di cui all’art. 74, comma 7, t.u. stupefacenti, non possa fruire dello stesso sconto di pena di cui godrebbe chi recidivo non sia, in quanto «in assenza di attenuanti generiche, il reo recidivo qualificato con la collaborazione e grazie ad essa evita l’aumento di pena» connesso alla recidiva reiterata. Sicché «la funzione di incentivo alla collaborazione» sussisterebbe «in ampia misura anche per il soggetto recidivo qualificato che evita, comunque, un incremento di pena ben importante». Le pene da irrogare agli imputati del giudizio a quo, «[a]lla luce dei fatti processuali», non sarebbero dunque manifestamente sproporzionate e contrarie all’art. 27, terzo comma, Cost. 2.5.– nemmeno, infine, si potrebbero ricavare profili di irragionevolezza della disciplina censurata dal raffronto con il regime di applicazione dell’attenuante, non soggetta a bilanciamento, di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., che non costituirebbe un tertium comparationis omogeneo. E invero, l’ipotesi di dissociazione prevista in relazione a reati di tipo mafioso, per «l’irriducibile peculiarità socio-criminale del fenomeno mafioso», non potrebbe costituire un «valido raffronto né interno (diverso lo sconto di pena tra essa e la collaborazione prevista dall’art. 74, settimo comma, D.P.R. n. 309/1990) né esterno ([…] la dissociazione mafiosa nella quasi totalità dei casi riguarda affiliati già pluripregiudicati)». ContEnzIoSo nAzIonALE Considerato in diritto 1.– Con l’ordinanza di cui in epigrafe, il GUP del tribunale di napoli ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, cod. pen., nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 74, comma 7, t.u. stupefacenti sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen. 2.– L’Avvocatura generale dello Stato, pur dolendosi dell’«intima contraddizione» che emergerebbe dalla motivazione del rimettente -il quale denuncerebbe una irragionevole equiparazione del trattamento sanzionatorio tra imputati collaboranti e condannati non collaboranti, che egli stesso avrebbe creato riconoscendo inopinatamente a questi ultimi le attenuanti generiche -, non solleva propriamente alcuna eccezione di inammissibilità, limitandosi a sostenere la non fondatezza nel merito delle questioni sollevate. In effetti, le questioni sono ammissibili. Il rimettente argomenta in punto di fatto, con motivazione diffusa e certo non implausibile: a) che i quattro imputati nel giudizio a quo sono responsabili del delitto di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti di cui all’art. 74, commi 1 e 2, t.u. stupefacenti, tre di essi a titolo di capi e il quarto a titolo di partecipe; b) che nei confronti di tutti gli imputati deve essere altresì ritenuta sussistente la recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen. in relazione ai numerosi precedenti penali di ciascuno, espressivi di una loro accentuata colpevolezza e pericolosità; c) che agli stessi devono altresì essere riconosciute le attenuanti generiche e l’attenuante speciale prevista dall’art. 74, comma 7, t.u. stupefacenti, la quale prevede la diminuzione della pena dalla metà a due terzi «per chi si sia efficacemente adoperato per assicurare le prove del reato o per sottrarre all’associazione risorse decisive per la commissione dei delitti»; d) che tale ultima attenuante meriterebbe di essere considerata prevalente, per tutti gli imputati, sulla contestata recidiva; e) che tale esito è, tuttavia, precluso dal censurato art. 69, quarto comma, cod. pen. tanto basta ai fini del vaglio della rilevanza delle questioni sollevate, che questa Corte è chiamata a compiere. L’argomento della sostanziale equivalenza tra le pene che dovrebbero essere irrogate ai quattro imputati e quelle già inflitte, in esito a un separato procedimento, ai loro ex associati non collaboranti è utilizzato dal giudice a quo in chiave meramente rafforzativa della dimostrazione della rilevanza delle questioni, ma non è essenziale rispetto a tale dimostrazione, e appare piuttosto attenere al merito delle questioni, con le quali si lamenta in via generale -e non solo con riferimento al caso concreto, pur indicato come emblematico l’eccessività delle conseguenze sanzionatorie cui condurrebbe l’applicazione della disposizione censurata, al duplice metro degli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. nessuna «intima contraddizione» tale da viziare la tenuta logica dell’ordinanza è, dunque, ravvisabile in punto di motivazione sulla rilevanza o sulla non manifesta infondatezza delle questioni. 3.– nel merito, la questione sollevata in relazione all’art. 3 Cost. è fondata. 3.1.– La disposizione di cui all’art. 69, quarto comma, cod. pen., introdotta dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione) -la cosiddetta legge “ex Cirielli” -è stata oggetto di molteplici pronunce di illegittimità costituzionale parziale, che hanno colpito il divieto di prevalenza di altrettante circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen. (per una recente dettagliata rassegna di tali pronunce e delle loro diverse RASSEGnA AVVoCAtURA DELLo StAto -n. 2/2023 linee argomentative, sentenza n. 94 del 2023, punto 10 del Considerato in diritto; nonché, in seguito, sentenze n. 141 e n. 188 del 2023). In particolare, la sentenza n. 74 del 2016 ha già dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 69, quarto comma, cod. pen. nella parte in cui prevedeva il divieto di prevalenza della parallela circostanza attenuante di cui all’art. 73, comma 7, t.u. stupefacenti, che -rispetto al delitto di traffico di sostanze stupefacenti compiuto al di fuori di un contesto associativo prevede la diminuzione della pena dalla metà a due terzi «per chi si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, anche aiutando concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella sottrazione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti». Si è in quell’occasione osservato che l’attenuante di cui all’art. 73, comma 7, t.u. stupefacenti «è espressione di una scelta di politica criminale di tipo premiale, volta a incentivare, mediante una sensibile diminuzione di pena, il ravvedimento post-delittuoso del reo, rispondendo, sia all’esigenza di tutela del bene giuridico, sia a quella di prevenzione e repressione dei reati in materia di stupefacenti». E si è aggiunto che il divieto assoluto di operare tale diminuzione di pena in presenza di recidiva reiterata del reo «impedisce alla disposizione premiale di produrre pienamente i suoi effetti e così ne frustra in modo manifestamente irragionevole la ratio, perché fa venire meno quell’incentivo sul quale lo stesso legislatore aveva fatto affidamento per stimolare l’attività collaborativa». Ciò anche considerando che la scelta di collaborare -pur non comportando necessariamente la resipiscenza del reo e potendo essere il frutto di mero calcolo -implica comunque «il distacco dell’autore del reato dall’ambiente criminale nel quale la sua attività in materia di stupefacenti era inserita e trovava alimento, e lo espone non di rado a pericolose ritorsioni, determinando così una situazione di fatto tale da indurre in molti casi un cambiamento di vita» (punto 5 del Considerato in diritto). 3.2.– tali considerazioni non possono non valere anche rispetto alla circostanza attenuante di cui all’art. 74, comma 7, t.u. stupefacenti, che parimenti prevede la diminuzione della pena dalla metà a due terzi «per chi si sia efficacemente adoperato per assicurare le prove del reato o per sottrarre all’associazione risorse decisive per la commissione dei delitti ». Rispetto all’attenuante ora in esame, anzi, le considerazioni svolte dalla sentenza n. 74 del 2016 valgono a maggior ragione, dal momento che -come l’esperienza del contrasto alle differenti forme di criminalità organizzata nel nostro Paese ha ampiamente mostrato, dagli anni ottanta in poi -il contributo dei collaboratori di giustizia intranei ai sodalizi criminosi è di grande importanza ai fini della scoperta dell’organigramma dell’associazione e delle sue attività delittuose. Il che è, in effetti, accaduto anche nel caso oggetto del giudizio a quo, come puntualmente evidenziato dall’ordinanza di rimessione. Di talché appare contraddittorio che, per effetto del generale divieto introdotto nell’art. 69 cod. pen. dalla legge “ex Cirielli”, questo sostanzioso incentivo alla collaborazione venga meno laddove il potenziale collaboratore sia -come spesso accade, trattandosi di associati a delinquere - già stato più volte condannato. La particolare gravità del delitto associativo che viene ora in considerazione, sulla quale insiste l’Avvocatura generale dello Stato, costituisce semmai una ragione in più per assicurare agli associati che intendano collaborare l’incentivo promesso in via generale dal legislatore. né potrebbe ritenersi, come ancora sostiene l’Avvocatura generale dello Stato, che un incentivo alla collaborazione sia comunque rappresentato, per il recidivo, dalla prospettiva di ContEnzIoSo nAzIonALE ottenere il riconoscimento dell’attenuante in parola come meramente equivalente rispetto alla recidiva reiterata. Infatti, tale prospettiva comporterebbe pur sempre, per il collaborante, l’applicazione delle elevate pene previste dall’art. 74 t.u. stupefacenti (vent’anni di reclusione nel minimo per i capi, appena al di sotto della pena minima prevista per l’omicidio volontario): pene che rischiano di scoraggiare qualsiasi scelta collaborativa, e che il legislatore ha invece inteso diminuire -addirittura sino ai due terzi -per favorire simili scelte, ritenute essenziali a fini di indagini. tanto più a fronte della circostanza, già evidenziata dalla sentenza n. 74 del 2016, che la collaborazione processuale espone sempre a gravi rischi la propria persona e la propria famiglia. Ciò ridonda in un vizio di irragionevolezza intrinseca della disciplina, che finisce per frustrare lo scopo perseguito dal legislatore mediante la previsione della circostanza attenuante. Dal che la violazione - già sotto questo assorbente profilo - dell’art. 3 Cost. 4.– Resta altresì assorbita l’ulteriore censura svolta dal rimettente in riferimento all’art. 27, terzo comma, Cost. PER QUEStI MotIVI LA CoRtE CoStItUzIonALE dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 74, comma 7, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 ottobre 2023. RASSEGnA AVVoCAtURA DELLo StAto -n. 2/2023 atto di disobbedienza o affermazione della propria funzione nomofilattica? la soluzione offerta dalle sezioni Unite 28 marzo 2024 n. 78 al quesito posto dalla ordinanza della sezione iV del 2 luglio 2023 n. 30386 in tema di appello promosso avverso sentenza di condanna dell’imputato anche ai fini civili con reato prescritto nelle more del giudizio di gravame Secondo quanto è dato apprendere dall’informazione provvisoria, le S.U. del 28 marzo c.a. n. 78 Rel. Serrao hanno risolto il seguente quesito posto dalla sez. IV con l’ordinanza di rimessione del 2 luglio 2023 n. 30386: “Se, nel giudizio di appello promosso avverso la sentenza di condanna del- l’imputato anche al risarcimento dei danni, il giudice, intervenuta nelle more l’estinzione del reato per prescrizione, possa pronunciare l’assoluzione nel merito, anche a fronte di prove insufficienti o contraddittorie, sulla base della regola di giudizio processual-penalistica dell’ ‘oltre ogni ragionevole dubbio’, ovvero debba far prevalere la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, pronunciandosi sulle statuizioni civili secondo la regola processual-civilistica del ‘più probabile che non’ ” adottando questa soluzione: “In coerenza con i principi sanciti dall’art. 27 Cost., dall’art. 6 della Cedu e dagli artt. 48 e 53 della Carta di Nizza, il giudice può pronunciare l’assoluzione nel merito alla stregua dei principi enunciati da Sez. U, n. 35490 del 28 maggio 2009, Tettamanti, Rv. 244273”. In attesa delle motivazioni, quanto affermato nel comunicato della Corte appare meritevole di attenzione, poiché sin d’ora attesta una presa di distanza dalla pronuncia (interpretativa di rigetto) della Consulta n. 182/2021. In quella occasione il Giudice delle leggi aveva avuto modo di pronunciarsi sull’art. 578 c.p.p. chiarendo che: “il giudice dell’impugnazione penale (giudice di appello o Corte di cassazione), spogliatosi della cognizione sulla responsabilità penale dell’imputato in seguito alla declaratoria di estinzione del reato per sopravvenuta prescrizione (o per sopravvenuta amnistia), deve provvedere -in applicazione della disposizione censurata -sull’impugnazione ai soli effetti civili, confermando, riformando o annullando la condanna già emessa nel grado precedente, sulla base di un accertamento che impinge unicamente sugli elementi costitutivi dell’illecito civile, senza poter riconoscere, neppure incidenter tantum, la responsabilità dell’imputato per il reato estinto”. nella sua analisi la Corte muoveva dalla differenza esistente tra la disposizione oggetto di incidente di costituzionalità e l’art. 578 bis c.p.p. (confisca a reato prescritto o amnistiato), il quale solo prevede il “previo accertamento della responsabilità dell’imputato”. Ciò comporterebbe -secondo la Consulta -che nella diversa ipotesi di cui ContEnzIoSo nAzIonALE all’art. 578 c.p.p. il giudice dell’impugnazione penale, nel decidere sulla domanda risarcitoria, non è chiamato a verificare se si sia integrata la fattispecie penale tipica contemplata dalla norma incriminatrice, in cui si iscrive il fatto di reato di volta in volta contestato e ora prescritto o amnistiato: il giudice deve solo accertare se sia integrata la fattispecie civilistica dell’illecito aquiliano (art. 2043 cod. civ.); lo deve fare applicando lo statuto della prova penale, ma la regola di giudizio non deve essere quella processual -penalistica “dell’oltre ogni ragionevole dubbio”, bensì quella di conio civilistico “del più probabile che non”, ossia che consente di ritenere adeguatamente dimostrata (e dunque processualmente provata) una determinata ipotesi fattuale se essa, avuto riguardo ai complessivi risultati delle prove dichiarative e documentali, appare più probabile di ogni altra ipotesi e in particolare dell’ipotesi contraria. Ebbene, l’informativa provvisoria sembrerebbe abdicare a questa impostazione proprio dove richiama i principi espressi dalle S.U. del 2009, secondo cui “All’esito del giudizio, il proscioglimento nel merito, in caso di contraddittorietà o insufficienza della prova, non prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità, salvo che, in sede di appello, sopravvenuta una causa estintiva del reato, il giudice sia chiamato a valutare, per la presenza della parte civile, il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili, oppure ritenga infondata nel merito l’impugnazione del P.M. proposta avverso una sentenza di assoluzione in primo grado ai sensi dell’art. 530, comma secondo, cod. proc. pen.”. Per quel che a noi interessa, ossia il caso di impugnazione di sentenza di condanna anche sugli aspetti civili con reato prescritto, la Cassazione sposta, quindi, il baricentro della delibazione del giudice penale sull’imputato e non più sul danneggiato, con la conseguenza pratica che nella ricostruzione della responsabilità civile aumenta il grado di difficoltà della loro dimostrazione, poiché la regola di giudizio sarà quella maggiormente selettiva “dell’oltre ogni ragionevole dubbio”, ossia la condanna è consentita solo a condizione che la prospettazione di un’alternativa ricostruzione dei fatti non abbia il benché minimo riscontro nelle emergenze processuali. nulla esclude però che quanto affermato dal giudice di legittimità possa confinarsi al solo caso in cui vi sia stata una precedente condanna dell’imputato, non anche laddove vi sia stata invece un’assoluzione con impugnazione della sola parte civile, essendo qui messo in discussione il solo aspetto civilistico della vicenda, con conseguente riattivazione della regola del più probabile che non. Antonio Trimboli* (*) Avvocato dello Stato e Dottore di Ricerca in Diritto Pubblico -indirizzo Penale e Procedura Penale presso l’Università di Roma tor Vergata. RASSEGnA AVVoCAtURA DELLo StAto -n. 2/2023 Cassazione penale, sezione Quarta, ordinanza (ud. 8 giugno 2023) 2 luglio 2023 n. 30386 -Pres. S. Dovere, Est. V. Pezzella. ConSIDERAto In DIRItto 1. Assume rilievo assorbente, ai fini dell’odierno decidere, la fondatezza del terzo motivo di ricorso che, ad avviso del Collegio, per le ragioni che si andranno ad illustrare, impone la rimessione alle Sezioni Unite ai sensi dell’art. 618, comma 1-bis cod. proc. pen. 2. In premessa, va evidenziato che, diversamente da quanto ritenuto dal responsabile civile, la questione posta con il citato motivo sia scrutinabile da questo giudice di legittimità in sede penale, in quanto la costituzione di parte civile risale al 2011 e le Sezioni Unite, come si apprende dalla notizia di decisione (n. 16076 del 25 maggio 2023), chiamate a decidere se l’art. 573, comma 1-bis, cod. proc. pen., introdotto dall’art. 33 del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, si applichi a tutte le impugnazioni per i soli interessi civili pendenti alla data del 30 dicembre 2022 o, invece, alle sole impugnazioni proposte avverso le sentenze pronunciate a decorrere dalla suddetta data, hanno affermato il principio per cui la norma in questione si applica alle impugnazioni per i soli interessi civili proposte relativamente ai giudizi nei quali la costituzione di parte civile sia intervenuta in epoca successiva al 30 dicembre 2022, data di entrata in vigore della citata disposizione ai sensi dell’art. 99-bis del predetto d.lgs. n. 150 del 2022. 3. Il tema che il terzo motivo di ricorso devolve alla valutazione di questa Corte è quello dei limiti del sindacato del giudice di appello e della regola di giudizio applicabile allorquando siano presenti le parti civili, a fronte del gravame nel merito proposto da un imputato che non rinunci alla prescrizione e di un reato che, all’atto della decisione da assumere, si presenti ormai prescritto. Come ricordano le pp.cc. ricorrenti, nel caso in esame la Corte etnea, pur avendo dato atto della intervenuta prescrizione del reato (ampiamente maturata alla data di trattazione), ha affermato di dover procedere comunque alla valutazione del fatto nel merito sulla scorta della costituzione della parte civile nel processo, e, conseguentemente, ha assolto l’imputato perché il fatto non sussiste ritenendo non raggiunta la prova di colpevolezza dello stesso secondo il paradigma dell’oltre ogni ragionevole dubbio di cui all’art. 533 cod. proc. pen. La sentenza impugnata è stata, dunque, pronunciata nel solco dell’insegnamento di Sez. U, n. 35490 del 28 maggio 2009, tettamanti, Rv. 244273 e di tutta la giurisprudenza delle sezioni semplici degli anni successivi conforme a quella decisione. Le Sezioni Unite tettamanti hanno enunciato il seguente principio di diritto: «allorquando, ai sensi dell’art. 578 cod. proc. pen., il giudice di appello -intervenuta una causa estintiva del reato -è chiamato a valutare il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili per la presenza della parte civile, il proscioglimento nel merito prevale sulla causa estintiva, pur nel caso di accertata contraddittorietà o insufficienza della prova». La pronuncia accorda al giudice di appello, in casi come quelli in esame, il potere di addivenire ad una sentenza di assoluzione dell’imputato, all’esito di una valutazione del compendio probatorio secondo la regola di giudizio dell’oltre ogni ragionevole dubbio, pur dovendo ormai accertare soltanto la fondatezza della domanda di risarcimento del danno. Ed è quanto ha fatto la Corte catanese. La giurisprudenza delle sezioni semplici successiva alle Sezioni Unite del 2009 si è mossa nel solco del dictum di queste ultime, ribadendo in più occasioni che all’esito del giudizio, il proscioglimento nel merito, in caso di contraddittorietà o insufficienza della prova, non prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità, salvo che, in ContEnzIoSo nAzIonALE sede di appello, sopravvenuta una causa estintiva del reato, il giudice sia chiamato a valutare, per la presenza della parte civile, il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili, oppure ritenga infondata nel merito l’impugnazione del P.M. proposta avverso una sentenza di assoluzione in primo grado ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen. (così, tra le tante, Sez. 6, n. 4855 del 7 gennaio 2010, Damiani, Rv. 246138; Sez. 6, n. 16155 del 20 marzo 2013, Galati, Rv. 255666 che ha chiarito che i motivi di impugnazione dell’imputato devono essere esaminati compiutamente, non potendosi dare conferma alla condanna al risarcimento del danno in ragione della mancanza di prova dell’innocenza dell’imputato, secondo quanto previsto dall’art. 129, comma 2, cod. proc. pen.). Ancora, più recentemente, è stato ribadito che all’esito del giudizio, il proscioglimento nel merito non prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità, salvo il caso in cui il giudice, in sede di appello, sopravvenuta una causa estintiva del reato, sia chiamato ad apprezzare, ai sensi dell’art. 578 cod. proc. pen. il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili, nel qual caso non può limitarsi a farlo secondo il criterio di economia processuale ex art. 129 cod. proc. pen. ma lo deve valutare secondo gli ordinari criteri di esaustività e completezza dello scrutinio giurisdizionale (così in motivazione, Sez. 4, n. 20568 del 11 aprile 2018, D.L., Rv. 273259; conf. Sez. 4 -n. 53354 del 21 novembre 2018, zuccherelli, Rv. 274497). Giova rammentare che, nella ricordata sentenza n. 35490/2009, tettamanti, dirimendo un precedente contrasto giurisprudenziale, le Sezioni Unite hanno tra l’altro affermato che la pronuncia assolutoria a norma dell’articolo 129, comma 2, cod. proc. pen., è consentita al giudice solo quando emergano dagli atti, in modo assolutamente non contestabile, delle circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte del- l’imputato o la sua rilevanza penale, in modo tale che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo sia incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento. Si è precisato, in quella pronuncia, che il controllo demandato al giudice deve appartenere più al concetto di “constatazione”, ossia di percezione “ictu oculi”, che a quello di “apprezzamento”. L’evidenza richiesta dal menzionato art. 129, comma 2, cod. proc. pen., presuppone la manifestazione di una verità processuale talmente chiara ed obiettiva da rendere superflua ogni dimostrazione oltre la correlazione ad un accertamento immediato, concretizzandosi pertanto un quid pluris rispetto a quanto la legge richiede per l’assoluzione ampia. In assenza di parte civile, dunque, la formula di proscioglimento nel merito prevale sulla dichiarazione di estinzione del reato per intervenuta prescrizione soltanto nel caso in cui sia rilevabile, con una mera attività ricognitiva, l’assoluta assenza della prova di colpevolezza a carico dell’imputato ovvero la prova positiva della sua innocenza, e non anche nel caso di mera contraddittorietà o insufficienza della prova che richiede un apprezzamento ponderato tra opposte risultanze (così questa Sez. 4, n. 23680 del 7 maggio 2013, Rizzo ed altro, Rv. 256202; conf. Sez. 6, n. 10284 del 22 gennaio 2014, Culicchia, Rv. 259445). Diversamente, se l’imputato intende ottenere una valutazione più approfondita delle sue ragioni, che vada oltre l’evidenza della sua innocenza o della sua non colpevolezza, deve rinunciare alla prescrizione (per un’applicazione di tale principio, costante, vedasi, in ultimo Sez. 4. n. 22687 del 21 aprile 2023, Fratoni, n.m.). Evidentemente, in un sistema così congegnato, le ragioni di economia processuale vengono meno in presenza della parte civile, in quanto, in tal caso, il giudice penale, pur in presenza di un reato prescritto, è comunque chiamato a valutare i motivi d’impugnazione proposti dall’imputato compiutamente, non potendosi dare conferma alla condanna al risarcimento del RASSEGnA AVVoCAtURA DELLo StAto -n. 2/2023 danno in ragione della mancanza di prova dell’innocenza dell’imputato, secondo quanto previsto dall’art. 129, comma 2 cod. proc. pen. Perciò, in tal caso, nel sistema delineato dalle Sezioni Unite, l’imputato, pur non rinunciando alla prescrizione, ha maggiori margini per vedersi assolto nel merito, qualora la prova a suo carico, in sede di scrutinio per la valutazione della conferma o meno delle statuizioni civili a suo carico, si sia rivelata contraddittoria o insufficiente e tale da non superare la soglia del ragionevole dubbio. 4. Fondatamente, tuttavia, le pp.cc. ricorrenti eccepiscono che tale modus operandi si pone in contrasto con la recente pronuncia della Corte costituzionale n. 182 del 7 luglio 2021 (dep. il 30 luglio 2021, in G.U. del 4 agosto 2021) Con quella pronuncia i giudici delle leggi hanno affrontato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 578 cod. proc. pen., denunciato come in contrasto con l’art. 117, comma 1, Cost., in relazione all’art. 6, paragrafo 2, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, nonché in contrasto con lo stesso art. 117, comma 1, e con l’art. 11 Cost., in relazione agli artt. 3 e 4 della direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali, e all’art. 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a nizza il 7 dicembre 2000 e adottata a Strasburgo il 12 dicembre 2007. La Corte di Appello di Lecce, che aveva rimesso la questione con due ordinanze del 6 novembre 2020 e dell’11 dicembre 2020, sospettava che la denunciata previsione normativa -«nella parte in cui stabilisce che, quando nei confronti dell’imputato è stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, il giudice di appello, nel dichiarare estinto il reato per prescrizione, decide sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli effetti civili» -violasse il diritto alla presunzione di innocenza, garantito dalla norma convenzionale (come interpretata dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo) e da quelle dell’ordinamento dell’Unione europea assunte a parametri in terposti, in quanto imporrebbe al giudice dell’impugnazione di formulare, sia pure in via incidentale ed al solo fine di provvedere sulla domanda risarcitoria, un nuovo giudizio sulla responsabilità penale dell’imputato, sebbene questa sia stata esclusa in ragione della declaratoria di estinzione del reato. In altri termini, il giudice rimettente osservava come, in base al riferito consolidato orientamento del giudice della nomofilachia, anche nell’applicazione dell’art. 578 cod. proc. pen. non potrebbe prescindersi dalla formulazione di un implicito giudizio di colpevolezza, al fine di confermare la condanna risarcitoria. Ma, in tal modo, la disposizione censurata lederebbe il principio di presunzione di innocenza garantito all’imputato dalla norma convenzionale e da quelle europee, tutte assunte a parametri interposti, in quanto la prima, come interpretata dalla Corte EDU, escluderebbe la possibilità che in un procedimento successivo a quello penale conclusosi con un risultato diverso da una condanna, possano essere emessi provvedimenti che presuppongono un giudizio di colpevolezza della persona in ordine al reato precedentemente contestatole; parimenti le seconde, alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, imporrebbero agli Stati membri di garantire che le decisioni giudiziarie diverse da quelle sulla colpevolezza non presentino una persona come colpevole finché la sua colpevolezza non sia stata legalmente provata. L’evocazione dell’art. 11 Cost. ContEnzIoSo nAzIonALE non avrebbe -nella prospettazione delle ordinanze di rimessione -una sua distinta autonomia, come parametro diretto, ma confluirebbe nella denuncia degli indicati parametri interposti. I giudici delle leggi hanno ritenuto la questione proposta non fondata, dettando, con una sentenza interpretativa di rigetto, una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 578 cod. proc. pen. Premette la Corte costituzionale al § 6.2. che l’art. 578 cod. proc. pen. «mira a soddisfare un’esigenza di tutela della parte civile; quella che, quando il processo penale ha superato il primo grado ed è nella fase dell’impugnazione, una risposta di giustizia sia assicurata, in quella stessa sede, alle pretese risarcitorie o restitutorie della parte civile anche quando non possa più esserci un accertamento della responsabilità penale dell’imputato ove questa risulti riconosciuta in una sentenza di condanna, impugnata e destinata ad essere riformata o annullata per essere, nelle more, estinto il reato per prescrizione». Per quello che rileva in questa sede, al § 11 i giudici delle leggi, dopo avere illustrato in precedenza la portata e il significato del diritto alla presunzione di innocenza nell’ordinamento convenzionale e in quello europeo, rilevano che «occorre ora verificare se il giudice dell’appello penale, che, in applicazione della disposizione censurata, è chiamato a decidere sull’impugnazione ai soli effetti civili dopo aver dichiarato l’estinzione del reato, debba effettivamente procedere ad una rivalutazione complessiva della responsabilità penale del- l’imputato, nonostante l’intervenuta estinzione del reato per prescrizione e il proscioglimento dall’accusa penale». La risposta è che: «In realtà (...) si ha che, nella situazione processuale di cui alla disposizione censurata, che vede il reato essere estinto per prescrizione e quindi l’imputato prosciolto dall’accusa, il giudice non è affatto chiamato a formulare, sia pure incidenter tantum, un giudizio di colpevolezza penale quale presupposto della decisione, di conferma o di riforma, sui capi della sentenza impugnata che concernono gli interessi civili». Al successivo § 12 si aggiunge che: «Anzitutto, un tale giudizio non è richiesto dal tenore testuale della disposizione censurata (art. 578 cod. proc. pen.) che, a differenza di quella immediatamente successiva (art. 578-bis cod. proc. pen.), non prevede il «previo accertamento della responsabilità dell’imputato». E al successivo § 13 i giudici delle leggi spiegano che: «Inoltre tale esegesi -a ben vedere -non trova ostacolo nella giurisprudenza di legittimità che il giudice rimettente richiama a fondamento delle sue censure di illegittimità costituzionale con riferimento sia ai rapporti tra l’immediata declaratoria delle cause di non punibilità e l’assoluzione per insufficienza o contraddittorietà della prova (artt. 129 e 530, comma 2, cod. proc. pen.), sia all’individuazione del giudice competente per il giudizio di rinvio in seguito a cassazione delle statuizioni civili (art. 622 cod. proc. pen.), sia all’impugnabilità con revisione (art. 630, comma 1, lettera c, cod. proc. pen.) della sentenza del giudice di appello di conferma della condanna risarcitoria in seguito a proscioglimento dell’imputato per prescrizione del reato. Da una parte il principio di diritto (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 28 maggio15 settembre 2009, n. 35490) -secondo cui, in deroga alla regola generale, il proscioglimento nel merito, in caso di contraddittorietà o insufficienza della prova, prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità, quando, in sede di appello, sopravvenuta l’estinzione del reato, il giudice sia chiamato a valutare, per la presenza della parte civile, il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili -presuppone, per un verso, il carattere “pieno” o “integrale” della cognizione del giudice dell’impugnazione penale (il quale non può limitarsi a confermare o riformare immotivatamente le statuizioni civili emesse in primo grado, ma deve esaminare compiutamente i motivi di gravame sottopostigli, avuto riguardo al compendio probatorio e dandone poi conto in motivazione); per altro verso, non RASSEGnA AVVoCAtURA DELLo StAto -n. 2/2023 presuppone (né implica) che il giudice, nel conoscere della domanda civile, debba altresì formulare, esplicitamente o meno, un giudizio sulla colpevolezza dell’imputato e debba effettuare un accertamento, principale o incidentale, sulla sua responsabilità penale, ben potendo contenere l’apprezzamento richiestogli entro i confini della responsabilità civile (in seguito, ex plurimis, Corte di cassazione, sezione sesta penale, sentenza 20 marzo-8 aprile 2013, n. 16155; sezione quarta penale, sentenze 21-28 novembre 2018, n. 53354 e 16 novembre12 dicembre 2018, n. 55519) ». Punto nodale della pronuncia costituzionale, che consente ai giudici delle leggi di ritenere l’art. 578 cod. proc. pen. costituzionalmente legittimo è, dunque, l’interpretazione dello stesso nel senso che (§ 14): «Il giudice dell’impugnazione penale, nel decidere sulla domanda risarcitoria, non è chiamato a verificare se si sia integrata la fattispecie penale tipica contemplata dalla norma incriminatrice, in cui si iscrive il fatto di reato di volta in volta contestato; egli deve invece accertare se sia integrata la fattispecie civilistica dell’illecito aquiliano (art. 2043 cod. civ.). Con riguardo al ‘fatto’ -come storicamente considerato nell’imputazione penale -il giudice dell’impugnazione è chiamato a valutarne gli effetti giuridici, chiedendosi, non già se esso presenti gli elementi costitutivi della condotta criminosa tipica (commissiva od omissiva) contestata all’imputato come reato, contestualmente dichiarato estinto per prescrizione, ma piuttosto se quella condotta sia stata idonea a provocare un ‘danno ingiusto’ secondo l’art. 2043 cod. civ., e cioè se, nei suoi effetti sfavorevoli al danneggiato, essa si sia tradotta nella lesione di una situazione giuridica soggettiva civilmente sanzionabile con il risarcimento del danno. nel contesto di questa cognizione rilevano sia l’evento lesivo della situazione soggettiva di cui è titolare la persona danneggiata, sia le conseguenze risarcibili della lesione, che possono essere di natura sia patrimoniale che non patrimoniale». Sub § 14.1 si legge poi che: «La natura civilistica dell’accertamento richiesto dalla disposizione censurata al giudice penale dell’impugnazione, differenziato dall’(ormai precluso) accertamento della responsabilità penale quanto alle pretese risarcitorie e restitutorie della parte civile, emerge riguardo sia al nesso causale, sia all’elemento soggettivo dell’illecito. Il giudice, in particolare, non accerta la causalità penalistica che lega la condotta (azione od omissione) all’evento in base alla regola dell’«alto grado di probabilità logica» (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 10 luglio-11 settembre 2002, n. 30328). Per l’illecito civile vale, invece, il criterio del ‘più probabile che non’ o della ‘probabilità prevalente’ che consente di ritenere adeguatamente dimostrata (e dunque processualmente provata) una determinata ipotesi fattuale se essa, avuto riguardo ai complessivi risultati delle prove dichiarative e documentali, appare più probabile di ogni altra ipotesi e in particolare dell’ipotesi contraria (in tal senso è la giurisprudenza a partire da Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenze 11 gennaio 2008, n. 576, n. 581, n. 582 e n. 584)». Ancora, secondo Corte costituzionale 182/2021 (§ 14.2): «L’autonomia dell’accertamento dell’illecito civile non è revocata in dubbio dalla circostanza che esso si svolga dinanzi al giudice penale e sia condotto applicando le regole processuali e probatorie del processo penale (art. 573 cod. proc. pen.). L’applicazione dello statuto della prova penale è pieno e concerne sia i mezzi di prova (sarà così ammissibile e utilizzabile, ad esempio, la testimonianza della persona offesa che nel processo civile sarebbe interdetta dall’art. 246 cod. proc. civ.), sia le modalità di assunzione della prova (le prove costituende saranno così assunte per cross examination ex art. 499 cod. proc. pen. e non per interrogatorio diretto del giudice), le quali ricalcheranno pedissequamente quelle da osservare nell’accertamento della responsabilità penale: ove ne ricorrano i presupposti, dunque, il giudice dell’appello penale, rilevata ContEnzIoSo nAzIonALE l’estinzione del reato, potrà -o talora dovrà (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 28 gennaio -4 giugno 2021, n. 22065) -procedere alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale al fine di decidere sull’impugnazione ai soli effetti civili (art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen.)». In conclusione, per i giudici delle leggi (§ 16) «il giudice dell’impugnazione penale (giudice di appello o Corte di cassazione), spogliatosi della cognizione sulla responsabilità penale dell’imputato in seguito alla declaratoria di estinzione del reato per sopravvenuta prescrizione (o per sopravvenuta amnistia), deve provvedere -in applicazione della disposizione censurata -sull’impugnazione ai soli effetti civili, confermando, riformando o annullando la condanna già emessa nel grado precedente, sulla base di un accertamento che impinge unicamente sugli elementi costitutivi dell’illecito civile, senza poter riconoscere, neppure incidenter tantum, la responsabilità dell’imputato per il reato estinto». 5. orbene, come sopra illustrato, la sentenza costituzionale, così come i giudici rimettenti, si sono posti il problema della compatibilità con quanto affermato dalle SU tettamanti. La verifica, tuttavia, in ragione del quesito di costituzionalità proposto, è stata effettuata esclusivamente nell’ottica di accertare se il meccanismo decisionale di cui all’art. 578 cod. proc. pen. consentisse, in presenza di un reato prescritto, allorquando il giudice è chiamato ad operare un vaglio dei profili di responsabilità civile, di far persistere nel processo una valutazione di responsabilità penale. Quesito che ha trovato risposta negativa, in virtù dell’interpretazione costituzionale data alla norma. Il tema che, ad avviso di questa Corte, è rimasto in ombra concerne la compressione dello spazio per l’assoluzione dell’imputato, pur in assenza dell’evidenza della prova dell’innocenza di cui all’art. 129, comma 2, cod. proc. pen., a fronte di un compendio probatorio che non consenta di superare il limite del ragionevole dubbio. La sentenza costituzionale n. 182/2021 impone al giudice, in casi come quello in esame (e, si noti, non solo quando si faccia questione di nesso causale ma anche quando si controverta sull’elemento soggettivo: cfr. § 14.1.), di rapportarsi ad una fattispecie di illecito che non coincide più con quella di reato e impone l’uso della regola di giudizio civilistica del più probabile che non in luogo di quella dell’oltre ogni ragionevole dubbio; laddove la permanente centralità dell’ente reato e la persistente vincolatività della regola di giudizio formulata dall’art. 533 cod. proc. pen. -pur nella delibazione in chiave civilistica (cfr. Sez. 4, n. 11193 del 10 febbraio 2015, Rv. 262708, per la quale «l’azione civile che viene esercitata nel processo penale è quella per il risarcimento del danno patrimoniale o non, cagionato dal reato, ai sensi dell’art. 185 cod. pen. e 74 cod. proc. pen; con la conseguenza che nella sede civile, coinvolta per effetto della presente pronunzia, la natura della domanda non muta. Si dovrà cioè valutare incidentalmente l’esistenza di un fatto di reato in tutte le sue componenti obiettive e subiettive, alla luce delle norme che regolano la responsabilità penale»; in senso conforme ancora Sez. 4, n. 5901 del 18 gennaio 2019, Rv. 275122) -sono le premesse della soluzione interpretativa delineata dalla sentenza tettamanti. In altri termini, l’interpretazione costituzionalmente orientata della Corte costituzionale certamente garantisce l’imputato rispetto alla possibilità che, in sede di valutazione della responsabilità civile, vengano rappresentati enti giuridici (il reato) e giudizi (di reità) che contrastano con la presunzione di innocenza, rinvigorita dalla dichiarazione di estinzione del reato. tuttavia, al contempo, essa pare interdire la possibilità dell’assoluzione nel merito in luogo della declaratoria di prescrizione. D’altro canto, il riferimento operato dalla Corte costituzionale ad una “declaratoria di RASSEGnA AVVoCAtURA DELLo StAto -n. 2/2023 estinzione del reato” per sopravvenuta prescrizione emessa dal giudice dell’impugnazione penale (si veda, in particolare, il già riportato § 16 del Considerato in diritto) non pare in grado di sostenere che l’interpretazione data all’art. 578 cod. proc. pen. trovi applicazione solo nel caso in cui risulti esclusa la possibilità di un’assoluzione nel merito. Come se dapprima dovesse essere condotta l’indagine secondo le direttive delle Sez. U. tettamanti -con quella pienezza ed integralità della cognizione del giudice dell’impugnazione alla quale fa riferimento la sentenza n. 182/2021 -e successivamente, ove esclusa la possibilità di assoluzione nel merito, dovesse farsi applicazione di quelle dettate dalla Corte costituzionale. Ciò perché, nella costante interpretazione di questa Corte, l’accertamento dell’estinzione del reato per prescrizione non prevede una cesura tra esso e la successiva delibazione della domanda civile; detto altrimenti, non vi è alcuna declaratoria di estinzione del reato che anticipi le statuizioni sugli interessi civili. Anzi, è proprio su questo presupposto -della mancanza di una formale declaratoria di estinzione -che, dopo aver incidentalmente rilevato il completo decorso dei termini di prescrizione del reato, il giudice dell’impugnazione, ormai impegnato nella verifica della fondatezza del ricorso ai fini civili, può ritornare sui propri passi e concludere formalizzando la sola pronuncia assolutoria. Si deve credere che, ove effettivamente implicata, la portata della innovazione avrebbe senz’altro indotto la Corte costituzionale ad esplicitare a chiare lettere il diverso percorso processuale conseguente all’interpretazione data all’art. 578 cod. proc. pen. 6. Letto nell’ottica della sentenza n. 182/2021, il terzo motivo di ricorso proposto dalle pp.cc. ricorrenti sarebbe fondato ed assorbente rispetto ad ogni altra doglianza. Ciò perché il giudice di appello, trovatosi di fronte ad un reato prescritto, adottando la lezione della Corte costituzionale avrebbe dovuto: 1. ai fini penali, valutata l’insussistenza della evidenza della prova dell’innocenza del- l’imputato, concludere per l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione. 2. ai fini civilisti, valutata la responsabilità del -omissis-in rapporto alla fattispecie del- l’illecito aquiliano, applicata la regola di giudizio del più probabile che non, pronunciarsi unicamente sul diritto delle parti civili al risarcimento del danno. All’inverso, il motivo risulterebbe infondato facendo applicazione del principio espresso dalle Sez. U. tettamanti, essendosi la Corte distrettuale attenuta ad esso. Di conseguenza, l’odierno thema decidendi impone una riflessione circa il valore, vincolante o meno, delle sentenze interpretative di rigetto della Corte costituzionale, pronunce con cui i giudici delle leggi, nel comporre il denunciato contrasto tra la norma di legge ordinaria e il contenuto delle norme costituzionali, indicano il percorso interpretativo idoneo ad evitare la demolizione della norma di legge ordinaria. Sul tema del valore ermeneutico di tali pronunce, ancora recentemente si è condivisibilmente sottolineata (Sez. 1, n. 27696 del 1 aprile 2019, Immobiliare Peonia, Rv. 275888) l’insussistenza di ragioni per discostarsi dall’insegnamento offerto da Sez. U. n. 25 del 16 dicembre 1998, dep. 1999, Alagni, Rv. 212074 circa il dovere del giudice comune di uniformare l’interpretazione di una decisione ai contenuti di una simile decisione del giudice delle leggi, salva l’emersione di validi motivi contrari di cui occorre fornire una puntuale e rafforzata spiegazione. tali motivi non appaiono sussistenti nel caso che ci occupa ritenendo il Collegio che, per quanto interpretativa di rigetto, la sentenza n. 182/2021 costituisca termine di riferimento non eludibile perché la condivisibile soluzione rinvenuta appare comporre in un ragionevole equilibrio i diversi valori in gioco, ponendosi nella linea di tendenza anche normativa di una ContEnzIoSo nAzIonALE sempre più evidente distinzione tra azione penale e azione civile (cfr. ex multis, Sez. Un. n. 22065 del 28 gennaio 2021, Cremonini, Rv. 281228 e l’impianto complessivo della stessa Riforma Cartabia), mentre la pronuncia delle Sez. U. tettamanti è espressione di un diritto vivente per il quale la presunzione di innocenza non è chiamata a svolgere, nell’ambito dei rapporti tra azione penale ed azione civile, il ruolo di principio ordinatore, e si inscrive in un contesto culturale che trasmette all’azione civile le regole del giudizio penale in cui è stata ospitata (si veda, per il carattere paradigmatico, quanto affermato da Sez. U, n. 6141 del 25 ottobre 2018, dep. 2019, Milanesi, Rv. 274627: «non può dubitarsi che la decisione che accoglie l’azione civile esercitata nel processo penale costituisca una pronunzia di condanna che presuppone l’accertamento della colpevolezza dell’imputato per il fatto di reato, secondo quanto espressamente stabilito dagli artt. 538 e 539 c.p.p., e che, dunque, in presenza di siffatta situazione processuale, all’imputato debba essere riconosciuto lo status di soggetto “condannato”, sia pure soltanto alle restituzioni ed al risarcimento del danno»). Pertanto, a parere di questo Collegio, la decisione cui si dovrebbe pervenire nel presente procedimento si contrapporrebbe al decisum di Sez. U. tettamanti, dovendone disapplicare il principio secondo cui all’esito del giudizio, il proscioglimento nel merito, in caso di contraddittorietà o insufficienza della prova, prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità, quando, in sede di appello, sopravvenuta una causa estintiva del reato, il giudice sia chiamato a valutare, per la presenza della parte civile, il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili. Ma, com’è noto, la legge 23 giugno 2017, n. 103 ha dettato nuove regole in materia di rapporti tra sezioni unite e sezioni semplici, introducendo con il nuovo comma 1-bis dell’articolo 618 cod. proc. pen. un’ipotesi di rimessione “obbligatoria”, che scatta ogni qual volta una delle sezioni semplici ritenga di non condividere il principio di diritto enunciato dalle sezioni unite. La norma trova evidente applicazione anche nel caso di novum che dipenda da una sentenza interpretativa di rigetto della Corte costituzionale. In tal senso depone, in primo luogo, la lettera dell’art. 618 comma 1-bis, cod. proc. pen. che non discrimina le ragioni su cui si fonda l’opposizione al precedente. In secondo luogo, va considerata la diversa disciplina prevista dal comma 1 dell’art. 618, che per il caso di contrasto giurisprudenziale, in essere o potenziale, alimentato da pronunce delle sezioni semplici, definisce una ipotesi di rimessione discrezionale («... può con ordinanza rimettere alle sezioni unite»). All’indomani della novella recata dalla legge n. 103/2017, anche la dottrina ha evidenziato che, a parte il meccanismo previsto dall’art. 610 cod. proc. pen., accanto alla rimessione facoltativa si è insediata, con il comma 1-bis dell’art. 618, un’ipotesi di rimessione obbligatoria, il cui scopo è quello di rafforzare il ruolo assegnato alle sezioni unite nella funzione nomofilattica. obbligatorietà della rimessione che non trova eccezioni. Piuttosto, l’ampiezza dell’obbligo sembra dipendere dall’interpretazione della locuzione ‘principio di diritto enunciato’ leggibile nella disposizione della quale ci si sta occupando. Infatti, sul punto si è già registrato un duplice orientamento. Secondo il primo, più restrittivo, espresso da Sez. 1 n. 49744 del 7 dicembre 2022, Petrillo, Rv. 283840, il vincolo riguarda esclusivamente l’oggetto del contrasto interpretativo rimesso e non si estende ai temi accessori o esterni (nella specie la Corte ha ritenuto tema accessorio, rispetto alla questione devoluta e decisa dalle Sezioni Unite con sentenza n. 8545 del 19 dicembre 2019, avente ad oggetto la natura oggettiva o soggettiva della circostanza RASSEGnA AVVoCAtURA DELLo StAto -n. 2/2023 aggravante finalistica di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., quello del concorso esterno nel reato di associazione di tipo mafioso). Secondo altra pronuncia, invece, in tema di giudizio di legittimità, il principio di diritto affermato dalle sentenze delle Sezioni Unite della Corte di cassazione è vincolante, ai sensi dell’art. 618, comma 1-bis, cod. proc. pen., anche in relazione agli aspetti preliminari e conseguenziali ad esso, ancorché relativi a profili non specificamente devoluti ma che si rendano, tuttavia, necessari per meglio delimitare il significato e la portata applicativa del principio stesso che, in tal modo, riveste carattere unitario (Sez. 6, n. 23148 del 20 gennaio 2021 Bozzini, Rv. 281501). nel caso in esame, tuttavia, non si pone il problema di aderire ad uno dei due orientamenti, perché il dissenso, nel caso che ci occupa, attiene esattamente al principio di diritto espresso dalle Sez. U. tettamanti. 7. In ragione di ciò, s’impone per il Collegio che la decisione del ricorso venga rimessa alle Sezioni Unite. P.Q.M. Rimette il ricorso alle Sezioni Unite. Così deciso in Roma 1’8 giugno 2023. ContEnzIoSo nAzIonALE investimenti nel servizio di distribuzione del gas e prerogative regolatorie di aReRa alla luce degli orientamenti recenti del giudice amministrativo (*) Con le sentenze nn. 1228, 1229, 1230 e 1231 del 23 maggio 2023 il t.a.r. Lombardia Milano, Giudice amministrativo competente funzionalmente sui provvedimenti dell’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente (ARERA) ha segnato un momento molto importante nella riaffermazione della natura e dei poteri delle Autorità indipendenti, ritenendo legittime le deliberazioni nn. 525 e 528/2022/R/gas di ARERA che avevano disapplicato una legge nazionale (e in particolare l’art. 114 ter D.L. 34 del 19 maggio 2020 che aveva aggiunto un comma, il 4 bis, all’art. 23 del D.lgs. 164/2000). Il t.a.r. ribadisce con forza, e senza nemmeno il ricorso al rinvio pregiudiziale ex art. 267 tUE (peraltro facoltativo per il Giudice di prima istanza), innanzitutto l’indipendenza delle Autorità nazionali di regolamentazione, un’indipendenza che viene affermata a livello europeo in modo più chiaro e più pieno di quanto facciano la nostra Costituzione e le nostre leggi nazionali. E nella lente dell’indipendenza si ingrandiscono e si riaffermano le prerogative dell’Autorità nazionale di regolamentazione, chiaramente espresse dalle direttive 2009/72/CE e 2009/73/CE, che sottolineano il valore della cooperazione tra organi dello Stato, tutti protesi verso quello che è il cd. “effetto utile” dell’azione amministrativa, come bene supremo da tutelare, al di là di ogni steccato. tali pronunce hanno, peraltro, avuto successivamente anche una conferma da parte dello stesso legislatore, che è “ritornato sui suoi passi”, cosa che ha confermato ulteriormente la bontà dell’azione dell’AnR e quell’anelito verso l’effetto utile, in quanto con decreto legge n. 69 del 13 giugno 2023, all’art. 22, comma 1, è stata prima proposta l’abrogazione del comma 4 bis (1) (ovvero quello introdotto proprio dall’art. 114 ter del D.L. 34 del 19 maggio 2020) e poi è stato reintrodotto, ma in modo assolutamente diverso nel contenuto in sede di conversione con la L. 10 agosto 2023 n. 103. Intervento di Paolo del Vecchio Avvocato dello Stato Direttore della Direzione legale di Arera SOMMARIO: 1. Premessa -2. La cd. “tassa sul tubo” (art. 6 l.r. 2/2002) -3. La questione del 2023 -4. Articolo 114 ter D.L. 34/2020 conv. in L. 77/2020 e sent. 2924/22 del Consiglio di Stato -5. La disapplicazione dell’art. 114 ter D.L. 34/2020 con le delibere nn. 525/2022/R/gas e 528/2022/R/gas. Il contenzioso e le varie censure -6. La difesa dell’Autorità. In particolare sulla “riserva di amministrazione” -7. I tre tipi di “indipendenza” delle (1) Anche sulla scorta di un caso: EU Pilot in Commission, 2022/10193/EnER. (*) Intervento nell’ambito della seconda giornata di studi organizzata dall’Ufficio studi e formazione della Giustizia amministrativa in collaborazione con l’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente (ARERA) dal titolo “Il ruolo di ARERA al tempo della crisi energetica” presso la Sala di Pompeo del Consiglio di Stato il 6 novembre 2023. RASSEGnA AVVoCAtURA DELLo StAto -n. 2/2023 ANR -8. Le sentenze del Tar Lombardia del 23 maggio 2023 nn. 1228, 1229, 1230 e 1231 9. Conclusioni. 1. Premessa. Innanzitutto rivolgo un sentito ringraziamento al Presidente Maruotti ed all’Ufficio Studi presieduto dal Presidente Carmine Volpe e coordinato dal Presidente nicola Durante e dal Consigliere Vincenzo neri per l’organizzazione in Consiglio di Stato di questa seconda giornata dedicata all’energia (la prima, ricordo, si tenne a maggio 2022 sotto la presidenza del compianto Franco Frattini). È un momento di particolare importanza per l’energia ed è sempre più necessario mettere a confronto le realtà tecniche con quelle giuridiche, in quanto mai come in questi ultimi anni risultano essere assolutamente connesse. Due mondi che si parlano sempre di più. E in questo confronto assume un ruolo fondamentale il giudice amministrativo, proprio perché complementare rispetto all’attività dell’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente (di seguito anche solo ARERA). Spesso tale complementarietà è stata messa in discussione, in particolare da chi, partendo dalla discussione sulla natura delle Autorità indipendenti, è arrivato persino a sostenere la natura giurisdizionale delle Autorità (si pensi alla questione di legittimità costituzionale rimessa alla Corte dall’Autorità garante per la concorrenza e il mercato -di seguito anche solo AGCM -conclusasi poi con la sent. 13/2019). Un tema, quello della natura delle Authorities, molto arato in dottrina e che ho potuto verificare, molto più modestamente, sul campo, avendo avuto la chance di guidare prima il servizio giuridico dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCoM) e ora quello dell’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente (ARERA), in due momenti storici particolarmente densi e delicati per entrambe le Autorità. Il primo, quello delle comunicazioni, nel periodo delle famose questioni della “tariffazione a 28 giorni”, della questione Mediaset -Vivendi, del cd. beauty contest, del nuovo regolamento sul diritto d’autore; il secondo, questo dell’energia, in anni “difficili” caratterizzati dall’aumento dei costi delle materie prime, dalle guerre che influenzano le importazioni e dal passaggio dal mercato dell’energia tutelato a quello libero. Ebbene in entrambe le esperienze vissute, ho notato che il ruolo del Giudice amministrativo si è sempre rivelato di estrema importanza, proprio per il supporto che riesce a garantire sia all’attività di regolazione che a quella di enforcement dell’Autorità. Ricordo in particolare quanto sia stato importante il ruolo del tar del Lazio nel contenzioso sulla tariffazione a 28 giorni. Una complementarietà con l’attività dell’Autorità fatta di conferme, riforme o anche correzioni dei provvedimenti adottati, in quel contemperamento di interessi assolutamente indispensabile per coniugare interesse pubblico e mercato. ContEnzIoSo nAzIonALE D’altronde la nascita delle Autorità (l’erompere per usare la notissima espressione di Predieri) segnò il passaggio dallo Stato imprenditore allo Stato regolatore, uno Stato quest’ultimo che assegnava alle Autorità amministrative indipendenti un ruolo strategico. Dopo di me ci saranno interventi che tratteranno proprio della delicata funzione di regolazione. ARERA si divide tra la funzione di regolazione e quella di enforcement. In particolare quest’ultima si sta implementando negli ultimi tempi e ne abbiamo avuto esempi concreti proprio di recente, in occasione della valutazione delle clausole inserite dagli operatori nei contratti a seguito del D.L. cd. “aiuti bis” oppure nelle tante pieghe del passaggio dal mercato tutelato al mercato libero. Il tema di cui vi parlerò è (e non poteva non essere) un tema a metà tra diritto e regolazione perché è un tema che ha visto l’Autorità “sotto i riflettori” per una attività nè consueta né frequente, e cioè quella consistente nella disapplicazione di una legge nazionale da parte di un’Autorità indipendente. 2. La cd. “tassa sul tubo”(art. 6 L.r. 2/2002). Per trovate un “precedente” nell’esperienza di ARERA siamo dovuti risalire al 2002, cioè alla famosa cd. “tassa sul tubo”, una tassa introdotta dal- l’art. 6 della L.r. n. 2 del 2002 della Regione siciliana, anche se in quel caso si trattava di una questione completamente diversa, perché era un tributo introdotto per alimentare un fondo che doveva prevenire eventuali impatti ambientali provocati dalla costruzione di gasdotti sul territorio siciliano (1). Ed anche in quel caso ci furono una serie di reazioni, poiché in realtà questa cosa comportava poi anche un incremento di costi che andavano chiaramente a incidere sul distributore Snam Rete Gas prima e sull’utenza finale poi. L’Autorità fece una segnalazione al Parlamento (del. 113/02), una al Governo (del. 96/02) ed una alla Commissione europea (del. 112/02). Ed, infine, procedette alla disapplicazione della citata previsione di legge regionale, con delibera n. 120 del 2002, nella quale si manifestava la contrarietà alla cd. tassa sul tubo, in quanto la stessa si poneva in violazione dell’art. 3, comma 2, direttiva n. 98/30/CE (direttiva che autorizzava gli Stati membri ad imporre ai gestori obblighi di servizio pubblico anche a tutela dell’ambiente purchè fossero “chiaramente definiti, trasparenti, non discriminatori e verificabili”) e con gli artt. 23, 26 e 28 trattato CE che vietano “l’imposizione di dazi doganali e di tasse equivalenti”. (1) Il tributo aveva “lo scopo di finanziare investimenti finalizzati a ridurre e prevenire il potenziale danno ambientale derivante dalle condotte installate sul territorio della regione siciliana”, il cui gettito “è destinato a finanziare iniziative volte alla salvaguardia, alla tutela e al miglioramento della qualità dell’ambiente con particolare riguardo alle aree interessate dalla presenza delle condotte” (art. 6, comma 1). RASSEGnA AVVoCAtURA DELLo StAto -n. 2/2023 Detta delibera fu impugnata dinanzi al tar Lombardia proprio da Snam, ma il ricorso fu rigettato (con sent. n. 130/03). Contemporaneamente, però ci fu anche un ricorso della Commissione europea alla Corte di giustizia che accertò l’incompatibilità di quella norma con l’articolo 23 del trattato di funzionamento dell’Unione europea, motivando sul divieto di introduzione di nuove tasse (2). 3. La questione del 2023. Il caso venuto in trattazione nel 2023 ha riguardato il servizio di distribuzione gas, attività di servizio pubblico particolarmente importante, che vede interessata una filiera di soggetti che va dai produttori ai distributori, ai venditori, ai clienti finali all’utenza e quindi un percorso particolarmente lungo. Percorso disciplinato dall’articolo 23 del decreto legislativo 164 del 2000. tale norma attribuisce ad ARERA la determinazione della tariffa di distribuzione, con la quale si assicura una congrua remunerazione del capitale investito, così come specificatamente espresso dal quarto comma dell’articolo 23 in cui si dice proprio che l’Autorità dispone anche transitoriamente appositi strumenti di perequazione. La tariffa, nella sostanza, riconosceva i costi di investimento, ma “fino ad un certo punto”: questo limite, questo “tetto” poi era modulabile a seconda dei casi, con un riconoscimento più ampio per le aree in corso di metanizzazione, vale a dire quei territori cd. “in avviamento”, dove vi era la necessità di remunerare meglio e di più alcuni costi di investimento. In quei casi il comma 4 consentiva tale maggiore riconoscimento. L’Autorità, sulla scorta di quanto disposto dalla legge, è intervenuta in vari momenti sulla questione, con alcune delibere particolarmente importanti, la 573 del 2013 e soprattutto la 704 del 2016, stabilendo il cd. “tetto” al riconoscimento dei costi, assicurando sempre la “congrua remunerazione del capitale investito” (prevista dal comma 2 dell’art. 23). In particolare la delibera n. 704 del 2016 “scontentava” Comuni ed imprese di distribuzione della fascia climatica F (Comuni montani del trentino e comuni interessati ai processi di metanizzazione del Mezzogiorno, quali quelli nelle zone cilentane) ed è stata impugnata innanzi al tar Lombardia. tali Comuni risultavano accomunati dall’esigenza di un maggiore riconoscimento dei costi, senza essere necessariamente soggetti al tetto e miravano ad un riconoscimento integrale degli stessi, prescindendo anche dall’eventuale analisi costi -benefici. Da ciò, quindi, i ricorsi avverso le citate delibere dinanzi al tar Lombardia che, con quattro sentenze del 2018 (3), ha respinto i ricorsi, ribadendo la (2) CGUE, sez. II, sent. 21 giugno 2007, C-173/05. (3) Sentt. 1200, 1201, 1202 e 1203 del 2018 del t.a.r. Lombardia - Milano. ContEnzIoSo nAzIonALE legittimità delle scelte che erano state fatte dall’Autorità. Dette sentenze sono state poi appellate e il Consiglio di Stato, appunto, ha confermato in tre casi su quattro (4), le decisioni del tar Lombardia, affermando, quindi, il principio secondo cui non si può avere “una metanizzazione ad ogni costo” e soprattutto che la metanizzazione non può rappresentare l’unico obiettivo, di fronte al quale devono recedere tutti gli altri elementi di contemperamento, cioè le valutazioni reali, e in particolare la ponderazione sul riconoscimento dei costi stessi. non si può, in altre parole, riconoscere a quei Comuni o imprese di distribuzione quanto speso in modo pieno, senza alcun limite, sol per il fatto che hanno metanizzato aree nuove (le cd. aree in avviamento). nelle more di tali giudizi, il cd. “tetto” è stato confermato dall’Autorità con la delibera 570 del 2019 (che ha approvato le tariffe 2020 -2025), prevedendo, in linea con quello che si faceva precedentemente, l’analisi costi benefici sia nei criteri dei bandi di gara sia per i riconoscimenti successivi, perché questo contemperamento doveva avvenire ex ante che ex post ai fini del riconoscimento effettivo. 4. Articolo 114 ter D.L. 34/2020 conv. in L. 77/2020 e sent. 2924/22 del Consiglio di Stato. Con il decreto legge n. 34 del 2020, tristemente noto per tanti altri motivi (perché era uno dei decreti legge della pandemia) è stato introdotto, con la tecnica della novella, all’art. 114 ter, un nuovo comma, il 4 bis, all’art. 23 del D.lgs. 164/2000. Con tale comma il Legislatore ha, di fatto, “sovrascritto” i giudicati delle sentenze del Consiglio di Stato sopra citate, prevedendo per Comuni e imprese di distribuzione di cui alla zona climatica F una sorta di presunzione assoluta di efficienza e convenienza economica di ogni investimento (a prescindere dall’analisi costi -benefici), garantendo loro un integrale riconoscimento. Come se l’estensione e i potenziamenti di rete degli impianti esistenti nei Comuni in corso di metanizzazione o già metanizzati, si considerassero efficienti e già valutati positivamente da sé ai fini dell’analisi costi e benefici (rendendo superflua quest’ultima attività). E con una palese invasione di campo sulle attribuzioni dell’Autorità da parte del potere legislativo, attribuzioni che oltre tutto avevano ricevuto un vaglio di legittimità dal doppio grado di giurisdizione del giudice amministrativo. E ciò prescindendo anche dal fatto che appariva alquanto paradossale che un intervento del genere fosse previsto in una decretazione d’urgenza sulla pandemia, pur non avendo alcun nesso specifico con i temi della salute e della pandemia stessa e che, oltretutto, comportava un aggravio di costi per l’Erario, (4) Sentt. 