Giudizi civili
L'attività di rappresentanza e difesa in giudizio esercitata dall'Avvocatura dello Stato presenta caratteri di assoluta originalità rispetto all'attività professionale degli avvocati del libero foro, proprio in conseguenza del ruolo, che essa riveste, di organo statale istituzionalmente preposto alla difesa legale di pubbliche amministrazioni e alla cura dei correlati interessi pubblici.
I giudizi di natura civile costituiscono la sede processuale, luogo d'elezione per la difesa della sfera patrimoniale e non patrimoniale dello Stato, in cui più accentuatamente si colgono le peculiarità dell'attività contenziosa dell'Avvocatura e le prerogative da cui essa è assistita, strumentali allo scopo di quella difesa, soprattutto con riferimento alla disciplina del foro erariale, al regime della notifica degli atti giudiziari ed alla conformazione dello ius postulandi.
A differenza dei sistemi adottati in altri ordinamenti, l'Avvocatura provvede, nell'esercizio del suo patrocinio, non tanto e non solo alla tutela diretta degli interessi delle singole amministrazioni od enti patrocinati, quanto al perseguimento degli interessi generali e esclusivi dello Stato nella sua unità, i quali possono anche trascendere quelli peculiari costituiti dalla soccombenza o dalla vittoria nelle singole cause.
In quest'ottica trova fondamento il principio di obbligatorietà del patrocinio e della esclusività della difesa riservata all'Avvocatura dello Stato: il jus postulandi ad essa attribuito è inteso dalla legge nella sua più ampia accezione.
Non mancano ipotesi contemplate dalla legge, in cui le pubbliche amministrazioni possono stare in giudizio avvalendosi direttamente di propri dipendenti (è il caso dell'art. 417 bis c.p.c., sulle controversie in materia di lavoro, o anche dell'art. 23 della legge n. 689/81 in materia di opposizione a ordinanze - ingiunzione), ma si tratta pur sempre di una possibilità prevista in misura circoscritta a singole tipologie di giudizi.
Nei giudizi civili, dunque, lo Stato non può essere rappresentato che dall'Avvocatura: non a caso, la possibilità di delega a funzionari dell'amministrazione interessata o a procuratori legali (prevista dall'art. 2 T.U. n. 1611/33) riguarda solo i giudizi che si svolgono fuori della sede degli uffici dell'Avvocatura.
La peculiarità del ruolo istituzionale svolto dall'organo legale statale si riflette anche nella norma di cui all'art. 1, 2° comma, del T.U. n. 1611/33, ove si legge testualmente che "gli avvocati ed i procuratori dello Stato non hanno bisogno, nell'esercizio delle loro funzioni, di mandato, neppure nei casi nei quali le norme ordinarie richiedono il mandato speciale, bastando che consti della loro qualità".
I poteri conferiti dalla legge agli avvocati dello Stato sono, così, molto più ampi di quelli dei difensori liberi professionisti forniti di procura; essi, infatti, in virtù della loro qualifica possono compiere, anche senza mandato speciale, tutti gli atti processuali che le ordinarie norme di procedura vietano ai difensori con procura che non siano forniti di mandato o procura speciale.
Va comunque chiarito che l'orientamento ormai consolidato in giurisprudenza disconosce il potere dell'Avvocatura dello Stato di disporre del diritto sostanziale controverso (cfr. Cass., 2 febbraio 1973, n.321; C.d.S., sez. IV, 7 marzo 1978, n. 178; C.d.S., 6 maggio 1980, n. 502; C.d.S., sez. IV, 6 aprile 2000, n. 1995), la cui titolarità è, conseguentemente, riservata all'amministrazione.
Il principio discende da una precisa scelta legislativa di netta divisione di compiti tra organi dello Stato: l'Avvocatura dello Stato ha formalmente la posizione dell'avvocato e l'Amministrazione quella di cliente, sicché è solo questa che può disporre del "suo" diritto.