778, 779 e 780/2020 del Consiglio di Stato. RASSEGnA AVVoCAtURA DELLo StAto -n. 2/2023 in quanto andava a prevedere un riconoscimento integrale di costi di investimento, senza applicazione del “price cap”, in un momento in cui forse vi era un’esigenza di attenzione alla spesa pubblica. Con una segnalazione, la 406 del 2020 a Parlamento e Governo, ARERA aveva già, nell’immediatezza della novella, denunciato il fatto che venivano soppresse delle prerogative delle Autorità indipendenti. E con la segnalazione 1832 del 2022 anche AGCM ha denunciato i fatti al Parlamento e al Governo per anticoncorrenzialità, ribadendo anche l’impatto negativo sotto il profilo ambientale. A seguito della novella del 2020 rimaneva pendente l’ultimo giudizio in appello (dei 4 di cui al tar Lombardia sopra citati avverso la delibera 704 del 2016). tre sentenze d’appello avevano già confermato le decisioni del Giudice di primo grado, ma tutto ciò avveniva prima del D.L. 34/2020. nel predisporre la difesa per resistere al quarto appello (proposto dal Comune di Renon) l’Autorità ha formulato una serie di eccezioni ed ha posto alcune questioni: in particolare una questione di legittimità costituzionale e un’altra questione di compatibilità con le direttive europee con contestuale richiesta di rimessione delle questioni all’una o all’altra Corte. Dinanzi a tali questioni, l’Avvocatura generale dello Stato non ha potuto che rilevare un potenziale conflitto nel caso in cui si fosse verificata una (o entrambe) le rimessioni e quindi, ha dovuto declinare il patrocinio. L’Autorità, preso atto di ciò, ha affidato la difesa a legali del libero foro, ai sensi di quanto prevede in questi casi l’art. 5 t.U. 1611/33, ribadendo entrambe le suddette questioni. Il Consiglio di Stato, con sentenza 2924 del 2022, ha dichiarato l’improcedibilità dell’appello, sulla scorta dell’intervenuta modifica legislativa, senza entrare nel merito della stessa e senza considerare se quell’intervento legislativo fosse in contrasto con norme costituzionali o eurounitarie. Il Consiglio di Stato, però, ha dato in un passaggio molto interessante il “gancio” per la successiva disapplicazione da parte dell’Autorità, aprendo ad eventuali forme di contestazione del portato normativo da parte di ARERA: “La novella legislativa in via astratta è applicabile alla controversia dedotta in giudizio. La sua concreta applicazione è comunque soggetta alla valutazione della potestà regolatoria dell’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente che potrà stabilire le modalità esecutive di quanto previsto e, se del caso, di contestarne il portato giuridico nelle forme previste”. Quindi, pur partendo dal nuovo dato normativo (senza contestarlo nel merito), il Consiglio di Stato ha posto in primo piano la potestà regolatoria e quindi le prerogative dell’Autorità indipendente sia nella concreta applicazione della norma che nella eventuale contestazione della stessa “nelle forme previste”. ContEnzIoSo nAzIonALE 5. La disapplicazione dell’art. 114 ter D.L. 34/2020 con le delibere 525/2022/R/gas e 528/2022/R/gas. Il contenzioso e le varie censure. L’Autorità, quindi, ha colto questo passaggio della sentenza. n. 2924/22 per contestare il portato giuridico di quella normativa sopravvenuta, nelle forme della disapplicazione della legge, forte anche del precedente sopra menzionato del 2002. tale disapplicazione trovava giustificazione anche nel particolare momento storico, caratterizzato dalla crisi dei prezzi del gas naturale e dal conflitto russo -ucraino, alla luce dei quali l’art. 114 ter sembrava ancora più irragionevole: infatti da un lato incentivava la realizzazione di nuove metanizzazioni e sviluppi di rete slegati da ogni valutazione in termini di costi benefici a fronte di uno scenario internazionale in cui il gas naturale diveniva una risorsa potenzialmente scarsa e dall’altro determinava un incremento tariffario che andava a stressare ulteriormente possibili dinamiche rialziste dei prezzi a svantaggio dei consumatori finali. Conseguentemente l’Autorità ha espresso il proprio orientamento a disapplicare l’art. 114 ter, in quanto con tale norma il Legislatore si era sostituito all’Autorità, comprimendone in modo inedito (e indebito) le prerogative, le quali oltre ad essere previste dallo stesso Legislatore nazionale (dalla L. 481/945 e dallo stesso art. 23 d.lgs. 164/00) trovano il loro fondamento in alcuni principi del diritto dell’Unione europea e in particolare negli articoli 39 e 41 della direttive 2009/73/CE, che, come confermato dalla Corte di giustizia del- l’Unione europea, riservano tali competenze all’Autorità di regolamentazione. La disapplicazione è stata attuata mediante due delibere, la 525/2022 che ha riguardato il cd. tetto agli investimenti ai fini dei riconoscimenti tariffari relativi alle località considerate e la delibera 528/2022 che ha disciplinato i criteri di valutazione dei bandi di gara, subordinando il riconoscimento tariffario degli investimenti agli esiti dell’analisi costi -benefici. tali delibere sono state impugnate in otto casi e, anche in tali frangenti, l’Avvocatura ha dovuto declinare il patrocinio di ARERA, in virtù delle questioni sollevate in sede di difesa sempre attinenti alla legittimità costituzionale ed europea. La difesa è stata, pertanto, affidata a vari studi legali di chiara fama. In particolari i ricorsi avevano quattro punti di caduta: a) che non vi sarebbe alcuna antinomia tra l’art. 114 ter e la Direttiva 2009/73/CE in quanto la norma italiana sarebbe espressioni di un indirizzo politico generale; b) che ARERA non avrebbe alcuna “riserva di amministrazione” nel valutare l’efficienza degli investimenti; c) dubbi sulla natura self -executing della direttiva europea; d) un’asserita lesione di un “legittimo affidamento” sorto a seguito della novella del 2020. RASSEGnA AVVoCAtURA DELLo StAto -n. 2/2023 6. La difesa dell’Autorità. In particolare sulla “riserva di amministrazione”. In realtà su tutte le censure sono state svolte adeguate controdeduzioni. Sulla natura non innovativa dell’intervento legislativo, v’è da dire che l’art. 114 ter non solo non ha natura innovativa, ma sovrascrive i precedenti giudicati del Giudice amministrativo e presenta evidenti profili di incostituzionalità, come si diceva sopra, in particolare di contrasto con gli artt. 3, 24, 97, 101, 113 della Costituzione. Una sorta di legge-provvedimento inserita in decreto d’urgenza per materia completamente diversa. Ma è sulla “riserva di amministrazione” di ARERA che si è “giocata” la partita più importante della difesa. Su tale questione il Consiglio di Stato già nel 2022 si era pronunciato in termini: “Si premette in linea generale che ARERA esercita in subiecta materia (determinazione delle tariffe) competenze riservate ed esclusive, come pure correttamente messo in evidenza nella sentenza di primo grado. Si veda al riguardo quanto previsto dall’art. 41 della direttiva 2009/73/CE in materia di mercato interno del gas naturale” (5). È proprio sulla questione di compatibilità “europea” che si apre il fronte più critico per la novella del 2020, in quanto gli articoli 39 e 41 della direttiva 2009/73/CE affermano l’indipendenza dell’Autorità, ma un’indipendenza addirittura “rafforzata” cioè tesa in alcune particolari materie, a garantire l’imparzialità e la non discriminazione, nell’ambito della regolazione. L’articolo 39, al paragrafo quattro, prevede che vada garantita “l’indipendenza dell’autorità di regolamentazione ... affinchè essa eserciti i suoi poteri con imparzialità e trasparenza” e al paragrafo 5) lettera a) che: “… inoltre gli Stati membri sono tenuti a ‘tutelare l’indipendenza dell’autorità di regolamentazione’ e di garantire a queste ultime di poter prendere decisioni autonome, in maniera indipendente da qualsiasi organo politico”. tra queste decisioni rientrano anche quelle in materia tariffaria di cui all’art. 41, paragrafo 1, lettera a) della medesima direttiva 2009/73/CE, in base alla quale spetta all’autorità di regolamentazione “stabilire o approvare, in base a criteri trasparenti, tariffe di trasporto o di distribuzione o le relative metodologie di calcolo”. D’altronde la stessa Corte di giustizia (6), in una importantissima decisione del settembre 2021, ha rilevato che “ … l’articolo 37, paragrafo 6, lettere a) e b) della direttiva 2009/73, dal canto loro, conferiscono in particolare all’Autorità nazionale di regolamentazione (ANR) la competenza per fissare o per approvare quantomeno le metodologie utilizzate per calcolare o per stabilire le condizioni di connessione o di accesso alle reti nazionali, comprese le tariffe applicabili, nonché le condizioni della prestazione di servizi di bi( 5) Cons. Stato n. 265/2022. (6) Commissione c/ Germania, C-718/18, sentenza del 2 settembre 2021. ContEnzIoSo nAzIonALE lanciamento. L’espressione “quantomeno”, letta alla luce rispettivamente del considerando 36 della direttiva 2009/72 e del considerando 32 della direttiva 2009/73 indica che la determinazione delle metodologie per calcolare o per stabilire le condizioni di connessione e di accesso alle reti nazionali, comprese le tariffe applicabili, rientra nelle competenze riservate direttamente alle ANR da tali direttive”. Sulla questione della natura self -executing delle direttine 2009/72/CE e 2009/73/CE non sembrano esservi dubbi. La portata di tale efficacia diretta è tale che neppure gli orientamenti generali di governo possono travalicare tale competenza. Ed anche l’Adunanza Plenaria si è espressa in termini, in quanto “ritiene che l’obbligo di non applicare la legge anticomunitaria gravi in capo all’apparato amministrativo, anche nei casi in cui il contrasto riguardi una direttiva self -executing. In termini generali, va, anzitutto, osservato che la sussistenza di un dovere di non applicazione da parte della P.A. rappresenta un approdo ormai consolidato nell’ambito della giurisprudenza sia europea sia nazionale” (7). La Plenaria, quindi, allarga il campo della disapplicazione non solo alla contrarietà ai regolamenti europei, ma anche alle direttive e il tar Lombardia ha respinto anche tale censura, ritenendo pacificamente che sia la dir. 2009/72 che la dir. 2009/73 fossero direttamente applicabili. 7. I tre tipi di “indipendenza” delle ANR. Sempre nella medesima pronuncia, la Corte di Giustizia traccia tre tipi di indipendenza: una prima forma, forse la più importante, di indipendenza è “l’indipendenza piena rispetto ai soggetti economici e ai soggetti pubblici, siano essi organi amministrativi o organi politici, e in quest’ultimo caso titolari del potere esecutivo o di quello legislativo, è funzionale a garantire che le decisioni prese dalle ANR siano realmente imparziali e non discriminatorie, escludendo la possibilità di un trattamento privilegiato delle imprese e degli interessi economici collegati al governo, alla maggioranza o comunque al potere politico. Inoltre la rigorosa separazione rispetto al potere politico consente alle ANR di inserire la loro azione in una prospettiva a lungo termine che è necessaria per realizzare gli obiettivi delle direttive 2009/72 e 2009/73. Ne consegue che un’interpretazione dell’art. 37, paragrafo 1, lettera a) e paragrafo 6, lettere a) e b) della direttiva 2009/72 nonché dell’art. 41, paragrafo 1, lettera a) e paragrafo 6, lettere a) e b) della direttiva 2009/73, nel senso che un governo nazionale può fissare o approvare le metodologie di calcolo delle tariffe di accesso alla rete e dei servizi di bilanciamento da utilizzare da parte delle ANR, vanificherebbe gli obiettivi perseguiti dalle direttive” (punti 103-113). (7) Adunanza Plenaria nn. 17 e 18/2021. RASSEGnA AVVoCAtURA DELLo StAto -n. 2/2023 Ed ancora “l’articolo 35 paragrafo 4, lettera a) e paragrafo 5, lettera a) della direttiva 2009/72 nonché l’articolo 39, paragrafo 4, lettera a) della direttiva 2009/73 prevedono che le ANR esercitino la loro competenza in modo indipendente da qualsiasi ente pubblico o da qualsiasi organo politico…”e sull’indipendenza la Corte la definisce uno “status che garantisce all’organo interessato la possibilità di agire in piena libertà rispetto agli organismi nei confronti dei quali deve essere garantita l’indipendenza di tale organo, al riparo da qualsiasi istruzione e influenza esterna (v. in tal senso, sentenza 11 giugno 2020, Prezident Slovenskej Republiky, C-378/19, EU:C:2020:462, punti 32 e 33)”. Ma l’indipendenza non si esplica solo nei rapporti col Legislatore o con l’Esecutivo, ma anche nei rapporti interni ossia tra Autorità indipendenti e in ciò appare esemplificativa la recentissima sentenza del 4 luglio 2023 resa dalla Corte di Giustizia nel caso Meta c. Bundeskartellamt, che in un significativo passaggio ha statuito che “… gli Stati membri, ivi incluse le loro autorità amministrative, devono rispettarsi ed assistersi reciprocamente nell’adempimento dei compiti derivanti dai Trattati… e astenersi da qualsiasi misura che rischi di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi dell’Unione” (8). Vi è poi un’altra forma di indipendenza, più risalente ma nel contempo anche una forma estremamente caratterizzante per le AnR, e cioè quella del- l’indipendenza dell’AnR dai regolati ben prevista dalla direttiva 2003/55/CE. 8. Le sentenze del Tar Lombardia del 23 maggio 2023 nn. 1228, 1229, 1230 e 1231. Le sentenze del tar Lombardia del 23 maggio 2023 nn. 1228, 1229, 1230 e 1231 hanno respinto i ricorsi, seguendo le trame del ragionamento della difesa. In primis quello relativo alla innovatività della legge nel caso di specie: non solo non c’è, ma vi è una chiara ed evidente sovrascrittura dei giudicati intervenuti in precedenza. Sovrascrittura fatta con una vera e propria legge provvedimento. Con tutti i limiti connessi, anche di dubbia legittimità costituzionale: contrasto con l’art. 3 per quanto riguarda la disparità di trattamento che si creava con gli altri comuni italiani, sottoposti al cd. “tetto”; con l’articolo 77 per quanto riguarda i requisiti del decreto legge, quindi, la necessità e l’urgenza, posto che in questo caso non c’era effettivamente necessità e urgenza; con l’articolo 97 della Costituzione, quindi, per quanto riguarda l’imparzialità e il buon andamento; con i vari articoli che riguardano anche le funzioni giurisdizionali, come gli articoli 101 e 113 e via dicendo. (8) Sent. 4 luglio 2023, Meta c. Nundeskartellamt e, in tal senso, sentenze del 7 novembre 2013, UPC Nederland, C-518/11, EU:C:2013:709, punto 59, nonché dell’1 agosto 2022, Sea Watch, C-14/21 e C-15/21, EU:C:2022:604, punto 156. ContEnzIoSo nAzIonALE Sul secondo motivo, il tar ha riconosciuto appieno la cd. “riserva di amministrazione” in capo all’Autorità, sulla falsariga di quanto aveva già fatto il Consiglio di Stato con una sentenza molto interessante, la 265 del 2022 sopra citata prendendo in considerazione proprio la direttiva 2009/73/CE, e in particolare sulla scorta di quanto disposto dagli articoli 39 e 41 che impongono agli Stati membri, e a tutte le articolazioni istituzionali, il divieto di interferire con l’esercizio delle competenze riservate alle autorità nazionali di regolamentazione, tra le quali rientra la fissazione delle tariffe di distribuzione o le relative metodologie di calcolo. Una competenza con “riserva rafforzata”, come si diceva sopra. Su tale punto il tar ha richiamato una giurisprudenza della Corte di Giustizia che da tempi non sospetti ha sempre attribuito all’amministrazione il potere -dovere di disapplicare. Si ricordi, a tale proposito, la giurisprudenza CIF (9), secondo cui tutti gli organi dello Stato hanno il dovere di disapplicare all’occorrenza la normativa nazionale che contrasta con i principi unionali. tale dovere trae origine proprio dal principio di leale cooperazione sancito dall’art. 4, paragrafo 3 tUE. Lo Stato agisce disapplicando (o meglio reagisce) disapplicando, in quanto pone in essere ogni azione idonea a garantire l’effetto utile dei principi e delle norme dell’Unione europea. Pertanto in un caso come quello in esame, nel momento in cui vi è stato un intervento legislativo sopravvenuto, volto ad interferire ed a pregiudicare la regolazione tariffaria riservata dall’ordinamento dell’Unione all’Autorità nazionale di regolazione, quest’ultima ha il potere -dovere di disapplicare la norma e porre quell’intervento legislativo fuori dal sistema. Pertanto appare particolarmente importante tale passaggio, in quanto rende in modo “plastico” proprio quanto accaduto: l’Autorità di regolazione non è intervenuta esercitando un potere “improprio”, ma è dovuta intervenire proprio perché era stato violato, con l’improprio intervento legislativo, quel clima di leale cooperazione tra gli organi dello Stato. Quindi la disapplicazione è stata necessitata da ciò: dal dover garantire nuovamente quell’effetto utile, quel giusto contemperamento di competenze che non poteva portare un altro potere dello Stato ad ingerirsi in un una sfera di competenza non propria. E potrebbe rincararsi la dose, aggiungendo che vieppiù non poteva, anche perché quella competenza riservata all’AnR era stata anche ribadita ed avallata dalle pronunce del Giudice amministrativo, che si era espresso per la legittimità dell’azione dell’AnR. Allora sovrascrivere quei giudicati ha rappresentato una doppia violazione: quella generale ed “europea” dettata dal dovere di cooperazione di cui (9) Sentenza CGUE 9 settembre 2003, Consorzio Industrie Fiammiferi (CIF) c. Autorità Garante Concorrenza e Mercato, C-198/01. RASSEGnA AVVoCAtURA DELLo StAto -n. 2/2023 sopra e quella nazionale data dal fatto che sulla materia specifica erano intervenuti i Giudici competenti per giurisdizione. Ed è proprio qui che probabilmente si radica quella competenza riservata di cui vi parlavo prima, perché la metodologia di calcolo o lo stabilire le condizioni di connessione rappresentano chiaramente competenze riservate soltanto all’Autorità di regolazione. Questi casi di interferenza del governo o del potere legislativo sull’attività delle Autorità non sono nuovi: basti pensare alla sentenza GS Media in materia di comunicazioni (10): anche in quel caso la Corte di giustizia ritenne assolutamente illegittima l’interferenza del governo e del potere legislativo sulle competenze di concessione di licenze audiovisive. Vi era stata, anche in quel caso, una sorta di invasione nella sfera di indipendenza dell’Autorità. Le quattro pronunce in esame appaiono vieppiù interessanti perché hanno deciso direttamente le questioni, senza rimettere la questione di compatibilità alla Corte di giustizia. È vero che i tar hanno, ai sensi dell’art. 267 tUE, solo la facoltà di rimettere, ma dalla motivazione appare una convinzione del Giudice tale da non lasciare spazio a dubbi. Si è evitata quella sorta di “ineluttabilità del rinvio” che negli ultimi caratterizza molti contenziosi, un rinvio talvolta operato per finalità incomprensibili, posto che spesso una vera questione da portare a Lussemburgo non c’è. ora, mentre per i tar il trattato parla di facoltà, il tema si pone soprattutto nei casi di Giudice di ultima istanza, come Consiglio di Stato o Corte di Cassazione, per i quali l’art. 267 sopra citato prevede un obbligo di rinvio: ebbene il mio personale auspicio è che si superi quella fase di “giustizia difensiva” e tale obbligo venga per il futuro esercitato, tramite il filtro della motivazione. Mi spiego. Se il Consiglio di Stato (o la Cassazione) analizza e motiva la questione di compatibilità con il diritto europeo e ritiene di non rimetterla alla Corte di Giustizia, non viene meno ai propri doveri e quindi all’obbligo previsto dall’art. 267. Valuta, motiva anche perché non rinvia e giudica. Magari la questione è stata già trattata e vi è giurisprudenza consolidata sul punto (11) ovvero la risposta al quesito non lascia dubbi interpretativi. Quale responsabilità potrebbe mai esservi per un magistrato o un collegio che operi così? Potrebbe mai ipotizzarsi un’azione di responsabilità o una procedura di infrazione in casi del genere? Al più responsabilità vi saranno quando, a fronte di un obbligo, il Consiglio di Stato (o la Cassazione) non offra alcuna motivazione ad un mancato rinvio ovvero non esamini proprio la questione. nel contempo si rimodula anche la sfera della situazione giuridica soggettiva del ricorrente, in quanto a quell’obbligo di cui all’art. 267 non neces (10) Sent. GS Media, 8 settembre 2016, C-160/15. (11) Sent. CILFIT, 6 ottobre 1982, C-283/81. ContEnzIoSo nAzIonALE sariamente deve corrispondere sempre un diritto a vedere la propria questione portata all’attenzione della Corte di Giustizia. Quindi, nel caso di specie, vi è un motivo in più di apprezzamento per le decisioni del tar meneghino: la questione tra un potere legislativo intervenuto sulla materia e un’Autorità che ha disapplicato la norma è stata risolta convintamente dal Giudice amministrativo nazionale. Sul terzo motivo, vale a dire i dubbi paventati sulla natura self executing della direttiva, il tar ha aderito alle prospettazioni della difesa di ARERA, stabilendo che, “… malgrado il carattere generico e non incondizionato di alcune delle previsioni contenute nella direttiva, lo specifico divieto di interferenza nelle competenze riservate all’Autorità, ha chiaramente un carattere specifico e puntuale, che non richiede l’emanazione di alcun atto applicativo, consistendo al contrario in un obbligo di non fare immediatamente produttivo di effetti in favore del soggetto a favore del quale è stato previsto, ossia l’autorità di regolamentazione, espressamente ivi menzionata” Una volta assodato che quella direttiva fosse self-executing, non c’è dubbio che c’è la potestà di disapplicare da parte dell’apparato amministrativo e anche da parte dell’Autorità indipendente, come confermato anche dalle sentenze 17 e 18 del 2021 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato. L’obbligo di non applicare la legge anticomunitaria grava in capo all’apparato amministrativo anche nei casi in cui il contrasto riguardi una direttiva self executing, e quindi non solo in caso di un regolamento (si richiama la sentenza CIF, v. nota 9). Vi era poi un’ultima censura che riguardava un’asserita violazione del- l’aspettativa maturata dai ricorrenti, a seguito della novella legislativa, sul fatto che per loro vi sarebbe stato un riconoscimento integrale dei costi di investimento e che quindi l’Autorità si sarebbe adeguata. Ma anche in questo caso il tar ha reso atto all’Autorità di aver preso sin da subito le distanze dalla novella: “A seguito dell’entrata in vigore del- l’art. 114 ter che ha modificato il regime previgente, Arera si è prontamente attivata, chiedendone in sostanza l’abrogazione, rendendone edotti gli operatori, ed illustrando le proprie posizioni, non potendo conseguentemente essere ritenuta responsabile di aver ingenerato alcun legittimo affidamento sul riconoscimento tariffario degli investimenti effettuati, come del resto statuito anche nella fattispecie decisa nella sentenza C.S. n. 779/20 cit… In conclusione, oltre a manifestare la sua motivata contrarietà all’art. 114 ter cit. fin dalla sua entrata in vigore, Arera non vi ha dato applicazione, limitandosi, invece, con la deliberazione 435/20 cit., a prefigurare la possibilità di rivedere gli ambiti, al fine di mitigarne e bilanciarne gli effetti, come anche espressamente precisato nel Documento per la consultazione n. 337/22 cit.”. RASSEGnA AVVoCAtURA DELLo StAto -n. 2/2023 9. Conclusioni. Le sentenze del Giudice amministrativo in esame segnano un momento molto importante nell’affermazione della natura e dei poteri delle Autorità indipendenti, in quanto, partendo dall’intervento legislativo sopravvenuto, il Giudice amministrativo va oltre e riafferma con forza e senza nemmeno il ricorso al rinvio pregiudiziale ex art. 267 tUE, innanzitutto l’indipendenza delle Autorità nazionali di regolamentazione, un’indipendenza che forse viene affermata a livello europeo in modo più forte e più pieno di quanto facciano la nostra Costituzione e le nostre leggi nazionali. E nella lente dell’indipendenza si ingrandiscono e si riaffermano le prerogative dell’Autorità nazionale di regolamentazione, chiaramente espresse dalle direttive 2009/72/CE e 2009/73/CE, che sottolineano il valore della cooperazione tra organi dello Stato, tutti protesi verso il cd. “effetto utile” dell’azione amministrativa, come bene supremo da tutelare, al di là di ogni steccato. tali pronunce hanno, peraltro, avuto successivamente anche una conferma da parte dello stesso legislatore, cosa che conferma ulteriormente la bontà dell’azione dell’AnR e quell’anelito verso l’effetto utile, in quanto con decreto legge n. 69 del 13 giugno 2023, all’art. 22 comma 1, era stato proposta l’abrogazione del comma 4 bis (12) (ovvero quello introdotto proprio dall’art. 114 ter del D.L. 34 del 19 maggio 2020). Successivamente, in sede di conversione, con la L. 10 agosto 2023 n. 103 è stato reintrodotto un comma 4 bis, ma con una formulazione completamente diversa. Le modificazioni sono state, infatti, sostanziali, in quanto non si parla più di riconoscimento integrale e di considerare gli impianti “efficienti e già valutati positivamente ai fini dell’analisi costi -benefici per i consumatori”, ma si dice che “sono valutati, ai fini dell’analisi costi benefici, tenendo conto delle esternalità positive in relazione al contributo degli interventi medesimi al processo di decarbonizzazione nonché all’incremento del grado di efficienza e flessibilità delle reti e degli impianto stessi… a tal fine ARERA, nel determinare le tariffe di cui al presente articolo, tiene conto dei maggiori costi di investimento nei comuni di cui al primo periodo nonché della necessità di remunerare nei comuni medesimi interventi funzionali a garantire l’immissione in rete di gas da fonte rinnovabile”. (12) Anche sulla scorta di un caso: EU Pilot in Commission, 2022/10193/EnER. ContEnzIoSo nAzIonALE tribunale amministrativo regionale per la lombardia, sezione Prima, sentenza 23 maggio 2023 n. 1228 -Pres. A. Vinciguerra, Est. M. Gatti -Amalfitana Gas S.r.l. (avv.ti L. Giuri e M. Massimino) c. Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente -Arera, (avv.ti A. F. Canta e B. nascimbene) (ric. 3517/2022); Sudtirolgas S.p.A (avv.ti L. Giuri e M. Massimino) c. Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente -Arera, (avv.ti A.F. Canta e B. nascimbene) (ric. 3513/2022). FAtto Con i presenti ricorsi le istanti hanno impugnato i provvedimenti con cui Arera ha disapplicato l’art. 114-ter del D.L. 19 maggio 2020 n. 34, dettato in materia di riconoscimento in tariffa degli investimenti effettuati dagli operatori, per realizzare la rete di distribuzione del gas metano nelle località di “nuova metanizzazione”. (...) DIRItto (...) Entrambi i giudizi vertono in ordine alla fissazione di un limite, da parte di Arera, al riconoscimento in tariffa degli investimenti effettuati dagli operatori, per realizzare la rete di distribuzione del gas metano nelle località non ancora servite, definite in “avviamento”. (...) L’art. 33 del testo Unico della regolazione della qualità e delle tariffe dei servizi di distribuzione e misura del gas per il periodo di regolazione 2020-2025, ha pertanto previsto che “si applica un tetto ai costi riconosciuti a copertura dei costi di capitale nelle località di avviamento”, nei termini ivi indicati. L’art. 114-ter del D.L. 19 maggio 2020 n. 34, convertito con modificazioni, dalla L. 17 luglio 2020, n. 77, ha introdotto il comma 4 bis all’art. 23 del D.Lgs. n. 164/00, prevedendo invece che “[l]e estensioni e i potenziamenti di reti e di impianti esistenti nei comuni già metanizzati e le nuove costruzioni di reti e di impianti di comuni da metanizzare” appartenenti a determinate zone territoriali (territori montani appartenenti alla zona climatica F di cui al dPR n. 412/93; territori oggetto di programmi di metanizzazione del Mezzogiorno), “si considerano efficienti e già valutati positivamente ai fini dell’analisi dei costi e dei benefici per i consumatori”, e sono ammessi dall’Autorità a “integrale riconoscimento tariffario”. Secondo quanto evidenziato nella delibera n. 525/22 cit., detta norma “pone in capo all’Autorità l’obbligo di riconoscere un’integrale copertura tariffaria degli investimenti relativi al potenziamento o alla nuova costruzione di reti e impianti in comuni metanizzati o da metanizzare in specifiche località del Paese, introducendo, a tal fine, una presunzione assoluta che sancisce, come se fosse stata positivamente verificata, l’efficienza e la convenienza per i consumatori (in termini di costi-benefici) degli investimenti compiuti nelle predette località, superando la regola generale prevista per gli sviluppi infrastrutturali delle reti di distribuzione del gas naturale, che, invece, richiede lo svolgimento di analisi costi-benefici”, e pertanto, “vieta all’Autorità di applicare il c.d. tetto agli investimenti ai fini dei riconoscimenti tariffari relativi alle località interessate”. (...) Secondo quanto indicato nella delibera n. 525/22, cit., “con tale disposizione il legislatore nazionale si è sostituito all’Autorità, sia con riferimento all’attività istruttoria relativa alla valutazione dell’efficienza degli investimenti, sia nella decisione di riconoscere incondizionatamente i relativi costi, con ciò contravvenendo ai limiti negativi che discendono per il legislatore nazionale dagli articoli 39, par. 4, e 41, par. 1, lettera a), della direttiva 2009/73/CE” (nel proseguo “Direttiva”), ritenendo conseguentemente di disapplicare l’articolo 114-ter cit. (...) I.2.1) In via preliminare, il Collegio dà atto che il presente giudizio non verte sull’astratta possibilità per il legislatore nazionale di incentivare l’estensione della rete di trasporto del RASSEGnA AVVoCAtURA DELLo StAto -n. 2/2023 gas in determinati territori, ciò che è ovviamente pacifico, quanto invece, sulle modalità a tal fine concretamente adottate, e pertanto, se le stesse siano o meno conformi alle regole dettate dal diritto comunitario, a tutela della concorrenza, e dell’efficienza del mercato energetico. (...) In particolare, secondo quanto previsto dall’art. 39 par. 4) della Direttiva, gli Stati membri “garantiscono l’indipendenza dell’autorità di regolamentazione”, e provvedono affinché essa sia dotata “dei poteri necessari per assolvere con efficacia e rapidità” i propri compiti (art. 41, par. 4), tra cui rientra quello di “stabilire o approvare, in base a criteri trasparenti, tariffe di trasporto o distribuzione o le relative metodologie di calcolo” (art. 41 par. 1, lett. a). Secondo la Corte di Giustizia, “la determinazione delle metodologie per calcolare o per stabilire le condizioni di connessione e di accesso alle reti nazionali, comprese le tariffe applicabili, rientra nelle competenze riservate direttamente alle Autorità nazionali di Regolazione”, la cui autonomia deve estendersi, oltreché nei confronti di qualsiasi organo politico, anche verso il legislatore nazionale (sentenza 2 settembre 2021, C-718/18, punto n. 130). (...) Come detto, in base a quanto previsto dall’114-ter cit., i costi sostenuti dai gestori per gli interventi di metanizzazione, vengono automaticamente ricompresi nella tariffa, senza che l’Autorità si pronunci al riguardo, come invece richiesto dalla Direttiva 2009/73/CE, ciò che configura un’illegittima imposizione, quantomeno, rispetto alla definizione della relativa metodologia di calcolo, per dover necessariamente tenere conto dei costi storici effettivamente sostenuti. De iure condendo, l’art. 4 del Disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza, dettato in materia di verifica dell’efficienza degli investimenti nella rete di distribuzione del gas ai fini della copertura tariffaria, prevede peraltro l’abrogazione della norma disapplicata da Arera. I.2.2) Gli obiettivi di politica sociale ed energetica sottesi all’art. 114 ter cit., avrebbero invece potuto e dovuto essere perseguiti dal legislatore senza incidere direttamente sul regime tariffario, come detto, riservato all’Autorità di Regolazione, ed avvalendosi invece di altri strumenti, quali ad esempio agevolazioni economiche in favore dei gestori che abbiano realizzato le nuove reti, contributi o trattamenti fiscali di vantaggio, ecc. cialis derogat generali). (...) II.2) Il motivo va respinto atteso che, come sopra evidenziato, gli artt. 39 e 41 della Direttiva, impongono agli Stati membri, in tutte le loro articolazioni istituzionali, il divieto di interferire con l’esercizio delle competenze riservate alle autorità nazionali di regolamentazione, tra le quali rientra la fissazione delle tariffe di distribuzione, o le relative metodologie di calcolo. Malgrado il carattere generico e non incondizionato di alcune delle previsioni contenute nella Direttiva, lo specifico divieto di interferenza nelle competenze riservate alle Autorità, ha chiaramente un carattere specifico e puntuale, che non richiede l’emanazione di alcun atto applicativo, consistendo al contrario in un obbligo di non fare, immediatamente produttivo di effetti in favore del soggetto a favore del quale è stato previsto, ossia, “l’autorità di regolamentazione”, espressamente ivi menzionata. (...) IV.2) In via preliminare, occorre dare atto che, come evidenziato nella citata sentenza del Consiglio di Stato n. 779/20, la fissazione da parte di Arera di un “tetto” al riconoscimento in tariffa degli investimenti nelle località di avviamento, ha in passato costituito la regola, (...) (...) A seguito dell’entrata in vigore dell’art. 114 ter cit., che ha modificato il regime previgente, Arera si è prontamente attivata, chiedendone in sostanza l’abrogazione, rendendone edotti gli operatori, ed illustrando le proprie posizioni, non potendo conseguentemente essere ritenuta responsabile di aver ingenerato alcun legittimo affidamento sul riconoscimento tariffario degli ContEnzIoSo nAzIonALE investimenti effettuati, come del resto statuito anche nella fattispecie decisa nella sentenza C.S. n. 779/20 cit. Con Segnalazione n. 406 del 27 ottobre 2020, indirizzata al Parlamento ed al Governo, Arera ha infatti illustrato gli impatti ed i profili di criticità sui principi in materia di regolazione dei servizi di pubblica utilità e sulla regolazione tariffaria apportati dall’art. 114 ter, (...) (...) In conclusione, oltre a manifestare la sua motivata contrarietà all’art. 114 ter cit. fin dalla sua entrata in vigore, Arera non vi ha dato applicazione, limitandosi invece, con la deliberazione 435/20 cit., a prefigurare la possibilità di rivedere gli ambiti, al fine di mitigarne e bilanciarne gli effetti, come anche espressamente precisato nel Documento per la consultazione n. 337/22 cit., in cui ha tuttavia altresì evidenziato che “una revisione degli ambiti tariffari richiede che siano approfonditi anche ulteriori profili, e che siano contemperate anche ulteriori esigenze e interessi pubblici”, (...) P.Q.M. Il tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, li respinge entrambi. Spese compensate. ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 19 aprile 2023. tribunale amministrativo regionale per la lombardia, sezione Prima, sentenza 23 maggio 2023 n. 1229 -Pres. A. Vinciguerra, Est. M. Gatti -Italgas Reti S.p.A. (avv.ti M. Luciani e n. Bertacchi) c. Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente -Arera (avv.ti G.M. Roberti e M. Serpone); ed altri. FAtto Con il presente ricorso, l’istante ha impugnato i provvedimenti con cui Arera ha disapplicato l’art. 114-ter del D.L. 19 maggio 2020 n. 34, dettato in materia di riconoscimento in tariffa degli investimenti effettuati dagli operatori, per realizzare la rete di distribuzione del gas metano nelle località di “nuova metanizzazione”. (...) DIRItto Il presente giudizio verte in ordine alla fissazione di un limite, da parte di Arera, al riconoscimento in tariffa degli investimenti effettuati dagli operatori, per realizzare la rete di distribuzione del gas metano nelle località non ancora servite, definite in “avviamento”. A partire dall’anno 2017, ciò ha avuto luogo con la finalità di “evitare distorsioni in termini di efficienza nelle decisioni di investimento delle imprese esercenti il servizio di distribuzione, dovute al fatto che i distributori potevano ribaltare i costi dagli stessi sostenuti anche sui clienti finali non appartenenti alle località servite, ma comunque compresi nel macro-ambito tariffario, così diluendone l’impatto, senza curarsi della sostenibilità dell’investimento” (delibera n. 525/2022), ciò che ha ricevuto l’avvallo della giurisprudenza amministrativa, secondo cui, “la metanizzazione non è quindi un obiettivo sempre perseguibile, ma va raccordato ad una valutazione in concreto dei costi da affrontare per ottenerla” (C.S., Sez. VI, nn. 778, 779 e 780 del 2020). (...) L’art. 114-ter del D.L. 19 maggio 2020 n. 34, convertito con modificazioni, dalla L. 17 luglio 2020, n. 77, ha introdotto il comma 4 bis all’art. 23 del D.Lgs. n. 164/00, prevedendo RASSEGnA AVVoCAtURA DELLo StAto -n. 2/2023 invece che “[l]e estensioni e i potenziamenti di reti e di impianti esistenti nei comuni già metanizzati e le nuove costruzioni di reti e di impianti di comuni da metanizzare” appartenenti a determinate zone territoriali (territori montani appartenenti alla zona climatica F di cui al dPR n. 412/93; territori oggetto di programmi di metanizzazione del Mezzogiorno), “si considerano efficienti e già valutati positivamente ai fini dell’analisi dei costi e dei benefici per i consumatori”, e sono ammessi dall’Autorità a “integrale riconoscimento tariffario”. Secondo quanto evidenziato nella delibera n. 525/22 cit., detta norma “pone in capo all’Autorità l’obbligo di riconoscere un’integrale copertura tariffaria degli investimenti relativi al potenziamento o alla nuova costruzione di reti e impianti in comuni metanizzati o da metanizzare in specifiche località del Paese, introducendo, a tal fine, una presunzione assoluta che sancisce, come se fosse stata positivamente verificata, l’efficienza e la convenienza per i consumatori (in termini di costi-benefici) degli investimenti compiuti nelle predette località, superando la regola generale prevista per gli sviluppi infrastrutturali delle reti di distribuzione del gas naturale, che, invece, richiede lo svolgimento di analisi costi-benefici”, e pertanto, “vieta all’Autorità di applicare il c.d. tetto agli investimenti ai fini dei riconoscimenti tariffari relativi alle località interessate”. Arera ha tuttavia ritenuto di non poter applicare tale norma, in quanto contrastante con il diritto comunitario, ciò che, in sostanza, costituisce il thema decidendum dei presenti giudizi. Secondo quanto indicato nella delibera n. 525/22, cit., “con tale disposizione il legislatore nazionale si è sostituito all’Autorità, sia con riferimento all’attività istruttoria relativa alla valutazione dell’efficienza degli investimenti, sia nella decisione di riconoscere incondizionatamente i relativi costi, con ciò contravvenendo ai limiti negativi che discendono per il legislatore nazionale dagli articoli 39, par. 4, e 41, par. 1, lettera a), della direttiva 2009/73/CE” ritenendo conseguentemente di disapplicare l’articolo 114-ter cit. (...) I.2.1) In via preliminare, il Collegio dà atto che il presente giudizio non verte sull’astratta possibilità per il legislatore nazionale di incentivare l’estensione della rete di trasporto del gas in determinati territori, ciò che è ovviamente pacifico, quanto invece, sulle modalità a tal fine concretamente adottate, e pertanto, se le stesse siano o meno conformi alle regole dettate dal diritto comunitario, a tutela della concorrenza, e dell’efficienza del mercato energetico. Quest’ultimo, è infatti regolato da un sistema dualistico, che vede concorrere gli interventi del potere esecutivo e legislativo, a cui è riservata la definizione dei criteri generali e le funzioni che più direttamente si ricollegano a decisioni di politica energetica, e l’Autorità, che sulla loro base, definisce la regolamentazione di dettaglio. (...) In particolare, secondo quanto previsto dall’art. 39 par. 4) della Direttiva, gli Stati membri “garantiscono l’indipendenza dell’autorità di regolamentazione”, e provvedono affinché essa sia dotata “dei poteri necessari per assolvere con efficacia e rapidità” i propri compiti (art. 41, par. 4), tra cui rientra quello di “stabilire o approvare, in base a criteri trasparenti, tariffe di trasporto o distribuzione o le relative metodologie di calcolo” (art. 41 par. 1, lett. a). Secondo la Corte di Giustizia, “la determinazione delle metodologie per calcolare o per stabilire le condizioni di connessione e di accesso alle reti nazionali, comprese le tariffe applicabili, rientra nelle competenze riservate direttamente alle Autorità nazionali di Regolazione”, la cui autonomia deve estendersi, oltreché nei confronti di qualsiasi organo politico, anche verso il legislatore nazionale (sentenza 2 settembre 2021, C-718/18, punto n. 130). (...) Come detto, in base a quanto previsto dall’114-ter cit., i costi sostenuti dai gestori per gli interventi di metanizzazione, vengono automaticamente ricompresi nella tariffa, senza che l’Autorità si pronunci al riguardo, come invece richiesto dalla Direttiva 2009/73/CE, ciò che ContEnzIoSo nAzIonALE configura un’illegittima imposizione, quantomeno, rispetto alla definizione della relativa metodologia di calcolo, per dover necessariamente tenere conto dei costi storici effettivamente sostenuti. De iure condendo, l’art. 4 del Disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza, dettato in materia di verifica dell’efficienza degli investimenti nella rete di distribuzione del gas ai fini della copertura tariffaria, prevede peraltro l’abrogazione della norma disapplicata da Arera. (...) conferma l’impossibilità di incidere direttamente sul regime tariffario, che come detto, viene espressamente riservato all’Autorità di Regolazione da disposizioni specifiche (artt. 39 e 41 cit.), chiaramente prevalenti, sulla base del criterio di specialità (lex specialis derogat generali). (...) In attuazione del principio secondo cui gli Stati possono elaborare “orientamenti di politica generale” in materia energetica, i commi 3 e 4 dell’art. 23 cit. prevedono che le tariffe per il trasporto e la distribuzione debbano “tenere conto” della necessità di non penalizzare le aree del Mezzogiorno e quelle “in corso di metanizzazione”, assegnando così ad Arera “un obiettivo ex lege” (C.S., Sez. II, 5 ottobre 2022, n. 8523), da perseguirsi mediante l’esercizio dei suoi poteri, e non tramite la loro avocazione, come ha invece avuto luogo con l’art. 114 ter cit., che ha inserito ex novo il comma 4 bis all’art. 23 cit. (...) II.2) Il motivo va respinto atteso che, come sopra evidenziato, gli artt. 39 e 41 della Direttiva, impongono agli Stati membri, in tutte le loro articolazioni istituzionali, il divieto di interferire con l’esercizio delle competenze riservate alle autorità nazionali di regolamentazione, tra le quali rientra la fissazione delle tariffe di distribuzione, o le relative metodologie di calcolo. Malgrado il carattere generico e non incondizionato di alcune delle previsioni contenute nella Direttiva, lo specifico divieto di interferenza nelle competenze riservate alle Autorità, ha chiaramente un carattere specifico e puntuale, che non richiede l’emanazione di alcun atto applicativo (...) P.Q.M. Il tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 19 aprile 2023. RASSEGnA AVVoCAtURA DELLo StAto -n. 2/2023 interdittiva antimafia e contraddittorio procedimentale dopo la novella del 2021 CONSIGLIO DI STATO, SEzIONE TERzA, SENTENzA 15 FEBBRAIO 2024 N. 1517 La sentenza del Consiglio di Stato del 15 febbraio 2024 n. 1517, con ampia motivazione, ha rigettato il motivo di appello attinente all’inosservanza del contraddittorio procedimentale di cui all’art. 92 comma 2 bis del codice antimafia, introdotto dall’art. 48 d.l. n. 152 del 2021, convertito dalla legge n. 233 del 2021, ritenendo nella specie sussistenti quelle “particolari esigenze di celerità del procedimento” che ne giustificano l’omissione. In particolare, la sentenza ha ricordato che “secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato formatasi prima della entrata in vigore della riforma del 2021 (art. 48, comma 1, lettera a), n. 2), d.l. n. 152 del 2021) -il principio del contraddittorio, valevole in ambiti ordinari, in materia di interdittiva doveva essere ragionevolmente bilanciato, anche attraverso il suo ridimensionamento, così da dare ingresso ad interessi antagonistici di pari rango dettati dalla necessità di arginare il fenomeno mafioso che, per la sua estrema insidiosità, aumenta gravemente il rischio di vanificare il complesso lavoro degli organi deputati alle indagini. L’esigenza di assicurare il suddetto bilanciamento aveva indotto il legislatore -fino alle modifiche introdotte dall’art. 48, comma 1, lettera a), n. 2), d.l. n. 152 del 2021 -a non prevedere, all’interno del sistema regolatorio conchiuso del Codice antimafia, l’obbligo di una preventiva comunicazione di avvio del procedimento evidentemente in ragione del fatto che più si avanzano le garanzie partecipative più è concreto il rischio che la discovery anticipata di elementi o notizie a disposizione degli inquirenti ponga nel nulla gli sforzi e le risultanze raggiunte. tanto proprio a cagione della natura subdola, insidiosa, a volte silente, del fenomeno mafioso posto che l’autorità amministrativa, nelle parole della Corte costituzionale, ha il compito di “prevenire tali evenienze, con un costante monitoraggio del fenomeno, la conoscenza delle sue specifiche manifestazioni, la individuazione e valutazione dei relativi sintomi, la rapidità di intervento” (Corte cost. 26 marzo 2020, n. 57), rapidità necessitata dalla capacità delle mafie di rimescolare gli elementi disponibili fino a far scomparire quelle che già erano tracce, sintomi, segni di conoscenza spesso solo indiretta”. Il Consiglio di Stato ha inoltre soggiunto che “la circostanza che lo stesso Legislatore abbia inteso procedimentalizzare la partecipazione del soggetto destinatario del provvedimento interdittivo porta a ritenere le deroghe all’obbligo di dare comunicazione di inizio del procedimento circoscritte ai soli casi di effettivo e dimostrato carattere di urgenza nonché ad un quadro fattuale talmente chiaro da rendere siffatta comunicazione solo foriera di inutile rallentamento nella definizione del procedimento. ContEnzIoSo nAzIonALE tale seconda circostanza si è verificata nel caso di specie, in considerazione dei gravi indizi di pregnanza e contiguità agli ambienti della criminalità organizzata, come illustrati nel provvedimento prefettizio ed in questa sede confermati, tali da rendere superflua la fase partecipativa risultando evidenti i presupposti per concludere che è “più probabile che non” il collegamento soggiacente alla criminalità organizzata (in particolar modo al clan omissis)”. Wally Ferrante* Consiglio di stato, sezione iii, sentenza 15 febbraio 2024 n. 1517 -Pres. M.L. torsello, Est. G. Ferrari. -omissis (avv.ti L. tozzi e A. D’Angelo) c. Ministero dell’interno e Prefettura - UtG di napoli (avv. gen. Stato); ed altri. FAtto 1. Con provvedimento omissis la Prefettura di napoli ha respinto la domanda della omissis di iscrizione alla White list e di emissione dell’informativa ostativa antimafia. L’interdittiva è stata impugnata dinanzi al tar napoli e, nelle more della decisione di merito, la società ha proposto istanza per la misura del controllo giudiziario di cui all’art. 32, d.l. n. 90 del 2014, poi accordata per un anno con decreto del tribunale di napoli -Sezione Misure di Prevenzione del omissis. A seguito della attivazione del controllo giudiziario la società è stata iscritta per un anno (fino al 25 giugno 2022) nell’elenco della White list della Prefettura di napoli. Con decreto omissis il tribunale di napoli -Sezione Misure di Prevenzione ha revocato la misura del controllo giudiziario sul rilievo che “non emergono elementi da cui desumere l’opportunità di prorogare l’attività di controllo né la necessità di disporre altre misure più invasive”. Con provvedimento interdittivo 9 gennaio 2023 la Prefettura di napoli ha confermato la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi della società e, per l’effetto, ha rigettato l’istanza di conferma di iscrizione della società nella White list. Con decreto n. omissis del tribunale di napoli -Sezione Misure di Prevenzione la omissis è stata nuovamente ammessa per due anni alla misura del controllo giudiziario ex art. 34 bis, d.lgs. n. 159 del 2011 e, per l’effetto, è stata iscritta nella White list della Prefettura di napoli. 2. I due provvedimenti di contestuale diniego di iscrizione alla White List e di emissione del- l’informativa ostativa antimafia nn. omissis del omissis e omissis sono stati impugnati dalla omissis dinanzi al tar Campania, sede di napoli, rispettivamente con ricorsi n. omissis e n. omissis, deducendo l’illegittima omissione della fase partecipativa nonché la mancanza dei presupposti della revoca della misura del controllo giudiziario di cui all’art. 32, d.l. n. 90 del 2014, riconosciuto dal tribunale di napoli -Sezione Misure di Prevenzione con decreto del omissis, del diniego di iscrizione alla White list e dell’informativa ostativa antimafia. La società ha altresì impugnato le revoche di otto finanziamenti disposte il 16 gennaio 2023 da omissis e la revoca della aggiudicazione decisa dal Comune di omissis con provvedimento n. omissis nonché l’annotazione al casellario informatico disposta dall’A.n.A.C. (*) Avvocato dello Stato. RASSEGnA AVVoCAtURA DELLo StAto -n. 2/2023 3. Il tar Campania, sede di napoli, con sentenza della sez. I, n. omissis, dopo aver riunito i ricorsi nn. omissis e omissis, ha dichiarato improcedibile il ricorso n. omissis sul rilievo che l’informazione interdittiva antimafia del omissis, con lo stesso impugnato, è stata sostituita dall’informazione interdittiva del 9 gennaio 2023, di modo che l’annullamento della precedente informazione non eliminerebbe il pregiudizio lamentato dalla società; ha invece respinto il ricorso n. omissis proposto avverso l’interdittiva del 9 gennaio 2023. 4. La sentenza è stata impugnata con appello notificato e depositato in data 29 settembre 2023, reiterando in chiave critica i motivi dedotti in primo grado nonché evidenziando la motivazione carente e contraddittoria in cui è incorsa la Prefettura nei provvedimenti impugnati. 5. Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’interno e la Prefettura -UtG di napoli, che hanno sostenuto l’infondatezza, nel merito, dell’appello. 6. Si è costituita in giudizio omissis, che ha sostenuto l’infondatezza, nel merito, dell’appello. 7. Il Comune di omissis non si è costituito in giudizio. 8. L’Autorità nazionale Anticorruzione -A.n.A.C. non si è costituita in giudizio. 9. Alla pubblica udienza del 25 gennaio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRItto 1. Preliminarmente il Collegio rileva la tardività della documentazione prodotta dall’appellante in allegato alla memoria di replica depositata in data 3 gennaio 2023. Di tale documentazione il Collegio non terrà conto ai fini del decidere, come comunicato alle parti in udienza ai sensi dell’art. 73, comma 3, c.p.a. 2. Come esposto in narrativa la omissis operante dal 2012 principalmente nell’attività di raccolta, trasporto, smaltimento e compattazione di rifiuti solidi urbani e assimilabili, rifiuti tossici e nocivi, rifiuti ospedalieri, di laboratorio e simili, rifiuti speciali ed industriali, urbani pericolosi, rifiuti marittimi -ha impugnato la sentenza del tribunale Amministrativo Regionale della Campania, sede di napoli, sez. I, n. omissis che, dopo aver riunito i ricorsi nn. omissis e omissis, ha dichiarato improcedibile il ricorso n. omissis sul rilievo che l’informazione interdittiva antimafia omissis, con lo stesso impugnato, è stata sostituita dall’informazione interdittiva del 9 gennaio 2023, di modo che l’annullamento della precedente informazione non eliminerebbe il pregiudizio lamentato dalla società; ha invece respinto il ricorso n. omissis, proposto per l’annullamento del provvedimento di contestuale diniego di iscrizione alla White list e di emissione dell’informativa ostativa antimafia n. omissis nonché dell’annotazione al casellario informatico disposta dall’A.n.A.C. e dei successivi provvedimenti con i quali il Comune di omissis ha revocato l’aggiudicazione di una commessa in favore della omissis e omissis s.p.a., ha revocato otto finanziamenti (riferibili alle seguenti posizioni: prima posizione n. omissis). La società è amministrata da: omissis con il 51% delle quote del capitale sociale; omissis (familiare convivente di omissis e figlio di omissis) con il 49% delle quote. Istitutore è omissis. Fanno parte della compagine societaria: omissis, organo di vigilanza; omissis revisore legale; omissis, responsabile ricoperta anche da omissis. L’interdittiva si concentra sulle figure che ruotano intorno alla società. In particolare, omissis è stato controllato: il 23 ottobre 2015, con omissis, deferito all’A.G. dal nucleo Investigativo dei Carabinieri di omissis in data 31 ottobre 2013 per favoreggiamento personale aggravato e procurata inosservanza di pena, per aver aiutato, in concorso con altre persone, il latitante omissis a sottrarsi all’esecuzione della pena, con l’aggravante di cui all’art. 7, l. n. 203 del 1991, per aver favorito con tale condotta criminosa l’associazione camorristica denominata clan omissis (di cui è elemento di spicco omissis), operante nei Comuni di omissis ContEnzIoSo nAzIonALE in Campania e limitrofi; il 13 maggio 2015 con omissis, sottoposto in data 19 febbraio 2010 alla misura cautelare degli arresti domiciliari, in esecuzione di ordinanza emessa dal GlP presso il tribunale di omissis per usura. Familiare convivente di omissis è omissis, moglie di omissis, già socio unico e procuratore speciale della società omissis (poi denominata omissis), oggetto di una informativa interdittiva del 17 settembre 2003, per tentativi di infiltrazione nella ditta da parte della criminalità organizzata attraverso la figura di omissis, ritenuto affiliato al clan omissis unitamente al fratello omissis. La omissis era inoltre cessionaria della ditta in liquidazione omissis di cui era socio anche omissis, controllato a bordo di una autovettura con omissis, pluripregiudicato (ritenuto vicino al clan omissis) sul cui conto sussistono segnalazioni di polizia per violenza privata, ricettazione, associazione mafiosa, estorsione. omissis è convivente con omissis, controllato in occasione di accertamenti effettuati per identificare soggetti vicini e/o fiancheggiatori di omissis, detenuto e ritenuto elemento gravitante in organizzazioni criminali, con precedenti per reati in materia di stupefacenti, estorsione aggravata e tratto in arresto in esecuzione di o.c.c. per omicidio aggravato perchè ritenuto esecutore materiale dell’omicidio di omissis nella faida locale che vedeva contrapposti diversi gruppi criminali. A carico di omissis risulta aperto un procedimento penale in occasione di una indagine finalizzata a smantellare una associazione a delinquere dedita al traffico illecito di rifiuti, archiviato per insufficienza degli elementi indiziari a suo carico. 3. Chiarita in punto di fatto, con riferimento agli elementi essenziali ed in modo non esaustivo, la cornice sulla quale si fondano le due interdittive, il Collegio rileva come, nonostante l’appellante non abbia chiaramente circoscritto l’ambito della impugnativa proposta, deve ritenersi che la stessa -pur se impostata sulla dimostrazione generica della mancata contiguità, compiacente o soggiacente, agli ambienti della criminalità organizzata -sia limitata al capo della sentenza n. omissis che ha respinto il ricorso proposto (nella via dei motivi aggiunti) avverso l’interdittiva del 9 gennaio 2023. Il richiamo, nel petitum, a questa sola interdittiva nonché la mancanza di censure avverso la decisione di definire in rito e non nel merito l’impugnazione della prima interdittiva del 21 gennaio 2021 inducono il Collegio a circoscrivere il proprio esame al capo della sentenza che ha respinto l’atto (secondo) di motivi aggiunti. 4. Con il primo motivo di appello la società contesta la sentenza del tribunale per avere erroneamente ritenuto sussistere ragioni d’urgenza giustificanti l’omessa comunicazione di avvio del procedimento, tanto più che la recente riforma (d.l. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla l. 29 dicembre 2021, n. 233), che ha novellato il Codice antimafia, ha introdotto il contraddittorio nel procedimento di rilascio dell’interdittiva antimafia. Il motivo non è suscettibile di positiva valutazione. È ben vero che nella fattispecie all’esame del Collegio -in cui si discute della interdittiva adottata in data 9 gennaio 2023 -trova applicazione la disciplina di cui ai commi 2-bis, 2-ter e 2-quater dell’art. 92, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, introdotti dall’art. 48, comma 1, lettera a), n. 2), d.l. n. 152 del 2021, che ha procedimentalizzato l’iter di adozione della interdittiva scandendo i termini per la partecipazione del suo destinatario. La novella introdotta con il comma 2-bis dell’art. 92, d.lgs. n. 159 del 2011 ha disposto che il Prefetto, nel caso in cui ritenga sussistenti i presupposti per l’adozione dell’informazione antimafia interdittiva e non ricorrano particolari esigenze di celerità del procedimento, ne dà tempestiva comunicazione al soggetto interessato. È risultata così superata la prassi, avallata dalla giurisprudenza del Con RASSEGnA AVVoCAtURA DELLo StAto -n. 2/2023 siglio di Stato (31 ottobre 2023, n. 9357; 21 gennaio 2020, n. 820; 3 marzo 2020, n. 1576; 6 maggio 2020, n. 2854), secondo cui la comunicazione di avvio del procedimento, prevista dall’art. 7, l. n. 241 del 1990, e del preavviso di rigetto, di cui all’art. 10-bis della stessa legge, sono adempimenti non necessari in materia di certificazione antimafia, in cui il contraddittorio procedimentale ha natura meramente eventuale, ai sensi dell’art. 93, comma 7, d.lgs. n. 159 del 2011. Sulla questione concernente le garanzie della partecipazione procedimentale in favore del soggetto nei cui confronti il Prefetto si propone di rilasciare una informazione antimafia si è pronunciata la Corte di Giustizia UE, Sezione IX, con ordinanza del 28 maggio 2020, che ha dichiarato irricevibile il ricorso non essendo stata dimostrata l’esistenza di un criterio di collegamento tra il diritto dell’Unione e l’informazione antimafia adottata. La Corte ha tuttavia precisato, per inciso, che “il rispetto dei diritti della difesa costituisce un principio generale del diritto dell’Unione, che trova applicazione quando l’amministrazione intende adottare nei confronti di una persona un atto che le arrechi pregiudizio” e che in forza di tale principio i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la sua decisione. nondimeno la Sezione aveva ritenuto che l’assenza di una necessaria interlocuzione procedi- mentale in questa materia non costituisce un vulnus al principio di buona amministrazione, perché, come la stessa Corte di Giustizia UE (9 novembre 2017, in C-298/16, § 35 e giurisprudenza ivi citata) ha affermato, il diritto al contraddittorio procedimentale e al rispetto dei diritti della difesa non è una prerogativa assoluta, ma può soggiacere a restrizioni, a condizione che “queste rispondano effettivamente a obiettivi di interesse generale perseguiti dalla misura di cui trattasi e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato e inaccettabile, tale da ledere la sostanza stessa dei diritti così garantiti”. Conseguentemente -secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato formatasi prima della entrata in vigore della riforma del 2021 (art. 48, comma 1, lettera a), n. 2), d.l. n. 152 del 2021) -il principio del contraddittorio, valevole in ambiti ordinari, in materia di interdittiva doveva essere ragionevolmente bilanciato, anche attraverso il suo ridimensionamento, così da dare ingresso ad interessi antagonistici di pari rango dettati dalla necessità di arginare il fenomeno mafioso che, per la sua estrema insidiosità, aumenta gravemente il rischio di vanificare il complesso lavoro degli organi deputati alle indagini. L’esigenza di assicurare il suddetto bilanciamento aveva indotto il legislatore -fino alle modifiche introdotte dall’art. 48, comma 1, lettera a), n. 2), d.l. n. 152 del 2021 -a non prevedere, all’interno del sistema regolatorio conchiuso del Codice antimafia, l’obbligo di una preventiva comunicazione di avvio del procedimento evidentemente in ragione del fatto che più si avanzano le garanzie partecipative più è concreto il rischio che la discovery anticipata di elementi o notizie a disposizione degli inquirenti ponga nel nulla gli sforzi e le risultanze raggiunte. tanto proprio a cagione della natura subdola, insidiosa, a volte silente, del fenomeno mafioso posto che l’autorità amministrativa, nelle parole della Corte costituzionale, ha il compito di “prevenire tali evenienze, con un costante monitoraggio del fenomeno, la conoscenza delle sue specifiche manifestazioni, la individuazione e valutazione dei relativi sintomi, la rapidità di intervento” (Corte cost. 26 marzo 2020, n. 57), rapidità necessitata dalla capacità delle mafie di rimescolare gli elementi disponibili fino a far scomparire quelle che già erano tracce, sintomi, segni di conoscenza spesso solo indiretta. Ritiene il Collegio che la circostanza che lo stesso Legislatore abbia inteso procedimentalizzare la partecipazione del soggetto destinatario del provvedimento interdittivo porta a ritenere ContEnzIoSo nAzIonALE le deroghe all’obbligo di dare comunicazione di inizio del procedimento circoscritte ai soli casi di effettivo e dimostrato carattere di urgenza nonché ad un quadro fattuale talmente chiaro da rendere siffatta comunicazione solo foriera di inutile rallentamento nella definizione del procedimento. tale seconda circostanza si è verificata nel caso di specie, in considerazione dei gravi indizi di pregnanza e contiguità agli ambienti della criminalità organizzata, come illustrati nel provvedimento prefettizio ed in questa sede confermati, tali da rendere superflua la fase partecipativa risultando evidenti i presupposti per concludere che è “più probabile che non” il collegamento soggiacente alla criminalità organizzata (in particolar modo al clan omissis). 5. non è suscettibile di positiva valutazione il secondo motivo di appello. Rileva il Collegio l’inconferenza del richiamo al decreto n. omissis, con il quale il tribunale di napoli -Sezione Misure di prevenzione ha riammesso la omissis al controllo giudiziario ex art. 34-bis, d.lgs. n. 159 del 2011. Appare dirimente ed assorbente il rilievo, nel merito, per cui la valutazione del giudice della prevenzione penale si fonda su parametri non sovrapponibili alla ricognizione probabilistica del rischio di infiltrazione, che costituisce invece presupposto del provvedimento prefettizio, e rispetto ad essa si colloca in un momento successivo. non è pertanto casuale che nella sistematica normativa il controllo giudiziario (e le relative valutazioni: inclusa quella sull’ammissione) presupponga l’adozione dell’informativa: rispetto alla quale rappresenta un post factum (Cons. Stato, sez. III, 29 novembre 2023, n. 10279). Pretendere di sindacare la legittimità del provvedimento prefettizio alla luce delle risultanze della (successiva) delibazione di ammissibilità al controllo giudiziario, finalizzato proprio ad un’amministrazione dell’impresa immune da (probabili) infiltrazioni criminali, appare dunque operazione doppiamente viziata: perché inevitabilmente diversi sono gli elementi (anche fattuali) considerati -anche sul piano diacronico -nelle due diverse sedi, ma soprattutto perché diversa è la prospettiva d’indagine, id est l’individuazione dei parametri di accertamento e di valutazione dei legami con la criminalità organizzata (Cons. Stato, sez. III, n. 1049 del 2021). Analogamente, la valutazione finale del giudice della prevenzione penale si riferisce alla funzione tipica di tale istituto, che è un controllo successivo all’adozione dell’interdittiva, ed ha riguardo alle sopravvenienze rispetto a tale provvedimento (Cons. Stato, sez. III, n. 319 del 2021). Giova aggiungere che, come chiarito dalla Sezione (14 luglio 2023, n. 6896), non merita adesione la tesi secondo la quale il giudizio di pericolo di esposizione a forme di condizionamento malavitoso delle imprese, per come affermato e motivato nelle informazioni interdittive impugnate, debba o possa essere confutato alla luce degli svolgimenti e delle sopravvenienze intervenuti nella parallela sede penale e delle misure di prevenzione e di controllo giudiziario, poiché un tale approccio condurrebbe a un’impropria sovrapposizione ex post del giudizio dell’Autorità giudiziaria penale alla valutazione compiuta ex ante dall’Autorità prefettizia. 5. Quanto ai presupposti indicati dalla Prefettura alla base del provvedimento del gennaio 2023 vale premettere che elemento fondante il diniego di iscrizione alla White list e l’interdittiva è la sussistenza di “eventuali tentativi” di infiltrazione mafiosa “tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate”. Eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa e tendenza di questi ad influenzare la gestione dell’impresa sono nozioni che delineano una fattispecie di pericolo, propria del diritto della prevenzione, finalizzato, appunto, a prevenire un evento che, per la stessa scelta del legislatore, non necessariamente è attuale, o inveratosi, ma anche solo potenziale, purché desumibile da elementi non meramente immaginari o aleatori. RASSEGnA AVVoCAtURA DELLo StAto -n. 2/2023 Il pericolo di infiltrazione mafiosa è, dunque, la probabilità che si verifichi l’evento. L’introduzione delle misure di prevenzione, come quelle qui in esame, è stata dunque la risposta cardine dell’ordinamento per attuare un contrasto all’inquinamento dell’economia sana da parte delle imprese che sono strumentalizzate o condizionate dalla criminalità organizzata. In tale direzione la verifica della legittimità del diniego di iscrizione alla White list deve essere effettuata sulla base di una valutazione unitaria (e non atomistica, cosicché ciascuno di essi acquisti valenza nella sua connessione con gli altri) degli elementi e dei fatti che, visti nel loro complesso, possono costituire una ipotesi ragionevole e probabile di permeabilità della singola impresa ad ingerenze della criminalità organizzata di stampo mafioso sulla base della regola causale del “più probabile che non”, integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali (qual è quello mafioso), e che risente della estraneità al sistema delle informazioni antimafia di qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio (Cons. Stato, sez. III, 31 gennaio 2024, n. 999; id. 31 gennaio 2024, n. 964; id. 5 gennaio 2024, n. 193). Da quanto sopra esposto consegue che in relazione sia all’interdittiva che al diniego di iscrizione nella White list -iscrizione che presuppone la stessa accertata impermeabilità alla criminalità organizzata -è sufficiente il pericolo di infiltrazione mafiosa fondato su un numero di indizi tale da rendere logicamente attendibile la presunzione dell’esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata. 6. Ciò chiarito, e passando all’esame del complesso di elementi a supporto del provvedimento del gennaio 2023 -che ne costituiscono l’impianto motivazionale -ricorda il Collegio che non rileva la circostanza che alcuni fatti richiamati nell’interdittiva sono risalenti nel tempo e ciò in quanto l’interdittiva antimafia può essere legittimamente fondata anche su fatti che sono datati, purché dall’analisi complessiva delle vicende esaminate emerga, comunque, un quadro indiziario che sia idoneo a giustificare il necessario giudizio di attualità e di concretezza del pericolo di infiltrazione mafiosa (Cons. Stato, sez. V, 11 aprile 2022, n. 2712; id. 6 giugno 2022, n. 4616). tale conclusione, con riferimento alla circostanza che omissis sia stato controllato con soggetti vicini alla criminalità organizzata, è rafforzata dalla pluralità di tali episodi, indice dell’abitualità della frequentazione di soggetti gravati da precedenti penali. Ai fini di considerare “più probabile che non” la vicinanza della omissis alla criminalità organizzata, attraverso i suoi soci, è anche il rapporto di parentela con soggetti vicini a tali ambienti. Ed invero, la “più probabile che non” vicinanza del socio unico della omissis al clan locale è evidente, attraverso rapporti di parentela con omissis (controllato a bordo di una autovettura con omissis, pluripregiudicato vicino al clan omissis) nonchè con omissis (familiare convivente di omissis), moglie di omissis; il direttore tecnico della omissis, è convivente con omissis (controllato in occasione di accertamenti effettuati per identificare soggetti vicini e/o fiancheggiatori di omissis, detenuto e ritenuto elemento gravitante in organizzazioni criminali). La Corte costituzionale (sentenza n. 57 del 26 marzo 2020) ha fatto riferimento a situazioni indiziarie, che sviluppano e completano le indicazioni legislative, costruendo un sistema di tassatività sostanziale, individuate da questa Sezione. tra queste: i provvedimenti “sfavorevoli” del giudice penale; le sentenze di proscioglimento o di assoluzione, da cui pure emergano valutazioni del giudice competente su fatti che, pur non superando la soglia della punibilità penale, sono però sintomatici della contaminazione mafiosa; la proposta o il provvedimento di applicazione di taluna delle misure di prevenzione previste dallo stesso d.lgs. n. 159 del 2011; i rapporti di parentela, laddove assumano una intensità tale da far ritenere una conduzione familiare ContEnzIoSo nAzIonALE e una “regia collettiva” dell’impresa, nel quadro di usuali metodi mafiosi fondati sulla regia “clanica”; i contatti o i rapporti di frequentazione, conoscenza, colleganza, amicizia; le vicende anomale nella formale struttura dell’impresa e nella sua gestione, incluse le situazioni in cui la società compie attività di strumentale pubblico sostegno a iniziative, campagne antimafia, antiusura, antiriciclaggio, allo scopo di mostrare un “volto di legalità” idoneo a stornare sospetti o elementi sostanziosi sintomatici della contaminazione mafiosa; la condivisione di un sistema di illegalità, volto ad ottenere i relativi “benefici”; l’inserimento in un contesto di illegalità o di abusivismo, in assenza di iniziative volte al ripristino della legalità. A supportare il provvedimento interdittivo sono dunque sufficienti anche i rapporti di parentela, laddove assumano una intensità tale da far ritenere una conduzione familiare e una “regia collettiva” dell’impresa, nel quadro di usuali metodi mafiosi fondati sulla regia “clanica”. Proprio con riferimento ai rapporti di parentela tra titolari, soci, amministratori, direttori generali dell’impresa e familiari che siano soggetti affiliati, organici, contigui alle associazioni mafiose, la Sezione (29 maggio 2023, n. 5227; 7 febbraio 2018, n. 820) ha chiarito che l’Amministrazione può dare loro rilievo laddove tale rapporto, per la sua natura, intensità o per altre caratteristiche concrete, lasci ritenere, per la logica del “più probabile che non”, che l’impresa abbia una conduzione collettiva e una regia familiare (di diritto o di fatto, alla quale non risultino estranei detti soggetti) ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia attraverso la famiglia, o da un affiliato alla mafia mediante il contatto con il proprio congiunto. nei contesti sociali in cui attecchisce il fenomeno mafioso, all’interno della famiglia si può verificare una “influenza reciproca” di comportamenti e possono sorgere legami di cointeressenza, di solidarietà, di copertura o quanto meno di soggezione o di tolleranza; una tale influenza può essere desunta non dalla considerazione (che sarebbe in sé errata e in contrasto con i principi costituzionali) che il parente di un mafioso sia anch’egli mafioso, ma per la doverosa considerazione, per converso, che la complessa organizzazione della mafia ha una struttura clanica, si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della ‘famiglia’, sicché in una ‘famiglia’ mafiosa anche il soggetto, che non sia attinto da pregiudizio mafioso, può subire, nolente, l’influenza del ‘capofamiglia’ e dell’associazione. hanno dunque rilevanza circostanze obiettive (a titolo meramente esemplificativo, ad es., la convivenza, la cointeressenza di interessi economici, il coinvolgimento nei medesimi fatti, che pur non abbiano dato luogo a condanne in sede penale) e rilevano le peculiari realtà locali, ben potendo l’Amministrazione evidenziare come sia stata accertata l’esistenza -su un’area più o meno estesa -del controllo di una ‘famiglia’ e del sostanziale coinvolgimento dei suoi componenti. 7. Quanto agli esiti dei giudizi penali (è richiamato dalla appellante, ad es., il proscioglimento di omissis) va rilevato che la misura cautelare di cui trattasi mira a prevenire e a impedire sul nascere meri tentativi di condizionamento malavitoso della gestione dell’impresa o di esposizione dell’impresa al pericolo concreto di infiltrazione della malavita organizzata, mentre il processo penale mira ad accertare e reprimere reati consumati o tentati; la misura interdittiva richiede, per la sua legittima adozione, solo la presenza di un quadro indiziario significativo dei suddetti tentativi o della suddetta esposizione al pericolo di condizionamento, acquisito sulla base dei poteri di accertamento riconducibili all’Autorità di prevenzione, mentre la condanna penale richiede la piena prova del reato, in tutte le componenti della sua fattispecie, oltre ogni ragionevole dubbio, sulla base dei pieni e illimitati poteri di indagine e di accertamento propri della sede penale. Si tratta, dunque, di due realtà giuridiche distinte, temporalmente distanti e di regola non commensurabili. RASSEGnA AVVoCAtURA DELLo StAto -n. 2/2023 Di conseguenza, la consolidata giurisprudenza amministrativa formatasi in questa materia (da ultimo, Cons. Stato, sez. III, 22 novembre 2023, n. 9982), dalla quale il Collegio non intende discostarsi, correttamente distingue nettamente le due aree di intervento e le diverse procedure, quella (amministrativa) della prevenzione in funzione di tutela della pubblica sicurezza, che costituisce la soglia di massimo avanzamento della prevenzione, rispetto a quella (giudiziaria) della repressione dei reati commessi (Corte cost. nn. 180 e 118 del 2022; n. 178 del 2021; n. 57 del 2020; Cons. Stato, Ad. plen., 6 aprile 2018, n. 3; id., sez. III, 4 gennaio 2022, n. 21; id., sez. I, pareri, 20 marzo 2023, n. 487). Altrettanto pacifica è la condivisa giurisprudenza che ha chiarito che gli elementi posti a base dell’informativa possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o, addirittura e per converso, possono essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione (Cons. Stato, sez. III, 22 maggio 2023, n. 5024; 16 maggio 2023, n. 4856; 29 settembre 2022, n. 9558). Se la logica e la ragion d’essere stessa dell’istituto delle informazioni antimafia consistono nella massima anticipazione, in funzione preventiva, della reazione dell’ordinamento alle prime manifestazioni di possibili tentativi di infiltrazione malavitosa nella conduzione e negli indirizzi dell’impresa, allora è da respingere l’idea che gli sviluppi e le acquisizioni successivi alla data di adozione dell’informativa interdittiva, emersi e acquisiti nella sede penale, possano o debbano essere posti a raffronto con le considerazioni e i giudizi in precedenza espressi dal Prefetto e fungere da parametro di giudizio ex post della legittimità dell’interdittiva stessa (Cons. Stato, sez. III, 22 novembre 2023, n. 9982). Vale aggiungere che tali conclusioni non implicano che i suddetti sviluppi ed esiti siano assolutamente irrilevanti o non debbano essere presi in alcuna considerazione dal Giudice amministrativo, ma solo che possono incidere sul giudizio di legittimità soltanto quando forniscano la prova certa ed evidente di un macroscopico errore originario di cognizione del fatto e di giudizio nel quale sia incorsa l’Autorità prefettizia, ipotesi che, a giudizio del Collegio, non ricorre nella fattispecie concreta qui in esame. Come chiarito dalla Sezione (14 luglio 2023, n. 6896), non merita adesione la tesi secondo la quale il giudizio di pericolo di esposizione a forme di condizionamento malavitoso delle imprese, per come affermato e motivato nelle informazioni interdittive impugnate, debba o possa essere confutato alla luce degli svolgimenti e delle sopravvenienze intervenuti nella parallela sede penale e delle misure di prevenzione e di controllo giudiziario, poiché un tale approccio condurrebbe a un’impropria sovrapposizione ex post del giudizio dell’Autorità giudiziaria penale alla valutazione compiuta ex ante dall’Autorità prefettizia. In tal senso la Sezione ha più volte sottolineato (sentenza 16 giugno 2022, n. 4912) che l’impugnazione dell’interdittiva antimafia si configura quale giudizio non sul rapporto ma sull’atto, la cui legittimità va scrutinata alla stregua del canone tempus regit actum, sulla base dello stato di fatto e di diritto sussistente al momento della sua adozione (sentenza 12 settembre 2023, n. 8269). Pertanto, sono tendenzialmente irrilevanti, in punto di scrutinio della legittimità dell’informativa adottata anche sulla base di atti emanati dalla Autorità giudiziaria penale, le successive vicende del medesimo procedimento penale, fatta salva la facoltà per la parte interessata di avanzare, sulla base delle stesse sopravvenienze, una motivata istanza di riesame della misura interdittiva (ord. 19 maggio 2023, n. 2013). Ed invero, ciò che retrospettivamente -alla luce degli approfondimenti probatori successivamente effettuati nella sede penale e nella sede delle misure di controllo giudiziario di competenza dell’Autorità giudiziaria -può perdere di consistenza o rivelarsi non assistito da sufficienti ContEnzIoSo nAzIonALE basi probatorie, ben può, invece, se considerato dall’angolo prospettico anticipatorio della Prefettura e nel momento temporale dell’adozione della misura interdittiva, risultare più che sufficiente a sorreggere la logicità, la razionalità e dunque la legittimità della misura adottata. naturalmente le sopravvenienze rilevano prospetticamente de futuro, in quanto premessa e presupposto di una revisione, da parte della competente Autorità prefettizia, della posizione dell’impresa prevenuta, essendo espressamente previsto dalla normativa di settore l’aggiornamento periodico, anche su domanda di parte (art. 91, comma 5, ultimo periodo, del codice delle leggi antimafia, secondo cui “il Prefetto, anche sulla documentata richiesta dell’interessato, aggiorna l’esito dell’informazione al venir meno delle circostanze rilevanti ai fini dell’accertamento dei tentativi di infiltrazione mafiosa”). Ciò che risulta del resto essere fisiologicamente avvenuto nel caso di specie, nel quale la Prefettura di napoli ha adottato l’interdittiva e negato l’iscrizione della omissis nell’elenco dei fornitori di beni, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa. Ed è proprio in tale “dinamicità” intrinseca al sistema delle misure di prevenzione antimafia che -come si ribadirà più avanti -si coglie il punto di equilibrio e di raccordo tra prevenzione, meccanismi di accompagnamento e di sostegno al risanamento e alla bonifica dell’impresa e accertamento penale dei reati. Alla luce dei criteri di giudizio ora richiamati il Collegio giudica dunque infondata e da respingere la censura, dedotta e riproposta nell’appello e nella memoria di parte appellante, volta a utilizzare le sopravvenienze penali per dimostrare una supposta illegittimità della interdittiva impugnata. 8. non costituisce prova della illegittimità del provvedimento prefettizio la circostanza che signor omissis abbia ottenuto il porto d’armi, circostanza questa che può al più giustificare una nuova verifica, da parte dell’Autorità competente, dell’esistenza dei presupposti per il rilascio del titolo, anch’esso di natura cautelare e dunque fondato sulla mancanza di qualsiasi pericolo di abuso e sulla rispecchiata figura del richiedente. Il porto d’armi può essere riconosciuto soltanto a fronte della perfetta e completa sicurezza circa il loro buon uso, in modo da scongiurare dubbi o perplessità, sotto il profilo prognostico, per l’ordine pubblico e per la tranquilla convivenza della collettività (Cons. Stato, sez. III, 20 gennaio 2023, n. 726). 9. Gli elementi sopra rappresentati, letti in una visione unitaria e non atomistica, sono sufficienti a supportare l’impugnato diniego di iscrizione nella White list e l’interdittiva, con la conseguenza che il Collegio può prescindere dall’esaminare gli ulteriori singoli fatti contestati dall’appellante (ad es. avere o meno reagito all’estorsione), la cui fondatezza non sarebbe in grado di incidere sulla conclusione alla quale è pervenuto il Prefetto di napoli. Gli elementi di fatto valorizzati dal provvedimento prefettizio devono essere, infatti, valutati non atomisticamente, ma in chiave unitaria, secondo il canone inferenziale -che è alla base della teoria della prova indiziaria -quae singula non prosunt, collecta iuvant, al fine di valutare l’esistenza o meno di un pericolo di una permeabilità dell’impresa dell’appellante a possibili tentativi di infiltrazione da parte della criminalità organizzata, secondo la valutazione di tipo induttivo che la norma attributiva rimette al potere cautelare dell’amministrazione, il cui esercizio va scrutinato alla stregua. 10. In conclusione, il coacervo di indizi che resistono ai motivi di appello sono sufficienti a supportare l’impugnata interdittiva. Come si è detto, la verifica della legittimità dell’informativa deve essere effettuata sulla base di una valutazione unitaria degli elementi e dei fatti che, visti nel loro complesso, possono costituire un’ipotesi ragionevole e probabile di permeabilità della singola impresa ad ingerenze RASSEGnA AVVoCAtURA DELLo StAto -n. 2/2023 della criminalità organizzata di stampo mafioso sulla base della regola causale del “più probabile che non”, integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali (qual è quello mafioso), e che risente della estraneità al sistema delle informazioni antimafia di qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio (Cons. Stato, sez. III, 20 aprile 2022, n. 2985; id. 18 aprile 2018, n. 2343). 11. L’infondatezza dei motivi dedotti avverso l’interdittiva del 9 gennaio 2023 comporta la conferma dei provvedimenti di revoca degli otto finanziamenti disposti in data 16 gennaio 2023 da omissis e della aggiudicazione disposta dal Comune di omissis con provvedimento n. omissis, nonché della annotazione al casellario informatico disposta dall’A.n.A.C., tutti impugnati per illegittimità derivata dalla asserita illegittimità del provvedimento prefettizio. 12. Le questioni vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c. Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati, infatti, dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e, comunque, inidonei a supportare una conclusione di segno diverso. 13. Per il coacervo di ragioni sopra esposte l’appello deve essere respinto. Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese e degli onorari del giudizio nei confronti delle parti costituite e per esonerare dalla rifusione delle spese nei confronti del Comune di omissis e della Autorità nazionale Anticorruzione -A.n.A.C., non costituiti in giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Compensa le spese e gli onorari del giudizio nei confronti del Ministero dell’interno e del- l’Ufficio territoriale del Governo di napoli e della omissis s.p.a.; nulla per le spese nei confronti del Comune di omissis e della Autorità nazionale Anticorruzione -A.n.A.C. ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare parte appellante. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 gennaio 2024. PareridelComitatoConsultivo Provvedimento di rigetto dell’istanza d’iscrizione nelle White lists prefettizie ex art. 1, co. 52 bis l. n. 190/12 e conseguenze in tema di revoca delle concessioni di sovvenzioni, finanziamenti e contributi pubblici Parere del 22/12/2023-799040, al 34327/2023, avv. Giacomo aiello Con la nota che si riscontra codesto Ministero ha richiesto alla Scrivente un parere in relazione alle determinazioni da assumere nei confronti di un operatore economico beneficiario di un contributo pubblico nei cui confronti venga adottato un provvedimento di diniego di iscrizione nell’elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori non soggetti a tentativo d’infiltrazione mafiosa (cd. White list) (1). Più in particolare codesto Ufficio ha chiesto se si debba procedere alla revoca dell’agevolazione sempre e comunque, ma entro il termine di prescrizione indicandosi nell’eventualità il termine della sua decorrenza, oppure se si debba considerare consolidata la posizione giuridica del privato in virtù del principio del legittimo affidamento ed in quali specifici casi e limiti. In considerazione degli aspetti trattati si è ritenuto opportuno estendere il quesito al Ministero dell’Interno, per la parte di sua competenza, il quale ha espresso il proprio avviso con nota del 7 novembre 2023 estesa per conoscenza a codesto Ufficio. Il predetto dicastero, nel ribadire che i contributi pubblici possono essere erogati solo se il beneficiario è in regola con la normativa antimafia e che gli stessi devono essere quindi revocati quando un’interdittiva antimafia venga emessa successivamente all’assegnazione del contributo, ha concluso in via generale che l’impresa beneficiaria del contributo non può invocare (1) Disciplinate dal DPCM 18 aprile 2013 entrato in vigore il 14 agosto 2013. rASSeGnA AvvOCAtUrA DeLLO StAtO -n. 2/2023 una tutela dell’affidamento nelle ipotesi in cui il quadro indiziario emerso dalle informative antimafia sia tale da lasciare intravedere il pericolo di infiltrazioni malavitose. Sulla base degli elementi di valutazione raccolti in esito all’istruttoria svolta, al fine di rispondere ai predetti quesiti appare preliminarmente necessario richiamare la disciplina applicabile ai casi di specie. Il primo comma dell’art. 67 del D.lgs. n. 159/2011 prevede che “le persone alle quali sia stata applicata con provvedimento definitivo una delle misure di prevenzione previste dal libro i, titolo i, capo ii non possono ottenere: a) licenze o autorizzazioni di polizia e di commercio; b) concessioni di acque pubbliche e diritti ad esse inerenti nonché concessioni di beni demaniali allorché siano richieste per l’esercizio di attività imprenditoriali; c) concessioni di costruzione e gestione di opere riguardanti la pubblica amministrazione e concessioni di servizi pubblici; d) iscrizioni negli elenchi di appaltatori o di fornitori di opere, beni e servizi riguardanti la pubblica amministrazione, nei registri della camera di commercio per l’esercizio del commercio all’ingrosso e nei registri di commissionari astatori presso i mercati annonari all’ingrosso; e) attestazioni di qualificazione per eseguire lavori pubblici; f) altre iscrizioni o provvedimenti a contenuto autorizzatorio, concesso- rio, o abilitativo per lo svolgimento di attività imprenditoriali, comunque denominati; g) contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali; h) licenze per detenzione e porto d’armi, fabbricazione, deposito, vendita e trasporto di materie esplodenti”. L’applicazione delle speciali misure di prevenzione è regolata dagli articoli da 4 a 9 del D.lgs. 159/2011 e rientra nella competenza dell’AGO. Il primo comma dell’art. 83 del medesimo D.lgs. n. 159/2011 impone invece alle “pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici, anche costituiti in stazioni uniche appaltanti, gli enti e le aziende vigilati dallo Stato o da altro ente pubblico e le società o imprese comunque controllate dallo Stato o da altro ente pubblico nonché i concessionari di lavori o di servizi pubblici”, di acquisire la documentazione antimafia di cui all’articolo 84 prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti relativi a lavori, servizi e forniture pubblici, ovvero prima di rilasciare o consentire i provvedimenti indicati nell’articolo 67. L’art. 84 D.lgs. 159/2011 distingue poi tra comunicazione ed informativa antimafia. PArerI DeL COMItAtO COnSULtIvO Mentre la prima consiste nell’attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’articolo 67, la seconda coincide con la prima per quanto riguarda l’attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’articolo 67, a cui però si aggiunge, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 91, comma 6, l’attestazione della sussistenza o meno di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate indicati nel comma 4 (2). Quest’ultimo descrive il tentativo di infiltrazione mafiosa nell’ambito delle seguenti fattispecie: “le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa che danno luogo all’adozione dell’informazione antimafia interdittiva di cui al comma 3 sono desunte: a) dai provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il giudizio, ovvero che recano una condanna anche non definitiva per taluni dei delitti di cui agli articoli 353, 353-bis, 603-bis, 629, 640-bis, 644, 648-bis, 648-ter del codice penale, dei delitti di cui all’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale e di cui all’articolo 12-quinquies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356; (224) b) dalla proposta o dal provvedimento di applicazione di taluna delle misure di prevenzione; c) salvo che ricorra l’esimente di cui all’articolo 4 della legge 24 novembre 1981, n. 689, dall’omessa denuncia all’autorità giudiziaria dei reati di cui agli articoli 317 e 629 del codice penale, aggravati ai sensi dell’articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, da parte dei soggetti indicati nella lettera b) dell’articolo 38 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, anche in assenza nei loro confronti di un procedimento per l’applicazione di una misura di prevenzione o di una causa ostativa ivi previste; d) dagli accertamenti disposti dal prefetto anche avvalendosi dei poteri (2) Il sistema della informativa disciplinato dall’art. 10, commi 2 e 7, del d.P.r. 3 giugno 1998 n. 252 e dall’art. 4, commi 4 e 6 del d.lg. 8 agosto 1994, n. 490, costituisce la massima anticipazione di tutela preventiva intesa come risposta dello Stato verso il crimine organizzato, al fine di difendere le istituzioni e, conseguentemente, la collettività, da organizzazioni criminali come la mafia, che si caratterizzano per il peculiare «mimetismo» che consente loro di agire, per lo più, non militarmente contro le istituzioni democratiche, ma sforzandosi di condizionarne l’operato, piegandolo ai propri interessi ed aumentando così, per tale tramite, la propria capacità eversiva e di controllo criminale del territorio; proprio in ragione delle peculiarità del fenomeno mafioso, l’informazione prefettizia prescinde dall’accertamento, in sede penale, di uno o più reati connessi all’associazione di tipo mafioso e non richiede, non postula la prova di fatti di reato o della effettiva infiltrazione mafiosa nell’impresa, essendo sufficiente il «tentativo di infiltrazione», avente lo scopo di condizionare le scelte dell’impresa, anche se tale scopo non si è in concreto realizzato; pur tuttavia è insufficiente a fondare l’informativa antimafia la circostanza che tre soci della impresa oggetto di valutazione siano in rapporto di parentela o affinità con soggetti imputati di reati di mafia, in mancanza di ulteriori elementi idonei, o anche semplici indizi significativi (t.a.r. Catania, sez. Iv, 22 maggio 2009, n. 941). rASSeGnA AvvOCAtUrA DeLLO StAtO -n. 2/2023 di accesso e di accertamento delegati dal ministro dell’interno ai sensi del decreto-legge 6 settembre 1982, n. 629, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 ottobre 1982, n. 726, ovvero di quelli di cui all’articolo 93 del presente decreto; e) dagli accertamenti da effettuarsi in altra provincia a cura dei prefetti competenti su richiesta del prefetto procedente ai sensi della lettera d); f) dalle sostituzioni negli organi sociali, nella rappresentanza legale della società nonché nella titolarità delle imprese individuali ovvero delle quote societarie, effettuate da chiunque conviva stabilmente con i soggetti destinatari dei provvedimenti di cui alle lettere a) e b), con modalità che, per i tempi in cui vengono realizzati, il valore economico delle transazioni, il reddito dei soggetti coinvolti nonché le qualità professionali dei subentranti, denotino l’intento di eludere la normativa sulla documentazione antimafia”. Giova in proposito rammentare che l’informativa antimafia ex art. 10 comma 7 lett. c), d.P.r. n. 252 del 1998 ha per oggetto la individuazione di circostanze dalle quali l’autorità prefettizia trae un giudizio che è di sola “possibilità” che le organizzazioni criminali esercitino influenza nella gestione dell’impresa. rispetto all’informativa antimafia infatti, “il giudice amministrativo è chiamato a valutare la gravità del quadro indiziario, posto a base della valutazione prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, e il suo sindacato sull’esercizio del potere prefettizio, con un pieno accesso ai fatti rivelatori del pericolo, consente non solo di sindacare l’esistenza o meno di questi fatti, che devono essere gravi, precisi e concordanti, ma di apprezzare la ragionevolezza e la proporzionalità della prognosi inferenziale che l’autorità amministrativa trae da quei fatti secondo un criterio che, necessariamente, è probabilistico per la natura preventiva, e non sanzionatoria, della misura in esame” (t.a.r. Catanzaro, sez. I, 6 febbraio 2023, n. 185; t.a.r. Catania, Sez. Iv, 14 febbraio 2023, n. 444). Per l’interdittiva antimafia non è infatti richiesta la prova dell’attualità delle infiltrazioni mafiose, dovendosi solo dimostrare la sussistenza di elementi dai quali è deducibile, secondo il principio del “più probabile che non” il tentativo di ingerenza, o una concreta verosimiglianza dell’ipotesi di condizionamento sulla società da parte di soggetti uniti da legami con cosche mafiose, e dell’attualità e concretezza del rischio (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 22 maggio 2023, n. 5024; Sez. III, 1 dicembre 2023, n. 10427). In forza di tale giudizio, qualora giustificato da circostanze oggettive, l’ordinamento ammette che l’ordinaria capacità d’agire dell’operatore economico venga sottoposta ad un limite autoritativo, che impedisce la conclusione di contratti con la p.a. Più in particolare si è ritenuto che il provvedimento di interdittiva antimafia determina una particolare forma di incapacità ex lege, parziale (in quanto PArerI DeL COMItAtO COnSULtIvO limitata a specifici rapporti giuridici con la PA) e tendenzialmente temporanea, il che impedisce al soggetto che ne è attinto di pretendere somme anche di natura risarcitoria e perfino scaturenti dall’actio judicati (Consiglio di Stato, Ad. Plen., 6 aprile 2018, n. 3) (3). tuttavia, in quanto volto a prevenire un rischio, l’apprezzamento dell’Autorità ha ad oggetto tipicamente un giudizio di pericolo, che concretizza l’anticipazione della soglia di tutela ad un livello di sicurezza particolarmente elevato, fondato su presupposti di carattere prognostico e probabilistico, ma non di certezza, né -quanto all’oggetto -di accertamento di una condizione effettiva di interrelazione tra l’imprenditore ed ambienti criminali. In altre parole, l’effetto tipico dell’interdittiva è non già l’accertamento della “criminalità” dell’imprenditore o della sua vicinanza collaborativa con organizzazioni criminali, bensì la individuazione del solo “rischio” che l’impresa non sia libera di determinarsi. trattandosi di un giudizio circa un pericolo concreto e non astratto, esso va condotto secondo i rigorosi limiti che il Legislatore attribuisce all’istituto, tra i quali (oltre quello che richiede, in presenza di una fattispecie di illecito a forma libera, una motivazione “forte” del provvedimento, a bilanciamento di una previsione normativa corrispondentemente “povera”, ossia non compiutamente tipizzata dal legislatore) quello che prevede che l’esercizio del potere interdittivo sia riservato a contratti di valore al di sopra di una certa soglia (t.a.r. reggio Calabria, sez. I, 13 febbraio 2012, n. 147). La giurisprudenza amministrativa è pervenuta nel corso del tempo alla conclusione pressocchè unanime che: “il diniego di iscrizione nell’elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa (la c.d. white list) è disciplinato dagli stessi principi che regolano l’interdittiva antimafia, in quanto si tratta di misure volte alla salvaguardia del- l’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della Pubblica amministrazione. in relazione al diniego di iscrizione nella white list, è sufficiente il pericolo di infiltrazione mafiosa fondato su un numero di indizi tale da rendere logicamente attendibile la presunzione del- l’esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata” (Cfr. da ultimo t.a.r. Catania sez. Iv 14 febbraio 2023, n. 414) (4). (3) In proposito è opportuno rammentare che l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato si è pronunciata in relazione ad un’ipotesi nella quale si discuteva della possibilità di erogare somme di danaro spettanti a titolo di risarcimento del danno in favore di un soggetto attinto prima della definizione del giudizio risarcitorio da un’informativa antimafia conosciuta solo successivamente alla formazione del giudicato e taciuta dal soggetto stesso. (4) Il diniego di iscrizione nell’elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa é disciplinato dagli stessi principi che regolano l’interdittiva antimafia, in quanto si tratta di misure volte alla salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della Pubblica amministrazione (Consiglio di Stato sez. III 9 aprile 2021, n. 2899). rASSeGnA AvvOCAtUrA DeLLO StAtO -n. 2/2023 Analoghi principi sono stati affermati dal Giudice penale il quale ha statuito che: “in materia di misure di prevenzione, la richiesta di controllo giudiziario dell’azienda ai sensi dell’art. 34-bis, comma 6, d.lg. 6 settembre 2011, n. 159, può essere proposta dal destinatario del rigetto della richiesta di iscrizione nelle cd. “white list” o del suo rinnovo, in ragione dell’equivalenza dei presupposti legittimanti il diniego di quella iscrizione con quelli a fondamento dell’interdittiva antimafia” (Cassazione penale sez. II 17 novembre 2022, n. 2156). Lo scopo della normativa appare comunque quello di realizzare un bilanciamento tra i valori costituzionali della salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della Pubblica amministrazione (conf. Cassazione penale, sez. II, 17 novembre 2022, n. 2156; t.a.r., roma, sez. II, 28 febbraio 2023, n. 3385). Una volta appurata la sostanziale equivalenza tra l’informativa antimafia interdittiva ed il diniego d’iscrizione nella white list (5), occorre valutare gli effetti di quest’ultimo nel rapporto giuridico che si instaura a seguito del riconoscimento di una contribuzione pubblica in favore di un operatore economico, secondo le varie scansioni temporali in cui si articola la sua erogazione. Se infatti appare pacifico che, quando il diniego interviene dopo l’emissione del decreto di riconoscimento del contributo, ma prima della sua concreta erogazione, è sufficiente disporne la revoca, un maggiore approfondimento meritano le diverse ipotesi nelle quali vi sia stata anche la parziale o totale erogazione del contributo. nel caso di parziale erogazione del contributo, il diniego d’iscrizione nella white list impedirà il pagamento delle rate successive e determinerà l’obbligo di recupero di quanto già versato. Quando invece il contributo sia stato già erogato nella sua interezza, bisogna anzitutto precisare che non può essere legittimamente evocata alcuna lesione dell’affidamento dell’interessato laddove l’interdittiva prefettizia sia stata comminata prima ancora che l’intera cifra finanziata fosse corrisposta e la successiva revoca del finanziamento si è sì perfezionata a distanza di tempo, ma in ragione della necessità di attendere gli esiti dei ricorsi legittimamente L’informazione antimafia e con essa i conseguenti provvedimenti negativi, quali il diniego di iscrizione nelle c.d. White list, implica una valutazione discrezionale da parte dell’autorità prefettizia in merito al pericolo di infiltrazione da parte delle organizzazioni criminali, capace di condizionare le scelte e gli indirizzi dell’impresa; pericolo che deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza oltre ogni altro ragionevole dubbio, tipica dell’accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere più probabile che non appunto il pericolo di infiltrazione mafiosa (t.a.r. napoli sez. I 2 febbraio 2021, n. 691). (5) Iscrizione che si rende obbligatoria per tutte le imprese che svolgono le attività indicate nell’art. 1, comma 53 della 1. n. 190/2012. PArerI DeL COMItAtO COnSULtIvO proposti avverso la ripetuta interdittiva (così t.a.r., reggio Calabria sez. I, 11 maggio 2020, n. 332). Più in generale secondo la consolidata giurisprudenza amministrativa, elaborata con riferimento a questi casi, in presenza di informative tipiche successive, le determinazioni amministrative in ordine alla revoca dei finanziamenti per lo svolgimento di attività imprenditoriali assumono di regola carattere vincolato (6), non potendo l’ordinamento tollerare, per evidenti ragioni di ordine pubblico e di tutela dell’Amministrazione dai condizionamenti della criminalità organizzata, la sopravvivenza di rapporti di tipo concessorio con imprese interessate da tentativi di infiltrazione mafiosa (7). Con riferimento, invece, ai rapporti esauriti descritti nella nota che si riscontra, rispetto ai quali sia decorso il termine triennale o quinquennale dalla conclusione/entrata in funzione dell’investimento, del termine di mantenimento obbligatorio dei beni agevolati (legge n. 488/92, Contratti di sviluppo etc.), ovvero vi sia stato l’integrale rimborso del finanziamento agevolato concesso (legge 46/82, PIA Innovazione, etc.), o ancora sia intervenuta l’erogazione delle quote annuali di contributo collegate al piano di ammortamento (nuova Sabatini), occorre valutare se l’eventuale recupero del contributo deve essere contemperato con il principio del legittimo affidamento del suo beneficiario. Occorre anzitutto premettere che per rapporto esaurito si deve intendere quella situazione giuridica consolidata ed intangibile che in relazione alla casistica esaminata si connota per il pieno adempimento delle obbligazioni giuridiche poste a carico del beneficiario del contributo il quale di regola viene accertato a seguito di controlli effettuati dall’Amministrazione sulla rendicontazione degli interventi finanziati. Il pagamento del saldo da parte dell’Amministrazione si accompagna infatti al positivo superamento di tutte le verifiche prescritte dalle singole leggi di spesa. L’esaurimento del rapporto attesta peraltro anche il raggiungimento delle finalità economiche e sociali che le disposizioni di sostegno finanziario della politica industriale intendono conseguire. Applicando i richiamati criteri ermeneutici a queste specifiche fattispecie (6) Il che porta al di fuori dell’ambito della revoca prevista dall’art. 21 quinquies L. n. 241 del 1990 che è un atto di autotutela decisoria, con effetti caducatori ex nunc. (7) La giurisprudenza è del resto pacifica nell’affermare che “è preclusa al soggetto colpito dal- l’interdittiva antimafia ogni possibilità di ottenere contributi, finanziamenti e mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali, stante l’esigenza di evitare ogni esborso di matrice pubblicistica in favore di imprese soggette ad infiltrazioni criminali” (cfr. t.a.r. Lazio roma Sez. Iv, 11 dicembre 2023, n. 18550; Cons. St. Sez. III, 4 marzo 2019, n. 1500, nonché Cons. St. Ad. Plen., 6 aprile 2018, n. 3; t.a.r. Piemonte, Sez. I, 20 gennaio 2020, n. 52). rASSeGnA AvvOCAtUrA DeLLO StAtO -n. 2/2023 si deve ritenere che la speciale incapacità giuridica, accertata a seguito del- l’emissione dell’informativa interdittiva determina l’obbligo della ripetizione del contributo pubblico laddove, la stessa sussista nel momento della concessione o dell’erogazione del saldo del contributo medesimo. Appare corretto riferirsi esclusivamente a tali momenti e non anche al momento di scadenza del termine triennale o quinquennale di mantenimento dell’investimento previsto da talune misure agevolative, ponendosi questa circostanza quale condizione risolutiva dell’efficacia del finanziamento che tuttavia non incide sul suo pieno perfezionamento che risale necessariamente alla sua concessione o dell’erogazione del saldo. rispetto alle ipotesi nelle quali l’informativa interdittiva interviene in un momento successivo all’esaurimento del rapporto, occorre verificare se la stessa dipenda da fatti cronologicamente antecedenti o successivi ai due momenti sopra indicati. nel primo caso dovrà procedersi senza dubbio al recupero del contributo non potendosi opporre alcun legittimo affidamento del soggetto beneficiario posto che la costante giurisprudenza ha chiarito che, in materia di erogazione di fondi, affinché vi sia un affidamento legittimo e, dunque, tutelabile, sono necessari non solo un requisito oggettivo, che coincide con la necessità che il vantaggio sia chiaramente attribuito da un atto all’uopo rivolto e che sia decorso un arco temporale tale da ingenerare l’aspettativa del suo consolidamento, ma anche un requisito soggettivo, che coincide con la buona fede non colposa del destinatario del vantaggio (cfr. Consiglio di Stato, sezione III, sentenza 8 luglio 2020, n. 4392), sicché l’affidamento non è legittimo ove chi lo invoca versi in una situazione di dolo o colpa. Occorre inoltre rilevare che di regola il finanziamento viene concesso sotto la condizione risolutiva del possesso dell’iscrizione nell’elenco (8), con l’unico limite della prescrizione decennale ex art. 2946 c.c., previsto per la ripetizione dell’indebito oggettivo. Quanto alla sua decorrenza, si ritiene che il dies a quo coincida con il momento dell’avvenuto pagamento del saldo posto che l’impossibilità di far valere il diritto, alla quale l’art. 2935 cod. civ. attribuisce rilevanza di fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione, è solo quella che deriva da cause giuridiche che ne ostacolino l’esercizio e non comprende anche gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto, per i quali il successivo art. 2941 cod. civ. prevede solo specifiche e tassative ipotesi di sospensione, (8) A tale ipotesi deve ritenersi parificata quella in cui negli atti di concessione viene specificato che la stessa può essere revocata quando il beneficiario perde i requisiti di ammissibilità all’agevolazione previsti dalla normativa di riferimento (come ad esempio stabilito dal Decreto MISe del 23 settembre 2005 che all’art. 6.7 chiarisce che l’ammissione all’intervento del fondo è assoggettata alla vigente normativa antimafia (Cons. St. Sez. vI 26 luglio 2023, n. 7317). PArerI DeL COMItAtO COnSULtIvO tra le quali, salva l’ipotesi di dolo prevista dal n. 8 del citato articolo, non rientra l’ignoranza, da parte del titolare, del fatto generatore del suo diritto (come nel caso della sopravvenuta conoscenza da parte dell’Amministrazione dell’intervenuto diniego d’iscrizione nella white list), il dubbio soggettivo sull’esistenza di tale diritto, né il ritardo indotto dalla necessità del suo accertamento (9). A questo proposito è utile richiamare la più recente giurisprudenza amministrativa laddove ha ritenuto che, anche nell’ipotesi in cui l’accertamento dell’incapacità giuridica del soggetto beneficiario (dovuta al rilascio dell’informativa interdittiva) intervenga successivamente all’erogazione del contributo, si deve escludere che “possa esservi legittima ritenzione delle somme” (Cons. St. Ad. Plen. n. 23/2020). La medesima giurisprudenza aggiunge poi che il rapporto tra la PA ed il beneficiario del contributo deve ritenersi precario, senza che possa insorgere il suo affidamento sul mantenimento del beneficio. Il problema di realizzare un giusto bilanciamento tra l’interesse alla tutela delle libera concorrenza senza i condizionamenti mafiosi e l’interesse alla continuità dell’azione d’impresa ed alla stabilità dei rapporti economici, emerge con particolare risalto nel diverso caso in cui l’informativa interdittiva, intervenuta successivamente all’esaurimento del rapporto giuridico nei termini sopra richiamati e comunque riferita a fatti accertati dalla Prefettura risalenti ad un momento cronologicamente successivo a quello nel quale sia stato concesso ed erogato il finanziamento (ad esempio per un cambiamento della compagine sociale o della composizione soggettiva degli organi di amministrazione dell’impresa), spinge ad ipotizzare una soluzione parzialmente diversa. rispetto a questi casi ed in assenza di pronunciamenti giurisprudenziali espressi sul punto, si può infatti pervenire alla conclusione che l’incapacità giuridica, parziale e temporanea sopraggiunta debba essere valutata tenendo conto dell’indicazione degli elementi sintomatici dei tentativi di infiltrazione mafiosa, contenuta nel diniego d’iscrizione nella white list, a partire dai quali la stessa sia stata dichiarata. Come nel caso dell’interdizione o dell’inabilitazione che determina la totale o parziale incapacità giuridica ad agire della persona fisica con effetti ex nunc, si deve ritenere che il diniego d’iscrizione nella white list provochi l’incapacità ad avere rapporti con la PA della persona fisica o giuridica o anche degli enti collettivi a partire dai fatti valutati dalla Prefettura come rappresentativi di un giudizio prognostico di compromissione mafiosa. Alla luce di quanto precede codesta Amministrazione potrà valutare caso per caso di limitare eventualmente la retroattività degli effetti dell’interdittiva (9) Cfr. Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 26 maggio 2015, n. 10828. rASSeGnA AvvOCAtUrA DeLLO StAtO -n. 2/2023 fino a tali momenti, laddove gli stessi siano ben determinati dal punto di vista temporale, così evitando di dare luogo alla revoca del contributo con la sua conseguente ripetizione. **** trattandosi di questione di particolare rilevanza è stato sentito il Comitato Consultivo, che, nella seduta del 21 dicembre 2023, si è espresso in conformità. PArerI DeL COMItAtO COnSULtIvO Quesito in materia di successione nel tempo delle norme (regolamenti ue nn. 2023/461 e 2023/467 pubblicati nella Gazzetta ufficiale dell’unione europea) Parere del 20/07/2023-482844, al 23738/2023, avv. maSSimo di Benedetto Con riferimento alla pratica in oggetto, ed esaminata la documentazione trasmessa, questa Avvocatura osserva quanto segue. Con nota del 7 giugno 2023, codesto Dicastero esponeva che i regolamenti in oggetto, pubblicati nella Gazzetta ufficiale dell’Ue in data 11 marzo 2023, hanno modificato in modo rilevante i disciplinari di produzione delle Denominazioni di origine protetta “Prosciutto di Parma” e “Prosciutto San Daniele”. rilevato che i citati regolamenti non prevedono disposizioni transitorie, codesta Amministrazione richiedeva alla Scrivente di voler chiarire se i requisiti previsti dai nuovi disciplinari di produzione delle DOP “Prosciutto di Panna” e “San Daniele” debbano intendersi immediatamente efficaci e vincolanti per gli operatori delle filiere interessate, anche nel caso in cui il ciclo produttivo sia iniziato antecedentemente all’entrata in vigore dei regolamenti 2023/461 e 2023/467. In data 20 giugno 2023, questo Generale Ufficio inviava una richiesta di supplemento istruttorio, che codesto Dicastero riscontrava in data 5 luglio 2023, rappresentando, per quanto di persistente interesse in questa sede consultiva, elementi di fatto che sono premesse imprescindibili nella prospettiva del richiesto consulto; e, in via segnata, rappresentando che: - il ciclo produttivo dei prodotti in esame dura diversi mesi; -tale ciclo produttivo consta di diverse fasi, strutturalmente e concettualmente distinte tra loro; -il controllo circa l’osservanza della dedicata disciplina e, comunque, del disciplinare è operato, in primo luogo, dagli operatori del mercato stessi (autocontrollo), i quali, al termine di ciascuna delle fasi del ciclo produttivo, autocertificano la conformità del loro operato al disciplinare; in secondo luogo, l’organismo di certificazione e controllo, a campione, verifica gli operatori durante il ciclo produttivo, oltre a necessariamente intervenire nel segmento finale del pluricitato ciclo, allorché l’operatore ne richieda l’intervento per l’apposizione del marchio. tanto dovutamente premesso, questo Generale Ufficio ritiene che la risoluzione del quesito formulato da codesto Dicastero passi necessariamente per l’applicazione al caso che ne occupa dei generali principi in punto di risoluzione delle antinomie nell’ordinamento giuridico. non si ritiene, per converso, di intrattenersi sulla diversa questione della rASSeGnA AvvOCAtUrA DeLLO StAtO -n. 2/2023 successione di norme procedimentali regolatrici di procedimenti amministrativi (e del principio condensato nel noto brocardo latino tempus regit actum, che tale fenomeno successorio regola), per l’assorbente ragione che il ciclo produttivo gestito dai privati non parrebbe qualificabile come procedimento amministrativo stricto sensu inteso (1). In particolare, è noto che la successione cronologica di norme equiordinate nella gerarchia delle fonti e tra loro incompatibili concreta un’antinomia da risolvere a mezzo del criterio cronologico, secondo cui la norma successiva abroga la precedente. In via segnata, la norma abrogata, a differenza della norma invalidata (quale è, ad esempio, quella colpita da declaratoria di incostituzionalità), non è definitivamente espunta dall’ordinamento giuridico, ma, pur cessando di avere efficacia per il futuro, continua a disciplinare i fatti verificatisi prima dell’abrogazione, e quindi sotto la sua vigenza; l’abrogazione, infatti, delimita l’efficacia temporale di una norma, senza però incidere sulla validità della medesima (2). Ciò posto, la sussunzione del caso concreto nell’astratto perimetro concettuale poc’anzi delineato impone all’interprete lo sforzo di individuare in cosa esattamente, nel caso che ne occupa, debbano individuarsi i “fatti verificatisi prima dell’abrogazione”; solo questi, infatti, continuano ad essere regolati dalla disciplina abrogata, laddove le situazioni fattuali future e comunque quelle non definitesi, perché ancora in fieri, trovano regolazione nella norma successiva. Orbene, nel caso concreto, siccome il ciclo produttivo è composto da varie fasi, le quali sono dotate di una propria autonomia, pare alla Scrivente che ciascuna di tali fasi possa rilevare, nella prospettiva della successione di norme nel tempo, come “fatto” a sé; con la conseguenza che la disciplina successiva non potrà applicarsi a quelle fasi del ciclo produttivo che, al momento del- l’entrata in vigore della nuova norma, erano già terminate. Altrimenti argomentare, del resto, si risolverebbe in un’errata applicazione del citato criterio cronologico, e comunque in una violazione della più (1) La questione, lungi dal risolversi in una precisazione terminologica in punto di categorie di astratto diritto, è invece pregna di precipitati applicativi concreti. Infatti, qualora si considerasse il ciclo produttivo come procedimento amministrativo stricto sensu inteso, difficilmente si potrebbe escludere che le varie “fasi” di tale ciclo siano tutte ricomprese nella fase istruttoria del procedimento; con la conseguenza, però, che il principio tempus regit actum imporrebbe allora di considerare la sopravvenienza normativa, siccome incisiva su di una fase del procedimento non ancora definitasi; ciò che concreterebbe un approdo ermeneutico diverso da quello che -cfr. infra -si ritiene possa raggiungersi prendendo le mosse dalla diversa, più generale questione della successione di norme nel tempo. (2) Si fa riferimento alle antinomie fra norme. e tuttavia, si precisa che, nel caso che ne occupa, la sostanza della questione non muterebbe anche a voler considerare i regolamenti della Commissione di cui sopra atti amministrativi generali, e non normativi; infatti, anche per l’atto amministrativo vige la regola (su cui si fonda l’istituto dell’abrogazione e, di riflesso, il criterio cronologico di cui s’è scritto) della tendenziale non retroattività. PArerI DeL COMItAtO COnSULtIvO generale regula iuris (art. 11 preleggi) che vuole che la legge (lato sensu intesa, in questa prospettiva; e quindi, più in generale, la norma) sia, salva espressa previsione di segno contrario, non retroattiva. A conforto della proposta interpretativa di cui sopra, vale pure rilevare come l’adesione alla diversa ermeneusi, secondo cui il nuovo disciplinare dovrebbe essere applicato, per intero, a tutti i cicli produttivi non ancora definitisi al momento della sua entrata in vigore (e quindi, in tesi, anche a quei cicli produttivi che durano da più di un anno e che abbiano già chiuso varie fasi, sempre nel rispetto del disciplinare all’epoca vigente), rischierebbe di generare un contenzioso, dall’esito non scontato (3), in tema di pretese risarcitorie da parte di operatori suppostamente offesi nel legittimo affidamento. Pertanto, l’impostazione ermeneutica qui sostenuta, nel rispetto dei canoni esegetici offerti dall’ordinamento e comunque dei generali principi in tema di risoluzione delle antinomie edi successione di norme nel tempo, appare altresì più prudente nella prospettiva della tutela del pubblico interesse sub specie di contenimento di possibili esborsi di pubblici danari. Da ultimo e per completezza, si precisa che non persuade neppure la tesi (4), estrema nel senso opposto a quella da ultimo criticata, che vorrebbe che ai cicli di produzione iniziati prima dell’entrata in vigore del nuovo disciplinare possa continuare ad applicarsi, per intero, il precedente disciplinare. Difetta, in vero, un argomento giuridico che permetta di riconoscere una cogenza ultrattiva al disciplinare abrogato, anche con riferimento a fasi del ciclo produttivo non ancora iniziate al momento della sua abrogazione. né pare percorribile, in via esegetica, la strada dell’assimilazione dell’inizio del ciclo produttivo alla pubblicazione del bando di pubblica gara (la quale ultima, in linea di principio, è regolata dalla disciplina vigente al momento del bando, non rilevando le sopravvenienze normative), di bel nuovo difettando argomenti, fattuali e giuridici, che giustifichino un’assimilazione di tal fatta. ***** In conclusione, questo Organo Legale, comunque segnalando che casi (3) Sebbene non parrebbero sussistere gli elementi costitutivi dell’offesa al legittimo affidamento propriamente inteso, è pur vero che trattasi, come noto, di argomento sul quale le evoluzioni giurisprudenziali sono frequenti e fluide, mercé altresì la differente valenza che al principio del legittimo affidamento è attribuito dalla normativa eurounionale (in seno alla quale rileva come regola di validità) e da quella domestica, in particolare civilistica (in cui rileva, in linea di principio, unicamente come regola di condotta). Pertanto, se il principio di certezza del diritto e l’istituto dell’affidamento legittimo non sono di per sé base normativa sufficientemente solida per giustificare un’eventuale ultrattività della disciplina previgente, essi sono comunque elementi che meritano considerazione nella prospettiva di maggiormente apprezzare la tesi che qui si propone, atteso che la loro eventuale offesa (qualora si dovesse ritenere consumata) potrebbe implicare questioni risarcitorie di non trascurabile impatto sulle pubbliche finanze. (4) Ipotizzata come una delle possibili soluzioni nella nota di codesto Dicastero del 7 giugno 2023. rASSeGnA AvvOCAtUrA DeLLO StAtO -n. 2/2023 quali quello oggi all’esame della Scrivente renderebbero auspicabile l’approvazione, da parte del Legislatore (domestico o eurounionale), di dedicate disposizioni transitorie, ciò che semplificherebbe il quadro giuridico, depurandolo dalle incertezze dovute alle possibili proposte interpretative allo stato innestabili sul complicato sostrato, normativo e tecnico-fattuale, di riferimento, rende il richiesto parere nei termini che seguono: «in tema di modifiche ai disciplinari operate dai regolamenti Ue nn. 2023/461 e 2023/467, ciascuna fase del ciclo produttivo deve essere conforme al disciplinare vigente al momento della sua esecuzione, con la conseguenza che le fasi di tale ciclo definitesi prima dell’entrata in vigore del nuovo disciplinare dovranno essere rispettose della precedente regolazione; per converso, per le fasi non ancora definitesi al momento dell’entrata in vigore del nuovo disciplinare, sarà questo a doversi applicare». ***** Il presente parere è stato sottoposto all’esame del Comitato Consultivo di questa Avvocatura che, nella seduta del 20 luglio 2023, si è espresso in conformità. PArerI DeL COMItAtO COnSULtIvO esercizio di pubblici poteri: sull’immunità degli stati rispetto alla giurisdizione esercitata dai Giudici stranieri Parere del 21/10/2023-654904, al 19691/2023, ProcUratore dello Stato melvio maUGeri In riscontro alla nota sopra indicata, con la quale codesto Ministero ha trasmesso l’atto introduttivo del giudizio incardinato presso il tribunale di omissis in Slovenia dagli eredi di omissis, si rappresenta quanto segue. Costituisce norma di diritto internazionale generalmente riconosciuta (art. 10 Cost.) quella che prevede l’immunità degli Stati rispetto alla giurisdizione esercitata dai Giudici stranieri. tale regola, espressione della pariordinazione fra Stati tutti egualmente sovrani, è derogata solamente in presenza di una accettazione della giurisdizione straniera da parte dello Stato nonché in altri casi essenzialmente riconducibili all’attività posta in essere da quest’ultimo (non già iure imperii, ma) iure gestionis (cfr. Convenzione europea sull’immunità degli Stati conclusa il 16 maggio 1972 e Convenzione delle nazioni Unite sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni del 2 dicembre 2004)(1). In tal senso si è espressa anche la Corte di Giustizia dell’Unione europea: “Per quanto riguarda, da un lato, il principio di diritto internazionale consuetudinario relativo all’immunità giurisdizionale degli Stati, va ricordato che la corte ha dichiarato che, allo stato attuale della prassi internazionale, l’immunità giurisdizionale degli Stati non ha valore assoluto, ma è generalmente riconosciuta quando la controversia riguarda atti di sovranità compiuti iure imperii. Per contro, essa può essere esclusa se il ricorso giurisdizionale verte su atti che non rientrano nell’esercizio di pubblici poteri” (Corte di Giustizia Ue, sentenza del 3 settembre 2020, C-186/19). nel caso in esame la distinzione tra acta iure imperii e acta iure gestionis (1) Sebbene la prima Convenzione non risulti ratificata dalla Slovenia e la seconda, oltre a non essere stata ratificata dal predetto Paese, non risulti entrata in vigore per il mancato avveramento della condizione prevista dal suo art. 30 (decorso del termine di trenta giorni dall’intervento della trentesima ratifica), le stesse ben possono essere considerate come codificazioni del diritto internazionale consuetudinario, come del resto riconosciuto, nel nostro ordinamento, dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con ordinanza n. 25045 del 16 settembre 2021: “il principio di diritto internazionale dell’immunità assoluta, secondo cui uno Stato estero non può essere assoggettato ad atti di autorità da parte di un altro Stato, in ragione dell’assenza di qualsiasi gerarchia tra Stati sovrani, è stato nel corso del tempo rimodulato dalla giurisprudenza e dalla dottrina, pervenendosi all’elaborazione della teoria della cosiddetta immunità ristretta (o relativa), in forza della quale l’immunità non opera allorché gli atti compiuti da Stati stranieri nell’ordinamento locale non siano riconducibili all’esercizio di poteri sovrani. la circostanza che l’immunità giurisdizionale vada riconosciuta solo nel caso in cui la controversia riguardi atti di sovranità compiuti iure imperii è confermata dalla convenzione delle nazioni Unite del 2 dicembre 2004 sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni, la quale, pur non essendo ancora entrata in vigore, riflette il diritto consuetudinario esistente”. rASSeGnA AvvOCAtUrA DeLLO StAtO -n. 2/2023 è particolarmente rilevante in quanto, ove venisse in rilievo un atto del secondo tipo, si rientrerebbe nel campo di applicazione del regolamento Ue n. 1215/2012, il quale, se da un lato non si applica “alla responsabilità dello Stato per atti o omissioni nell’esercizio di pubblici poteri (acta iure imperi)” (art. 1), dall’altro stabilisce che “una persona domiciliata in uno Stato membro può essere convenuta in un altro Stato membro: 2) in materia di illeciti civili dolosi o colposi, davanti all’autorità giurisdizionale del luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto o può avvenire” (art. 7, par. 1, n. 2; nella stessa direzione va anche l’art. 55 della Legge ZMZPP, vale a dire la Legge slovena sul diritto internazionale privato, sulla cui base le controparti argomentano la scelta di rivolgersi al tribunale sloveno). A tal proposito, i Giudici europei hanno chiarito che, “sebbene talune controversie tra un’autorità pubblica e un soggetto di diritto privato possano rientrare nell’ambito di applicazione del regolamento n. 1215/2012 qualora il ricorso giurisdizionale verta su atti compiuti iure gestionis, la situazione è diversa qualora l’autorità pubblica agisca nell’esercizio di pubblici poteri (v., in tal senso, sentenze del 12 settembre 2013, Sunico e a., c-49/12, eU:c:2013:545, punto 34, nonché del 7 maggio 2020, rina, c-641/18, eU:c:2020:349, punto 33 e giurisprudenza citata). 38 infatti, la manifestazione di prerogative dei pubblici poteri di una delle parti della controversia, in virtù dell’esercizio da parte di questa di poteri che esorbitano dalla sfera delle norme applicabili ai rapporti tra i privati, esclude una simile controversia dalla «materia civile e commerciale» ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, del regolamento n. 1215/2012 (sentenza del 3 settembre 2020, Supreme Site Services e a., c-186/19, eU:c:2020:638, punto 57 e giurisprudenza citata). 39 la corte ha altresì dichiarato che la finalità pubblica di talune attività non costituisce, di per sé, un elemento sufficiente per qualificare tali attività come svolte iure imperi allorché esse non corrispondono all’esercizio di poteri che esorbitano dalla sfera delle norme applicabili nei rapporti tra privati (sentenza del 3 settembre 2020, Supreme Site Services e a., c-186/19, eU:c:2020:638, punto 66 e giurisprudenza citata)” (Corte di Giustizia Ue, sentenza del 6 ottobre 2021, C-581/20). tanto precisato, si osserva che, nel caso di specie, il fatto asseritamente illecito di cui dovrebbe, in tesi, rispondere lo Stato italiano consiste nell’aver sottoposto omissis ad “ingiusta custodia cautelare”, peraltro in “pessime condizioni” (pag. 3 atto avversario), cosa che gli avrebbe provocato, al ritorno in territorio sloveno, dei disturbi psicologici che sarebbero stati alla base dei fatti avvenuti in data omissis, allorquando lo stesso, dopo aver tentato di uccidere la moglie, si suicidò. Orbene, se ciò che caratterizza gli acta iure imperii è -come visto l’esercizio “di poteri che esorbitano dalla sfera delle norme applicabili ai rapporti tra i privati” (cfr. Corte di Giustizia Ue, sentenza del 21 aprile 1993, PArerI DeL COMItAtO COnSULtIvO C-172/91; Corte di Giustizia Ue, sentenza del 7 maggio 2020, C-641/18; Corte di Giustizia Ue, sentenza del 3 settembre 2020, C-186/19), non vi è dubbio che a tale categoria giuridica vada ricondotto il potere di limitazione della libertà personale, nell’esercizio della funzione giurisdizionale e per la salvaguardia dell’ordine pubblico, espressione di prerogative statali che rinvengono il loro fondamento negli artt. 13, 25 e 117 Cost. tale circostanza, oltre ad essere pacifica per le stesse controparti, le quali qualificano la condotta in questione come fonte di “responsabilità dello Stato per atti e omissioni nell’esercizio di pubblici poteri (acta iure imperi)” (pag. 5 atto avversario), esclude, per le ragioni sopra esposte, la soggezione dello Stato italiano e di codesto Ministero alla giurisdizione slovena e, conseguentemente, l’applicabilità di quelle normative di diritto internazionale privato che, in materie di obbligazioni extracontrattuali, individuano il Giudice munito di giurisdizione in quello del Paese in cui si è verificato l’evento dannoso (cfr. art. 7 del regolamento Ue n. 1215/2012 e art. 55 della Legge ZMZPP sopra citati). Sotto il profilo processuale va poi precisato che su ciascun Stato grava l’obbligo di astenersi dall’esercitare la propria giurisdizione nei confronti di altri Stati sovrani (2), con la conseguenza che il rilievo dell’immunità può e deve essere effettuato d’ufficio, a prescindere, cioè, da una eccezione di parte (3). Laddove, in contrasto con quanto sopra detto, dovesse essere emessa una sentenza nei confronti dello Stato italiano, quest’ultimo sarebbe legittimato a non darle esecuzione, come disposto dall’art. 20 della Convenzione europea sull’immunità degli Stati conclusa il 16 maggio 1972 nonché dall’art. 23 della Convenzione delle nazioni Unite sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni del 2 dicembre 2004. Fermo quanto sopra detto, valuterà codesto Ministero la possibilità di costituirsi ugualmente in giudizio. In tal caso, però, sarebbe opportuno limitare la difesa -che andrebbe curata da professionisti abilitati secondo le norme (2) emblematico, in tal senso, l’art. 6, par. 1, della Convenzione delle nazioni Unite sulle immunità giurisdizionali degli Stati è dei loro beni del 2 dicembre 2004: “Uno Stato attua l’immunità degli Stati prevista nell’articolo 5 astenendosi dall’esercitare la sua giurisdizione in un procedimento davanti ai propri tribunali contro un altro Stato e, a tal fine, vigilando affinché i suoi tribunali decidano d’ufficio che l’immunità dell’altro Stato prevista nell’articolo 5 sia rispettata”. (3) Cfr. l’art. 15 della Convenzione europea sull’immunità degli Stati conclusa il 16 maggio 1972: “Uno Stato contraente beneficia dell’immunità dalla giurisdizione dinnanzi ai tribunali di un altro Stato contraente se al procedimento non siano applicabili gli articoli 1 a 14; il tribunale non può decidere su tale procedimento neppure laddove lo Stato non compaia”; nonché l’art. 8, par. 4, della Convenzione delle nazioni Unite sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni del 2 dicembre 2004: “la non comparizione di uno Stato in un procedimento davanti a un tribunale di un altro Stato non può essere interpretata come consenso del primo Stato all’esercizio della giurisdizione di tale tribunale”. rASSeGnA AvvOCAtUrA DeLLO StAtO -n. 2/2023 dell’ordinamento sloveno, che l’Amministrazione dovrebbe remunerare -alla mera invocazione dell’immunità dalla giurisdizione straniera, senza entrare nel merito della controversia così da non incorrere nella decadenza prevista dall’art. 8 della Convenzione delle nazioni Unite sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni del 2 dicembre 2004 (4). Parimenti, si rimette alla discrezionalità dell’Amministrazione in indirizzo la scelta di comunicare, per il tramite dei competenti canali diplomatici, l’insussistenza della giurisdizione slovena nel caso di specie. Sul presente parere si è espresso in senso conforme il Comitato Consultivo nella seduta del 12 ottobre 2023. (4) Art. 8 della Convenzione delle nazioni Unite sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni del 2 dicembre 2004: “1. Uno Stato non può invocare l’immunità giurisdizionale in un procedimento davanti a un tribunale di un altro Stato se ... b) è intervenuto nel merito del procedimento o vi ha partecipato in qualche modo ... 2. non è considerato consenso all’esercizio della giurisdizione di un tribunale di un altro Stato il fatto che uno Stato intervenga in un procedimento o vi partecipi con il solo scopo di: a) invocare l’immunità ...”. In termini meno restrittivi si esprime, invece, l’art. 3 della Convenzione europea sull’immunità degli Stati conclusa il 16 maggio 1972: “Uno Stato contraente non beneficia dell’immunità dalla giurisdizione dinnanzi a un tribunale di un altro Stato contraente se, prima d’invocarla, entra nel merito della controversia”. PArerI DeL COMItAtO COnSULtIvO estensione del principio di retroattività della lex mitior agli illeciti amministrativi. limiti Parere reSo in via ordinaria del 30/11/2023-746650-746651, al 32946/2023, avv. antonio trimBoli Preso atto del parere inviato alla Scrivente, di cui si apprezza la puntuale ricostruzione dell’evoluzione giurisprudenziale sul tema in oggetto, nonché la correttezza degli assunti ove si tratti di sanzioni pecuniarie solo formalmente amministrative, ma nella sostanza penali, si ritiene però di dover giungere nel caso in esame a conclusioni diverse, non trovandoci al cospetto di una sanzione amministrativa -punitiva. La tematica generale riguarda le condizioni di operatività per gli illeciti amministrativi del principio di retroattività della lex mitior in luogo del principio del tempus regit actum, qualora la norma costitutiva dell’illecito amministrativo venga abrogata a seguito di ius superveniens. nello specifico, la fattispecie amministrativa che viene in essere è rappresentata dall’art. 13 bis, co. II del d.lgs. n. 28/1993, norma che così dispone: “1. chiunque effettua gli scambi di animali e prodotti di origine animale senza la preventiva registrazione di cui agli articoli 5 e 11 è punito, salvo che il fatto costituisca reato, con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire tre milioni a lire quaranta milioni. in caso di recidiva sono sospesi la licenza o il permesso di importazione per tre mesi. 2. chi, essendovi obbligato in applicazione degli articoli 5 e 11, non provvede alla stipula della prevista convenzione è punito, salvo che il fatto costituisca reato, con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire cinque milioni a lire cinquanta milioni. 