Risulta evidente, dunque, che la rappresentanza processuale dell'Avvocatura non comporta anche la rappresentanza "sostanziale" della P.A.
Ai sensi dell'art. 1, 2° comma del menzionato T.U., l'Avvocatura può, tuttavia, compiere tutti quegli atti processuali (quali, ad esempio, la rinunzia agli atti del giudizio) che, pur non costituendo disposizione del diritto sostanziale controverso, possono nondimeno determinare effetti di natura sostanziale.
La pienezza dei poteri attribuiti dall'art. 1, 2°comma, sopra citato, si manifesta con tutta evidenza in ordine ai poteri di gestione tecnica della lite, all'esercizio delle varie facoltà processuali, alla utile conduzione della causa.
Sarà, quindi, l'Avvocatura a decidere quando e come iniziare una lite, e come gestirla, se proporre un regolamento di giurisdizione o di competenza, se declinare la competenza arbitrale, se proporre impugnazione e cosa eccepire. La gestione le rimarrà totalmente affidata pur quando essa ricorrerà, per la rappresentanza in giudizio, a liberi professionisti o a funzionari che dovranno strettamente attenersi alle istruzioni ricevute.
Per quanto attiene, poi, alle modalità di attribuzione del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato ad enti pubblici diversi dallo Stato, la disciplina è dettata dall'art. 43 T.U. n. 1611/33, il quale subordina la prestazione del patrocinio a tali enti al previo rilascio di un'autorizzazione statale, che può essere data, anzitutto, con legge, all'atto dell'istituzione dell'ente ovvero successivamente; essa può, inoltre, essere contenuta in un regolamento o in un altro provvedimento approvato con decreto presidenziale (si parla, in tal caso, di patrocinio cd. autorizzato).
Qualora sia intervenuta tale autorizzazione, la rappresentanza dei predetti enti è assunta dall'Avvocatura dello Stato in via organica ed esclusiva, eccettuati i casi di conflitto di interessi con lo Stato e le Regioni.
Gli enti autorizzati sono, quindi, obbligati ad essere patrocinati dall'Avvocatura, senza che a ciò possano, in via generale, opporsi. Soltanto in casi speciali, e previa delibera motivata da sottoporre agli organi di vigilanza, gli enti stessi potranno non avvalersi dell'Avvocatura dello Stato (art. 11, 2° comma, l. 103/79, che ha innovato profondamente la materia).
Conseguentemente, non può ammettersi che l'Avvocatura dello Stato sia affiancata, nell'esercizio dei suoi compiti legali, a professionisti del libero foro, né che enti che fruiscono del patrocinio autorizzato si avvalgano, poi, della sua attività solo episodicamente.
Va chiarito, però, che tale regime riguarda solo gli enti che, per la loro connessione con la struttura statale o per la compenetrazione delle loro funzioni con quelle dello Stato, hanno margini di autonomia molto ristretti.
Diversa è la disciplina per gli enti dotati di vera e propria autonomia, tra i quali emergono con particolare evidenza le Regioni, per le quali si può affermare che coesistano due concorrenti sistemi di difesa.
Il primo prevede la possibilità per esse di avvalersi in via organica ed esclusiva del patrocinio dell'Avvocatura, previa adozione di una deliberazione del Consiglio Regionale (art. 10 della legge 103/79). Il secondo consente alle Regioni di chiedere la rappresentanza e la difesa in giudizio all'Avvocatura solo saltuariamente, in relazione a singoli casi, senza necessità di una delibera di carattere generale, ai sensi dell'art. 107 d.p.r. 616/77, che prevede la facoltà per le Regioni di avvalersi degli "organi tecnici dello Stato".
In ogni caso, le divergenze tra Avvocatura e Regioni sull'instaurazione del giudizio o sulla resistenza al medesimo, sono sempre risolte dalle Regioni stesse, come è disposto anche per gli enti autorizzati (art. 12, 2° comma, l. 103/79).