3. l’operatore registrato o convenzionato che non ottempera agli obblighi contratti con la registrazione o con la convenzione è punito, salvo che il fatto costituisca reato, con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire un milione a lire tre milioni per ogni singolo obbligo violato”, la quale è stata poi abrogata dalla entrata in vigore del successivo d.lgs. n. 23/2021 che ha fatto venire meno l’obbligo di stipula della convenzione con le competenti autorità veterinarie, mantenendo invece l’obbligo di registrazione la cui mancanza è però sanzionata in modo più tenue rispetto al passato. Preliminarmente, l’analisi del tema sopra tracciato impone un esame del caso concreto oggetto del parere genetico, così da comprendere se l’applicazione della nuova normativa possa aver luogo in virtù del principio del tempus regit actum senza la necessità di scomodare il diverso principio di matrice penalistica. La risposta dipende dal carattere che si voglia riconoscere all’illecito in questione rispetto al momento consumativo: istantaneo; permanente o istantaneo con effetti permanenti. rASSeGnA AvvOCAtUrA DeLLO StAtO -n. 2/2023 Il caso concreto -secondo quanto riportato dall’Amministrazione interessata -riguardava “una operazione effettuata nel 2021 della Guardia di Finanza -omissis -sviluppata su impulso del ministero della Salute, di contrasto alla introduzione illecita nel territorio italiano di coralli e pesci tropicali, in particolare da parte di Società attive nel territorio regionale lombardo, le aa.tt.SS. competenti, tra le quali anche atS Brescia, hanno elevato ad altrettante Società sei verbali di contestazione di violazione amministrativa concernenti le mancate convenzione e registrazioni presso Uvac lombardia, prescritte dal d.lgs. n. 28/1993, artt. 5 e 11”, precisando che “ ... l’accertamento fosse avvenuto a norma abrogata, pur se vigente all’atto del compimento della violazione ”. ritiene la Scrivente di dover classificare l’illecito in questione come istantaneo ad effetti permanenti, nel quale perdurano nel tempo solo le conseguenze della violazione, pur quando sia già cessata la condotta illecita. Invero, nonostante l’assenza di precedenti giurisprudenziali relativi all’illecito de quo, militerebbe a favore di questa collocazione il dato letterale contenuto agli artt. 5, co. Iv (“Gli operatori che si fanno consegnare prodotti provenienti da un altro Stato membro o che procedono al frazionamento completo di una partita di detti prodotti: ... a) sono soggetti a preventiva registrazione”) e 11, co. III d.lgs. n. 28/1993 (“... una convenzione da stipulare con la competente autorità al momento della registrazione preliminare prevista dall’art. 5 ...”), il quale -ponendole come antecedenti il ricevimento e/o frazionamento e/o consegna etc. degli animali e/o dei prodotti di origine animale -descrive un fatto destinato ad esaurirsi in una dimensione unitaria logica e cronologica, da identificare in quella che precede lo svolgimento dell’attività di commercio in senso lato, a prescindere dalla sussistenza dei relativi effetti. Il richiamato inquadramento non permette, pertanto, di guardare all’atto dell’accertamento quale momento della consumazione dell’illecito, con conseguente applicazione della norma più favorevole in virtù del solo principio del tempus regit actum, ma a quello della violazione, che -essendo avvenuta durante la vigenza della vecchia normativa -richiede di affrontare la tematica di cui all’oggetto onde individuare correttamente la normativa da applicare. Sul punto -come bene evidenziato nel parere della Distrettuale -appare opportuno muovere da alcune premesse generali. Come noto, in tema di sanzioni amministrative, in passato, si è ritenuto non applicabile il principio di matrice penalistica che prevede, in caso di successione di leggi nel tempo, l’applicazione retroattiva della norma più favorevole. Le ragioni di tale limitazione sono da ricondurre, in primo luogo, nella mancanza in seno alla l. 689/1981 di una norma analoga a quella di cui all’art. 2, co. III e Iv c.p., che stabilisce per le norme penali relative al se, al come e al quanto della punizione l’applicazione retroattiva delle disposizioni più favorevoli al reo, e, in secondo luogo, in ragione del principio contenuto nell’art. PArerI DeL COMItAtO COnSULtIvO 11 delle Preleggi, per il quale la legge di regola “non ha effetto retroattivo”. La ratio sottostante a questa interpretazione era da rinvenirsi nella convinzione secondo la quale, in un sistema sanzionatorio come quello amministrativo, la finalità di rafforzare l’efficacia general -preventiva della sanzione, fosse prevalente rispetto al favor per il singolo trasgressore. Partendo da questi presupposti, la giurisprudenza maggioritaria del tempo (C. stato, 3 giugno 2010, n. 3497; t.a.r. lombardia milano, 2 aprile 2010, n. 963; t.a.r. lazio roma, 15 marzo 2012, n. 2562; Cass. (s.u.), 12 aprile 2012, n. 5756), con l’avallo della Consulta (C. Cost., 28 novembre 2002, n. 501), ritenne che, relativamente alle sanzioni amministrative, valesse il principio generale per il quale “la legge applicabile è quella vigente al momento della commissione dell’illecito, a prescindere da eventuali previsioni più favorevoli che siano state successivamente introdotte” con la sola eccezione dei casi in cui la retroattività della legge più favorevole venisse espressamente prevista dalla legge stessa. L’orientamento finora brevemente descritto ha, tuttavia, subito un revirement in tempi recenti su impulso della giurisprudenza della Corte eDU, la quale ritiene di dover applicare le garanzie previste dal sistema penale (artt. 6 e 7 CeDU) anche agli illeciti amministrativi, laddove nella sostanza presentino carattere penale. Antesignana di questo indirizzo è la nota pronuncia Engel c. Paesi Bassi (Cedu 8 giugno 1976), la quale chiarisce come -al fine di verificare se un illecito abbia o meno carattere penale -debbano essere presi in considerazione tre criteri: qualificazione dell’illecito nel diritto interno, struttura dell’illecito e gravità della sanzione. L’operatività di tali criteri è alternativa, ma può essere anche cumulativa ove l’analisi separata di un singolo criterio non permetta di arrivare a una soluzione chiara (Cfr. sent. Cedu 4 marzo 2014, Grande stevens e altri c. italia). La citata impostazione trova fondamento nel principio di legalità penale sovranazionale (art. 7 CeDU, ma anche 49 della Carta di nizza), il quale ha riguardo a una nozione di materia penale fondata su criteri sostanziali, a cui la giurisprudenza domestica ha fatto ricorso in diverse occasioni (es. C. Cost. 196/2010: in ordine alla confisca del veicolo nel reato di guida in stato di ebbrezza; s.u. 31617/2015 lucci: sulla confisca per equivalente; C. Cost. 149/2022: sulla fattispecie amministrativa ex art. 174 bis L. n. 633/194; etc.), giungendo attraverso l’applicazione dei criteri dettati dalla sentenza engel a riconoscere carattere penale a sanzioni e/o illeciti qualificati dal legislatore come amministrativi. Condizione indispensabile onde poter estendere le garanzie penalistiche agli illeciti/sanzioni aventi formalmente altra qualifica è, pertanto, che quest’ultimi presentino nella sostanza carattere punitivo alla luce dell’ordinamento convenzionale. rASSeGnA AvvOCAtUrA DeLLO StAtO -n. 2/2023 In questi esatti termini vengono in rilievo due pronunce del Giudice delle leggi (sent. 193/2016 e sent. 63/2019), le quali -proprio con riguardo al principio della retroattività della legge più favorevole -hanno chiarito come l’ambito applicativo dello stesso non possa generalizzarsi al sistema delle sanzioni amministrative complessivamente considerato, ma solo a quelle specifiche discipline sanzionatorie idonee ad acquisire caratteristiche “punitive” secondo l’ordinamento convenzionale. Stando così le cose, la soluzione del caso concreto impone un actio finum regundorum della sostanza penale condotta attraverso una rigorosa applicazione dei criteri definiti dalla sentenza della Cedu engel del 1976, specie quelli ulteriori dettati per evitare che il sindacato giurisdizionale in materia sanzionatoria risulti illusorio, ove l’illecito sia qualificato a priori ex lege come amministrativo. In questi termini, tralasciando il primo dei criteri consistente nella qualificazione giuridica dell’illecito all’interno dell’ordinamento nazionale, l’accento va posto sul secondo (struttura della norma; alla genericità o alla specificità dei destinatari e alla caratura del bene protetto) e sul terzo (grado di severità della sanzione) criterio di analisi della fattispecie sanzionatoria. ebbene, l’applicazione dell’evocato protocollo convenzionale evidenzia la prevalenza di indici militanti per una funzione general preventiva della fattispecie sanzionatoria ex art. 13 bis, co. II del D.lgs. n. 28/1993. In primo luogo, la norma sanzionatoria, benché in prima battuta sembrerebbe descrivere un illecito comune (“chiunque”), delinea invece un illecito proprio diretto non alla generalità dei consociati, ma ad una specifica categoria: gli operatori che si occupano di commercializzazione e importazioni di animali e/o prodotti animali in ambito intracomunitario, come si evince dal fatto che in caso di recidiva “sono sospesi la licenza e il permesso di importazione per tre mesi”. non pare sia indicativo in senso contrario l’utilizzo da parte del legislatore del termine “è punito”, laddove si consideri come spesso la legislazione non brilli per l’uso di una terminologia conforme alla materia disciplinata, optando per esempio per un linguaggio comune (es. il termine affare anziché contratto contenuto all’art. 1754 c.c.) e ancora, le sanzioni pecuniarie contemplate sono determinate nel rispetto del principio di proporzionalità, attraverso la previsione di una ragionevole forbice edittale che permette di parametrare la risposta sanzionatoria al caso concreto ed inoltre il loro ammontare non appare eccessivo (“da € 2.582,28 a € 25.822,00”). tale osservazione pare possa trovare riscontro nei precedenti giurisprudenziali, che hanno riconosciuto il carattere punitivo di una sanzione amministrativa ove questa sia determinabile con il sistema dei moltiplicatori, nel caso de quo mancante (sent. Cedu 4 marzo 2014, Grande stevense e altri c. italia; C. Cost. 63/2019; C. Cost. 149/2022). Infine, le misure interdittive accessorie (sospensione della licenza o del PArerI DeL COMItAtO COnSULtIvO permesso di importazione) non sono disposte sempre, ma sono subordinate alla reiterazione della condotta (“in caso di recidiva”), altresì la loro durata è circoscritta nel tempo (“per tre mesi”). Peraltro, la circostanza di trattarsi di misure interdittive non esclude il carattere general-preventivo delle stesse, laddove si consideri come la nostra Corte Costituzionale -pur riconoscendo una particolare carica afflittiva -ha negato carattere punitivo a sanzioni ben maggiori quali le misure di prevenzione (sent. 24 del 2019) e quelle previste dall’art. 75 del d.P.r. 309/1990 (sent. 148/2022). ll carattere general -preventivo della fattispecie amministrativa non pare possa poi dirsi recessivo in ragione della previsione della c.d. clausola di sussidiarietà (“salvo che il fatto costituisca reato”), la quale evidenzia solo la ragionevole scelta legislativa di sanzionare aliunde differenti e più gravi gradazioni della condotta e dell’offesa al bene protetto. Stando così le cose, deve ritenersi prevalente la natura amministrativa e non penale della sanzione di cui si discute, con consequenziale applicazione dell’indirizzo tradizionale della giurisprudenza di legittimità secondo cui “in tema di sanzioni amministrative, i principi di legalità, irretroattività e di divieto di applicazione analogica di cui alla l. 24 novembre 1981, n. 689, art. 1, comportano l’assoggettamento della condotta illecita alla legge del tempo del suo verificarsi, con conseguente inapplicabilità della disciplina posteriore più favorevole, sia che si tratti di illeciti amministrativi derivanti da depenalizzazione, sia che essi debbano considerarsi tali ab origine, senza che possano trovare applicazione analogica, attesa la differenza qualitativa delle situazioni considerate, gli opposti principi di cui all’art. 2 c.p., commi 2 e 3, i quali, recando deroga alla regola generale dell’irretroattività della legge, possono, al di fuori della materia penale, trovare applicazione solo nei limiti in cui siano espressamente previsti dal legislatore”(Cfr. da ultimo: sez. ii, sent. n. 16276 del 19 maggio 2022, Ced 664886). Alla luce dell’analisi sopra effettuata deve escludersi nel caso l’operatività del principio di retroattività della lex mitior, con l’effetto di rigettare sul punto le istanze formulate dalle controparti in via di autotutela, facendo applicazione del diverso principio del tempus regit actum. rASSeGnA AvvOCAtUrA DeLLO StAtO -n. 2/2023 alloggio di servizio dell’arma dei Carabinieri: qualificazione come “casa familiare”, separazione personale dei coniugi ed effetti Parere del 21/07/2023-486373, al 41556/2022, ProcUratore dello Stato valeria romano 1. il quesito. Si riscontra la nota in riferimento con la quale l’Amministrazione in indirizzo ha formulato una richiesta di parere compendiabile in quattro questioni tra loro collegate da un rapporto di reciproca presupposizione logica e giuridica: a) se gli alloggi di servizio dell’Arma dei Carabinieri connessi all’incarico (ASGI) disciplinati all’art. 362, comma 1, lett. a) del d.P.r. 15 marzo 2010, n. 90 (tUOM) ed all’art. 295, comma 1, lett. a) del D.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 (COM) siano o meno qualificabili come “casa familiare” intesa -secondo l’insegnamento giurisprudenziale consolidato -come “l’habitat domestico, il luogo degli affetti, degli interessi e delle consuetudini della famiglia durante la convivenza dei suoi componenti” (Cass. civ. Sez. I, 20 gennaio 2006, n. 1198); b) se -ove astrattamente qualificabile come “casa familiare” -l’alloggio ASGI sia -conseguentemente -suscettibile di essere oggetto di un provvedimento giurisdizionale di assegnazione ai sensi dell’art. 337 sexies c.c. in favore del coniuge separato, diverso dal titolare della concessione, affidatario della prole ovvero se sia di impedimento all’assegnazione al soggetto diverso dal pubblico dipendente titolare della concessione dell’alloggio la circostanza desumibile dall’art. 363 del d.P.r. 15 marzo 2010, n. 90 -per cui l’alloggio di servizio dell’Arma dei Carabinieri è indissolubilmente correlato con il rapporto d’impiego ed è destinato ad assolvere esclusivamente all’esigenza di pronta e immediata presenza del militare assegnatario nel luogo di svolgimento dei servizi d’istituto; c) nel caso in cui l’alloggio di servizio sia assegnato, in sede di separazione, al coniuge del titolare del rapporto di servizio, se -per effetto dell’assegnazione della casa familiare -il coniuge dell’assegnatario dell’immobile subentri nel rapporto concessione originariamente instaurato tra l’Amministrazione ed il dipendente ovvero nel solo godimento del bene; d) se il provvedimento di assegnazione sia o meno opponibile all’Amministrazione e se vi siano e quali siano gli strumenti giuridici fruibili dal soggetto pubblico titolare del patrimonio abitativo per assicurare la destinazione del bene pubblico all’assolvimento degli scopi istituzionali dell’Amministrazione prescritti dall’art. 363 del d.P.r. 15 marzo 2010, n. 90. PArerI DeL COMItAtO COnSULtIvO 2. Patrimonio alloggiativo del ministero della difesa e dell’arma dei Carabinieri. Così scomposto il quesito formulato, la relativa soluzione postula un breve inquadramento sulla disciplina del patrimonio alloggiativo dell’Arma dei Carabinieri. Detta disciplina è recata -come noto -dagli artt. 295 e 296 del D.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 nonché dagli artt. da 362 a 388 del d.P.r. 15 marzo 2010, n. 90 e presenta -per quel che in questa sede maggiormente rileva -tratti di peculiarità e differenziazione rispetto alla regolamentazione generale in materia di alloggi destinati al personale dell’esercito italiano, della Marina militare e dell’Aeronautica militare ed al personale civile del Ministero della Difesa recata sia dagli artt. 278-294 D.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 sia dagli artt. 311-361 del d.P.r. 15 marzo 2010, n. 90. In linea generale, come noto, in base alla disciplina di cui agli artt. 313 d.P.r. 15 marzo 2010, n. 90 e 279 del D.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 gli alloggi di servizio per il personale del Ministero della Difesa sono classificati nelle seguenti categorie: -asGC: alloggi di servizio gratuiti per consegnatari e custodi concessi unicamente al personale dipendente cui è affidata, in modo continuativo, la custodia dell’edificio o dell’impianto nel quale insiste l’alloggio, nonché al personale militare e civile cui siano affidate in modo continuativo mansioni di consegnatario di deposito o magazzino (art. 280 Com); -asi: alloggi di servizio connessi all’incarico, assegnati al personale dipendente cui sono affidati incarichi che richiedono l’obbligo di abitare presso la località di servizio (art. 281 Com); -asir: alloggi di servizio connessi all’incarico, con annessi locali di rappresentanza assegnati a titolari di incarichi che comportano obblighi di rappresentanza, dotati di locali, appositamente predisposti, annessi agli alloggi stessi (art. 282 Com); -ast: alloggi di servizio di temporanea sistemazione per le famiglie dei militari assegnati in base a criteri di rotazione al personale che presta servizio nella località in cui è situato l’alloggio (art. 283 Com); -aPP: alloggi di servizio per le esigenze logistiche del personale militare in transito e dei relativi familiari di passaggio (art. 284 Com); -sli: alloggi di servizio per le esigenze logistiche del personale militare imbarcato e dei relativi familiari di passaggio (art. 284 Com); -asC: alloggi collettivi di servizio nell’ambito delle infrastrutture militari per ufficiali, sottufficiali e volontari in servizio permanente destinati alla sede (art. 285 Com). In tema di alloggi di servizio, all’Arma dei Carabinieri, quale Forza armata in servizio permanente di pubblica sicurezza, si applica una normativa autonoma rispetto a quella innanzi tratteggiata, contenuta negli artt. 295 e 296 del Com e negli artt. 362 e ss. del tuom. rASSeGnA AvvOCAtUrA DeLLO StAtO -n. 2/2023 L’Arma dispone - infatti - di sole tre tipologie di alloggi: -asir: l’Arma dispone di un solo alloggio Asir attribuito al Comandante Generale. Sino al 31 dicembre 2014 era previsto un secondo Asir attribuito al vice Comandante, poi riclassificato in ASGI (legge 23 dicembre 2014, n. 190 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato). -asGi: alloggi di servizio gratuiti connessi all’incarico, costituiti presso i reparti periferici con compiti operativi, segnatamente di controllo del territorio e di pubblica sicurezza. -astC: alloggi di servizio in temporanea concessione. Per quel che in questa sede maggiormente rileva, come messo in evidenza anche dalla Corte dei conti nella deliberazione 12 novembre 2015 n. 10/2015/G “la finalità degli asgi è quella di assicurare la diuturna e, soprattutto, immediata, disponibilità del personale, stante l’imprevedibilità degli interventi connessi con la tutela della sicurezza pubblica e la repressione dei reati nonché l’efficienza dei servizi e la sicurezza delle caserme che, spesso, a causa delle ridotte dimensioni dei reparti, non è possibile presidiare attivamente sulle 24 h., benché vi siano custodite armi, carteggio classificato e altri materiali sensibili. ne discende che la giustificazione dell’istituto giuridico risiede nel compito, attribuito all’Arma dei carabinieri di esercitare le funzioni di polizia per mezzo di un’articolazione ordinativa polverizzata sul territorio”. Dall’esame della relativa disciplina risulta che gli incarichi ai quali competono gli ASGI sono stabiliti per legge e sono indicati nell’allegato “A” del- l’art. 383 del tuom. Il Comandante Generale dell’Arma procede -a monte per ogni singola infrastruttura a indicare, con propria determinazione, quale specifica unità abitativa sia attribuita a ciascun incarico (c.d. “attribuzione sinottica”) mentre -a valle -i singoli alloggi sono assegnati dal Comandante di corpo al titolare dell’incarico cui sono attribuiti. Quando l’attribuzione corrisponde ad un incarico per il quale sono presenti più destinatari, l’assegnazione è determinata dall’Amministrazione, nell’esercizio della discrezionalità tecnica che le compete, ai militari la cui presenza e reperibilità è ritenuta di maggiore interesse per l’Istituzione, in funzione delle specifiche mansioni che assolvono. ne consegue -come messo in luce della già citata deliberazione 12 novembre 2015 n. 10/2015/G della Corte dei conti “che, essendo l’aSGi funzionale all’incarico e non un mero beneficio, non sono previste né istanze, né graduatorie e le situazioni attinenti alla sfera personale e familiare, nonché la condizione economica, sono elementi che possono rilevare solo a parità di altri requiti”. Svolta tale premessa è ora possibile meglio analizzare la questione se l’alloggio di servizio dell’Arma dei Carabinieri connesso all’incarico (ASGI) sia o meno qualificabile come “casa familiare” suscettibile di assegnazione ai sensi dell’art. 337 sexies c.c. in favore del coniuge separato diverso dal titolare PArerI DeL COMItAtO COnSULtIvO della concessione. Sulla questione la Scrivente non ha rilevato precedenti giurisprudenziali specifici, sicché occorre muovere dall’analisi della giurisprudenza formatasi con riguardo alla qualificabilità come casa familiare non già degli alloggi ASGI riservati al personale dell’Arma dei Carabinieri, ma degli alloggi della Difesa di cui agli artt. 278-294 D.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 e artt. 311-361 del d.P.r. 15 marzo 2010, n. 90. 3. sulla qualificabilità degli alloggi del ministero difesa come “casa familiare”. Sulla qualificabilità degli alloggi del Ministero Difesa come “casa familiare” e sul problema della relativa possibilità di essere oggetto di provvedimenti di assegnazione ex art. 337 sexies c.c. in caso di separazione tra l’originario concessionario ed il coniuge affidatario della prole è dato ravvisare due opposti indirizzi giurisprudenziali. 3.i. Secondo un primo orientamento, non può in alcun modo qualificarsi alla stregua di casa familiare un alloggio demaniale concesso ad un militare in servizio permanente per motivi correlati all’incarico di responsabilità conferito dall’Amministrazione. Secondo i fautori della tesi in esame, infatti, l’alloggio di servizio è legislativamente deputato ad assicurare il soddisfacimento dell’esigenza pubblicistica di immediata presenza e disponibilità del militare, non potendo -pertanto -considerarsi quale bene liberamente disponibile dal dipendente per ragioni di carattere familiare. tanto è stato affermato da parte della giurisprudenza amministrativa formatasi in materia che, in un caso di separazione con assegnazione della casa familiare al coniuge del concessionario, ha specificato il potere/dovere dell’Amministrazione di dichiarare decaduto il dipendente dalla concessione ai sensi dell’art. 330 d.P.r n. 90/2010, allorquando l’alloggio venga impiegato per fini non conformi alla sua specifica funzione. Difatti “la concessione non può, per sua natura, essere oggetto di cessione da parte del concessionario a terzi, neppure a seguito di un intervenuto provvedimento di separazione o di divorzio che assegni temporaneamente l’alloggio stesso al coniuge separato o divorziato” atteso che la ratio della concessione degli alloggi di servizio “consiste nella esigenza di facilitare lo svogimento del servizio da parte del militare, capofamiglia, che risulta destinatario del rapporto concessorio, con la conseguenza che la revoca della concessione, prima della sua naturale scadenza, può derivare dalla perdita della qualità di militare in servizio del concessionario, o per altri fatti che attestino l’incompatibilità della destinazione effettiva con la finalità della concessione stessa come anche per eventuali inadempiene contrattuali” (cfr. t.a.r. Lazio roma Sez. I bis, Sent., (ud. 12 luglio 2011) 7 ottobre 2011, n. 7804). 3.ii. L’orientamento innanzi esposto -cui sembra aderire l’Amministrazione in indirizzo -è tuttavia minoritario nel panorama pretorio sul tema. ed rASSeGnA AvvOCAtUrA DeLLO StAtO -n. 2/2023 infatti, secondo l’interpretazione prevalente della giurisprudenza del giudice ordinario, “l’alloggio assegnato in concessione ... è qualificabile come “casa familiare”, in quanto viene ceduto, ancorché in correlazione con le prestazioni lavorative, al fine di soddisfare le esigenze abitative” non solo del dipendente ma anche dei componenti della sua famiglia, sicché -in caso di separazione e/o divorzio -tale “alloggio può ben essere attribuito al coniuge diverso dal concessionario, se affidatario della prole, ai sensi della l. 1 dicembre 1970, n. 898 ”, seppure con l’ulteriore, non indifferente, precisazione che quest’ultimo -per effetto dell’assegnazione della casa familiare -subentra sì nel godimento del bene, con conseguente obbligo di pagare il corrispettivo per l’utilizzo dell’alloggio al concedente, ma “non nel rapporto concessorio, ormai cessato” (Cass. Civ., Sez. I, 8 marzo 2018, n. 5575 che richiama Cass. civ. Sez. I, 9 luglio 1989, n. 3247). In senso analogo si è espresso anche il giudice amministrativo secondo il quale “l’alloggio di servizio assegnato in concessione ai militari è qualificabile come “casa familiare” con la conseguenza che in caso di separazione o divorzio lo stesso può ben essere attribuito al coniuge diverso dal concessionario, se affidatario della prole il quale subentra nel godimento del bene, con il conseguente obbligo di pagare il corrispettivo per l’utilizzo dell’alloggio, ma non nel rapporto concessorio, ormai cessato” (Cons. Stato Sez. II, 8 ottobre 2020, n. 5981 e t.a.r. Lazio roma Sez. I bis, 7 gennaio 2019, n. 148). tanto brevemente rappresentato, occorre sottolineare che -mentre il primo degli indirizzi giurisprudenziali innanzi riassunti risulta, dall’esame della giurisprudenza sul punto, argomentato essenzialmente sulla natura esclusiva della destinazione pubblicistica ed istituzionale dell’alloggio e sulla relativa indisponibilità in sede di separazione tra i coniugi -il secondo orientamento è fondato su plurimi argomenti dei quali bisogna verificare, al fine di fornire una risposta al quesito sottoposto, le eventuali criticità. 4. argomenti a sostegno della tesi per cui l’alloggio di servizio oggetto concessione dell’amministrazione militare è qualificabile come “casa familiare” suscettibile -in caso di separazione -di essere assegnato ex art. 337 sexies c.c. al coniuge diverso dal concessionario. 4.i. in primis, l’indirizzo pretorio maggioritario -per giungere alla conclusione della qualificabilità come “casa familiare” dei cespiti che compongono il patrimonio alloggiativo del Ministero della Difesa -valorizza un argomento che muove dalle finalità dell’istituto dell’assegnazione della “casa familiare” di cui all’art. 337 sexies c.c. In proposito si evidenzia, più in particolare, come l’istituto della assegnazione della casa familiare risulti finalizzato all’esclusiva tutela dell’interesse della prole minorenne e non economicamente autosufficiente a conservare la propria sede abitativa ed il proprio ambiente PArerI DeL COMItAtO COnSULtIvO domestico in caso di separazione tra i coniugi non potendo detto interesse essere sacrificato rispetto a quello della funzionalizzazione dell’alloggio ad esigenze pubblicistiche (1). 4.ii. Si rinviene altresì -in alcune pronunzie che aderiscono all’orientamento in esame -un argomento basato sulla distinzione -nell’ambito degli istituti che governano la crisi del matrimonio -tra il divorzio e la separazione. Più in particolare, si osserva -in alcuni arresti giurisprudenziali -che la separazione ha carattere transitorio e, a differenza del divorzio, essa non produce, come effetto legale, lo scioglimento del matrimonio né, a fortiori, la perdita dello status di coniuge. Si opina, quindi, nel senso che “è evidente, pertanto, che con la pronuncia di separazione personale, non sono venuti meno la coabitazione e l’affectio coniugalis (convivenza spirituale e materiale); a differenza della sentenza di divorzio che viene inviata dal tribunale direttamente all’ufficale dello stato civile del comune ove è avvenuto il matrimonio affinché costui la annoti a fianco dell’atto di matrimonio e la trasmetta ai comuni di nascita e residenza degli interessati per le variazione dello stato civile” (t.a.r. Lazio roma Sez. I bis, Sent., (ud. 10 gennaio 2012) 20 marzo 2012, n. 2659). Muovendo da tali premesse, in taluni arresti pretori, è stato affermato che poiché per effetto della sola pronuncia di separazione personale non verrebbe meno “la permanenza del nucleo familiare”, in caso di separazione non verrebbe neppure integrata l’ipotesi di decadenza del concessionario di cui all’art. 330, c. 1, lett. f) del d.P.r. 15 marzo 2010, n. 90 che prevede che “il concessionario decade dalla concessione (...) per mancata occupazione stabile con il proprio nucleo familiare, dichiarato nella originaria domanda”. 4.iii. In terzo luogo, molteplici pronunzie con effetti caducatori dei provvedimenti con i quali l’Amministrazione aveva intimato il rilascio degli alloggi di servizio nei confronti dei coniugi non concessionari delle unità abitative, risultano argomentate sulle base delle disposizioni recate dai Decreti Ministeriali 7 maggio 2014 e 24 luglio 2015 che -dopo aver individuato una serie di categorie svantaggiate aventi diritto al mantenimento del godimento bene, pur alla ricorrenza di condizioni che astrattamente ne avrebbero imposto l’intimazione al rilascio -estendevano la disciplina di tutela anche ai coniugi separati disponendo che “possono, inoltre, mantenere la conduzione (...) i coniugi di personale militare e civile della difesa titolare di concessione di alloggi di servizio che, alla data di entrata in vigore del presente decreto, siano divorziati, ovvero legalmente separati” (art. 4 comma 2 D.M. 7 maggio 2014 Piano (1) Sul punto diffusamente Cass. n. 18603 del 2021 e Cass. n. 32231 del 2018, secondo cui il godimento della casa familiare a seguito della separazione dei genitori ai sensi dell’art. 337 sexies c.c. è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli, occorrendo soddisfare l’esigenza di assicurare loro la conservazione dell’ “babitat” domestico, da intendersi come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare. rASSeGnA AvvOCAtUrA DeLLO StAtO -n. 2/2023 annuale di gestione del patrimonio abitativo in dotazione al Ministero della difesa per gli anni 2012-2013). In proposito la Corte dei Conti -con la deliberazione n. 10 del 2015 della Sezione Centrale di Controllo sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato -ha espressamente qualificato i soggetti contemplati all’art. 2 e all’art. 4 del D.M. del 7 maggio 2014 come “occupanti sine titulo protetti” ossia soggetti nei cui confronti non è possibile procedere al c.d. “recupero coattivo”. 4.iv. Infine, dall’esame delle motivazioni delle pronunzie che aderiscono, all’orientamento che ammette la qualificabilità degli alloggi del Ministero della Difesa come “casa familiare”, pare evincersi l’argomento per cui la concessione degli alloggi facenti parte del patrimonio del Dicastero della Difesa sarebbe asservita non unicamente alle esigenze pubblicistiche di pronto svolgimento dei compiti istituzionali, ma ad una duplice finalità: da un lato la necessità di pronta e immediata presenza nel luogo di svolgimento della prestazione lavorativa, e -dall’altro -il “soddisfacimento delle esigenze abitative della famiglia del militare” (Cass. Civ., Sez. I, 8 marzo 2018, n. 5575) sicché -in definitiva -“la ratio complessiva del sistema è quella di riconoscere il beneficio del godimento di un alloggio al militare in attività di servizio sia per alleviarne le difficoltà abitative, sia per garantire le esigenze di buon funzionamento della P.a.” (Cons. Stato Sez. Iv, Sent., (ud. 10 novembre 2016) 1 febbraio 2017, n. 411). Sulla scorta degli argomenti innanzi riassunti, la giurisprudenza ha ribadito -anche di recente -che “in caso di separazione l’alloggio di servizio assegnato ad un militare, in correlazione con le prestazioni lavorative dallo stesso svolte, può essere attribuito al coniuge diverso dal concessionario, se affidatario della prole, subentrando quest’ultimo per effetto dell’assegnazione della casa familiare sì nel godimento del bene” (t.a.r. Lazio roma Sez. I bis, 24 maggio 2021, n. 5981). 5. spunti critici in relazione all’indirizzò giurisprudenziale maggioritario. Ciò posto, al fine di poter fornire una risposta al quesito formulato, occorre verificare -come anticipato -se gli argomenti posti a sostegno dell’indirizzo giurisprudenziale maggioritario innanzi riassunti siano immuni da rilievi critici ed i relativi esiti possano estendersi, per quel che in questa sede maggiormente rileva, anche al patrimonio alloggiativo dell’Arma dei Carabinieri. 5.i. Come innanzi esposto, il primo argomento valorizzato dai fautori del- l’indirizzo interpretativo secondo il quale l’alloggio di servizio assegnato in concessione dall’Amministrazione militare è qualificabile come “casa familiare” suscettibile -in caso di separazione -di essere attribuito al coniuge diverso dal concessionario ex art. 337 sexies va ricercato nella preminenza PArerI DeL COMItAtO COnSULtIvO accordata all’interesse della prole minorenne e non economicamente autosufficiente a conservare la propria sede abitativa ed il proprio ambiente domestico. Detto argomento pare -invero -alla Scrivente ridimensionato quando la famiglia -nella sua originaria composizione -abbia fissato la propria sede in un alloggio di servizio dell’Arma del Carabinieri sinotticamente connesso all’incarico perché -come rilevato in dottrina -“in questi casi a rigore -non può neppure parlarsi di un un vero e proprio “radicamento” del nucleo familiare, al quale ricondurre l’interesse prioritario della prole alla conservazione della comunità domestica, essendo il personale militare (e le loro famiglie) sottoposto normalmente a frequenti cambiamenti di residenza” (2). Sul punto pare altresì rilevante sottolineare che -come evidenziato dalla Corte dei Conti`(3) -“gli asgi servono anche a garantire l’elevata mobilità del personale obbligato a frequenti riorganizzazioni della vita familiare, per cui l’assegnazione dell’alloggio si configura come strumento imprescindibile per il trasferimento degli interessati”. A superamento dell’argomento fondato sull’assiomatica prevalenza dell’interesse della prole minorenne a mantenere il proprio habitat familiare sull’interesse pubblico alla destinazione istituzionale del patrimonio alloggiativo del Ministero della Difesa non può non osservarsi -inoltre -che gli alloggi di servizio dei quali si discute fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato (4) con conseguente non sottraibilità alla loro destinazione se non nei casi e nelle forme previste dalle leggi che li riguardano (art. 828, comma 2, cod. civ.). In altri termini, dall’inclusione degli alloggi in parola nel patrimonio indisponibile dello Stato gravati -per definitionem ex art. 828, comma 2, cod. civ. -“da uno specifico vincolo di destinazione all’uso pubblico” si desume che il delicato bilanciamento tra l’interesse particolare dei figli e l’interesse pubblico connesso al mantenimento della destinazione istituzionale degli immobili in esame, operato dalla giurisprudenza nel senso della prevalenza del primo, è -invero -già stato operato dal legislatore nel senso della non sottraibilità dei beni in parola rispetto al soddisfacimento del- l’interesse pubblico a mantenere in prossimità della sede di servizio il dipendente che svolga determinati incarichi per garantire le esigenze di buon funzionamento dell’Amministrazione. 5.ii. Quanto all’argomento, basato sulla distinzione -nell’ambito degli istituti che governano la crisi del matrimonio -tra il divorzio e separazione va rilevato che, pur essendo indubbio che “la separazione personale dei coniugi, a differenza del divorzio, non risolve, ma mantiene il coniugio, in sé non po( 2) CAPPeLLO G., l’assegnazione della casa familiare nella giurisprudenza, in Famiglia e diritto, 2011, 1, 92. (3) Deliberazione 12 novembre 2015 n. 10/2015/G. (4) Cons. Stato Sez. Iv, Sent., (ud. 10 novembre 2016) 1 febbraio 2017, n. 411, Cons. Stato Sez. II, Sent., (ud. 15 febbraio 2022) 23 agosto 2022, n. 7409. rASSeGnA AvvOCAtUrA DeLLO StAtO -n. 2/2023 tendo escludere la ripresa della convivenza” è anche vero che “tale connotazione ontologica più formale che sostanziale, non consente di escludere l’attualità della situazione di separazione” (5). Più nel dettaglio, in base agli artt. 150-158 del codice civile -la separazione comporta la sospensione dei doveri reciproci dei coniugi (quali ad es: il dovere di coabitazione, il dovere di fedeltà e di collaborazione) sicché -sebbene siano persistenti taluni precisi doveri giuridici e morali nonché il mantenimento dello status di coniuge -viene -di fatto -meno l’elemento caratterizzante l’essenza stessa del nucleo familiare, ossia l’effettivo stato di coabitazione tra i coniugi con conseguente integrazione dell’ipotesi di decadenza del concessionario di cui all’art. 330, c. 1, lett. f) del d.P.r. 15 marzo 2010, n. 90 già citato per cui “il concessionario decade dalla concessione (...) per mancata occupazione stabile con il proprio nucleo familiare, dichiarato nella originaria domanda”. 5.iii. Quanto agli argomenti basati sulla disciplina recata dai Decreti Ministeriali 7 maggio 2014 e 24 luglio 2015 nonché sulla ritenuta duplice finalità (istituzionale e familiare) della concessione degli alloggi di servizio, si espone -in chiave critica -quanto segue. L’art. 306, comma 2, del D.lgs. n. 66 del 2010 prevede che il Ministro della Difesa, entro il 31 marzo di ogni anno, con proprio decreto, definisca un piano di gestione del patrimonio abitativo, con l’indicazione dell’entità, dell’utilizzo e della futura destinazione degli alloggi di servizio, nonché di quelli non più ritenuti utili nel quadro delle esigenze dell’Amministrazione e -quindi -transitabili in regime di locazione ovvero alienabili, anche mediante riscatto. In proposito, consta alla Scrivente che, in osservanza di tale disposizione, sia stato emanato il D.M. 7 maggio 2014, recante il piano per le annualità 2012-2013, ed il D.M. 24 luglio 2015, per le annualità 2013-2014, che -in effetti -hanno previsto -valorizzando “esigenze differenti rispetto a quelle ordinarie, in quanto connesse a scopi del tutto diversi (“lato sensu” sociali e abitative) rispetto alla normale destinazione degli alloggi” -una particolare tutela per il coniuge separato, diverso dal titolare della concessione. Si tratta -tuttavia -di una disciplina temporanea ed eccezionale “la cui vocazione anche solidaristica appare obiettivamente eterogenee rispetto alle finalità funzionali al servizio a vario titolo sottese all’assegnazione delle diverse tipologie di alloggi” (Cons. Stato Sez. II, Sent, (ud. 8 marzo 2022) 19 aprile 2022, n. 2952) che -quindi -ad avviso della Scrivente conferma -a contrario -che, in difetto di una precisa disposizione derogatoria, la finalità esclusiva del sistema degli alloggi di servizio è quella di assicurare la rispondenza dell’effettivo utilizzo dei cespiti alle finalità istituzionali stabilite ex lege con conseguente superamento anche dell’argomento -speso in giurisprudenza (5) Cons. Stato Sez. II, Sent., (ud. 22 settembre 2020) 8 ottobre 2020, n. 5981. PArerI DeL COMItAtO COnSULtIvO -relativo alla pretesa contemporanea funzionalità dell’alloggio per garantire le esigenze del nucleo familiare del concessionario in quanto privo -in disparte i D.M. indicati - di ogni fondamento normativo (6). 6. Considerazioni in ordine al regime di opponibilità del provvedimento di assegnazione dell’alloggio come “casa familiare”. Constatata -alla stregua delle osservazioni che precedono -la non inconfutabilità degli argomenti posti a sostegno dell’orientamento giurisprudenziale secondo il quale la funzionalizzazione degli alloggi di servizio dell’Arma dei Carabinieri all’adempimento dei servizi di istituto non osta all’assegnazione degli alloggi in parola come “casa familiare”, occorre verificare se possano essere formulate ulteriori considerazioni a supporto della tesi che oltre a negare -a monte -la sussumibilità dei cespiti facenti parte del patrimonio alloggiativo del Ministero della Difesa nella nozione di “casa familiare” esclude -a valle -l’opponibibilità -nei confronti dell’Amministrazione militare -del provvedimento di assegnazione ex art. 337 sexies c.c. avente ad oggetto un alloggio di servizio. Sul punto, ritiene la Scrivente che l’ordinario regime giuridico di esclusiva destinazione ex lege degli alloggi all’assolvimento delle esigenze pubblicistiche dell’Amministrazione non possa essere derogato dall’emissione di un provvedimento giurisdizionale di assegnazione al coniuge separato affidatario della prole, atteso che si è in presenza di una pronuncia giudiziaria non assunta nel contraddittorio con il legittimo proprietario del bene e -pertanto -a questi inopponibile. A supporto dell’enunciata tesi dell’inopponibilità -nei confronti dell’Amministrazione militare -del provvedimento di assegnazione emesso ai sensi dell’art. 337 sexies c.c. assunto al di fuori del contraddittorio con il soggetto pubblico titolare del cespite, non pare inconferente richiamare la giurisprudenza intervenuta sul problema -in generale -della delimitazione soggettiva degli effetti del provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare e della tutela dei preesistenti diritti dei terzi sia nel caso in cui la casa coniugale sia stata oggetto di un contratto locazione, sia nell’ipotesi in cui la casa sia stata concessa in comodato. 6.i. Sul punto, la giurisprudenza ha affermato che nel caso in cui la casa coniugale sia stata concessa in locazione, il provvedimento di assegnazione della casa familiare a seguito di separazione è opponibile e produce i suoi effetti anche nei confronti del proprietario locatore determinando una cessione ex lege del contratto di locazione a favore del coniuge assegnatario e l’estin( 6) tra le azioni più recenti risulta solo predisposto uno “Schema di decreto ministeriale concernente il piano di gestione del patrimonio abitativo della Difesa”. Atto del Governo 420 -Senato: Dossier n. 119 7 settembre 2022 nel quale si conferma che “ultimo piano gestionale degli alloggi militari è stato recato relativamente all’anno 2014 dal decreto del ministero della difesa 24 luglio 2015”. rASSeGnA AvvOCAtUrA DeLLO StAtO -n. 2/2023 zione del rapporto in capo al coniuge originariamente conduttore, anche nel- l’ipotesi in cui entrambi i coniugi abbiano sottoscritto il contratto di locazione. A tale conclusione in punto di opponibilità, nei confronti del terzo proprietario non coinvolto nel giudizio di separazione, dell’ordinanza di assegnazione del- l’immobile quale casa coniugale la giurisprudenza è pervenuta in forza dell’art. 6 della L. n. 392 del 1978 a mente del quale “in caso di separazione personale ... nel contratto di locazione succede al conduttore l’altro coniuge, se il diritto di abitare nella casa familiare sia stato attribuito dal giudice a quest’ultimo”. Detta successione ex lege, secondo la giurisprudenza, non modifica la natura del rapporto e la natura del diritto in base al quale il conduttore detiene la cosa locata, ma ha quale unico effetto quello di consentire ad un soggetto diverso dall’originario conduttore di sostituirsi nella titolarità del contratto, con la conseguente attribuzione dei relativi diritti e l’assunzione delle relative obbligazioni di guisa da giustificare l’automatismo legislativo e 1’ininfluenza di qualsivoglia apporto volitivo, di adesione o di accettazione da parte del locatore ceduto (7). 6.ii. nel caso, poi, di casa familiare attribuita in comodato, il coniuge affidatario della prole minorenne, o maggiorenne non autosufficiente, assegnatario della casa familiare, può opporre al comodante che chieda il rilascio dell’immobile, l’esistenza di un provvedimento di assegnazione, pronunciato in un giudizio di separazione o divorzio cui il comodante non ha partecipato, solo se il contratto di comodato precedentemente stipulato abbia contemplato la destinazione del bene a casa familiare (8). In tali casi -infatti -il provvedimento di assegnazione non modifica la natura ed il contenuto del titolo che giustifica il godimento dell’immobile ma determina, invece, una concentrazione di detto godimento, che continua ad essere assoggettato al regime del precedente rapporto, nella persona del solo coniuge assegnatario. Ciò posto e procedendo per astrazione è dato ricavare che sia nel caso della assegnazione della casa in locazione sia in quello della casa in comodato, la giurisprudenza giustifica l’opponibilità al terzo dell’ordinanza di assegnazione sul rilievo per cui il provvedimento giudiziale garantisce, in pratica, la permanenza della situazione di fatto originaria. In altri termini, in entrambe le ipotesi in cui il provvedimento ex art. 337 sexies c.c. viene con (7) Cass. 7 novembre 2019, n. 28615. (8) Cass. civ., sez. Sez. Unite, del 29 settembre 2014, n. 20448. Sul punto si segnala anche Cass. civ., Sez. Unite, (ud. 10 giugno 2004) 21 luglio 2004, n. 13603 nella parte in cui sottolinea “non può ipotizzarsi una funzionalizzazione assoluta del diritto di proprietà del terzo a tutela di diritti che hanno radice nella solidarietà coniugale o postconiugale. È peraltro evidente che, così come i limiti soggettivi ed oggettivi del provvedimento di assegnazione non consentono una compressione dei diritti vantati dal dominus, che non è stato parte del giudizio nel quale il provvedimento stesso è stato emesso, per converso non è configurabile un ampliamento della posizione giuridica del coniuge assegnatario, nei confronti dello stesso proprietario, rispetto a quella vantata dall’originario comodatario”. PArerI DeL COMItAtO COnSULtIvO siderato opponibile al terzo rimasto estraneo al giudizio di separazione, il provvedimento giurisdizionale non ha alcuna efficacia attributiva, bensì produce effetti di esclusione di uno dei coniugi dall’utilizzazione dell’abitazione, poiché si limita a concentrare la detenzione dell’immobile a favore del coniuge assegnatario. Gli esiti giurisprudenziali in tema di opponibilità del provvedimento di assegnazione pronunciato in un giudizio di separazione o divorzio nei confronti del locatore e del comandante rimasti estranei alla gestione della crisi della famiglia, sembrano alla Scrivente non estensibili al caso in cui il terzo proprietario sia un’Amministrazione pubblica ed il cespite oggetto di assegnazione sia un alloggio di servizio tanto perché il coniuge non assegnatario non subentra -in difetto di una specifica norma analoga all’art. 6 della L. n. 392 del 1978 -“nel rapporto concessorio, ormai cessato” (9), ma a questi viene al contrario -attribuito sul bene altrui un diritto atipico di godimento del bene in difetto -tuttavia -della preventiva integrazione del contraddittorio con il legittimo proprietario del bene, risultando - pertanto - a questi inopponibile. A supporto di detta posizione si richiama quanto statuito da t.a.r. Lazio roma Sez. I bis, Sent., (ud. 5 maggio 2010) 14 giugno 2010, n. 17547 in relazione alla sentenza di divorzio per cui “la sentenza di divorzio, che assegna la casa familiare all’ex moglie, non è opponibile all’amministrazione, ancor più se si considera che questa non ha partecipato al relativo giudizio e non ha, conseguentemente, potuto opporre eventuali proprie ragioni contrarie (cfr. art. 2909 cod. civ.). né si rinviene una norma che consenta all’ex coniuge di continuare a godere dell’immobile demaniale (tant’è, che l’amministrazione, potrebbe anche agire per la liberazione dell’immobile manu militari non essendo lo stesso occupato dall’ex concessionario)” (10). A ciò si aggiunge che -ove si opinasse diversamente -si consentirebbe al militare di disporre in sede di separazione consensuale del bene cedendone -di fatto -il godimento al coniuge non assegnatario affinché venga utilizzato come casa familiare, così ammettendosi la validità di negozi in danno o sul patrimonio del terzo (ossia, il Ministero della Difesa). È -infatti -evidente che l’assegnazione della casa coniugale, nell’ambito del procedimento di separazione giudiziale, ha quale ineliminabile presupposto la disponibilità, per uno o per entrambi i coniugi, dell’immobile che ne costituisce l’oggetto, mentre nel caso di assegnazione di un alloggio demaniale, il provvedimento di as( 9) Cass. civ., Sez. I, 8 marzo 2018, n. 5575 che richiama Cass. civ. Sez. I, 9 luglio 1989, n. 3247. (10) In questo senso si è espressa anche la giurisprudenza di legittimità. Si veda, in particolare, Cass. civ., Sez. III, ord., (ud. 11 dicembre 2017) 15 marzo 2018, n. 6392 “l’eventuale provvedimento di assegnazione della casa familiare contenuto nelle condizioni di separarazione personale dei coniugi (..) non impediva alla amministrazione proprietaria del bene immobile di agire per il recupero del possesso dell’alloggio (cfr. corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 1258 del 2 febbraio 1993; id. Sez. 1, Sentenza n. 5236 de1 27 maggio 1994; id. Sez. 2, Sentenza n. 1866 de1 21 febbraio 1998)”. rASSeGnA AvvOCAtUrA DeLLO StAtO -n. 2/2023 segnazione non si limiterebbe a regolare i rapporti patrimoniali e personali dei coniugi, “ma attribuirebbe una sorta di diritto di utilizzo, con evidente travolgimento del regime proprio dell’immobile interessato” (t.a.r. emilia-romagna Bologna Sez. I, Sent., (ud. 18 aprile 2013) 2 maggio 2013, n. 344). In questo senso il Giudice amministrativo ha chiarito inoltre che “all’amministrazione militare -cui non può essere opposto un provvedimento giudiziale che finirebbe in tal modo per statuire su vincoli preordinati alla realizzazione di interessi pubblici specifici privando l’organo statale dei suoi poteri amministrativi in ordine all’uso di beni riconducibili al patrimonio indisponibile -è chiamata a questo punto a prendere atto dell’uso esclusivo dell’immobile da parte di soggetto non abilitato a permanervi in mancanza del titolare e, in ragione della conseguente violazione del vincolo di destinazione assegnato al bene, è tenuta ad assumere le conseguenti determinazioni ovvero la rimozione (nelle forme -a seconda dei casi -della decadenza, della revoca o della declaratoria di cessazione) della concessione dell’alloggio e la conseguente intimazione agli occupanti di rilasciare l’immobile” (t.a.r. emiliaromagna Bologna Sez. I, Sent., (ud. 18 aprile 2013) 2 maggio 2013, n. 344). 7. Peculiarità della disciplina del patrimonio alloggiativo dell’arma dei Carabinieri. Ferme le considerazioni innanzi esposte in senso critico rispetto all’indirizzo giurisprudenziale che qualifica gli alloggi della Difesa di cui agli artt. 278-294 D.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 e artt. 311-361 del d.P.r. 15 marzo 2010, n. 90 come “case familiari” suscettibili di essere oggetto di provvedimenti di assegnazione opponibili all’Amministrazione, la Scrivente deve -comunque -esprimere i propri dubbi sull’automatica estensibilità della giurisprudenza maggioritaria - anche ove ritenuta non superata dalle osservazioni che precedono - al patrimonio alloggiativo dell’Arma dei Carabinieri. va, infatti, sottolineato che la giurisprudenza che si è espressa nel senso per cui in caso di separazione, l’alloggio di servizio può essere attribuito al coniuge diverso dal concessionario se affidatario della prole ha avuto -nella maggior parte dei casi -ad oggetto gli alloggi asi (comuni a tutte le forze Armate) e non asGi (propri del regime degli alloggi per il personale dell’Arma dei Carabinieri), la cui assegnazione, rispetto ai primi, impone requisiti più stringenti come chiaramente emerge dalla lettura delle relative norme, che prevedono: - -l’art. 313 lett. c) del tuom (ASI), subordina l’assegnazione alla “costante presenza del titolare nella sede del servizio per il soddisfacimento delle esigenze di funzionalità e sicurezza del servizio medesimo”; -l’art. 363 c. 2 del tuomi (ASGI), subordina l’assegnazione alla “costante e immediata disponibilità, nonché l’efficienza dei servizi e la sicurezza delle caserme”. PArerI DeL COMItAtO COnSULtIvO La differenza tra gli alloggi ASGI e gli ASI ha invero indotto anche il Giudice contabile a sottolineare “l’opportunità di istituire anche per l’esercito, la marina e l’aeronautica la categoria degli asgi a similitudine di quanto avviene nell’arma dei carabinieri, al fine di contenere, se non eliminare del tutto per il futuro, il fenomeno utenze occupate sine titulo” perché i primi -ancor meglio dei secondi -“garantirebbero la diretta strumentalità tra l’alloggio e la funzione assolta”, eliminando il rischio “di proliferazione delle utenze senza titolo che, nel corso degli anni, ha accentuato il diffuso fenomeno di immobilizzazione del patrimorno alloggiativo della difesa” (11). Alla luce delle coordinate ermeneutiche innanzi tracciate, si offre la seguente soluzione del quesito formulato, fermo restando che l’Amministrazione in indirizzo sarà chiamata -di volta in volta -a dare applicazione ai principi esposti in punto di diritto graduandoli, secondo una ragionevole applicazione del noto principio di proporzionalità, in base alle specificità dei casi concreti sottoposti al suo vaglio. 8. Conclusioni. In base a quanto innanzi esposto, tenuto conto delle peculiarità del regime degli alloggi per il personale dell’Arma dei Carabinieri, considerata -per le ragioni evidenziate -la non inconfutabilità degli argomenti valorizzati della giurisprudenza maggioritaria, valutato l’alto rango dell’interesse dell’Amministrazione a ripristinare la destinazione istituzionale dell’alloggio per l’efficiente espletanento delle proprie funzioni di pubblica sicurezza, rilevato altresì che nel caso in esame è stato disposto l’affidamento condiviso ad entrambi i genitori della prole, si ritiene che l’Amministrazione in indirizzo -resa edotta dei connessi rischi processuali derivanti dall’adesione ad un indirizzò giurisprudenziale minoritario -possa valutare di procedere all’emissione di un motivato avviso di rilascio dell’immobile attenendosi -per gli aspetti redazionali ed operativi -alle indicazioni recate dalla circolare n. 27/579-1-2021 in allegato qui pervenuta -in fase di interlocuzione informale ed istruttoria sul quesito -dal Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri cui il presente parere è indirizzato per opportuna conoscenza. Sul presente parere si espresso in senso conforme il Comitato Consultivo dell’Avvocatura dello Stato nella seduta del 20 luglio 2023. (11) Deliberazione 12 novembre 2015 n. 10/2015/G. rASSeGnA AvvOCAtUrA DeLLO StAtO -n. 2/2023 alloggio di servizio del ministero della difesa: separazione personale dei coniugi, soggetto tenuto alla corresponsione del “canone” per l’occupazione “sine titulo” dell’alloggio, procedura di recupero coattivo dell’immobile Parere del 07/12/2023-763707, al 26189/2023, ProcUratore dello Stato valeria romano 1. il tema generale ed il quesito formulato. Il tema oggetto del presente parere riguarda il delicato problema -già in parte esaminato della Scrivente in sede consultiva (1) -della gestione del patrimonio alloggiativo del Ministero della Difesa attenendo, più in particolare, alla questione giuridica dell’incidenza delle vicende legate alla crisi del vincolo matrimoniale del dipendente concessionario di un alloggio di servizio sulla concessione del bene nonché sull’obbligo di pagare il corrispettivo per il relativo utilizzo all’Amministrazione concedente quando il rapporto concessorio sia ormai cessato e l’immobile risulti occupato -in virtù di un provvedimento giudiziale ex art. 337 sexies cc. o di un accordo di separazione consensuale -da un soggetto che, altrimenti, non essendo militare in servizio dotato dei requisiti per l’accesso alla concessione, non avrebbe alcun titolo di occupare il cespite destinato ex lege alla soddisfazione delle esigenze istituzionali dell’ente concedente. Si tratta -come noto -di un tema di particolare rilievo per l’Amministrazione in indirizzo considerato che -come si legge nello “schema di decreto ministeriale concernente il piano di gestione del patrimonio abitativo della difesa -atto del Governo 420 ” -il patrimonio alloggiativo dell’AD, in dotazione al 1° gennaio 2022, è composto da 15.762 alloggi di servizio destinati al personale dipendente, del quale una consistente quota di circa il 25 per cento è composto da utenze sottratte alla destinazione istituzionale prevista ex lege perché occupate dai coniugi separati degli originari concessionari la cui “immobilizzazione” (2) comporta la sottrazione di un considerevole numero di cespiti alla potenziale assegnazione al personale che ne avrebbe diritto in ragione delle funzioni svolte. In tale contesto, con la nota emarginata, lo Stato Maggiore della Difesa ha chiesto alla Scrivente di fornire delle generali coordinate interpretative nonché le necessarie linee di indirizzo tecnico-giuridico per la gestione delle ipotesi in cui -con riguardo agli alloggi asi (alloggi di servizio connessi all’incarico) di cui all’art. 281 d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 -“l’ex co (1) CS/41556/2022 - Proc. romano del 21 luglio 2023. (2) Così deliberazione Corte dei Conti 12 novembre 2015 n. 10/2015/G. PArerI DeL COMItAtO COnSULtIvO niuge del concessionario originario, a cui il giudice ha assegnato l’abitazione quale “casa familiare a tutela della prole minore” non provveda al pagamento degli oneri eventualmente dovuti (canone di locazione e/o spese condominiali) ” chiedendo -più in particolare -di chiarire chi sia -tra il dipendente originario titolare della concessione ed il coniuge separato che occupa l’alloggio -il soggetto tenuto alla corresponsione del “canone di occupazione” e se si possa procedere -nell’ipotesi di mancato incameramento della somma da parte dell’Amministrazione titolare del cespite -ad attivare la procedura di recupero coattivo dell’immobile pur in presenza di un provvedimento giudiziale di assegnazione dell’alloggio di servizio come “casa familiare”. Più in particolare, nel formulare il quesito in riscontro, l’Amministrazione in indirizzo mostra di muovere dai seguenti assunti concettuali: a) la qualificabilità degli alloggi ASI come “casa familiare”; b) la suscettibilità di detti alloggi di essere oggetto di provvedimenti giurisdizionali di assegnazione ai sensi dell’art. 337 sexies c.c. in favore del coniuge separato, diverso dal titolare della concessione, affidatario della prole; c) la pacifica opponibilità e “cogenza” nei confronti dell’Amministrazione titolare del cespite del provvedimento giurisdizionale di assegnazione; d) la non esperibilità delle procedure di autotutela esecutiva -di cui all’art. 823 c.c. -volte alla liberazione coatta degli immobili occupati dai coniugi separati affidatari della prole anche se morosi rispetto al pagamento del canone di occupazione; e) la collocazione, a seguito dell’assegnazione dell’alloggio quale casa familiare, esclusivamente in capo al concessionario originario dell’obbligo di corresponsione del quantum dovuto per l’utilizzo dell’immobile non sussistendo -secondo l’Amministrazione in indirizzo -“un diretto obbligo in capo alla P.a. di richiedere il pagamento del canone di occupazione ad entrambi gli ex-coniugi”e“restando a carico della ex coniuge l’obbligo di provvedere a rifondere il concessionario originario nei modi e nelle forme che gli stessi riterranno opportune”. Partendo da tali assunti, nel formulare il quesito innanzi riassunto, lo Stato Maggiore della Difesa ha altresì trasmesso alla Scrivente due note rispettivamente dello Stato Maggiore dell’Aeronautica (3) e del Comando Supporto enti di vertice (4) che -nel porre, in particolare, la questione dell’individuazione -tra il coniuge non militare affidatario della prole ed il dipendente originario concessionario -del soggetto legittimato passivo delle pretese economiche dell’Amministrazione titolare degli alloggi in concreto utilizzati come case familiari -hanno richiamato un precedente parere reso dalla Scri (3) M_D ArM001 reG2023 0052081 23.05.2023. (4) M_D ArM024 reG2022 0011582 1.03.2022. rASSeGnA AvvOCAtUrA DeLLO StAtO -n. 2/2023 vente sulla materia (5) nel quale -diversamente da quanto esposto sub e -si è affermato il principio per cui “il pagamento del canone di utilizzo dell’immobile deve far carico alla ex moglie del militare, assegnataria della ‘casa familiare’ e che la abita con i figli minori” (6). Letta la documentazione ed esaminate tutte le citate note, va -in primis -rilevata la non completa sovrapponibilità delle linee interpretative seguite dallo Stato Maggiore della Difesa e dallo Stato Maggiore dell’Aeronautica quanto alle condizioni per poter procedere alla liberazione coattiva degli immobili occupati “sine titulo”: lo Stato Maggiore della Difesa -da un lato si è, infatti, espresso nel senso della preclusione assoluta all’autotutela anche in caso di morosità, da parte degli occupanti sine titulo c.d. protetti, nel versamento del quantum dovuto per 1’utilizzo dell’immobile ex art. 286, c. 3bis, del COM, mentre lo Stato Maggiore della Aeronautica ha preso posizione nel senso della fruibilità dell’autotutela ex art. 823 cc., ove “l’ex coniuge del concessionario originario, a cui il giudice ha assegnato l’abitazione quale casa familiare a tutela della prole minore, non provveda al pagamento degli oneri eventualmente dovuti (canone di locazione e/o spese condominiali)”. Sempre a valle dell’esame della documentazione a corredo della richiesta di parere in riscontro, va altresì preso atto del contrasto tra l’esegesi del dato normativo fornita dalle Amministrazioni in indirizzo e quello offerto dall’Avvocatura dello Stato (7) in punto di individuazione del soggetto obbligato alla corresponsione degli importi relativi all’occupazione dell’utenza assegnata come “casa familiare”. tanto preliminarmente rilevato in ordine alla perimetrazione del quesito formulato ed alle diverse interpretazioni in materia, la Scrivente -in considerazione del non trascurabile impatto economico-patrimoniale e sociale delle tematiche poste -ritiene di dover ordinatamente e partitamente analizzare le questioni oggetto della nota in riscontro secondo il relativo ordine logico-giuridico muovendo -in particolare -dalla verifica della correttezza della premessa concettuale del contenuto della nota dell’Amministrazione in indirizzo consistente nella ritenuta pacifica qualificabilità degli alloggi ASI come “casa familiare”. 2. Qualificabilità degli alloggi asi come “casa familiare”: esclusione. Sul problema della qualificabilità dei cespiti facenti parte del patrimonio alloggiativo del Ministero della Difesa come “casa familiare” e sulla relativa suscettibilità di essere oggetto ex art. 337 sexies c.c. di un provvedimento di assegnazione in favore del coniuge diverso dal concessionario opponibile al (5) Ct 4951/2020 Avv. Pampanelli. (6) protocollo n. 165498 del 20 marzo 2020. (7) v., Ct 4951/2020. PArerI DeL COMItAtO COnSULtIvO l’Amministrazione titolare dell’immobile, la Scrivente si è già espressa in sede consultiva rendendo il parere di massima CS /41556/2022 del 21 luglio 2023 che, per pronta consultazione, si allega alla presente nota. In tale occasione, la Scrivente ha aderito -per le ragioni ivi esplicate -all’impostazione giurisprudenziale secondo la quale non può qualificarsi -in punto di diritto -alla stregua di “casa familiare” un alloggio demaniale concesso ad un militare in servizio permanente per motivi correlati all’incarico conferito dall’Amministrazione. A tale conclusione la Scrivente è pervenuta -invero -con particolare riguardo agli alloggi asGi (categoria di alloggi riservata al personale del- l’Arma dei Carabinieri e disciplinati all’art. 363, c. 2, del tuom) con argomentazioni che, per quel che in questa sede rileva, si ritengono estendibili anche agli alloggi asi oggetto della nota in riferimento. 2.1. Come già posto in evidenza del predetto parere, gli alloggi asi (comuni a tutte le Forze Armate) si distinguono dagli asGi (la cui fruizione è riservata al personale dell’Arma dei Carabinieri), la cui assegnazione, rispetto ai primi, impone requisiti più stringenti come emerge dalla lettura delle relative norme che prevedono quanto segue: -l’art. 313 lett. c) del tuom (ASI) finalizza l’assegnazione alla titolarità di un incarico che richiede la “costante presenza del titolare nella sede di servizio per il soddisfacimento delle esigenze di funzionalità e sicurezza del servizio medesimo”; -l’art. 363 c. 2 del tuom (ASGI) subordina l’assegnazione dell’immobile alla titolarità di un incarico che richiede la “costante e immediata disponibilità, nonché l’efficienza dei servizi e la sicurezza delle caserme”. ebbene -per quel che in questa sede specificatamente rileva -la surrichiamata differenza -pur rimarcando la strumentalizzazione esclusiva degli alloggi ASGI alle esigenze di servizio dell’Arma dei Carabinieri -non appare alla Scrivente idonea a giustificare un diverso regime -per gli alloggi ASI rispetto agli alloggi ASGI -delle conseguenze giuridiche nel caso in cui intervenga un provvedimento di separazione dal coniuge del militare concessionario tanto sulla scorta del vincolo di destinazione funzionale che -ex lege -accomuna i beni facenti parte di entrambe le categorie alloggiative in quanto parimenti preordinati a consentire la permanenza nella sede di lavoro del militare, in una prospettiva di agevolazione dell’espletamento del servizio da parte del militare in vista del conseguimento degli scopi istituzionali dell’Amministrazione di appartenenza. tanto è evidente -con riguardo agli alloggi ASI -dall’esame della relativa disciplina sia nella fase genetica del rapporto concessorio avente ad oggetto detti immobili, sia nella fase di esaurimento degli effetti dell’atto concessorio. a) Quanto alla costituzione del rapporto concessorio, in base al disposto dell’art. 281 del d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66, gli alloggi ASI vengono assegnati al personale dipendente cui sono affidati incarichi che richiedono “l’obbligo” rASSeGnA AvvOCAtUrA DeLLO StAtO -n. 2/2023 di abitare presso la località di servizio e “pertanto il criterio di assegnazione è guidato ed orientato esclusivamente dalle necessità funzionali legate alle peculiarità del servizio (il reddito è solo criterio assolutamente residuale a parità di altre condizioni)” (8). b) Quanto alla fase di esaurimento degli effetti della concessione avente ad oggetto alloggi ASI, l’art. 319 del d.P.r. 15 marzo 2010, n. 90 stabilisce che la durata delle concessioni è “fissata per gli alloggi aSGc, aSir e aSi per il periodo di permanenza nell’incarico per il quale è stato concesso l’alloggio” sicché il venir meno della relazione fra attività di servizio e occupazione dell’alloggio o comunque la circostanza fattuale che il militare non si serva dell’alloggio come sua abitazione determinano la perdita del titolo alla concessione dell’immobile ai sensi dell’art. 330 del medesimo d.P.r. 2.2. L’estendibilità delle considerazioni esposte -per gli alloggi asGi -nel parere CS/41556/2022 del 21 luglio 2023 anche agli alloggi asi può desumersi -ad avviso della Scrivente -anche ricorrendo al parametro interpretativo rappresentato dal tertium comparationis con gli alloggi ast. Come noto, gli alloggi da ultimo menzionati sono assegnati -a norma del- l’art. 283 del d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 -tenuto conto del reddito degli istanti, ai militari che prestano generico servizio nella località in cui è situato l’alloggio “per la sistemazione temporanee delle proprie famiglie” e -dunque -non esclusivamente sulla base delle esigenze proprie e peculiari del servizio. ne deriva che “solo chi ottiene un alloggio aSt sulla base della necessità proprie e della situazione reddituale e familiare presenta delle necessità di carattere sociale che meritano di essere salvaguardate, sia pur in via eccezionale. non così per i titolari di alloggio aSi poichè essi sono ammessi esclusivamente sulla base delle esigenze di servizio che impongono la presenza, a prescindere da considerazioni di carattere mutualistico” (9). Alla stregua di quanto esposto, la conclusione della non qualificabilità del- l’alloggio ASI quale casa familiare pare alla Scrivente confermata dal rilievo per cui anche per gli alloggi ASt -per i quali appare obiettivamente meno stringente la connessione funzionale con l’espletamento del servizio -la giurisprudenza amministrativa ha affermato che “gli alloggi di servizio ‘aSt’ (categoria degli “alloggi di servizio di temporanea sistemazione per le famiglie dei militari”) ricevono un vincolo di destinazione, preordinato a consentire la permanenza nella sede di lavoro del militare e del suo nucleo familiare, in una prospettiva di agevolazione dell’espletamento del servizio da parte del militare stesso, destinatario della concessione dell’immobile ed effettivo fruitore del beneficio”. Sicché anche nel caso di alloggi ASt “l’amministrazione militare -cui non può essere opposto un provvedimento (8) Così Cons. Stato Sez. Iv, Sent., (ud. 30 ottobre 2012) 4 dicembre 2012, n. 6186. (9) Così ancora Cons. Stato Sez. Iv, Sent., (ud. 30 ottobre 2012) 4 dicembre 2012, n. 6186. PArerI DeL COMItAtO COnSULtIvO giudiziale di separazione che finirebbe in tal modo per statuire su vincoli preordinati alla realizzazione di interessi pubblici specifici privando l’organo statale dei suoi poteri amministrativi in ordine all’uso di beni riconducibili al patrimonio indisponibile -è chiamata a questo punto a prendere atto dell’uso esclusivo dell’immobile da parte di soggetto non abilitato a permanervi in mancanza del titolare e, in ragione della conseguente violazione del vincolo di destinazione assegnato al bene, è tenuta ad assumere le conseguenti determinazioni, ovvero la rimozione (nelle forme -a seconda dei casi -della decadenza, della revoca o della declaratoria di cessazione) della concessione dell’alloggio e la conseguente intimazione agli occupanti di rilasciare l’immobile” (t.a.r. emilia-romagna Bologna Sez. I, Sent., (ud. 18 aprile 2013) 2 maggio 2013, n. 344; Cons. Stato, Sez. Iv, 15 luglio 1999 n. 1254; t.a.r. emilia-romagna, Bologna, Sez. II, 21 aprile 2005 n. 640). 2.3. In disparte l’argomento positivo fondato sulla funzionalizzazione ex lege degli alloggi ASI alle esigenze istituzionali e quello basato sulla comparazione con il regime degli alloggi ASt, l’estensione delle conclusioni cui la Scrivente è pervenuta nel parere CS/41556/2022 anche agli alloggi ASI pare corroborata da un argomento di sistema rappresentato dal necessario rispetto del generale principio di rotazione nella titolarità delle concessioni dei beni pubblici (10). A mente di detto principio, infatti, è -in linea di massima -necessario assicurare l’effettiva turnazione dei concessionari di beni pubblici consentendo l’accesso alle opportunità offerte dalle concessioni demaniali a tutti i potenziali candidati evitando la cristallizzazione di relazioni esclusive con il bene pubblico e 1’immobilizzazione dei beni a scopi diversi da quelli pubblicistici cui gli stessi sono asserviti. In questo senso la giurisprudenza -anche di legittimità -ha affermato che dal rapporto concessorio avente ad oggetto i beni del patrimonio alloggiativo del Ministero della Difesa origina un diritto di godimento “necessariamente temporaneo e soggetto a turnazione in ragione delle esigente di servizio” (11) di talché deve ritenersi che a detta regola -in difetto di norme di segno opposto -non siano sottratte le concessioni di alloggi ASI. Dall’applicazione del principio di rotazione nella titolarità delle concessioni dei beni pubblici, deriva il logico corollario per cui le deroghe -in chiave solidaristica -che eccezionalmente ammettono un consolidamento del diritto di godimento del bene pubblico oltre il limite temporale ab initio stabilito dalla concessione debbono considerarsi eccezionali ed -in quanto tali -ristrette ai casi specificatamente previsti in sede normativa. Sotto detto ultimo profilo -come pure (10) recentemente oggetto di attenzione giurisprudenziale con riguardo alle concessioni demaniali per finalità turistico-ricreativa. Si v., Cons. Stato, Ad. Plen., 9 novembre 2021, n. 18, in Foro it., 2022, 3, 3, 121. (11) Cass. civ., Sez. v, 17 maggio 2017, n. 12331. rASSeGnA AvvOCAtUrA DeLLO StAtO -n. 2/2023 messo in evidenza nel parere di massima allegato -risulta alla Scrivente che l’eccezionale e transitoria (12) disciplina recata dai Decreti Ministeriali 7 maggio 2014 e 24 luglio 2015 -nella parte in cui riconosceva al coniuge assegnatario della prole la possibilità di “mantenere la conduzione” dell’alloggio (art. 4 comma 23 D.M. 7 maggio 2014) -non sia stata reiterata con conseguente riespansione del regime ordinario di disciplina degli alloggi di servizio contenuta nel libro secondo del codice dell’ordinamento militare (artt. 278 e ss. del d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66) e nel libro secondo del testo Unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare (artt. 311 e ss. del d.P.r. 15 marzo 2010, n. 90) rilevando, in particolare, l’art. 320 del d.P.r. 15 marzo 2010, n. 90 che regolamenta le fattispecie di “deroghe particolari” anche per il personale che fruisce di alloggio ASI tra le quali non vi è alcun riferimento alla tutela del coniuge separato quale elemento ostativo al recupero degli alloggi detenuti da occupanti sine titulo. 2.4. Dalle considerazioni che precedono, integrate con le motivazioni già esposte con il parere CS /41556/2022, pare alla Scrivente ragionevole giungere alla conclusione per cui gli alloggi ASI non sono sussumibili nella nozione giuridica di casa familiare. Ove tuttavia -come accade nella prassi -un alloggio ASI sia, cionondimeno, oggetto di un provvedimento giurisdizionale di assegnazione emesso ai sensi dell’art. 337 sexies c.c. -si pone il conseguente problema -in punto di diritto -dell’opponibilità dell’assegnazione ope iudicis dell’alloggio nei confronti dell’Amministrazione. 3. sul regime di opponibilità ai terzi del provvedimento di assegnazione della casa familiare. Anche con riguardo al problema dell’opponibilità -nei confronti del (12) L’art. 306, comma 2, del d.lgs. n. 66 del 2010 prevede -dopo la modifica apportata dal D.Lgs. 26 aprile 2016, n. 91 -che ogni due anni, entro il mese di marzo, il Ministro della difesa, sentite le competenti Commissioni parlamentari, definisca con proprio decreto il piano di gestione del patrimonio abitativo della Difesa, con l’indicazione dell’entità, dell’utilizzo e della futura destinazione degli alloggi di servizio, nonché degli alloggi non più ritenuti utili e quindi transitabili in regime di locazione ovvero alienabili, anche mediante riscatto. In proposito, consta alla Scrivente che, in osservanza di tale disposizione, siano stati emanati i seguenti D.M. a) Decreto del Ministro della difesa del 28 gennaio 2010, concernente il piano di gestione del patrimonio abitativo della Difesa per l’anno 2008 (registrato alla Corte dei conti il 14 aprile 2010, registro n. 4, foglio n. 77); b) il decreto del Ministro della difesa in data 23 giugno 2010, concernente il piano di gestione del patrimonio abitativo della Difesa per l’anno 2009 (registrato alla Corte dei conti il 23 luglio 2010, registro n. 8, foglio n. 325); c) il decreto del Ministro della difesa in data 11 giugno 2012, concernente il piano di gestione del patrimonio abitativo della Difesa per gli anni 2010 e 2011 (registrato alla Corte dei conti il 23 luglio 2010, registro n. 5, foglio n. 365); d) il D.M. 7 maggio 2014, recante il piano per le annualità 2012-2013; e) il D.M. 24 luglio 2015, per le annualità 2013-2014. tra le azioni più recenti risulta solo predisposto uno “Schema di decreto ministeriale concernente il piano di gestione del patrimonio abitativo della Difesa”. Atto del Governo 420 -Senato: Dossier n. 119 7 settembre 2022 nel quale si conferma che “ultimo piano gestionale degli alloggi militari è stato recato relativamente all’anno 2014 dal decreto del Ministro della Difesa 24 luglio 2015”. PArerI DeL COMItAtO COnSULtIvO Ministero della Difesa -del provvedimento con il quale il Giudice della separazione dispone l’assegnazione della casa familiare a favore del coniuge diverso dall’originario concessionario dell’alloggio, la Scrivente si è già espressa -nel menzionato parere CS/41556/2022 -in termini negativi (13). tale posizione è stata assunta, in estrema sintesi, sulla scorta dei principi generali in tema di efficacia soggettiva del giudicato alla luce del disposto dell’art. 2909 c.c. valorizzando il rilievo per cui -nel caso di assegnazione giudiziale dell’alloggio ex art. 337 sexies c.c. -si è in presenza di una pronuncia giudiziaria avente ad oggetto un bene del Ministero della Difesa non assunta nel contraddittorio con il legittimo proprietario del cespite e -pertanto -a questi inopponibile in assenza di una previsione normativa come quella recata in tema di contratto di locazione dall’art. 6 della legge 27 luglio 1978, n. 392 a mente del quale “nel contratto di locazione succede al conduttore l’altro coniuge se il diritto di abitare nella casa familiare sia stato attribuito dal giudice a quest’ultimo” ed in forza della quale -in caso di assegnazione ope iudicis di una casa familiare oggetto di un contratto di locazione -si determina una cessione ex lege del relativo contratto a favore del coniuge assegnatario e l’estinzione del rapporto in capo al coniuge originariamente conduttore (14). La posizione assunta dalla Scrivente in termini negativi circa l’opponibilità nei confronti del Dicastero -concedente del provvedimento di assegnazione dell’alloggio al coniuge diverso dal concessionario è stata altresì argomentata sulla scorta della giurisprudenza di legittimità sull’inopponibilità del provvedimento di assegnazione ex art. 337 sexies cc. nei confronti del comodante che chieda il rilascio dell’immobile -ove il contratto di comodato precedentemente stipulato non abbia esplicitamente contemplato la destinazione del bene a casa (15). Ciò posto, a valle della nota in riscontro ed a seguito di un ulteriore approfondimento sul tema, si offrono le ulteriori seguenti considerazioni al fine di sottolineare come al medesimo esito cui si è giunti nella precedente consultazione sia dato pervenire, oltre che -come già esposto nel precedente parere -facendo applicazione dei principi generali in tema di giudicato e della giurisprudenza in tema di opponibilità al locatore ed al comandante del provvedimento ex art. 337 sexies c.c., anche analizzando la questione attraverso lo strumentario concettuale proprio del diritto di famiglia soffermandosi -più in particolare -sulla natura, sulla funzione e sugli effetti del provvedimento di assegnazione della casa familiare nonché sul regime della relativa trascrizione. tali profili appaiono -invero -di particolare rilievo nella presente sede perché è proprio in base a detta pronunzia giurisdizionale che -secondo l’imposta (13) v., § 6. (14) Cass. civ. Sez. III Sent., 7 novembre 2019, n. 28615. (15) Cass. civ. Sez. Un., del 29 settembre 2014, n. 20448. rASSeGnA AvvOCAtUrA DeLLO StAtO -n. 2/2023 zione dominante qui oggetto di vaglio critico -il coniuge (o l’ex coniuge) assegnatario della casa familiare che non sia già titolare di diritti reali o personali nei confronti del dominus né abbia direttamente intrattenuto rapporti contrattuali con il proprietario, può continuare a godere dell’immobile “utendo jure” del cespite. 3.1. ebbene, come è risaputo, il provvedimento di assegnazione della casa familiare è -oggi -disciplinato dall’art. 337 sexies c.c. Come altresì noto, sotto il profilo teleologico, il provvedimento giurisdizionale in parola è volto a tutelare l’interesse della prole a permanere nell’ambiente domestico in cui è cresciuta. Sotto il profilo contenutistico il provvedimento emesso ai sensi dell’art. 337 sexies c.c. implica, quindi, “l’accertamento che l’immobile oggetto del- l’assegnazione si identifica con il luogo degli affetti, degli interessi, e delle abitudini in cui si esprime la vita familiare e si svolge la continuità delle relazioni domestiche, centro di aggregazione e di unificazione dei componenti del nucleo, complesso di beni funzionalmente organizzati per assicurare l’esistenza della comunità familiare” (16). Sul piano degli effetti del provvedimento di assegnazione della casa familiare, si è -invece -a lungo discusso con particolare riguardo alla corretta qualificazione giuridica del diritto che si costituisce in capo all’assegnatario in forza del provvedimento giudiziale in parola. Alcuni autori (17) si sono sul punto -espressi nel senso di qualificare il diritto del coniuge assegnatario come “diritto reale di abitazione” assimilabile al diritto reale d’abitazione di cui all’art. 1022 c.c. tale ricostruzione è stata oggetto di plurimi rilievi critici tra i quali il denunciato contrasto con il principio di tipicità dei diritti reali che non consente al giudice di ampliare il catalogo dei diritti reali fissato ex lege né di modificarne il contenuto in via interpretativa. Per quel che in questa sede rileva, le richiamate argomentazioni critiche sono state accolte dalla giurisprudenza di legittimità che ha escluso che quello riconosciuto dal provvedimento di cui all’art. 337 sexies c.c. sia configurabile come un diritto reale qualificando, al contrario, il diritto del soggetto assegnatario della casa familiare come un diritto personale di godimento sui generis e atipico sul cespite sorretto da ragioni di protezione della prole e temporaneo perché destinato ad esaurirsi al raggiungimento dell’indipendenza dei figli`(18). La questione della natura giuridica del diritto del soggetto assegnatario della casa coniugale non ha come evidente -rilievo meramente teorico essendo destinato ad impattare sul regime di opponibilità ai terzi degli effetti del provvedimento giurisdizionale (16) Cass. civ. Sez. III, Ord., (ud. 3 dicembre 2018) 10 aprile 2019, n. 9990 . (17) BIAnCA, diritto civile, 2, Giuffre, Milano, 1931, 146. (18) Muovendo dalla qualificazione del diritto dell’assegnatario come diritto personale di godimento, la giurisprudenza è giunta -in taluni arresti -ad escludere l’obbligo dell’assegnatario di pagare le imposte comunali sugli immobili oggetto di assegnazione Cass. civ. Sez. I, 19 settembre 2005, n. 1847. PArerI DeL COMItAtO COnSULtIvO emesso ex art. 337 sexies c.c. essendo -in linea di massima -di più agevole affermazione l’opponibilità del provvedimento di assegnazione a fronte del carattere reale ed erga omnes del diritto del beneficiario ed -invece -più complessa la ricostruzione del regime di opponibilità ai terzi del diritto riconosciuto ope iudicis ove si acceda alla tesi -oggi dominante -della natura di diritto di godimento atipico della posizione giuridica soggettiva attiva vantata dall’assegnatario della casa familiare 3.2. Svolta tale premessa sulle finalità, sul contenuto e sugli effetti del provvedimento di assegnazione della casa familiare, occorre verificare come dette caratteristiche si riverberino sul tema -in questa sede di maggiore interesse -del regime di opponibilità del provvedimento di assegnazione nei confronti dei terzi. A tal fine pare utile ripercorrere -sebbene in chiave sintetica le principali evoluzioni normative e giurisprudenziali in materia. Con la riforma del diritto di famiglia -legge 19 maggio 1975, n. 151 -il Legislatore è intervenuto -per la prima volta -in materia di assegnazione della casa familiare disponendo, all’art. 155, comma 4, c.c., che, nel solo caso di separazione tra i coniugi, “l’abitazione nella casa familiare spetta di preferenza, e ove sia possibile, al coniuge cui vengono affidati i figli”, nulla prevedendo circa il regime di opponibilità del provvedimento giudiziale di assegnazione. Successivamente, con l’art. 11 comma 6 della legge 6 marzo 1987, n. 74, il diritto di assegnazione della casa familiare è stato espressamente riconosciuto anche in caso di divorzio stabilendosi altresì che “l’assegnazione, in quanto trascritta, è opponibile al terzo acquirente ai sensi dell’art. 1599 del codice civile” (19). Per quel che in questa sede interessa, il richiamo all’art. 1599 c.c. risultava ispirato all’esigenza di evitare disparità di trattamento tra il coniuge assegnatario di unità abitativa di proprietà dell’altro coniuge rispetto al coniuge assegnatario di immobile locato poiché -come visto -ex art. 6 della legge 27 luglio 1978, n. 392 -solo in caso di assegnazione ope iudicis di una casa familiare oggetto di un contratto di locazione si determinava la cessione ex lege del relativo contratto a favore del coniuge assegnatario. Seppur motivata dalla descritta finalità, l’art. 155, comma 4, cc., costituì l’oggetto di un ampio dibattito interpretativo. Più in particolare, l’utilizzo della locuzione “in quanto trascritta” determinò l’insorgere di due diversi indirizzi giurisprudenziali: secondo un primo orientamento, avendo il provvedimento di assegnazione data certa, il diritto del coniuge assegnatario doveva ritenersi comunque opponibile, anche se non trascritto, entro il novennio a far data dall’assegna (19) Si riporta, per comodità di consultazione, l’art. 1599 cc. “1. il contratto di locazione è opponibile al terzo acquirente, se ha data certa anteriore all’alienazione della cosa. 2. la disposizione del comma precedente non si applica alla locazione di beni immobili iscritti in pubblici registri, se l’acquirente ne ha conseguito il possesso in buona fede. 3. le locazioni di beni immobili non trascritte non sono opponibili al terzo acquirente, se non nei limiti di un novennio dall’inizio della locazione. 4. l’acquirente è in ogni caso tenuto a rispettare la locazione, se ne ha assunto l’obbligo verso l’alienante”. rASSeGnA AvvOCAtUrA DeLLO StAtO -n. 2/2023 zione, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1599, comma 1, c.c.; ove, invece, detto provvedimento fosse stato trascritto nei registri immobiliari, l’opponibilità si sarebbe estesa oltre il novennio, in applicazione di quanto disposto dall’art. 1599, comma 3, c.c. In base ad un diverso orientamento, al contrario, la trascrizione del provvedimento di assegnazione doveva ritenersi sempre quale condicio sine qua non ai fini della opponibilità ai terzi. La composizione del contrasto giurisprudenziale succintamente tratteggiato venne -in estrema sintesi -rimesso al vaglio delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che -con la sentenza n. 11096 del 26 luglio 2002 -enunciarono il principio per cui il provvedimento di assegnazione doveva ritenersi opponibile comunque entro il novennio, in quanto atto dotato per propria natura di data certa, essendo l’onere della trascrizione previsto ai soli fini dell’opponibilità ultranovennale. Dopo l’intervento delle Sezioni Unite il problema del regime dell’opponibilità ai terzi del provvedimento di assegnazione della casa coniugale risultava -invero -non del tutto delineato nella dottrina e nella giurisprudenza gius-familiare. Il problema dell’opponibilità dell’assegnazione della casa familiare ex art. 155 , comma 4, cc., c.c. era stato -infatti -esaminato dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite esclusivamente con riguardo ai terzi acquirenti dell’immobile dopo il provvedimento di assegnazione, residuando -quindi -il tema del regime di opponibilità del provvedimento di assegnazione della casa familiare nei confronti di terzi titolari del diritto di proprietà o di altro diritto reale sull’immobile anteriormente al dissolvimento dell’unità familiare ed alla vicenda attributiva dell’alloggio al coniuge separato o divorziato. Detta ipotesi -che direttamente viene in rilievo ai fini della presente trattazione -venne affrontata in una successiva sentenza a Sezioni Unite della Corte di cassazione (20). In proposito, ribadita l’esigenza di bilanciamento tra gli opposti interessi, entrambi di rilievo costituzionale, della conservazione del residuo nucleo familiare e della disponibilità del bene da parte del legittimo titolare, il limite del sacrificio imposto dal dovere di solidarietà fu individuato nell’esigenza di impedire “una funzionalizzazione assoluta del diritto di proprietà del terzo a tutela di diritti che hanno radice nella solidarietà coniugale o post-coniugale”, essendo il terzo del tutto estraneo al rapporto coniugale ed al giudizio seguito alla fase patologica di quel rapporto, derivando da ciò che “la disciplina della opponibilità dell’assegnazione nei confronti del terzo proprietario dell’immobile riguarda le sole ipotesi in cui detta titolarità sia stata acquisita successivamente alla vicenda attributiva dell’allog( 20) Si v., Cass. civ. Sez. Unite, 21 luglio 2004, n. 13603 che ha affrontato il caso del proprietario dell’immobile che affermava il proprio diritto a rientrare in possesso del bene concesso in comodato al figlio ed assegnato, con ordinanza presidenziale emessa nel giudizio di separazione personale tra i coniugi, alla moglie, affidataria dei figli minori: pertanto la concessione in comodato dell’immobile da parte del terzo proprietario si collocava in un momento anteriore al provvedimento di assegnazione della casa familiare. PArerI DeL COMItAtO COnSULtIvO gio al coniuge separato o divorziato, e non quelle in cui l’acquisto della proprietà o di altro diritto reale sia anteriore, non potendo il provvedimento giudiziale incidere negativamente ed in modo diretto su una situazione preesistente facente capo ad un soggetto estraneo al giudizio nel quale è stata disposta l’assegnazione” (21). A seguito delle due sentenze delle Sezioni Unite innanzi richiamate si era - quindi - strutturato un assetto così sintetizzabile: a) opponibilità immediata infra-novennale anche in assenza di trascrizione del provvedimento nei confronti dei terzi acquirenti dell’immobile già oggetto di assegnazione giurisdizionale al coniuge separato; b) inopponibilità della pronunzia giurisdizionale nei confronti dei terzi titolari di diritto di proprietà o di altro diritto reale anteriore all’assegnazione ope iudicis. Anche il predetto assetto non era andato esente da critiche rilevandosi in particolare con riguardo all’opponibilità immediata infra-novennale -sub a) -in assenza di trascrizione e quindi in presenza di un affidamento incolpevole del terzo acquirente -come la tutela avanzata della prole fondata sugli obblighi di mantenimento di educazione e di istruzione di cui all’art. 30 della Costituzione se idonea a limitare il diritto di proprietà dei soggetti direttamente tenuti all’adempimento di quegli obblighi (id est il coniuge proprietario non assegnatario dell’immobile), non avrebbe potuto consentire di limitare il diritto di proprietà del terzo estraneo al disciolto nucleo familiare ed acquirente successivamente all’assegnazione in assenza di trascrizione del titolo giudiziale (22). 3.3. A fronte del complesso dibattito innanzi tracciato, il legislatore interveniva nuovamente sul tema con la legge 8 febbraio 2006 n. 54 con la quale veniva introdotto l’art. 155 quater c.c. il quale, così statuiva “il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell’articolo 2643 c.c.”. tale previsione è stata, poi, da ultimo collocata dal d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, all’art. 337 sexies c.c. -oggi vigente -che analogamente dispone che “il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell’articolo 2643”. (21) Cass. civ. Sez. Unite, 21 luglio 2004, n. 13603. (22) Come osservato in dottrina “l’interesse dei figli ad abitare nella casa familiare può ritenersi sì tutelato dall’art. 30 cost., ma solo in quanto inerisce al diritto-dovere dei genitori di mantenerli, istruirli ed educarli; esso è pertanto meritevole di essere garantito dall’ordinamento giuridico proprio nei confronti dei genitori, e non già di altri soggetti (e segnatamente del terzo acquirente dell’immobile ovvero dei creditori che lo abbiano pignorato). d’altro canto, e a maggior ragione, la tutela della proprietà privata che è sancita dall’art. 42 cost., riguardando anche i modi mediante i quali essa è acquistata, rende meritevole di salvaguardia da parte dell’ordinamento giuridico il ragionevole affidamento dei terzi sull’inesistenza di oneri o pesi che limitino il godimento del bene” così SIrenA, l’opponibilità del provvedimento di assegnazione della casa familiare dopo la legge sull’affidamento condiviso, in riv. dir. civ., 2011, 5, 20559. rASSeGnA AvvOCAtUrA DeLLO StAtO -n. 2/2023 Dal raffronto testuale tra la nuova disposizione legislativa e l’originaria norma di cui all’art. 155, comma 4, cod. civ. (come introdotto dalla riforma del diritto di famiglia), è dato ricavare i seguenti profili differenziali: 1) è espressamente richiamato l’art. 2643 cc., anziché l’art. 1599 c.c.; 2) è stato statuito che il provvedimento giudiziale (trascritto) sia opponibile “a terzi” senza ulteriori specificazioni, anziché al “terzo acquirente” dell’immobile. Per comprendere -quindi -alla luce dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale innanzi riassunta -l’attuale regime di opponibilità ai terzi del provvedimento di assegnazione della casa coniugale occorre -ad avviso della Scrivente -soffermarsi sui profili differenziali innanzi richiamati. ebbene, poiché l’art. 2643 c.c. -oggi richiamato in luogo dell’art. 1599 c.c. -detta un elenco di atti trascrivibili si tratta -in primis -di individuare quale tra -le ipotesi elencate nella disposizione -sia quella nella quale sussumere l’assegnazione della casa familiare. In proposito, muovendo dal presupposto -innanzi esplicato -per cui il provvedimento di assegnazione della casa familiare attribuisce un diritto personale di godimento dell’immobile e non un diritto reale di abitazione, si può ipotizzare -ad avviso della Scrivente -che la trascrizione del provvedimento di assegnazione della casa coniugale sia -in generale -riconducibile al combinato disposto dell’art. 2643, n. 14, c.c. con l’art. 2643, n. 8, c.c. Ciò posto, come evidenziato in giurisprudenza, il richiamo operato dall’art. 336 sexies c.c. all’art. 2643 c.c. “implica” (23) il rinvio anche al successivo art. 2644 c.c. a mente del quale “gli atti enunciati nell’articolo precedente non hanno effetto riguardo ai terzi che a qualunque titolo hanno acquistato diritti sugli immobili in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione degli atti medesimi”. Ciò posto, occorre coordinare il quadro positivo innanzi richiamato alle ipotesi -oggetto della nota in riscontro -in quanto le fattispecie sottoposte al vaglio della Scrivente sono connotate da elementi di spiccata specialità rispetto alle fattispecie comuni previste dalla richiamata disciplina. La disciplina comune della trascrizione è infatti -in generale -volta a tutelare il principio della certezza nei traffici giuridici e con esso la salvaguardia del ragionevole affidamento dei terzi sull’inesistenza di oneri o pesi che limitino il godimento del bene oggetto della vicenda circolatoria. nel caso -invece -degli alloggi di servizio rientranti nel patrimonio del Ministero della Difesa si è di fronte a beni che seguono un regime del tutto specifico -dettato dagli artt. 278-294 (23) Cass. civ. Sez. III, Sent., 15 aprile 2022, n. 12387 ove si legge “l’evocato articolo, dettato in materia di separazione personale, ha previsto, dunque, che “il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili ed opponibili ai terzi ai sensi dell’art. 2643 cc.” ... posto che la regola sul- l’opponibilità non è dettata dall’art. 2643 c.c., bensì dall’art. 2644 c.c.; deve desumersene che il legislatore ha per un verso voluto affermare la trascrivibilità dell’assegnazione in parola come regola generale, e al contempo richiamare per implicito la correlata regola di risoluzione dei conflitti dettata dall’art. 2644 c.c.”. PArerI DeL COMItAtO COnSULtIvO d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 e dagli artt. 311-361 del d.P.r. 15 marzo 2010, n. 90 -in quanto ex lege appartenenti al Dicastero della Difesa e -sempre ex lege -funzionalizzati a scopi pubblicistici ed istituzionali ed all’uopo inventariati in appositi registri disciplinati all’art. 234 del d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66. Sicché -in ragione di detti peculiari caratteri -si ritiene di dover confermare l’avviso espresso nel precedente parere circa l’inopponibilità -anche ove trascritto -del provvedimento di assegnazione dell’alloggio di servizio quale casa familiare anche tenendo conto che -nei casi in rilievo -la priorità del titolo domenicale pubblico sancito ex lege rispetto all’atto di assegnazione giudiziale della casa familiare è il presupposto concettuale dell’intera vicenda perché posta a fondamento dell’atto concessorio in favore dell’originario concessionario che ha -successivamente -disposto del bene del terzo funzionalizzato a scopi pubblicistici in sede di separazione. 4. l’autotutela esecutiva. limiti e priorità. Dalle considerazioni che precedono, integrate con le motivazioni già esposte con il parere CS /41556/2022, è dato trarre la conseguenza per cui sia una eventuale assegnazione convenzionalmente operata dai coniugi in base ad un accordo inter partes (non opponibile all’Amministrazione terza ed anzi nullo per impossibilità giuridica dell’oggetto, ex artt. 1346-1418 c.c.) (24) sia un eventuale provvedimento giudiziale di assegnazione del- l’alloggio ASI quale casa familiare (non opponibile all’Amministrazione per le ragioni esposte) -da un lato legittimano l’Amministrazione all’intrapresa di un’opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c. avverso i provvedimenti di assegnazione alla stessa inopponibili e -dall’altro -non impediscono all’A.D. proprietaria del bene immobile di agire per il recupero della disponibilità materiale dell’alloggio attraverso le più agevoli forme -che a differenza dello strumento di cui all’art. 404 c.p.c. non richiedono l’intermediazione giudiziale -dell’autotutela esecutiva (25) ed anzi -in difetto, per le ragioni esposte, di una norma che consenta al coniuge separato di continuare a godere dell’immobile demaniale -“il recupero coattivo del- l’immobile occupato sine titulo costituisce per l’amministrazione della difesa un atto dovuto. infatti, questa è vincolata ad agire in autotutela per (24) GIACOMO OBertO, l’assegnazione consensuale della casa familiare nella crisi coniugale, in Famiglia e diritto, 1998, 6, 573. Per la definizione consensuale della separazione a seguito di procedimento mediante convenzione di negoziazione assistita, ai sensi del d.l. 12 settembre 2014, n. 132, art. 6, conv. in legge 10 novembre 2014, n. 162, valgono le medesime conclusioni esposte in relazione al- l’inopponibilità del provvedimento giurisdizionale di assegnazione atteso che -ai sensi del comma 3 della medesima norma -“l’accordo raggiunto ... produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali...”. (25) Così t.a.r. Campania napoli Sez. vII, 9 febbraio 2023, n. 928. In senso conforme si v., anche t.a.r. Lazio roma sez. I bis, 4 gennaio 2016, n. 19, t.a.r. napoli, sez. vII, 19 giugno 2023 n. 3708. rASSeGnA AvvOCAtUrA DeLLO StAtO -n. 2/2023 ripristinarne la destinazione istituzionale come alloggio di servizio ai dipendenti che svolgano determinati incarichi”. 4.1. La doverosità del provvedimento di recupero del bene alla pubblica disponibilità nei termini innanzi enunciati non esclude -ad avviso della Scrivente -che il potere-dovere in parola debba essere esercitato, in base al noto principio di proporzionalità, assegnando priorità al rilascio degli alloggi occupati da soggetti morosi e per i quali sia concretamente possibile la tempestiva riassegnazione ai nuovi conduttori (26) ed -al contrario -concedendo un adeguato spatium temporis all’occupante per riorganizzare la sistemazione della famiglia nel caso di specifiche situazioni di debolezza economica o disagio familiare che giustificano -per ragioni solidaristiche -la temporanea sottrazione dei beni dalla loro finalità istituzionale e la riallocazione degli stessi a finalità di “protezione” di utenti che non sono in grado di reperire un’abitazione sul libero mercato. La graduazione dell’esercizio del potere di autotutela potrà, perciò, avvenire facendo applicazione - più in particolare ‑: -dell’art. 332, co. 2, del d.P.r. 15 marzo 2010, n. 90 che consente di concedere “proroghe temporanee al rilascio degli alloggi di servizio, previste dal- l’articolo 286, comma 3, del codice: a) ai concessionari di alloggi aSGc, aSir e aSl quando non vi sono esigenze di reimpiego immediato dell’alloggio” -dell’art. 333 del d.P.r. 15 marzo 2010, n. 90 (recupero degli alloggi) nella parte in cui stabilisce che “1. Se l’alloggio non è lasciato libero nel termine fissato, il comando competente per il rilascio della concessione emette ordinanza di recupero coattivo ... 6. Ferma restando la cessazione della concessione, in caso di recupero di alloggi, gli atti esecutivi sono differiti al momento in cui insorga in altro personale titolo a usufruire dell’alloggio”. 4.2. L’Amministrazione potrà -al contrario -valutare di esercitare prioritariamente l’azione di recupero coattivo nei casi -invero non infrequenti in base all’incidenza giurisprudenziale delle pronunzie sul tema (27) -in cui l’alloggio di servizio sia stato assegnato a soggetti che, seppur facenti parte della categoria dei coniugi separati affidatari della prole, non rientrino nella categoria degli “utenti sine titulo protetti” così come delineata in base alla disciplina -pur eccezionale e temporanea -di cui ai citati Decreti Ministeriali 7 maggio 2014 e 24 luglio 2015. Sotto detto profilo, occorre notare come l’art. 4 del DM. 7 maggio 2014, significativamente intitolato “condizioni eccezionali di deroga ai limiti di du (26) tanto perché la liberazione coattiva dell’immobile occupato sine titulo da un soggetto adempiente rispetto al canone di occupazione senza l’immediata riassegnazione del cespite provocherebbe evidentemente - invece che un vantaggio una perdita economica per l’Amministrazione. (27) t.a.r. Lazio roma Sez. I bis, Sent., 1 febbraio 2016, n. 1352; t.a.r. Lazio roma Sez. I bis, Sent., 1 luglio 2020, n. 7475; t.a.r. Lazio roma Sez. I bis, Sent., 14 aprile 2015, n. 5414. PArerI DeL COMItAtO COnSULtIvO rata delle concessioni e disposizioni relative al pagamento dei canoni di occupazione degli alloggi di servizio per limitate categorie”, prevedeva due distinte classi di beneficiari: -Al comma 1 contemplava una categoria di beneficiari che si estendeva, oltre ai militari in servizio, anche a quelli in quiescenza ed al coniuge superstite consentendo a detti soggetti di mantenere la conduzione dell’alloggio di servizio al quale non avrebbero avuto titolo subordinatamente alla condizione che “né gli utenti, né i loro conviventi siano proprietari di altro alloggio abitabile sul territorio nazionale” e che “il reddito annuo lordo complessivo dei componenti il nucleo convivente non superi, per l’anno 2009, l’importo di euro 54.485,73, incrementato di euro 3.500,00, per ogni figlio a carico” (28). -Il comma 2 dell’art. 4 in esame recitava: “2. Possono, inoltre, mantenere la conduzione i coniugi superstiti non legalmente separati né divorziati, nonché i coniugi di personale militare e civile della difesa titolare di concessione di alloggi di servizio che, alla data di entrata in vigore del presente decreto, siano divorziati, ovvero legalmente separati”. Dette previsioni hanno -come noto -avuto carattere attuativo dall’art. 306, comma 2, del d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 che, appunto, demandava al piano di gestione la determinazione dei parametri reddituali per il mantenimento dell’alloggio occupato sine titulo stabilendo -più in particolare -che “il piano indica altresì i parametri di reddito sulla base dei quali gli attuali utenti degli alloggi di servizio, ancorché si tratti di personale in quiescenza o di coniuge superstite non legalmente separato, nè divorziato, possono mantenerne la conduzione, purché non siano proprietari di altro alloggio di certificata abitabilità”. ebbene, sulla scorta della lettura in combinato dell’art. 4 del D.M. 7 maggio 2014 con l’art. 306, comma 2, di d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66, nonché alla luce della ratio delle previsioni sub-legali, la giurisprudenza amministrativa ha, sul punto, significativamente chiarito che “il primo comma del- l’art. 4 detta i requisiti (reddito basso e mancata disponibilità di altra abitazione) per beneficiare delle condizioni eccezionali di deroga ai limiti di durata della concessione e -quindi -attiene all’ambito “oggettivo” delle condizioni necessarie per fruire di un alloggio di servizio pur senza averne (28) Si tratta di una previsione che -in sintesi -esentava una determinata categoria di utenti dall’obbligo di rilascio degli alloggi di servizio in ragione di evidenti esigenze di tutela della loro condizione di debolezza socioeconomica. La finalità solidaristica della disciplina in esame risulta confermata dagli stessi lavori parlamentari ove si legge che l’innovazione è stata determinata dalla considerazione dell’attuale fase di crisi economica che colpisce le categorie di utenti che hanno occupato abusivamente gli alloggi in questione “per stato di necessità” ed ai quali viene consentito di permanere in questi al fine di “porre efficace rimedio alla situazione gravosa che molti utenti, soprattutto quelli non più giovanissimi, ormai in pensione e talvolta con problemi di salute, sono costretti a vivere”. Si v., resoconto sommario della seduta n. 60 della Commissione Difesa, giovedi 17 aprile 2014, in www.parlamento.it rASSeGnA AvvOCAtUrA DeLLO StAtO -n. 2/2023 titolo, mentre il secondo comma, fermi restando i predetti presupposti fattuali (reddito basso e mancata disponibilità di altra abitazione) si limita ad estendere l’ambito soggettivo dei legittimati, contemplando anche personale che altrimenti non avrebbe alcun titolo individuale ad occupare un alloggio di servizio del ministero della difesa”. Sicché “è evidente che il legislatore delegato ha demandato al piano di gestione la possibilità di prevedere il mantenimento dell’alloggio all’utente ormai privo di titolo solo se povero e privo di abitazione alternativa (...) d’altronde una diversa impostazione ermeneutica condurrebbe all’assurdo risultato di sottrarre alloggi di servizio al personale militare a cui devono essere assegnati (ed alle relative famiglie) per concederli in uso ad un prezzo di gran lunga inferiore a quello di mercato ad una categoria di personale non più in servizio, senza alcuna ragione volta a giustificare tale impiego antieconomico di beni pubblici e soprattutto determinando un ingiusticato favoritismo a favore di alcuni occupanti sulla sola base di uno ‘status’” (29). Alla stregua delle considerazioni esposte e della giurisprudenza richiamata, tenuto conto della doverosità dei provvedimenti di recupero degli alloggi occupati sine titulo alla pubblica disponibilità, l’Amministrazione potrà valutare di assegnare priorità alle azioni in autotutela aventi ad oggetto cespiti che -a valle di una apposita ad attenta ricognizione a cura della P.A. titolare degli immobili -risultino assegnati sì al coniuge separato dell’originario concessionario, ma in difetto dei presupposti oggettivi -da mantenersi per tutta la durata dell’occupazione e da valutarsi con riferimento all’occupante -della situazione di necessità economica ed abitativa dell’assegnatario, non sussistendo, in tal caso, ad avviso della Scrivente alcuna giustificazione opponibile all’Amministrazione per la sottrazione dei beni alla loro finalità istituzionale e la rial- locazione degli stessi ai fini della sistemazione del personale in servizio che ha maturato i relativi requisiti. In proposito si segnala, infatti, come l’orientamento del giudice amministrativo sia nel senso di accogliere le azioni di accertamento del diritto di assegnazione dell’alloggio di servizio e di risarcimento dei danni subiti proposte dai soggetti che hanno maturato i requisiti per accedere all’alloggio ma non hanno potuto usufruirne in ragione dell’occupazione dei cespiti ove l’Amministrazione non dimostri “che la mancata assicurazione della disponibilità dell’alloggio di servizio o di altro alloggio demaniale o comunque reperibile sul libero mercato immobiliare, sia riconducibile a causa non imputabile, ovvero a factum principis o a caso fortuito”. Cons. Stato Sez. II, Sent., (ud. 15 febbraio 2022) 23 agosto 2022, n. 7409; t.a.r. veneto venezia Sez. 1, Sent., (ud. 20 dicembre 2017) 9 gennaio 2018, n. 24. (29) t.a.r. Lazio roma Sez. I bis, Sent., (ud. 22 maggio 2020) 1 luglio 2020, n. 7475. PArerI DeL COMItAtO COnSULtIvO 5. Forme di tutela diverse dal recupero coattivo. Si è -sin qui -esplicato l’avviso interpretativo fatto proprio dalla Scrivente secondo il quale gli alloggi ASI facenti parte del patrimonio del Ministero della Difesa non sono suscettibili di assegnazione come casa familiare ed il relativo provvedimento ex art. 337 sexies c.c. è inopponibile all’Amministrazione, la quale -in difetto di specifiche norme derogatorie -è tenuta ad esercitare, in stretta osservanza del principio di proporzionalità, il proprio potete d’autotutela amministrativa. Attesa -tuttavia -l’opinabilità delle questioni giuridiche affrontate in considerazione della presenza di un indirizzo pretorio di segno opposto a quello qui illustrato (30), tenuto conto -altresì -dell’opportunità di evitare azioni di recupero indiscriminate soprattutto in presenza di particolari situazioni di disagio economico, valutata -comunque -la necessità di graduare nel tempo gli interventi di recupero forzoso per non gestire in contemporanea un eccessivo numero di procedure, la Scrivente ritiene di doversi soffermare sull’individuazione delle forme di tutela del patrimonio alloggiativo del Ministero in indirizzo che presuppongono concettualmente la permanenza nella disponibilità materiale del cespite del coniuge sine titulo diverso dal concessionario concentrandosi, in particolare, sul problema -specificatamente posto nella nota in riscontro -dell’individuazione del soggetto passivo dell’obbligazione di pagamento del c.d. canone di occupazione. 5.1. In proposito, diversamente dalla posizione assunta dall’Amministrazione in indirizzo, secondo la quale andrebbe allocato esclusivamente in capo al concessionario originario obbligo di corresponsione del quantum dovuto per l’utilizzo dell’immobile, non pare che possano profilarsi dubbi sulla collocazione, a carico dell’occupante, dell’obbligo di corrispondere il canone per la fruizione -pure non titolata -dell’immobile, tanto in forza sia del chiaro dato normativo sia della giurisprudenza -sul punto -della Corte di cassazione. Sul piano normativo, l’art. 286 del Codice dell’ordinamento militare recita: “3. agli utenti non aventi titolo alla concessione dell’alloggio, fermo restando per l’occupante l’obbligo di rilascio, è applicato, anche se in regime di proroga, un canone pari a quello risultante dalla normativa sull’equo canone maggiorato del venti per cento per un reddito annuo lordo complessivo del nucleo familiare fino a euro 30.987,00 e del cinquanta per cento per un reddito lordo annuo complessivo del nucleo familiare oltre detto importo. l’amministrazione della difesa ha facoltà di concedere proroghe temporanee secondo le modalità definite con il regolamento”. Sul piano giurisprudenziale -come osservato nel parere Ct 4951/2020 -la Corte di cassazione ha affermato che il coniuge diverso dal concessio (30) v., parere CS/41556/2022. rASSeGnA AvvOCAtUrA DeLLO StAtO -n. 2/2023 nario -per effetto dell’assegnazione della casa familiare -“subentra al coniuge non nel rapporto concessorio, ormai cessato, ma negli obblighi incombenti all’occupante e per quanto qui rileva in quello di dare il corrispettivo convenuto per l’utilizzo dell’alloggio al concedente” (31). Sempre sul piano giurisprudenziale, in tal senso depone anche il richiamo alla recente pronunzia delle Sezioni Unite in tema di danno da occupazione secondo la quale “in caso di occupazione senza titolo di un bene immobile da parte di un terzo, il fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da perdita subita è la concreta possibilità, andata perduta, di esercizio del diritto di godimento, diretto o indiretto, mediante concessione a terzi dietro corrispettivo” (32). Dal quadro positivo e pretorio tracciato -diversamente da quanto sembra sostenuto nella nota in riscontro -deve pertanto dedursi la certa sussistenza in capo all’occupante -dell’obbligo giuridico di pagare l’ammontare quantificato all’art. 286 del Codice dell’ordinamento militare, residuando -invece margini di opinabilità interpretativa con riguardo alla natura giuridica della richiamata responsabilità. Secondo un indirizzo esegetico, più in particolare, al coniuge occupante sine titulo va ascritta una responsabilità di natura aquiliana perché l’utilizzo, senza averne titolo, dell’immobile impedisce l’assegnazione dello stesso bene a militari in servizio determinando un danno a carico dei legittimi aspiranti assegnatari del medesimo alloggio di servizio (costretti a rivolgersi al libero mercato delle locazioni), nonché della PA (che non beneficia del fatto che il dipendente alloggi in prossimità della sede di servizio dovendosi fare carico anche degli oneri fiscali legati all’immobile e delle spese per consentire una sistemazione alternativa del personale in difetto di alloggi immediatamente fruibili). Secondo tale prospettiva, “il canone di occupazione dovuto dagli utenti non aventi titolo alla concessione di alloggi di servizio del ministero della difesa è funzionalmente e strutturalmente diverso dal corrispettivo dedotto in un contratto di scambio, posto che il godimento senza titolo, in linea di principio, dà luogo a una fattispecie risarcitoria ex art. 2043 c.c.”. Sicché, come altresì osservato in giurisprudenza, “il canone di occupazione costituisce, nella sostanza, una forma di liquidazione forfettaria del danno subito dal- l’amministrazione per l’illecita occupazione determinata in base a quanto fissato dalla legge” (33). Da diverso angolo prospettico potrebbe, tuttavia, notarsi come l’indirizzo innanzi riportato, pur cogliendo l’intrinseca lesività rispetto al diritto domenicale scaturente dalla condotta dell’ex coniuge del concessionario, (31) Cass. civ., Sez. I, 8 marzo 2018, n. 5575. (32) Cass. civ. Sez. Unite Sent., 15 novembre 2022, n. 33645. (33) Cons. Stato Sez. Iv Sent., 17 giugno 2016, n. 2698. PArerI DeL COMItAtO COnSULtIvO trascura di considerare che la condotta di occupazione -che atomistica- mente analizzata integrerebbe gli estremi di una condotta antigiuridica rilevante ai sensi dell’art. 2043 c.c. -deve, nei casi in esame, essere inscritta nel più ampio contesto della crisi del vincolo matrimoniale del militare e comunque da considerarsi in qualche modo legittimata -almeno per le ipotesi di separazione giudiziale -dall’esistenza di un provvedimento di assegnazione che -sebbene non opponibile all’Amministrazione -impedisce di considerare che una condotta autorizzata dal Giudice (consistente nel permanere nell’alloggio) possa al contempo costituire la fonte di una responsabilità aquiliana. tale osservazione potrebbero invero condurre a considerare la responsabilità dell’occupante -almeno per le ipotesi di separazione giudiziale -come una responsabilità indennitaria da fatto lecito ex art. 2041 c.c. in cui la misura dell’indennizzo risulta ex lege quantificata ex art. 286 del Codice dell’ordinamento militare. Pur nella diversità di prospettive interpretative sulla natura giuridica della responsabilità dell’occupante, poiché in entrambe le ipotesi il quantum debeatur è stabilito ex lege costituendo una posta attiva certa, liquida ed esigibile dell’ente concedente, l’Amministrazione dovrà attivarsi -come già suggerito dalla Scrivente` (34) -per il recupero del credito nei confronti dell’ex consorte del militare attraverso il procedimento d’ingiunzione previsto per il recupero delle entrate patrimoniali dello Stato (art. 2 e ss. del r.D. n. 639 del 1910 e succ. modif. e integr.). 5.2. Proseguendo sul tema dell’individuazione dei soggetti passivi delle pretese economiche della Pubblica Amministrazione, occorre ora analizzare la questione della ravvisabilità in capo all’originario concessionario -a seguito dell’assegnazione della casa coniugale in favore dell’altro coniuge -di un’obbligazione pecuniaria nei confronti dell’Amministrazione da soddisfarsi, nel caso, mediante ritenuta diretta sullo stipendio. Secondo un primo orientamento interpretativo -avallato da parte della giurisprudenza amministrativa (35) e fatto proprio nella nota della Scrivente Ct 4951/2020 -nessuna prestazione sarebbe dovuta in favore dell’Amministrazione titolare del cespite da parte del soggetto originario concessionario: tanto sulla scorta del rilievo per cui l’assegnazione della casa familiare al coniuge dell’originario concessionario comporta, nella prospettiva del dipendente originario concessionario, l’integrazione dell’ipotesi prevista alla lettera f) dell’art. 330 del d.P.r. 15 marzo 2010, n. 90 del testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare, il quale stabilisce i casi di decadenza della concessione dell’alloggio demaniale prevedendo che il concessionario decada dalla titolarità della concessione “per la (34) Ct 4951/2020. (35) t.a.r. emilia-romagna Bologna Sez. I, Sent., (ud. 22 marzo 2017) 1 aprile 2017, n. 272. rASSeGnA AvvOCAtUrA DeLLO StAtO -n. 2/2023 mancata occupazione stabile con il proprio nucleo familiare, dichiarato nella originaria domanda, entro sei mesi dalla data di consegna dell’alloggio”. Secondo siffatta tesi -in definitiva -l’originario concessionario non potrebbe essere chiamato a rispondere né, ex art. 1218 c.c., per inadempimento contrattuale -in quanto non più legato all’Amministrazione dal vincolo concessorio ormai decaduto -né potrebbe essere chiamato a rispondere, ex art. 2043 c.c., a titolo extracontrattuale, non essendo il dipendente l’autore dell’occupazione sine titulo dell’immobile. Un secondo indirizzo pretorio ha ravvisato in capo all’originario concessionario -dopo il perfezionarsi della separazione e successivamente alla cessazione del rapporto concessorio -una responsabilità di natura extracontrattuale nei confronti della P.A., di natura solidale, ex art. 2055 c.c., con quella -parimenti extracontrattuale -del coniuge occupante sine titulo. Secondo l’indirizzo pretorio in esame, infatti, la mancata restituzione del- l’immobile si configurerebbe come una condotta antigiuridica agevolatrice dell’occupazione posta in essere dal coniuge assegnatario della casa familiare integrando una corresponsabilità nella condotta di occupazione sine titulo tutte le volte in cui: “il militare, senza restituire l’alloggio medesimo ma disponendone in sede di separazione dalla coniuge, gliel’ha ceduto affinché fosse da lei adoperato come casa familiare, ma non s’è avveduto, per un verso e come per tutti i negozi in danno o sul patrimonio del terzo (ossia, il ministero della difesa), che tale accordo ha avuto solo effetti obbligatori e non reali e, per altro verso, che è anch’egli e non la sola coniuge a dover esser reputato responsabile di un’occupazione non titolata del bene de quo, con ogni conseguenza sugli obblighi di pagamento del relativo canone” (36). 5.3. ritiene la Scrivente di non poter dare continuità né all’uno né all’altro indirizzo dovendosi sussumere -con maggiore rigore -la posizione dell’originario concessionario che non riconsegni l’immobile, ma ne disponga in sede di separazione, nelle disposizioni di cui agli artt. 329 del d.P.r. 15 marzo 2010 n. 90 e 1591 c.c. -L’art. 329 del d.P.r. 15 marzo 7010 n. 90 stabilisce che “il concessionario deve lasciare l’alloggio libero da persone e cose entro novanta giorni dalla data di perdita del titolo, fatta salva la concessione di proroga”. -L’art. 1591 c.c. (Danni per ritardata restituzione) stabilisce che “il conduttore in mora a restituire la cosa è tenuto a dare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna, salvo l’obbligo di risaricire il maggior danno”. La norma -applicabile anche in tema di mancata riconsegna di beni demaniali oggetto di concessione revocata “essendo espressione di un principio riperibile a tutti i tipi di contratto con i quali viene concessa l’utiliz (36) Cons. Stato Sez. Iv, Sent., (ud. 10 novembre 2016) 1 febbraio 2017, n. 411. PArerI DeL COMItAtO COnSULtIvO zazione del bene dietro corrispettivo, allorché il concessionario non restituisca il bene oltre il termine finale del rapporto” (37) -fissa un duplice obbligo: quello (che sussiste sempre) di dare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna, l’altro (eventuale) di risarcire il maggior danno patito dal locatore (38). Ad avviso della Scrivente, deve ritenersi che ove il concessionario decaduto, tenuto ex art. 1591 c.c. ed ex art. 329 del d.P.r. 15 marzo 2010, n. 90 alla restituzione dell’immobile, con la sua condotta non solo non restituisca l’immobile, ma ne consenta l’immissione in godimento ad altri, assume -nei confronti della Pubblica Amministrazione datrice di lavoro e concessionaria del bene -la qualità di debitore inadempiente ed -in quanto tale -di responsabile ex art. 1218 c.c. a titolo di responsabilità contrattuale delle conseguenze patrimoniali del mancato rilascio dell’immobile alla Amministrazione concedente. ed invero, la decadenza dell’atto concessorio ex art. 330 del d.P.r. 15 marzo 2010 n. 90 non determina -come sostenuto dal primo e dal secondo orientamento -l’esaurimento di tutti gli effetti giuridici del rapporto concessorio, ma -al contrario -comporta il sorgere dell’obbligo, in capo al concessionario-decaduto, di rilasciare l’alloggio al fine di renderlo tempestivamente disponibile per il soddisfacimento delle esigenze istituzionali dell’Amministrazione titolare del cespite, in primis la riassegnazione ad altro dipendente avente titolo. Sul punto -infatti -la giurisprudenza della Corte di Cassazione, proprio con riguardo all’assegnazione al coniuge separato di un immobile del Ministero della Difesa, ha significativamente affermato, con riguardo all’obbligo di restituzione dell’immobile, che “il rilascio dell’immobile occupato da terzi, nella specie immessi nel godimento del bene dal concessionario, non libera quest’ultimo (l’originario concessionario) dalla obbligazione in questione, non potendo considerarsi “esatto adempimento” la mera comunicazione della cessazione di abitazione da parte dell’obbligato: ed infatti, perchè quest’ultimo possa raggiungere la prova liberatoria dalla responsabilità per inadempimento, a norma dell’art. 1218 cod. civ., occorre che si accerti che dette persone si siano immesse nel godimento del bene senza che ciò sia stato consentito o comunque agevolato dal comportamento del conduttore, oppure che (37) Cass. n. 3067/1977; n. 4310/1974, 15301/2000 e Cass. n. 9977/2011. (38) Il primo di tali obblighi, concretandosi in un debito determinato sin dal momento della sua nascita in una espressione monetaria, appartiene alla categoria dei debiti di valuta, sottoposti al principio nominalistico, il secondo, non essendo fin dall’origine un debito di natura pecuniaria, ma traducendosi in un concreto e specifico ammontare monetario solo al momento della pronuncia giudiziale di liquidazione, importa che deve tenersi conto della svalutazione monetaria verificatasi tra il mancato rilascio e la liquidazione del danno (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 67 del 14 gennaio 1971; id. Sez. 3, Sentenza n. 14243 del 17 dicembre 1999; id. Sez. 3, Sentenza n. 3183 del 14 febbraio 2006; id. Sez. 3, Sentenza n. 3183 del 14 febbraio 2006). rASSeGnA AvvOCAtUrA DeLLO StAtO -n. 2/2023 questi abbia esercitato diligentemente tutti i mezzi offerti dall’ordinamento per ottenerne l’estromissione, senza raggiungere il risultato richiesto” (39). Pertanto, né la circostanza che il militare sia decaduto dalla concessione né il rilievo per cui l’immobile non restituito dal concessionario non sia occupato direttamente dal militare ma dai suoi familiari non conviventi spostano -come sostenuto dal primo e dal secondo indirizzo esposto -i termini della questione in punto di ravvisabilità di una responsabilità da inadempimento ex art. 1218 c.c., perché è sempre lo stipulante ad essere obbligato nei confronti del concedente alla restituzione della cosa e, in caso di ritardo, alla corresponsione di quanto dovuto, potendo costui sottrarsi al pagamento solo attraverso la riconsegna dell’immobile. Sulla scorta delle argomentazioni svolte la Scrivente ritiene dunque che anche il militare originario concessionario possa essere legittimamente destinatario della pretesa economica dell’Amministrazione, la quale potrà all’uopo avvalersi del mezzo della ritenuta diretta sullo stipendio. Circa il quantum della ritenuta, la Corte di Cassazione -evidentemente muovendo da un assunto opposto rispetto a quello della qualificabilità degli alloggi del Ministero della Difesa come case familiari (40) -ha chiarito che “l’inerzia della Pa nel promuovere azioni per il rilascio, non determina il venir meno del diritto a trattenere il canone a titolo di corrispettivo sino alla riconsegna e influisce semmai sulla esclusione del diritto al risarcimento del maggior danno, configurandosi come fattore idoneo a comportare in generale l’inutilizzabilità in concreto della presunzione di colpa prevista come regola generale dell’art. 1218 cc. e nel caso particolare, la inoperatività dell’ultimo inciso dell’art. 1591 c.c. in buona sostanza, l’inerzia della Pa rileva ai soli fini della esclusione del carattere doloso o colposo dell’inadempimento alla mora restituendi decorrente dalla data della scadenza convenzionale” (41). 6. Conclusioni. Sulla scorta del quadro tecnico-giuridico delineato con il presente parere e con il precedente CS /41556/2022, pare alla Scrivente di poter fornire le richieste linee di indirizzo nei termini di seguito sintetizzati. -va confermata l’adesione all’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale non può qualificarsi -in punto di diritto -alla stregua di una “casa familiare” un alloggio ASI concesso -ex art. 281 del d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 -al personale militare in servizio esclusivamente per motivi correlati all’incarico conferito dall’Amministrazione; (39) sul punto Cass. civ. Sez. III, Ord., (ud. 11 dicembre 2017) 15 marzo 2018, n. 6392 che richiama Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 1605 del 29 maggio 1971; id. Sez. 3, Sentenza n. 4242 del 03 maggio 1994; id. Sez. 3, Sentenza n. 19139 del 29 settembre 2005. (40) Cass. civ., Sez. I, 8 marzo 2018, n. 5575. (41) Cass. civ. Sez. III, Ord., (ud. 11 dicembre 2017) 15 marzo 2018, n. 6392. PArerI DeL COMItAtO COnSULtIvO -in assenza -nel quadro normativo vigente -di espresse norme derogatorie come quelle recate dai Decreti Ministeriali 7 maggio 2014 e 24 luglio 2015 esplicitamente poste a tutela del coniuge assegnatario della prole -l’Amministrazione -cui non è opponibile il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa coniugale -deve provvedere al recupero dei beni occupati sine titulo alla pubblica disponibilità per la soddisfazione delle esigenze di sistemazione del personale che -in ragione delle funzioni svolte -ha maturato i requisiti per accedere alla concessione; -il potere di autotutela esecutiva -seppur doveroso -deve essere esercitato, a valle di un’attenta opera di ricognizione dello stato del patrimonio alloggiativo, secondo il principio di proporzionalità e adeguatezza rispetto allo scopo indirizzando la tutela reale: prioritariamente nei confronti degli occupanti sine titulo che non versino in una situazione di necessità economica ed abitativa potendo disporre di redditi più elevati rispetto a quelli originariamente previsti nei Decreti Ministeriali 7 maggio 2014 e 24 luglio 2015 e -comunque -potendo usufruire di soluzioni abitative alternative facendo ricorso al mercato; con preferenza rispetto agli immobili occupati da soggetti morosi e per i quali sussistano esigenze e condizioni di reimpiego immediato in favore di altro personale avente titolo a beneficiare dell’alloggio. -Ove l’autotutela esecutiva non sia possibile, né conforme al principio di proporzionalità e -comunque -nelle more del perfezionamento delle procedure di liberazione delle utenze, l’Amministrazione potrà tutelare le proprie ragioni patrimoniali -senza duplicazioni -sia nei confronti del militare originario concessionario a mezzo di ritenuta diretta sullo stipendio, sia nei confronti del coniuge affidatario della prole attraverso il procedimento d’ingiunzione per il recupero delle entrate patrimoniali dello Stato (art. 2 e ss. del r.D. n. 639 del 1910 e succ. modif. e integr.). Sul presente parere si espresso in senso conforme il Comitato Consultivo dell’Avvocatura dello Stato nella seduta del 6 dicembre 2023. LegIsLazIoneeDattuaLItà Il processo di digitalizzazione e i suoi riflessi nel diritto. L’evoluzione della digitalizzazione dei contratti pubblici: cosa cambia dal 1 gennaio 2024 con il nuovo Codice dei Contratti Pubblici D.lgs. 36/2023? Gaetana Natale* Sommario: 1. il processo di digitalizzazione e i suoi riflessi nel diritto -2. Vantaggi e criticità delle nuove tecnologie -3. responsabilità amministrativa nei casi in cui le decisioni vengano adottate da un algoritmo -4. Vantaggi della blockchain in materia di contratti pubblici -5. Cosa cambia con il Nuovo Codice dei Contratti pubblici D.lgs. 36/2023 dal 1 gennaio 2024 con il nuovo concetto di “ciclo di vita del Contratto”? 1. il processo di digitalizzazione e i suoi riflessi nel diritto. L’innovazione tecnologica rappresenta oggi per il giurista l’indice di evoluzione sistematica sia del diritto civile sia del diritto amministrativo, ponendo in primis nella scienza ermeneutica un quesito di fondo: fino a che punto la tecnologia può influire e modificare le categorie giuridiche nel rispetto dei principi fondamentali contenuti nelle carte costituzionali nazionali (c.d. Grundnorm) e sovranazionali? In altri termini, l’adeguamento interpretativo delle categorie giuridiche alle categorie informatiche o algoritmiche sta configurando un vero e proprio “diritto digitale” attraverso quella che da più parti viene definita la “tecnificazione dei principi” (Civitarese Matteucci e Torchio, 2016), immanenti in un ordinamento giuridico, in quanto fonti metagiuridiche con funzione normogenetica? Per rispondere a questo quesito di fondo occorre descrivere sul piano nor (*) Avvocato dello Stato, Dottore di ricerca in Comparazione e diritto civile, Consigliere giuridico del Garante per la tutela dei dati personali. rASSEGNA AvvOCATurA DELLO STATO -N. 2/2023 mativo lo stato dell’arte in materia di digitalizzazione ed evidenziare le problematiche emerse dalla casistica giurisprudenziale. Il tema dell’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione per lo svolgimento dell’attività amministrativa è al centro del dibattito mondiale ed europeo (1) da circa un ventennio. Con la “terza rivoluzione industriale” (Schwab, 2016) (2) il mondo in cui viviamo è profondamente cambiato: i personal computer in pochi anni sono entrati nelle case delle persone e hanno rivoluzionato le modalità di comunicazione tra i soggetti (3). Grazie all’impiego di questi strumenti, inoltre, la conoscenza è divenuta a “portata di mano” e chiunque, con il mero ausilio di una connessione internet, può accedere in pochi secondi alle informazioni di cui necessita. L’avvento della nuova società tecnologica non poteva non incidere sul- l’operato della Pubblica Amministrazione. È proprio grazie al repentino diffondersi delle ICT (information and Communications Technology) che il Legislatore ha sentito l’esigenza di creare un’Amministrazione al passo con i tempi, così da poter trarre tutti i vantaggi derivanti dall’utilizzo della digitalizzazione. La principale fonte normativa di tale processo di ammodernamento è rinvenibile nel Codice dell’Amministrazione Digitale (di seguito anche solo CAD), introdotto con il D.lgs. 7 marzo 2005 n. 82, modificato ad opera del D.lgs. 13 dicembre 2017 n. 217. Tale Codice ha sancito espressamente il principio del “Digital first”, introducendo all’art. 2 l’obbligo per le Amministrazioni di assicurare << la disponibilità, la gestione, l’accesso, la trasmissione, la conservazione e la fruibilità dell’informazione in modalità digitale>> (si veda Boccia, Contessa e De Giovanni, 2018). La Corte costituzionale dal canto suo ha ulteriormente avvalorato tale principio, stabilendo nella nota sentenza n. 251/2016 che le prestazioni e i servizi digitali debbano considerarsi Lep, ossia livelli essenziali delle prestazioni rientranti nella competenza esclusiva statale ex art. 117, comma 2, lett. m) della Costituzione. La complessità delle situazioni giuridiche soggettive che vengono in ri (1) Già nel maggio 2010 la Commissione Europea ha lanciato l’Agenda Digitale Europea che definisce gli obiettivi da perseguire per lo sviluppo dell’economia e della cultura digitale nell’ambito della Strategia Europea 2020. (2) La terza rivoluzione industriale è spesso definita come “rivoluzione digitale” o “informatica” in quanto ha avuto scaturigine dalla creazione di semiconduttori negli anni Sessanta e ha visto lo sviluppo, negli anni Settanta e Ottanta, dei personal computer e, negli anni Novanta, della rete internet. (3) La relazione annuale dell’AGCM per l’anno 2017 ha evidenziato che in Italia il 90,7% delle famiglie nelle quali vi è almeno un minorenne ha a disposizione una connessione a banda larga fissa e mobile, mentre tale dato scende al 20,7% per le famiglie formate unicamente da infra-sessantacinquenni. LEGISLAzIONE ED ATTuALITà lievo in tale delicata materia ha indotto il Legislatore a prevedere la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nel caso in cui tale diritto fondamentale, scaturente dal principio del “digital by default”, venga compresso (Boccia, Contessa e De Giovanni, 2018) (art. 1, comma 1-ter del CAD). Dunque, anche l’Amministrazione si è dovuta dotare di strumenti digitali per lo svolgimento della propria attività. Il CAD ha richiesto l’introduzione di tecnologie quali la posta elettronica certificata, l’identità digitale, i pagamenti elettronici e, soprattutto, ha previsto il diritto dei cittadini di partecipare al procedimento amministrativo con modalità informatizzate. Tale diritto, previsto dall’art. 4 del codice, permette ai cittadini di accedere alle informazioni detenute dalla P.A. mediante strumenti informatici, nonché di inviare tutti i documenti necessari con modalità telematiche. In alcuni casi, la modalità telematica non costituisce una mera modalità operativa o un formalismo giuridico, ma lo stesso elemento di configurabilità del provvedimento amministrativo. Si pensi alla SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio di Attività) per la quale è richiesto l’invio della segnalazione al SuAP (Sportello unico delle Attività Produttive) unicamente con modalità digitali (v. T.a.r. Bari sentenza 16 ottobre 2015 n. 1330) (si veda Deodati, 2017), pena l’impossibilità di ritenere sussistente un silenzio-assenso sull’attività intrapresa. Il Codice dell’Amministrazione Digitale ha, quindi, segnato il primo passo verso la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione e tale Codice, per quanto non sia stato ancora completamente attuato, rappresenta il livello minimo di informatizzazione richiesto oggi alle Amministrazioni. Infatti, l’attuazione del D.lgs. n. 82 del 2005 ha trovato non poche resistenze nella mancanza di risorse economiche e nella scarsa formazione in materia di digitalizzazione dei funzionari e dei cittadini. Secondo l’indice DESI (Digital Economy and Society index) l’Italia si posiziona nella parte più alta della classifica degli Stati europei in relazione all’offerta di servizi pubblici digitali, mentre in riferimento all’utilizzo effettivo di tali strumenti da parte dei cittadini il nostro Paese è tra gli ultimi (4). Al fine di perseguire gli obiettivi individuati dall’Agenda Digitale Europea, il Governo italiano ha adottato la strategia per la crescita digitale 20142020 e, nel 2017, il piano triennale per l’informatica nella P.A. Quest’ultimo prevede una maggiore diffusione degli strumenti già disponibili nel nostro Paese quali il Sistema Pubblico di Identità Digitale, il Fascicolo Sanitario Elettronico, la fatturazione elettronica, il PagoPA, il Digital Security (CErT-PA) (4) Tale dato è confermato, altresì, dall’Eurostat dal quale emerge che, nonostante la maggioranza degli italiani richieda una maggiore snellezza nei rapporti con la pubblica amministrazione, i servizi pubblici digitali vengono utilizzati solo dal 13% dei cittadini a fronte di una media europea pari al 30%. rASSEGNA AvvOCATurA DELLO STATO -N. 2/2023 (5), cloud computing, gli open data, e l’SPC (Sistema Pubblico di connettività). Si pensi, nell’ambito delle previsioni del Codice dei Contratti Pubblici di cui al D.lgs. n. 50 del 2016 (6) all’E-Procurement, agli appalti elettronici end-to-end, al MEPA (Mercato Elettronico della Pubblica amministrazione), allo SDAPA (Sistema dinamico di acquisizione della Pubblica amministrazione), alle altre piattaforme telematiche di negoziazione, alle aste elettroniche, al catalogo elettronico. Il c.d. Decreto Semplificazioni (7) ha, altresì, previsto un espresso riconoscimento giuridico delle tecnologie della Blockchain e degli Smarts Contracts. Dal 1 gennaio 2024 sono entrate in vigore tutte le disposizioni del nuovo Codice dei Contratti pubblici D.lgs. 36/2023 relative alle piattaforme di approvvigionamento digitale certificate, il fascicolo virtuale dell’operatore economico per favorire non solo il principio dell’once only, ma anche quello del winner only e la Banca Dati nazionale dei Contratti Pubblici che assicura la pubblicazione dei dati individuati all’art. 28, co. 3, del nuovo Codice, tra cui quelli già previsti dall’art. 1, co. 32, della Legge 190/2012 (pertanto abrogato dal D.lgs. 36/2023). Ciò significa, come riportato nel Comunicato anac del 10 gennaio 2024, che non è più prevista, per alcuna procedura contrattuale, la predisposizione del file XML e l’invio ad anac entro il 31 gennaio della Pec, nella quale indicare il luogo di pubblicazione di detto file. vedremo più avanti cosa comporteranno tali modifiche. Ciò detto, giova evidenziare che le novità in materia di digitalizzazione della Pubblica amministrazione sopradescritte debbono essere considerate ormai come un dato di fatto all’interno di un paese sviluppato e che il dibattito europeo e mondiale si è spostato verso nuovi orizzonti. Negli ultimi anni si è passati a parlare di una “quarta rivoluzione industriale”, che realizza il passaggio dalla interconnessione degli esseri umani mediante l’impiego delle nuove tecnologie all’interconnessione di quest’ultime tra di loro (Schwab, 2016). Se fino a pochi anni fa le ICT erano viste come uno strumento idoneo a rendere più rapido l’operato dell’uomo, i nuovi algoritmi tentano di riprodurre interamente il funzionamento della mente umana così da permettere la realizzazione automatizzata di numerose attività. In ambito amministrativo sono molteplici gli studiosi che auspicano la realizzazione di procedimenti amministrativi quasi interamente automatiz (5) Ossia una struttura che opera all’interno dell’Agenzia per l’Italia digitale (AGID) con l’obiettivo di fronteggiare e prevenire gli incidenti di sicurezza informatica. (6) Modificato dal c.d. Decreto Sblocca Cantieri, decreto legge n. 32/2019, convertito in legge n. 55/2019, su cui, in modo approfondito, si v. DE NICTOLIS, Le novità del D.L. Sblocca cantieri, in riv. Urbanistica e appalti, n. 4 del 2019, pag. 443. (7) v. art. 8 ter del D.L. 14 dicembre 2018 n. 135, convertito nella legge n. 12/2019. LEGISLAzIONE ED ATTuALITà zati, nei quali sia ridotto al minimo l’intervento dell’uomo (si veda Cavallaro e Smorto, 2019). Ciò soprattutto per permettere ai funzionari di concentrarsi esclusivamente sulle mansioni più complesse, che per loro natura richiedono l’intervento dell’essere umano; nonché di tralasciare quelle attività ripetitive e sequenziali che possono essere più efficientemente svolte da un elaboratore. Sono molteplici i vantaggi che deriverebbero dall’impiego di dispositivi intelligenti all’interno del procedimento amministrativo. In particolare, oltre alla maggiore celerità dell’agire amministrativo, il corretto utilizzo di tali strumenti garantirebbe un passo in avanti nel perseguimento degli obiettivi di imparzialità, trasparenza, buon andamento, efficienza ed economicità. Non mancano però aspetti di criticità dell’impiego delle nuove tecnologie di cui il giurista deve farsi carico per coordinare l’avvento dell’innovazione con la tradizione degli istituti giuridici del nostro ordinamento. 2. Vantaggi e criticità delle nuove tecnologie. Le nuove tecnologie sono “neutre” e ragionano mediante l’utilizzo di schemi logici composti da molteplici passaggi senza lasciarsi influenzare dai pregiudizi tipici dell’essere umano. Tuttavia, ciò non basta per escludere la presenza di bias nei risultati da esse prodotti: i dati elaborati dalle macchine (ossia gli input) sono forniti dagli esseri umani e, quindi, spesso possono essere influenzati da “pre-giudizi”. Dunque, le predizioni degli algoritmi, per quanto neutre e razionali nella fase della formazione, rischiano di fondarsi su presupposti non imparziali. Le decisioni automatizzate, quindi, potrebbero portare a un incremento della diseguaglianza e a una maggiore discriminazione. Si profila come necessaria, pertanto, l’affermazione di un “accountable algoritms”, ossia di un meccanismo automatizzato capace di qualificarsi come “trustworthy”, ossia altamente affidabile. Sotto questo profilo, il bilanciamento “Ermessen” tra il principio di trasparenza delle decisioni della Pubblica Amministrazione e le necessarie implicazioni della tutela del diritto di privativa legato al codice sorgente è stato di recente affrontato dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 2270 dell’8 aprile 2019. Nell’ambito di una controversia relativa all’impugnazione delle proposte di assunzioni conseguente al piano straordinario di mobilità dei docenti, il Consiglio di Stato ha per un verso ammesso che in alcuni casi, come quello relativo alla “buona scuola”, il ricorso a una procedura automatizzata deve ritenersi legittimo, anzi utile e vantaggioso, poiché in presenza di procedure seriali o standardizzate consente di addivenire a una decisione in tempi più celeri, a garanzia dell’interesse pubblico e dei principi di efficienza e di buon andamento ex art. 97 Cost. D’altra parte, il Supremo Consesso afferma che <>. Ciò significa che, se è vero che <> che si fonda su una “regola tecnica”, è altrettanto vero che l’atto così generato e la regola tecnica che esso incorpora, devono essere soggetti ai principi fondamentali dell’azione amministrativa, tra cui la trasparenza e la conoscibilità, nonché il pieno sindacato del giudice amministrativo, il quale deve poter valutare <>. Il punto è che può accadere che l’algoritmo inteso come regola tecnica, assuma un ruolo che si spinge al di là del mero presupposto tecnico su cui si fonda la decisione, potendo giungere a costituire un sistema di formazione della stessa volontà procedimentale. In altri termini l’algoritmo potrebbe costituire non solo un “mere tool”, ossia un elemento di esecuzione di dati e informazioni nella fase istruttoria del procedimento amministrativo, ma anche un elemento costitutivo del provvedimento amministrativo nella fase più propriamente decisoria. Il tema evoca il rapporto tra tecnica e amministrazione e la soluzione potrebbe essere quella che individua nel sapere tecnico e scientifico, e dunque nell’algoritmo, il presupposto tecnico della decisione amministrativa. Ma per altro verso il quid novi dell’algoritmo consiste nella possibilità che esso, in quanto strumento di formazione della volontà dell’amministrazione, possa sostituirsi alla decisione finale. Pertanto, sulla scorta delle argomentazioni condotte dal giudice amministrativo, come pure dalle indicazioni contenute nel recente regolamento uE 2016/679 sulla tutela dei dati personali, appare utile provare a cogliere nella <> che caratterizzano un algoritmo e che, dunque, costituiscono l’essenza della decisione automatizzata, i principi fondamentali dell’ordinamento che assicurano il corretto dispiegarsi del procedimento amministrativo. Occorre, dunque, enucleare un complesso di regole e principi che definiscano “un giusto processo tecnologico” (technological due process) secondo un’espressione che riassume l’esigenza che gli algoritmi che ci governano riflettano i valori fondanti e condivisi della nostra società e siano soggetti al controllo democratico. Occorre considerare come fondante il rapporto tra algoritmi e diritti fondamentali della persona alla luce degli artt. 13 e 14 del regolamento uE 2016/679, secondo cui l’interessato deve essere informato dell’eventuale esecuzione di un processo decisionale automatizzato e dell’art. 22 del suddetto regolamento che esclude la possibilità che la decisione sia basata unicamente sul trattamento automatizzato. Sull’onda di tali problematiche alcuni Stati europei hanno iniziato a re LEGISLAzIONE ED ATTuALITà golamentare l’utilizzo degli algoritmi da parte della pubblica amministrazione. Ad esempio, la Francia, con una legge del 7 novembre 2016, ha introdotto nel “codice dei rapporti tra pubblico e amministrazione” due articoli relativi all’amministrazione algoritmica. Il primo articolo, L. 331-3-1, prevede che, nel caso in cui le decisioni individuali vengano prese sulla base di una elaborazione algoritmica, il soggetto privato deve essere informato della natura automatizzata della decisione e, a sua richiesta, la P.A. deve fornire maggiori informazioni circa le modalità di adozione della stessa da parte del software. Il secondo, r. 311-3-1-2 prevede che, in caso di richiesta di accesso, la P.A. debba fornire in forma intellegibile il grado e le modalità di contributo del- l’elaborazione algoritmica al processo decisionale, i dati trattati e le loro fonti, i parametri di trattamento applicati alla situazione della persona interessata e, se applicabile, la loro ponderazione e, infine, le operazioni eseguite dall’algoritmo (si veda Auby, 2018). Il tema centrale nella decisione automatizzata diviene, così, quello della sua “spiegabilità” (explainability), attraverso l’individuazione di strumenti che consentano di interpretare il codice sorgente per ricostruire i passaggi logici che lo compongono e stabilire, per questa via, i passaggi e le procedure che hanno determinato i risultati. Sotto tale profilo la spiegabilità della procedura automatizzata, la cui necessità è stata sottolineata dal Consiglio di Stato, non si allontana molto dalla necessaria motivazione del provvedimento: l’amministrazione che assume una decisione attraverso il ricorso a un algoritmo deve essere in grado di spiegare l’iter logico-giuridico che conduce alla decisione finale. Trasparenza e conoscenza, o spiegabilità, della procedura automatizzata assicurano, a loro volta, un’adeguata partecipazione del privato alla procedura algoritmica. L’esigenza è quella di evitare che l’automatizzazione della procedura possa generare un processo di spersonalizzazione della decisione, con un duplice effetto distorsivo: per un verso, perché impedisce la virtuosa partecipazione del privato al procedimento, in quanto manca nelle procedure automatizzate un interlocutore al quale il privato possa rivolgersi; per altro verso, perché rischia di generare una polverizzazione della responsabilità conseguente alla decisione assunta. D’altra parte, se l’algoritmo si proietta nella decisione finale, sino a sostituirla del tutto, ancora di più, i profili di interesse si concentrano sulle prospettive di tutela e sulle garanzie dei privati dinanzi a una decisione pubblica assunta attraverso procedure automatizzate. In tal caso, oltre ai menzionati principi di trasparenza e partecipazione, assume particolare rilievo il “principio di responsabilità”. Su tale principio si è elaborato il concetto di illegittimo esercizio del potere che legittima l’azione di risarcimento del danno nei confronti della Pubblica amministrazione di cui all’art. 30 c.p.a. rASSEGNA AvvOCATurA DELLO STATO -N. 2/2023 Ma molte altre sono le problematiche che il digital first pone nell’ambito del diritto amministrativo. Ci si chiede, infatti, se l’utilizzo del digitale, che consente di svolgere operazioni in tempo reale, possa incidere sulla concezione fasica del procedimento amministrativo che si sviluppa tradizionalmente secondo una scansione temporale strutturata in fasi (fase dell’iniziativa, fase istruttoria, fase decisoria e fase integrativa dell’efficacia) o se la violazione delle norme sul procedimento telematico possa ingenerare illegittimità non invalidanti, ai sensi del- l’art. 21-octies della L. n. 241/1990. 3. responsabilità amministrativa nei casi in cui le decisioni vengano adottate da un algoritmo. un’altra criticità dell’utilizzo degli algoritmi nell’azione della P.A. sta nella individuazione del soggetto responsabile delle “cattive decisioni” prese dai software. Chi è il responsabile in caso di malfunzionamenti del sistema? Lo sviluppatore o il dipendente pubblico? Oppure il software stesso? Il dibattito in materia è ancora aperto sia a livello europeo che nazionale. L’Europa si è occupata di tale aspetto con la risoluzione del Parlamento Europeo del 16 febbraio 2017, recante raccomandazioni alla Commissione concernenti norme di diritto civile sulla robotica (2015/2103 (INL)). Quest’ultima, partendo dalla considerazione secondo la quale siamo all’alba di una nuova rivoluzione industriale, ritiene necessario che gli Stati membri inizino a predisporre norme di diritto civile sulla robotica e, in particolare, si occupino della responsabilità contrattuale ed extracontrattuale dei robot secondo la c.d. “teoria della competenza specifica”. Attualmente il quadro giuridico dell’uE per la responsabilità extracontrattuale prevede la c.d. responsabilità da prodotto (secondo la quale il produttore di un prodotto è responsabile dei malfunzionamenti dello stesso) e la responsabilità per le azioni dannose (in virtù della quale è l’utente responsabile per i danni scaturenti dai comportamenti posti in essere in modo non conforme alle caratteristiche del prodotto). Tuttavia, questa bipartizione mal si concilia con le caratteristiche delle nuove intelligenze artificiali: quest’ultime hanno un grado di autonomia dal- l’uomo sempre maggiore e sono in grado di adottare decisioni proprie. L’Europa, riconoscendo l’esigenza di creare diverse categorie di robot autonomi intelligenti sulla base della capacità della macchina a) di acquisire in autonomia i dati direttamente dall’ambiente mediante l’utilizzo di sensori, b) di apprendere mediante l’esperienza e l’interazione con altre macchine, c) della tipologia di supporto fisico del robot e d) della capacità di adeguare il suo comportamento e le sue azioni all’ambiente, ha ritenuto di dover mitigare la responsabilità del soggetto umano in relazione ai danni arrecati dalle mac LEGISLAzIONE ED ATTuALITà chine in base alla categoria di appartenenza delle stesse. Maggiore sarà l’intervento umano nella fase della formazione della macchina e maggiore sarà la responsabilità civile dello stesso. Tuttavia, il Parlamento non ha sciolto il nodo gordiano relativo al tipo di responsabilità applicabile, ossia se applicare una forma di responsabilità oggettiva del soggetto “formatore” dell’AI ovvero un approccio legato alla possibilità di gestione dei rischi da parte dello stesso. Dall’altro lato, per risolvere la questione relativa al risarcimento patrimoniale dei danni, il Parlamento ha ritenuto auspicabile introdurre un regime di assicurazione obbligatoria per le AI al pari di quello utilizzato per le automobili. Infine, la risoluzione richiede, altresì, il riconoscimento di uno status giuridico per i robot più sofisticati che li veda assimilati a persone giuridiche responsabili patrimonialmente dei danni causati; mentre per le intelligenze artificiali più basilari, che si limitino a adottare decisioni automatizzate, è previsto il riconoscimento di una forma di personalità elettronica. A livello giurisprudenziale in Italia sul punto si è pronunciato il T.a.r. Trento, che con sentenza n. 149 del 15 aprile 2015 ha affermato <>. Da ultimo, è evidente che in un mondo in cui i robot sono in grado di stipulare contratti e di dare loro esecuzione autonomamente è necessario riscrivere, altresì, la normativa relativa alla responsabilità contrattuale. Tuttavia, per ora tale aspetto non è stato trattato dall’unione Europea in maniera approfondita. Si segnala, a tal riguardo, nell’ambito del nostro ordinamento nazionale il “Libro Bianco sull’intelligenza artificiale al servizio del cittadino”, curato rASSEGNA AvvOCATurA DELLO STATO -N. 2/2023 dalla task force promossa dall’Agenzia per l’Italia digitale, al fine di studiare le opportunità offerte dall’Intelligenza artificiale nel miglioramento dei servizi pubblici e del rapporto tra pubblica amministrazione e cittadini. Di recente, sono state, altresì, adottate, dal gruppo di esperti sull’intelligenza artificiale della Commissione Europea in materia di ICT, le Linee Guida Etiche per una intelligenza artificiale affidabile, le quali prevedono una lista non esaustiva dei requisiti minimi dell’intelligenza artificiale. In particolare, gli sviluppatori devono garantire: la possibilità di controllo e di supervisione dell’attività del computer da parte dell’essere umano, il rispetto della privacy, la sicurezza e la robustezza tecnica e il perseguimento degli obiettivi di trasparenza, non discriminazione, giustizia, massimizzazione del benessere sociale ed ambientale. La problematica ambientale diventa centrale nell’analisi della quarta rivoluzione industriale definita rivoluzione 4.0. Le nuove intelligenze artificiali, difatti, necessitano di ingenti quantità di energia per funzionare e, vista la velocità con la quale diventano obsolete, comportano la produzione di numerosi rifiuti. È proprio per far fronte a tali problematiche che il Parlamento europeo, con la risoluzione del 16 febbraio 2017 recante raccomandazioni alla Commissione Europea, ha ribadito la necessità di instaurare un regime di economia circolare dei rifiuti elettronici e di utilizzare fonti di energia rinnovabili per permettere il loro funzionamento. È relativamente recente la notizia che in Sardegna è stata avviata una sperimentazione per il monitoraggio del territorio attraverso satelliti radar che tra i diversi obiettivi si propone anche quello di individuare manufatti e edifici abusivi. In particolare, la NeMea Sistemi, che dal 2015 è socia del distretto aerospaziale della Sardegna, intende calcolare un algoritmo che consentirà di misurare se i fabbricati si innalzano oppure no, offrendo alla pubblica amministrazione uno strumento formidabile per individuare abusi edilizi a tutela delle aree protette. volendo ampliare l’angolo visuale di un’attenta analisi giuridica non può non considerarsi che il pensiero computazionale che consente di passare dal- l’algoritmo al coding non ha inciso solo sui concetti tradizionali di procedimento e provvedimento amministrativo, ma anche sul concetto privatistico di contratto. Si sta, infatti, realizzando un mutamento genetico dello strumento contrattuale sempre più espressione di eterodeterminazione e non di autodeterminazione delle parti. Si pensi alla figura degli smart-contracts: pur non essendo dei contratti in senso giuridico possono integrare atti della vicenda contrattuale, laddove gli algoritmi che li costituiscono siano programmati per il compimento di atti che costituiscono fasi (o esauriscono) la conclusione o esecuzione del con LEGISLAzIONE ED ATTuALITà tratto. È così possibile che uno smart-contract o più smart-contracts siano programmati in maniera tale da individuare quando coincidono le richieste di due o più parti (ai fini della conclusine di un contratto) ovvero per trasferire un determinato bene digitale al verificarsi di certe condizioni, avendo intercettato un algoritmo che è programmato per il pagamento, al verificarsi della medesima condizione. Ad esempio, un protocollo può essere istruito al fine di vendere/acquistare un certo tipo di bene (es. partecipazioni azionarie) una volta che il prezzo raggiunga una certa soglia o ulteriori condizioni vengano soddisfatte (secondo la sequenza informativa dell’if-then). È, altresì, possibile che uno smart-contract svolga un ruolo nella sola fase di esecuzione del contratto, prevedendo il pagamento on line una volta che il bene sia consegnato al compratore, ovvero nei rapporti di durata. una delle più note manifestazioni di smart-contract sono quelle che applicano un registro decentralizzato ai rapporti di scambio costituite dalla blockchain, che è la tecnologia alla base del software-protocollo bit-coin per il trasferimento moneta/valore digitale. La Blockchain è una piattaforma senza intermediari -e perciò decentralizzata, priva di sorveglianza o intervento di terzi sulle operazioni -per la conclusione, formalizzazione e gestione di rapporti di scambio digitali (ambiente informatico dematerializzato) di beni dematerializzati. Il controllo è decentralizzato grazie ad un data base pubblico e condiviso da tutti: i miner del network rappresentati da tutti gli utenti del Bitcoin. Il sistema di registri decentralizzati opera come un sistema di contabilità: i blocchi di operazioni vengono man mano validati ed eseguiti con una tempistica serrata di dieci minuti, in maniera tale da non poter essere modificati dopo questo intervallo. Oltre alla pseudonimia degli utenti, l’utilità di questo registro decentralizzato sta nel fatto che, tramite la piattaforma, qualsiasi bene virtuale o tangibile, ma rappresentato digitalmente, può essere trasferito mediante la stessa ed è registrato in maniera indelebile. Questa tecnologia veloce riduce i rischi di errori dell’intermediario. Se si guarda al funzionamento della blockchain dalla prospettiva delle vicende giuridiche della fase esecutiva, appare evidente che l’automazione delle operazioni riduce il rischio di inadempimento implicito nella conclusione del contratto. L’esecuzione viene affidata ad una rete e non può essere influenzata una volta lanciato lo smart-contract nella blockchain. L’automazione può inerire esclusivamente alla formazione di un contratto: ciò si realizza qualora un algoritmo sia impiegato nella definizione del contenuto contrattuale, ossia nella definizione delle obbligazioni delle parti prima o dopo la conclusione del contratto (c.d. gap filler). Si parla a tal proposito di Self-driving contracts, allorquando le parti in rASSEGNA AvvOCATurA DELLO STATO -N. 2/2023 dividuano un obiettivo comune, lasciando all’algoritmo, che in questo caso è una forma di intelligenza artificiale (analytics), il compito di definire il contenuto del contratto. un esempio del genere è già chiaro in quelle assicurazioni in cui il premio varia a seconda dello stile di guida per come monitorato dall’applicazione per smartphone che permette di conoscere l’esatta posizione del veicolo, la sua velocità e la quantità dei chilometri percorsi. Allo stato attuale, la valutazione tramite analytics, tuttavia, non modifica automaticamente il contenuto/oggetto del contratto. un punteggio elevato corrisponde ad una certificazione di basso profilo di rischio e se l’assicurazione decide di inserire la valutazione nel calcolo della tariffa, il cliente usufruisce di uno sconto al momento del rinnovo della polizza. Abbiamo, poi, i contratti c.d. High Frequency Trading o Dynamic Pricing, come il servizio amazon’s Dash replenishment. Quest’ultimo consente a dispositivi tra loro connessi tramite sensori di ordinare beni su Amazon, quando lo stesso si stia esaurendo presso l’utente del servizio. Alla luce degli esempi sopradescritti, il giurista non può non chiedersi fino a che punto l’intelligenza artificiale possa riprodurre il processo decisorio dell’uomo, atteso che il contratto è la sede naturale dell’autonomia delle parti. Ci si chiede se l’algoritmo possa costituire una dichiarazione contrattuale tacita, ovvero costituire un inizio di esecuzione valevole alla conclusione del contratto o al compimento di altro atto esecutivo. Più critico è il problema del malfunzionamento del programma e del governo della responsabilità. Tale tematica è presente anche nell’ambito del diritto amministrativo come sopra esposto, ma nell’ambito del diritto civile assume delle connotazioni particolari. Il malfunzionamento dell’algoritmo va valutato nell’ambito della distribuzione del rischio contrattuale in un’accezione ampia che non si riduce alla gestione delle sopravvenienze, ma al rischio di inadempimento e diminuita soddisfazione economica dell’affare. Il malfunzionamento dell’algoritmo rientrerebbe nel caso fortuito o nel generale concetto del rischio nell’attività di impresa che pone la responsabilità su una valutazione fondata sulla colpa, imprescindibile elemento soggettivo da valutare ai fini dell’inadempimento qualificato della prestazione. Occorrerebbe de iure condendo distinguere in base al grado di autonomia dell’agente (rectius: algoritmo), se mere tool o dotato di ability to learn and decide. Quest’ultima prospettiva è stata fatta propria dalla recente risoluzione del Parlamento Europeo del 16 febbraio 2017 recante raccomandazioni alla Commissione concernenti norme di diritto civile sulla robotica che, come LEGISLAzIONE ED ATTuALITà sopra esposto, pone non solo un problema di riconoscimento della personalità elettronica per i robot autonomi e decisionali, ma anche di responsabilità contrattuale delle macchine. Ma il vero banco di prova del processo di digitalizzazione nella sua componente di interconnessione, interoperabilità e cooperazione applicativa è rappresentato dagli appalti pubblici. È proprio all’interno di tale settore che l’esigenza di digitalizzazione si fa sentire maggiormente: l’E-Public Procurement è visto a livello europeo come uno degli strumenti atti a risolvere le problematiche endemiche della contrattazione pubblica, quali la corruzione, la scarsità dei controlli sull’utilizzo delle risorse da parte delle Amministrazioni e la limitata concorrenza tra le imprese nel mercato delle commesse pubbliche. A conferma del ruolo centrale delle ICT nella riduzione dell’inefficienza delle procedure di affidamento troviamo la normativa europea e italiana degli ultimi venti anni. Le numerose riforme in materia, che hanno più volte modificato la disciplina di settore negli ultimi anni sono connesse tra di loro da un filo conduttore comune: ossia, la spinta verso la “digitalizzazione” della procedura di aggiudicazione. Lo Stato italiano è stato precursore nel settore delle gare elettroniche: già nel 2000 il Consiglio dei ministri adottò il Piano Nazionale per l’e-Government che al punto n. 12 (Azione 12 con un richiamo alla legge finanziaria del 2000 L. n. 488/1999) pose le basi per la realizzazione di un sistema elettronico di approvvigionamento. Il sistema si fondava su due pilastri importanti: la pubblicazione dei bandi di gara per via telematica, così da permettere a un maggior numero di privati di averne conoscenza, e l’attivazione di un’asta telematica permanente in cui domanda e offerta potessero incontrarsi in tempo reale, garantendo alla Pubblica Amministrazione le migliori condizioni contrattuali. Successivamente intervennero le direttive europee 2004/17/CE e 2004/18/CE (dette direttive di terza generazione) che, rispettivamente ai considerando nn. 13 e 21, evidenziavano la necessità di creare una procedura di affidamento elettronica al passo con lo sviluppo tecnologico dei Paesi europei, con l’obiettivo di gestire in maniera ottimale le risorse dell’Amministrazione. Nello specifico, la Direttiva 2004/18/CE promuoveva l’utilizzo delle tecnologie dell’informazione nell’ambito degli appalti, introducendo una serie di tecniche di acquisto elettronico quali il Sistema Dinamico di Acquisizione, le aste elettroniche e i cataloghi elettronici. Tali direttive furono recepite in Italia con il primo Codice dei Contratti Pubblici (D.lgs. 12 aprile 2006 n. 163), il quale prevedeva, tra l’altro, la pubblicazione dei bandi e degli avvisi di gara in rete, nonché la trasmissione degli stessi mediante procedura elettronica alla Commissione Europea, il ricorso rASSEGNA AvvOCATurA DELLO STATO -N. 2/2023 all’asta elettronica come strumento per l’aggiudicazione di contratti che non avessero ad oggetto prestazioni intellettuali e l’istituzione del sistema dinamico di acquisizione. Più di recente, nel 2014, sono state adottate dall’unione Europea le direttive di c.d. “quarta generazione” (2014/23/uE sui contratti di concessione, 2014/24/uE sugli appalti nei settori ordinari e 2014/25/uE sugli appalti nei settori speciali) che prevedono l’utilizzo dei mezzi telematici e informatici come strumenti ordinari del processo di aggiudicazione dei contratti pubblici. Queste direttive, oltre ad affinare ed estendere l’ambito di applicazione dei vecchi strumenti, quali aste elettroniche, i cataloghi elettronici e il Sistema Dinamico di Acquisizione, introducono nuovi elementi quali il Documento di gara unico Europeo o il registro Online dei Certificati (e-certis). L’obbligo di gestire gli appalti mediante strumenti elettronici deve essere introdotto in maniera graduale nel nostro ordinamento e, segnatamente, le Direttive europee hanno previsto dei termini ultimi per la realizzazione degli obiettivi di medio termine. In particolare, tutti gli Stati membri avrebbero dovuto garantire: entro marzo 2016 la notifica elettronica dei bandi e degli avvisi e l’accesso elettronico ai documenti del bando di gara; entro marzo 2017 la presentazione esclusivamente con mezzi elettronici delle offerte per le centrali di committenza ed entro settembre 2018 tale ultimo obbligo avrebbe dovuto essere esteso a tutte le amministrazioni aggiudicatrici. Le direttive sono state recepite nel nostro Stato con il D.lgs. 18 aprile 2016 n. 50 che rafforza l’utilizzo delle ICT in materia di appalti e all’art. 44 prevede la digitalizzazione delle procedure di affidamento. Tale articolo non è stato modificato dal Decreto Sblocca -Cantieri, ma, come sopra esposto, prevede la digitalizzazione della sola fase di affidamento dei contratti pubblici, escludendo, quindi, la fase di pianificazione, programmazione e progettazione e quella successiva all’aggiudicazione dell’esecuzione del contratto. L’Agenzia per l’Italia Digitale ha dedicato il punto 6 del Piano Triennale per l’Informatica della Pubblica Amministrazione 2019-2021 all’e-procurement e ha disposto un piano di azione volto a realizzare un “quadro complessivo delle procedure telematiche di acquisto e di negoziazione delle Pa e delle banche dati necessarie al funzionamento dei processi di procurement”. A tal fine l’AGID ha, inoltre, istituito un gruppo di lavoro in tema di procedure telematiche di acquisto che ha prodotto un documento di supporto per la stesura del Decreto Ministeriale di cui all’art. 44 del già menzionato Codice dei Contratti Pubblici. Dall’altro lato, la Commissione Europea con una serie di Comunicazioni destinate al Parlamento Europeo e al Consiglio (COM(2012)179 e COM(2017)572) ha più volte auspicato la realizzazione dei c.d. “appalti elettronici end to end”, ossia di una “procedura per gli appalti elettronici intera LEGISLAzIONE ED ATTuALITà mente automatizzata, in cui tutte le fasi, dalla pubblicazione (e-notification) al pagamento (e-payment) sono effettuate per via elettronica”. Se questo è l’auspicio della Commissione Europea, occorre comprendere il livello attuale dell’informatizzazione dei contratti pubblici, chiarendone i profili applicativi. Ma partiamo dal processo di digitalizzazione c.d. “verticale” del Codice previgente D.lgs. 50/2016 per poi approdare alle novità del nuovo Codice D.lgs. 36/2023. L’art. 56 del previgente Codice dei Contratti pubblici disciplinava l’asta elettronica. Quest’ultima non rappresentava una vera e propria procedura di gara, bensì una modalità di aggiudicazione della gara stessa attuata con l’ausilio di un dispositivo elettronico, alla quale la Pubblica amministrazione poteva ricorrere in presenza di determinati requisiti. L’asta elettronica, in particolare, garantiva l’automatismo nella valutazione delle offerte, e, pertanto, era necessario che le specifiche tecniche richieste fossero individuate in maniera rigorosa in modo da poter essere verificate in via automatica. Questa procedura era idonea a soddisfare i requisiti di trasparenza, economicità e rapidità delle gare ed era volta ad ampliare il novero dei soggetti partecipanti realizzando una maggiore concorrenza. Ad esempio, le Amministrazioni erano obbligate a rendere noto in qualsiasi momento a ciascun partecipante la propria classificazione. Inoltre, mediante la valutazione numerica ed interamente automatizzata venivano ridotti i tempi di attesa e gli oneri in capo all’Amministrazione. Come, altresì, evidenziato dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 3042/2014, le aste elettroniche, rispetto alle gare tradizionali, permettevano una maggiore adesione delle imprese “spazialmente distanti rispetto alla sede di svolgimento delle gare”, soprattutto grazie all’abbattimento dei costi per la partecipazione. Infine, dovevano essere annoverate le procedure di gara interamente gestite dai sistemi telematici di negoziazione: in questi casi i documenti di gara erano necessariamente documenti informatici sottoscritti con firma digitale. Tali procedure erano interamente gestite da una piattaforma telematica (ad esempio il MEPA), nel pieno rispetto dei principi di trasparenza e imparzialità. Il MEPA (Mercato Elettronico della Pubblica Amministrazione) consiste nel mercato digitale predisposto dalla Consip, nel quale le Amministrazioni possono approvvigionarsi dei beni, servizi, e lavori di cui abbisognano, purché si tratti di acquisti per importi sotto la soglia comunitaria ex art. 35 del Codice dei contratti pubblici D.lgs. 50/2016. La Consip S.p.A. è la principale centrale di committenza italiana: è una società per azioni a capitale interamente pubblico, e in particolare è interamente partecipata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, che opera nel solo interesse dello Stato. Giova precisare che nel caso del MEPA, così come accade per lo SDAPA, rASSEGNA AvvOCATurA DELLO STATO -N. 2/2023 a differenza delle Convenzioni e degli Accordi Quadro, la Consip non è parte contrattuale. Quest’ultima si limita esclusivamente a fornire le piattaforme telematiche. Il ricorso al MEPA è previsto espressamente dall’art. 36 del Codice dei Contratti Pubblici D.lgs. 50/2016, anche se l’obbligo per le Pubbliche amministrazioni centrali e periferiche dello Stato, ad esclusione di alcune categorie, di ricorrere a questa piattaforma di acquisto è stata introdotta fin dalla legge finanziaria del 2007. In questa piattaforma telematica di negoziazione le Amministrazioni possono scegliere tra un’ampia varietà di prodotti offerti da fornitori abilitati, mentre i fornitori potranno abilitarsi per i bandi per i quali soddisfano le condizioni generali e i requisiti. una volta abilitati, spetta agli stessi pubblicare le loro offerte sulla piattaforma. Le PP.AA. che intendono acquistare beni e prodotti su tale mercato dovranno accedere alla vetrina o visitare il catalogo prodotti ed effettuare gli ordini. Inoltre, è possibile instaurare negoziazioni dirette con il venditore per ottenere prezzi e condizioni di fornitura migliorativi. L’utilizzo di tale strumento comporta un notevole risparmio di tempo per le Amministrazioni e garantisce la trasparenza e la tracciabilità del processo di acquisto. Il Sistema Dinamico di Acquisizione della Pubblica Amministrazione, analogamente al MEPA, è un mercato digitale nel quale le Amministrazioni possono effettuare un processo di acquisizione interamente elettronico. A differenza di quanto avviene nel MEPA, in questa piattaforma possono essere aggiudicati appalti per importi superiori alla soglia europea. Anche in questo la Consip pubblica i bandi istitutivi per le varie categorie merceologiche ai quali i fornitori possono abilitarsi. Tuttavia, a differenza di quanto avviene nel MEPA, le Amministrazioni pubblicano e aggiudicano appalti specifici e non possono procedere ad effettuare ordini diretti. Dunque, l’ammissione al bando istitutivo della Consip permette alle imprese solo di poter partecipare alla procedura di appalto specifico indetta dall’Amministrazione. Ma il vero elemento di innovatività è l’introduzione della tecnologia Block Chain nell’ambito delle procedure degli appalti pubblici. L’idea di introdurre la block-chain nell’ambito della Pubblica Amministrazione deriva da una serie di raccomandazioni adottate dal World Economic Forum e da una serie di sollecitazioni emerse dalla conferenza “anti-corruption & integrity forum”, organizzata dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico a marzo 2019. Prima delle suddette raccomandazioni alcuni paesi si erano già dotati di piani anticorruzione utilizzando la tecnologia block-chain. Il Messico, ad esempio, nel settembre 2017 ha introdotto un progetto chiamato “Blockchian HaCKmaX”, volto a dare avvio al processo di digitalizzazione dell’azione amministrativa, soprattutto mediante l’introduzione della blockchain per risolvere il problema della dilagante corruzione nel settore dei contratti pubblici. Successivamente nel marzo 2018 il Messico ha approvato LEGISLAzIONE ED ATTuALITà la “ley para regular las instituciones de tecnologia financiera”, con la quale, tra l’altro, ha riconosciuto alle criptovalute la qualifica di patrimonio digitale, in collaborazione con l’unidad de Gobierno Digital, ossia l’Agenzia del Governo messicano che si occupa della promozione delle ICT nel settore della Pubblica Amministrazione. Questo comprova che il problema della lotta alla corruzione di rilevanza internazionale può trovare nella tecnologia uno strumento di contrasto altamente efficace. vediamo perché. 4. Vantaggi della blockchain in materia di contratti pubblici. La blockchain è un registro distribuito (8) che può contenere varie informazioni (ad esempio, in materia appalti potrebbe contenere tutte le transazioni e gli altri dati importanti relativi ad un’azienda -si veda l’art. 30 del Nuovo Codice D.lgs. 36/2023 o l’art. 106 in materia di Polizza Fideiussoria blockchain per dare certezza alla garanzia fideiussoria). La peculiarità di tale sistema sta nel fatto che tutte le informazioni contenute nel registro sono immutabili e, nel momento in cui un soggetto introduce un nuovo input o va a modificare quelli precedenti, rimane traccia di tali operazioni sul registro. tracciabilità dell’intero ciclo della contrattazione pubblica: date le caratteristiche della blockchain, far sì che l’intera procedura di contrattazione pubblica venga eseguita mediante l’impiego di tale strumento andrebbe ad aumentare esponenzialmente la trasparenza dell’azione amministrativa. Chiunque, anche il semplice cittadino, potrebbe controllare la correttezza della procedura di affidamento ed esprimere, inoltre, un feedback sul tipo di contratto effettivamente stipulato. un ulteriore vantaggio della blockchain sta nel fatto che attaccare il suddetto sistema è quasi impossibile. Infatti, al di là dei costi eccessivi di tale operazione, ogni mutamento anomalo dei dati contenuti nel registro verrebbe immediatamente registrato, rendendo facilmente rintracciabili i colpevoli. Ciò in quanto la blockchain è composta da blocchi di codici, scritti mediante un linguaggio criptografico, collegati tra loro e, qualora si decida di cambiare il precedente, si dovrebbero cambiare i successivi. Inoltre, tale modifica dovrebbe essere riportata in tutti i registri tra loro collegati. Riduzione delle asimmetrie informative nella fase antecedente all’offerta: grazie ai registri condivisi, le informazioni verrebbero condivise con tutti i partecipanti in tempo reale. Così facendo, da un lato, si garantirebbe una maggiore partecipazione delle PMI alla fase dell’affidamento dei contratti pubblici e, dall’altro, verrebbero tutelati gli interessi delle pubbliche amministra (8) Ossia i suoi contenuti sono condivisi in tempo reale con tutti i soggetti che hanno accesso al sistema. rASSEGNA AvvOCATurA DELLO STATO -N. 2/2023 zioni. Quest’ultime, soprattutto se piccole amministrazioni, venendo a conoscenza dell’esigenze delle altre potrebbero unirsi nella richiesta di fornitura dei servizi e, di conseguenza, aumentare il loro potere contrattuale. Inoltre, sarebbero messe in grado di conoscere anche i prezzi fatti alle altre pubbliche amministrazioni per i medesimi servizi. Decentralizzazione della fase della valutazione dell’offerta: l’offerta potrebbe essere valutata da parte di soggetti esterni alla P.A. aventi determinati requisiti in termini di conoscenze tecniche (9) e i cui dati sensibili sarebbero sconosciuti alle imprese. Così si garantirebbe una maggiore trasparenza, imparzialità, efficienza con una consequenziale riduzione dei processi corruttivi. Si ricorda che, ai sensi dell’art. 44 del Codice dei Contratti pubblici previgente rubricato “Digitalizzazione delle procedure”, è stato approvato di recente il D.M. 148/2021 per l’interoperabilità delle offerte tecniche al fine di controllare il c.d. valore soglia. I decreti semplificazione D.L. 76 e D.L. 77 approvati negli anni 2020 e 2021 hanno introdotto dei forti incentivi e premialità nei punteggi per stimolare il processo di digitalizzazione che prevede uno sviluppo sempre più significativo del c.d. BIM (Building Information Modelling). Con tale termine si indica una metodologia di digitalizzazione tramite specifica piattaforma delle opere pubbliche per evitare le c.d. “varianti in corso d’opera” con aumento dei costi e delle c.d. “esternalità negative”. Occorre, però, considerare che alla base di tali tecnologie deve essere configurata e sviluppata una vera e propria “strategia digitale”, attraverso la formazione ed il potenziamento della figura del manager per l’innovazione tecnologica che esalti il profilo della scienza dell’organizzazione nei processi produttivi sia per la Pubblica Amministrazione che per le imprese private. Di tale necessità si è fatto interprete, di recente, il legislatore italiano che con l’art. 1, commi 228, 230 e 231 della legge 145/2018 (legge di bilancio 2019) ha, -con successivo decreto del Ministero dello Sviluppo Economico del 7 maggio 2019 e consequenziale decreto direttoriale del 29 luglio 2019 -, introdotto la figura del Manager per l’Innovazione, prevedendo, attraverso una tecnica premiale nell’ambito del Piano Nazionale Impresa 4.0., finanziamenti alle imprese che si avvalgono di qualificate figure professionali idonee ad attivare e supportare il processo di innovazione tecnologica. I settori volti a creare tale dinamismo economico sono i più vari: big data, cloud, fog,e quantum computing, cyber security, integrazione delle tecnologie della Next Production revolution (NPr), prototipazione rapida, robotica avanzata e collaborativa, interfaccia uomo-macchina, integrazione e sviluppo digitale dei processi aziendali, programmi di digital marketing legati al c.d. Branding, programmi di open innovation, strumenti di finanza alternativa e digitale come l’equity crowdfunding e l’invoice financing. (9) Si v. artt. 230 e 231 della legge n. 145/2018 (legge di bilancio 2019). LEGISLAzIONE ED ATTuALITà L’innovazione tecnologica richiede, dunque, formazione e strategia, affinché si possa valorizzare l’expansion of capabilities, lo sviluppo dei talenti, attraverso l’educazione al pensiero strategico volto a realizzare uno sviluppo sostenibile per il benessere dell’uomo e dell’ambiente. Il diritto, insieme alla scienza dell’organizzazione, nella complessità del fenomeno in corso diviene uno degli strumenti essenziali per la realizzazione di un dinamismo evolutivo che veda l’uomo non sottomesso alla Digital Domination, ma protagonista attivo e consapevole delle proprie scelte future. 5. Cosa cambia con il Nuovo Codice dei Contratti pubblici D.lgs. 36/2023 dal 1 gennaio 2024 con il nuovo concetto di “ciclo di vita del Contratto” ? Dal 1 gennaio 2024 entrano in vigore le disposizioni della parte II del Libro I del Nuovo Codice dei Contratti Pubblici D.lgs. 36/2023: tale mese segna il passaggio evolutivo dall’enunciazione dei principi ricognitivi ed innovativi contenuti nei primi 18 articoli (principio del risultato, della fiducia, dell’accesso al mercato, intesi come metanorme con funzione normogenetica) alle regole operative. E qui si affacciano le prime problematiche, perché nessuna proroga è stata prevista nel Milleproroghe 2024, ossia all’interno del Decreto Legge 30 dicembre 2023 n. 215 recante “Disposizioni Urgenti in materia di termini normativi”. Il legislatore giustamente ha voluto dare una spinta in avanti, cercando di dare termini precisi per avviare il “reale processo di digitalizzazione” che si prospetta diverso dalla mera “informatizzazione”. Il nuovo Milleproroghe è arrivato, infatti, proprio a ridosso dell’operatività della Parte II, Libro I del Nuovo Codice dei contratti pubblici che a partire dal 1 gennaio 2024 ha davvero innovato il mondo degli appalti pubblici e che può essere definita certamente la sfida più ambiziosa: la digitalizzazione del ciclo di vita dei contratti pubblici. una sfida cui il “sistema Italia” ha avuto 9 mesi di gestazione per consentire alle pubbliche amministrazioni di garantire l’esercizio dei diritti di cittadinanza digitale e operare secondo i principi di neutralità tecnologica, di trasparenza, nonché di protezione dei dati personali e di sicurezza informatica. I mesi potrebbero sembrare pochi, ma come si è cercato di descrivere nei precedenti paragrafi, si è cominciato a parlare di digitalizzazione già con il D.lgs. n. 50/2016 con un progetto di riforma che non è diventato operativo. È, dunque, cominciata la nuova era della digitalizzazione dei contratti pubblici da cui, inevitabilmente, non si potrà più tornare indietro nonostante le problematiche e criticità che stanno investendo tutto il comparto in questa prima fase di “start up”. Le due principali criticità riguardano: 1) Affidamenti diretti di importo inferiore a 5000 euro e 2) Le Piattaforme di Approvvigionamento Digitale che costituiscono il presupposto per la c.d. “qualificazione della stazione appaltante”, oggi circa 3000. relativamente agli affidamenti diretti di importo inferiore a 5000 euro, rASSEGNA AvvOCATurA DELLO STATO -N. 2/2023 l’ANAC è già intervenuta con il comunicato del 10 gennaio 2024 contenente le indicazioni di carattere transitorio sull’utilizzo delle piattaforme certificate fino al 30 settembre 2024. Il nuovo Codice è strettamente incentrato sull’operatività delle Piattaforme Certificate da Agid che definiscono dei nuovi modelli organizzativi della domanda pubblica attraverso sistemi dinamici, gare aggregate c.d. joint procurement per realizzare quella che è definita la net.o.industry, l’ecosistema digitale dei contratti pubblici richiamato anche dal Digital Compass a livello europeo. Cambia cosa si compra, come si compra, da chi si compra nell’ottica di uno sviluppo sostenibile e di giustizia sociale. Le piattaforme pubbliche certificate sono la sfida più rilevante del nuovo codice con piena tracciabilità delle operazioni di aggiudicazione, esecuzione e pagamento. Tra P.A. e operatore economico si dovrà realizzare una “fiducia digitale”, in termini di accordo collaborativo win-win, c.d. “fairworking alliance” quale causa qualificante del contratto pubblico, superando la c.d. caccia all’errore. È rilevante notare che si configura un danno erariale per il dirigente pubblico che non consentirà l’interoperabilità delle banche dati con l’introduzione del Fascicolo virtuale degli operatori economici (artt. 22-24 del Nuovo Codice c.d. Ecosistema Nazionale dell’approvigionamento digitale), fascicolo che consentirà all’operatore di inserire una sola volata i documenti necessari, realizzando il c.d. Digital identity Wallet previsto anche a livello europeo. Si realizza una fiducia digitale c.d. trustworthy per una tecnologia che diventa “abilitante” in un’ottica prospettica non solo dal punto di vista della domanda, ma anche dell’offerta innestando dei meccanismi virtuosi. È una fiducia più elevata che va oltre la c.d. “fiducia temperata” contenuta negli istituti del soccorso istruttorio, dell’inversione procedimentale e dell’autocertificazione. Si pensi al nuovo art. 109 del Nuovo Codice relativo alla reputazione dell’impresa con verifica costante della performance nella fase di esecuzione del contratto con monitoraggio digitale delle prestazioni: i c.d. pagamenti Sal con certificazioni, le penali, le varianti in corso d’opera. L’anac con Delibera del 20 giugno 2023 n. 262 ha precisato meglio gli usi, le funzionalità, i controlli, le cause di esclusione e le procedure di selfcleaning, il concetto di riuso in tutte le procedure dei documenti trasmessi con un sistema di flusso di informazioni senza più oneri gravosi a carico degli operatori economici. Si pensi all’art. 101 sul soccorso istruttorio che si attiva solo se i documenti non risultano dal fascicolo virtuale, così la reputazione del- l’impresa ex art. 109 diventa un elemento essenziale del fascicolo virtuale stesso. Degno di nota è l’art. 99 del Nuovo codice sulle cause di esclusione: le informazioni contenute sempre nel fascicolo virtuale sono essenziali per la P.A., utile, ma non esaustivo per le cause di esclusione non automatica. LEGISLAzIONE ED ATTuALITà Dagli operatori economici in questi due mesi stanno provenendo altre ulteriori istanze di semplificazione. Ad esempio, imporre all’ANAC l’implementazione di una piattaforma di rilascio del Codice Identificativo di Gara CIG che richieda solo le minime informazioni necessarie per “tracciare” l’affidamento e i relativi pagamenti (oggetto, settore, importo, contraente); stabilire che la richiesta del CIG possa essere effettuata dal responsabile unico del Progetto (ruP), dal responsabile per la fase di affidamento o da un loro delegato; limitare le esigenze di trasparenza e di trasmissione di informazioni ad Anac alle sole informazioni già trasmesse in fase di rilascio del CIG eliminando, quindi, la necessità di compilare successive schede ed informazioni (data di inizio, fine, somme liquidate, ecc.); salva diversa scelta della stazione appaltante, limitare l’attività di verifica del possesso dei requisiti di ordine generale unicamente a quelli di immediato riscontro (regolarità contributiva, fallimento, liquidazione, casellario ANAC, ecc.). La delibera anac n. 601 del 19 dicembre 2023 ha, infatti, apportato modifiche e integrazioni alla delibera n. 262 del 20 giugno 2023, focalizzandosi meglio sulla trasparenza dei contratti pubblici. Inizialmente, il provvedimento aveva identificato gli atti, le informazioni, e i dati relativi al ciclo di vita dei contratti pubblici soggetti a trasparenza. Con la nuova delibera, l’Autorità fornisce ulteriori dettagli e chiarezza sulle modalità di adempimento di tali obblighi di pubblicazione. Il provvedimento identifica gli atti, le informazioni e i dati relativi al ciclo di vita dei contratti pubblici soggetti a trasparenza, come richiesto dall’articolo 37 del decreto trasparenza D.lgs. n. 33/13, dall’art. 1 co. 32 della Legge 190/12 e dall’articolo 28 del Nuovo Codice dei Contratti pubblici. Tali obblighi si applicano a tutte le stazioni appaltanti ed enti concedenti rientranti nell’ambito soggettivo del decreto trasparenza. Per adempiere agli obblighi di pubblicazione dei contratti pubblici, le stazioni appaltati e gli enti concedenti devono comunicare tempestivamente alla BDNCP (Banca Dati nazionale dei Contratti Pubblici) tutti i dati e le informazioni specificati nell’articolo 10 del provvedimento. La trasmissione avviene attraverso le piattaforme di approvvigionamento digitale e i dati sono consultabili tramite la PCP. Le stazioni appaltanti e gli enti concedenti devono anche inserire un collegamento ipertestuale sulla propria sezione “amministrazione trasparente” che rimandi ai dati completi nella BDnCP, garantendo così trasparenza sull’intera procedura contrattuale, dall’avvio all’esecuzione. La pubblicazione dei dati e delle informazioni relative ai contratti pubblici è soggetta a rigidi criteri di qualità, al fine di garantire un accesso informativo adeguato. Questi criteri sono: l’integrità, l’aggiornamento costante, completezza, tempestività, semplicità di consultazione, comprensibilità, omogeneità, facile accessibilità, conformità ai documenti originali, indicazione della provenienza, riutilizzabilità. rASSEGNA AvvOCATurA DELLO STATO -N. 2/2023 riguardo alla durata della pubblicazione, il decreto trasparenza stabilisce che le informazioni devono rimanere accessibili per almeno cinque anni, garantendo una periodica disponibilità delle informazioni anche a distanza di tempo dall’esecuzione del contratto. Ciò contribuisce a mantenere la tracciabilità e la consultabilità delle informazioni nel lungo periodo, promuovendo la responsabilità e la trasparenza nel settore dei contratti pubblici. Qualora le informazioni relative ai contratti pubblici non siano pubblicate conformemente alle disposizioni stabilite, si attua la disciplina sull’accesso civico semplice. La richiesta è presentata al Responsabile per la Prevenzione della Corruzione e la trasparenza (RPCt) della stazione appaltante o del- l’ente concedente. Il rPCT è il punto di riferimento per la gestione delle richieste di accesso e verifica dell’adempimento degli obblighi di pubblicazione. L’accesso civico generalizzato è un ulteriore strumento che permette ai cittadini di richiedere informazioni anche dopo la conclusione del periodo di pubblicazione obbligatoria. Le stazioni appaltanti sono tenute a conservare e rendere disponibili le richieste di accesso civico generalizzato in conformità con l’art. 35 del nuovo Codice che ha recepito l’orientamento giurisprudenziale dell’Adunanza plenaria n. 10/2020. Occorre considerare che l’art. 19 comma 3 prevede che le informazioni e i dati dei procedimenti digitali “sono gestiti e resi fruibili in formato aperto”. Occorre chiedersi se la violazione di tali norme comporterà l’illegittimità del- l’atto o se piuttosto la suddetta violazione comporterà la sola responsabilità del funzionario e della stazione appaltante che abbiano utilizzato una piattaforma non conforme. Per realizzare tale lawfulness by design and by default è, comunque, fondamentale che le stazioni appaltanti e gli enti concedenti individuino chiaramente i soggetti responsabili della comunicazione e pubblicazione delle informazioni. Tale obbligo è cruciale per garantire un’efficace adempimento degli obblighi e per assicurare la responsabilità nella gestione delle informazioni relative ai contratti pubblici. Occorre, dunque, tener presente tale schema: 1) Individuazione dei soggetti responsabili; 2) Piani di programmazione delle misure di Prevenzione della Corruzione e della trasparenza, quali strumenti strategici attraverso i quali le stazioni appaltanti e gli enti concedenti stabiliscono le misure per prevenire la corruzione e promuovere la trasparenza nel contesto dei contratti pubblici; 3) Ruolo chiave nella Prevenzione della Corruzione e trasparenza: l’inclusione delle responsabilità relative alla comunicazione e pubblicazione nei Piani di Programmazione delle Misure di Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza sottolinea l’importanza di tali aspetti nel promuovere pratiche etiche e trasparenti. LEGISLAzIONE ED ATTuALITà Sappiano, però, che la norma ha bisogno di sanzioni in caso di sua inosservanza e occorre considerare le sanzioni amministrative pecuniarie che possono variare da 500 a 10.000 euro secondo quanto previsto dal Decreto Legge n. 179/2012. Non vi possono essere norme “senza spada” , anche se S. Tommaso attribuiva alle regole una funzione più orientativa che coercitiva. L’analisi sintetica di tale ultima delibera dell’Anac pone in evidenza che dal 1 gennaio 2024 occorre immettersi nelle c.d. “specifiche tecniche”, occorre “sporcarsi le mani”, passare dall’enunciazione dei principi alla concreta operatività delle regole. Per i giuristi si affaccia una grande sfida, ossia quella di conciliare la propria formazione giuridica con una formazione tecnica sempre più dettagliata. Il Ministro dell’università A. Bernini, all’inaugurazione del- l’anno accademico dell’università Lumsa di roma, ha affermato che oggi dobbiamo adeguarci a ciò che sostengono i botanici “Il genio è nell’ibridazione, ossia nella contaminazione dei saperi”. Bibliografia AuBy, J.B. (2018), Le droit administratif face aux défis du numérique, L’actualité Juridique Droit administratif, 15, 835-844. BOCCIA, C., CONTESSA, C., DE GIOvANNI, E. (2018), Codice dell'amministrazione digitale: (D.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 commentato e annotato per articolo. aggiornato al D.lgs. 13 dicembre 2017, n. 217). Con una guida operativa al Codice, La Tribuna. CAvALLArO, M.C., SMOrTO, G. (2019), Decisione pubblica e responsabilità dell’amministrazione nella società dell’algoritmo, Federalismi.it, 16. CIvITArESE MATTEuCCI, S., TOrChIO, L. (2016), La tecnificazione, Firenze university Press. DEODATI, M. (2017), il nuovo procedimento amministrativo digitale, Maggioli. SChwAB, K. (2016), La quarta rivoluzione industriale, FrancoAngeli, Milano. rASSEGNA AvvOCATurA DELLO STATO -N. 2/2023 La dimensione giuridica dell’istruzione e del merito: i principi basilari per lo sviluppo dell’Italia Gaetana Natale* Sara Cardarelli** Il grado di civiltà di un paese è dato dal grado di istruzione della sua popolazione. L’istruzione rappresenta il pilastro su cui costruire una società democratica in cui i cittadini, sviluppando specifiche competenze professionali, siano sempre più consapevoli dei loro diritti e doveri. Sulla base di tale principio l’ONu con l’obiettivo 4 dell’Agenda 2030 mira a garantire un’istruzione di qualità inclusiva ed equa e promuovere opportunità di apprendimento continuo per tutti. Questo obiettivo, considerando il processo di apprendimento un processo non statico, ma dinamico, mira a realizzare un punto di contatto tra istruzione di base e formazione professionale, ponendo l’accento sull’equità e sulla qualità dell’istruzione in un’ottica di apprendimento che si estenda lungo tutto l’arco della vita. L’Obiettivo 4 ha il seguente tenore: “obiettivo 4. Fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti 4.1 Garantire entro il 2030 ad ogni ragazza e ragazzo libertà, equità e qualità nel completamento dell’educazione primaria e secondaria che porti a risultati di apprendimento adeguati e concreti 4.2 Garantire entro il 2030 che ogni ragazza e ragazzo abbiano uno sviluppo infantile di qualità, ed un accesso a cure ed istruzione pre-scolastiche così da essere pronti alla scuola primaria 4.3 Garantire entro il 2030 ad ogni donna e uomo un accesso equo ad un’istruzione tecnica, professionale e terziaria -anche universitaria -che sia economicamente vantaggiosa e di qualità 4.4 aumentare considerevolmente entro il 2030 il numero di giovani e adulti con competenze specifiche -anche tecniche e professionali -per l’occupazione, posti di lavoro dignitosi e per l’imprenditoria 4.5 Eliminare entro il 2030 le disparità di genere nell’istruzione e garantire un accesso equo a tutti i livelli di istruzione e formazione professionale delle categorie protette, tra cui le persone con disabilità, le popolazioni indigene ed i bambini in situazioni di vulnerabilità 4.6 Garantire entro il 2030 che tutti i giovani e gran parte degli adulti, (*) Avvocato dello Stato, Professore di Sistemi Giuridici Comparati e Presidente del Collegio dei revisori dei Conti della Scuola Superiore Meridionale. (**) Dottoressa in Giurisprudenza, ammessa alla pratica forense presso l’Avvocatura Generale dello Stato. LEGISLAzIONE ED ATTuALITà sia uomini che donne, abbiano un livello di alfabetizzazione ed una capacità di calcolo 4.7 Garantire entro il 2030 che tutti i discenti acquisiscano la conoscenza e le competenze necessarie a promuovere lo sviluppo sostenibile, anche tramite un’educazione volta ad uno sviluppo e uno stile di vita sostenibile, ai diritti umani, alla parità di genere, alla promozione di una cultura pacifica e non violenta, alla cittadinanza globale e alla valorizzazione delle diversità culturali e del contributo della cultura allo sviluppo sostenibile 4.a Costruire e potenziare le strutture dell’istruzione che siano sensibili ai bisogni dell’infanzia, alle disabilità e alla parità di genere e predisporre ambienti dedicati all’apprendimento che siano sicuri, non violenti e inclusivi per tutti 4.b Espandere considerevolmente entro il 2020 a livello globale il numero di borse di studio disponibili per i paesi in via di sviluppo, specialmente nei paesi meno sviluppati, nei piccoli stati insulari e negli stati africani, per garantire l’accesso all’istruzione superiore -compresa la formazione professionale, le tecnologie dell’informazione e della comunicazione e i programmi tecnici, ingegneristici e scientifici -sia nei paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo 4.c aumentare considerevolmente entro il 2030 la presenza di insegnanti qualificati, anche grazie alla cooperazione internazionale, per la loro attività di formazione negli stati in via di sviluppo, specialmente nei paesi meno sviluppati e i piccoli stati insulari in via di sviluppo”. Dalla lettura di tale Obiettivo occorre chiedersi che tipo di concetto di educazione e di istruzione è concepito a livello internazionale? La Svizzera, rispetto ad altri Paesi, vanta una struttura particolarmente avanzata, sia dal punto di vista della formazione professionale (sistema duale) sia per quanto concerne l’istruzione di base (governance decentralizzata, sistema- passerella, bilinguismo). Attraverso i suoi aiuti, la Svizzera lavora a favore dell’accesso a un’istruzione di qualità per tutti e rinsalda il legame tra istruzione di base, formazione professionale e integrazione socio-professionale con l’obiettivo di migliorare, in prospettiva, lo sviluppo economico e sociale. In Italia l’art. 34 Costituzione (c.d. Grundnorm, norma fondamentale), nel ribadire che la cultura (dal latino “colere” coltivare) è un valore fondamentale dell’ordinamento repubblicano, sancisce specificamente il diritto allo studio e regola le condizioni per renderlo effettivo nel rispetto del principio che la scuola è aperta a tutti e che l’istruzione obbligatoria è gratuita (1). Compito della repubblica nelle vesti di Kulturstaad (termine tedesco che indica lo Stato libero di cultura) è di promuovere l’istruzione: una vera democrazia, (1) L’articolo 34 della Costituzione sancisce che “La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso”. rASSEGNA AvvOCATurA DELLO STATO -N. 2/2023 infatti, necessita di cittadini liberi e ben istruiti che siano in grado di elaborare il c.d. pensiero critico. Curare, organizzare e diffondere la formazione culturale e civile di un popolo significa garantire la continuazione e la qualità della libertà e della democrazia. Istruire significa anche formare plurime competenze sia umanistiche che tecniche all’interno della società attraverso un binomio indissolubile tra scuola e formazione professionale che risponda ai bisogni concreti della collettività. Ciò è facilmente deducibile dall’etimologia del termine “educare” dal latino “ex ducere”, ossia tirare fuori le potenzialità di ogni individuo che secondo le proprie qualità e doti contribuisce al benessere di un paese. Già nell’antica roma Quintiliano esaltava il valore educativo della scuola come “comunità” (2), in cui gli individui possono sviluppare quelle che Gardner definirà molti secoli più tardi le c.d. “intelligenze multiple”: intelligenza operativa, intelligenza speculativa, intelligenza matematica, intelligenza sociale e intelligenza emotiva (3). Sul piano giuridico sovranazionale è importante ricordare che il diritto all’istruzione è garantito anche dall’art. 14 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’unione europea (4) e che la Convenzione di new York sui diritti del fanciullo stabilisce nel diritto internazionale: gli Stati devono garantire che tutti i bambini -senza alcuna forma di discriminazione -beneficino di speciali misure di protezione e assistenza; abbiano accesso a servizi come l’istruzione e l’assistenza sanitaria, possano sviluppare le loro personalità, abilità e talenti al massimo potenziale. Sulla specificità della personalità di ogni bambino è di fondamentale importanza ricordare ciò che affermava durante il periodo dell’illuminismo wilhelm von humboldt (1767-1835), teorico politico, filosofo della storia, filologo classico, ministro dell’istruzione in Prussia e membro di delegazione al Congresso di vienna: se la diversità e la pluralità sono la ricchezza del- l’umanità, allora l’educazione deve essere un processo di rafforzamento della soggettività, dell’originalità e dell’autonomia dell’individuo. È questa una metodologia di insegnamento che verrà ripresa da numerosi pedagogisti come Pestalozzi (5) e Montessori (6). (2) M.F. QuINTILIANO, institutio oratoria, I secolo d.C. (3) h. GArDNEr, Formae mentis. Saggio sulla pluralità dell’intelligenza, 1983. (4) L’articolo 14 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’unione Europea, rubricato Diritto al- l’istruzione, sancisce che “1. ogni persona ha diritto all’istruzione e all’accesso alla formazione professionale e continua. 2. Questo diritto comporta la facoltà di accedere gratuitamente all’istruzione obbligatoria. 3. La libertà di creare istituti di insegnamento nel rispetto dei principi democratici, così come il diritto dei genitori di provvedere all’educazione e all’istruzione dei loro figli secondo le loro convinzioni religiose, filosofiche e pedagogiche, sono rispettati secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio”. (5) J.h. PESTALOzzI, Leonardo e Geltrude, 1781. (6) M. MONTESSOrI, La mente del bambino, 1952. LEGISLAzIONE ED ATTuALITà L’Agenda ONu 2030 con l’art. 4 rappresenta, dunque, oggi l’affermazione moderna di un diritto all’istruzione sempre più inclusivo nella profonda convinzione che “un bambino, l’insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo”, nota frase di Malala yousafzai, premio Nobel per la pace nel 2012. Il diritto all’istruzione si profila, dunque, come un diritto fondamentale di ogni individuo, perché come affermava Albert Einstein “non bisogna mai considerare lo studio come un dovere, ma come un’invidiabile opportunità di imparare” (7). In Italia, sempre più numerosi sono i casi in cui la giurisprudenza è chiamata a pronunciarsi in materia di istruzione. A titolo esemplificativo, nell’agosto 2023 il T.a.r. Lazio si è pronunciato su un ricorso con il quale i ricorrenti contestavano la decisione del Consiglio dei docenti, del Consiglio di classe e del Consiglio di istituto che, prendendo atto di numerose insufficienze lievi ed una grave, non avevano ammesso la figlia alla seconda media (8). La pronuncia si inserisce in un filone recente in cui sono stati annullati numerosi giudizi del consiglio di classe ed ammessi alle classi successive o alla maturità studenti con varie insufficienze anche gravi. Nel caso di specie, i giudici amministrativi hanno infatti accolto il ricorso dei genitori, in linea con il principio più volte affermato dal Consiglio di Stato secondo cui l’ammissione alle classi successive della scuola secondaria di primo grado è disposta, in via generale, anche nel caso di parziale o mancata acquisizione dei livelli di apprendimento di una o più discipline. Di conseguenza, la non ammissione si presenta come extrema ratio, ossia come un’eccezione che si realizza solo qualora siano stati adottati, senza successo, gli accorgimenti previsti per evitare tale conclusione (quali appunto l’attivazione delle specifiche strategie per il miglioramento dei livelli di apprendimento, come previsto dall’art. 6 del D.lgs. n. 62 del 13 aprile 2017) e solo se l’esito dell’esame predittivo e ragionato delle possibilità di recupero, in un più ampio periodo scolastico, risulti irrimediabilmente sfavorevole (ex multis Consiglio di Stato, sentenze n. 4107 del 2020 e n. 5917 del 2019). In un’altra occasione (9), il Consiglio di Stato è intervenuto affermando l’illegittimità degli atti amministrativi che escludono i docenti assunti con contratto a tempo determinato dall’erogazione della Carta del Docente, benefit istituito con l’entrata in vigore della riforma Buona Scuola (10) consistente in un contributo annuale da spendere in servizi e prodotti correlati o propedeutici (7) A. EINSTEIN, il lato umano, 1972. (8) T.a.r. Lazio, sez. III bis, sentenza n. 13042 del 3 agosto 2023. (9) Consiglio di Stato, sentenza n. 1842 del 16 marzo 2022. (10) Legge n. 107/2015. rASSEGNA AvvOCATurA DELLO STATO -N. 2/2023 al mondo della formazione e della cultura. In particolare, oggetto della censura è stata la nota del Ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca (M.I.u.r.) n. 15219 del 2015 che, fornendo indicazioni operative in ordine all’utilizzo della Carta, prevedeva l’assegnazione della stessa ai soli docenti di ruolo e non anche ai docenti a tempo determinato. Ad avviso del Consiglio di Stato, il sistema delineato nella nota introduceva una palese discriminazione a danno dei c.d. docenti precari, in violazione dei principi costituzionali di uguaglianza, buon andamento, imparzialità, nonché del diritto-dovere di formazione professionale e aggiornamento, tutelato dalla Costituzione al comma 2 dell’articolo 35 (11). Infatti, posto che la Pubblica Amministrazione, per l’erogazione del servizio scolastico, si serve indistintamente di personale docente assunto con contratto a tempo determinato ovvero indeterminato, vige in capo alla stessa il dovere di curare la formazione e l’aggiornamento di tale personale, complessivamente inteso, anche al fine di garantire la qualità complessiva dell’offerta formativa. Nel panorama dell’istruzione grande incidenza ha poi avuto la recente pronuncia del T.a.r. Lazio con cui è stata dichiarata l’illegittimità del TOLC medicina 2023/2024 (12). Pronunciandosi su uno dei numerosi ricorsi proposti da candidati esclusi, i giudici amministrativi hanno ritenuto che le prove somministrate ai candidati non fossero omogenee in quanto a difficoltà complessiva, così come individuata tramite il meccanismo del coefficiente di equalizzazione. Pertanto, la pronuncia ha annullato i provvedimenti che hanno disciplinato le prove di ammissione alla facoltà di Medicina e Chirurgia e Odontoiatria e Protesi Dentaria per l’anno accademico 2023/2024 (13), i bandi di concorso per l’accesso ai corsi di laurea a numero programmato delle suddette Facoltà delle università intimate, nonché la graduatoria unica nazionale del concorso per l’ammissione alle medesime. Il T.a.r. Lazio ha tuttavia fatto salve le immatricolazioni avvenute sulla base degli atti impugnati o in corso di perfezionamento, ritenendo che, pur dovendosi escludere che gli atti di cui è stata accertata l’illegittimità possano produrre conseguenze ulteriori, tuttavia non potessero essere eliminati gli effetti già prodotti in esecuzione degli stessi. Il Ministero dell’università e della ricerca sta lavorando ad una riforma organica al fine di superare, a partire dall’anno accademico 2025/2026, il sistema dei quiz. Tuttavia, quanto al prossimo anno accademico, il 23 febbraio 2024 il Ministro Anna Maria Bernini ha firmato il decreto ministeriale che definisce le modalità delle prove di ammissione ai corsi di laurea in Medicina e (11) L’articolo 35 comma 2 della Costituzione sancisce che la repubblica “Cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori”. (12) T.a.r. Lazio, sez. III, sentenza n. 863 del 17 gennaio 2024. (13) D.M. n. 1107/2022 e D.D. n. 1925/2022 relativi alle modalità di svolgimento del TOLC e successiva formazione delle graduatorie di merito per l’accesso ai corsi di laurea magistrale in Medicina, Odontoiatria e veterinaria. LEGISLAzIONE ED ATTuALITà Chirurgia, Odontoiatria e veterinaria (14). Per ciascuna delle due sessioni previste, la prova di ammissione sarà svolta in presenza, presso la sede scelta dal candidato, ed in formato cartaceo. I quesiti saranno estratti da un’apposita banca dati pubblica, complessivamente composta da almeno 7.000 quesiti. Nel panorama europeo, numerosi sono gli Stati che prevedono meccanismi di accesso al corso di laurea in Medicina, analogamente al sistema italiano. A titolo esemplificativo, l’accesso ai corsi di laurea in Medicina e Odontoiatria è a numero chiuso, e dunque richiede il superamento di un esame specifico, anche in Germania, Austria, Inghilterra, Svizzera e Finlandia. In particolare, il sistema universitario finlandese si distingue, oltre che per l’elevato livello qualitativo dell’insegnamento, per l’ampia accessibilità dell’offerta formativa, interamente gratuita per i cittadini dell’unione Europea. Il modello educativo finlandese in generale, nel porsi la missione dichiarata di supportare la crescita degli allievi verso l’umanità e la partecipazione eticamente responsabile alla società, fornendo loro le conoscenze e le abilità necessarie alla vita, offre a tutte le persone un’equa opportunità di accesso all’istruzione non solo di base, ma anche avanzata, che è pubblica e gratuita (gratuità che si estende, per alcuni livelli, anche ai pasti, ai libri di testo ed ai trasporti necessari). Tale sistema egualitario, senza tasse di accesso e di mantenimento, favorisce un ampliamento della base di accesso e, di conseguenza, una maggior probabilità di completamento del percorso scolastico obbligatorio. un modello diverso è invece adottato dalla Francia, ove non è prevista una prova di ingresso per i corsi dell’area medico-sanitaria. A partire dal 2010, infatti, il sistema francese prevede che il primo anno di studi dei corsi dell’area medica sia ad accesso libero. Il c.d. PACES (Première année Commune aux Etudes de Santé) è uguale per tutti gli aspiranti studenti di Medicina, Odontoiatria, Farmacia e Ostetricia; tuttavia, al termine del primo e del secondo semestre, gli studenti sono chiamati a sostenere due test selettivi a risposta multipla vertenti su materie propedeutiche, quali, ad esempio, fisica, biologia, chimica, matematica, anatomia, istologia. Sulla base dei risultati ottenuti, viene stilata una graduatoria e gli studenti passano direttamente alla prosecuzione del corso ovvero colmano la capacità formativa superando prove complementari. Selezione prima o selezione dopo? Le opinioni a riguardo sono molto differenti, ma occorre considerare altri aspetti per rivalutare la dimensione del- l’istruzione e della formazione dalla scuola elementare all’università in Italia. 1) ridare alla Scuola, intesa come “ambiente mentalizzante” e come “Agenzia educativa” l’importanza e il rilievo che merita, perché senza formazione e senza competenze non vi può essere sviluppo. 2) riconoscere e premiare il merito, poiché il messaggio educativo che (14) D.M. n. 472/2024. rASSEGNA AvvOCATurA DELLO STATO -N. 2/2023 la Scuola deve trasmettere è che chi si impegna e si sacrifica deve essere valutato con obiettività, imparzialità e con il giusto apprezzamento. 3) riattribuire autorevolezza agli insegnanti che formano i nuovi cittadini e i nuovi professionisti e che devono avere il giusto peso in una società civile. (Sono sempre più frequenti le aggressioni agli insegnanti negli ultimi tempi). 4) Favorire la trasversalità delle competenze e la contaminazione dei saperi in un periodo storico in cui deve definirsi un nuovo concetto di Digital Humanist, ossia la fusione di cultura umanistica e di cultura scientifica (c.d. materie STEM). 5) Formare gli insegnanti sulla psicologia dell’età evolutiva attraverso gli antichi concetti di “assimilazione e accomodamento” del Piaget (15), poiché si registra una sempre maggiore fragilità emotiva e psichica anche nella fascia universitaria per la c.d. emercence adulthood, ansia di stato che si riversa sulle aree relative ai circuiti della ricompensa, regolazione e relazione. 6) Potenziare e migliorare l’edilizia scolastica, perché si impara meglio in un ambiente sicuro ed accogliente. 7) valorizzare nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione fisica, l’educazione alimentare e lo sport trasmettendo ai giovani l’importanza del- l’attività ginnica per un buono stato di salute che consente di strutturare bene il proprio organismo in età adulta con finalità preventive e con notevole risparmio per il servizio sanitario: mens sana in corpore sano. 8) Introdurre un sistema strutturato di cura e assistenza per gli allievi disabili e con difficoltà di apprendimento trasmettendo i concetti di “inclusione” e di “solidarietà” ex artt. 2, 3 e 32 della nostra Costituzione. 9) Trasmettere il rispetto per l’ambiente e per le risorse naturali valorizzando il concetto di “sviluppo sostenibile”. L’istruzione gioca un ruolo centrale altresì nel piano nazionale ripresa e resilienza (PNrr), programma che rientra nel più ampio progetto NextGeneration Eu, strumento di rilancio economico attivato dall’unione Europea e dedicato agli Stati membri per far fronte ai danni economici e sociali causati dalla crisi pandemica del 2020. In particolare, il PNrr si articola in Componenti, a loro volta raggruppate in missioni. La quarta missione, dedicata alla Istruzione e ricerca, si articola in due componenti per un totale di 30,09 miliardi di euro: 1. La prima componente mira a colmare o ridurre in misura significativa le carenze che caratterizzano tutti i gradi di istruzione, potenziando l’offerta dei servizi e prevedendo investimenti strutturali e di valorizzazione del capitale umano che interessano l’intera filiera dell’istruzione. 2. La seconda componente mira a sostenere gli investimenti in ricerca e (15) J. PIAGET, il giudizio e il pensiero nel bambino, 1924. LEGISLAzIONE ED ATTuALITà sviluppo, a promuovere l’innovazione e la diffusione delle tecnologie, nonché a rafforzare le competenze. Tali risorse e finanziamenti devono trovare una concreta realizzazione attraverso la realizzazione di progetti esecutivi, in quanto tali finanziamenti europei sono in parte grant in aid, ma in parte loans, ossia prestiti che proprio le future generazioni dovranno restituire. Non è un caso che l’ultimo Decreto PNrr preveda l’individuazione di soggetti responsabili della mancata attuazione dei progetti con possibilità di commissariamento e di intervento sostitutivo da parte dello Stato. Se questo è l’aspetto economico dell’istruzione e della formazione, occorre svolgere un’ulteriore considerazione: oggi gli insegnanti devono confrontarsi con una “realtà immateriale” che sono i social, gli algoritmi e l’intelligenza artificiale in cui prevale un concetto di “verità altra”, il c.d. muro di significato, non ispirato ai criteri della continenza e della pertinenza. I ragazzi sin dalla scuola elementare con l’utilizzo dei cellulari vivono in “filter bubbles” che non consentono di formare una personalità nelle tre dimensioni essenziali per lo sviluppo cognitivo del minore, ossia lo spazio, il tempo e la relazione. viene ceduta alla dimensione digitale gran parte della vita reale e sociale, determinando una “deprivazione psicologica ed emotiva” dei ragazzi che gli insegnanti devono cercare di arginare con altri strumenti educativi per attenuare il c.d. pruning, ossia la potatura di facoltà cognitive che l’uso eccessivo del digitale può determinare. Gli insegnanti devono aiutare i ragazzi a compiere un “processo di concettualizzazione della tecnologia”, insegnando il suo uso razionale e utile per un concreto apprendimento che non resti a livello di “informazione”, ma di “vera conoscenza”. Si realizza nell’attività di insegnamento il c.d. Dilemma di Collinridge, ossia l’applicazione del principio di precauzione: innovation more, innovation well. La scuola deve rimanere “l’ambiente mentalizzante”, dove la doxa diventa episteme, dove si apprende il valore del limite e delle regole, dove si acquisisce il rispetto per l’altro. Einstein affermava “non puoi risolvere un problema con lo stesso livello di conoscenza che lo ha creato”. Lo studio ci costringe a uscire dalla zona di comfort e a sviluppare un pensiero critico che ci consente di progredire come persone e come cittadini. “io non posso insegnare nulla. Posso solo farli pensare”: le parole di Socrate restano immortali anche nell’era digitale. rASSEGNA AvvOCATurA DELLO STATO -N. 2/2023 La complessità degli accertamenti psico-attitudinali nei concorsi pubblici Gaetana Natale* Nel corso degli ultimi 4 anni caratterizzati dalla pandemia Covid gli accertamenti psico-attitudinali nei concorsi pubblici hanno avuto una sempre maggiore attenzione da parte della giurisprudenza amministrativa. Se è vero che nessuno di noi è normale visto da vicino “de perto ninguém é normal” (in questa battuta lapidaria è contenuto il pensiero rivoluzionario di Franco Basaglia, padre della legge 180 che chiuse per sempre i manicomi) i concetti di normalità e di anormalità trovano nell’ambito del diritto una loro tassonomia, intesa come “classificazione “ e “categorizzazione” che deve rispondere a criteri oggettivi. Ma fino a che punto il concetto di categoria deve integrarsi con quello di funzione nell’ambito degli accertamenti psico-attitudinali ai fini dell’assunzione nella P.A. e in particolar modo nelle procedure dell’arruolamento nelle forze armate? Il Consiglio di Stato con la nota sentenza dell’adunanza Plenaria 29 marzo 2023 n. 12 (Pres. Maruotti, Est. Di Matteo) ha affermato che l’“inidoneità attitudinale sopravvenuta” al servizio è condizione diversa dalla patologia “inidoneità psicologica sfociata in una malattia” e non può comportare il transito nell’amministrazione civile. Ma come si distingue l’inidoneità attitudinale dalla inidoneità psicologica nell’ambito dell’attività istruttoria del procedimento amministrativo e come si dimostra nell’ambito del processo? vari sono i test utilizzati, accanto al test BHS -Beck Hopelessness Scale e Z test Diapositive per il disturbo del controllo degli impulsi attuali o pregressi, il più noto è il Test minnesota multiphasic Personality inventory, sviluppatosi nell’università del Minnesota durante la seconda guerra mondiale. hathaway e McKinley partirono dalla elicitazione di aree nelle affermazioni (item) riguardante una vasta gamma di psicopatologie, distinguendo tre scale di validità (Scale Lie, Scale K correction, Scale i infrequency), 3 scale di controllo e tre aree di analisi (area nevrotica, area sociopatica e area psicotica). Tali valutazioni che rientrano nel concetto giuridico indeterminato di “discrezionalità tecnica” impongono al giudice amministrativo un sindacato in (*) Avvocato dello Stato, assegnato alla v sezione dell’Avvocatura Generale dello Stato preposta alla difesa tecnica di tutte le Forze Armate; dottore di ricerca in Comparazione e diritto civile; Consigliere giuridico del Garante per la tutela dei dati personali. relazione presentata dall’Autrice presso il Centro Nazionale di reclutamento dell’Esercito alla presenza di psicologi militari dell’Esercito, dell’Arma dei Carabinieri, della Marina e dell’Aeronautica -Foligno, 13 dicembre 2023. LEGISLAzIONE ED ATTuALITà trinseco, ma “non sostitutivo” che arriva al “core” dell’accertamento tecnico sotto il profilo non della opinabilità, ma della maggiore o minore attendibilità. Ma è davvero così lineare tale valutazione quando è in gioco l’accertamento di un equilibrio psicologico? Il cervello umano ha una tale complessità da imporre anche al giurista un preliminare studio della sua struttura. La sede delle emozioni è l’amigdala, piccola gloriosa mandorla che, essendo una struttura sottocorticale, non dispone di capacità logiche ed analitiche e di strumenti cognitivi che permettono di valutare il tipo di pericolo con cui si interfaccia. Quando lo stato di stress o di paura aumenta, l’attivazione del- l’amigdala crea una forte interferenza con i lobi prefrontali, i quali smettono di funzionare correttamente. In ambito militare è importante che la c.d. “attivazione emozionale” dell’amigdala non interferisca con le capacità razionali di controllo dei lobi prefrontali. Essendo questi ultimi deputati al pensiero logico, tutti i processi razionali potrebbero essere inficiati dalla produzione di catelocamine, come adrenalina e cortisolo. Sono noti gli studi sul funzionamento dell’amigdala condotti da Joseph Le Doux o quelli relativi alla motion sickness di Mica endsly o anche quelli relativi alla gestione dello stress enucleato dalla psiconeuroimmunologia basata sui concetti di percezione-emozione, comprensione e protezione. erik Kandel, studioso dell’epigenetica, sprouting c.d. gemmazione incentrata sulla c.d. plasticità del cervello, ha dimostrato che l’apprendimento e l’esperienza modificano le connessioni tra i neuroni cerebrali. Ciò significa che i cervelli non sono tutti uguali: anche i gemelli omozigoti, con i lori genomi identici hanno un cervello leggermente differente se sono stati esposti ad esperienze di tipo diverso. Occorre considerare, inoltre che il cervello si divide in: a) il cervello razionale (che occupa solo il 30% dello spazio all’interno del cranio ed è la parte più recente dell’encefalo), b) “cervello rettilineo” e c) il sistema limbico che costituisce quello che Le Doux definisce “il cervello emotivo”. Il cervello emotivo è il cuore del sistema nervoso centrale. Il suo compito fondamentale è quello di farci da guardia del corpo per proteggerci da eventuali situazioni in grado di mettere a repentaglio la nostra incolumità psicofisica. L’informazione sensoriale del mondo esterno che ci arriva attraverso il sistema propriocettivo converge nel talamo, un’area del sistema limbico simile ad un server di posta elettronica, cioè un primo centro di smistamento di ogni informazione. I messaggi che arrivano al talamo non richiedono che la persona sia consapevole di quello che viene rilevato. Queste sensazioni vengono poi trasmesse in due direzioni: in alto verso i lobi frontali dove raggiungono la consapevolezza cosciente la c.d. “via lunga” e in basso verso l’amigdala, quella che Le Doux definisce la “via breve”. L’amigdala, elaborando le informazioni che riceve dal talamo più velocemente dei lobi frontali, ha il potere di decidere se le informazioni in arrivo costituiscano una minaccia o meno per la sopravvivenza, anche prima della consapevolezza del pericolo stesso. rASSEGNA AvvOCATurA DELLO STATO -N. 2/2023 In ambito militare è importante il processo di gestione delle emozioni: la c.d. valutazione cognitiva. Poiché abbia inizio il processo di valutazione cognitiva delle emozioni, il primo passo è quello di imparare a osservare le proprie emozioni per analizzarle correttamente. Nell’ambito delle c.d. intelligenze multiple di cui parlava gardner oggi non viene insegnata una competenza fondamentale quella che Daniel goleman definisce “intelligenza emotiva”. Sulla base anche dello studio elaborato da Pavlov (stile emotivo o stile di attaccamento) la personalità dell’individuo è data da una base genetica, alla quale si deve aggiungere uno stile emotivo che può essere di tipo “sicuro”, “evitante” e “ambivalente”. Sulla base della mia esperienza come Avvocato dello Stato che difende le Forze Armate innanzi al giudice amministrativo ormai da molti anni, ciò che viene spesso riscontrato negli accertamenti psico-attitudinali è il c.d. Stato d’Ansia, mood Disorder, un’ansia che non è un’ansia “adattiva ma impeditiva”, ma anche il c.d. DoC, disturbo ossessivo-compulsivo e gli intrusive thoughts c.d. pensieri intrusivi. Fino a che punto si può sostenere in giudizio tale tipo di inidoneità? L’ansia, intesa come “emozione primaria” si può considerare come una risposta iniziale di orientamento, dovuta all’attivazione del sistema reticolare attivante come studiato da giuseppe Moruzzi e Horace Magoun (G. Mo- ruzzi, hw Magoun “Brain stem reticular formation and activation of the EEG”, Electroencephalography and clinical Neurophysiology 1, 1949). Questi due ricercatori verso la metà del ventesimo secolo hanno scoperto una regione del tronco encefalico implicante uno stato di allerta definito in termini tecnici “arousal”, ossia risveglio. Successivamente si è scoperto che le funzioni di arousal non erano riconducibili a un unico sistema integrato nel tronco encefalico, ma all’attività di tanti agglomerati neuronali differenti. Tali studi hanno portato ad individuare la necessità di imparare ad incanalare l’ansia in modo operativo, qualità essenziale nelle Forze Armate. Il noto psichiatra Bessel van der Kolk afferma che nell’attivazione di un’emozione occorre valutare la “variabile contesto” (cioè analizzare l’ambiente circostante e “variabile altro”), la relazione. Alcuni elementi dopo esperienze traumatiche, possono funzionare da “trigger”, cioè essere in grado di scatenare una forte emozione in virtù di qualche analogia. Occorre allora riscrivere l’amigdala, la c.d. “desensibilizzazione sistematica” (vedi il recente libro della psicologa dell’Aeronautica vittoria Lugli “in volo con le emozioni”, 2023 sul fenomeno della c.d. chinetosi): alcuni sintomi sono la conseguenza della mancata elaborazione di eventi traumatici particolarmente importanti. L’archivio delle emozioni che oggi sappiamo essere all’interno del sistema limbico e che, più nello specifico, coinvolgono l’amigdala, dopo eventi traumatici subisce delle trasformazioni per cui alcuni circuiti vengono alterati con la comparsa di sintomi che non rimangono “nobili”, ma invalidanti o, addirit LEGISLAzIONE ED ATTuALITà tura, di patologie psichiche. L’amigdala archivia e conserva al suo interno in modo duraturo tutte quelle esperienze che rappresentano una minaccia reale e presunta per l’incolumità psicofisica. una volta che le esperienze vengono registrate non possono essere cancellate, ma solo riscritte. Per riscrivere l’amigdala bisogna procedere con molta cautela, seguendo un percorso graduale per far sì che gli eventi traumatici memorizzati in ogni loro dettaglio vengano gradualmente sostituti da nuovi elementi. un cervello sano è un cervello proattivo ed è un cervello che nutre un elemento fondamentale per il nostro equilibro: la speranza, ossia la proiezione positiva verso il futuro. Richard Davidson, professore di psicologia e psichiatria all’università del wisconsin, ha definito la speranza un’emozione formata da due componenti: una affettiva e una cognitiva. Sperare in qualcosa (ad esempio una brillante carriera nelle Forze Armate) significa impiegare facoltà cognitive che servono ad elaborare informazioni e dati rilevanti necessari per le strategie atte a realizzare l’evento desiderato. Ma la speranza implica anche una “previsione affettiva”, ossia quel sentimento confortante, tonificante e rasserenante che si prova prefigurando mentalmente il futuro sperato. Fabrizio Benedetti, professore di fisiologia umana e neurofisiologia all’università di Torino, è tra i massimi esperti mondiali del c.d. “effetto placebo”. Nel suo ultimo libro “La speranza è un farmaco” ritiene che siano le parole il mezzo più importante per infondere speranza: parole empatiche, di fiducia, conforto, motivazione. Sulla base di tali autorevoli considerazioni è sempre necessario che i test eseguiti siano accompagnati in virtù del principio tempus regit actum dal colloquio individuale con i psicologi della Commissione valutatrice in sede concorsuale, nella consapevolezza che i “mestieri più difficili sono nell’ordine il genitore, l’insegnante e lo psicologo”. Sono queste le parole di sigmund Freud il quale aggiungeva “Psiche è un vocabolo greco che significa “anima”. Perciò per psichico si intende trattamento dell’anima; si potrebbe quindi pensare che voglia dire trattamento dei fenomeni patologici della vita dell’anima. ma il significato dell’espressione è diverso. Trattamento psichico vuol dire invece trattamento a partire dall’anima, trattamento di disturbi psichici o somatici, con mezzi che agiscono in primo luogo e direttamente sulla psiche umana. Questo mezzo è costituito soprattutto dalla parola, e le parole sono uno strumento fondamentale del trattamento psichico. Certo, difficilmente il profano potrà comprendere come le “sole” parole del medico possano rimuovere disturbi patologici somatici e psichici. Penserà che gli si chieda di credere nella magia. E non ha tutto il torto; le parole dei nostri discorsi di tutti i giorni sono solo magia attenuata”. CONTRIBUTIDIDOTTRINA I principi e le responsabilità nel nuovo Codice dei contratti pubblici. Tecniche rivolte a vincere la c.d. “paura della firma” Michele Gerardo* Sommario: 1. introduzione -2. La disciplina sulla responsabilità nel nuovo codice dei contratti. in specie: disciplina riguardante la responsabilità precontrattuale -3. La disciplina sulla responsabilità nel nuovo codice dei contratti. in specie: disciplina riguardante la responsabilità amministrativo -contabile del dipendente della P.a. -4. motivi sottostanti alla disciplina sulla responsabilità amministrativa contabile emergente dal Codice dei contratti in raccordo con l’art. 21 D.L. n. 76/2020 -5. aporie della disciplina sulla responsabilità amministrativa contabile emergente dal Codice dei contratti in raccordo con l’art. 21 D.L. n. 76/2020 - 6. Che fare? - 7. Conclusioni. 1. introduzione. Il nuovo Codice dei contratti pubblici (D.L.vo 31 marzo 2023, n. 36, di seguito C. contr.) si apre con l’enunciazione dei principi della materia -rectius: le norme generali -regolatori tanto della fase pubblicistica (procedura di affidamento), ossia della scelta del contraente della P.A., quanto della fase privatistica, ossia l’esecuzione, del contratto ad evidenza pubblica (appalto e concessione). Si rileva in dottrina che “i principi mirano a esprimere la ‘visione’ complessiva della regolamentazione della materia che, in quanto tale, orienta l’interpretazione e l’applicazione delle singole disposizioni. Può dunque ben dirsi che i principi esprimono una sorta di ‘plusvalore’ giuridico rispetto alle (*) Avvocato dello Stato. Relazione predisposta dall’Autore in occasione del Convegno “I principi e le responsabilità nel nuovo Codice dei contratti pubblici” tenutosi presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II (4 dicembre 2023). RASSeGNA AvvoCAtURA DeLLo StAto -N. 2/2023 singole norme. il ricorso ai principi, inoltre, assolve a una funzione di completamento dell’ordinamento giuridico (sebbene il Codice individui due diversi plessi normativi di riferimento per colmare le lacune, su cui si tornerà più avanti) e di indirizzo/garanzia per gli interessi pubblici e privati in gioco” (1). Nei detti principi sono contenute varie enunciazioni inerenti la materia della responsabilità degli attori coinvolti. Si vuole in questa sede operare una disamina della interferenza dei principi permeanti la materia dei contratti pubblici con la disciplina della responsabilità. A quest’ultimo riguardo si osserva, a volo d’uccello, che la parte pubblica (committente e concedente) e la parte privata (appaltatore e concessionario) nei contratti pubblici -come qualsivoglia soggetto di diritto -sono sottoposti alle ordinarie responsabilità; analogo discorso vale per i loro organi. ossia e tra l’altro: a) le persone fisiche riconducibili alle dette parti (organo, rappresentante, dipendente) possono incorrere nella responsabilità penale; b) le parti ed i loro organi (e/o rappresentanti e/o dipendenti) sono esposti alla responsabilità civile, aquiliana, verso terzi. Con la particolarità che gli organi (e simili) rispondono degli illeciti solo per dolo o colpa grave (art. 23, comma 1, d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3); c) sussiste la responsabilità precontrattuale per danni arrecati nella fase dell’evidenza pubblica; d) sussiste -nei reciproci rapporti -la responsabilità contrattuale per danni arrecati dall’una all’altra parte nella fase successiva alla stipula del contratto; e) infine gli organi (e simili) della parte pubblica sono esposti alla responsabilità disciplinare, amministrativo-contabile e, se dirigenti, alla responsabilità manageriale. Allorché si operi nell’ambito dei contratti pubblici questa disciplina subisce precisazioni e deroghe giusta le statuizioni contenute nel nuovo codice dei contratti e nella legislazione complementare. 2. La disciplina sulla responsabilità nel nuovo codice dei contratti. in specie: disciplina riguardante la responsabilità precontrattuale. La materia della responsabilità è stata variamente incisa dai principi generali posti all’esordio del codice dei contratti. Un primo intervento ha riguardato la responsabilità precontrattuale. La regola di diritto comune stabilisce che “Le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede” (art. 1337 c.c.). La violazione di questo precetto determina la responsabilità precontrattuale, costituente una species di quella aquiliana (2). (1) Così G. NAPoLItANo, il nuovo Codice dei contratti pubblici: i principi generali, in Giorn. Dir. amm., 2023, 3, p. 287. CoNtRIbUtI DI DottRINA va rilevato che la responsabilità precontrattuale della P.A. viene ormai generalmente ammessa anche nell’ambito di procedimenti di gara diversi dalla trattativa privata (3). Ciò in quanto anche nello svolgimento dell’attività autoritativa l’amm.ne è tenuta a rispettare, oltre alle norme di diritto pubblico, le norme generali dell’ordinamento civile -richiamate nell’art. 1, comma 2 bis, L. 7 agosto 1990, n. 241 -che impongono di agire con lealtà e correttezza e la loro violazione può configurare una responsabilità da comportamento scorretto, che incide sul diritto soggettivo dei privati di autodeterminarsi liberamente nei rapporti negoziali (4). La responsabilità in esame postula che il concorrente abbia maturato un ragionevole affidamento nella stipula del contratto, da valutare in relazione al grado di sviluppo della procedura, e che questo affidamento non sia a sua volta inficiato da colpa (5). Sicché sussiste tale responsabilità nel caso in cui l’amm.ne, in modo negligente, avvia trattative senza controllare l’effettiva disponibilità di risorse finanziarie (necessarie a sostenere gli impegni contrattuali ove le trattative giungano a buon fine) e -dopo avere convolto l’interlocutore in trattative inutili -recede in modo ingiustificato dalle stesse rendendosi conto della impotenza finanziaria oppure, in fase avanzata, revoca l’atto di aggiudicazione o, l’autorità tutoria opera il diniego dalla approvazione del contratto (6). Ciò rilevato in via generale, si osserva che -nel Codice dei contratti nell’ambito dei principi di buona fede e di tutela dell’affidamento amministrativo (7) è enunciato che “in caso di aggiudicazione annullata su ricorso di terzi o in autotutela, l’affidamento non si considera incolpevole se l’illegittimità è agevolmente rilevabile in base alla diligenza professionale richiesta ai (2) Questa qualificazione non è incontroversa. Secondo Cass. S.U. 28 aprile 2020, n. 8236 la responsabilità precontrattuale costituisce una specie di responsabilità contrattuale da contatto sociale qualificato. (3) Conf. ex plurimis: Cons. Stato, Ad. Plen., 5 settembre 2005, n. 6; da ultimo: Cons. Stato, Ad. Plen., 4 maggio 2018, n. 5 secondo cui la responsabilità precontrattuale da comportamento scorretto della stazione appaltante sussiste in relazione a tutte le fasi della procedura ad evidenza pubblica, anche prima e a prescindere dell’aggiudicazione, e può derivare non solo da comportamenti anteriori al bando, ma anche da qualsiasi comportamento successivo che risulti contrario -all’esito di una verifica da condurre necessariamente in concreto - ai doveri di correttezza e buona fede. (4) Conf. Cons. Stato, Ad. Plen., n. 5/2018 cit. (5) Conf. Cons. Stato, Ad. Plen., 29 novembre 2021, n. 21. (6) Conf. Cons. Stato, 5 maggio 2016, n. 1797 secondo cui in caso di revoca legittima degli atti di aggiudicazione di gara per sopravvenuta indisponibilità di risorse finanziarie può sussistere la responsabilità precontrattuale dell’amm.ne che abbia tenuto un comportamento contrario ai canoni di buona fede e correttezza soprattutto perché, accortasi delle ragioni che consigliavano di procedere in via di autotutela mediante la revoca della già disposta aggiudicazione non abbia immediatamente ritirato i propri provvedimenti, prolungando inutilmente lo svolgimento della gara, così inducendo le imprese concorrenti a confidare nelle chances di conseguire l’appalto. (7) Giusta il comma 1 dell’art. 5 C. contr. “Nella procedura di gara le stazioni appaltanti, gli enti concedenti e gli operatori economici si comportano reciprocamente nel rispetto dei principi di buona fede e di tutela dell’affidamento”. RASSeGNA AvvoCAtURA DeLLo StAto -N. 2/2023 concorrenti. Nei casi in cui non spetta l’aggiudicazione, il danno da lesione dell’affidamento è limitato ai pregiudizi economici effettivamente subiti e provati, derivanti dall’interferenza del comportamento scorretto sulle scelte contrattuali dell’operatore economico” (art. 5, comma 3, C. contr.); è enunciato altresì che “ai fini dell’azione di rivalsa della stazione appaltante o dell’ente concedente condannati al risarcimento del danno a favore del terzo pretermesso, resta ferma la concorrente responsabilità dell’operatore economico che ha conseguito l’aggiudicazione illegittima con un comportamento illecito” (art. 5, comma 4, C. contr.). Questa disciplina, con portata dichiarativa di regole giuridiche tutto sommato già ricavabili dal sistema, tende -in modo equilibrato -a contenere, per la parte pubblica, i pregiudizi scaturenti dalla caducazione della aggiudicazione (specie quelli relativi al risarcimento del danno). 3. La disciplina sulla responsabilità nel nuovo codice dei contratti. in specie: disciplina riguardante la responsabilità amministrativo -contabile del dipendente della P.a. I principi generali del Codice dei contratti -ed in particolare il principio del risultato ed il principio della fiducia -vanno ad incidere prevalentemente sulla responsabilità amministrativo -contabile degli organi e dei dipendenti della P.A. Come noto, nell’evenienza che il danno sia stato arrecato -dall’organo o dal dipendente della P.A. -direttamente o indirettamente all’amm.ne di appartenenza o ad altra amm.ne, la responsabilità civile assume connotati particolari e speciali, ricorrendo la fattispecie della responsabilità amministrativa, attribuita alla giurisdizione della Corte dei conti (8). trattasi -venendo in rilievo una responsabilità inerente ad uno specifico rapporto giuridico preesistente inter partes -di responsabilità contrattuale, seppure con significative deroghe al normale regime del codice civile. I funzionari, gli impiegati, gli agenti, anche militari, che nell’esercizio delle loro funzioni, per errore ed omissione imputabili anche solo a colpa o negligenza cagionino danno allo Stato e ad altra P.A. dalla quale dipendono sono, infatti, sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti nei casi e modi previsti dalla legge sull’amministrazione del patrimonio e sulla con( 8) Sulla responsabilità amministrativa: M. SCIASCIA, Diritto delle gestioni pubbliche, II edizione, Giuffrè, 2013, pp. 796-822; P. SANtoRo, manuale di contabilità e finanza pubblica, v edizione, Maggioli, 2012, pp. 687-714; M. GeRARDo, A. MUtAReLLI, il processo nelle controversie di lavoro pubblico, Giuffrè, 2012, pp. 100-105; C.e. GALLo, M. GIUStI, G. LADU, M.v. LUPò AvAGLIANo, L. SAMbUCCI, M.L. SeGUItI, Contabilità di Stato e degli enti pubblici, v edizione, Giappichelli, 2011, pp. 145-189; S. bUSCeMA, A. bUSCeMA, Contabilità di Stato e degli enti pubblici, Iv edizione, Giuffrè, 2005, pp. 294309; C. ANeLLI, F. Izzo, C. tALICe, Contabilità pubblica, Giuffrè, 1996, II edizione, pp. 955-1034; A. beNNAtI, manuale di contabilità di Stato, Jovene, 1990, XII edizione, pp. 753-901. CoNtRIbUtI DI DottRINA tabilità generale dello Stato e da leggi speciali; la Corte, valutate le singole responsabilità, può porre a carico del responsabile tutto o parte del danno arrecato o del valore perduto (in tal senso art. 52 R.D. 12 luglio 1934 n. 1214). Regole analoghe sono sparse in varie disposizioni (es. art. 83 R.D. 18 novembre 1923 n. 2440; art. 18 d.P.R 10 gennaio 1957, n. 3; art. 61 L. 11 luglio 1980, n. 312 con riguardo alla responsabilità patrimoniale del personale direttivo, docente, educativo e non docente della scuola materna, elementare, secondaria ed artistica dello Stato e delle istituzioni educative statali). Gli elementi costitutivi della responsabilità amministrativa possono così sinteticamente individuarsi: a) rapporto di servizio; b) comportamento dannoso; c) danno; d) nesso causale; e) elemento psicologico. La responsabilità è circoscritta ai fatti e alle omissioni commessi con dolo o colpa grave. La colpa grave consiste nella violazione della diligenza minima (mentre integra la colpa lieve la violazione della ordinaria diligenza). La colpa grave esclude la volontarietà, ma non si esaurisce solo -come la colpa c.d. lieve -nella negligenza, imprudenza o imperizia, dovendo le stesse esser elevate, macroscopiche. Si deve trattare, insomma, di violazioni grossolane del dovere di diligenza, di prudenza e di perizia (non intelligere quod omnes intelligunt). L’illustrato regime normativo esonera da responsabilità il dipendente che versa in colpa lieve nell’evidente obiettivo di non gravare il dipendente di preoccupazioni eccessive in ordine alle conseguenze patrimoniali della propria condotta. Preoccupazioni che -in particolare in una fase storica legislativamente dinamica, in cui la P.A. si trova a operare in una realtà normativa estremamente complessa e talvolta disarticolata -condurrebbero fatalmente all’inerzia e alla paralisi amministrativa. Il giudizio di responsabilità viene instaurato da un attore pubblico (il Procuratore Regionale presso la Sezione Giurisdizionale della Corte dei conti) il quale agisce nell’interesse della comunità intera, assorbendo, perciò nella sua funzione anche la difesa della P.A. danneggiata. Con riguardo al principio del risultato (9), il comma 4 dell’art. 1 C. contr. enuncia che il principio del risultato costituisce criterio prioritario per “valutare la responsabilità del personale che svolge funzioni amministrative o tecniche nelle fasi di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione dei contratti”. Il tenore generico della previsione parrebbe riferibile a tutte le ipotesi di responsabilità del dipendente pubblico; tuttavia il terreno preferenziale è quello della responsabilità amministrativo-contabile. Anche questa di (9) Giusta il comma 1 dell’art. 1 C. contr. “Le stazioni appaltanti e gli enti concedenti perseguono il risultato dell’affidamento del contratto e della sua esecuzione con la massima tempestività e il migliore rapporto possibile tra qualità e prezzo, nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza”. RASSeGNA AvvoCAtURA DeLLo StAto -N. 2/2023 sposizione, in fondo, non è rivoluzionaria; ha una portata dichiarativa delle regole giuridiche operanti in materia. Il principio della reciproca fiducia nell’azione legittima, trasparente e corretta dell’amministrazione, dei suoi funzionari e degli operatori economici ex art. 2 C. contr. (10) viene declinato anche nel senso che “Nell’ambito delle attività svolte nelle fasi di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione dei contratti, ai fini della responsabilità amministrativa costituisce colpa grave la violazione di norme di diritto e degli auto-vincoli amministrativi, nonché la palese violazione di regole di prudenza, perizia e diligenza e l’omissione delle cautele, verifiche ed informazioni preventive normalmente richieste nell’attività amministrativa, in quanto esigibili nei confronti del- l’agente pubblico in base alle specifiche competenze e in relazione al caso concreto. Non costituisce colpa grave la violazione o l’omissione determinata dal riferimento a indirizzi giurisprudenziali prevalenti o a pareri delle autorità competenti” (art. 2, comma 3, C. contr.). Si enuncia altresì “Per promuovere la fiducia nell’azione legittima, trasparente e corretta dell’amministrazione, le stazioni appaltanti e gli enti concedenti adottano azioni per la copertura assicurativa dei rischi per il personale, nonché per riqualificare le stazioni appaltanti e per rafforzare e dare valore alle capacità professionali dei dipendenti, compresi i piani di formazione di cui all’articolo 15, comma 7” (art. 2, comma 4, C. contr.). La vera novità contenuta nell’art. 2 cit. è la previsione della copertura assicurativa in uno alla norma secondo cui non costituisce colpa grave la violazione o l’omissione determinata dal riferimento a indirizzi giurisprudenziali prevalenti o a pareri delle autorità competenti. Per il resto la disposizione è ricognitiva dello stato della giurisprudenza contabile in materia (come la previsione secondo cui costituisce colpa grave la palese violazione di regole di prudenza, perizia e diligenza e l’omissione delle cautele, verifiche ed informazioni preventive normalmente richieste nell’attività amministrativa, in quanto esigibili nei confronti dell’agente pubblico in base alle specifiche competenze e in relazione al caso concreto) oppure di contenuto generico (è il caso della previsione secondo cui costituisce colpa grave la violazione di norme di diritto). Con riguardo alla copertura assicurativa si ricorda che l’art. 3, comma 59, L. 24 dicembre 2007, n. 244 vieta, sotto comminatoria della nullità testuale, la stipulazione del contratto di assicurazione con il quale un ente pubblico assicuri propri amministratori per i rischi derivanti dall’espletamento dei compiti istituzionali connessi con la carica e riguardanti la responsabilità per danni ca (10) Giusta il comma 1 dell’art. 2 C. contr. “L’attribuzione e l’esercizio del potere nel settore dei contratti pubblici si fonda sul principio della reciproca fiducia nell’azione legittima, trasparente e corretta dell’amministrazione, dei suoi funzionari e degli operatori economici”. CoNtRIbUtI DI DottRINA gionati allo Stato o ad enti pubblici e la responsabilità contabile; con la previsione altresì che in caso di violazione della disposizione, l’amministratore che pone in essere o che proroga il contratto di assicurazione e il beneficiario della copertura assicurativa sono tenuti al rimborso, a titolo di danno erariale, di una somma pari a dieci volte l’ammontare dei premi complessivamente stabiliti nel contratto medesimo. Il divieto in esame -ritenuto dalla giurisprudenza contabile espressione di un principio generale -è oggetto di valutazioni contrastanti e de jure condendo se ne propone l’abrogazione, per curare la patologia definita della amministrazione difensiva, o della “paura della firma”. Sul punto, in materia di contratti pubblici, l’art. 2, comma 4, C. contr. innova significativamente il quadro preesistente. Le due citate disposizioni -sia quella relativa alla copertura assicurativa che quella enunciante che non costituisce colpa grave la violazione o l’omissione determinata dal riferimento a indirizzi giurisprudenziali prevalenti o a pareri delle autorità competenti -hanno la finalità di disinibire gli operatori pubblici dalla c.d. paura della firma nelle vicende negoziali ove si è esposti tenuto conto dell’elevato valore dei contratti -a rilevantissime responsabilità. Le due disposizioni in esame si raccordano intimamente con l’art. 21, comma 2, D.L. 16 luglio 2020, n. 76, conv. L. 11 settembre 2020, n. 120 sulla esclusione -ad tempus, fino al 30 giugno 2024 -della responsabilità per condotte commissive con colpa grave dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti per l’azione di responsabilità amministrativo contabile. La disposizione da ultimo citata testualmente dispone: “Limitatamente ai fatti commessi dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino al 30 giugno 2024, la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica per l’azione di responsabilità di cui all’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, è limitata ai casi in cui la produzione del danno conseguente alla condotta del soggetto agente è da lui dolosamente voluta. La limitazione di responsabilità prevista dal primo periodo non si applica per i danni cagionati da omissione o inerzia del soggetto agente”. Nella Relazione illustrativa al D.L. cit. relativamente all’art. 21 si enuncia che “la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica per l’azione di responsabilità viene limitata al solo profilo del dolo per le azioni e non anche per le omissioni, in modo che i pubblici dipendenti abbiano maggiori rischi di incorrere in responsabilità in caso di non fare (omissioni e inerzie) rispetto al fare, dove la responsabilità viene limitata al dolo”. Le due disposizioni si raccordano altresì con la novella dell’art. 323 c.p. -operata dall’art. 23 D.L. n. 76/2020 -diretta a specificare l’ambito applicativo del reato di abuso d’ufficio che era connotato da margini di indeterminatezza, con deficit di tassatività. Come è noto è stato previsto che le parole “di norme di legge o di regolamento” sono sostituite dalle seguenti: “di specifiche regole RASSeGNA AvvoCAtURA DeLLo StAto -N. 2/2023 di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità”. Nella Relazione illustrativa al D.L. Semplificazioni relativamente all’art. 21 si enuncia che “La disposizione interviene sulla disciplina dettata dall’articolo 323 del codice penale (abuso d’ufficio), attribuendo rilevanza alla violazione da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, nello svolgimento delle pubbliche funzioni, di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge, attribuendo, al contempo, rilevanza alla circostanza che da tali specifiche regole non residuino margini di discrezionalità per il soggetto, in luogo della vigente previsione che fa generico riferimento alla violazione di norme di legge o di regolamento. Ciò al fine di definire in maniera più compiuta la condotta rilevante ai fini del reato di abuso di ufficio” (11). 4. motivi sottostanti alla disciplina sulla responsabilità amministrativa contabile emergente dal Codice dei contratti in raccordo con l’art. 21 D.L. n. 76/2020. La disciplina sulla responsabilità amministrativa contabile emergente dal Codice dei contratti in raccordo con l’art. 21 D.L. n. 76/2020 prende atto del- l’esistente, cercando di razionalizzarlo. ossia che, nell’attuale momento storico, l’attività contrattuale è regolata da una normativa complessa e viene svolta con risorse umane con formazione non adeguata ai compiti da svolgere. La descritta complessità determina -ad una osservazione empirica -la c.d. paura della firma. La paura della firma -come un cane che si morde la coda -è a sua volta causa di inefficienza dell’azione amministrativa: allungamento dei tempi di formazione ed esecuzione dei contratti pubblici; lievitazione dei costi. La scarsa performance determina, tra l’altro, la perdita dei finanziamenti U.e.; finanziamenti U.e. che per gli enti locali costituiscono l’unica vera risorsa per le spese di investimento. L’Italia, dopo la Polonia, è il paese che -storicamente -beneficia dei maggiori contributi provenienti dall’U.e.; tuttavia la gran parte dei detti fondi è stata perduta per l’incapacità di rispettare le procedure. Prendendo atto dell’esistente, la recente legislazione punta a disinibire il pubblico funzionario ed a schiodarlo dalla c.d. amministrazione difensiva (ossia inerzie e differimenti per non prendere decisioni). La voluntas del legislatore è chiara: occorre agire. All’uopo si offre uno scudo rispetto alla responsabilità amministrativa per chi agisce, mentre -a mo’ di stimolo all’azione chi è inerte risponde nel modo ordinario. tanto con vari ritrovati: (11) La correlazione tra il principio della reciproca fiducia ex art. 2 C. contr. e gli artt. 21 e 23 D.L. n. 76/2020 viene evidenziata dalla prof.ssa Margherita Ramajoli nel suo contributo nel Codice dei contratti pubblici. annotato articolo per articolo D.lgs. 31 marzo 2023 n. 36, vol. I, editoriale Scientifica, 2023, p. 48. tali aspetti sono poi ulteriormente dettagliati dal presidente Paolo Contessa in sede di commento organico all’art. 2 del Codice (nel medesimo contributo, pp. 145-147). CoNtRIbUtI DI DottRINA a) se si agisce (non anche nei casi di omissione o inerzia del soggetto agente) si risponde solo per dolo. ossia -nella sostanza -si è grandemente ridotta la sfera di operatività della responsabilità amministrativo contabile atteso che “La prova del dolo richiede la dimostrazione della volontà dell’evento dannoso” (art. 1, comma 1, L. 14 gennaio 1994, n. 20) (12). All’evidenza, la dimostrazione della volontà dell’evento dannoso comporta il restringimento delle ipotesi di responsabilità erariale; b) non si risponde per colpa grave ove ci si conformi agli indirizzi giurisprudenziali prevalenti o a pareri delle autorità competenti. In disparte alle modalità di individuazione degli indirizzi prevalenti nella giurisprudenza, il rischio collegato a questa novella è che funzionari pavidi si attivino per avere pareri a conforto del loro orientamento operativo. tanto in continuità con l’amministrazione difensiva. Come il medico effettua medicina difensiva prescrivendo esami spesso inutili, così si corre il rischio che l’amministratore pubblico si procuri “pezze d’appoggio” (pareri, ecc.) a futura memoria; c) possibilità della copertura assicurativa dei rischi per il personale. I plurimi interventi puntano ad aumentare le barriere protettive a difesa del dipendente pubblico, sul convincimento che tanto dovrebbe determinare una maggiore efficienza. La disciplina della responsabilità -ad una lettura pacata dei dati somministrati dal legislatore -costituisce in realtà una tessera di un più ampio progetto per rapidizzare e rendere efficiente l’azione amministrativa con quello che si ha. 5. aporie della disciplina sulla responsabilità amministrativa contabile emergente dal Codice dei contratti in raccordo con l’art. 21 D.L. n. 76/2020. Con la sopramenzionata disciplina la responsabilità viene attutita. Si prende atto dell’esistente cercando di ricavarne il massimo. tanto per fare fronte al timore delle responsabilità. La sopramenzionata disciplina, tuttavia, presenta vari aspetti di criticità. a) Sotto l’aspetto di politica del diritto. Se l’obiettivo perseguito dal legislatore -spesa pubblica efficiente -è me( 12) Si rileva in dottrina che “in esito alla novella in esame, in definitiva, viene codificato l’indirizzo minoritario per cui il dolo c.d. “erariale” da oggi deve intendersi sostanziato dalla volontà del- l’evento dannoso, che si accompagni alla volontarietà della condotta antidoverosa. Di talché per accreditare la sussistenza del “dolo erariale” d’ora in avanti non basterà più dare prova della consapevole violazione degli obblighi di servizio ma servirà dimostrare la volontà di produrre l’evento dannoso. il dolo si potrà concretare pertanto ove si cumulino, con la conoscenza della causa del danno, dati della realtà che comprovino il ricorrere di ulteriori consapevolezze circa l’effettività e lo specifico contenuto del danno medesimo. in altri termini, il dolo “erariale” deve essere adesso inteso come stato soggettivo caratterizzato dalla consapevolezza e volontà dell’azione o omissione contra legem, con specifico riguardo alla violazione delle norme giuridiche che regolano e disciplinano l’esercizio delle funzioni amministrative ed alle sue conseguenze dannose per le finanze pubbliche”: così D. IRoLLo, responsabilità erariale sempre più “light”, in il Quotidiano per la p.a. (22 luglio 2020). RASSeGNA AvvoCAtURA DeLLo StAto -N. 2/2023 ritorio, tuttavia lo strumento della limitazione della responsabilità erariale non costituisce uno strumento funzionale al detto obiettivo. Anzi, di fronte all’esigenza della corretta gestione delle risorse pubbliche, potrebbe ben prevedersi un rafforzamento della responsabilità in capo agli operatori pubblici, richiedendo il requisito del dolo e della colpa, anche lieve. All’uopo occorre esigere dalla dirigenza pubblica italiana il massimo sforzo. Laddove si ritenga che le forze della dirigenza pubblica siano insufficienti occorre esternalizzare, attingendo dal mercato le risorse umane funzionali alla bisogna. La restrizione della responsabilità erariale può condurre a danni maggiori rispetto a quelli che si cerca di evitare (13). b) Sotto l’aspetto dell’orientamento dei comportamenti. Il diritto morirà -osservò un giurista -quando il mondo sarà composto solo da buoni, che del diritto non hanno bisogno, o solo da cattivi, che del diritto non hanno paura. essendo il mondo composto da varia tipologia di persone, il diritto ha una essenziale funzione di orientamento dei comportamenti con la fissazione di regole e conseguenze (spiacevoli) nel caso di inosservanza. eliminare il requisito della colpa nella responsabilità amministrativa indebolisce la funzione del diritto. Secondo la communis opinio, nella colpa vi è un rimprovero all’agente per non avere osservato regole precauzionali (14) cagionando un danno. Regole che, se osservate, avrebbero consentito di prevedere e, quindi, di evitare il danno. (13) e. AMANte, La “nuova” responsabilità amministrativa a seguito del D.L. n. 76 del 2020, in Urbanistica e appalti 1/2021, p. 63 rileva: “il legislatore ripropone, per tale via, l’assunto secondo cui dalla limitazione di responsabilità conseguirebbe vantaggio per l’efficacia dell’azione amministrativa: convincimento, quest’ultimo, diffuso e radicato (anche a livello dottrinario e di giurisprudenza costituzionale), quanto indimostrato; anzi, l’esperienza insegna che le conclamate inefficienze della pubblica amministrazione dipendono non solo da altri fattori strutturali (tra i quali, in primis, il caos normativo), ma soprattutto aumentano laddove minore è la responsabilità degli agenti (si pensi all’ingiustificata durata dei processi, fonte di continue condanne dello Stato ex lege n. 89 del 2001, prive in ultima analisi di responsabili)”. Anche A. CANALe, il d.l. semplificazioni e il regime transitorio in tema di responsabilità amministrativa: i chiaroscuri della riforma, in Diritto & Conti 30 Marzo 2021, rileva che “la premessa da cui si è mosso il Legislatore è che il rischio di incorrere nella responsabilità amministrativa indurrebbe i dirigenti alla c.d. burocrazia difensiva, alla quale si deve la colpa dei ritardi nella realizzazione di piani, progetti, opere. Tuttavia la “premessa”, opportunamente rilanciata dagli organi di informazione, tanto da assurgere a verità assoluta (nel senso che si dà oramai per scontato che l’azione amministrativa sia bloccata per la paura del processo contabile e della Corte dei conti), non è dimostrata, non è stata oggetto di alcun serio approfondimento, non è stata supportata da alcuna analisi, né da alcun dato, né sono stati forniti esempi, anche ricavabili ex post da un’analisi delle migliaia di sentenze pronunciate dalle sezioni giurisdizionali della Corte dei conti, tutte accessibili nella banca dati della stessa Corte dei conti. in verità, illustri studiosi hanno evidenziato che la “paralisi del fare”, che esiste e certamente va contrastata, è tuttavia ascrivibile in larga misura alla farraginosità delle regole, alla esondazione o ipertrofia normativa, alla tortuosità dei percorsi decisionali, alla impreparazione della dirigenza o almeno di parte di essa, ad una serie di concause che potremmo cumulativamente qualificare come “cattiva amministrazione”. (io aggiungo anche la riduzione dei controlli preventivi; e con riferimento ai cantieri bloccati anche le lacune progettuali e le criticità delle analisi di fattibilità)”. CoNtRIbUtI DI DottRINA Nel momento in cui si rinuncia al requisito della colpa, l’ordinamento rinuncia a pretendere dal dipendente il rispetto delle regole precauzionali. Il che è una grande incoerenza sistematica. Il rispetto di tali regole è coessenziale alla qualità della prestazione resa dal dipendente. Il rispetto delle direttive, delle leges artis -indirizzanti l’attività del prestatore di attività lavorativa affinché questa conduca ad un risultato utile e non fonte di danni per la controparte -è un elemento costitutivo nei contratti di lavoro, sia subordinato (art. 2094 c.c.) che autonomo (art. 2222 c.c.) anche sub specie professionale (art. 2236 c.c.). Finanche nei casi in cui la prestazione lavorativa è gratuita è prevista la responsabilità per colpa, tutt’al più la stessa è valutata con minor rigore (arg. ex artt. 1710 comma 1, 1768 comma 2, 2030, comma 2 c.c.). Quale datore di lavoro ragionevole pagherebbe mai un dipendente rinunciando a priori a certe qualità della prestazione? c) Sotto l’aspetto della coerente integrazione degli ordinamenti, unioni- stico e nazionale. Notevoli fondi da gestire con i contratti pubblici sono di provenienza europea (si consideri solo il recovery Fund). vengono in rilievo, quindi, procedimenti nei quali intervengono organi delle istituzioni dell’Unione europea ed organi delle istituzioni della Repubblica Italiana. Per quanto detto innanzi, gli organi delle istituzioni della Repubblica Italiana beneficiano di una notevole attenuazione della responsabilità amministrativa (in gergo: scudo contabile), laddove gli organi delle istituzioni dell’Unione europea, in assenza di “scudi”, sottostanno alle ordinarie regole sulla responsabilità amministrativa giusta l’art. 340, comma 4, t.F.U.e. secondo cui “La responsabilità personale degli agenti nei confronti dell’Unione è regolata dalle disposizioni che stabiliscono il loro statuto o il regime loro applicabile” in uno all’art. 22 dello Statuto dei funzionari dell’Unione europea secondo cui “il funzionario può essere tenuto a risarcire, in tutto o in parte, il danno subito dall’Unione per colpa personale grave da lui commessa nel- l’esercizio o in occasione dell’esercizio delle sue funzioni. La decisione motivata è presa dall’autorità che ha il potere di nomina, secondo la procedura prescritta in materia disciplinare. La Corte di Giustizia dell’Unione europea ha competenza anche di merito per decidere delle controversie cui possa dar luogo la presente disposizione”. orbene, nel medesimo procedimento di spesa si assiste -a fronte dei danni conseguenza della colpa personale grave nella gestione di risorse pub (14) Di fonte sociale (regole di diligenza, di prudenza, di perizia: colpa generica) o di fonte normativa (legge, regolamenti, ordini, discipline: colpa specifica). tanto argomentandosi dall’art. 43 c.p. per il quale la fattispecie presenta l’elemento psicologico della colpa “quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline”. RASSeGNA AvvoCAtURA DeLLo StAto -N. 2/2023 bliche -alla responsabilità erariale ove nella filiera intervenga un funzionario dell’U.e. (15) e all’immunità erariale ove nella filiera intervenga un funzionario della Repubblica Italiana. ed anche questo non è coerente, oltre che ingiusto. A questi rilievi critici si potrebbe tuttavia obiettare: va bene, vi possono anche essere aporie, ma se lo strumentario predisposto dal legislatore funziona si possono pure superare le questioni di principio; con considerazione pragmatica dei dati in gioco, meglio qualsivoglia azione rispetto all’inerzia. Ma un simile sistema di contenimento della responsabilità erariale funziona? Diremmo di no. L’art. 2, commi 3 e 4 C. contr. ed altresì l’art. 21 D.L. n. 76/2020 valgono unicamente per la responsabilità erariale. Restano immutate le altre fattispecie di responsabilità del dipendente: penale (salva la novella dell’art. 323 c.p.), civile verso terzi, disciplinare, manageriale. Per i principi, vi può essere un concorso di fattispecie, ossia uno stesso comportamento può integrare più ipotesi di responsabilità (16). La redazione e gestione di una linea di interventi in violazione colposa di direttive ad hoc con sperpero di danaro pubblico può, in ipotesi, integrare responsabilità erariale e responsabilità disciplinare. In questa evenienza, un dirigente, pur non rispondendo verso l’ente di appartenenza per il danno arrecato, sarebbe passibile di sanzione disciplinare ed esposto alla responsabilità manageriale. Sicché non è detto, non è sicuro, che lo strumentario predisposto dal (15) Particolare attenzione, a livello unionistico, è data al profilo del recupero dei fondi indebitamente versati. A tal fine, il Regolamento n. 241 del 2021 all’art. 8 fa espresso rinvio alla normativa generale del Regolamento finanziario, che prevede la responsabilità degli agenti finanziari, che sono tenuti “a risarcire il danno alle condizioni dello statuto” (art. 92 Reg. finanziario Ue); il riferimento è al citato art. 22 dello Statuto dei funzionari Ue. A. CANALe, il d.l. semplificazioni e il regime transitorio in tema di responsabilità amministrativa: i chiaroscuri della riforma, cit., osserva: “il rinvio all’art. 22 dello Statuto dei funzionari U.E., che espressamente richiama la colpa grave per il risarcimento del danno è poi di particolare rilievo, in quanto, oltre all’azione recuperatoria, pare prevedere anche la risarcibilità dei danni arrecati con colpa grave: è ovvio, con riferimento agli interventi finanziati con fondi europei del recovery Fund. E dunque, l’Europa, in estrema sintesi, ci fornisce i mezzi finanziari per la ripresa, ma esige, giustamente, una sana gestione finanziaria ed efficaci azioni di contrasto, non solo di carattere penale ma anche recuperatorie, nei casi di impiego illecito dei fondi del recovery Fund, nonché risarcitorie nei termini di cui all’art. 22 dello Statuto funzionari UE, che entra nel quadro normativo che regola l’attuazione del recovery Fund per effetto del già menzionato art. 8 del reg. 241. Queste ultime azioni, quella recuperatoria e quella risarcitoria, chiamano in causa innegabilmente la “giustizia contabile”, che deve poter contare, con specifico riferimento alle misure da attuare con il recovery Fund, su tutti gli strumenti giuridici necessari per adempiere agli obblighi posti dal regolamento a carico dello Stato italiano”. (16) Circostanza confermata dall’art. 2, comma 9, L. 7 agosto 1990, n. 241 secondo cui: “La mancata o tardiva emanazione del provvedimento costituisce elemento di valutazione della performance individuale, nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente”. CoNtRIbUtI DI DottRINA legislatore funzioni e il dipendente si disinibisca nell’azione amministrativa. 6. Che fare? Per quanto esposto la disciplina sulla responsabilità come strumento per rapidizzare e rendere efficiente l’azione amministrativa -come emergente dal C. Contr. e dall’art. 21, comma 2, D.L. n. 76/2020 -presenta vari profili di criticità. Rilevati i punti critici, quali sono le tecniche per rendere efficiente l’azione amministrativa nel campo dei contratti pubblici? La risposta è quella più semplice. Si è rilevato innanzi che nell’attuale momento storico, l’attività contrattuale è regolata da una normativa complessa e viene svolta con risorse umane con formazione non adeguata ai compiti da svolgere. Se tale è il dato, le tecniche essenziali per recuperare l’efficienza sono due: a) normativa (e procedimenti) chiara; b) personale competente ad hoc, formato oppure -ove questo non fosse possibile -ricorrere al mercato, esternalizzare. In questo contesto la c.d. paura della firma viene sterilizzata. Sul versante della normativa chiara poco possono gli operatori. occorre un nuovo codice. È auspicabile, quindi, una semplificazione generalizzata di tutte le procedure negoziali. Un modello di pronta fruizione è il c.d. modello inglese, ossia la recezione immediata delle direttive U.e. in materia negoziale. Gli inglesi -ma questa è storia perché sono usciti dall’U.e. -con il loro taglio pratico, preso atto che le direttive in materia sono dettagliate, si sono limitati a tradurle in inglese tout court senza adottare norme di attuazione. All’uopo potrebbe essere adottata una legge con un articolo unico del seguente tenore: “articolo unico 1. il D.L.vo 31 marzo 2023, n. 36 è abrogato; le relative disposizioni continuano ad applicarsi alle procedure pendenti. 2. L’aggiudicazione dei contratti di concessione è regolata dalla direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014; l’aggiudicazione dei contratti di appalto pubblico è regolata dalla direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014; l’aggiudicazione dei contratti di appalto degli enti erogatori nei settori del- l’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali è regolata dalla direttiva 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014. Per tutto quanto non previsto dalle direttive innanzi indicate si applicano il Codice Civile ed i principi generali di correttezza e buona fede. 3. La presente legge entra in vigore il giorno successivo alla pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale” (17). RASSeGNA AvvoCAtURA DeLLo StAto -N. 2/2023 Sul versante del personale ad hoc occorre promuovere una specifica professionalità sulla materia della contrattualistica pubblica, mediante idonea preparazione, formazione, rafforzamento delle capacità professionali dei dipendenti. All’uopo molto possono gli operatori, specie le Università (corsi ad hoc, corsi attuali con aspetto teorico pratico). Si potrà obiettare che la evidenziata risposta semplice è lapalissiana, del tutto ovvia, è la scoperta dell’acqua calda. Sarà pure una risposta qualificabile come ovvia, ma evidenzia l’unica risposta ai problemi fattuali. È calda anche l’acqua contenuta nel principio del risultato (art. 1, comma 1, C. contr.: “Le stazioni appaltanti e gli enti concedenti perseguono il risultato dell’affidamento del contratto e della sua esecuzione con la massima tempestività e il migliore rapporto possibile tra qualità e prezzo, nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza”). Cosa prescrive il principio del risultato con riguardo -operando un esempio semplice -alla condotta del contadino che va a comprare gli stivali al mercato del paese? Prescrive: compra gli stivali migliori al prezzo più economico (questa è una delle quattro ipotesi logicamente possibili) (18). Anche questo è ovvio. Se il legislatore ha avvertito la necessità di affermare il principio del risultato è perché esso è stato smarrito per lungo tempo nel nostro ordinamento per varie ragioni, tra cui la superfetazione della finalità ritenuta primaria di tutela della concorrenza (sicché la funzione di committenza è quasi scomparsa, come se il compito primario dello Stato fosse diventato quello di indire e gestire le gare per garantire la concorrenza e promuovere il mercato, dimenticando che la gara è un mezzo, non un fine) e gli eccessi formalistici della disciplina e della rigidità degli obblighi di gara conseguenti a disposizioni adottate con finalità astratte di prevenzione della corruzione e tutela della legalità con l’affidamento dei compiti di vigilanza sulla sua corretta applicazione, ed altresì di poteri normativi e regolamentari, all’ANAC (19). (17) tale proposta non è isolata nella comunità giuridica. Si rileva che “recentemente il Presidente del Consiglio di Stato Filippo Patroni Griffi, ha espresso in modo chiaro che la materia dei contratti pubblici potrebbe essere in poco tempo semplificata ritornando alle direttive UE e abbattendo il cosiddetto goldplating, l’“indoramento”, l’aggravamento anomalo attuato di solito dallo Stato italiano nelle leggi (spesso decreti delegati) di recepimento delle direttive”: S. De FeLICe, alcune idee per una Pa migliore per il Paese. Non solo per il recovery, in Sito Giustizia amministrativa, approfondimenti Dottrina, pubblicato il 20 febbraio 2021, ove si rileva altresì “Certo, c’è la esigenza di disciplinare gli aspetti interni, ma in una materia caratterizzata da tante fonti del diritto quali regolamenti e direttive europee, normativa statale primaria e secondaria (allo stato, non l’auspicato regolamento unico, ma varie decine di regolamenti, linee guida anac e anche leggi regionali su materie secondarie, quali la composizione delle commissioni), bandi (il bando è definito la lex specialis della gara), capitolati, contratti, si può e si deve provare a espungere il troppo e il vano, e guarire dal “morbo” del troppo diritto”. (18) Secondo l’ordine dei possibili le altre tre opzioni sono: compra gli stivali migliori al prezzo più elevato; compra gli stivali peggiori al prezzo più economico; compra gli stivali peggiori al prezzo più elevato. CoNtRIbUtI DI DottRINA 7. Conclusioni. I matrimoni con i fichi secchi non funzionano. Le tecniche contenute nel nuovo codice dei contratti -in continuità con la recente legislazione speciale -rivolte a vincere la c.d. “paura della firma” sono, a nostro giudizio, inidonee a recuperare l’efficienza nella materia dei contratti pubblici. L’efficienza nella materia dei contratti pubblici passa necessariamente attraverso una semplificazione delle norme (e procedure) e risorse umane dotate della specifica professionalità nella materia. (19) Per questi rilievi: G. NAPoLItANo, il nuovo Codice dei contratti pubblici: i principi generali, cit., pp. 289-290. RASSeGNA AvvoCAtURA DeLLo StAto -N. 2/2023 L’interpretazione al crocevia tra diritto e musica. Un processo circolare Antonino Ripepi* - PrEFazioNE - Quale figlia e nipote di artisti -il soprano Nicoletta Panni e il baritono Giuseppe De Luca -ho sempre ritenuto che il diritto fosse quanto di più sterile potesse esistere se comparato alla creatività dell’arte, sia essa musicale, pittorica o scultorea. Per questo ho trovato intrigante la chiave di lettura del- l’autore -che riveste il duplice ruolo di giurista e di musicista -circa il parallelismo tra diritto e musica attraverso “l’interpretazione” della norma di legge o del brano musicale. Secondo tale prospettiva, l’interprete crea a sua volta rispetto al testo originario del legislatore o del compositore e diviene in entrambi i casi un artista. resta il fatto che il dialogo tra ordinamenti giuridici è ben più complesso di quello che la musica assicura con il suo “linguaggio universale”, intelligibile da chiunque attraverso i secoli ed i confini nazionali. Wally Ferrante** Sommario: 1. Diritto e musica: due discipline performative -2. La circolarità dell’interpretazione giuridica e musicale -3. Differenze tra interpretazione giuridica e musicale 4. L’improvvisazione: analogia o differenza? -5. L’impatto della tecnologia sulla musica e sul diritto: una questione di stringente attualità - 6. Conclusioni. 1. Diritto e musica: due discipline performative. Le relazioni intercorrenti tra diritto e musica costituiscono oggetto di studio, da parte della dottrina, ormai da diverso tempo, al punto da giustificare la creazione di un’autonoma branca della ricerca scientifica, denominata Law and music. In chiave storica, infatti, la musica e il diritto sono legati da “pratiche istituzionali comuni, contiguità culturali profonde, funzioni simboliche convergenti ed emblematicamente racchius(e) nello stesso universo semantico del vocabolo “νόμοι” (1), termine con cui Platone, all’interno delle “Leggi”, iden (*) Procuratore dello Stato -Avvocatura Distrettuale di Reggio Calabria, Referente distrettuale per la “Rassegna dell’Avvocatura dello Stato”. Laureato in Pianoforte principale, organo e composizione organistica presso il Conservatorio di Musica F. Cilea di Reggio Calabria. (**) Avvocato dello Stato. (1) G. ReStA, il Giudice e il Direttore d’orchestra. Variazioni sul tema: «diritto e musica», in materiali per una storia della cultura giuridica, n. 2/2011, p. 437. CoNtRIbUtI DI DottRINA tificava sia la legge che il canto (2). D’altronde, i neumi gregoriani, figure ritmiche e melodiche proprie della letteratura medievale, condividono con il diritto proprio l’etimologia del νόμος. Nonostante tale parallelismo sia coltivato da autorevoli studiosi, i quali giungono a equiparare il giudice al direttore d’orchestra (3) o rinvengono nel νόμος l’elemento di collegamento tra musica e diritto (4), non tutte le voci dottrinali si rivelano favorevoli alla suddetta analisi comparata. In particolare, basil Markesinis, all’interno del volume Good and Evil in art and Law, nel commentare l’articolo di Levinson e balkin dedicato a diritto, musica e a tutte le arti performative (5), afferma che “(…) though pieces such as Levinson/balkin article give their authors the opportunity to display the breadth of their reading, they rarely -I feel -show in concrete terms and by means of specific examples how the study of the one branch of intellectual creativity can aid the work of the others. thus, if one looks, for instance at the Levinson/balkin article one finds concluding observations that are couched in general terms that appear to support the interaction between disciplines but which, in practice, do not seem to stand up to thorough scrutiny from the lawyer’s point of view. While admiring the imagination of the authors and envying the broad sweep of their reading, I regret to say that I belong to those who will not find that statements such as the above (along with the supporting text) will help illuminate the enterprise of constitutional analysis or interpretation” (6). Lo studio dei rapporti tra diritto e musica, dunque, è considerato -nel- l’analisi in esame -privo di ricadute concrete, quasi alla stregua di un gioco intellettuale, dotato di mero valore descrittivo. In un’ottica diversa, ma comunque tesa a negare qualsiasi parallelismo tra le due discipline, Alfredo Parente sosteneva il carattere sostanzialmente tecnico dell’interpretazione, per cui l’interprete non si sarebbe mai potuto considerare artista. Interpretare, in questa impostazione, consiste nell’eseguire passivamente e obiettivamente, tentando di riprodurre l’identità del- l’autore (7). (2) PLAtoNe, Leggi, III, 700, in opere, II, trad. it. di A. zadro, bari, 1966, pp. 692-693: «Da noi infatti allora la “musica” si distingueva in certi suoi aspetti e figure e un certo aspetto del canto era costituito di preghiere agli dei: si chiamavano col nome di “inni”; il suo contrario era un altro aspetto del canto (proprio questi si sarebbero dovuti chiamare thrènoi), e un altro erano i “peana” e poi ce n’era un altro detto “ditirambo”, ed è la “nascita di Dioniso”, credo. Inoltre un’altra specie di canto chiamavano proprio con questo nome di “leggi” (nòmoi), come fosse diversa, e le dicevano “canti citaredici”». (3) G. ReStA, op. cit. (4) e. PICozzA, il nomos nella musica e nel diritto, in G. ReStA (a cura di), L’armonia nel diritto: contributi a una riflessione su diritto e musica, Roma tre-press, 2020. (5) S. LevINSoN -M. bALkIN, Law, music and other Performing arts, Stanford, University of Pennsylvania Law review, 1597, 1991. (6) b. MARkeSINIS, Good and Evil in art and Law, Springer, 2009, pp. 10-11. (7) A. PAReNte, La musica e le arti. Problemi di estetica, bari, 1946, p. 108. RASSeGNA AvvoCAtURA DeLLo StAto -N. 2/2023 tanto premesso, occorre precisare che il fondamento della presente ricerca muove dalla comune considerazione del diritto e della musica in termini di discipline performative: sia il giurista che il musicista, infatti, devono ascrivere senso a un insieme di grafemi, ordinati secondo un programma intelligente, a seconda dei casi, dal legislatore o da un compositore. In entrambi i casi, il processo ermeneutico transita attraverso una pluralità di fasi: il giurista è chiamato, innanzitutto, a ricostruire il significato lessicale dell’enunciato conformemente al disposto dell’art. 12 preleggi e al canone interpretativo in claris non fit interpretatio; a valle di tale operazione, si schiude un momento ermeneutico intriso di maggiore creatività, consistente, ad esempio, nell’interpretazione dei cc.dd. concetti giuridici indeterminati o nella concretizzazione delle clausole generali, oppure nella personale ricostruzione dell’ordinamento giuridico in chiave sistematica. Allo stesso modo, il musicista deve, in un primo momento, connotato da maggiore vincolatività, decodificare la partitura alla stregua di un linguaggio che, in via universale, individua l’altezza e la frequenza dei suoni, nonché la loro estensione nel tempo, così come i momenti di pausa; una volta superata tale fase, si apre la dimensione virtuale destinata all’espressione della soggettività dell’interprete, che può discrezionalmente individuare il tempo di esecuzione di un “adagio” o la forza muscolare da impiegare (a seconda dello strumento impiegato) per l’espressione di un “fortissimo”. Se tale analogia è fondata, come appare, il tema dell’interpretazione rappresenta allora, più di qualsiasi altro, il trait d’union tra i due vasti campi della cultura umana. In entrambe le ipotesi, infatti, l’interprete attribuisce senso a un complesso di grafemi, non limitandosi a una mera esecuzione della volontà altrui, bensì dando luogo a un processo circolare in cui non è dato distinguere il soggetto interpretante dall’oggetto interpretato. In questo modo la disposizione legislativa, così come l’opera d’arte, divengono il luogo ideale in cui si incontrano l’ideatore, l’interprete e il destinatario del messaggio. In questa direzione si pone il pensiero di autorevoli giuristi. Affermava Carnelutti che “il giurista vorrebbe esser musico per fare che gli uomini possano sentirne l’incanto. Non si interpreta soltanto nel campo del diritto. La figura dell’interprete ha un posto di primo piano anche nella fenomenologia dell’arte; eleonora Duse, Paganini o toscanini hanno in vittorio Scialoja e in Paolo emilio bensa due fratelli. Se il diritto non fosse arte, l’interpretazione non ci avrebbe che fare. L’interpretazione giuridica è interpretazione artistica; se non fosse tale non sarebbe interpretazione. L’interpretazione giuridica e l’interpretazione musicale non sono due cose diverse, ma una cosa sola” (8). (8) F. CARNeLUttI, arte del diritto (ristampa con prefazione di C. Consolo), torino, 2017, p. 45. CoNtRIbUtI DI DottRINA A sostegno di tale impostazione, un giurista del calibro di Salvatore Pugliatti identifica l’interpretazione con la ricreazione dell’opera, la quale implica “una umana partecipazione, che di quei segni sparsi e morti faccia una sola parola viva, intieramente sciogliendo ogni frammento esteriore, oggettivo, nella libera creatività del soggetto” (9). 2. La circolarità dell’interpretazione giuridica e musicale. Come già accennato, dal momento che entrambe le discipline si fondano su processi ermeneutici, si verifica quella circolarità tra soggetto interpretante e oggetto interpretato che era già stata lumeggiata da filosofi del calibro di Gadamer e Schleiermacher: interpretare significa muovere dalle parti che compongono il testo al tutto e, viceversa, dal tutto alle parti (10). Mentre in musica tale osservazione si manifesta in tutta la propria autoevidenza, in quanto l’interprete, nel dare voce al compositore, esprime anche sé stesso sul piano emotivo, prima ancora che razionale, il discorso potrebbe apparire difficilmente applicabile all’ermeneusi giuridica. Infatti, secondo un’impostazione tanto risalente quanto radicata, “quando il giudice ardisce di arrogarsi il potere di interpretare le leggi, vale a dire di sostituire la sua volontà a quella del legislatore, l’arbitrio è dappertutto, nessuno può prevedere il corso che prenderà il suo capriccio” (11); lo stesso Autore avvertiva che “la legge scritta è il progresso, la legge non scritta è una legge congetturale, una finzione di legge” (12). Si tratta dell’impostazione teorica sottesa alla figura del giudice bouche de la loi, portato dell’epoca napoleonica e teso a garantire la prevalenza della legge scritta sull’arbitrio giudiziario (13). tuttavia, tali considerazioni appaiono inattuali se confrontate con l’odierna crisi del sistema delle fonti del diritto (14), ormai svincolato dal- l’unico punto di riferimento di segno statualistico (15). La tradizionale e monolitica prospettazione del fenomeno giuridico quale “diritto dello Stato”, (9) S. PUGLIAttI, L’interpretazione musicale, Messina, 1940 (ristampa 1991), p. 40. (10) H.G. GADAMeR, Verità e metodo [III ed., 1972], II, (trad. it., Milano, 1994), pp. 312 ss., ma spec. pp. 340 ss., secondo cui in ogni processo ermeneutico si verifica la circolarità. (11) J. beNtHAM, an introduction the Principles of morals and Legislation, I, bruxelles, 1829, p. 84. (12) ivi, p. 85. (13) A. CAvANNA, Storia del diritto moderno in Europa. Le fonti e il pensiero giuridico. II, Giuffré, 2005, pp. 532 ss. v. anche A. zoPPINI, il diritto privato e i suoi confini, Il Mulino, 2020, che si esprime in questi termini: “Lo Stato era sovrano nella genesi normativa -in cui si traduce la volontà generale -, il garante della funzione e della terzietà del giudice, vera bouche de la loi, infine l’institore dell’ufficio pubblico chiamato a eseguire con la forza il comando giuridico. Affermare che a tutt’oggi la normatività possa identificarsi col monopolio statuale, con il territorio della sovranità nazionale, costituisce una risposta largamente insufficiente e certamente inadeguata” (p. 18). (14) Su cui v. N. LIPARI, Le fonti del diritto, Giuffré, 2008. (15) A. zoPPINI, il diritto privato e i suoi confini, cit., pp. 22 ss. RASSeGNA AvvoCAtURA DeLLo StAto -N. 2/2023 ordinato in un sistema predefinito, si è ormai dissolta in favore di un quadro meno definito, caratterizzato dal proliferare di fonti non scritte (16) (come nel caso della lex mercatoria) oppure scritte, ma non vincolanti (si pensi alla soft law); anche laddove i connotati della forma scritta e della precettività siano conservati, si registrano comunque aspetti derogatori rispetto al tradizionale processo di produzione del diritto (es. regolamenti approvati dalle Autorità amministrative indipendenti, le quali, per controbilanciare il deficit di democraticità, consentono la partecipazione degli interessati attraverso il c.d. notice and comment) (17). In questo contesto, tipico della postmodernità, un autorevole civilista ha recentemente osservato che “se dunque si sposta l’asse portante dell’ordinamento dal momento potestativo e autoritario del comando a quello applicativo del suo operante riconoscimento, collocandolo nella duttile realtà dell’esperienza, non c’è difficoltà ad ammettere che la vita di una comunità giuridica si esprime e si risolve in una costante ed instancabile prassi interpretativa. Il comando non esiste nella immutabile astrattezza del suo enunciato, ma vive nello spazio e nel tempo in un inevitabile attrito con l’esperienza, all’interno della quale i consociati attuano modelli di comportamento accettando e riconoscendo precetti, ai quali attribuiscono significati in funzione di ben individuate contingenze storiche” (18). Ne risulta destituita di fondamento l’immagine posticcia del “giudice bocca della legge”, in favore di una reinterpretazione dello stesso in termini di “voce della collettività che esprime la sua interpretazione, trasformando l’astratto enunciato in modello concreto, attraverso indici di valore, criteri di comportamento, prassi attuative. (…) Se, uscendo dalle strettoie dello statalismo e dall’assolutismo giuridico, si supera l’artificiosa distinzione tra soggetto e oggetto nelle modalità attuative del procedimento interpretativo, non ha più senso porre il punto di riferimento oggettivo (…) al di fuori della comunità interpretante, che sarebbe dunque chiamata ad applicare e ad intendere il diritto prodotto dall’autorità” (19). (16) R. bIN - G. PItRUzzeLLA, Le fonti del diritto, Giappichelli, 2023, pp. 253 ss. (17) S. NICoDeMo, Gli atti normativi delle autorità indipendenti, Padova, Cedam, 2002; M.A. CAbIDDU -D. CALDIRoLA, L’attività normativa delle autorità indipendenti, in «Amministrare», 2000; F. PoLItI, regolamenti delle autorità amministrative indipendenti, in «enc. Giur.», 2001; S. MARzUCCHI, regolamenti delle autorità indipendenti, in Dizionario di diritto pubblico, a cura di S. CAS- SeSSe, Milano, Giuffrè, 2006; P. LAzzARA, La potestà regolamentare della Commissione Nazionale per le Società e la Borsa in materia di intermediazione finanziaria, in «Foro Amm.», 2000; F. CINtIoLI, Potere regolamentare e sindacato giurisdizionale, torino, Giappichelli, 2007, pp. 107 ss.; S. SANtoLI, Principio di legalità e potestà regolamentare delle autorità amministrative indipendenti, in «Giur. Cost.», 2003; G. De MINICo, regole, comando e consenso, torino, Giappichelli, 2004; P. CA- RettI (a cura di), i poteri normativi delle autorità indipendenti, in osservatorio sulle fonti 2003-2004, torino, Giappichelli, 2005. (18) N. LIPARI, il diritto civile tra legge e giudizio, Giuffré, 2021, p. 21. (19) ivi, pp. 21-22. CoNtRIbUtI DI DottRINA L’ampia citazione di uno dei più importanti civilisti contemporanei consente, dunque, di apprezzare le analogie tra interpretazione giuridica e musicale. In entrambi i casi, infatti, la distinzione tra soggetto interpretante e oggetto da interpretare è solo fittizia e la disposizione normativa (o la partitura) diviene il luogo virtuale in cui l’autore e l’ermeneuta si incontrano idealmente. “A ben vedere, in ogni processo ermeneutico (ossia, per ogni possibile oggetto) si verifica quella circolarita di cui parla Gadamer, e agisce quel fattore di Vorverständnis che inevitabilmente (e in parte piu o meno rilevante, inconsciamente) condiziona l’osservatore” (20). In musica, il senso profondo di tale affermazione si può cogliere volgendo il pensiero alla (quasi leggendaria) figura di Glenn Gould, universalmente considerato uno dei più grandi interpreti delle opere per tastiera di Johann Sebastian bach nella misura in cui ha saputo cogliere lo spirito di quella musica e trasmetterlo agli ascoltatori come pochi altri (21). 3. Differenze tra interpretazione giuridica e musicale. Nonostante le indubbie analogie, occorre riconoscere che “si deve comunque evitare di esagerare. La musica è davvero un’altra cosa. La musica è arte, il diritto no” (22). La musica nutre lo spirito ed è esigenza dell’individuo; il diritto è un’esigenza della società (23). I profili di (necessaria) distinzione tra i due ambiti del sapere che si ritiene di poter individuare sono tre. In primo luogo, il giurista, a differenza del musicista, è vincolato da criteri interpretativi che condividono, con l’oggetto dell’ermeneusi, la medesima sostanza normativa: l’art. 101 Cost., che statuisce il principio della esclusiva soggezione del giudice alla legge; l’art. 12 preleggi, già richiamato; gli artt. 1362 ss. c.c. per quanto concerne l’interpretazione di contratti e provvedimenti amministrativi; l’art. 1367 c.c., che fissa il generale canone dell’interpretazione utile e del divieto di interpretatio abrogans. tali limitazioni non esistono in ambito musicale, al punto da giustificare la poetica affermazione di Rilke: “tu, musica: acqua alla nostra fontana, raggio che cade, tu suono che specchia, che tu desti beata al tocco del risveglio, tu (20) F. RIMoLI, interpretazione, forma, funzione: sulle presunte affinità tra l’agire giuridico e l’agire musicale, in G. ReStA (a cura di), L’armonia nel diritto: contributi a una riflessione su diritto e musica, Roma tre-press, 2020, p. 307. (21) Sul punto, la bibliografia è sterminata. Si rinvia, in particolare, a M. CLARkSoN, Glenn Gould. Un genio innamorato, trad. it. di S. PezzANI, Postmedia books, 2013; G. PAyzANt, Glenn Gould. La musica, l’uomo, orthotes, 2016. Si v. anche il video del convegno “il caso Glenn Gould: L’interpretazione abrogatrice tra musica e diritto”, in https://www.youtube.com/watch?v=7JUNfbNzWCm. (22) S. NARDI, Pulchrum et iustum convertuntur. Sulla relazione tra musica e diritto, in rassegna di diritto della moda e delle arti, fasc. 1/2022, p. 26. (23) Sono le conclusioni cui giunge G. zAGRebeLSky, in M. bRUNeLLo -G. zAGRebeLSky, interpretare. Dialogo tra un musicista e un giurista, Il Mulino, 2016, pp. 62 ss. RASSeGNA AvvoCAtURA DeLLo StAto -N. 2/2023 quiete che il puro afflusso rinnova. tu, più di noi ..., tu da qualsiasi fine liberata ...” (24). In secondo luogo, il fine dell’interpretazione giuridica e musicale sono diversi: se in entrambe occorre inquadrare un testo entro un contesto, nella musica l’interprete effettua scelte interpretative per suscitare emozioni; nel diritto, invece, il giurista deve individuare un comportamento da seguire, considerando sia il bilanciamento di interessi sottostante alla statuizione del legislatore, sia principi che sono propri ed esclusivi della disciplina in esame, quali la ragionevolezza, recentemente indicata da autorevole dottrina quale vera e propria sostanza del fenomeno giuridico (25). Infine, esaminando il fenomeno dalla prospettiva del destinatario dell’interpretazione, ossia il cittadino sottoposto a un ordinamento giuridico o il fruitore/ ascoltatore di una qualunque opera musicale, si coglie una distinzione evidente: i destinatari ultimi delle norme giuridiche “subiscono” un’interpretazione già compiuta, un prodotto interpretativo che è connotato dalla precisa funzione di orientare, con valenza precettiva, i loro comportamenti. Diversamente, l’opera musicale agisce sul foro interno del destinatario, aspirando a condizionare la parte emotiva dell’ascoltatore, “senza peraltro offrire alcuna possibilità di verificare i risultati di tale tentativo di condizionamento emotivo, se così lo si può definire. Per cui, anche se un compositore ha concepito un brano musicale col fine di produrre nell’ascoltatore un determinato sentimento, con ogni evidenza quest’ultimo è del tutto libero di provare un sentimento differente, e non esiste strumento alcuno capace di verificare l’efficacia di tale meccanismo” (26). 4. L’improvvisazione: analogia o differenza? Come noto, in alcuni stili musicali, con particolare (ma non esclusivo) riferimento al Jazz, il ruolo dell’interprete è particolarmente spiccato: egli è libero di esprimersi mediante un’improvvisazione che, a ben vedere, non è completamente svincolata, ma si distende e si estende su un pattern di fondo, armonico e ritmico, ideato dal compositore. La partitura rappresenta, dunque, l’occasione offerta all’interprete di costruire nuove trame, nuovi intrecci melodici, a partire dal tema ideato dal compositore, con il quale il primo dialoga idealmente. Sulla base di tale premessa, il fenomeno musicale sembrerebbe divergere radicalmente dall’esperienza giuridica. Il giurista, per definizione, si avvale di testi scritti che ne vincolano in modo assoluto l’operato e li interpreta attenendosi rigorosamente a regole predefinite per esigenze di certezza del diritto. (24) R.M. RILke, musica, in rainer maria rilke. Canto remoto, a cura di S. MoRI CARMIGNANI, Passigli Poesia, 2012. (25) N. LIPARI, Diritto civile e ragione, Giuffré, 2019, pp. 11 ss. (26) A. PoRCIeLLo, Diritto e musica: armonia o dissonanza?, in materiales de Filosofía del Derecho, n. 5/2018, p. 5. CoNtRIbUtI DI DottRINA In realtà, l’accostamento tra improvvisazione e diritto non è così peregrino, e ciò emerge laddove si osservi il fenomeno giuridico in chiave processuale. È stato scritto: “senza disconoscere la componente razionale e argomentativa del ragionamento giuridico, vi sono situazioni di fronte alle quali il giurista è costretto ad elaborare performances giuridiche in una condizione di limitazione materiale e temporale. Pur se guidata dal giudice, l’evoluzione processuale può a volte presentare dei momenti in cui l’inaspettato, l’imprevisto, più del totalmente ignoto, possono presentarsi sotto la forma di un’eccezione inattesa. (…) In questi casi (…) il giurista è obbligato a fornire soluzioni giuridiche quasi nell’immediato, (…) in una performance giuridica quasi dal carattere estemporaneo” (27). esistono, dunque, situazioni eccezionali in cui il giurista è costretto a uscire dagli schemi argomentativi che si era prefigurato, reagendo a situazioni impreviste attraverso soluzioni immediate e frutto di una performance estemporanea che qualcuno ha definito, appunto, improvvisativa. In tale accezione, il parallelismo tra diritto e musica sembra chiaro. 5. L’impatto della tecnologia sulla musica e sul diritto: una questione di stringente attualità. Si tratta di un aspetto che lega trasversalmente i due campi del sapere in esame e che appare opportuno trattare in conclusione, stante la modernità dello stesso. L’impiego della tecnologia, infatti, potrebbe incidere in modo decisivo sull’attività ermeneutica in entrambi i settori. In ambito musicale, il problema è stato posto in quanto l’uso della tecnologia per eseguire le composizioni comporterebbe l’annullamento della fisiologica, umana e irripetibile distinzione tra un interprete e l’altro. Si pensi all’ofanim di Luciano berio, o al Prometeo di Luigi Nono, che contemplano espressamente l’uso della tecnologia per l’esecuzione della partitura. Parimenti, l’interpretazione di una disposizione affidata ad un sistema tecnologico potrebbe condurre a una omologazione interpretativa, sino agli estremi della giustizia predittiva. La questione è di stringente attualità ove si abbia riguardo all’uso della blockchain technology in ambito contrattuale (28) o all’impiego dell’algoritmo nel procedimento amministrativo (29); non a (27) v. NItRAto Izzo, Diritto e musica: performance e improvvisazione nell’interpretazione e nel ragionamento giuridico, Dossier: Diritto e Narrazioni, Temi di diritto, letteratura e altre arti, Atti del secondo convegno nazionale della ISLL, bologna 3-4 giugno 2010, pp. 121-122. (28) L. PARoLA -P. MeRAtI -G. GAvottI, Blockchain e smart contract: questioni giuridiche aperte, in i contratti, 6/2018, pp. 681 ss. (29) N. MUCIACCIA, algoritmi e procedimento decisionale: alcuni recenti arresti della giustizia amministrativa, in Federalismi, n. 10/2020. RASSeGNA AvvoCAtURA DeLLo StAto -N. 2/2023 caso, in quest’ultima ipotesi, alcuni Autori hanno suggerito di limitare la rilevanza di quest’ultimo all’attività amministrativa vincolata, poiché la discrezionalità amministrativa presuppone quella capacità di scelta tra più soluzioni consentite dalla legge e quel bilanciamento tra interessi primari e secondari, pubblici e privati di cui solo l’intelligenza umana può dirsi capace (30). In questa sede, si ritiene di condividere le conclusioni recentemente formulate da altro Autore: “La tecnologia è e deve rimanere uno strumento, se del caso, di interpretazione, che può essere utile all’operatore del diritto per l’elaborazione dei dati che quantitativamente interessano o riguardano la fattispecie concreta, ma che, quanto meno attualmente, non può sostituirsi al criterio qualitativo necessario per ritenere l’interesse sotteso a quella fattispecie, ad esempio, meritevole o immeritevole di tutela. Un tale giudizio presuppone un armamentario di valori che la tecnologia non ha. Solo l’uomo giurista, infatti, proprio in quanto opera nella vita di relazione e ha una specifica sensibilità nel saper interpretare la forza di espansione assiologica dei principi generali, è in grado di interpretare, se del caso con l’aiuto della tecnologia, ma senza che questa lo possa sostituire” (31). Le medesime considerazioni valgono per la musica e per l’arte in generale. La tecnologia può affiancare l’esecutore allo scopo di dare corpo sonoro a eventuali fantasie timbriche dei compositori o, in alcuni casi, per leggere in chiave moderna le melodie del passato, ma non può sostituire tout court l’attività dell’interprete. Infatti, tornando idealmente alle premesse da cui abbiamo preso le mosse, quasi come in una struttura ringkomponiert, l’eventuale rilevanza esclusiva della tecnologia, in funzione sostitutiva dell’essere umano, violerebbe palesemente la circolarità interpretativa tra soggetto interpretante e oggetto del- l’ermeneusi di cui si è detto. Invero, parafrasando la riflessione di un illustre civilista in modo da adattarla all’esperienza musicale e artistica, all’interno del diritto e della musica “si determina una singolare commistione per cui ogni momento dichiaratamente applicativo o di analisi influenza ciò che solo astrattamente può essere pensato come l’oggetto da analizzare” (32). Il fenomeno giuridico e quello musicale non possono essere definiti in una individuata oggettività, perché vanno considerati “stimolo e insieme esito, padre e ambiguamente figlio del- l’attività percettiva e valutativa del soggetto” (33). (30) S. veRNILe, L’adozione delle decisioni amministrative tramite formule algoritmiche, in Dialoghi di diritto amministrativo. Lavori del laboratorio di diritto amministrativo 2019, a cura di F. APeRIo beLLA -A. CARboNe - e. zAMPettI, Roma tre-press, 2020, pp. 107 ss. (31) S. NARDI, L’interpretazione giuridica e l’interpretazione musicale e il loro impatto con la tecnologia, in Diritto mercato tecnologia, 9 ottobre 2021, p. 12. (32) N. LIPARI, il diritto civile, cit., p. 22. (33) ivi, pp. 22-23. CoNtRIbUtI DI DottRINA In tale quadro, l’unica funzione della tecnologia può essere quella di affiancare l’essere umano, senza mai sostituirlo. In quest’ottica, Günter Hirsch, già presidente del Bundesgerichtshof, ha di recente assimilato la funzione del giudice a quella del buon pianista: “suonare il piano richiede ragione, cuore e mezzi tecnici. ogni componente dovrebbe svilupparsi in egual misura. Senza ragione sarà un fiasco, senza tecnica un amatore, senza cuore una macchina” (34). 6. Conclusioni. In definitiva, alla luce delle considerazioni esposte, sembra di poter affermare che, nonostante le indubbie differenze tra interpretazione giuridica e musicale, dal paragone tra i due ambiti dell’espressione umana possano ricavarsi interessanti suggestioni. In entrambi i casi, infatti, si innesca un processo circolare tra soggetto e oggetto dell’interpretazione, che difficilmente può essere riprodotto da una macchina. entrambe le forme di espressione dell’essere umano consentono di manifestare l’irripetibile soggettività di colui o colei che, nell’ascrivere senso a segni grafici nel rispetto di canoni ermeneutici generali, ne è -a sua volta -plasmato e condizionato, in un’evoluzione incessante che rappresenta la vera “formatività” (35) dell’essere umano. (34) G. HIRSCH, Verso uno stato dei giudici? a proposito del rapporto tra giudice e legislatore nell’attuale momento storico, in Criminalia, 2007, pp. 107 ss., 120. (35) D. CANANzI, Formatività e norma. Elementi di teoria estetica dell’interpretazione giuridica. Lezioni -vol. 1, 2019. RASSeGNA AvvoCAtURA DeLLo StAto -N. 2/2023 Qualità della normazione e comprensibilità delle leggi Mariarita Romeo* Sommario: 1. Premessa -2. Qualità della normazione e legislazione statale -3. L’orientamento della Corte costituzionale: la recente sentenza n. 110 del 5 giugno 2023 -4. Qualità della normazione e legislazione regionale - 5. Uno sguardo alle prospettive future. 1. Premessa. Di qualità della normazione si parla ormai da decenni: si tratta di un tema che ritorna periodicamente alla ribalta nel dibattito politico e che, indubbiamente, involge aspetti formali e sostanziali insieme, strettamente connessi ai principi fondamentali dell’ordinamento. esso ha poi assunto una maggiore urgenza nei tempi attuali, nei quali il numero di leggi e di disposizioni da conoscere e rispettare è esponenzialmente aumentato. e non solo per la c.d. ipertrofia legislativa di cui spesso è stato accusato il nostro sistema (1). Non dobbiamo dimenticare, infatti, che le fonti del diritto si sono moltiplicate in misura proporzionale alle diverse “sembianze” che ha assunto la figura originariamente unica del “legislatore”: negli anni, invero, al legislatore statale si è affiancato il legislatore regionale e, in modo sempre più “pervasivo”, il legislatore eurounitario, tramite regolamenti e direttive self-executing che producono inevitabili riflessi sulla vita del singolo cittadino (il caso delle concessioni demaniali è forse uno dei più recenti ed eclatanti). Nel quadro così descritto, occorre considerare almeno due ulteriori fattori, l’uno ormai esauritosi, l’altro in atto, ai quali può aggiungersene un terzo ancora in fieri. Si fa riferimento, in primis, al lungo periodo di emergenza sanitaria conseguente alla pandemia, che ha giustificato il frequente ricorso alla decretazione d’urgenza ed ha incentivato la prassi dell’affastellarsi in un unico provvedimento di disposizioni eterogenee (2). (*) esperto giuridico-amministrativo presso il Consiglio regionale della Calabria. (1) Sul tema dell’ipertrofia normativa o inflazione legislativa, v. L. toRCHIA, L’efficienza della pubblica amministrazione fra ipertrofia legislativa e atrofia dei risultati in rassegna aSTriD, n. 11/2019; F. RIMoLI, Certezza del diritto e moltiplicazione delle fonti: spunti per un’analisi, in F. MoDU- GNo (a cura di), Trasformazioni della funzione legislativa. Crisi della legge e sistema delle fonti, vol. II, Milano 2000; b.G. MAttAReLLA, La trappola delle leggi. molte, oscure, complicate, bologna 2011; A. GReCo, La semplificazione dell’ordinamento democratico, in Federalismi.it, n. 13/2009; R. PAGANo, Tecnica legislativa e sistemi d’informatica giuridica, in informatica e diritto, 1988, n. 3, 73 ss. (2) Sulla crisi del sistema delle fonti, accentuata dall’emergenza sanitaria v. A. RUGGeRI, il coronavirus, la sofferta tenuta dell’assetto istituzionale e la crisi palese, ormai endemica, del sistema delle fonti, in Consulta onLine, I/2020, www.giurcost.org. Sulla legislazione ai tempi del Covid, v., ex multis, CoNtRIbUtI DI DottRINA Secondariamente, appare opportuno valutare l’impatto sulla produzione normativa sia dell’attuazione del PNRR sia della prossima definitiva approvazione del disegno di legge governativo riguardante l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a Statuto ordinario, di cui all’art. 116, comma 3, della Costituzione (3), la cui realizzazione rischia di incidere sul disordine normativo già esistente, disorientando ancor di più il cittadino, destinato a confrontarsi con discipline potenzialmente differenti a seconda del territorio regionale di riferimento. 2. Qualità della normazione e legislazione statale. A livello statale, la qualità della normazione, intesa sia come chiarezza dei testi di legge, sia sotto forma di semplificazione e razionalizzazione della legislazione, è un tema sotto osservazione almeno dalla fine del secolo scorso, quando a partire dal 1997 vennero approvate le c.d. leggi bassanini finalizzate ad avviare una profonda riorganizzazione amministrativa (4). Più recentemente, dopo due anni particolarmente difficili, il 2020 e il 2021, caratterizzati dalla pandemia e dalla necessità di far fronte in tempi ra- L. DI MAJo, La tecnica normativa nel contesto della crisi epidemiologica da Covid-19, in Diritti regionali, n. 2/2020, www.dirittiregionali.it ; M. CARLI (a cura di), Qualità della normazione, in Le rubriche dell’osservatorio, osservatorio sulle fonti, n. 1/2022 e n. 2/2022. (3) Il disegno di legge proposto dal Ministro per gli Affari regionali e le Autonomie Roberto Calderoli recante “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione”, approvato dal Consiglio dei ministri il 2 febbraio 2023 e dal Senato in prima lettura a fine gennaio 2024, è attualmente in discussione alla Commissione Affari costituzionali della Camera. (4) Si tratta, in particolare, delle leggi n. 59 del 15 marzo 1997 e n. 127 del 15 maggio 1997. viene qui in rilievo, in tema di semplificazione normativa, soprattutto il Capo III della legge n. 59/1997 e, con riguardo ai rapporti con le Regioni, l’art. 20 ter, a norma del quale “1. il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, in attuazione del principio di leale collaborazione, concludono, in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano o di Conferenza unificata, anche sulla base delle migliori pratiche e delle iniziative sperimentali statali, regionali e locali, accordi ai sensi dell’articolo 4 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, o intese ai sensi dell’articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, per il perseguimento delle comuni finalità di miglioramento della qualità normativa nell’ambito dei rispettivi ordinamenti, al fine, tra l’altro, di: a) favorire il coordinamento dell’esercizio delle rispettive competenze normative e svolgere attività di interesse comune in tema di semplificazione, riassetto normativo e qualità della regolazione; b) definire principi, criteri, metodi e strumenti omogenei per il perseguimento della qualità della regolazione statale e regionale, in armonia con i principi generali stabiliti dalla presente legge e dalle leggi annuali di semplificazione e riassetto normativo, con specifico riguardo ai processi di semplificazione, di riassetto e codificazione, di analisi e verifica dell’impatto della regolazione e di consultazione; c) concordare, in particolare, forme e modalità omogenee di analisi e verifica dell’impatto della regolazione e di consultazione con le organizzazioni imprenditoriali per l’emanazione dei provvedimenti normativi statali e regionali; d) valutare, con l’ausilio istruttorio anche dei gruppi di lavoro già esistenti tra regioni, la configurabilità di modelli procedimentali omogenei sul territorio nazionale per determinate attività private e valorizzare le attività dirette all’armonizzazione delle normative regionali” (articolo così modificato dalla legge n. 246 del 2005). RASSeGNA AvvoCAtURA DeLLo StAto -N. 2/2023 pidi all’emergenza onde contenerne le conseguenze a livello economico e sociale (cui si è fatto fronte soprattutto con l’adozione di decreti-legge), è seguita l’approvazione del Piano Nazionale di ripresa e resilienza, che ha impegnato il Governo nell’attuazione -in tempi rigidamente scadenzati -di riforme in settori nevralgici come la giustizia ed i contratti pubblici, obiettivi raggiunti attraverso lo strumento delle deleghe legislative (5). entrambi questi avvenimenti hanno fatto emergere -l’uno in prospettiva emergenziale, l’altro in un’ottica strutturale -l’esigenza di disporre di norme certe e chiare, di immediata ed omogenea applicazione. In relazione a ciò, a livello centrale si sono registrate, nell’arco di questi ultimi anni, alcune novità. Così, il decreto-legge n. 77 del 2021, convertito con modificazioni dalla legge n. 108/2021, ha previsto la creazione della c.d. “Unità per la razionalizzazione e il miglioramento della regolazione”, poi effettivamente istituita con DPCM del 28 giugno 2021 al fine di favorire l’attuazione del PNRR. tra i compiti del nuovo organismo, ai sensi dell’art. 5 del decreto-legge, vi è anche quello di proporre rimedi atti a superare le disfunzioni derivanti dalla normativa vigente onde garantire la maggiore coerenza ed efficacia della normazione: ciò al fine di giungere ad un sostanziale miglioramento della regolazione, che abbracci l’intero ordinamento giuridico. Come auspicato dal coordinatore della suddetta Unità nella sua audizione dell’11 maggio 2022 (6), quest’ultima, nel perseguimento dei suoi obiettivi, può trovare un interlocutore privilegiato nel Comitato per la legislazione che opera presso la Camera dei deputati sin dal 1997 e che periodicamente svolge indagini conoscitive sui profili critici della produzione normativa. Qui è possibile dar conto della seconda novità intervenuta nel corso del 2022, ovvero l’istituzione presso il Senato, attraverso una modifica del suo Regolamento (con l’introduzione dell’art. 20-bis), di un Comitato analogo a quello già operante presso la Camera, con il compito -fra l’altro -di esprimere valutazioni e pareri “… sulla qualità dei testi, con riguardo alla loro omoge (5) A tal proposito, si parla sempre più insistentemente di un fenomeno di “fuga dalla legge”, per sottolineare la progressiva riduzione del ricorso alla legge ordinaria, cui corrisponde l’evidente crisi del Parlamento, quale ente rappresentativo della collettività, non solo nel nostro Paese, ma in generale nel- l’ambito delle democrazie più mature. Danno conto di questa tendenza: R. zACCARIA, il linguaggio del legislatore e della Corte costituzionale, in rivista aiC, n. 1/2023 e, ancora prima, sempre R. zACCARIA (a cura di), Fuga dalla legge? Seminari sulla qualità della legislazione, brescia 2011; F. CINtIoLI, Audizione davanti ai Comitati per la legislazione di Senato e Camera dei deputati del 9 gennaio 2024, resa nell’ambito dell’indagine conoscitiva sui profili critici della produzione normativa e proposte per il miglioramento della qualità della legislazione: https://www.camera.it/leg19/1 (nella sezione relativa al Comitato per la legislazione). (6) Si fa riferimento all’audizione del prof. Nicola Lupo, in qualità di coordinatore dell’Unità per la razionalizzazione e il miglioramento della regolazione, in tema di qualità della legislazione ed emergenza, avvenuta l’11 maggio 2022 dinanzi al Comitato per la legislazione istituito presso la Camera dei deputati, https://www.camera.it/leg18/1. CoNtRIbUtI DI DottRINA neità, alla semplicità, chiarezza e proprietà della loro formulazione, nonché all’efficacia di essi per la semplificazione e il riordinamento della legislazione vigente” (comma 5). Circostanza che dovrebbe essere sintomatica di una rinnovata attenzione da parte delle istituzioni deputate rispetto all’esigenza di garantire la qualità (formale e sostanziale) della legislazione. Proprio al Comitato per la legislazione si devono alcune recentissime audizioni (del 12 e del 26 febbraio) che offrono numerosi ed interessanti spunti sulle disfunzioni del sistema, tra cui quelle della Presidente emerita della Corte costituzionale Marta Cartabia e del prof. Massimo Luciani (7). La prima, oltre a stigmatizzare il fenomeno della disomogeneità tra de- creti-legge e legge di conversione e quello della frammentarietà della produzione normativa, ha rilevato la scarsa qualità normativa che spesso si traduce in difficoltà interpretative o addirittura nella contraddittorietà con altre norme vigenti, imputandola soprattutto alla mancanza di un’adeguata istruttoria nelle sedi competenti. Del pari, il prof. Luciani ha affrontato la problematica de qua, auspicando l’aggiornamento delle direttive sul drafting legislativo ed un migliore raccordo (nelle fasi finali del procedimento) tra le strutture tecniche interessate; soprattutto, però, ha sottolineato che l’esigenza di chiarezza non è solo politica, ma giuridico-costituzionale, in quanto il principio di legalità implica la leggibilità e comprensibilità delle norme. entrambi, nell’affrontare la tematica in questione, non hanno potuto fare a meno di menzionare la recente sentenza della Corte costituzionale n. 110 del 2023, che ha dichiarato l’incostituzionalità di una legge per radicale oscurità. 3. L’orientamento della Corte costituzionale: la recente sentenza n. 110 del 5 giugno 2023. Nel giugno 2023, in effetti, la Corte costituzionale ha pronunciato una sentenza che è passata quasi in sordina tra i non addetti ai lavori, ma che invece deve ritenersi un tassello importante lungo il percorso accidentato dell’affermazione della qualità della normazione (8). occorre premettere al riguardo che nella nostra Costituzione non si rinviene una norma specifica che disciplina la tecnica legislativa, cosicchè, pur (7) Si tratta delle audizioni di esperti svolte nell’ambito dell’indagine conoscitiva congiunta dei Comitati per la legislazione di Senato e Camera dei deputati sui profili critici della produzione normativa a partire dal 9 gennaio 2024, ancora in corso. oltre a quella del prof. Cintioli di cui alla nota 5, è possibile leggere le relazioni depositate dalla Presidente Cartabia e dal prof. Luciani sul sito istituzionale della Camera dei deputati, nella sezione relativa ai documenti acquisiti dal Comitato per la legislazione in sede di audizione, https://www.camera.it/leg19/1. (8) Sulla pronuncia v. F. SCALIA, Leggi “oscure e violazione dell’art. 3 della Costituzione. il processo di formazione delle leggi e l’auspicabile contributo della Corte dei Conti: un profilo ancora da esplorare per un miglioramento della elaborazione delle leggi, in rivista della Corte dei conti, n. 5/2023, www.corteconti.it. RASSeGNA AvvoCAtURA DeLLo StAto -N. 2/2023 volendo sollevare dinanzi alla Corte una questione del genere, non risulta agevole individuare un autonomo vizio di legittimità costituzionale collegato alla scarsa qualità di redazione delle norme. Nonostante ciò, non sono mancate alcune decisioni della Consulta -seppur non recentissime -orientate a valorizzare gli aspetti in argomento attraverso una combinazione di norme costituzionali (articoli 3, 25, 54, 72 e 97 Cost.), dalle quali si giungerebbe a desumere la sussistenza nel nostro ordinamento di un principio generale di qualità della legislazione (9). Dopo circa un decennio, proprio lo scorso giugno la Corte, nello scrutinare la legittimità costituzionale di diversi articoli di una legge di stabilità regionale (quella della Regione Molise, la n. 8 del 2022), ha avuto modo di affrontare nuovamente l’argomento e, nell’ambito della sentenza n. 110, ha dichiarato tra l’altro l’incostituzionalità dell’art. 7, comma 18, l.r. Molise n. 8/2022 per contrasto con l’art. 3 Cost., ovvero per la violazione del principio di ragionevolezza ivi enunciato. La norma censurata, dettata in materia di edilizia e urbanistica, consentiva -presumibilmente -la realizzazione di interventi o opere ulteriori nell’ambito delle fasce di rispetto del piano paesistico regionale. “Presumibilmente” perché il Governo ha censurato la radicale inintelligibilità della disposizione, caratterizzata dall’utilizzo di espressioni vaghe e suscettibili delle più diverse interpretazioni. La Consulta, riprendendo le eccezioni sollevate dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, ha rilevato che la norma de qua abbondava di termini imprecisi, o comunque, di ardua intelligibilità, oltre che apparire in difetto di qualsiasi riferimento al contesto normativo nel quale avrebbe dovuto inserirsi. Le spiegazioni fornite dalla difesa regionale, contraddittorie e confuse, non hanno fatto altro che avvalorare il carattere criptico di molti dei termini impiegati. Ma ciò che a noi più interessa è che la Corte, partendo dal caso particolare, ha inteso approfondire la questione più generale: ovvero se una disposizione dal significato radicalmente oscuro possa -per ciò solo -definirsi in contrasto con il principio di ragionevolezza di cui al su menzionato art. 3 Cost. La risposta fornita dai giudici della Consulta è stata senz’altro positiva, convintamente argomentata attraverso la rassegna dei precedenti sul tema e la comparazione con gli altri ordinamenti europei affini al nostro, ovvero il francese e il tedesco, dove la giurisprudenza ha, da tempo, riconosciuto il valore costituzionale del principio di precisione e chiarezza normativa (10). (9) In tal senso, è possibile citare Corte cost. nn. 70/2013, 8/2013, 182/2007, 128/2008 e 364/2010. (10) La giurisprudenza del Conseil constitutionnel francese sottolinea come disposizioni sufficientemente precise riducono il rischio di applicazioni arbitrarie ed evitano di addossare alle autorità amministrative e giurisdizionali il compito di stabilire regole, che spetta invece al legislatore. A sua CoNtRIbUtI DI DottRINA Per quel che riguarda il nostro ordinamento, l’esigenza di norme chiare e comprensibili è sorta e si è affermata in primis con riguardo alle disposizioni di carattere penale, in ciò agevolata dai principi di legalità e di tassatività costituzionalmente ricavabili dall’art. 25, comma 2, Cost. L’eventuale indecifrabilità delle norme incriminatrici può mettere a repentaglio valori fondamentali come la libertà personale dell’individuo, nella misura in cui, invece, un precetto espresso in modo preciso consente ad ogni consociato di poter orientare in modo consapevole la propria condotta, avendo ben chiare le conseguenze cui va incontro in base all’ordinamento. Per questi motivi, secondo la Corte costituzionale, debbono sussistere requisiti minimi di riconoscibilità e di intelligibilità del precetto penale da valutare come altrettanti requisiti minimi di razionalità dell’azione legislativa, atti a garantire la libertà e la sicurezza giuridica dei cittadini (11). Ma l’intelligibilità della legge rileva anche sotto un altro, altrettanto importante profilo, in quanto essa consente l’effettiva separazione tra i poteri dello Stato: l’oscurità della norma, infatti, riduce il carattere vincolante del precetto nei confronti sia del potere amministrativo sia del potere giudiziario, aumentando la loro discrezionalità ed il rischio di esporre il cittadino all’arbitrio della sua applicazione, che diviene inevitabilmente disomogenea. Davanti ad una norma dal significato assai ambiguo, infatti, il giudice si ritroverà autorizzato a sostituirsi al legislatore ed a creare egli stesso la norma da rispettare ed applicare alla fattispecie sottoposta alla sua valutazione. Rispetto alle precedenti, però, la sentenza del giugno scorso va oltre, in quanto -all’esito della sua ricostruzione -la Consulta giunge ad affermare esplicitamente la portata generale dell’esigenza di adottare norme chiare ed il più possibile univoche nel loro significato. Il principio, pertanto, supera i confini penalistici e si estende sia ai rapporti tra pubblica amministrazione e cittadini, sia ai rapporti reciproci tra questi ultimi, posto che “anche in questi ambiti, ciascun consociato ha un’ovvia aspettativa a che la legge definisca ex ante, e in maniera ragionevolmente affidabile, i limiti entro i quali i suoi diritti e interessi legittimi potranno trovare tutela, sì da poter compiere su quelle basi le proprie libere scelte d’azione”. In conclusione, quando una disposizione normativa utilizza espressioni linguistiche che -malgrado l’applicazione di tutti i possibili canoni ermeneutici volta, il tribunale costituzionale federale tedesco afferma che il mancato rispetto di standard minimi di comprensibilità e di non contraddizione dei testi normativi determina la loro illegittimità costituzionale. v. paragrafo 4.3.5 del considerato in diritto della sentenza n. 110 e la giurisprudenza ivi citata. (11) Così, Corte cost., 22 aprile 1992, n. 185; ma, ancora prima, Corte cost. n. 364 del 1988, secondo cui “Nelle prescrizioni tassative del codice il soggetto deve poter trovare, in ogni momento, cosa gli è lecito e cosa gli è vietato: ed a questo fine sono necessarie leggi precise, chiare, contenenti riconoscibili direttive di comportamento”. RASSeGNA AvvoCAtURA DeLLo StAto -N. 2/2023 -rimangono di significato radicalmente oscuro, e pertanto “foriere di intollerabile incertezza nella loro applicazione concreta”, se ne deve riconoscere il contrasto con il canone di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. Come ha osservato anche il prof. Luciani nell’audizione sopra menzionata, una legge oscura tradisce la funzione che le è stata conferita dallo Stato e risulta violativa dello stesso principio di legalità, in quanto -essendo incomprensibile -“… non è idonea a costituire la base normativa di qualsivoglia atto della pubblica amministrazione. È dunque affetta da un vizio di assoluta radicalità” e ciò -a parere dello studioso -per violazione, più che dell’art. 3, dell’art. 23 Cost., che sancisce il principio della riserva di legge. 4. Qualità della normazione e legislazione regionale. Appare significativo rilevare come la Corte abbia svolto le riflessioni appena esposte proprio in occasione del vaglio di legittimità di una legge regionale. Ciò conferma che le stesse esigenze di chiarezza, comprensibilità e precisione individuate per la legge statale devono ritenersi valevoli nella stessa misura anche per la legge regionale, soprattutto in seguito all’ampliamento delle competenze legislative delle Regioni dovuto alla riforma del titolo v (12). Anzi, mentre la nostra Costituzione -come già osservato -difetta di una norma espressa dedicata alla qualità della normazione, la maggior parte delle Regioni (13) vi hanno specificamente provveduto nell’ambito dei rispettivi Statuti (14) o, al più, hanno demandato il relativo compito all’approvazione (12) Al riguardo, cfr. A. MoReLLI, Le norme regionali sulla qualità della regolazione: problemi e prospettive, in AA.vv. il regionalismo italiano dall’Unità alla Costituzione e alla sua riforma, a cura di S. MANGIAMeLI, ISSRFA-CNR, vol. II, Milano 2012, 67 ss. (13) All’appello manca forse solo la Regione Calabria: infatti, se si esclude l’art. 44 St., che prevede la possibilità di adottare testi unici, né nello Statuto calabrese né nel Regolamento interno consiliare sono presenti disposizioni specifiche sulla qualità della normazione. L’ultima iniziativa in tal senso risale a qualche anno fa, quando, nella seduta del 29 maggio 2017, la Commissione Riforme del Consiglio regionale calabrese approvò all’unanimità la proposta di riforma statutaria n. 2/X del 9 novembre 2016, diretta tra l’altro ad introdurre nello Statuto disposizioni volte alla promozione ed alla tutela della qualità normativa. tuttavia, il progetto, pur essendo giunto più volte in Aula per la discussione finale, non è mai stato sottoposto all’approvazione definitiva dell’Assemblea legislativa. Ciò non significa che, a livello amministrativo, la Regione Calabria non abbia adottato misure per garantire la qualità della propria normazione: tra queste, l’adozione con D.C.R n. 280 del 7 agosto 2008, del Manuale contenente regole e suggerimenti per la redazione dei testi normativi promosso dalla Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome, la redazione della scheda di analisi tecnico- normativa per ogni proposta di legge, l’inserimento nei testi di legge di clausole valutative. Sotto un diverso profilo, invece, nell’agosto 2020, con D.P.G.R. n. 109/2020 la Regione aveva istituito, su iniziativa dell’allora Presidente Jole Santelli, la Commissione per la revisione, l’aggiornamento e la semplificazione della normativa regionale nonché per la predisposizione degli schemi di testi unici, che tuttavia non ha potuto operare per la conclusione anticipata della XI legislatura. (14) A titolo esemplificativo, uno degli Statuti di più recente approvazione, quello della Regione basilicata, approvato nel novembre 2016, recita all’art. 44 che “i testi normativi sono improntati all’organicità, alla chiarezza, alla semplicità di formulazione e al rispetto delle regole di tecnica legislativa e della qualità della legislazione”. CoNtRIbUtI DI DottRINA di una legge regionale ad hoc (15) ovvero a disposizioni inserite nel proprio Regolamento interno (16). Diverse Regioni, inoltre, hanno ritenuto di istituire al loro interno organi specifici, aventi il compito, tra gli altri, di migliorare la chiarezza dei testi (17). Anche le Regioni, dunque, partendo dalla loro legge fondamentale, hanno riconosciuto l’importanza di redigere testi normativi chiari e intelligibili, tendenza che si è rafforzata a seguito dell’Accordo tra Governo, Regioni ed Autonomie locali in materia di semplificazione e miglioramento della qualità della regolamentazione, stipulato il 29 marzo 2007 in sede di Conferenza unificata, dove si è stabilito di conformare il processo normativo ai principi di qualità della regolazione condivisi in ambito europeo. Così, analogamente a quanto avvenuto a livello centrale, anche le Regioni si sono dotate di regole di drafting da osservare nella redazione dei testi legislativi, ufficializzate e condivise nel 2007, quando in sede di Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative è stato approvato il Manuale per le Regioni contenente regole e suggerimenti per la redazione dei testi normativi (18). (15) Fra le diverse, la legge della Regione toscana è una delle più risalenti e delle più innovative, avendo introdotto anche la motivazione delle leggi e dei regolamenti (art. 9): si tratta della legge regionale 22 ottobre 2008, n. 55 recante “Disposizione in materia di qualità della normazione”. v. anche la legge della Regione Liguria 8 giugno 2011, n. 13 “Norme sulla qualità della regolazione e sulla semplificazione amministrativa” o la legge della Regione Puglia 2 novembre 2011, n. 29 “Semplificazione e qualità della normazione”. (16) Così, ad esempio, la Regione emilia-Romagna, il cui Regolamento interno, approvato con la deliberazione assembleare n. 143 del 28 novembre 2007, dedica alle procedure, modalità e strumenti per la qualità della normazione e per il controllo sull’attuazione delle leggi un intero Capo, e precisamente il Capo I del titolo vI. (17) tra queste, può essere menzionata la Regione Abruzzo, che ha istituito un apposito Comitato per la legislazione, con finalità anche di riordino e semplificazione della normativa vigente e di valutazione delle politiche pubbliche. Il Comitato è stato inserito nell’ambito della legge regionale 14 luglio 2010, n. 26, recante “Disciplina generale sull’attività normativa regionale e sulla qualità della normazione”. (18) A livello regionale, il lavoro di studio ed approfondimento sui contenuti del Manuale di redazione dei testi normativi non si è mai arrestato in questi anni, anche grazie alla formazione di gruppi di lavoro che hanno coinvolto rappresentanti di Giunte e Consigli regionali, linguisti ed esperti di informatica giuridica. L’ultimo aggiornamento del Manuale è proprio di marzo 2024 ed è disponibile in una versione ancora non definitiva sul sito www.parlamentiregionali.it. Il Manuale si presenta rinnovato non solo nella struttura (risultando adesso suddiviso in due Sezioni, l’una illustrativa del linguaggio normativo, l’altra con finalità pratico-applicative) ma anche nei contenuti. oltre a risultare arricchito da appendici riguardanti i profili sostanziali della qualità della normazione e gli strumenti per favorire l’efficacia della legislazione, occorre evidenziare anche l’integrazione del preambolo con un nuovo principio redazionale, quello della sostenibilità amministrativa del testo normativo, nel senso che una legge può definirsi amministrativamente sostenibile quando è formulata “in modo che le pubbliche amministrazioni possano concretamente ed efficacemente applicarla”. Non solo, ma nell’ambito dei principi viene attribuito riconoscimento anche alle finalità divulgative dell’attività di comunicazione istituzionale, quale strumento che favorisce l’accessibilità e la comprensibilità della legge da parte dei cittadini, così contribuendo all’affermazione del principio di certezza del diritto. RASSeGNA AvvoCAtURA DeLLo StAto -N. 2/2023 L’operato del legislatore regionale è stato parimenti oggetto di sindacato da parte della Corte costituzionale, sotto il profilo della chiarezza e semplicità di formulazione delle disposizioni adottate. Significativa, al riguardo, appare la sentenza n. 70 del 2013: in questo caso, la questione di legittimità della norma regionale è stata accolta con riferimento all’art. 97 Cost., ovvero al principio di buon andamento della pubblica amministrazione, laddove si è riconosciuto che l’adozione, per regolare l’azione amministrativa, di una disciplina normativa “foriera di incertezza”, “può tradursi in cattivo esercizio delle funzioni affidate alla cura della pubblica amministrazione”. In effetti, dopo l’entusiasmo iniziale seguito alla riforma del titolo v della Costituzione, e testimoniato dall’enunciazione dei principi di qualità della normazione nell’ambito degli Statuti di seconda generazione, il legislatore regionale sembra essere caduto negli stessi errori di quello statale. A parte le peculiarità che possono essere proprie solo della produzione normativa statale (si pensi agli eccessi del frequente ricorso ai decreti-legge ed alle deleghe legislative, ai maxi emendamenti ecc..), tra le pratiche più comuni e meno encomiabili diffusesi anche in ambito regionale, possiamo citare quelle dell’utilizzo di formule ed espressioni imprecise ed ambigue, dell’approvazione di leggi comprensive di disposizioni tra loro del tutto eterogenee (le c.d. omnibus), della novellazione effettuata a stretto giro, anche a più riprese, rispetto all’approvazione della legge oggetto di modifica, delle integrazioni normative che non vengono coordinate al contesto nel quale si introducono. occorre considerare, inoltre, quale fattore condizionante il corretto rapporto tra principio di certezza del diritto e qualità legislativa regionale, l’elevato contenzioso costituzionale tra Stato e Regioni stratificatosi negli anni immediatamente successivi alla riforma del titolo v, cagionato dalla imprecisa definizione delle materie di rispettiva competenza e caratterizzato dall’orientamento restrittivo assunto dalla Corte costituzionale nella decisione dei relativi giudizi, a tutela dell’unità ed indivisibilità della Repubblica. Attualmente, invece, il contenzioso risulta drasticamente ridotto rispetto alla prima decade degli anni Duemila (19), soprattutto a seguito del consolidarsi delle forme di leale collaborazione fra Stato e Regioni esercitate per (19) Si tratta di un dato riferito dal Presidente della Corte costituzionale prof. Augusto Antonio barbera, nell’ambito della Relazione annuale sull’attività della Corte relativa all’anno 2023, svoltasi lo scorso 18 marzo, consultabile al seguente link: https://www.cortecostituzionale.it/actionrelazioniPresidenti. do, dove alla pag. 5 si legge che il sensibile decremento del contenzioso tra Stato e Regioni “…è verosimilmente imputabile ai meccanismi di raccordo politico fra Governo e regioni che permettono loro di mediare tra le reciproche posizioni e di raggiungere punti di composizione…”, fermo restando il possibile successivo controllo di costituzionalità in via incidentale che potrebbe avere luogo sulla normativa regionale da parte della medesima Corte. CoNtRIbUtI DI DottRINA l’esame delle leggi regionali di nuova adozione, soggette al termine di impugnazione in via principale da parte del Governo, di cui all’art. 127 Cost. Si tratta di una prassi consistente nello svolgimento di un contraddittorio preventivo tra i due interlocutori, riguardante i contenuti della legge regionale appena pubblicata, che può comportare l’assunzione, da parte della Regione, dell’impegno nei confronti del Governo a modificare o abrogare una o più disposizioni della stessa legge, onde evitare la loro impugnazione dinanzi alla Consulta (20). È una pratica molto utile perché rappresenta un indubbio strumento di deflazione del contenzioso dinanzi alla Corte, e, inoltre, favorisce un confronto aperto tra Stato e Regione sui sospetti profili di incostituzionalità della norma o legge attenzionata, che può anche concludersi a favore della Regione, qualora quest’ultima riesca a chiarire i dubbi anticipatamente sollevati dal Governo. Nonostante ciò, anche il confronto preventivo può presentare degli inconvenienti, sia per i tempi ristretti entro cui inevitabilmente si svolge, sia in quanto sul suo esito possono talora incidere rapporti di forza, valutazioni non prettamente giuridiche, ma più propriamente politiche; a volte, può succedere che le Regioni si dimostrino troppo repentine nel cedere ai rilievi mossi dal Governo, pur di non dover affrontare un giudizio di impugnativa costituzionale. Così, in alcuni casi, l’intervento della Corte, quale terzo imparziale, può apparire l’unico modo efficace per dirimere definitivamente eventuali dubbi emersi nella fase pre-contenziosa, o per ricevere utili direttive per l’attività legislativa futura o, ancora, per meglio regolare i rapporti reciproci. 5. Uno sguardo alle prospettive future. Certezza del diritto, principio di eguaglianza e di non discriminazione, separazione dei poteri: è intorno a questi pilastri che ruota il tema della qualità della normazione, quale presupposto di garanzia per la loro effettiva attuazione, a livello sia statale sia regionale. Più di dieci anni fa, nell’ambito di un seminario sul tema della buona scrittura delle leggi, Giuliano Amato sosteneva la pessima qualità della nostra legislazione, sottolineando che la chiarezza della lingua legislativa merita specifica attenzione nella misura in cui, molto spesso, l’oscurità di una legge dipende dalla circostanza che il suo oggetto sia rimasto oscuro nella stessa mente di chi l’ha ideata: da qui, l’esigenza che chi scrive abbia approfondito la materia e se ne sia impadronito, in modo da poterla dominare anche linguisticamente (21). (20) Lo svolgimento di questa attività, a riprova della centralità assunta, è stato di recente oggetto di una nuova direttiva da parte del Presidente del Consiglio dei ministri, in data 23 ottobre 2023, recante “Esame delle leggi delle regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano e delle questioni di legittimità costituzionale ai sensi e per gli effetti dell’articolo 127 della Costituzione. razionalizzazione dell’attività istruttoria del Governo”, reperibile sul sito istituzionale del Governo, www.governo.it. RASSeGNA AvvoCAtURA DeLLo StAto -N. 2/2023 Legge “chiara”, poi, non equivale necessariamente a legge “semplice”: è stato osservato che l’esigenza di chiarezza e precisione del testo normativo spesso si contrappone all’opposta, altrettanto importante, esigenza della sua intellegibilità e semplicità (22). Infatti, un testo può definirsi preciso nella misura in cui identifica esattamente le fattispecie cui fa riferimento, il che può richiedere -a seconda del settore di intervento -l’impiego di un linguaggio prettamente tecnico; tuttavia, una terminologia “troppo” tecnica può pregiudicare la comprensibilità del medesimo testo da parte della generalità dei destinatari. La buona qualità della legge, dunque, dipende dalla realizzazione del difficile equilibrio tra queste contrapposte esigenze, impendendo che l’una abbia il sopravvento sull’altra. Questi concetti sono stati molto efficacemente riassunti dal prof. Fabio Cintioli nella sua recentissima audizione dinanzi ai Comitati per la legislazione (23): se rinunciare a nozioni e concetti giuridici non è proponibile perché equivarrebbe a far precipitare l’ordinamento nell’incertezza, tuttavia la terminologia giuridica va espressa in modo chiaro e con un linguaggio allo stesso tempo tecnico, armonico ed esauriente (24). L’esperto suggerisce di iniziare a scrivere “disposizioni più brevi, più chiare, più corrette sul piano dell’uso dei concetti giuridici…”, rinunciando “… alla tecnica dei continui rinvii e della novellazione su novellazione del testo normativo” per puntare su norme autoesplicative. Dunque, ciò che emerge dal dibattito costantemente in corso tra gli esperti è che occorre, prima di tutto, migliorare la padronanza della lingua come presupposto indispensabile per trasporre in modo corretto gli obiettivi che si intendono perseguire in buone regole e, di conseguenza, in buone norme. In questo quadro, le Regioni si sono inserite cercando di mutuare tutte le possibili buone prassi del legislatore statale, approntando strutture analoghe a quelle centrali, provvedendo alla formazione di personale tecnico, dotandosi di regole e istruzioni di redazione dei testi, con risultati tuttavia altalenanti. Si è riscontrato, infatti, che molte delle novità introdotte a livello regionale e ri (21) Così G. AMAto, ricordi in tema di chiarezza della legislazione, in R. zACCARIA (a cura di), La buona scrittura delle leggi, Roma, 2012, pagg. 21 e ss., dove si rileva che, tuttavia, la chiarezza è a volte intenzionalmente evitata: ciò avviene quando la norma rappresenta il risultato del compromesso difficilmente raggiunto tra le parti politiche per addivenire ad un accordo sulla sua approvazione. L’ambiguità linguistica, allora, è funzionale a consentire una lettura del testo che si presti a differenti interpretazioni. (22) In questi termini, R. zACCARIA, il linguaggio del legislatore, cit., p. 143. (23) v.F. CINtIoLI, audizione davanti ai Comitati per la legislazione, cit. (24) Secondo Cintioli, “Sarebbe illusorio pensare che rinunciando alla terminologia giuridica ed alle sue nozioni si possa parlare con più efficacia ai cittadini. La nozione giuridica, i concetti giuridici esprimono un significato preciso e si riannodano insieme in un tessuto che deve formare una regola da affidare solidamente alle cure dell’interprete”. CoNtRIbUtI DI DottRINA guardanti la razionalizzazione del sistema delle fonti regionali e locali, la redazione di testi unici, l’istituzione di comitati per la qualità delle leggi, gli strumenti di valutazione delle politiche pubbliche, sono state portate avanti con scarsa convinzione (25). Inoltre, ad alterare ulteriormente gli equilibri, potrebbe presto intervenire l’attuazione del regionalismo asimmetrico di cui al disegno di legge Calderoli. In disparte il dibattito sul favore o meno nei confronti dell’autonomia differenziata e sui connessi profili finanziari, si tratta indubbiamente di una prova di maturità alla quale saranno sottoposte le Regioni cui verranno concesse le ulteriori forme di autonomia, nell’ambito di materie che andrebbero -almeno inizialmente - assai limitate e solo progressivamente estese. Il rischio è quello di aumentare la confusione e di accrescere le disuguaglianze: come si è constatato durante l’emergenza pandemica, quando l’inadeguato coordinamento tra Stato, Regioni ed enti locali ha dato luogo a conflitti di competenza, il potenziamento della governance multilivello potrebbe comportare ulteriori problemi anche sotto il profilo qualitativo delle leggi. tra gli studiosi, vi è anche chi ritiene, in modo assai severo, che le Regioni, nate per essere un forte legislatore, in realtà non lo sono mai state e probabilmente non lo diverranno mai (26). Al riguardo, se è vero che una parte consistente della produzione normativa regionale contiene -quasi inevitabilmente -disposizioni di “ordinaria amministrazione” (come, ad esempio, variazioni di bilancio o riconoscimenti di debiti fuori bilancio, proroghe di termini, ecc..), va anche considerato che le Regioni sono enti piuttosto “giovani”, entrati in funzione da poco più di cinquant’anni, che hanno dovuto conquistarsi nel tempo i loro spazi di autonomia, in un lungo processo ancora in itinere. Senza concentrarci sul dato quantitativo, in grado di dire poco o nulla sulla qualità delle norme regionali, si può evidenziare che in alcuni casi proprio le Regioni si sono dimostrate più efficienti del legislatore statale, colmando per prime vuoti normativi e introducendo discipline innovative (o tentando di (25) Questa situazione è stata addebitata, tra l’altro, all’aspra conflittualità esistente tra Stato, Regioni ed enti locali, dipendente dalle incerte materie di competenza legislativa e amministrativa da A. MoRRoNe, La qualità della legislazione regionale, in istituzioni del federalismo, n. 1/2011. Non bisogna dimenticare, poi, che il compimento di azioni efficaci di valutazione delle politiche pubbliche richiede anche la destinazione di adeguate risorse finanziarie, non sempre disponibili. (26) È questa l’opinione di P. CIARLo, L’inevitabile nanismo legislativo delle regioni e il loro avvenire amministrativo, in Diritti regionali, n. 1/2023, www.dirittiregionali.it, il quale ritiene che, sebbene la missione costituzionale delle Regioni sia sempre stata la funzione legislativa, la stessa non è mai decollata (anzi, allo stato sarebbe del tutto isterilita), e ciò sia per la loro asserita incapacità di far valere a livello centrale la loro autonomia, sia per la crisi italiana del sistema partitico. Secondo l’Autore, il futuro delle Regioni dovrà puntare sulle competenze amministrative, più che sulla funzione legislativa. RASSeGNA AvvoCAtURA DeLLo StAto -N. 2/2023 introdurle) (27). In questa fase di ridotta centralità e rappresentatività del Parlamento, valorizzando il principio di sussidiarietà, le Regioni -per la loro prossimità alla popolazione dei rispettivi territori -potrebbero accentuare la loro capacità di esprimere bisogni e istanze dei cittadini, dando loro immediata risposta anche sul piano legislativo, ovvero facendosene portatrici a livello centrale. Ci sono anche ulteriori segnali positivi: tra questi, proprio il recentissimo aggiornamento del Manuale di redazione dei testi normativi promosso dalla Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative, laddove a livello statale trovano ancora applicazione le regole stabilite nelle circolari del Presidente del Senato, del Presidente della Camera dei deputati e del Presidente del Consiglio dei ministri risalenti al 2001. tra le novità del Manuale, elaborato in modo da comprendere la trattazione sia degli aspetti formali, sia degli aspetti sostanziali che consentono la redazione di una legge chiara, precisa, accessibile, è possibile citare la Parte II della Sezione II dedicata alle formule standardizzate, da utilizzare nella redazione di disposizioni normative come modello redazionale di carattere generale, consentendo di strutturare in modo uniforme la disciplina di determinate fattispecie; e, ancora, l’approfondimento, in appendice, relativo al contributo che gli strumenti informatici e l’intelligenza artificiale possono fornire per migliorare la qualità del testo normativo (28). Nella presentazione di questo nuovo Manuale, tra l’altro, si assimila lo scrivere una buona legge alla costruzione di un ponte, in quanto in entrambi i casi determinante per il loro funzionamento e la “tenuta” dovrebbe essere la progettazione tecnica, piuttosto che la decisione politica. Ci sembra, dunque, un buon punto da cui ripartire, per adeguare il linguaggio normativo alla rapida evoluzione della società dovuta alla digitaliz (27) Si può fare riferimento, ad esempio, alle discipline regionali in materia di lobbying (fra queste, in particolare, la l.r. Calabria n. 4/2016, la l.r. Puglia n. 30/2017, la l.r. toscana n. 5/2002) laddove invece una tale regolamentazione non è stata ancora adottata a livello statale. Si pensi anche al recente ammonimento del Presidente della Corte costituzionale Augusto barbera, in sede di Relazione annuale sul- l’attività della Corte costituzionale per l’anno 2023, nei confronti del legislatore statale, affinché intervenga senza ulteriore indugio a disciplinare il fine vita e la condizione anagrafica dei figli di coppie dello stesso sesso, mentre nel frattempo si stanno moltiplicando le iniziative delle Regioni in supplenza del Parlamento (ad. es. la proposta di legge, di iniziativa popolare, sul suicidio medicalmente assistito, recentemente discussa in seno al Consiglio regionale del veneto). (28) Su questo importante ed attualissimo argomento si è svolta a Firenze il 12 maggio 2022 un’interessante giornata di studi sul tema “Tecnica legislativa ed innovazione tecnologica”, organizzata nell’ambito del progetto assemblee rappresentative ed innovazione tecnologica dopo la pandemia: la “reingegnerizzazione” delle procedure parlamentari e del drafting legislativo (Legitech). Gli atti del convegno sono reperibili al seguente link: https://www.osservatoriosullefonti.it/mobilesaggi/ speciali/speciale-tecnica-legislativa-ed-innovazione-tecnologica-2-2022. tra questi, v. in particolare M. PIetRANGeLo, Tecniche normative e informatizzazione nelle assemblee legislative regionali, in osservatorio sulle fonti, n. 2/2022. CoNtRIbUtI DI DottRINA zazione, nonché la dimostrazione che il legislatore regionale intende rivestire un ruolo attivo nella formulazione di leggi più chiare ed efficaci. Nel perseguire in concreto questa aspirazione, per tutti gli operatori possono essere preziose le parole di Rodolfo Pagano, secondo cui “fare una buona legge richiede (soggettivamente) varie qualità: conoscenze giuridiche, competenza nella materia trattata, capacità di sintesi e chiarezza redazionale, valutazione politica degli interessi in gioco, previsione della attuabilità delle disposizioni” (29). (29) In R. PAGANo, Tecnica legislativa e sistemi d’informatica giuridica, cit., p. 82. Finito di stampare nel mese di maggio 2024 Stabilimenti Tipografici Carlo Colombo S.p.A. Vicolo della Guardiola n. 22 - 00186 Roma